: La legge "dispone", "impone", "sancisce", "statuisce"...
:
: Quale differenza di significato tra questi verbi?
Rispondo con un po' di ritardo, poiché avevo frainteso la richiesta,
convincendomi che ti interessasse il significato di codesti verbi *nei
testi
di legge*, e mi ero limitato all'ambito (già vasto) della tua domanda,
quindi tenendone fuori le accezioni nei diversi usi sempre pertinenti al
sistema giuridico (i.e. atti giudiziari, amministrativi e notarili,
testi
accademici), e concentrando invece l'osservazione alle occorrenze nei
testi
di legge - e non credo utile la distinzione tra le diverse fonti
normative,
poiché non si riscontra minore estro creativo nelle leggi formali del
parlamento che nei regolamenti comunali: quindi ho scritto di legge
intendendo qualsiasi atto normativo.
Poi ho riletto meglio e ho capito di aver tralasciato proprio quel che
più
ti interessava, e dunque ho dovuto aggiustare un po' la mia risposta.
"Imporre" è un verbo che i testi di legge tendono ad evitare: perché le
norme giuridiche sono coercitive anche ove non lo dicano espressamente;
si
trova raramente (art. 147 c.c., non a caso riguardante un istituto
governato
da norme giuridiche, religiose, morali e sociali), più spesso al
participio
passato ma riferito a un obbligo «imposto» da soggetti diversi dal
legislatore (e.g. artt. 63, 440 c.c.). "Imporre" significa porre un
vincolo
su qualcuno, rendere doveroso per un soggetto un determinato
comportamento.
Art. 147 Doveri verso i figli
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere,
istruire
ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione
naturale
e delle aspirazioni dei figli.
Art. 63 Effetti della dichiarazione di morte presunta dell'assente
Divenuta eseguibile la sentenza indicata nell'art. 58, coloro che
ottennero
l'immissione nel possesso temporaneo dei beni dell'assente o i loro
successori possono disporre liberamente dei beni.
Coloro ai quali fu concesso l'esercizio temporaneo dei diritti o la
liberazione temporanea dalle obbligazioni di cui all'art. 50 conseguono
l'esercizio definitivo dei diritti o la liberazione definitiva dalle
obbligazioni.
Si estinguono inoltre le obbligazioni alimentari indicate nel quarto
comma
dell'art. 50.
In ogni caso cessano le cauzioni e le altre cautele che sono state
imposte.
Art. 440 Cessazione, riduzione e aumento
Se dopo l'assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di
chi
li somministra o di chi li riceve, l'autorità giudiziaria provvede per
la
cessazione, la riduzione o l'aumento, secondo le circostanze. Gli
alimenti
possono pure essere ridotti per la condotta disordinata o riprovevole
dell'alimentato.
Se, dopo assegnati gli alimenti, consta che uno degli obbligati di grado
anteriore è in condizione di poterli somministrare, l'autorità
giudiziaria
non può liberare l'obbligato di grado posteriore se non quando abbia
imposto
all'obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti.
***
"Sancire" trasla dall'aera semantica religiosa, in cui significava
"rendere
sacro" (vedi il bel saggio di Moreno Morani:
http://www.rivistazetesis.it/Sacer.htm), a quella giuridica, in cui
assume
la valenza di "dare una qualificazione": la _lex_ romana, dopo essere
stata
rogata, riceveva la _sanctio_. Nei testi di legge non troverai questo
verbo,
che è usato oggi in funzione solamente descrittiva, per indicare appunto
una
qualificazione giuridica data da una norma a un fatto, e specialmente la
conseguenza giuridica che ne deriva; spesso sono sanciti principî (che
sono
norme di portata generale), e sovente il verbo viene impiegato per
indicare
l'introduzione di nuovi principî anche da parte di fonti diverse dalla
legge, e.g. dalla Corte di cassazione.
***
"Statuire" vale generalmente "affermare una regola giuridica", e in
particolare "stabilire" (nel senso di dare stabilità alla regola). Anche
questo lemma è adoperato solo in contesti descrittivi, non nelle fonti
normative.
***
"Disporre" è il più complesso dei quattro, e perciò l'ho lasciato per
ultimo. Il significato varia, anche nel campo del diritto, a seconda del
contesto: quando la legge dispone, essa regola un assetto, *ordina* nel
senso che sistema secondo un criterio; poiché la legge deve essere
rispettata, quando dispone essa pone un comando, rivolto non a soggetti
individuati bensì a tutti i consociati.
Un esempio è l'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale,
preliminari al codice civile, che *dispone*: «La legge non dispone che
per
l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo»; questa disposizione è un
comando rivolto a noi tutti che dobbiamo osservare la legge, ai giudici
che
debbono applicarla, allo stesso legislatore che deve attenersi al
principio
di irretroattività, almeno quando crea nuovo diritto con fonti di rango
inferiore alla legge.
Avrai notato che ho scritto "disposizione": sulla distinzione tra
disposizione e norma sono stati scritte migliaia di pagine, che provo a
riassumerti così: la disposizione è l'articolato verbale che esprime la
norma, e sta a questa come il significante sta al significato; tra norma
e
disposizione non v'è necessariamente un rapporto biunivoco, potendo la
norma
risultare dal «combinato disposto» di due o più disposizioni.
Altra distinzione fondamentale è quella tra "disporre" e "provvedere",
che
indicano rispettivamente la posizione di regole generali e astratte e
l'adozione degli atti (detti appunto provvedimenti) necessari a darvi
concreta attuazione.
Ma "disporre" ha anche un altro significato, riferito non già
all'attività
normativa («la legge dispone che...») bensì all'autonomia individuale, e
significa allora "esercitare una facoltà relativa a un diritto": e.g. tu
puoi disporre della proprietà del tuo computer vendendolo, lasciandolo
in
eredità, donandolo, abbandonandolo; questi sono tutti «atti di
disposizione»
del tuo diritto. Vi sono anche diritti non disponibili, per i quali cioè
non
è data questa facoltà di compiere atti giuridici validi. Similmente nel
diri
tto civile si suole contrapporre alle norme imperative (che, regolando
materie d'interesse pubblico generale, non ammettono deroghe) le norme
dispositive, che pongono una disciplina cui le parti di un contratto
possono
derogare scegliendo una diversa regolamentazione del loro assetto di
interessi.
Ho l'impressione che tutto 'sto sproloquio sia andato ben oltre le tue
necessità, e probabilmente risulterà involuto e incomprensibile.
Me ne scuso, ma vista l'ora non ho le forze di rivederlo.
Ciao
jacopo
--
www.ordet.it
--
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: La legge "dispone", "impone", "sancisce", "statuisce"...
:
: Quale differenza di significato tra questi verbi?
Rispondo con un po' di ritardo, poiché avevo frainteso la richiesta,
convincendomi che ti interessasse il significato di codesti verbi *nei
testi di legge*, e mi ero limitato all'ambito (già vasto) della tua
domanda, quindi tenendone fuori le accezioni nei diversi usi sempre
pertinenti al sistema giuridico (i.e. atti giudiziari, amministrativi e
notarili, testi accademici), e concentrando invece l'osservazione alle
occorrenze nei testi di legge - e non credo utile la distinzione tra le
diverse fonti normative, poiché non si riscontra minore estro creativo
nelle leggi formali del parlamento che nei regolamenti comunali: quindi
ho scritto di legge intendendo qualsiasi atto normativo.
Poi ho riletto meglio e ho capito di aver tralasciato proprio quel che
più ti interessava, e dunque ho dovuto aggiustare un po' la mia
risposta.
"Imporre" è un verbo che i testi di legge tendono ad evitare: perché le
norme giuridiche sono coercitive anche ove non lo dicano espressamente;
si trova raramente (art. 147 del codice civile, non a caso riguardante
un istituto governato da norme giuridiche, religiose, morali e sociali),
più spesso al participio passato ma riferito a un obbligo «imposto» da
soggetti diversi dal legislatore (e.g. artt. 63, 440 c.c.). "Imporre"
significa porre un vincolo su qualcuno, rendere doveroso per un soggetto
un determinato comportamento.
---
---
atti giuridici validi. Similmente nel diritto civile si suole
> : La legge "dispone", "impone", "sancisce", "statuisce"...
> "Disporre" è il più complesso dei quattro, e perciò l'ho lasciato per
> ultimo. Il significato varia, anche nel campo del diritto, a seconda del
Mi ha sempre incuriosito p.es. nelle "disposizioni" del Presidente del
CNR (p.es. per l'assunzione di una persona, quelle che cominciano con
"visto ... visto ... visto ...") la locuzione che compare prima del
"dispone" (scritto a centro pagina) ...
.. a volte e' "considerata la necessita' di provvedere in merito" e a
volte "considerata l'opportunita' di provvedere in merito"
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> Rispondo con un po' di ritardo, poiché avevo frainteso la richiesta,
> convincendomi che ti interessasse il significato di codesti verbi *nei
> testi di legge*, e mi ero limitato all'ambito (già vasto) della tua
> domanda, quindi tenendone fuori le accezioni nei diversi usi sempre
> pertinenti al sistema giuridico (i.e. atti giudiziari, amministrativi e
> notarili, testi accademici), e concentrando invece l'osservazione alle
> occorrenze nei testi di legge - e non credo utile la distinzione tra le
> diverse fonti normative, poiché non si riscontra minore estro creativo
> nelle leggi formali del parlamento che nei regolamenti comunali: quindi
> ho scritto di legge intendendo qualsiasi atto normativo.
Scusami se intervengo nella vostra conversazione, ma mi interessa proprio
questo punto. Le diverse fonti normative, proprio visto la loro diversa
funzione, sono a mio modesto avviso portatrici di linguaggi differenti.
Pensa ad esempio quanto possa essere diverso l'ambito definitorio degli
istituti all'interno di un "regolamento di attuazione " rispetto alla legge
quadro. A mio avviso non è tanto l'autorità emanante (parlamento, governo
regione o comune etc etc) e rendere i linguaggio differente ma la funzione
precipua che la norma andrà a svolgere. In alcuni casi l'aspetto definitorio
coem ho già detto è rimandato ad altre norme o messo in secondo piano
rispetto all'aspetto di disciplina dell'istituto. Molto spesso poi le leggi
impongono la ricerca delle definizioni degli istituti che discipliano
proprio in altre fonti normative e questo non può non incidere sul linguagio
utilizzato. Non sei d'accordo? (In ogni caso forse questo amplierebbe tropo
il tema della conversazione).
> Poi ho riletto meglio e ho capito di aver tralasciato proprio quel che
> più ti interessava, e dunque ho dovuto aggiustare un po' la mia
> risposta.
>
> "Imporre" è un verbo che i testi di legge tendono ad evitare: perché le
> norme giuridiche sono coercitive anche ove non lo dicano espressamente;
> si trova raramente (art. 147 del codice civile, non a caso riguardante
> un istituto governato da norme giuridiche, religiose, morali e sociali),
> più spesso al participio passato ma riferito a un obbligo «imposto» da
> soggetti diversi dal legislatore (e.g. artt. 63, 440 c.c.). "Imporre"
> significa porre un vincolo su qualcuno, rendere doveroso per un soggetto
> un determinato comportamento.
Hai ragione a dire che "imporre" è un termine che le Leggi tendono ad
evitare, mentre trovo interessante il fatto che la Dottrina ed i comemnti ne
facciano un uso molto ampio.
Pienamente d'accordo con te. Mi ricordo di un bellissimo breve saggio, che
lessi ai tempi dell'università, dal titolo "il sacro ed il giusto" (ma non
mi ricordo l'autore). Interessante era la descrizione della relazione fra
norma giuridica e norma religiosa, sopratutto nell'aspetto legato alla
sanzione. Vabbè sto divagando, scusami.
>
> *** "Statuire" vale generalmente "affermare una regola giuridica", e in
> particolare "stabilire" (nel senso di dare stabilità alla regola). Anche
> questo lemma è adoperato solo in contesti descrittivi, non nelle fonti
> normative.
>
> *** "Disporre" è il più complesso dei quattro, e perciò l'ho lasciato
> per ultimo. Il significato varia, anche nel campo del diritto, a seconda
> del contesto: quando la legge dispone, essa regola un assetto, *ordina*
> nel senso che sistema secondo un criterio; poiché la legge deve essere
> rispettata, quando dispone essa pone un comando, rivolto non a soggetti
> individuati bensì a tutti i consociati.
od alla categoria di essi interessati dalla norma stessa. Ti pongo un
piccolo dubbio che io non sono mai riuscito a chiarire. Le singole norme od
articoli sono definite (a mioa vviso molto superficialmente) spesso come
"disposizioni "di legge (ad esempio un articolo del Codice civile è una
disposizione) ma non tutte impongoo un dovere ad una o più categorie di
soggetti. Alcune "disposizioni" di legge al contrario detrminano semplici
diritti e facoltà.
> Un esempio è l'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale,
> preliminari al codice civile, che *dispone*: «La legge non dispone che
> per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo»; questa disposizione è
> un comando rivolto a noi tutti che dobbiamo osservare la legge,
A mio avviso dire che "la legge non "dispone" che per l'avvenire" non
determina alcun comando ma è definitoria del carattere generale della legge
(non retroattiva salvo i casi previsit i specificatamente). Nessun "dovere"
discende da questa norma. Sono norme aventi funzioni descrittiva.
ai
> giudici che debbono applicarla, allo stesso legislatore che deve
> attenersi al principio di irretroattività, almeno quando crea nuovo
> diritto con fonti di rango inferiore alla legge.
Esattamente. Dalla definizione derivano gli obblighi che sono però contenuti
in altre norme. La legge è irretroattiva, quindi il "il legislatore non può
(obbligo negativamente definito) emanare norme retroattive. LA conseguenza
però non è contenuta nella "disposizione "in esame. E' forse una
sottigliezza ma mi apre rilevante. Non trovi?
> Avrai notato che ho scritto "disposizione": sulla distinzione tra
> disposizione e norma sono stati scritte migliaia di pagine, che provo a
> riassumerti così: la disposizione è l'articolato verbale che esprime la
> norma, e sta a questa come il significante sta al significato; tra norma
> e disposizione non v'è necessariamente un rapporto biunivoco, potendo la
> norma risultare dal «combinato disposto» di due o più disposizioni.
Pienamente d'accordo.
> Altra distinzione fondamentale è quella tra "disporre" e "provvedere",
> che indicano rispettivamente la posizione di regole generali e astratte
> e l'adozione degli atti (detti appunto provvedimenti) necessari a darvi
> concreta attuazione.
Poi (spesso ma nons empre) i "provvedimenti" sono atti di natura
giusprudenziale. Si parla di "provvedimento " del giudice intendendo così la
sua funzione di applicazione di una norma preordinata.
> Ma "disporre" ha anche un altro significato, riferito non già
> all'attività normativa («la legge dispone che...») bensì all'autonomia
> individuale, e significa allora "esercitare una facoltà relativa a un
> diritto": e.g. tu puoi disporre della proprietà del tuo computer
> vendendolo, lasciandolo in eredità, donandolo, abbandonandolo; questi
> sono tutti «atti di disposizione» del tuo diritto.
Hai ragione basta pensare alle "disposizioni testamentarie" atto massimo di
liberalità che il nostro ordinamento lascia al de cuius con gli ovvi limiti
di legge.
Vi sono anche diritti
> non disponibili, per i quali cioè non è data questa facoltà di compiere
> atti giuridici validi. Similmente nel diritto civile si suole
> contrapporre alle norme imperative (che, regolando materie d'interesse
> pubblico generale, non ammettono deroghe) le norme dispositive, che
> pongono una disciplina cui le parti di un contratto possono derogare
> scegliendo una diversa regolamentazione del loro assetto di interessi.
>
> Ho l'impressione che tutto 'sto sproloquio sia andato ben oltre le tue
> necessità, e probabilmente risulterà involuto e incomprensibile. Me ne
> scuso, ma vista l'ora non ho le forze di rivederlo.
>
> Ciao
>
> jacopo
> --
Ciao Jacopo. Ho trovato molto interessante il tuo messaggio.
Grazie
Sergio
L'opportunità è la categoria tipica della discrezionalità amministrativa: la
pubblica amministrazione può scegliere, operando una valutazione comparativa
degli interessi, se e come adottare il provvedimento diretto a realizzare la
funzione propria della PA, che è la cura dell'interesse pubblico. Se il
provvedimento è invece necessario, non ha scelta.
Ciao
jacopo
--
www.ordet.it
Interessantissima domanda. A mio avviso bisogna intendersi sul signifiato
che dai al termine legge. Infatti, la Legge non č un fenomeno linguistico
uniforme nei suoi contenuti, quindi, a mio avviso:
1) "dispone"quando determina diritti a favore del beneficiario della norma
2) "impone" quando comporta obblighi ed oneri a carico del destinatario
della norma stessa
3) "sancisce" quando determina conseguenze giuridiche al verificarsi di
determinate condizioni
4) "statuisce" quando piů genericamente si esprime su un determinato aspetto
giuridicamente rilevante.
Ti faccio notare poi che la legge spesso "definisce" gli oggetti delle sue
statuizioni, dandone alle volte significati diversi da quelli che gli stessi
hanno comunemente.
"rimanda" a norme diverse (od a elementi exrtragiuridici) la definizione di
alcuni oggetti.
A mio avviso, poi, bisogna intendersi bene. Quando parli di Legge intendi:
l'atto normativo in senso ristretto (ad es. la differenza fra "Legge" e
"Decreto Legge"), l'atto normativo anche orale (pensa ad esempio agli usi ed
hai costumi aventi valore di "legge" perchč la legge aglis tessi spesso
rimanda) o la Norma in senso lato (pensa ad esempio al temine "Legge morale"
o "legge scientifica" od al cotnratto come Norma privata). Le distinzioni
sopra esposte rilevano molto anche da un punto di vista linguistico. In ogni
caso sul problema definitorio e sui problemi linguistici in diritto troverai
moltissimi riferimenti bibliografici. E' una letteratura immensa.
Salutoni
Ciao
Ser.
>> La legge "dispone", "impone", "sancisce", "statuisce"...
>>
>> Quale differenza di significato tra questi verbi?
>
> Interessantissima domanda. A mio avviso bisogna intendersi
> sul signifiato che dai al termine legge. Infatti, la Legge
> non è un fenomeno linguistico uniforme nei suoi contenuti,
> quindi, a mio avviso:
> 1) "dispone"quando determina diritti
> a favore del beneficiario della norma
> 2) "impone" quando
> comporta obblighi ed oneri a carico del destinatario della
> norma stessa
> 3) "sancisce" quando determina conseguenze
> giuridiche al verificarsi di determinate condizioni
> 4) "statuisce" quando più genericamente si esprime su un
> determinato aspetto giuridicamente rilevante.
> Ti faccio notare poi che la legge spesso "definisce" gli
> oggetti delle sue statuizioni, dandone alle volte
> significati diversi da quelli che gli stessi hanno
> comunemente.
> "rimanda" a norme diverse (od a elementi exrtragiuridici)
> la definizione di alcuni oggetti.
> A mio avviso, poi, bisogna intendersi bene. Quando parli
> di Legge intendi: l'atto normativo in senso ristretto (ad
> es. la differenza fra "Legge" e "Decreto Legge"), l'atto
> normativo anche orale (pensa ad esempio agli usi ed hai
> costumi aventi valore di "legge" perchè la legge aglis
> tessi spesso rimanda) o la Norma in senso lato (pensa ad
> esempio al temine "Legge morale" o "legge scientifica" od
> al cotnratto come Norma privata). Le distinzioni sopra
> esposte rilevano molto anche da un punto di vista
> linguistico. In ogni caso sul problema definitorio e sui
> problemi linguistici in diritto troverai moltissimi
> riferimenti bibliografici. E' una letteratura immensa.
> Salutoni Ciao Ser.
Hai dimenticato "comminare", che i giornalisti ignoranti
usano abitualmente come sinonimo di "irrogare".
La legge commina, il tribunale irroga, la pena.
--
oggi no, domani sì
Tutto il niusgrùp è come sempre invitato a partecipare: mica è una
discussione privata! Anzi, mi pare che la mia logorroica risposta abbia
messo in fuga l'originario interpellante Repet, quindi mi rivolgo senz'altro
a te.
: ma mi interessa
: proprio questo punto. Le diverse fonti normative, proprio visto la
: loro diversa funzione, sono a mio modesto avviso portatrici di
: linguaggi differenti. Pensa ad esempio quanto possa essere diverso
: l'ambito definitorio degli istituti all'interno di un "regolamento di
: attuazione " rispetto alla legge quadro. A mio avviso non è tanto
: l'autorità emanante (parlamento, governo regione o comune etc etc) e
: rendere i linguaggio differente ma la funzione precipua che la norma
: andrà a svolgere. In alcuni casi l'aspetto definitorio coem ho già
: detto è rimandato ad altre norme o messo in secondo piano rispetto
: all'aspetto di disciplina dell'istituto. Molto spesso poi le leggi
: impongono la ricerca delle definizioni degli istituti che discipliano
: proprio in altre fonti normative e questo non può non incidere sul
: linguagio utilizzato. Non sei d'accordo? (In ogni caso forse questo
: amplierebbe tropo il tema della conversazione).
: Hai ragione a dire che "imporre" è un termine che le Leggi tendono ad
: evitare, mentre trovo interessante il fatto che la Dottrina ed i
: comemnti ne facciano un uso molto ampio.
Non è però soprendente, se consideriamo che la norma giuridica, ponendo
delle regole di condotta che debbono essere osservate, non ha bisogno di
ricorrere alla semantica dell'imposizione. È interessante notare come la
legge raramente faccia ricorso anche al verbo "dovere": e.g. le norme di
procedura descrivono gli atti che devono essere compiuti dal giudice o da
altri organi, rappresentando una sorta di necessità giuridica che quegli
atti siano compiuti. Un esempio: art. 292 del codice di procedura penale
(Ordinanza del giudice in materia di misure cautelari)
Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza.
[Inconcepibile che possa provvedere con decreto o con sentenza]
L'ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità
rilevabile anche d'ufficio: <CUT> [Qui la legge impone che l'ordinanza abbia
un certo contenuto; se la previsione non è rispettata, consegue la sanzione
della nullità].
Nel c.p.p. si coniuga il verbo dovere prevalentemente quando il soggetto è
una parte, o un istituto (la misura cautelare, l'interrogatorio etc.).
Questa tecnica, peraltro, viene sovente abbandonata nelle norme inserite un
po' a forza nel tessuto originario del codice, le quali, venendo ad alterare
un sistema coerente, chiariscono la portata prescrittiva del comando con un
ampio uso del verbo dovere anche per il giudice (e.g. artt. 294, commi 1bis
e 1ter; 299, comma 3bis).
Del resto basta leggere la parte speciale del codice penale, quella in cui
sono descritti i reati: «Chiunque compie il tale reato è punito con la tal
pena», afferma (abbastanza ingenuamente, verrebbe da dire) il legislatore.
:: quando la legge dispone, essa regola un
:: assetto, *ordina* nel senso che sistema secondo un criterio; poiché
:: la legge deve essere rispettata, quando dispone essa pone un
:: comando, rivolto non a soggetti individuati bensì a tutti i
:: consociati.
:
: od alla categoria di essi interessati dalla norma stessa.
Generalità e astrattezza, caratteristiche delle norme giuridiche,
significano proprio che la norma è suscettibile di un numero indefinito di
applicazioni per un numero indefinito di soggetti. Si distingue anche tra:
astrattezza orizzontale (generalità di soggetti destinatari) e astrattezza
verticale (indefinite applicazioni nel tempo).
: Ti pongo un
: piccolo dubbio che io non sono mai riuscito a chiarire. Le singole
: norme od articoli sono definite (a mioa vviso molto superficialmente)
: spesso come "disposizioni "di legge (ad esempio un articolo del
: Codice civile è una disposizione) ma non tutte impongoo un dovere ad
: una o più categorie di soggetti.
: Alcune "disposizioni" di legge al
: contrario detrminano semplici diritti e facoltà.
Forse non ho capito bene il tuo dubbio.
La disposizione (caratteristica delle sole fonti di diritto scritto: esclusa
e.g. la consuetudine) precede la norma: può darsi norma senza disposizione
(ancora la consuetudine), e disposizione senza norma (quando non abbia
portata innovativa per l'ordinamento giuridico).
Ma le disposizioni che prevedono diritti e facoltà esprimono certamente
norme giuridiche. Tieni anche conto che a fronte di ogni diritto sta un
obbligo (la "facoltà" è un concetto un po' più sfuggente, ma in ogni caso se
una norma attribuisce una facoltà è innegabile che essa innovi).
: A mio avviso dire che "la legge non "dispone" che per l'avvenire" non
: determina alcun comando ma è definitoria del carattere generale della
: legge (non retroattiva salvo i casi previsit i specificatamente).
: Nessun "dovere" discende da questa norma. Sono norme aventi funzioni
: descrittiva.
A parte la tua affezione per un'idea di norma che solo impone doveri, mai
attribuisce diritti ;-) , questa di cui discorriamo pone dei doveri precisi.
La norma sulla irretroattività è un ottimo esempio di fonte sulla
produzione: essa dice al legislatore come dovrà produrre le leggi future;
essa prescrive, non già descrive (uno stato delle cose già esistente).
Altra storia è che, con una fonte di rango pari o superiore, si possa
disattendere questa prescrizione. Ti faccio qualche esempio classico di
retroattività: necessariamente retroattive sono le leggi di amnistia e
indulto; condono edilizio e tributario; è re-troattiva la norma penale più
favorevole al reo; la decadenza dei d.l. non convertiti retroagisce, come la
inefficacia delle norme dichiarate incostituzionali; retroagiscono tutte le
norme transitorie di attuazione: essenziale alla norma giuridica non è tanto
di ordinare e vietare, quanto di valutare i comportamenti.
: Dalla definizione derivano gli obblighi che sono però
: contenuti in altre norme. La legge è irretroattiva, quindi il "il
: legislatore non può (obbligo negativamente definito) emanare norme
: retroattive. LA conseguenza però non è contenuta nella "disposizione
: "in esame. E' forse una sottigliezza ma mi apre rilevante. Non trovi?
Non ho capito.
: Poi (spesso ma nons empre) i "provvedimenti" sono atti di natura
: giusprudenziale. Si parla di "provvedimento " del giudice intendendo
: così la sua funzione di applicazione di una norma preordinata.
Sì. Non mi era parso necessario approfondire la categoria dei provvedimenti,
tra cui rientrano anche quelli giudiziari; qui si va troppo sul tecnico ;-)
Tutto il filone anzi ha preso una piega troppo giuridica per ICL e ICLIt, e
immagino troppo superficiale per IDir: infatti dai tre gruppi nessuno è
intervenuto. Mi scuso con tutti i partecipanti per aver divagato, malamente
sconfinando e avventurandomi in sintesi ahimè approssimative che non rendono
giustizia alla materia affascinante e complessa del diritto costituzionale
(e in generale pubblico). Se volete, ci sono scaffalature intere di dottrina
sulle parole di cui ci siamo occupati.
Caro Ser Giotto, ti ringrazio per avermi offerto la possibilità di
rispolverare concetti e problemi che già vado dimenticando. Io mi arrendo,
però.
Ciao
jacopo
--
www.ordet.it
> Tutto il niusgrùp è come sempre invitato a partecipare: mica è una
> discussione privata! Anzi, mi pare che la mia logorroica risposta abbia
> messo in fuga l'originario interpellante Repet, quindi mi rivolgo
senz'altro
> a te.
E ti ringrazio. Mi spiaceva un po' che un argomento interessante fosse
lasciato perdere.
omissis
> Non è però soprendente, se consideriamo che la norma giuridica, ponendo
> delle regole di condotta che debbono essere osservate, non ha bisogno di
> ricorrere alla semantica dell'imposizione. È interessante notare come la
> legge raramente faccia ricorso anche al verbo "dovere": e.g. le norme di
> procedura descrivono gli atti che devono essere compiuti dal giudice o da
> altri organi, rappresentando una sorta di necessità giuridica che quegli
> atti siano compiuti. Un esempio: art. 292 del codice di procedura penale
> (Ordinanza del giudice in materia di misure cautelari)
> Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza.
> [Inconcepibile che possa provvedere con decreto o con sentenza]
> L'ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità
> rilevabile anche d'ufficio: <CUT> [Qui la legge impone che l'ordinanza
abbia
> un certo contenuto; se la previsione non è rispettata, consegue la
sanzione
> della nullità].
Già, ti do ragione. Alle volte il legislatore si esprime come se le
conseguenze di taluni azioni od omissioni abbiano o creino conseguenze quasi
"naturali" , come se, applicando il principio di azione-reazione, ad un
certo evento non si potesse che collegare una sola determinata conseguenza.
Per me questo potrebbe derivare dalla teoria del diritto naturale, ma forse
la sto sparando moooooolto grossa, per cui mi fermo là.
> Nel c.p.p. si coniuga il verbo dovere prevalentemente quando il soggetto è
> una parte, o un istituto (la misura cautelare, l'interrogatorio etc.).
> Questa tecnica, peraltro, viene sovente abbandonata nelle norme inserite
un
> po' a forza nel tessuto originario del codice, le quali, venendo ad
alterare
> un sistema coerente, chiariscono la portata prescrittiva del comando con
un
> ampio uso del verbo dovere anche per il giudice (e.g. artt. 294, commi
1bis
> e 1ter; 299, comma 3bis).
> Del resto basta leggere la parte speciale del codice penale, quella in cui
> sono descritti i reati: «Chiunque compie il tale reato è punito con la tal
> pena», afferma (abbastanza ingenuamente, verrebbe da dire) il legislatore.
>
Hai ragione. Ti faccio solo notare che spesso i codici di procedura fano uso
dell'idicativo per indicare forme di "dovere". L' Art 183 cpc "se richiesto
il giudice fissa un termine .........(omissis)." e tanti altri sono
univocamente interpretati nel senso di un azione necessaria ed
imprescindibile. Nell'esempio citato il giudice non può rifutarsi di fissare
il termine richiesto dalla parte (nel qual caso il codice avrebbe scritto
"il giudice può" ). Voglio dire che la categoria del dovere è spessod
eteminata da un uso dell'indicativo particolare. E' come se fosse supposta
la necessità dell'atto salvo che la legge non rpevede diversamente (nel
quale ultimo caso si usa il termine potere od altri equipollenti).
OMISSIS
Generalità e astrattezza, caratteristiche delle norme giuridiche,
> significano proprio che la norma è suscettibile di un numero indefinito di
> applicazioni per un numero indefinito di soggetti. Si distingue anche tra:
> astrattezza orizzontale (generalità di soggetti destinatari) e astrattezza
> verticale (indefinite applicazioni nel tempo).
Certo, hai ragione, i principi che richiami sono la base della filosofia del
diritto, d'altra parte.
OMISSIS
> Forse non ho capito bene il tuo dubbio.
> La disposizione (caratteristica delle sole fonti di diritto scritto:
esclusa
> e.g. la consuetudine) precede la norma: può darsi norma senza disposizione
> (ancora la consuetudine), e disposizione senza norma (quando non abbia
> portata innovativa per l'ordinamento giuridico).
> Ma le disposizioni che prevedono diritti e facoltà esprimono certamente
> norme giuridiche. Tieni anche conto che a fronte di ogni diritto sta un
> obbligo (la "facoltà" è un concetto un po' più sfuggente, ma in ogni caso
se
> una norma attribuisce una facoltà è innegabile che essa innovi).
Esistono però disposizioni "meramente descrittive o definitorie" (pensa alla
definizione del contratto di cui all'art. 1321 c c). Esse possono avere
funzioe innovativa ma non dispositiva. Questo è il mio piccolo dubbio.
> : A mio avviso dire che "la legge non "dispone" che per l'avvenire" non
> : determina alcun comando ma è definitoria del carattere generale della
> : legge (non retroattiva salvo i casi previsit i specificatamente).
> : Nessun "dovere" discende da questa norma. Sono norme aventi funzioni
> : descrittiva.
>
> A parte la tua affezione per un'idea di norma che solo impone doveri, mai
> attribuisce diritti ;-) , questa di cui discorriamo pone dei doveri
precisi.
> La norma sulla irretroattività è un ottimo esempio di fonte sulla
> produzione: essa dice al legislatore come dovrà produrre le leggi future;
> essa prescrive, non già descrive (uno stato delle cose già esistente).
Alt. Scusa non ti seguo. La norma in esame non prescrive quanto dici.
Semplicemente descrive una situazione giuridicamente rilevante. Sono altre
le norme a cui la stessa rimanda per determinare le conseguenze del suo (o
dei suoi) assunto..
> Altra storia è che, con una fonte di rango pari o superiore, si possa
> disattendere questa prescrizione. Ti faccio qualche esempio classico di
> retroattività: necessariamente retroattive sono le leggi di amnistia e
> indulto; condono edilizio e tributario; è re-troattiva la norma penale più
> favorevole al reo; la decadenza dei d.l. non convertiti retroagisce, come
la
> inefficacia delle norme dichiarate incostituzionali; retroagiscono tutte
le
> norme transitorie di attuazione: essenziale alla norma giuridica non è
tanto
> di ordinare e vietare, quanto di valutare i comportamenti.
Certamente sono pienamente d'accordo con te. Io ragionavo sull'aspetto non
dispositivo di alcune "disposizioni" ( e qui coglievo la contraddizione
linguistica) quando si esaminano le stesse astraendole dal corpus
legislativo. Se una norma è descritiva ed altre norme derivano conseguenze
(doveri e diritti) da quella descrizione, la prima non ha valore (leggi
funzone) dispositivo mentre la seconda si. O sbaglio (è molto probabile ^_^)
?
> : Dalla definizione derivano gli obblighi che sono però
> : contenuti in altre norme. La legge è irretroattiva, quindi il "il
> : legislatore non può (obbligo negativamente definito) emanare norme
> : retroattive. LA conseguenza però non è contenuta nella "disposizione
> : "in esame. E' forse una sottigliezza ma mi apre rilevante. Non trovi?
>
> Non ho capito.
Spero di essermi spiegato sorpa, altrimenti, mi scuso già anticipatamente.
OMISSIS
> Caro Ser Giotto, ti ringrazio per avermi offerto la possibilità di
> rispolverare concetti e problemi che già vado dimenticando. Io mi arrendo,
> però.
>
> Ciao
>
> jacopo
Ti ringrazio anche io con sincerità.
Ciao
Sergio