Come "knowledge elicitation" che viene tradotto "elicitare conoscenza"
invece del corretto "elìcere conoscenza". No, non si dovrebbe usare in
italiano.
k
Padre, perché ce lo chiede?
Ci sollicita a usarlo?
Non ci sono già altri verbi che terminano in "-licitare"?
Espliciti le sue perplessità...
>IL verbo è di patente derivazione latina (intensivo di elìcere, NON di
>elicére!) ma credo sia un calco dall'inglese scientifico to elicit
>(eliciting a response, a behaviour and so on).
Anche "patente" è un verbo-sostantivo di derivazione latina, presente in
inglese ("patent") e con vari significati...
Il problema, a mio parere, è che richiama troppo l'aggettivo "lecito" e
questo, oltre a fare confusione e a portare fuori strada, potrebbe
"perplimere" i volenterosi che vorrebbero usarlo nel linguaggio comune...
Mi benedica.
Epimeteo
---
"... è assurdo pensare, ma è lecito farlo,
e son meno triste se almeno ti parlo
e invento momenti, abbracci e consigli,
immagino storie, le noie, gli abbagli..."
http://www.youtube.com/watch?v=S0LJHvcYO7g
(cit. offerta in licitazione)
però Treccani lo riporta
elicitare v. tr. [dal lat. elicitare, frequent. di elicere «tirare
fuori»] (io elìcito, ecc). – In psicologia, riferito a comportamenti o
condotte, stimolarli, ottenerli mediante domande o altri stimoli
peraltro riporta anche elicere
elìcere v. tr. [dal lat. elicĕre, comp. di e-1 e lacĕre «attirare»],
letter. – Estrarre, far uscire; è adoperato quasi esclusivam.
nell’infinito e nella forma elìce dell’indic. pres.: Questo finto dolor
da molti elice Lagrime vere (T. Tasso); Quindi [= di qui] l’alma
rettrice Somma virtude elice (Parini); bene altri pianti doveano ben
presto e. dagli occhi della figlia di Maria Teresa i destini (Carducci).
> però Treccani lo riporta
> elicitare v. tr. [dal lat. elicitare, frequent. di elicere «tirare
> fuori»] (io elicito, ecc). - In psicologia, riferito a comportamenti
> o condotte, stimolarli, ottenerli mediante domande o altri stimoli
>
> peraltro riporta anche elicere
> elìcere v. tr. [dal lat. elicere, comp. di e- e lacere
> «attirare»], letter. Estrarre, far uscire; è adoperato quasi
> esclusivam. nell'infinito e nella forma elice dell'indic. pres.:
> Questo finto dolor da molti elice /Lagrime vere (T. Tasso); Quindi [= di
> qui] l'alma rettrice/ Somma virtude elice (Parini); bene altri pianti
Anche in ingegneria del software (!)
-- bb
Si usa pure in linguistica, specie in linguistica acquisizionale e
glottodidattica.
-----
Elicitazione
Tecnica didattica che consiste nell'estrarre, attraverso domande,
suggerimenti, brainstorming [>], ecc. informazioni o frammenti di
informazioni che i vari allievi posseggono ma che, essendo distribuiti
in maniera casuale ed incompleta nella classe, non appaiono
significativi se non dopo che, elicitandoli, l'insegnanti di collega tra
di loro.
Il ruolo di questa tecnica è fondamentale per il processo di
anticipazione [>], cioè per l'attività iniziale del processo di
comprensione [>]: attraverso l'elicitazione, infatti, l'insegnante
riesce a rendere consapevoli gli studenti di quello che già sanno e su
cui possono innestare il nuovo input [>].
Fonte: http://venus.unive.it/italslab/nozion/noze.htm
-----
Dal latino "elicitare"???
Perché non riportano anche qualche citazione per "elicitare"? Forse
perché ne hanno trovate solo per elicere?
Mi rendo conto che dall' "elicitazione" di Fiorelisa al verbo
"elicitare" il passo sia breve, e che sia meglio dire "io elicito" che
non "io elicio", tanto più se era usato solo alla terza persona, ma
trovo poco serio per un così importante dizionario non dire da quando la
nuova forma è attestata.
k
> Dal latino "elicitare"???
esiste come intensivo (o frequentativo) di elicio, èlicis, elicui,
elìcitum, elicere. Che a sua volta deriva da e- e lacio.
Sarà, tuttavia il Treccani cartaceo del 1978, come tutti gli altri che
ho consultato, non riporta "elicitare" in italiano.
k
> Sarà, tuttavia il Treccani cartaceo del 1978, come tutti gli altri che
> ho consultato, non riporta "elicitare" in italiano.
Infatti il post iniziale lo avevo scritto perché, fino a una certa data,
"elicit" lo trovavo nelle pubblicazioni in lingua inglese, ma non avevo
mai sentito niente di simile in italiano. Imho si tratta di un calco
dall'inglese, più che di una diretta derivazione dal latino
Per i calchi dall'inglese, parliamo di "implementare"? :-/
E va bene che deriva dal latino, ma resta orribile :-(
--
Massimo Bacilieri AKA Crononauta
Skype: crononauta <massimo....@gmail.com>
Facebook: Massimo Bacilieri
> Per i calchi dall'inglese, parliamo di "implementare"? :-/
> E va bene che deriva dal latino, ma resta orribile :-(
mi fa pensare a certi prof dell'università che "implementavano" i
termini inglesi in italiano con disinvoltura: il primero, il templato,
il frammo, il blotto...
Il guaio è che la nostra lingua, nel campo delle scienze (in senso lato,
comprese quelle sociali e storiche) è rimasta molto indietro, diciamo a
Benedetto Croce.
> Imho si tratta di un calco
> dall'inglese, più che di una diretta derivazione dal latino
Personalmente non trovo sbagliate queste triangolazioni latino ->
inglese -> italiano, se il significato del termine rimane grosso modo
costante nei vari passaggi. Un altro esempio che mi viene in mente è
quello dell'uso di "consistente" nell'accezione di "coerente", che è con
tutta probabilità un calco dell'inglese "consistent". Casi come questo e
quello di elicitare mi sembrano legittimi, perché il significato con cui
sono usati in italiano è in accordo col significato originario del
termine latino. I casi da rifiutare sono quelli in cui il significato
originario sia andato perso durante la "permanenza" del termine nella
Perfida Albione e l'introduzione tal quale in italiano produrrebbe dei
termini privi di senso. Il primo esempio che mi viene in mente è quello
di digital -> digitale, con l'aggravante in questo caso che il termine
digitale esisteva già in italiano, ma con tutt'altro significato.
--
Questa, signori miei, è porno-anarchia...
> Personalmente non trovo sbagliate queste triangolazioni latino ->
> inglese -> italiano, se il significato del termine rimane grosso modo
> costante nei vari passaggi. Un altro esempio che mi viene in mente è
> quello dell'uso di "consistente" nell'accezione di "coerente", che è con
> tutta probabilità un calco dell'inglese "consistent".(...)
I casi da rifiutare sono quelli in cui il significato
> originario sia andato perso (...)
Il primo esempio che mi viene in mente è quello
> di digital -> digitale, con l'aggravante in questo caso che il termine
> digitale esisteva già in italiano, ma con tutt'altro significato.
Anche "consistente" esiste in italiano, con un significato diverso,
sviluppatosi nel corso del millennio e mezzo che ci separa dalla fine
dell'età classica. Consistente in italiano significa "che è saldo,
solido": una consistente maggioranza. In matematica si usa un
significato simile a quello inglese (insieme consistente).
In latino consisto significa stare in piedi, collocarsi, fermarsi
(geluque/ flumina constiterint acuto Hor.), stabilirsi in un luogo,
essere composto di e infine accordarsi con.
In inglese il significato prevalente è diventato coerente, che viene
sempre dal latino cohaerens, unito, coerente, da haereo, stare fisso.
Significati correlati, non uguali.
> Anche "consistente" esiste in italiano, con un significato diverso,
> sviluppatosi nel corso del millennio e mezzo che ci separa dalla fine
> dell'età classica. Consistente in italiano significa "che è saldo,
> solido": una consistente maggioranza. In matematica si usa un
> significato simile a quello inglese (insieme consistente).
Esatto. Ed è in questo ambito (quello logico-matematico) che è avvenuto
il calco, credo...
> In latino consisto significa stare in piedi, collocarsi, fermarsi
> (geluque/ flumina constiterint acuto Hor.), stabilirsi in un luogo,
> essere composto di e infine accordarsi con.
> In inglese il significato prevalente è diventato coerente, che viene
> sempre dal latino cohaerens, unito, coerente, da haereo, stare fisso.
> Significati correlati, non uguali.
Non dicevo che dovessero essere uguali, ma che l'uso attuale in italiano
fosse compatibile col significato originario del termine. Con-sistere
significa "stare insieme". Definire un sistema logico "consistente",
vuol dire che le sue proposizioni non sono in contraddizione l'una con
l'altra, quindi possono stare insieme. In casi del genere, mi sembra un
termine più appropriato di "coerente", che pure andrebbe bene, perché
coerente ha un area di significati più ampia, mentre consistente mi
sembra più specifico.
Di converso, mi viene in mente che in Geologia si parla spesso di
"terreni incoerenti", ad indicare appunto terreni di scarsa consistenza.
Quindi c'è un nesso evidente tra l'accezione "logica" e quella
"concreta" dei termini consistente-coerente.
> Definire un sistema logico "consistente",
> vuol dire che le sue proposizioni non sono in contraddizione l'una con
> l'altra, quindi possono stare insieme. In casi del genere, mi sembra un
> termine più appropriato di "coerente", che pure andrebbe bene, perché
> coerente ha un area di significati più ampia, mentre consistente mi
> sembra più specifico.
Ho trovato questo post nel forum dell'Accademia della Crusca, in cui il
prof. Teo Orlando esprime molto meglio di me e con più "autorità" quanto
avevo scritto sopra. Credo che molti degli argomenti addotti possano
applicarsi anche a "elicitare" e ad altri casi analoghi.
<http://forum.accademiadellacrusca.it/forum_12/interventi/5326.shtml>
«Coerente
Devo dire che non sono persuaso dalle argomentazioni di Infarinato (che
pure si distingue di solito per l'estrema pertinenza ed accuratezza dei
suoi interventi e che mi sembra sia anche uno studioso di fisica e
matematica) a proposito dei termini consistente e autoconsistente. Sul
fatto che gli altri anglicismi da lui citati siano discutibili posso
essere d'accordo (mu e nu al posto di mi e ni e fare senso al posto di
avere senso), ma per quanto riguarda consistente e autoconsistente in un
senso affine a quello di coerente, io ritengo che si tratti di prestiti
linguistici perfettamente leciti e conformi alle strutture lessicali,
morfologiche e semantiche dell'italiano. Di solito le argomentazioni di
sapore puristico già persuadono poco dal punto di vista scientifico, ma
almeno che siano conformi ai precetti della glottotecnica di Migliorini,
che prescrivevano l'accettabilità dei cosiddetti forestierismi quando si
adattavano adeguatamente alle strutture dell'italiano. Da questo punto
di vista, espressioni come quelle di Giulia Tonelli («si tratta di un
termine non italiano, orrendo, inutilmente ricalcato sull'inglese e
sostituibile da 'coerente'») appartengono piuttosto al cosiddetto
"purismo ingenuo e sentimentale", come l'aveva definito un grande
linguista, che a un minimo di considerazione scientifica dei fenomeni
linguistici. Innanzitutto va rilevato che è vero che in qualche maniera
il significato tecnico di consistente e del sostantivo consistenza in
logica è mutuato dal corrispondente inglese (e lo stesso è accaduto con
il francese consistant e consistance), ma bisogna anche osservare che
già in latino il verbo consistere e il participio presente consistens
avevano il significato di "stare saldo", "essere solido, ben fondato",
anche metaforicamente (così in dizionari che vanno dal
Badellino-Calonghi al Conte-Pianezzola, fino al Forcellini e al Lewis &
Short). Inoltre, nel latino medievale e moderno consistens e il
sostantivo consistentia si riferivano anche, in fisica, a fenomeni di
coesione, stretta coerenza fisica tra le parti (così si trovano definiti
in lessici come quello di Rudolf Goclenius - Lexicon philosophicum, quo
tanquam clave philosophiae fores aperiuntur, Informatum opera studio
Rodolphi Goclenii, Francoforti, 1613, o nella Confessio naturae contra
atheistas del grande Leibniz. Cfr. http://www.ac-nancy-metz.fr/enseign/
philo/textesph/Confessio_naturae.rtf ): da qui la trasposizione anche
alla logica e alla matematica. Il fatto è che nel latino medioevale e
moderno si trovano spesso occorrenze di termini che hanno subito
slittamenti semantici anche grazie a scambi terminologici continui tra
le varie discipline scientifiche, che poi si sono trasferiti alle lingue
moderne (soprattutto in una lingua così "avida" di calchi semantici e
lessicali come l'inglese). Perfino Alessandro Manzoni usa il sostantivo
consistenza in un senso analogo, ossia di ben fondatezza (e da lì alla
coerenza il passo è breve). Ecco il passo: «Questo miglioramento
parziale, se si può chiamar così, lungi dal dar consistenza al sistema,
non può altro che farne risaltar più vivamente la contradizione
intrinseca e incurabile». (Osservazioni sulla morale cattolica,
Appendice al capitolo III. Cfr.
http://www.classicitaliani.it/manzoni/Osservazioni05.html ). Ciò mi fa
venire in mente un altro caso, quando riuscii a dimostrare a chi
obiettava che "falsificare" nel senso di "confutare, rendere invalida
(una teoria)" fosse un anglicismo che si trattava in realtà di un
significato già presente in Dante! Cfr. Divina Commedia, Paradiso, II,
81-84: "Questo non è: però è da vedere/ de l'altro; e s'elli avviench'io
l'altro cassi/, falsificato fia lo tuo parere". In ogni caso, quando si
tratta di termini tecnici della filosofia o delle scienze, le
considerazioni relative alla necessità di avere più termini sinonimi, ma
non esattamente equiestensionali, devono avere il sopravvento rispetto a
quelle puristiche. Spesso infatti è necessario usare termini affini ma
che hanno sfumature di significato diverse. E in logica consistente è
senz'altro sinonimo di coerente, ma rispetto a quest'ultimo ha un
significato più ristretto e specifico, nel senso che si riferisce quasi
esclusivamente alla non-contradditorietà di un sistema formale. Del
resto consistenza viene definito come lemma a sé anche nella terza
edizione del Dizionario di filosofia Abbagnano-Fornero (Torino, Utet,
1999): "In logica, un insieme S di enunciati (un sistema formale) è
detto consistente se e solo se non esiste un enunciato p tale che da S
(dal sistema formale) si dimostra sia p sia non-p. L'insieme S (il
sistema formale), cioè, è consistente se e solo se è esente da
contraddizione. Questa nozione di consistenza ha carattere sintattico.
Un dato insieme S di enunciati (un sistema formale) è detto
semanticamente consistente se e solo se ammette un modello (v. VERITÀ)
Gödel (1930) ha mostrato l'equivalenza delle due nozioni di
consistenza)" (voce di Massimo Mugnai). Lo usano poi tutti i logici,
anche in opere divulgative o semi-divulgative (ad es. Piergiorgio
Odifreddi, Il diavolo in cattedra. La logica da Aristotele a Gödel,
Torino, Einaudi, 2003; idem, Divertimento geometrico. Le origini
geometriche della logica da Euclide a Hilbert, Torino, Bollati
Boringhieri, 2004; idem, Le menzogne di Ulisse. L'avventura della logica
da Parmenide ad Amartya Sen, Milano, Longanesi, 2004). Anche i termini
antonimi inconsistente e inconsistenza vengono definiti nel loro
significato in logica matematica sia nel Devoto-Oli (prima ancora della
mia revisione: "inconsistenza: in matematica, contraddittorietà di un
sistema di postulati"), sia nel De Mauro (mentre lo Zingarelli si
limita, nell'edizione 2001, a definire consistente e consistenza,
avvertendo che l'uso in logica matematica è un calco sull'inglese
consistent. Esiste poi un altro derivato, paraconsistente, ossia
"relativo a logiche che fanno parzialmente a meno del principio di
non-contraddizione", che io stesso ho introdotto e definito nei
Dizionari Zingarelli e Devoto-Oli (e presente anche nel De Mauro) e che
non vedo come si potrebbe sostituire. Prof. Teo Orlando - dottore di
ricerca in filosofia - Liceo classico statale "Dante Alighieri", via
Ennio Quirino Visconti 13 - 00192 - Roma.
Autore : Teo - Email : teo.orlando@***.it
Inviato il : 17/09/2004 alle 18.38.09»
> Per i calchi dall'inglese, parliamo di "implementare"? :-/ E va bene che
> deriva dal latino, ma resta orribile :-(
Che suggeriresti al suo posto?
> mi fa pensare a certi prof dell'università che "implementavano" i
> termini inglesi in italiano con disinvoltura: il primero, il templato,
> il frammo, il blotto...
Avevo sentito perfino "la targhetta" (target), ma queste lo superano di
gran lunga...
> Il guaio è che la nostra lingua, nel campo delle scienze (in senso lato,
> comprese quelle sociali e storiche) è rimasta molto indietro, diciamo a
> Benedetto Croce.
Un po' è anche che la gente non si scomoda a prendere un dizionario per
trovare una traduzione decente. Se becco chi per primo ha tradotto
"string theory" con "teoria delle stringhe" gli metto un paio di mi
cantini per chitarra elettrica da .008" al posto dei lacci per le
scarpe...
> Un po' è anche che la gente non si scomoda a prendere un dizionario per
> trovare una traduzione decente. Se becco chi per primo ha tradotto
> "string theory" con "teoria delle stringhe" gli metto un paio di mi
> cantini per chitarra elettrica da .008" al posto dei lacci per le
> scarpe...
quotolo
(Intendo nell'accezione di "implementare un algoritmo in un dato
linguaggio di programmazione"; nel 99% degli altri sensi trovo
un'alternativa, anche il banale "mettere in pratica", ma in questo non me
ne suona bene nessuna.)
> «Coerente
> Devo dire che non sono persuaso dalle argomentazioni di Infarinato (che
> pure si distingue di solito per l'estrema pertinenza ed accuratezza dei
> suoi interventi e che mi sembra sia anche uno studioso di fisica e
> matematica) a proposito dei termini consistente e autoconsistente. Sul
> fatto che gli altri anglicismi da lui citati siano discutibili posso
> essere d'accordo (mu e nu al posto di mi e ni e fare senso al posto di
> avere senso), ma per quanto riguarda consistente e autoconsistente in un
"mu" e "nu" li uso anch'io ("mi" e "ni" mi suonerebbero ridicolamente
pignoli), "fare senso" no (anche perché mi ricorda un altro significato
dell'espressione).
> obiettava che "falsificare" nel senso di "confutare, rendere invalida
> (una teoria)" fosse un anglicismo che si trattava in realtà di un
> significato già presente in Dante! Cfr. Divina Commedia, Paradiso, II,
> 81-84: "Questo non è: però è da vedere/ de l'altro; e s'elli avviench'io
> l'altro cassi/, falsificato fia lo tuo parere".
Buono a sapersi! Non ho mai pensato fosse un anglicismo (anche se
parlando a qualcuno che non ha passato almeno un anno in un'università
direi "smentire" o, se ciò può essere ambiguo, "dimostrare falsa").
> ... E in logica consistente è
> senz'altro sinonimo di coerente, ma rispetto a quest'ultimo ha un
> significato più ristretto e specifico, nel senso che si riferisce quasi
> esclusivamente alla non-contradditorietà di un sistema formale.
Mentre "coerente" si riferisce anche a...?
> "mu" e "nu" li uso anch'io ("mi" e "ni" mi suonerebbero ridicolamente
> pignoli),
perché? Guarda, dubito che mu e nu, con la u di Ugo, siano mai esistiti
(al massimo, mü e nü)
In greco moderno la pronuncia è sicuramente mi e ni.
> Il 16/03/2010 17.58, Army1987 ha scritto:
>
>> "mu" e "nu" li uso anch'io ("mi" e "ni" mi suonerebbero ridicolamente
>> pignoli),
>
> perché? Guarda, dubito che mu e nu, con la u di Ugo, siano mai esistiti
> (al massimo, mü e nü)
> In greco moderno la pronuncia è sicuramente mi e ni.
Se sto parlando in italiano moderno che me ne frega, del greco?
(E scommetterei che quell'/y/ in greco classico derivi da un /u/
precedente: è successo in francese, sta succedendo in inglese, e /i i: y
y: e e: E: o o: O: a a:/ mi pare abbastanza bizzarro come sistema
fonologico. Se ciò fosse successo prima o dopo dell'introduzione
dell'alfabeto e/o che quelle due lettere venissero chiamate in quel
modo...)
> Se sto parlando in italiano moderno che me ne frega, del greco?
allora inutile scomodare l'alfabeto greco: ci sono emme, enne.
> (E scommetterei che quell'/y/ in greco classico derivi da un /u/
A me, al liceo, hanno insegnato mi, ni, e avranno avuto le loro buone
ragioni. Per esempio, le successive lettere hanno la -i: xi, pi, fi,
chi, psi.
La upsilon, che secondo le regole che ci hanno insegnato a scuola (in
buona parte quelle stabilite da Erasmo, quello della follia) si dovrebbe
leggere ü, o jù per le professoresse meridionali.
In greco moderno si chiama ipsilon e si legge come la nostra i.
Quindi mi, ni.
E allora perché la mia professoressa di fisica in 1ª superiore
diceva mu e nu?
Mi ricordo anche che mi corresse un "rho" che avevo scritto
dicendomi che la lettera greca non era la città vicino a
Milano.
--
"In politica, la rivoluzione è un cambiamento improvviso di
malgoverno."
-- Ambrose Bierce
> E allora perché la mia professoressa di fisica in 1ª superiore
> diceva mu e nu?
Forse aveva fatto lo scientifico (e voleva sentirsi figa)
> Il 16/03/2010 21.27, Army1987 ha scritto:
>
>> Se sto parlando in italiano moderno che me ne frega, del greco?
>
> allora inutile scomodare l'alfabeto greco: ci sono emme, enne.
Seee... pensi che 26 simboli bastino a un fisico? Una volta in una crisi
di panico in cui avevo già usato l e lambda scomodai addirittura il
cirillico!
> Il 16/03/2010 23.40, ADPUF ha scritto:
>
>> E allora perché la mia professoressa di fisica in 1ª superiore diceva
>> mu e nu?
>
> Forse aveva fatto lo scientifico (e voleva sentirsi figa)
In effetti un mio professore una volta disse che forse il motivo per cui
i fisici pronunciano "mu" e "nu" era che Fermi non aveva fatto il
classico...
Be', se li peschi da altre lingue, sincerati della pronuncia.
Non vorrai dire ìcchisi come un prof di matematica che conosco.
> In effetti un mio professore una volta disse che forse il motivo per cui
> i fisici pronunciano "mu" e "nu" era che Fermi non aveva fatto il
> classico...
possibile
O forse perché gli americani e gli inglesi dicono mu e nu.
Ciao
Enrico
>> In effetti un mio professore una volta disse che forse il motivo per
>> cui i fisici pronunciano "mu" e "nu" era che Fermi non aveva fatto il
>> classico...
>
> O forse perché gli americani e gli inglesi dicono mu e nu.
Gli americani sì, gli inglesi dicono miù e niù (se per "dicono"
intendiamo "pronunciano"). E questo è un motivo del tutto plausibile. Se
per scriverle in TeX devo scrivere \mu, \nu, in HTML μ e ν, c'è una
particella che si chiama "muone" da "muon", ecc... non mi salterà mai in
mente di dire "mi" e "ni".
> Il 17/03/2010 16.38, Army1987 ha scritto:
>> pensi che 26 simboli bastino a un fisico? Una volta in una crisi di
>> panico in cui avevo già usato l e lambda scomodai addirittura il
>> cirillico!
>
> Be', se li peschi da altre lingue, sincerati della pronuncia. Non vorrai
> dire ìcchisi come un prof di matematica che conosco.
Meglio del mio prof di analisi polacco che chiamava la V "fau".
> Meglio del mio prof di analisi polacco che chiamava la V "fau".
be', uno di lingua spagnola chiamerebbe la j /hhota/ (jota)
> Il 17/03/2010 20.48, Army1987 ha scritto:
>
>> Meglio del mio prof di analisi polacco che chiamava la V "fau".
>
> be', uno di lingua spagnola chiamerebbe la j /hhota/ (jota)
E un altro prof d'analisi la chiamava "iota" (e data la sua grafia, ci
misi un po' per capire che non intendeva la lettera greca).
Diverse interpretazioni dell'esito della "upsilon"; poi condite con
una diversa resa del dittongo che si scrive spesso "ew": in British
English è più "iu:", in American English è "u:" come in Nu: Yo(r)k.
Di solito dico "mi" e "ni", se parlo in italiano. Ma "omèga" proprio
non riesco a dirlo. :) Chiedo l'assoluzione al Reverendo Padre, ben
sapendo che non me la darà mai.
Ciao
Enrico
> On Wed, 17 Mar 2010 16:50:43 +0100, FatherMcKenzie wrote:
>
> > Il 17/03/2010 16.38, Army1987 ha scritto:
> >> pensi che 26 simboli bastino a un fisico? Una volta in una crisi di
> >> panico in cui avevo giĂ usato l e lambda scomodai addirittura il
> >> cirillico!
> >
> > Be', se li peschi da altre lingue, sincerati della pronuncia. Non vorrai
> > dire ěcchisi come un prof di matematica che conosco.
>
> Meglio del mio prof di analisi polacco che chiamava la V "fau".
In polacco la "v" non c'č, quindi si abituano al nome in tedesco;
forse č proprio il nome che le danno, ma non ho prove.
Ciao
Enrico
Se l'avesse fatto... un Nobel in meno?
--
"Large increases in cost with questionable increases in
performance can be tolerated only in race horses and women."
-- Lord Kelvin
E i francesi?
E i tedeschi?
--
"People were running all over the place, the boys in shorts &
the girls in hysterics."
-- Exam howlers as noted by Eric W. N. Smith
> Enrico Gregorio, 18:38, mercoledě 17 marzo 2010:
> > O forse perché gli americani e gli inglesi dicono mu e nu.
>
> E i francesi?
> E i tedeschi?
Boh.
Ciao
Enrico
Lo vedi che succede a trascurare lo studio delle scienze?
Altro che liceo classico...
--
"We drive into the future using only our rearview mirror."
-- Marshall McLuhan
Se non sbaglio dovrebbe nomarsi "jod".
--
"All men are mortal. Socrates was mortal. Therefore, all men
are Socrates."
-- Woody Allen
Beh, non č casuale che i polacchi usano W esattamente come i
tedeschi, a differenza degli altri popoli slavi che usano la V.
I matematici usano anche lettere ebraiche, come l'aleph con zero
dell'infinito numerabile.
--
"Most of the time I don't have much fun. The rest of the time I
don't have any fun at all."
-- Woody Allen
> FatherMcKenzie, 16:51, mercoledě 17 marzo 2010:
> > Il 17/03/2010 16.40, Army1987 ha scritto:
> >
> >> In effetti un mio professore una volta disse che forse il
> >> motivo per cui i fisici pronunciano "mu" e "nu" era che Fermi
> >> non aveva fatto il classico...
> >
> > possibile
>
>
> Se l'avesse fatto... un Nobel in meno?
Secondo il sito del liceo, Fermi frequentň il Liceo-Ginnasio "Umberto
Primo", ora "Pilo Albertelli".
http://www.piloalbertelli.it/prova/scuola_storia.asp
Ciao
Enrico
> I matematici usano anche lettere ebraiche, come l'aleph con zero
> dell'infinito numerabile.
Anche "bet", "gimel" e "dalet"
<http://en.wikipedia.org/wiki/Bet_(letter)>
<http://en.wikipedia.org/wiki/Gimel_function>
<http://reference.wolfram.com/mathematica/ref/character/Dalet.html>
Ciao
Enrico
> O forse perché gli americani e gli inglesi dicono mu e nu.
Mi pare che Wikipedia non dica esattamente questo
http://en.wikipedia.org/wiki/English_pronunciation_of_Greek_letters
e Merriam-Webster dà sia "mu" che "miù"
http://www.merriam-webster.com/dictionary/mu
Esiste invece un'attrice francese che ha come nome d'arte "Miou-Miou", ma
pare che si tratti di un nome dell'amore, verosimilmente legato a qualche
"gattina" e forse equivalente al nostro "Micia"...
Epi
---
"... Pussycat, Pussycat,
I love you,
yes, I do!
You and your pussycat nose..."
http://www.youtube.com/watch?v=VBdSqk78nHw
(cit. felina)
Forse "mu" (non "mou") e "mü".
--
"She worked herself up into an inarticulate comma."
> Forse "mu" (non "mou") e "mü".
abbiamo francesi e tedeschi qui, ma sarebbe interessante conoscere il
parere di qualche studioso (di greco e di fisica).
In ogni caso non è che l'italiano debba tenere conto di quello che fanno
inglesi e tedeschi.
> Il 18/03/2010 23.54, ADPUF ha scritto:
>
>> Forse "mu" (non "mou") e "mü".
Vabbé, i tedeschi (che io sappia) usano quel suono anche per la y di
Psychologie, che è diventata una vocale non-arrotondata in tutte le altre
lingue moderne di cui sappia qualcosa.
> abbiamo francesi e tedeschi qui, ma sarebbe interessante conoscere il
> parere di qualche studioso (di greco e di fisica).
Come studioso di fisica posso dire che qui dicono tutti "mu", e che anche
quelli che venendo dal classico erano abituati a dire "mi" hanno finito
per ri-abituarsi.