Il 14/12/2013 18:49, Mad Prof ha scritto:
> Qui trovi le considerazioni dell'autore in proposito:
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http://www.intratext.com/ixt/ita1554/_P1.HTM>
Interessante questa nota (la pronuncia di "c" in romanesco e in fiorentino)
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Appresso però alle isolate vocali a, e, o, e a tutti i monosillabi che
non sieno articoli o segnacasi, la e conserva bensì il suono grasso ai
luoghi già detti, ma abbandona lo strascico; per esempio a cena, è
civico, o cento. Si osserva in ciò la legge stessa che impera sulla c
aspirata de’ fiorentini, i quali dicono la hasa, di hane, sette havalli,
belle hamere, ecc., ed al contrario pronunziano bene e rotondamente a
casa, è cane, o cose, che cavalli, più camere. Come dunque i fiorentini
diranno la hasa, di hane, le hose (la casa, di cane, le cose) così i
romaneschi diranno la scena, de scivico, li scento (la cena, di civico,
i cento); e all’opposto per lo stesso motivo che farà pronunziare da’
fiorentini a casa, è cane, o cose, si udrà proferire a’ romaneschi a
ccena, è ccivico, o ccento: imperocché in quelle isolate vocali a, e, o
e ne’ monosillabi tutti (meno gli articoli, i segnacasi, di e da, e le
particelle pronominali) sta latente una potenza accentuale che
obbligando ad appoggiare con vigore sulla c iniziale de’ seguenti
vocaboli, la esalta, la raddoppia, e per conseguenza n’esclude ogni
possibilità di aspirazione come se fosse preceduta da consonante. La
quale identità di casi offre uno benché lieve esempio di ciò che talora
anche le lingue più diverse ritengono fra loro comune e inconvenzionale:
la ragione di che deve cercarsi nella natura e necessità delle cose."
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