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"Che bello!"

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edevils

unread,
Jul 18, 2015, 3:47:10 AM7/18/15
to
è un errore?

Così pare sostenere un blog linguistico.

===
http://errorieparole.blogspot.it/2015/07/occapito-non-ce-bisogno-di-studiare.html
...
Sappiamo che la maggior parte dei parlanti dice e scrive che bello!, però
dovremmo pure sapere che si tratta di un errore. Qual che messo lì, a precedere
l'aggettivo, svolge una funzione impropria: dovrebbe fungere da aggettivo
esclamativo, ma è impedito dall'altro aggettivo. È corretto scrivere quant'è
bello! Se, invece, vogliamo usare proprio il che, dobbiamo farlo seguire da un
sostantivo: che noia! o che bellezza! Niente paura! Il registro colloquiale non
deve generare tali preoccupazioni. È importante che si stia attenti a certe
forme, quando si scrive o si tiene una conferenza.
...
===

Davide Pioggia

unread,
Jul 18, 2015, 5:10:39 AM7/18/15
to
edevils ha scritto:

> è un errore?
> Così pare sostenere un blog linguistico.

"che" sta per "quale", per cui la costruzione più facile da analizzare
è quella in cui è seguito da un sostantivo: "che uomo!", come a dire
"quale uomo!".

Se il sostantivo non c'è, è semplicemente sottinteso dal contesto.
"che bello!": se lo dice una signora davanti a un uomo (oppure se il
contesto chiarisce che la signora sta parlando di un uomo) sta per
"che bell'uomo!".

> Niente paura! Il registro colloquiale non deve generare tali
> preoccupazioni. È importante che si stia attenti a certe forme, quando si
> scrive o si tiene una conferenza.

La mia avversione per la grammatica normativa mi induce a ribaltare
il punto di vista. La gente respirava anche prima che i chimici scoprissero
l'ossigeno, e parlava molto prima che comparissero i grammatici. Il nostro
apparato linguistico sa distinguere le categorie grammaticali, e noi
arriviamo a posteriori a spiegare come funziona il linguaggio.

Ora, se io comincio ad analizzare la lingua italiana e mi rendo conto che
"che" funge (fra le varie cose) da aggettivo interrogativo e esclamativo,
quando lo vedo usare con un altro aggettivo non dico che "è sbagliato",
ma cerco di capire come fa l'apparato linguistico a ottenere quella
costruzione, e dopo un po' capisco che ci dev'essere un sostantivo
sottinteso dal contesto.

Sarebbe come se un chimico, entusiasta per avere appena scoperto l'ossigeno,
cominciasse a dire che c'è una parte della popolazione che non respira come
dovrebbe perché quel tipo di respirazione non si inquadra in ciò che egli ha
già capito dell'ossigenazione del sangue. Siccome la gente respira da
milioni di anni, è lui che deve studiare meglio: evidentemente certi
fenomeni un po' più complicati non li ha ancora compresi.

Invece impera Procuste: se la realtà non si inquadra nelle mie teorie è la
realtà che deve cambiare.

A questo punto uno potrebbe dirmi: «Ma allora Pioggia per te va tutto bene,
e gli insegnanti non dovrebbero mai correggere i loro allievi?».

Io non escludo che la grammatica normativa abbia una funzione, ma è una
funzione esclusivamente sociolinguistica. Sono le norme che regolano i
processi di inclusione ed esclusione sociale basati sul linguaggio.
Quando ero piccolo ci avevano insegnato che era un errore grave scrivere
"sé stesso" e "famigliare", mentre oggi queste assurdità sono superate.
Un mio coetaneo che è cresciuto in una grande città mi diceva che a lui il
veto su "sé stesso" il maestro non lo pose in modo categorico, per cui non
sono sicuro che sia solo una questione generazionale. Comunque sia,
nel paesino in cui sono cresciuto io le persone colte non scrivevano
"sé stesso", e chi lo scriveva passava da ignorante, per cui andava
stigmatizzato come "errore". Ma era appunto una questione sociale.
Io spero che fra qualche anno in Italia venga sdoganato definitivamente
"qual'è" (che secondo me, per varie ragioni che ora non sto a spiegare, è
più sensato di "qual è"), ma fino ad allora sappiamo benissimo che chi
scriva "qual'è" passa da ignorante, e se sta facendo un concorso pubblico
rischia di essere escluso anche per ragioni come questa. E così torniamo
alla faccenda dell'inclusione e dell'esclusione sociale.

Qualche giorno fa mi sono trovato a leggere una ricerca fatta da un ragazzo
giovane e molto intelligente, che però non è cresciuto in una famiglia
borghese, per cui si firma scrivendo il cognome prima del nome. Non gli ho
detto che "è sbagliato", ma non potevo nemmeno lasciare che si esponesse
alle fauci di coloro che l'avrebbero certamente irriso, per cui gli ho
illustrato la faccenda da un punto di vista puramente sociolinguistico,
spiegandogli che chi ha avuto una certa formazione culturale usa segni come
quello per sapere chi sei e da dove vieni. Questa cosa peraltro l'ha
appassionato parecchio, e credo che non si dimenticherà mai più la mia
spiegazione, mentre se gli avessi detto semplicemente che "è sbagliato"
forse se lo sarebbe dimenticato subito dopo (anzi, ora ricordo che quando
gliel'ho fatto notare gli è venuto in mente che anche altri in precedenza
gli avevano detto che "era sbagliato", ma non aveva capito perché,
e così gli era sfuggito).

Quindi non è nemmeno il caso di parlare di grammatica descrittiva e
normativa.

La cosiddetta "grammatica descittiva" è semplicemente l'atteggiamento
scientifico applicato al linguaggio: c'è la realtà dei fatti e poi ci sono
le nostre teorie che cercando di spiegarla, e quando le nostre teorie non
spiegano si vede che ci sono ancora delle cose che non abbiamo capito,
per cui dobbiamo continuare a ragionarci su.

(A proposito di "su", è evidente che in italiano esistono la preposizione
atona "su" e l'avverbio tonico "sù", e io quando spiego la grammatica dei
dialetti romagnoli ho l'estrema necessità di distinguere chiaramente le due
particelle, per cui avrei bisogno di scrivere "su" e "sù", ma i grammatici
italiani hanno deciso che "sù" è una roba da ignorati, per cui mi tocca
stare attento).

Invece la cosiddetta "grammatica normativa" non è altro che la descrizione
delle norme sociolinguistiche di inclusione ed esclusione. Ora, se questa
descrizione avesse il coraggio di dichiararsi per quel che è, anch'essa
potrebbe ricondursi all'approccio scientifico, perché è certamente
importante sapere qual è la reazione dei vari ambienti socio-culturali
italiani di fronte a un "qual'è". E chi studia queste cose fornisce al mondo
una conoscenza che altrimenti esso non avrebbe.

Ma allora bisogna chiamarla col suo nome: sociolinguistica, non grammatica.
Altrimenti diventa un'operazione ideologica.

--
Saluti.
D.







Maurizio Pistone

unread,
Jul 18, 2015, 5:33:46 AM7/18/15
to
edevils <use_reply...@devils.com> wrote:

> Sappiamo che la maggior parte dei parlanti dice e scrive che bello!, però
> dovremmo pure sapere che si tratta di un errore

che cazzata!

--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it

Fathermckenzie

unread,
Jul 18, 2015, 7:35:30 AM7/18/15
to
Il 18/07/2015 11:10, Davide Pioggia ha scritto:
> Invece impera Procuste

il dio dei fabbricanti di letti

--
Et interrogabant eum turbae dicentes: “Quid ergo faciemus?”.
Respondens autem dicebat illis: “Qui habet duas tunicas,
det non habenti; et, qui habet escas, similiter faciat”.
(Ev. sec. Lucam 3,10-11)

Klaram

unread,
Jul 18, 2015, 7:42:35 AM7/18/15
to
Sembra che edevils abbia detto :

> Sappiamo che la maggior parte dei parlanti dice e scrive che bello!, però
> dovremmo pure sapere che si tratta di un errore. Qual che messo lì, a
> precedere l'aggettivo, svolge una funzione impropria: dovrebbe fungere da
> aggettivo esclamativo, ma è impedito dall'altro aggettivo. È corretto
> scrivere quant'è bello! Se, invece, vogliamo usare proprio il che, dobbiamo
> farlo seguire da un sostantivo: che noia! o che bellezza! Niente paura! Il
> registro colloquiale non deve generare tali preoccupazioni. È importante che
> si stia attenti a certe forme, quando si scrive o si tiene una conferenza

Quelle finesse! :-))

k

Fathermckenzie

unread,
Jul 18, 2015, 8:06:38 AM7/18/15
to
Il 18/07/2015 13:42, Klaram ha scritto:
> Quelle finesse! :-))

Mi fai tornare in mente un giornalaccio a fumetti di una quarantina
d'anni fa... una ragazza semidiscinta diceva al suo ganzo che la
spupazzava "Ah, quelle douceur!" e lui, imperturbabile: "Ma che dusèr e
dusèr, ajò voja ed ciaver" (non ho ancora capito quale dialetto fosse)

orpheus

unread,
Jul 18, 2015, 8:23:05 AM7/18/15
to
Fathermckenzie così disse:

> Il 18/07/2015 13:42, Klaram ha scritto:
> > Quelle finesse! :-))

> Mi fai tornare in mente un giornalaccio a fumetti di una quarantina
> d'anni fa... una ragazza semidiscinta diceva al suo ganzo che la
> spupazzava "Ah, quelle douceur!" e lui, imperturbabile: "Ma che dusèr
> e dusèr, ajò voja ed ciaver" (non ho ancora capito quale dialetto
> fosse)

parrebbe romagnolo

Bruno Campanini

unread,
Jul 18, 2015, 8:38:16 AM7/18/15
to
Fathermckenzie presented the following explanation :
> Il 18/07/2015 13:42, Klaram ha scritto:
>> Quelle finesse! :-))
>
> Mi fai tornare in mente un giornalaccio a fumetti di una quarantina d'anni
> fa... una ragazza semidiscinta diceva al suo ganzo che la spupazzava "Ah,
> quelle douceur!" e lui, imperturbabile: "Ma che dusèr e dusèr, ajò voja ed
> ciaver" (non ho ancora capito quale dialetto fosse)

Romagnolo, sottospecie ravennate|riminese
Non forlivese: noi diciamo "ad ciavé".

Bruno

Klaram

unread,
Jul 18, 2015, 8:54:58 AM7/18/15
to
Davide Pioggia ci ha detto :

> Io non escludo che la grammatica normativa abbia una funzione, ma è una
> funzione esclusivamente sociolinguistica. Sono le norme che regolano i
> processi di inclusione ed esclusione sociale basati sul linguaggio.

> Invece la cosiddetta "grammatica normativa" non è altro che la descrizione
> delle norme sociolinguistiche di inclusione ed esclusione. Ora, se questa
> descrizione avesse il coraggio di dichiararsi per quel che è, anch'essa
> potrebbe ricondursi all'approccio scientifico, perché è certamente
> importante sapere qual è la reazione dei vari ambienti socio-culturali
> italiani di fronte a un "qual'è". E chi studia queste cose fornisce al mondo
> una conoscenza che altrimenti esso non avrebbe.
>
> Ma allora bisogna chiamarla col suo nome: sociolinguistica, non grammatica.
> Altrimenti diventa un'operazione ideologica.

Scusa, ma a me sembra che sia tu a farne una questione eccessivamente
ideologica.
C'è stata, e c'è, sicuramente anche la discriminazione sociale tra chi
conosceva la grammatica e chi non la conosceva, o era totalmente
analfabeta, ma da questo a dire che le regole di grammatica di una
lingua scritta (e letteraria) come l'italiano, servono solo per
escludere, ce ne corre.

Un conto sono le lingue ancestrali solo parlate, spontanee, dove non
si può fare altro che registrare, descrivere e studiare, tutt'altra
cosa sono le lingue scritte e che hanno una storia.

Nel momento in cui una lingua viene scritta non è più spontanea. La
scrittura è una convenzione basata su regole, che per funzionare hanno
bisogno di essere condivise.

E queste regole, a parte alcuni eccessi cervellotici, che ci sono
anche stati, hanno un perché.
Se, per esempio, studi l'evoluzione della grafia del piemontese, che
dal Settecento in poi è stata stabilita a tavolino, vedi che i vari
rimaneggiamente hanno tutti una logica ben chiara, e hanno portato a
una delle grafie più precise tra le lingue romanze. Molto, molto più
dell'italiano. Il caos si ha quando qualcuno, non conoscendo le regole,
scrive come cavolo gli pare.

Probabilmente si arriverà a scrivere "qual'è", perché, per ignoranza
(ci tengo a sottolinearlo) sempre più persone lo scrivono con
l'apostrofo, ma "qual è" senza apostrofo non era un capriccio di
qualche grammatico barbogio, ma ha una sua ragione.

L'esempio che porti di scrivere prima il nome e poi il cognome, è una
regola di bon ton, più che di grammatica. Anche quest'ultimo serve solo
a escludere? Può essere, però tutte le civiltà hanno delle regole,
forse è meglio dire abitudini, diverse, per regolare i rapporti tra le
persone. Togliamo pure eccessi ed esasperazioni, ma qualche "regola" ci
vorrà pure anche lì.

Al mio paese c'era un vecchio fabbro bravissimo, che sapeva fare un
po' di tutto, e io mi fidavo ciecamente di lui per tante piccole
riparazioni.
Un giorno ha appeso un cartello su una fontana con scritto "Aqua non
potabile", che naturalmente è stato subito sostituito.
Lui mi ha installato, ad esempio, una pompa ad immersione nel pozzo che
va benissimo, cosa che io non avrei saputo fare, perché non so
assolutamente niente di queste tecniche, però lui non sa scrivere
correttamente in italiano.
Questo è un dato di fatto, che cosa c'entra l'esclusione?

Solo perché in passato la conoscenza della lingua è stata usata per gli
scopi che hai detto tu, oggi dovremmo accettare un cartello con scritto
"aqua"? Mi sembra eccessivo. :-)

k

Klaram

unread,
Jul 18, 2015, 9:02:41 AM7/18/15
to
Fathermckenzie scriveva il 18/07/2015 :
> Il 18/07/2015 13:42, Klaram ha scritto:
>> Quelle finesse! :-))
>
> Mi fai tornare in mente un giornalaccio a fumetti di una quarantina d'anni
> fa... una ragazza semidiscinta diceva al suo ganzo che la spupazzava "Ah,
> quelle douceur!" e lui, imperturbabile: "Ma che dusèr e dusèr, ajò voja ed
> ciaver" (non ho ancora capito quale dialetto fosse)

Sembra un misto di dialetti, ma chi parla non del Nord, perché bisogna
pronunciare la "eu" come se fosse una è, altrimenti non fa rima con
ciavèr. Al Nord eu si pronuncia ö. :-))

k

Maurizio Pistone

unread,
Jul 18, 2015, 9:28:46 AM7/18/15
to
Klaram <nos...@nospam.it> wrote:

> L'esempio che porti di scrivere prima il nome e poi il cognome, è una
> regola di bon ton, più che di grammatica

è l'uso universale di sempre delle lingue romanze, il cognome prima del
nome è una innovazione burocratica, tipica di chi concepisce le persone
solo come numeri in un elenco

probabilmente è stata generalizzata attraverso la vita militare, quando
si fa l'appello

Caputo Giuseppe!
Presente!
Cozzolino Mario!
Presente!
Daverio Andrea!
Presente!
Daverio Salvatore!
Presente!
...

edevils

unread,
Jul 18, 2015, 10:49:19 AM7/18/15
to
On Saturday, July 18, 2015 at 11:10:39 AM UTC+2, Davide Pioggia wrote:
...
> Io non escludo che la grammatica normativa abbia una funzione, ma è una
> funzione esclusivamente sociolinguistica. Sono le norme che regolano i
> processi di inclusione ed esclusione sociale basati sul linguaggio.
...

Quell'"esclusivamente" mi pare leggermente eccessivo.
Un insieme di regole è funzionale anche a una comunicazione chiara,
perché se io scrivo "s'ode", tu scrivi "sode" e un terzo scrive "tsode",
qualche misunderstanding potrebbe nascere.

Peraltro, l'esistenza di una "regola" non è strettamente necessaria
alle distinzioni sociolinguistiche.
Il romano "pariolino" è percepito come socialmente superiore al "borgataro"
non perché ci sia una norma a codificarlo, ma per l'identificazione
tra accenti e gruppi di parlanti.

Davide Pioggia

unread,
Jul 18, 2015, 11:53:23 AM7/18/15
to
Bruno Campanini ha scritto:

> Romagnolo, sottospecie ravennate|riminese
> Non forlivese: noi diciamo "ad ciavé".

Non è ravennate perché c'è "ed".
Non è riminese né cesenate perché c'è "ed" e la "r" nell'infinito.

Direi che è uno pseudo-emiliano (molto pseudo).

--
Saluti.
D.




Davide Pioggia

unread,
Jul 18, 2015, 12:16:16 PM7/18/15
to
Klaram ha scritto:

> Scusa, ma a me sembra che sia tu a farne una questione eccessivamente
> ideologica.

Allora prova a darmi una definizione di "regola grammaticale normativa".

Che cosa sono le "regole grammaticali"? Sono quelle regolarità che si
trovano quando si analizza una lingua? Allora, se ci sono delle regolarità
che vengono ricavate per astrazione dai fenomeni osservati, tutto ciò che
viene detto da una comunità di parlanti è "grammaticale", no?

Il giorno in cui un fighetto milanese ha detto per la prima volta "piuttosto
che" in senso disgiuntivo, già si sarebbe potuto scrivere un articoletto di
sociolinguistica. E quando altri fighetti l'hanno sentito e hanno avuto
l'impressione che fosse una figata, si sarebbe potuto allungare l'articolo
di un bel po'. E così via, finché farà la fine del vecchio "però", che
significava "perciò".

Anche di fronte a ciò che ti fa orrore, tu come scienziato puoi solo
descrivere, descrivere, descrivere ciò che accade.

Qualunque atto "normativo" ha dietro una pretesa di maggiore o minore
legittimità. Perché Manzoni sì e i fighetti milanesi no?

Allora stiamo zitti e non diciamo niente?

No, perché se un mio amico deve fare un intervento in un salotto di
intellettuali radicalscìc e mi fa leggere il testo dell'intervento e vedo
che c'è "piuttosto che" in senso disgiuntivo, se gli voglio fare un
favore gli spiego per benino come sono fatti i salotti degli intellettuali
radicalscìc, e poi deciderà lui dove andare a sbattere la testa.

Informazione scientifica, sociologica, sapere le cose che non si sanno, e
poi decidere liberamente con la propria testa, non tirare fuori il "non si
dice". Come sarebbe a dire che "non si dice"? Se qualcuno lo dice si vede
che si dice, no? Questa è una banale tautologia :-)

> C'è stata, e c'è, sicuramente anche la discriminazione sociale tra chi
> conosceva la grammatica e chi non la conosceva

Ma guarda che io non sono qui a difendere i campesinos dagli
azzeccagarbugli.

Quando uno si firma "Rossi Giovanni" tu pensi che quello poveretto ha
sentito il suo nome per intero solo a scuola o nei militari, e se lo devi
assumere all'ufficio marketing della tua azienda non lo assumi. Quindi se lo
voglio aiutare glielo devo spiegare che si firma così perché viene da una
classe sociale che non era avvezza a usare quotidianamente il proprio nome
e cognome.

Se invece gli dico che "non si mette prima il nome del cognome!" per prima
cosa faccio un falso ideologico, poi non lo aiuto, perché non gli spiego
come stanno oggettivamente le cose, quali sono i rapporti di forza sociali
nel mondo in cui deve cercare di sopravvivere.

Tu dici che anche la mia è un'operazione idelogica. Ma io non vengo mica qui
a dirti che bisogna difendere le classi sociali subalterne dai predatori.
Non me l'ha mica ordinato il dottore. E se poi loro volessero farsi predare?

Io ti dico solo che se dici di voler aiutare qualcuno, bisogna che gli
spieghi come funziona la realtà che lo circonda, d e s c r i v e n d o l a,
non tirare fuori il decalogo del "si dice" e "non si dice", perché così non
fai altro che intimidirlo - se è uno che subisce - o farlo incazzare.

--
Saluti.
D.




Maurizio Pistone

unread,
Jul 18, 2015, 1:28:48 PM7/18/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> Allora prova a darmi una definizione di "regola grammaticale normativa"

è una regola che può avere un valore eminentemente pratico, didascalico.

Se uno mi chiede "in italiano si mette prima il nome o prima il
cognome?" si aspetta che gli dia una risposta chiara e "utile", deve
firmare una lettera e ha bisogno di sapere se deve mettere Mario Rossi o
Rossi Mario.

Naturalmente non è una risposta "scientifica", ma non è di una risposta
"scientifica" che ha bisogno, se gli avessi spiegato che nel medioevo
non esistevano i cognomi, poi in età moderna sono nati i cognomi per
tanti motivi, tra cui la necessità di tenere in ordine gli stati d'anime
parrocchiali, ma si è sempre inteso il cognome come una determinazione
del nome, e non il contrario, e quindi Mario Rossi come Mario figlio di
Giuseppe figlio di Toni, o Mario di borgata Castagna di Sopra, o Mario
il Magnino, o Mario che lecca l'Acciuga...

"Sisssì vabenevabene, ma allora prima il nome o prima il cognome?"
"Prima il nome" "Grazie, era quello che mi serviva".

orpheus

unread,
Jul 18, 2015, 1:45:30 PM7/18/15
to
Maurizio Pistone cosě disse:

> Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:
>
> > Allora prova a darmi una definizione di "regola grammaticale
> > normativa"
>
> č una regola che puň avere un valore eminentemente pratico,
> didascalico.
[...]

Non ci posso credere... pare tornato
il Nuovo De Mauro online O__O
http://dizionario.internazionale.it/parola/grammatica-normativa

parrebbe proprio lui
http://dizionario.internazionale.it/parola/casa

Fathermckenzie

unread,
Jul 18, 2015, 2:15:12 PM7/18/15
to
Il 18/07/2015 15:02, Klaram ha scritto:
> Sembra un misto di dialetti, ma chi parla non del Nord, perché bisogna
> pronunciare la "eu" come se fosse una è, altrimenti non fa rima con
> ciavèr. Al Nord eu si pronuncia ö. :-))

Forse la squinzia faceva finta d'essere francese e pronunciava eu con è,
infatti lui le fa il verso dicendo dusèr. O forse lo sceneggiatore non
era né romagnolo né francese

ADPUF

unread,
Jul 18, 2015, 2:33:08 PM7/18/15
to
edevils 16:49, sabato 18 luglio 2015:

> Il romano "pariolino" č percepito come socialmente superiore
> al "borgataro"


Che differenze c'č?


--
AIOE łżł

valeri...@gmail.com

unread,
Jul 18, 2015, 2:51:04 PM7/18/15
to
Il giorno sabato 18 luglio 2015 17:53:23 UTC+2, Davide Pioggia ha scritto:

> Non è ravennate perché c'è "ed".
> Non è riminese né cesenate perché c'è "ed" e la "r" nell'infinito.

E il faentino com'è? Quali zone hanno "ed"?
Quassù si direbbe "ed ciavé".

edevils

unread,
Jul 18, 2015, 5:53:28 PM7/18/15
to
On Saturday, July 18, 2015 at 6:16:16 PM UTC+2, Davide Pioggia wrote:
...
> Come sarebbe a dire che "non si dice"? Se qualcuno lo dice si vede
> che si dice, no? Questa è una banale tautologia :-)
...

C'è un sottinteso.
"Si dice" = "si dice, in buon italiano".

*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 3:08:01 AM7/19/15
to
edevils ha scritto:

> è un errore?

Non credo. Anche in spagnolo si dice "¡Qué bello!" (l'accento, spesso
tralasciato, marca il "que" interrogativo-esclamativo). E in francese
si dice "Que c'est beau!". Corrispondono all'inglese "How beautiful!"
e al tedesco "Wie schön!", letteralmente "Com'è bello!".

Osservando la forma francese, potremmo chiederci se quella italiana
sia una contrazione di "Che è bello!" > "Ch'è bello!" > "Che bello!".
Però la forma spagnola non sembra avere tale origine, ed è identica
a quella italiana.

Bye,

*GB*

*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 3:45:58 AM7/19/15
to
*GB* ha scritto:

> Non credo. Anche in spagnolo si dice "¡Qué bello!" (l'accento, spesso
> tralasciato, marca il "que" interrogativo-esclamativo). E in francese
> si dice "Que c'est beau!".

E in latino? Papa Francesco il 30 giugno scorso twittò:

https://twitter.com/pontifex_ln/status/615799471054585856

Quam pulchrum est cunctis hominibus nuntiare amorem Dei,
qui salvat nos et illuminat mentes nostras!

Da cui si evince che la forma esclamativa compatta è "Quam pulchrum!".
Poiché abitualmente "quam" è la particella comparativa "che", forse
anche questo può illuminarci sull'origine etimologica di "Che bello!".

Bye,

*GB*

Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 4:56:51 AM7/19/15
to
edevils <use_reply...@devils.com> wrote:

> C'č un sottinteso.
> "Si dice" = "si dice, in buon italiano".

il si passivante / impersonale ha anche un valore imperativo, "non si
taglia il pesce col coltello"

*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 5:10:58 AM7/19/15
to
*GB* ha scritto:

> Da cui si evince che la forma esclamativa compatta è "Quam pulchrum!".
> Poiché abitualmente "quam" è la particella comparativa "che", forse
> anche questo può illuminarci sull'origine etimologica di "Che bello!".

Basta una transizione "quam" > "quem" per passare da "Quam pulchrum!"
a "Che bello!". Scommetterei che è avvenuta prima dell'anno Mille.

Bye,

*GB*

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 5:18:20 AM7/19/15
to
Klaram ha scritto:

> Probabilmente si arriverà a scrivere "qual'è", perché, per ignoranza
> (ci tengo a sottolinearlo)

Moltissimi bambini di tutte le scuole elementari del Regno hanno sempre
scritto «un'albero, qual'è, bas-ta», e ogni volta ci sono voluti anni per
sradicare questi "errori".

La ragione per cui i bambini del Regno si ostinano a scrivere in quel modo,
è che prima di andare a scuola hanno un ottimo orecchio per i confini
sillabici, e se devono andare a capo dividendo la parola «basta» scrivono
«bas-» e poi «ta».

Ora, quando questi bambini leggono «un cane, un topo» eccetera, e poi anche
«uno zoccolo, uno slancio» eccetera, imparano ad associare «un» a una sola
sillaba: «un-ca-ne»; e «uno» a due sillabe: «u-noz-zoc-co-lo»
(o «u-no-zoc-co-lo» al Nord), «u-nos-lan-cio» eccetera.

Così, quando si trovano a dover scrivere «u-nal-be-ro», vi riconoscono
l'articolo «uno», esattamente lo stesso che c'è in «u-nos-lan-cio», e quindi
scrivono giustamente «un'albero». Perché hanno ancora l'orecchio buono.

A questo punto arrivano i grammatici, si siedono a tavolino, e decidono che,
siccome nell'italiano esiste anche «un», non si può scrivere «un'»!

Che razza di regola è mai questa? Che senso ha? Certo che in italiano c'è
«un», ma c'è anche «uno» e con «albero» si usa «uno» (quello bisillabico),
che poi diventa «un'» essendo davanti a una vocale, per la stessa identica
ragione per cui «una anima» diventa «un'anima».

La regola secondo la quale con «albero» si usa l'articolo «uno» è una regola
basata sull'orecchio, e la conoscono tutti i bambini del Regno. Invece la
regola costruita a tavolino, secondo la quale non si può scrivere «un'»
perché c'è già l'articolo «un» («E a me cosa importa se c'è già "un"?
Che c'entra "un" con "uno"?» - potrebbe replicare il bambino che non fosse
intimidito) è una regola inventata arbitrariamente, che ha senso solo perché
è contrintuitiva, per cui serve a separare i "colti" dagli "ignoranti".

Stesso identico discorso per «qual» (monosillabo: «qual-for-ma») e «quale»
(bisillabo: «qua-le-ca-ne», «qua-l'è»).

Ora, io da piccolo ho imparato le regolette del «se stesso» e «ba-sta»,
anche se mi sembrava un delirio (conosco un ottimo glottologo per per
«ba-sta» s'è messo in guerra con la maestra e ha avuto dei bei problemi),
e ho imparato anche la regoletta del «qual è». Oggi per me è facile dire che
«se stesso» era un delirio, perché diversi grammatici, bontà loro, hanno
deciso di arrendersi all'evidenza. Invece è ancora molto impopolare la
faccenda del «qual'è», perché si passa da ignoranti (e vuoi che non lo
sappia che si passa da ignoranti? ma questa è sociolinguistica, non
linguistica).

--
Saluti.
D.




*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 5:19:05 AM7/19/15
to
*GB* ha scritto:

> Basta una transizione "quam" > "quem" per passare da "Quam pulchrum!"
> a "Che bello!". Scommetterei che è avvenuta prima dell'anno Mille.

Sì... ecco come può essere successa: per attrazione dall'ambiguità
morfologico-sintattica del femminile "Quam pulchram!", dove "quam"
è stato percepito come il femminile di "quem".

Bye,

*GB*

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 5:28:20 AM7/19/15
to
edevils ha scritto:

> C'è un sottinteso.
> "Si dice" = "si dice, in buon italiano".

E quale sarebbe il "buon italiano"?

Lo puoi definire solo in termini sociolinguistici: il "buon italiano" è
quello parlato da coloro che sono in condizione tale da farti sentire
inferiore e/o metterti in una condizione di inferiorità (ad esempio
bocciandoti a un concorso).

Ti faccio un esempio.

Nell'italiano che si parla a Rimini e a Riccione si dice «cassètto, quèsto,
quèllo, génte, vénto» eccetera eccetera. Ora, capita spesso che i montanari
marchigiani si spostino in Riviera, provvisoriamente o permanentemente, e
per la maggior parte dei montanari marchigiani la Riviera è sinonimo di
promozione sociale. Anche il ragazzo del paesino che viene nelle discoteche
il sabato sera, è ansioso di dimostrarsi all'altezza della situazione.

Il problema è che i montanari marchigiani dicono, orrore!, «cassétto,
quésto, quéllo, gènte, vènto» eccetera eccetera, e (anche) per questa
ragione vengono immediatamente riconosciuti (e talvolta stigmatizzati) come
montanari marchigiani. Per cui cosa fanno questi poveretti? Si sforzano di
parlare un "buon italiano", e si correggono.

--
Saluti.
D.




Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 5:32:39 AM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> č una regola inventata arbitrariamente, che ha senso solo perché
> č contrintuitiva, per cui serve a separare i "colti" dagli "ignoranti".

http://www.lercio.it/accademia-della-crusca-rivela/

Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 5:37:32 AM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> il "buon italiano" è
> quello parlato da coloro che sono in condizione tale da farti sentire
> inferiore e/o metterti in una condizione di inferiorità (ad esempio
> bocciandoti a un concorso).

questa non è linguistica né sociolinguistica, ma psicolinguistica

Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 5:37:33 AM7/19/15
to
edevils <use_reply...@devils.com> wrote:

> č un errore?
>
> Cosě pare sostenere un blog linguistico.

ne č nata una lunghissima discussione, con parecchi che intervengono
come se il divieto di "che bello!" fosse una qualche "regola"
grammaticale, e non l'improvvisata di un "Esperto in Gestione delle
Situazioni Critiche"

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 5:44:55 AM7/19/15
to
Maurizio Pistone ha scritto:

> "Sisssì vabenevabene, ma allora prima il nome o prima il cognome?"
> "Prima il nome" "Grazie, era quello che mi serviva".

Una volta dovevo preparare un cartello per la vedita di beni immobili, e
avrei dovuto scrivere «vendonsi», ma mi sono reso conto che quei beni erano
destinati a uno strato sociale che avrebbe percepito come troppo affettato
«vendonsi», mentre lo scopo di chi aveva commissionato il cartello era
chiarissimamente (per una serie di particolari che non sto a spiegare)
quello di stabilire un rapporto confidenziale con l'acquirente, del tipo
«qui siamo fra di noi, e basta una stretta di mano». Quindi per restare "fra
di noi" ho scritto «vendesi». In seguito uno dell'ambiente mi ha detto che
ha sempre trovato insopportabili quelli che scrivono «vendonsi»: «Non si
capisce nemmeno cosa vuol dire!». Ora, capisco che scendere a patti in
questo modo con la mercificazione per i salotti radicalscìc può essere molto
squalificante, ma nei salotti radicalscìc ci sono molti stipendi e rendite
garantiti, mentre "là fuori" c'è da pagare l'affitto, le bollette, e mandare
i bambini a scuola.

Un'altra volta, molti anni fa, sono capitato in un condominio pieno zeppo di
pseudo-intellettuali che sprizzavano disprezzo nei confronti del popolaccio
boja. Avevano appena attaccato le targhette nuove dei campanelli, e io ho
attaccato un adesivo molto popolare, con su scritto «Pioggia Davide». C'era
una persona, che in qualche modo si sentiva partecipe del mio buon nome,
che è venuta a implorarmi di togliere quell'orrore, ma è rimasto lì per
anni.

Quindi la mia risposta alle domande come quella che poni tu è sempre:
«Dipende!».

Senza considerare che io in genere non mi lascio dire: «Sisssì vabenevabene,
ma allora prima il nome o prima il cognome?». Lo potrei fare se venissi
assunto per dare delle "pronte risposte", ma per tollerare il «Sisssì
vabenevabene» vorrei almeno 50 euri all'ora.

--
Saluti.
D.




Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 5:58:04 AM7/19/15
to
valeri...@gmail.com ha scritto:

> E il faentino com'è? Quali zone hanno "ed"?

Problema enorme, con enormi risvolti sociolinguistici e identitari
(e siamo sempre lì).

La realtà dei fatti è che, spostandosi verso la Romagna occidentale, la "a"
atona tende ad assumere sempre più la coloritura della "e", fino ad essere
"più di là che di qua".

(Questa è una tendenza generale, poi naturalmente ci sono situazioni locali
a macchia di leopardo).

Ora, uno potrebbe pensare che per fare una mappa di "a" ed "e" basta
andare a vedere come scrivono gli autori. Ma qui casca l'asino, perché si
sovrappogono questioni identitarie dal peso enorme.

Devi sapere che in certe zone la "a" è percepita come "romagnola" e la "e"
è percepita come "emiliana", per cui coloro che pensano a sé stessi come
"Romagnoli" scrivono comunque "a", e gli altri scrivono comunque "e".
Ci sono anche delle zone (stavo per fare il nome d'una città, ma non lo
dico, per varie ragioni) in cui la "a" è percepita come "contadina", per
cui la borghesia urbana ci tiene a scrivere "e", anche se siamo veramente
al limite, e le differenze sono minime.

Il problema si pone non solo per "ed", ma anche per "leder", "zoccher"
eccetera eccetera.

Per chi vive dalle mie parti una volta che si superi Forlì, già a partire da
Faenza, si entra nel regno delle "e", ma se vai a dire a un faentino che lui
dice "zoccher" quello ti spara!

--
Saluti.
D.





*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 6:11:05 AM7/19/15
to
Davide Pioggia ha scritto:

> Avevano appena attaccato le targhette nuove dei campanelli, e io ho
> attaccato un adesivo molto popolare, con su scritto «Pioggia Davide».
>
> Quindi la mia risposta alle domande come quella che poni tu è sempre:
> «Dipende!».

Dipende da tante cose. In Cina, Corea e Giappone si mette sempre
il cognome (es. Mao o Kim) prima del nome (risp. Tse-tung o Jong-un)
quindi non hanno problemi con gli elenchi. Ma in Italia hai voglia
a pubblicare l'elenco telefonico con tutti i Mario (come nome di
battesimo) al primo posto! Ciò perché nell'antica Roma l'ordine
dei nomi era: nome personale (praenomen, es. Marcus), nome gentilizio
(nomen, es. Tullius), soprannome (cognomen, es. Cicero) e tale sistema
ha influenzato il modo come i nomi sono disposti in quasi tutte le
parlate europee, incluse quelle slave (nome, patronimico, cognome)
ma escluso l'ungherese (in cui il cognome precede il nome).

In inglese si usa una virgola negli elenchi: John Smith = Smith, John
e forse se tu avessi scritto PIOGGIA, DAVIDE non avrebbero protestato.

Bye,

*GB*

*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 6:22:00 AM7/19/15
to
*GB* ha scritto:

> Dipende da tante cose. In Cina, Corea e Giappone si mette sempre
> il cognome (es. Mao o Kim) prima del nome (risp. Tse-tung o Jong-un)
> quindi non hanno problemi con gli elenchi.

Mi correggo: in Cina e Corea (non in Giappone) hanno problemi perché,
avendo cognomi monosillabici, il loro numero è troppo basso rispetto
alla popolazione (soprattutto in Cina), per cui un elenco telefonico
cinese o coreano sarebbe meglio ricercabile se scrivessero il nome
prima del cognome, con la virgola per evidenziare il ribaltamento:

Il-sung, Kim
Jong-il, Kim
Jong-un, Kim

Bye,

*GB*

edevils

unread,
Jul 19, 2015, 6:36:02 AM7/19/15
to
On Sunday, July 19, 2015 at 11:18:20 AM UTC+2, Davide Pioggia wrote:
...
> A questo punto arrivano i grammatici, si siedono a tavolino, e decidono che,
> siccome nell'italiano esiste anche «un», non si può scrivere «un'»!
>
> Che razza di regola è mai questa? Che senso ha? Certo che in italiano c'è
> «un», ma c'è anche «uno» e con «albero» si usa «uno» (quello bisillabico),
> che poi diventa «un'» essendo davanti a una vocale, per la stessa identica
> ragione per cui «una anima» diventa «un'anima».
...

Forse serve a distinguere "un insegnante" maschio da "un'insegnante" femmina.

Tutte le regole sono opinabili e si possono cambiare, anzi di fatto cambiano
nel tempo, ma questo non dimostra l'inutilità delle regole come sistema.

Ci sono regole superflue, ma l'anarchia non mi pare un'alternativa.

Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 6:39:09 AM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> Una volta dovevo preparare un cartello per la vedita di beni immobili, e
> avrei dovuto scrivere «vendonsi», ma mi sono reso conto che quei beni erano
> destinati a uno strato sociale che avrebbe percepito come troppo affettato
> «vendonsi», mentre lo scopo di chi aveva commissionato il cartello era
> chiarissimamente (per una serie di particolari che non sto a spiegare)
> quello di stabilire un rapporto confidenziale con l'acquirente, del tipo
> «qui siamo fra di noi, e basta una stretta di mano». Quindi per restare "fra
> di noi" ho scritto «vendesi». In seguito uno dell'ambiente mi ha detto che
> ha sempre trovato insopportabili quelli che scrivono «vendonsi»: «Non si
> capisce nemmeno cosa vuol dire!». Ora, capisco che scendere a patti in
> questo modo con la mercificazione per i salotti radicalscìc può essere molto
> squalificante, ma nei salotti radicalscìc ci sono molti stipendi e rendite
> garantiti, mentre "là fuori" c'è da pagare l'affitto, le bollette, e mandare
> i bambini a scuola.

"Vendiamo" era troppo difficile?

Quanto al verbo singolare con soggetto plurale, non c'è niente di
strano:

http://mauriziopistone.it/testi/sintassi/capitolo124.html#par08

quindi puoi benissimo lasciare anche "vendesi".

*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 6:44:58 AM7/19/15
to
edevils ha scritto:

> serve a distinguere "un insegnante" maschio da "un'insegnante" femmina.

Poco utile, visto che "l'insegnante" è ambigenere. Sarebbe più efficace
coniare il termine "insegnantessa".

> Ci sono regole superflue, ma l'anarchia non mi pare un'alternativa.

Né anche a me la narchia pare un'alter nativa.

Bye,

*GB*

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 7:14:05 AM7/19/15
to
edevils ha scritto:

> Tutte le regole sono opinabili e si possono cambiare

Eh, ma non è mica così facile.

Se tu devi fare un concorso per trovare un posto di lavoro e quello che
tiene il coltello dalla parte del manico è convinto che «qual'è» sia una
roba da ignoranti, e ti boccia, quella regola diventa di più dura della
roccia, e tu provi sulla tua pelle che è una faccenda tutt'altro che
arbitraria.

Non è arbitraria, è molto concreta, difficilmente modificabile, più dura
della roccia, ma è una faccenda sociale, non linguistica: «Vuolsi così cola
dove si puote» eccetera.

> cambiano nel tempo, ma questo non dimostra l'inutilità delle regole
> come sistema.

Io sono il più grande difensore vivente dell'utilità delle regole come
sistema. Non direi mai, a un ragazzo, che può scrivere «qual è» o «qual'è»,
ché tanto è una cosa arbitraria. Non c'è niente di arbitrario nell'avere o
non avere il coltello dalla parte del manico. È una realtà dannatamente
oggettiva.

Solo che, lo ripeto, non c'entra niente con la grammatica.

> Ci sono regole superflue, ma l'anarchia non mi pare un'alternativa.

Ma ci mancherebbe. Preferisco stare in una comunità in cui chi ha il
coltello dalla parte del manico ha interesse a tenermi vivo e in buona
salute per potermi spremere, piuttosto che trovarmi il balia degli umori del
vicino di casa. Quindi ben venga il monopolio della forza e tutto il resto,
e anche i funzionari che insegnano la Grammatica Ufficiale in tutte le
scuole del Regno.

Solo che anche la Grammatica Ufficiale non c'entra niente con la grammatica.

Ma cosa ci vuole ad ammetterlo?

«Devi scrivere "qual è" perché ci sono delle persone importanti che hanno
deciso di fare così. Se un giorno anche tu diventerai tanto importante da
poter dettare legge, potrai decidere che si scrive "qual'è". Nel frattempo
se scrivi "qual'è" ti metti contro della gente che è più forte di te. Vedi
un po' tu se ti conviene».

Che ci vuole?

--
Saluti.
D.



Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 7:17:50 AM7/19/15
to
Maurizio Pistone ha scritto:

> questa non è linguistica né sociolinguistica, ma psicolinguistica

Essere bocciati al concorso non è una roba psicologica.

Può sembrarti psicologica solo se l'hai già vinto da tempo, e non
ti ricordi nemmeno più come si vive senza aver vinto il concorso.

--
Saluti.
D.



edevils

unread,
Jul 19, 2015, 7:43:36 AM7/19/15
to
On Sunday, July 19, 2015 at 1:14:05 PM UTC+2, Davide Pioggia wrote:
> edevils ha scritto:
>
> > Tutte le regole sono opinabili e si possono cambiare
>
> Eh, ma non è mica così facile.

C'è una resistenza, com'è giusto, e una selezione naturale.

Se tu osservi la lingua come un fenomeno naturale, devi accettare
che anche i grammatici sono parte della fauna!



> Se tu devi fare un concorso per trovare un posto di lavoro e quello che
> tiene il coltello dalla parte del manico è convinto che «qual'è» sia una
> roba da ignoranti, e ti boccia, quella regola diventa di più dura della
> roccia, e tu provi sulla tua pelle che è una faccenda tutt'altro che
> arbitraria.

Puoi fare ricorso al TAR!

Comunque ha ragione lui a correggerti, perché attualmente la forma standard
è un'altra.

Tu però sei libero di scrivere "qual'è" in ogni altra occasione, finché
non convinci De Mauro o chi per lui. Alla fine anche l'esaminatore
del concorso dovrà adeguarsi.
Non è un iter per direttissima, ma se cambiare fosse troppo facile le regole
sarebbero instabili e variabili come le tasse sulla casa in Italia, cioè
un casino.



> Non è arbitraria, è molto concreta, difficilmente modificabile, più dura
> della roccia, ma è una faccenda sociale, non linguistica: «Vuolsi così cola
> dove si puote» eccetera.

Tutto è anche "sociale", ma non solo.

E anche i rapporti sociali sono parte del cosmo che scientificamente
osservi.



> > cambiano nel tempo, ma questo non dimostra l'inutilità delle regole
> > come sistema.
>
> Io sono il più grande difensore vivente dell'utilità delle regole come
> sistema. Non direi mai, a un ragazzo, che può scrivere «qual è» o «qual'è»,
> ché tanto è una cosa arbitraria. Non c'è niente di arbitrario nell'avere o
> non avere il coltello dalla parte del manico. È una realtà dannatamente
> oggettiva.
>
> Solo che, lo ripeto, non c'entra niente con la grammatica.

La grammatical è l'insieme delle regole.

p.s. Avverto: sto scrivendo col correttore ortografico INGLESE attivo,
quindi potrebbe venir fuori qualsiasi cosa!


> > Ci sono regole superflue, ma l'anarchia non mi pare un'alternativa.
>
> Ma ci mancherebbe. Preferisco stare in una comunità in cui chi ha il
> coltello dalla parte del manico ha interesse a tenermi vivo e in buona
> salute per potermi spremere, piuttosto che trovarmi il balia degli umori del
> vicino di casa. Quindi ben venga il monopolio della forza e tutto il resto,
> e anche i funzionari che insegnano la Grammatica Ufficiale in tutte le
> scuole del Regno.
>
> Solo che anche la Grammatica Ufficiale non c'entra niente con la grammatica.

Non ho capito. A parte il fatto che una "Grammatica ufficiale" in Italia
neanche esiste, visto che non ci sono autorità costituite, ma la libera
"contrattazione" tra fonti più o meno autorevoli, anche secondo le fortune
attribuite dal pubblico.
E' un sano libero mercato, mica lo stalinismo linguistico.


> Ma cosa ci vuole ad ammetterlo?
>
> «Devi scrivere "qual è" perché ci sono delle persone importanti che hanno
> deciso di fare così. Se un giorno anche tu diventerai tanto importante da
> poter dettare legge, potrai decidere che si scrive "qual'è". Nel frattempo
> se scrivi "qual'è" ti metti contro della gente che è più forte di te. Vedi
> un po' tu se ti conviene».
>
> Che ci vuole?

Mi pare una ipersemplificazione, anche perché l'influenza linguistica
è un tipo di potere un po' diverso da altri. Scrittori squattrinati
possono imporre una nuova forma, e tycoon potentissimi subirla.
Certo quello scrittore avrà influenza se letto dai circoli giusti.
Ma è un fenomeno più complesso e in fondo anche partecipativo.


valeri...@gmail.com

unread,
Jul 19, 2015, 7:56:45 AM7/19/15
to
Il giorno domenica 19 luglio 2015 11:58:04 UTC+2, Davide Pioggia ha scritto:

> Ora, uno potrebbe pensare che per fare una mappa di "a" ed "e" basta
> andare a vedere come scrivono gli autori. Ma qui casca l'asino, perché si
> sovrappogono questioni identitarie dal peso enorme.

No, va beh, basta sentire come parla la gente :-)

> Devi sapere che in certe zone la "a" è percepita come "romagnola" e la "e"
> è percepita come "emiliana", per cui coloro che pensano a sé stessi come
> "Romagnoli" scrivono comunque "a", e gli altri scrivono comunque "e".

Sul tuo sito tempo fa ho trovato un esempio di questo, che non riuscivo a spiegarmi. Non era una tua trascrizione, ma non ricordo di quale zona fosse.
Le mie orecchie sentivano un "perchè", e i miei occhi leggevano un "parchè".

> Il problema si pone non solo per "ed", ma anche per "leder", "zoccher"
> eccetera eccetera.
>
> Per chi vive dalle mie parti una volta che si superi Forlì, già a partire da
> Faenza, si entra nel regno delle "e", ma se vai a dire a un faentino che lui
> dice "zoccher" quello ti spara!

E i faentini, quando sentono parlare quelli delle tue parti, notano una differenza oppure identificano una "a" a prescindere?

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 8:13:22 AM7/19/15
to
edevils ha scritto:

> Non ho capito. A parte il fatto che una "Grammatica ufficiale" in
> Italia neanche esiste

Gli insegnanti sono funzionari statali.

Inoltre la lingua italiana ha una valenza giuridica. Se ti dico in pubblico
che sei un ladro senza averne le prove e tu mi denunci per diffamazione, non
posso giustificarmi dicendo al giudice (altro funzionario) che dalle mie
parti "ladro" č un modo affettuoso di apostrofare gli amici (veramente in
Romagna si fa anche molto di peggio, ma č tutta roba non codificata).
Il giudice prende un vocabolario considerato autorevole da qualche
professore universitario (altro funzionario) e va a vedere cosa dice alla
voce "ladro", dopodiché probabilmente mi condanna.

--
Saluti.
D.




Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 8:22:54 AM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> > questa non è linguistica né sociolinguistica, ma psicolinguistica
>
> Essere bocciati al concorso non è una roba psicologica.
>
> Può sembrarti psicologica solo se l'hai già vinto da tempo, e non
> ti ricordi nemmeno più come si vive senza aver vinto il concorso.

sei stato bocciato al concorso perché hai scritto "un'amico"?

Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 8:22:54 AM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> «Devi scrivere "qual č" perché ci sono delle persone importanti che hanno
> deciso di fare cosě. Se un giorno anche tu diventerai tanto importante da
> poter dettare legge, potrai decidere che si scrive "qual'č".

C'era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannň ffora a li popoli st'editto:
"Io sň io, e vvoi nun zete un cazzo,
comando che qual'č
con l'apostrofo va scritto"

abbiate pazienza, non sono mai stato forte con la metrica

Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 8:22:55 AM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> > Non ho capito. A parte il fatto che una "Grammatica ufficiale" in
> > Italia neanche esiste
>
> Gli insegnanti sono funzionari statali

gli insegnanti delle sucole private insegnano una grammatica diversa?

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 8:25:59 AM7/19/15
to
valeri...@gmail.com ha scritto:

> E i faentini, quando sentono parlare quelli delle tue parti, notano
> una differenza oppure identificano una "a" a prescindere?

Sentono la "a", sono convinti di pronunciare la "a",
quindi per loro è uguale.

Quanto a «perché», tieni presente una cosa.

A volte discuto coi miei amici romani e dico loro che per il nostro orecchio
loro sonorizzano quasi tutte le consonanti. Ad esempio ci sembra che dicano
«bredendere» anziché «pretendere» eccetera. Al che loro a volte replicano
dicendomi che anche noi nelle regioni settentrionali diciamo «figa, cagare»
eccetera.

Ora, noi diciamo «figa, cagare» eccetera perché le parole "volgari" non sono
passate attraverso i testi scolastici, per cui hanno mantenuto la sonora, ma
da noi la sonorità è un tratto che determina opposizione fonologica, per cui
possiamo decidere se dire «fica, cacare» o «figa, cagare», e quando diciamo
«fica, cacare» non c'è traccia di sonorizzazione. Invece da loro è un po'
come di notte, quando tutti i gatti sono sono bigi.

Ti ho detto questa cosa perché dalle mie parti ci sono, ben distinte, la "a"
atona e la "e" atona, e ci sono alcune parole che sono state italianizzate,
per cui molti dicono "perchè" anziché "parchè". Ma se ti capita di sentire
"perchè" a Rimini è uno che sta dicendo proprio "perchè", non uno che
dice "perchè" convinto di dire "parchè".

--
Saluti.
D.



Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 8:26:55 AM7/19/15
to
Maurizio Pistone ha scritto:

> sei stato bocciato al concorso perché hai scritto "un'amico"?

Questo invece è psicologismo.

(Comunque la risposta è no).

--
Saluti.
D.


Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 8:28:42 AM7/19/15
to
Maurizio Pistone ha scritto:

> "Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
> comando che qual'è
> con l'apostrofo va scritto"

:-DDD

> abbiate pazienza, non sono mai stato forte con la metrica

Sei stato bravo!

--
Saluti.
D.



Klaram

unread,
Jul 19, 2015, 8:44:32 AM7/19/15
to
Il 19/07/2015, Maurizio Pistone ha detto :
> Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:
>
>> Una volta dovevo preparare un cartello per la vedita di beni immobili, e
>> avrei dovuto scrivere «vendonsi», ma mi sono reso conto che quei beni erano
>> destinati a uno strato sociale che avrebbe percepito come troppo affettato
>> «vendonsi», mentre lo scopo di chi aveva commissionato il cartello era
>> chiarissimamente (per una serie di particolari che non sto a spiegare)
>> quello di stabilire un rapporto confidenziale con l'acquirente, del tipo
>> «qui siamo fra di noi, e basta una stretta di mano». Quindi per restare "fra
>> di noi" ho scritto «vendesi». In seguito uno dell'ambiente mi ha detto che
>> ha sempre trovato insopportabili quelli che scrivono «vendonsi»: «Non si
>> capisce nemmeno cosa vuol dire!». Ora, capisco che scendere a patti in
>> questo modo con la mercificazione per i salotti radicalscìc può essere molto
>> squalificante, ma nei salotti radicalscìc ci sono molti stipendi e rendite
>> garantiti, mentre "là fuori" c'è da pagare l'affitto, le bollette, e mandare
>> i bambini a scuola.
>
> "Vendiamo" era troppo difficile?
>
> Quanto al verbo singolare con soggetto plurale, non c'è niente di
> strano:
>
> http://mauriziopistone.it/testi/sintassi/capitolo124.html#par08
>
> quindi puoi benissimo lasciare anche "vendesi".

Gli esempi del Fornaciari sono diversi da questo caso specifico.
Però si poteva ricorrere alla forma "si vendono", evitando l'orrendo
"vendesi alloggi".

k

Klaram

unread,
Jul 19, 2015, 9:40:55 AM7/19/15
to
Davide Pioggia ha usato la sua tastiera per scrivere :
> Klaram ha scritto:
>
>> Scusa, ma a me sembra che sia tu a farne una questione eccessivamente
>> ideologica.
>
> Allora prova a darmi una definizione di "regola grammaticale normativa".

Per ignoranza, faccio mia quella di De Mauro, che è stata postata, e
anche le considerazioni di Maurizio sul tema.

> Anche di fronte a ciò che ti fa orrore, tu come scienziato puoi solo
> descrivere, descrivere, descrivere ciò che accade.
> Qualunque atto "normativo" ha dietro una pretesa di maggiore o minore
> legittimità. Perché Manzoni sì e i fighetti milanesi no?

Perché Manzoni lo fa consapevolmente, con delle motivazioni serie che
puoi condividere o meno, il fighetto milanese lo fa per ignoranza e
viene giustamente sanzionato, anche se sappiamo benissimo che il giorno
in cui TUTTI diranno come il fighetto, quella sarà la nuova regola.
Così come sappiamo che l'voluzione di una lingua è basata su errori,
fraintendimenti, assonanze o analogie che non c'entrano niente, ecc.
ecc, che col tempo sono diventate le nuove regole.

Ci sono due momenti, uno storico, e uno attuale. E' possibile
descrivere, in modo del tutto asettico, anche l'attuale. Il primo libro
che ho visto di questo genere, privo di normativa, è stato "L'italiano
contemporaneo" del D'Achille, che avevo già citato in passato, dove
riporta come esempio di linguaggio giovanile "cazzo vuoi?", senza com
menti.
Ma lo studioso è osservatore nel momento in cui decide di esserlo,
perché anche lui vive, parla e scrive nel momento attuale, allora ti
accorgi che sia D'Achille sia Davide Pioggia parlano e scrivono
correttamente, perché le norme le conoscono, eccome!, e le applicano.

(tutto questo sproloquio è riferito a lingue scritte, letterarie e
storiche, non a quelle spontanee non scritte)

> Io ti dico solo che se dici di voler aiutare qualcuno, bisogna che gli
> spieghi come funziona la realtà che lo circonda, d e s c r i v e n d o l a,
> non tirare fuori il decalogo del "si dice" e "non si dice", perché così non
> fai altro che intimidirlo - se è uno che subisce - o farlo incazzare.

Ma certo. Vedi che alla fine siamo d'accordo.

Io volevo solo spezzare un grissino in difesa quei poveri linguisti che
scrivono grammatiche normative (e più sono approfondite, precise e
documentate, meglio è, altrimenti non le consulteremmo nemmeno), che mi
sembrava (ma probabilmente sbagliavo) fossero oggetto dei tuoi attacchi
sociologico-ideologici, non linguistici!, avendo il solo torto di non
ricordare più spesso che la lingua, come tutto ciò che è inventato
dalla mente umana, matematica compresa, non è assoluto come quello che
viene da Dio, ma è relativo e basato su convenzioni. :-)

k

Klaram

unread,
Jul 19, 2015, 9:44:49 AM7/19/15
to
Maurizio Pistone ha detto questo sabato :
> Klaram <nos...@nospam.it> wrote:
>
>> L'esempio che porti di scrivere prima il nome e poi il cognome, è una
>> regola di bon ton, più che di grammatica
>
> è l'uso universale di sempre delle lingue romanze, il cognome prima del
> nome è una innovazione burocratica, tipica di chi concepisce le persone
> solo come numeri in un elenco

Allora, visto che siamo in area romanza, e non in Cina o Giappone, ha
fatto bene Carducci a respingere, ad un esame universitario, un allievo
che si era presentato con cognome e nome (ammesso che sia vero). :-)

k

*GB*

unread,
Jul 19, 2015, 9:57:48 AM7/19/15
to
Klaram ha scritto:

> ricordare più spesso che la lingua, come tutto ciò che è inventato
> dalla mente umana, matematica compresa, non è assoluto

Io non credo che lingua e matematica si possano porre sullo stesso piano
perché in matematica ti inventi le notazioni e stabilisci degli assiomi
ma poi devi mantenere una completa coerenza logica con quegli assiomi
e non puoi entrare in contraddizione. Invece nella lingua il significato
delle parole che impieghi e la notazione stessa (morfologia e sintassi)
cambiano senza che ciò dia luogo a una contraddizione, perché il tutto
(compreso l'equivalente degli assiomi di partenza) viene risistemato
in maniera tale da funzionare alla bell'e meglio di volta in volta.
Se così non fosse, la doppia negazione in italiano e in russo dovrebbe
essere un'affermazione come in effetti risulta in tedesco e in latino.

> come quello che viene da Dio, ma è relativo e basato su convenzioni.

Ma viene davvero qualcosa da Dio? E come la mettiamo con le religioni
differenti? Sarà il maggior numero di credenti a stabilire quale Dio
è quello vero? Tu ti convertirai mai all'Islam?

Bye,

*GB*

Klaram

unread,
Jul 19, 2015, 10:25:32 AM7/19/15
to
*GB* ci ha detto :
> Klaram ha scritto:
>
>> ricordare più spesso che la lingua, come tutto ciò che è inventato
>> dalla mente umana, matematica compresa, non è assoluto
>
> Io non credo che lingua e matematica si possano porre sullo stesso piano
> perché in matematica ti inventi le notazioni e stabilisci degli assiomi
> ma poi devi mantenere una completa coerenza logica con quegli assiomi
> e non puoi entrare in contraddizione. Invece nella lingua il significato
> delle parole che impieghi e la notazione stessa (morfologia e sintassi)
> cambiano senza che ciò dia luogo a una contraddizione, perché il tutto
> (compreso l'equivalente degli assiomi di partenza) viene risistemato
> in maniera tale da funzionare alla bell'e meglio di volta in volta.
> Se così non fosse, la doppia negazione in italiano e in russo dovrebbe
> essere un'affermazione come in effetti risulta in tedesco e in latino.

Non ho detto che lingua e matematica sono identiche, ho solo detto che
entrambe si basano su convenzioni.

>> come quello che viene da Dio, ma è relativo e basato su convenzioni.
>
> Ma viene davvero qualcosa da Dio?

Per chi ci crede, sì.

> E come la mettiamo con le religioni
> differenti? Sarà il maggior numero di credenti a stabilire quale Dio
> è quello vero?

Questo è un problema dei credenti. Io sono atea, per me di assoluto
non c'è niente.

> Tu ti convertirai mai all'Islam?

Tutto è possibile, ma molto, molto improbabile. :-)

k

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 10:35:34 AM7/19/15
to
Klaram ha scritto:

> Io sono atea, per me di assoluto
> non c'č niente.

Tranne che il Fornaciari :-)

--
Saluti.
D.


Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 11:11:22 AM7/19/15
to
Klaram ha scritto:

> Ma lo studioso è osservatore nel momento in cui decide di esserlo,
> perché anche lui vive, parla e scrive nel momento attuale, allora ti
> accorgi che sia D'Achille sia Davide Pioggia parlano e scrivono
> correttamente, perché le norme le conoscono, eccome!, e le applicano.

Un momento, perché questo è un giochino subdolo.

Tu accetti di discurere di queste cose con me, e lasci che le le mie
argomentazioni sollevino dei dubbi nel tuo sistema di convinzioni, perché mi
annusi e mi riconosci come membro della tua tribù. Scrivo benino, ho letto i
libri che piacciono a te, ne so discutere con un certa compentenza eccetera.

Certo, sono un membro della tribù che sputtana la tribù, ma pur sempre un
membro della tribu. Se venissi qui a protestare contro la cultura elitaria e
mostrassi di fare degli erroracci per ignoranza, per te sarei solo un
arrogante che cerca di imporre ad altri la sua miseria.

Diciamo che, avendo io le possibilità di "lavorare da dentro", metto le mie
capacità al servizio della Causa :-)

Perché dico che questo è un giochino subdolo?

Quando ero giovane frequentavo i salotti radicalscìc. Mi raccontavo un sacco
di balle sulle ragioni per cui lo facevo, ma sostanzialmente lo facevo
perché mi sentivo inferiore e avevo l'ansia di essere accettato. Poi, già
che c'ero, studiavo anche le tecniche predatorie, ma quella che all'epoca mi
sembrava la ragione principale era solo una razionalizzazione delle mie
insicurezze.

Ora, questi salotti erano pieni di giovani "ribelli", persino "comunisti",
che sparavano a zero sulle ipocrisie della borghesia eccetera. Le femmine
del branco li divoravano con gli occhi. Ma, nonostante tutti i bei discorsi
sulla "classe operaia", non ho visto le figlie di quelli con le ville in
collina sposare i figli di qualcuno che non avesse la villa in collina.
Qualcuna si spingeva a "darla al popolo" per provare un brividino di
trasgressione, ma i conti correnti restavano al sicuro.

Che cosa ci insegnano queste mie miserie giovanili? Ci insegnano che la
possibilità di "lavorare da dentro" molto spesso è illusoria. Se veramente
vuoi fare qualcosa per cambiare deve venire il giorno in cui i membri della
tua tribù di dicono: «Beh, però ora stai esagerando».

Perché uno dovrebbe farlo? La risposta vera forse è psicanalitica.
Restando più in superficie, so per certo che certe cose le capisci solo
quando ti metti veramente fuori dalla tribù. Quindi è anche un percorso di
conoscenza. Levi-Strauss diceva che in teoria per l'antropologo culturale
tutte le culture dovrebbero essere sullo stesso piano ma, se veramente vuole
capire tutte le culture, alla base ci dev'essere un rifiuto della propria
(lui parla di "disancoramento cronico"). Altrimenti resti comunque
intrappolato nell'illusione che ciò che facciamo "noi" sia semplicemente
la cosa più "naturale".

Dal momento che nelle mie vite precedenti mi sono già rotto le ossa
abbastanza, ovviamente non mi metto a organizzare rivoluzioni per
una cazzata come «qual'è», ma resta il fatto che il giochino del
riconoscimento tribale è molto subdolo.

--
Saluti.
D.









edevils

unread,
Jul 19, 2015, 2:45:01 PM7/19/15
to
On Sunday, July 19, 2015 at 11:28:20 AM UTC+2, Davide Pioggia wrote:
> edevils ha scritto:
>
> > C'è un sottinteso.
> > "Si dice" = "si dice, in buon italiano".
>
> E quale sarebbe il "buon italiano"?

Quello che convenzionalmente definiamo tale.


>
> Lo puoi definire solo in termini sociolinguistici: il "buon italiano" è
> quello parlato da coloro che sono in condizione tale da farti sentire
> inferiore e/o metterti in una condizione di inferiorità (ad esempio
> bocciandoti a un concorso).

Direi di no.
In genere quello dei funzionari che organizzano i concorsi
non è considerate il miglior italiano.







>
> Ti faccio un esempio.
>
> Nell'italiano che si parla a Rimini e a Riccione si dice «cassètto, quèsto,
> quèllo, génte, vénto» eccetera eccetera. Ora, capita spesso che i montanari
> marchigiani si spostino in Riviera, provvisoriamente o permanentemente, e
> per la maggior parte dei montanari marchigiani la Riviera è sinonimo di
> promozione sociale. Anche il ragazzo del paesino che viene nelle discoteche
> il sabato sera, è ansioso di dimostrarsi all'altezza della situazione.
>
> Il problema è che i montanari marchigiani dicono, orrore!, «cassétto,
> quésto, quéllo, gènte, vènto» eccetera eccetera, e (anche) per questa
> ragione vengono immediatamente riconosciuti (e talvolta stigmatizzati) come
> montanari marchigiani. Per cui cosa fanno questi poveretti? Si sforzano di
> parlare un "buon italiano", e si correggono.

Seguono la parlata locale più prestigiosa, non la norma italiana.

Comunque è banale dire che c'è una notevole componente sociale negli usi
linguistici.
Tu però sostieni che la funzione sociale è "esclusiva" e riduci la grammatica
a una sorta di casualità arbitrariamente dettata "da chi comanda".


edevils

unread,
Jul 19, 2015, 2:53:29 PM7/19/15
to
On Sunday, July 19, 2015 at 2:13:22 PM UTC+2, Davide Pioggia wrote:
> edevils ha scritto:
>
> > Non ho capito. A parte il fatto che una "Grammatica ufficiale" in
> > Italia neanche esiste
>
> Gli insegnanti sono funzionari statali.

No.

> Inoltre la lingua italiana ha una valenza giuridica.

No.

> Se ti dico in pubblico
> che sei un ladro senza averne le prove e tu mi denunci per diffamazione, non
> posso giustificarmi dicendo al giudice (altro funzionario) che dalle mie
> parti "ladro" č un modo affettuoso di apostrofare gli amici (veramente in
> Romagna si fa anche molto di peggio, ma č tutta roba non codificata).

Sì che potresti farlo, se fosse vero.
Se tra amici all'osteria vi apostrofate abitualmente con
"vecchio frocio rottinculo", "puttanona ladra", eccetera,
non sarai certo imputabile per aver detto quelle parole in quel contesto.


> Il giudice prende un vocabolario considerato autorevole da qualche
> professore universitario (altro funzionario) e va a vedere cosa dice alla
> voce "ladro", dopodiché probabilmente mi condanna.

No, il giudice ascolterà le tue spiegazioni, eventualmente corroborate
da testimoni.

La realtà è più complessa del determinismo meccanicistico che descrivi.

Aggiungo che molto spesso la lingua cambia grazie a invenzioni
che nascono dalla parlata popolare, mentre le regole "ufficiali"
finiscono in soffitta se vengono disapplicate nell'uso dei più.

Davide Pioggia

unread,
Jul 19, 2015, 3:14:22 PM7/19/15
to
edevils ha scritto:

>> Gli insegnanti sono funzionari statali.
>
> No.

Vengono pagati dallo stato per svolgere un compito assegnato dallo stato.
Quale parola vogliamo usare per descrivere ciò che ho scritto qui sopra?

--
Saluti.
D.



Maurizio Pistone

unread,
Jul 19, 2015, 4:35:24 PM7/19/15
to
Davide Pioggia <duca_...@yahoo.com> wrote:

> Vengono pagati dallo stato per svolgere un compito assegnato dallo stato.

cioè per perseguitare la gente imponendo norme grammaticali assurde al
scopo di obbligarle ad umiliarsi di fronte all'autorità?

Puoi risparmiarti di rispondere, esco da questa discussione.

Mad Prof

unread,
Jul 19, 2015, 8:18:06 PM7/19/15
to
On 18 Jul 2015, Fathermckenzie wrote
(in article<moe50l$ig9$1...@dont-email.me>):

> Forse la squinzia faceva finta d'essere francese

O forse era una francese in vacanza a Riccione, rimorchiata da un bagnino
locale…


--
73 is the Chuck Norris of numbers.


Mad Prof

unread,
Jul 19, 2015, 8:21:31 PM7/19/15
to
On 18 Jul 2015, Maurizio Pistone wrote
(in article<1m7r6j7.1vn79911akjiw2N%scri...@mauriziopistone.it>):

> edevils<use_reply...@devils.com>wrote:
>
> > Sappiamo che la maggior parte dei parlanti dice e scrive che bello!, però
> > dovremmo pure sapere che si tratta di un errore
>
> che cazzata!

Il thread avrebbe potuto tranquillamente concludersi qui…

Fathermckenzie

unread,
Jul 20, 2015, 3:13:40 AM7/20/15
to
Il 19/07/2015 22:35, Maurizio Pistone ha scritto:
>> Vengono pagati dallo stato per svolgere un compito assegnato dallo stato.
> cioè per perseguitare la gente imponendo norme grammaticali assurde al
> scopo di obbligarle ad umiliarsi di fronte all'autorità?

la cosa bella è che gli stessi che si ssscagliano contro le norme
grammaticali borghesi si maravigliano, poi, se uno pronuncia la e più
aperta o più chiusa :-)

--
Et interrogabant eum turbae dicentes: “Quid ergo faciemus?”.
Respondens autem dicebat illis: “Qui habet duas tunicas,
det non habenti; et, qui habet escas, similiter faciat”.
(Ev. sec. Lucam 3,10-11)

Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 4:30:17 AM7/20/15
to
Fathermckenzie ha scritto:

> la cosa bella è che gli stessi che si ssscagliano contro le norme
> grammaticali borghesi si maravigliano, poi, se uno pronuncia la e più
> aperta o più chiusa :-)

Non ho mai detto, in vita mia, che uno *avrebbe dovuto* pronunciare un
qualche suono diversamente da come lo pronuncia.

L'ultima volta che abbiamo discusso di questa cosa è nata una discussione
perché io ho detto a Valerio che secondo me la lingua che parlo io
abitualmente non è propriamente italiano. Bisognerebbe trovare un'altra
definizione. Sono indeciso. Per certi versi si potrebbe parlare addirittura
di pidgin, o di lingue creole settentrionali.

Ora, sarò libero, parlando con Valerio, di dire che secondo me io non parlo
italiano? Non lo posso dire?

Che poi la mia situazione è la stessa di gran parte degli italiani. Anche tu
usi la sintassi e la morfologia dell'italiano (e più in generale tutto ciò
che si vede quando si scrive e si legge) con l'inventario fonologico dei
dialetti calabresi. Ad esempio usi solo cinque vocalic toniche, mentre
l'italiano ne ha sette. E per di più le tue cinque vocali non sono nemmeno
un sottoinsieme delle sette dell'italiano: sono proprio altre vocali.

Tutto questo significa che tu ed io *dovremmo* parlare diversamente
da come parliamo?

Ma per carità. L'ultima volta che mi è stato chiesto di fare un discorso in
standard li ho mandati a quel paese. A parte il fatto che per me sarebbe una
faticaccia, perché sono poco allenato (lo uso solo quando devo fare delle
interviste nell'Italia centrale, per non condizionare l'intervistato con la
mia pronuncia delle parole, e comunque si tratta per lo più di parole
isolate o frasi brevi), non vedo proprio perché *dovrei*.

Quello che non riesco a far capire in tutte queste discussioni (ma si vede
che non mi spiego bene) è che a me non interessa la parte *deontologica*
del discorso sulla lingua e metto al centro la parte *ontologica*. A me
interessa capire e spiegare com'è una lingua, non come dovrebbe essere.

Questo significa che secondo me ciò che si dice su una certa
lingua *non dovrebbe* mai includere una parte *deontologica*?
Cioè, io dico che *non si deve mai* dire ciò che *si deve*
o *non si deve* fare?

Ma per carita, non me lo sognerei nemmeno.

Solo che, al solito, a me interessa la parte ontologica, e quindi mi
interessa anche dire che cosa è quel discorso che dice cosa si deve
e non si deve dire, o scrivere.

Ora, se tu mi vieni a dire che non si deve scrivere "qual'è", che
discorso è quello che mi stai facendo?

È un discorso che attiene la linguistica? No, secondo me è un discorso che
attiene esclusivamente la sociolinguistica, perché non ho mai trovato
qualcuno che potesse dare fondamento a un "dover essere" senza fare
riferimento, in modo diretto (magari!) o indiretto e celato (quasi sempre,
purtroppo) agli aspetti sociali della lingua, e in sostanza ai rapporti di
forza in atto nella comunità in cui viviamo.

È vietato trasferire i rapporti di forza sociali nelle consuetudini della
lingua parlata da una certa comunità? Per carità, lo si fa continuamente, e
comunque non direi mai che non si deve fare. Solo che a me, quando si fa
quella cosa, piace dire che si sta facendo quella cosa. Ma quando cerco di
farlo succede sempre il finimondo.

E ora arrivi tu a dire che io mi meraviglio se uno pronuncia la "e" più
aperta e più chiusa. Che tu parli l'italiano con l'inventario fonologico dei
dialetti calabresi io me lo sono sempre immaginato, anche senza averti mai
conosciuto, l'ho detto molto prima che tu fossi disposto ad ammetterlo,
se tu non lo facessi mi meraviglierei (questo sì che mi meraviglierebbe!),
e comunque non verrei mai a dirti che *dovresti* usare un diverso
inventario fonologico.

Lo ripeto: datemi una definizione di "buon italiano" che risulti
indipendente dai rapporti di forza sociali in atto, e io cambierò la mia
tesi, ché tutte le altre considerazioni sono irrilevanti, e costituiscono
per lo più argomenti "ad personam".

«Pioggia, sei tu il primo a rompere le balle con la pronuncia delle vocali,
e poi ci vieni a dire che non ti piace la grammatica prescrittiva?».

Ma non è vero, e anche se fosse vero sarebbe comunque un argumentum
ad personam: resto in attesa di una definizione di "buon italiano" che
risulti indipendente dai rapporti di forza sociali in atto.

«Pioggia, sei paranoico perché pensi sempre che si sia dietro un
"gomblotto"!».

Ma quale complotto? Ma figuriamoci, ho dedicato metà della mia vita
a studiare i sistemi complessi, i processi di auto-organizzazione, le
strutture sociali che si producono al di fuori della consapevolezza dei
membri di una comunità, e mi metto a pensare che ci sia dietro un Vecchio
Sadico e Beffardo che si diverte a far sbagliare la povera gente? Se fosse
così sarebbe tutto più semplice, e comunque non mi interesserebbe, perché
quel tipo di struttura sociale lì, in cui c'è veramente qualcuno che può
imporre direttamente la sua volontà a tutti gli altri, è la cosa che mi
interessa di meno nella vita.

E comunque, anche se fosse vero che sono paranoico, questo resta un
argumentum ad personam: resto in attesa di una definizione di "buon
italiano" che risulti indipendente dai rapporti di forza sociali in atto.

--
Saluti.
D.




Fathermckenzie

unread,
Jul 20, 2015, 4:36:53 AM7/20/15
to
Il 20/07/2015 10:30, Davide Pioggia ha scritto:
> L'ultima volta che abbiamo discusso di questa cosa è nata una discussione
> perché io ho detto a Valerio che secondo me la lingua che parlo io
> abitualmente non è propriamente italiano. Bisognerebbe trovare un'altra
> definizione. Sono indeciso. Per certi versi si potrebbe parlare addirittura
> di pidgin, o di lingue creole settentrionali.
>
> Ora, sarò libero, parlando con Valerio, di dire che secondo me io non parlo
> italiano? Non lo posso dire?

Le grammatiche dovrebbero limitarsi a registrare che i parlanti italiani
pronunciano in maniera diversa, a seconda della provenienza, alcuni
fonemi (o tutti?).
Un sottile modo di marcare differenze di classe non è forse la
pronuncia, prima ancora della grammatica?

Fathermckenzie

unread,
Jul 20, 2015, 4:39:42 AM7/20/15
to
Il 20/07/2015 10:30, Davide Pioggia ha scritto:
> Ora, se tu mi vieni a dire che non si deve scrivere "qual'è", che
> discorso è quello che mi stai facendo?

Certo che a te non lo direi, sei abbastanza grande da scegliere. Io
scrivo "sé stesso" e guai a chi mi rompe le palle :-). Agli alunni, che
devono imparare un canone per poi decidere, una volta imparato, se
seguirlo o meno, faccio presente che la regola dice...

edi'®

unread,
Jul 20, 2015, 5:06:46 AM7/20/15
to
Il 20/07/2015 10.39, Fathermckenzie ha scritto:

> Agli alunni, che devono imparare un canone per poi decidere, una volta imparato, se
> seguirlo o meno, faccio presente che la regola dice...

Oh! Bene, qui sta la differenza... e ne parlavo giusto l'altro giorno
con le mie figlie, per questioni di /bon ton/ a tavola.
Chi conosce una regola ed è in grado di applicarla, ma decide di
trasgredirla, sapendo eventualmente motivare questa sua decisione, non
può essere confuso con l'ignorante che trasgredisce inconsapevolmente.

E.D.

Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 5:16:25 AM7/20/15
to
Fathermckenzie ha scritto:

> Certo che a te non lo direi, sei abbastanza grande da scegliere. Io
> scrivo "sé stesso" e guai a chi mi rompe le palle :-). Agli alunni,
> che devono imparare un canone per poi decidere, una volta imparato, se
> seguirlo o meno, faccio presente che la regola dice...

Ma se agli alunni non spieghi al contempo qual è la funzione sociale della
"regola" secondo me fai loro un pessimo servizio.

Uno potrebbe dire che i bambini sono troppo piccoli per capire queste cose.
Ora, se c'è una cosa che i bambini sanno bene è quali siano i terribili
rischi legati all'esclusione sociale. Prova a dire a un bambino: «Non fare
così, sennò i tuoi amici ti prendono in giro», e vedi se non capisce
benissimo quello che stai dicendo. Lo capisce meglio di te. Sappiamo che
alcuni bambini hanno compiuto dei gesti estemi per queste ragioni.

Sto dicendo che bisogna spiegare le "regole" della grammatica dicendo
ai bambini: «Non scrivete/dite così, sennò vi prendono in giro»?

No, dico solo che i bambini capiscono benissimo queste cose, e anzi potrebbe
essere una bellissima occasione per far loro qualche discorso sul problema
dell'inclusione e dell'esclusione sociale (ovviamente con una terminologia
adatta al loro livello culturale), visto che si parla tanto di "bullismo".

Perché potrebbero essere forme di "bullismo" anche certe intimidazioni a
suon di «non si dice/scrive così!», senza spiegazioni.

--
Saluti.
D.




Fathermckenzie

unread,
Jul 20, 2015, 5:19:37 AM7/20/15
to
Il 20/07/2015 11:16, Davide Pioggia ha scritto:
> Ma se agli alunni non spieghi al contempo qual è la funzione sociale della
> "regola" secondo me fai loro un pessimo servizio.

Facciamo questo e altro. L'anno scorso abbiamo inscenato "My fair lady"
e abbiamo parlato appunto di questa funzione sociale.

Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 5:47:25 AM7/20/15
to
edi'® ha scritto:

> Oh! Bene, qui sta la differenza... e ne parlavo giusto l'altro giorno
> con le mie figlie, per questioni di /bon ton/ a tavola.

A proposito di bon ton a tavola.

Tempo fa c'è stata una lunga discussione con alcuni amici, i quali
sostenevano che ormai nella nostra società non ci sono più tabù.

Io sostenevo che ce ne sono parecchi, e ne ho elencati diversi.
Ovviamente i tabù vanno sperimentati sul campo: bisogna trasgredirli
concretamente e vedere cosa succede, quanto e quale imbarazzo
si produce.

(Mi viene sempre in mente la situazione in cui si venne a trovare
Malinowski quando alle Trobriand sostenne con insistenza l'esistenza
d'una somiglianza fra un giovane e il suo padre biologico).

Fra i vari tabù da me proposti per la società italiana c'era quello che si
sarebbe attivato trovandosi a una cena di professionisti e cominciando
a chiedere con insistenza a ognuno quanto guadagna e come.

Ti posso assicurare che si crea un imbarazzo che si taglia col coltello.

Al che mi è stato ribadito che quella non era una questione di tabù,
ma era semplicemente maleducazione («Non si parla di soldi a tavola!»).

Ora, io sono convinto che dietro la parola "maleducazione", come dietro
l'espressione "buon italiano", o anche "volgare" eccetera ci sia qualcosa
che non si vuole dire, per cui la considero una conferma della mia tesi.
Ma anche qui si può procedere in modo sperimentale.

In un'altra circostanza sono riuscito, sempre a tavola, a indurre dei
professionisti a parlare delle loro fantasie incestuose per più d'un'ora,
senza che si creasse il minimo imbarazzo. Eppure, se c'è una cosa che
dovrebbe essere proprio "maleducata" è chiedere a uno, a tavola, delle sue
fantasie incestuose. Invece niente. D'altra parte la grande letteratura
borghese è piena zeppa di riferimenti più o meno espliciti all'incesto.
Basta fare qualche citazione colta, e (quasi) tutti partecipano volentieri.

Quindi per un certo strato sociale l'incesto non è "maleducazione",
invece i soldi lo sono.

Per dire del bon ton :-)

--
Saluti.
D.













*GB*

unread,
Jul 20, 2015, 5:52:45 AM7/20/15
to
Davide Pioggia ha scritto:

> Quindi per un certo strato sociale l'incesto non è "maleducazione",
> invece i soldi lo sono.

Credo piuttosto che nel primo caso essi percepissero il discorso
appunto come fantastico, mentre nel secondo caso come reale.

Bye,

*GB*

Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 5:58:57 AM7/20/15
to
*GB* ha scritto:

> Credo piuttosto che nel primo caso essi percepissero il discorso
> appunto come fantastico, mentre nel secondo caso come reale.

E come mai i professionisti anglosassoni parlano tranquillamente
di soldi a tavola?

Cos'è, i dollari sono "fantastici" e invece gli euri che girano
in Italia sono "reali"?

--
Saluti.
D.



*GB*

unread,
Jul 20, 2015, 6:06:00 AM7/20/15
to
Davide Pioggia ha scritto:

> E come mai i professionisti anglosassoni parlano tranquillamente
> di soldi a tavola?

Perché nei paesi anglosassoni chi fa soldi è un modello da ammirare
ed emulare, non un nemico da invidiare o odiare, mentre al contempo
chi ne ha di meno non è per questo automaticamente da disprezzare,
e inoltre si sentono in dovere di pagare le tasse, non di evaderle.

Bye,

*GB*

Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 6:12:57 AM7/20/15
to
*GB* ha scritto:

> Credo piuttosto che nel primo caso essi percepissero il discorso
> appunto come fantastico, mentre nel secondo caso come reale.

Aggiungo un altro controesempio, che ci viene fornito da quel poco
che è rimasto in Italia della civiltà contadina.

Non ti puoi permettere di sederti a una tavola di contadini(*) e parlare
liberamente delle fantasie incestuose. Anche se non tiri in ballo i
presenti, e ti esponi in prima persona, si crea un forte imbarazzo,
che presto vira verso l'aggressività.

Invece ricordo che una volta ho passato un bel po' di tempo a tavola, con un
contadino, a farmi spiegare per filo e per segno, davanti ai suoi famigliari
e ai suoi amici, quanto gli costava tenere la vigna e quanto riusciva a
ricavare. Anzi, era ben felice di parlarne, perché mi ha descritto tutto il
processo di produzione. Poi mi ha spiegato perché aveva abbandonato certe
coltivazioni, e anche qui giù con le cifre sui costi e sui ricavi.

A quanto pare la regola per cui «Non si parla di soldi a tavola!» non vale
per le tavole dei contadini. E ti posso assicurare che per i contadini i
soldi sono dannatamente "reali".

(*) Sto parlando della civiltà contadina, non dei laureati in lettere che
sono tornati alla campagna aprendo una casa vinicola. Né delle famiglie
inurbate d'origine contadina.

--
Saluti.
D.




Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 6:18:50 AM7/20/15
to
*GB* ha scritto:

> Perché nei paesi anglosassoni chi fa soldi è un modello da ammirare
> ed emulare, non un nemico da invidiare o odiare

E come mai nei paesi anglosassoni le classi subalterne accettano di essere
tali senza provare invidia o odio, ma provando invece ammirazione senso di
emulazione?

Qui ci infiliamo in un discorso che non finisce più. Senza partire per la
tangente, sei d'accordo se dico che anche la regola per cui «Non si parla
di soldi a tavola!» vale in certi contesti sociali particolari, ed è
determinata dai particolari rapporti sociali in atto?

Se mi limito a enunciala in generale, senza spiegare che vale qui e
ora, e perché vale qui e ora, ci risiamo daccapo.

--
Saluti.
D.



edi'®

unread,
Jul 20, 2015, 6:32:11 AM7/20/15
to
Il 20/07/2015 11.16, Davide Pioggia ha scritto:

> Ma se agli alunni non spieghi al contempo qual è la funzione sociale della
> "regola" secondo me fai loro un pessimo servizio.
>
> Uno potrebbe dire che i bambini sono troppo piccoli per capire queste cose.
> Ora, se c'è una cosa che i bambini sanno bene è quali siano i terribili
> rischi legati all'esclusione sociale. Prova a dire a un bambino: «Non fare
> così, sennò i tuoi amici ti prendono in giro», e vedi se non capisce
> benissimo quello che stai dicendo. Lo capisce meglio di te.

Stavamo parlando di regole ortografiche, e di solito un bambino viene
deriso per il suo aspetto fisico, per il suo modo di vestire, per
qualche suo difetto, o che viene percepito come tale dal suo gruppo di
appartenenza... difficilmente un bambino verrà deriso dai suoi pari
perché scrive "qual'è" o perché ha preso 4 in matematica.

Di solito più uno è ignorante (e un bambino lo è per forza) e più
apprezza una risposta secca, sì/no. Per iniziare a discettare sui perché
e i percome è necessario che ci sia una conoscenza della materia, almeno
a livello nozionistico.

Ho si scrive con l'H per distinguerlo da O congiunzione.
Una volta che il bambino avrà ben chiara questa regola, l'avrà
"metabolizzata" e non avrà problemi a distinguere il verbo, solo allora
si potrà iniziare a spiegargli i motivi etimologici di questa grafia.
Farlo troppo presto rischierebbe di causare confusione: per ragionare su
una regola è necessario che la stessa sia prima stata assimilata.

E.D.

*GB*

unread,
Jul 20, 2015, 6:42:12 AM7/20/15
to
Davide Pioggia ha scritto:

> Non ti puoi permettere di sederti a una tavola di contadini(*) e parlare
> liberamente delle fantasie incestuose. Anche se non tiri in ballo i
> presenti, e ti esponi in prima persona, si crea un forte imbarazzo,
> che presto vira verso l'aggressività.

Per l'ovvia ragione che il sospetto di relazioni incestuose poteva
essere relativamente plausibile presso di loro, costretti a vivere
isolati e senza relazioni sociali fuori dalla cerchia familiare.

Bye,

*GB*

*GB*

unread,
Jul 20, 2015, 6:49:20 AM7/20/15
to
Davide Pioggia ha scritto:

> E come mai nei paesi anglosassoni le classi subalterne accettano di essere
> tali senza provare invidia o odio, ma provando invece ammirazione senso di
> emulazione?

Perché da loro c'è o c'era una maggiore mobilità sociale verticale,
per cui anche uno Steve Jobs poteva diventare multimiliardario
con la sua inventiva invece che con le conoscenze giuste (che
sono importanti anche da loro, intendiamoci, ma non al livello
di favoritismo esclusivo e antimeritocratico che c'è da noi).

> sei d'accordo se dico che anche la regola per cui «Non si parla
> di soldi a tavola!» vale in certi contesti sociali particolari, ed è
> determinata dai particolari rapporti sociali in atto?

Sì, sono d'accordo. Ma ciò vale un po' per tutto.

Bye,

*GB*

Davide Pioggia

unread,
Jul 20, 2015, 7:10:23 AM7/20/15
to
*GB* ha scritto:

> Perché da loro c'è o c'era una maggiore mobilità sociale verticale,
> per cui anche uno Steve Jobs poteva diventare multimiliardario...

Benissimo. Allora qui noi stiamo dicendo che la regola del bon ton secondo
la quale «Non si parla di soldi a tavola!» (un mio amico, figlio di un noto
professionista, mi ha raccontato che da piccolo si è preso un ceffone per
questo motivo) gira e rigira significa: «Bambini, chi è dentro è dentro, chi
è fuori è fuori, e siccome noi siamo dentro, di queste cose non parliamo».

--
Saluti.
D.



Patrizio

unread,
Jul 20, 2015, 7:23:41 AM7/20/15
to
Il giorno sabato 18 luglio 2015 11:10:39 UTC+2, Davide Pioggia ha scritto:
> edevils ha scritto:
>
> > è un errore?
> > Così pare sostenere un blog linguistico.
>
> "che" sta per "quale", per cui la costruzione più facile da analizzare
> è quella in cui è seguito da un sostantivo: "che uomo!", come a dire
> "quale uomo!".
>
> Se il sostantivo non c'è, è semplicemente sottinteso dal contesto.
> "che bello!": se lo dice una signora davanti a un uomo (oppure se il
> contesto chiarisce che la signora sta parlando di un uomo) sta per
> "che bell'uomo!".

Oltre al sottinteso 'è anche il "bello" neutro (sostantivato):

"fare tutto questo [così e cosà]: che bello!"

A livello di significato sarebbe come dire "che bella cosa", ma in
italiano non sentiamo dire "che bella" in quel contesto senza far
seguire il nome "cosa" o quel che è. Si potrebbe pensare che la
forma maschile sia più adatta a sostituire un neutro mancante.
Se ciò è vero, il maschile dovrebbe essere percepito come meno
sessualmente caratterizzante, in italiano, di quanto lo sia il
femminile.
Però, si può anche dire "che bellezza" e mi pare che non ci sia
una differenza sostanziale. Si potrebbe tuttavia ribattere che
"-ezza" già rende astratto quel nome (siamo quindi almeno vicini
ad un neutro di sostanza) e che il fatto che "bellezza" sia
morfologicamente femminile debba essere quindi un accidente.

Spunti per chi ne sa più di me, eh

Ciao
Patrizio

Klaram

unread,
Jul 20, 2015, 8:52:01 AM7/20/15
to
Dopo dura riflessione, Davide Pioggia ha scritto :


> Quello che non riesco a far capire in tutte queste discussioni (ma si vede
> che non mi spiego bene) è che a me non interessa la parte *deontologica*
> del discorso sulla lingua e metto al centro la parte *ontologica*. A me
> interessa capire e spiegare com'è una lingua, non come dovrebbe essere.
>
> Questo significa che secondo me ciò che si dice su una certa
> lingua *non dovrebbe* mai includere una parte *deontologica*?
> Cioè, io dico che *non si deve mai* dire ciò che *si deve*
> o *non si deve* fare?
>
> Ma per carita, non me lo sognerei nemmeno.
>
> Solo che, al solito, a me interessa la parte ontologica, e quindi mio
> interessa anche dire che cosa è quel discorso che dice cosa si deve
> e non si deve dire, o scrivere.

Io invece credo che a questo punto abbiamo capito benissimo, tu non
neghi la necessità della norma, ma dai una grandissima importanza
all'aspetto sociologico della norma. Non linguistico, perché non ti
limiti a contestare certi eccessi su cui concordiamo più o meno tutti,
ma, anche per la veemenza con cui talvolta ti esprimi, sembra quasi che
per te la norma abbia la sola funzione, o almeno la funzione
prevalente, di disciminante sociale.

Sappiamo bene che la lingua, in una società stratificata, ha avuto, e
ha tuttora, una anche una funzione di discriminante sociale, come
l'hanno le convenzioni dei comportamenti, del vestire, ecc., diciamo
che quasi tutto, a volte grossolanamente, a volte molto sottile, può
avere funzione discriminatoria.

Ma, quando uno mi spiega perché il "che" esclamativo sta bene con un
sostantivo e non con un aggettivo, oppure perché "qual è" non va
apostrofato, io posso condividere o meno, ma sempre e solo
linguisticamente. Il problema della discriminazione sociale non mi
viene neanche in mente.
Per te invece sembra essere l'aspetto principale.


> Ora, se tu mi vieni a dire che non si deve scrivere "qual'è", che
> discorso è quello che mi stai facendo?
>
> È un discorso che attiene la linguistica? No, secondo me è un discorso che
> attiene esclusivamente la sociolinguistica, perché non ho mai trovato
> qualcuno che potesse dare fondamento a un "dover essere" senza fare
> riferimento, in modo diretto (magari!) o indiretto e celato (quasi sempre,
> purtroppo) agli aspetti sociali della lingua, e in sostanza ai rapporti di
> forza in atto nella comunità in cui viviamo.

Che cosa significa?

Se studiamo una lingua elitaria fin che si vuole, come l'italiano, la
sua storia, la sua letteratura, nel momento in cui la studiamo, "qual
è" con apostrofo o senza apostrofo, è un problema linguistico, non
sociale.


> È vietato trasferire i rapporti di forza sociali nelle consuetudini della
> lingua parlata da una certa comunità? Per carità, lo si fa continuamente, e
> comunque non direi mai che non si deve fare. Solo che a me, quando si fa
> quella cosa, piace dire che si sta facendo quella cosa. Ma quando cerco di
> farlo succede sempre il finimondo.

Ma non puoi mettere in discussione ogni singola affermazione tirando
sempre in ballo i rapporto tra le classi sociali.

Quando abbiamo parlato di "sé" e "se stesso", abbiamo detto che non
c'era una giustificazione sufficiente, e infatti qualcuno scrive "sé
stesso" altri continuano con "se stesso" per consapevole abitudine, ed
è finita lì. A me sembra più una tavanata che una discriminazione.

Ma, se vogliamo parlare dell'aspetto sociale della lingua, della sua
funzione caratterizzante e dell'uso discriminatorio che,
consapevolmente o inconsapevolmente, ne è stato fatto, allora apriremmo
un capitolone enorme, ma è un altro aspetto. Secondo me.

k

ADPUF

unread,
Jul 20, 2015, 4:08:30 PM7/20/15
to
*GB* 11:19, domenica 19 luglio 2015:
> *GB* ha scritto:
>
>> Basta una transizione "quam" > "quem" per passare da "Quam
>> pulchrum!" a "Che bello!". Scommetterei che è avvenuta prima
>> dell'anno Mille.
>
> Sì... ecco come può essere successa: per attrazione
> dall'ambiguità morfologico-sintattica del femminile "Quam
> pulchram!", dove "quam" è stato percepito come il femminile
> di "quem".


Quam, quem, saranno state diatribe romagnole.
:-)


--
AIOE ³¿³

edevils

unread,
Jul 21, 2015, 1:12:03 PM7/21/15
to
On Monday, July 20, 2015 at 11:16:25 AM UTC+2, Davide Pioggia wrote:

> Ma se agli alunni non spieghi al contempo qual è la funzione sociale della
> "regola" secondo me fai loro un pessimo servizio.


A parte il rischio di confondere le idee - quando impari a nuotare ti concentri
anzituto sul non annegare, solo dopo pensi al come, quando e perché si nuota -
sulla funzione sociale ci possono essere teorie diverse, come già si nota
dalla nostra piccola discussione.
Parrebbe che per te sia solo un modo di imporre un potere precostituito.
Per me le regole sono molte cose, e non solo sociali.
Anche dal punto di vista sociale, c'è molto più sotto il sole del "comando".
Codici diversi servono per riconoscersi in diverse identità, per esempio
ai ragazzi per differenziarsi dagli adulti. Quindi strumento di ribellione,
altro che "commando" sempre subìto! O ai fighetti per distinguersi dai nerd.
Ai paesani del borgo di sotto per distinguersi dal borgo di sopra.
I medici dai pazienti.

E' ovvio che la capacità di inventare e modificare i codici presuppone
una certa capacità di farlo, l'esplicarsi di un'influenza, ed entrano
in gioco anche i rapporti di potere, per cui per esempio quell che si dice
a Roma o a Milano conta 100 sulla lingua italiana, a Canicattì e Roccasecca
magari conta 1,
ma la forza di ideare nuovi codici non sempre coincide col potere
precostituito, a maggior ragione nella nostra società di massa dove diecimila
tweet pesano più di un'articolo della Treccani, e la "lingua media"
non appartiene più a pochi eletti ma a una diffusa classe media.
Non per negare che esistano squilibri di potere nelle mani di alcuni e non
di altri, circoli più influenti e altri tagliati fuori, come nei tuoi esempi
il funzionario statale che giudica sui concorsi e il povero concorrente
che deve subire in silenzio, ma lo stesso potere statale, nelle nostre
società bene o male democratiche, deriva in fondo dal consenso popolare,
quello economico dal "consenso" delle scelte di acquisto e di investimento di tanti, e quello social-culturale da ancora altri fattori.



> Uno potrebbe dire che i bambini sono troppo piccoli per capire queste cose.
> Ora, se c'è una cosa che i bambini sanno bene è quali siano i terribili
> rischi legati all'esclusione sociale. Prova a dire a un bambino: «Non fare
> così, sennò i tuoi amici ti prendono in giro», e vedi se non capisce
> benissimo quello che stai dicendo. Lo capisce meglio di te. Sappiamo che
> alcuni bambini hanno compiuto dei gesti estemi per queste ragioni.
>
> Sto dicendo che bisogna spiegare le "regole" della grammatica dicendo
> ai bambini: «Non scrivete/dite così, sennò vi prendono in giro»?
>
> No, dico solo che i bambini capiscono benissimo queste cose, e anzi potrebbe
> essere una bellissima occasione per far loro qualche discorso sul problema
> dell'inclusione e dell'esclusione sociale (ovviamente con una terminologia
> adatta al loro livello culturale), visto che si parla tanto di "bullismo".
>
> Perché potrebbero essere forme di "bullismo" anche certe intimidazioni a
> suon di «non si dice/scrive così!», senza spiegazioni.


Si possono fare molti discorsi interessanti anche ai bambini, certo, ma
senza farne uno zibaldone che distolga dall'Abc e dalle tabelline.
Non vorrei che le chiacchiere sociologiche prendessero il sopravvento prima
del tempo.

posi

unread,
Jul 23, 2015, 12:38:40 PM7/23/15
to
Il 19/07/15 11.37, Maurizio Pistone ha scritto:
> edevils <use_reply...@devils.com> wrote:
>
>> è un errore?
>>
>> Così pare sostenere un blog linguistico.
>
> ne è nata una lunghissima discussione, con parecchi che intervengono
> come se il divieto di "che bello!" fosse una qualche "regola"
> grammaticale, e non l'improvvisata di un "Esperto in Gestione delle
> Situazioni Critiche"
>

La discussione, però, non riguarda la correttezza di "che bello" né
l'autorevolezza dell'esperto in questione, ma se ragionamenti logici,
razionali, filosofici, più o meno discutibili o condivisi, possano
decretare come "sbagliato" ciò che esiste e che viene concretamente
osservato dai nostri sensi.
In altre parole, è un dibattito di epistemologia.
Si sta discutendo sulla scientificità della linguistica.

Personalmente ritengo che la linguistica sia una scienza a tutti gli
effetti, quindi i ragionamenti di Pioggia sono più che legittimi. Però
ho l'impressione che in Italia ci sia una certa opposizione
all'approccio scientifico, soprattutto in materie tradizionalmente
considerate umanistiche come questa.

posi

unread,
Jul 23, 2015, 1:51:33 PM7/23/15
to
Il 19/07/15 13.14, Davide Pioggia ha scritto:
> «Devi scrivere "qual è" perché ci sono delle persone importanti che hanno
> deciso di fare così. Se un giorno anche tu diventerai tanto importante da
> poter dettare legge, potrai decidere che si scrive "qual'è". Nel frattempo
> se scrivi "qual'è" ti metti contro della gente che è più forte di te. Vedi
> un po' tu se ti conviene».
>

Tempo fa, proprio in questo gruppo, ho fatto notare come l'uso del forma
"qual'è" con l'apostrofo rispetto a quella senza apostrofo è andato
gradualmente aumentando fino a raggiungere un massimo negli anni
1910-1950 in cui era nettamente prevalente (70%), poi è tornato ad
abbassarsi fino quasi a scomparire.

edevils

unread,
Jul 23, 2015, 3:06:59 PM7/23/15
to
Quali sono quelle "persone importanti" e "più forti" (fisicamente?
militarmente? economicamente?) che dal Dopoguerra ci hanno imposto
di scrivere "qual è"?
Di quali arbitraria direttiva di ministri e alti dirigenti statali è il frutto?


Se invece l'evoluzione di cui parli fosse il risultato di una sorta di
crowdwsourcing di scrittori, giornalisti, tipografi, linguisti, studiosi,
maestri... alcuni più autorevoli, altri meno, che hanno modificato la
convenzione grafica, in un processo partecipato non dico "dal basso" (ché
ancora non c'era Google) ma da un livello medio, di "basso clero" e "popolo
grasso" per così dire, non obbedendo a ordini superiori ma per spontanea e
intima convinzione, allora la teoria di Pioggia sui "potenti" che dettano
regole senza altra legittimazione che il potere medesimo di chi le detta...
verrebbe un po' meno.

A meno di non far coincidere "più forti" con qualsiasi agente che abbia
una qualche influenza, da solo o in gruppo. Allora anche il granello di sabbia
è "forte" e alla fine ridisegna la costa marittima.

posi

unread,
Jul 23, 2015, 3:55:19 PM7/23/15
to
Il 23/07/15 21.06, edevils ha scritto:
> On Thursday, July 23, 2015 at 7:51:33 PM UTC+2, posi wrote:
>> Il 19/07/15 13.14, Davide Pioggia ha scritto:
>>> «Devi scrivere "qual è" perché ci sono delle persone importanti che hanno
>>> deciso di fare così. Se un giorno anche tu diventerai tanto importante da
>>> poter dettare legge, potrai decidere che si scrive "qual'è". Nel frattempo
>>> se scrivi "qual'è" ti metti contro della gente che è più forte di te. Vedi
>>> un po' tu se ti conviene».
>>>
>>
>> Tempo fa, proprio in questo gruppo, ho fatto notare come l'uso del forma
>> "qual'è" con l'apostrofo rispetto a quella senza apostrofo è andato
>> gradualmente aumentando fino a raggiungere un massimo negli anni
>> 1910-1950 in cui era nettamente prevalente (70%), poi è tornato ad
>> abbassarsi fino quasi a scomparire.
>
>
> Quali sono quelle "persone importanti" e "più forti" (fisicamente?
> militarmente? economicamente?) che dal Dopoguerra ci hanno imposto
> di scrivere "qual è"?
> Di quali arbitraria direttiva di ministri e alti dirigenti statali è il frutto?
>

In realtà volevo solo esporre dei dati di fatto. L'unica spiegazione che
ho ipotizzato riguarda l'ascesa fino al 1910, per la discesa non saprei,
ma potrebbe anche essere solo una questione di moda.

> Se invece l'evoluzione di cui parli fosse il risultato di una sorta di
> crowdwsourcing di scrittori, giornalisti, tipografi, linguisti, studiosi,
> maestri... alcuni più autorevoli, altri meno, che hanno modificato la
> convenzione grafica, in un processo partecipato non dico "dal basso" (ché
> ancora non c'era Google) ma da un livello medio, di "basso clero" e "popolo
> grasso" per così dire, non obbedendo a ordini superiori ma per spontanea e
> intima convinzione, allora la teoria di Pioggia sui "potenti" che dettano
> regole senza altra legittimazione che il potere medesimo di chi le detta...
> verrebbe un po' meno.
>

Non si tratta di misteriosi potenti che impongono crudelmente le loro
idee. I condizionamenti sociali avvengono in tanti modi. Può essere
anche che io sia spinto ad imitare un'altra persona solo perché è bella,
simpatica, ricca, ha un bel giro di conoscenze e parlando come lei
riesco ad entrare nel suo giro, senza che lei mi abbia voluto imporre
niente, e forse senza nemmeno che io abbia una piena consapevolezza di
questa influenza.

> A meno di non far coincidere "più forti" con qualsiasi agente che abbia
> una qualche influenza, da solo o in gruppo. Allora anche il granello di sabbia
> è "forte" e alla fine ridisegna la costa marittima.
>

Se il granello di sabbia pensasse di essere "forte" e di poter
ridisegnare la cosa marittima e che il suo piccolo contributo dipenda
dal suo libero arbitrio e non dalle onde che lo sbattono di qua o di là
si illuderebbe.




edevils

unread,
Jul 24, 2015, 7:11:49 AM7/24/15
to
On Thursday, July 23, 2015 at 9:55:19 PM UTC+2, posi wrote:
> Il 23/07/15 21.06, edevils ha scritto:
> > On Thursday, July 23, 2015 at 7:51:33 PM UTC+2, posi wrote:
> >> Il 19/07/15 13.14, Davide Pioggia ha scritto:
> >>> «Devi scrivere "qual è" perché ci sono delle persone importanti che hanno
> >>> deciso di fare così. Se un giorno anche tu diventerai tanto importante da
> >>> poter dettare legge, potrai decidere che si scrive "qual'è". Nel frattempo
> >>> se scrivi "qual'è" ti metti contro della gente che è più forte di te. Vedi
> >>> un po' tu se ti conviene».
> >>>
> >>
> >> Tempo fa, proprio in questo gruppo, ho fatto notare come l'uso del forma
> >> "qual'è" con l'apostrofo rispetto a quella senza apostrofo è andato
> >> gradualmente aumentando fino a raggiungere un massimo negli anni
> >> 1910-1950 in cui era nettamente prevalente (70%), poi è tornato ad
> >> abbassarsi fino quasi a scomparire.
> >
> >
> > Quali sono quelle "persone importanti" e "più forti" (fisicamente?
> > militarmente? economicamente?) che dal Dopoguerra ci hanno imposto
> > di scrivere "qual è"?
> > Di quali arbitraria direttiva di ministri e alti dirigenti statali è il frutto?
> >
>
> In realtà volevo solo esporre dei dati di fatto. L'unica spiegazione che
> ho ipotizzato riguarda l'ascesa fino al 1910, per la discesa non saprei,
> ma potrebbe anche essere solo una questione di moda.

Certo, gli aspetti meramente grafici sono più soggetti alle mode
di altre regole più "hard".
Tuttavia Pioggia scriveva che secondo lui "qual'è" è "più sensato".
Quindi può anche darsi che dietro alcune scelte grafiche ci siano ragionamenti
in un senso o nell'altro, non il mero arbitrio.


>
> > Se invece l'evoluzione di cui parli fosse il risultato di una sorta di
> > crowdwsourcing di scrittori, giornalisti, tipografi, linguisti, studiosi,
> > maestri... alcuni più autorevoli, altri meno, che hanno modificato la
> > convenzione grafica, in un processo partecipato non dico "dal basso" (ché
> > ancora non c'era Google) ma da un livello medio, di "basso clero" e "popolo
> > grasso" per così dire, non obbedendo a ordini superiori ma per spontanea e
> > intima convinzione, allora la teoria di Pioggia sui "potenti" che dettano
> > regole senza altra legittimazione che il potere medesimo di chi le detta...
> > verrebbe un po' meno.
> >
>
> Non si tratta di misteriosi potenti che impongono crudelmente le loro
> idee. I condizionamenti sociali avvengono in tanti modi. Può essere
> anche che io sia spinto ad imitare un'altra persona solo perché è bella,
> simpatica, ricca, ha un bel giro di conoscenze e parlando come lei
> riesco ad entrare nel suo giro, senza che lei mi abbia voluto imporre
> niente, e forse senza nemmeno che io abbia una piena consapevolezza di
> questa influenza.

Quindi non c'è solo "chi comanda" e "chi obbedisce" per paura di passare per
ignorante, come pareva sostenere il Pioggia, ma una normale influenza sociale
con i suoi mille rivoli, oggi più che mai complessi in una società
della comunicazione di massa telematica dove anche gli "imbecilli" hanno la
parola, per dirla con la trombonesca espressione di Eco.
Magari a lanciare la nuova moda è il tweet scritto da un dodicenne, rilanciato da adulti che vorrebbero sentirsi giovani. Poi la cosa finisce sul Treccani
e il cerchio si chiude.

E non è neanch escluso che all'origine di alcuni cambiamenti ci possa essere
un ragionamento da parte di alcuni (chessò, "addetti ai lavori" della lingua),
se è vero che alcune scelte paiono "più sensate" e altre meno.

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