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"Il trentesimo anno" di Ingeborg Bachmann

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Simone Silvestri

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Feb 7, 2002, 10:45:05 AM2/7/02
to
"Vecchio rigattiere dell'identità! Cosa mai hai visto e riconosciuto, tu,
valoroso dottore in tautologia? Di', cos'hai riconosciuto lungo il margine
di questa nuova strada? Un anche-albero, ovvero, un quasi-albero, non è
così? E ora metti assieme tutto il tuo latino per un'epistola al vecchio
Linneo? Procurati piuttosto un paio d'occhi dal profondo della tua anima e
piantali all'altezza del tuo petto: allora comprenderai ciò che qui accade"
(Paul Celan "Edgar Jenè e il sogno del sogno")

A Ingeborg Bachmann ci sono arrivato sempre "dopo". Dopo aver letto del
viaggio di Uwe Johnson a Klagenfurt (città natale della Bachmann e, tanto
per dirne una, di Robert Musil), in Carinzia, nei giorni immediatamente
successivi alla sua morte; dopo aver letto da qualche parte la
commemorazione di un'amica scritta da Thomas Bernhard; dopo aver letto la
cronaca del viaggio "in gennaio" compiuto da Pier Tondelli a Klagenfurt in
cerca di lei; dopo aver letto che Ingeborg Bachmann é stata ospite della
Fondazione Ford a Berlino nello stesso periodo di un rientrante Witold
Gombrowicz.
Poi sapevo che era morta a Roma. Si era addormentata con la sigaretta accesa
ed era "bruciata" nel letto, 1973. Amava l'Italia.

In questi giorni mi è capitato di leggere un suo famoso racconto, "Il
trentesimo anno". Un racconto di confine, ma di un confine esistenziale che
coincide col dato anagrafico. Trent'anni; il protagonista (di cui non
sappiamo il nome) ci arriva inconsapevole, come se tutta la vita vissuta
fino ad allora fosse stata un prolungamento della fanciullezza.
Il protagonista percorre gli anni in un farsi di esperienze, studi,
spostamenti e li avverte dentro di sè come una continua potenzialità verso
qualcosa che accadrà più avanti, in una maturazione (una pienezza, quasi) di
cui non percepisce i contorni. Gode dell'indeterminatezza della gioventù che
sembra procedere per sempre.

Poi la cesura dei trent'anni: "E la mattina di un giorno che poi scorderà si
sveglia e, tutt'a un tratto, rimane lì steso senza riuscire ad alzarsi(...)
Quando riprende conoscenza e tremando ritorna in sé, quando riacquista forma
e ridiventa una persona che ha fretta d'alzarsi e uscire alla luce del
giorno, allora scopre dentro di sé una nuova meravigliosa facoltà. La
facoltà di ricordare. Non gli capita più, come sino a quel momento, di
ricordare questo o quello quando meno se l'aspetta o perché lo desideri, ma
é piuttosto una necessità dolorosa quella che lo costringe a ricordare
tutti i suoi anni, quelli lievi e quelli travagliati, e tutti i luoghi in
cui dove in quegli anni aveva abitato."

La dimensione del ricordo che diventa necessità é un passo importante del
passaggio da quella che chiamiamo giovinezza a quella che si potrebbe
definire maturità. Ricordare momenti della propria esistenza che, con
improvviso sgomento, si rilevano come appartenenti ad un'età che genera
rimpianto.
Simbolicamente in questo racconto Ingeborg Bachmann fa risalire questo punto
di rottura ai trent'anni, ma ovviamente ognuno avrà il proprio, ognuno sa
quando.
Anche se i trent'anni sono una tappa importante, che dà luogo ad una ben
precisa categoria generazionale (gli esperti di marketing la tengono ben
presente), che dà luogo ai primissimi bilanci. I miei trent'anni ad esempio
me li sono visti passare davanti alla faccia come un treno in corsa, ho
lasciato la mia città per un certo periodo, ho fatto un altro lavoro che non
sapevo, all'inizio, nemmeno da che parte prendere. Tutto questo sembrava
sgorgasse dai trent'anni che arrivavano, come se questo comportasse
automaticamente un cambio di prospettive, anche un po' traumatico se
vogliamo.

Per il protagonista del racconto questo cambio di prospettive si configura
come uno strappo violento. Parte, lascia la sua città austriaca, si butta
nell'estate italiana, anzi si rintana nell'estate italiana poichè fa di
tutto per sfuggire chi lo cerca, lo invita. Dorme fino a tardi e cammina poi
tra le tombe etrusche. E all'interno di questo è tutto un dipanare ricordi,
delle amicizie infide, degli amori sbagliati. Ricorda di quando la sua mente
spaccava problemi e tutto gli pareva possibile.

"Io, questo fascio di riflessi, questa volontà ben addestrata. io nutrito
con le scorie della storia, con le scorie delle pulsioni e degli istinti. Io
con un piede nella natura selvaggia e l'altro sulla strada maestra che
conduce all'eternà civiltà. Io impenetrabile, miscuglio di tutti i
materiali, infeltrito, insolubile e tuttavia facile da togliere di mezzo con
un colpo alla nuca. Io fatto di silenzio, ridotto al silenzio..."

Il tour de force emotivo si compie con un amore infelice, il confronto,
nella sua Austria, con le figure (che hanno tutte lo stesso nome, Moll) di
ciò che i suoi amici di gioventù sono diventati nell'età adulta. A questo
segue un ulteriore viaggio in Italia nel quale rimane senza soldi al punto,
dopo tanti anni, da dover chiedere l'aiuto del padre per rientrare in
patria. ma un incidente stradale da cui si salva per miracolo lo pilota alla
fine dell'anno dei trent'anni. Il protagonista esce dall'anno come da una
porta aperta, come sa passasse improvvisamente risanato in un'altra stanza.

D'altronde capita nella vita di vedersi imperversati da stati d'animo
negativi, ossessivi, per poi ritrovarsi improvvisamente un giorno liberi,
quasi stupiti di come ci si sentiva, fino a ieri, schiavi di qualcosa di cui
non si ha più un'idea precisa. E si respira di sollievo, e si ride di se
stessi per quanto si è stati pirla a sentirsi così...in rapporto a chi? a
cosa?
La chiusa del racconto, col protagonista che esce dall'ospedale ("Ti dico:
alzati e cammina! Non hai un solo osso rotto") mi ricorda quella di "Un
certain sourire" di Francoise Sagan, quando la protagonista dice a se
stessa, suppergiù: "ero solo una ragazza che ha vissuto una passione, non è
il caso di fare tante smorfie".

Il linguaggio della Bachmann è percussivo, teso ad incanalare una sorta di
diario interiore, di flusso di coscienza. Ma questo linguaggio non ha
impennate sperimentali, rispetta punteggiatura e sintassi, è insieme libero
e sorvegliato...quasi come il protagonista, che dopo il travaglio si avvia a
diventare, forse, l'intellettuale integrato di cui si sarebbe chiacchierato
in quegli anni (il libro è del 1961).

Inchino.
"Debbo riferire alcune parole da me udite nel profondo dei mari, là dove
tanto si tace e tanto accade. Ho aperto una breccia nei muri e nelle remore
della realtà e mi sono trovato dinanzi allo specchio del mare. Dovetti
attendere un poco, prima che esso si fendesse e io potessi penetrare il
grande cristallo del mondo interiore. Avevo sopra di me la grande stella
inferiore degli scopritori insaziati".
(Paul Celan, come sopra)

--
Non amo i manoscritti arrotolati.
Alcuni sono pesanti e inzafardati dal tempo,
come tromba d'arcangelo.
(Osip Mandel'stam)

Paola

unread,
Feb 7, 2002, 4:49:44 PM2/7/02
to
"Simone Silvestri" <nuot...@infinito.it> wrote in message news:<a3u7d8$19iumj$1...@ID-120944.news.dfncis.de>...

>
> A Ingeborg Bachmann ci sono arrivato sempre "dopo". Dopo aver letto del
> viaggio di Uwe Johnson a Klagenfurt (città natale della Bachmann e, tanto
> per dirne una, di Robert Musil), in Carinzia, nei giorni immediatamente
> successivi alla sua morte; dopo aver letto da qualche parte la
> commemorazione di un'amica scritta da Thomas Bernhard; dopo aver letto la
> cronaca del viaggio "in gennaio" compiuto da Pier Tondelli a Klagenfurt in
> cerca di lei; dopo aver letto che Ingeborg Bachmann é stata ospite della
> Fondazione Ford a Berlino nello stesso periodo di un rientrante Witold
> Gombrowicz.
> Poi sapevo che era morta a Roma. Si era addormentata con la sigaretta accesa
> ed era "bruciata" nel letto, 1973. Amava l'Italia.
>

"Venga la morte. Venga la morte, lei sola, solo lei. Con nessun altro
posso starmene qui sola.....
...sono in un deserto che è circondato da attese infrante di Dio. Dio
non verrà, sarà troppo tardi, non solo a Hurghada. Là, dove il tempo
è immobile, anche là non verrà. E neppure dove i pesci imputridiscono.
Niente verrà. Ma in verità vi dico, nel deserto, qui un tempo deve
esserci stato Dio"
I. Bachmann "libro del deserto" Cronopio

la incontrai per caso leggendo una raccolta di poesie, la sua mi
incatenò. "la bufera di rose" è ancora la mia poesia preferita ma col
tempo ho imparato a conoscere anche i suoi scritti...
mi permetto di segnalarti, se non l'hai già letto, questo libro che
racchiude stralci tratti dai suoi ultimi scritti e pubblicati solo di
recente.

Paola

Mattia Signorini

unread,
Feb 7, 2002, 7:07:57 PM2/7/02
to
Simone Silvestri scrive:

In questi giorni mi è capitato di leggere un suo famoso racconto, "Il
trentesimo anno".

Mattia, provocato, risponde:

Inutile specificare che è il racconto che ha ispirato Pier Vittorio Tondelli
per scrivere Camere Separate...

MS


prufrock

unread,
Feb 7, 2002, 9:55:45 PM2/7/02
to

"Simone Silvestri" <nuot...@infinito.it> ha scritto

cut


> In questi giorni mi è capitato di leggere un suo famoso racconto, "Il
> trentesimo anno". Un racconto di confine, ma di un confine esistenziale
che
> coincide col dato anagrafico. Trent'anni; il protagonista (di cui non
> sappiamo il nome) ci arriva inconsapevole, come se tutta la vita vissuta
> fino ad allora fosse stata un prolungamento della fanciullezza.
> Il protagonista percorre gli anni in un farsi di esperienze, studi,
> spostamenti e li avverte dentro di sè come una continua potenzialità verso
> qualcosa che accadrà più avanti, in una maturazione (una pienezza, quasi)
di
> cui non percepisce i contorni. Gode dell'indeterminatezza della gioventù
che
> sembra procedere per sempre.

E' una castroneria o c'è qualche assonanza colla shadow line conradiana ?


> La dimensione del ricordo che diventa necessità é un passo importante del
> passaggio da quella che chiamiamo giovinezza a quella che si potrebbe
> definire maturità. Ricordare momenti della propria esistenza che, con
> improvviso sgomento, si rilevano come appartenenti ad un'età che genera
> rimpianto.


> Simbolicamente in questo racconto Ingeborg Bachmann fa risalire questo
punto
> di rottura ai trent'anni, ma ovviamente ognuno avrà il proprio, ognuno sa
> quando.
> Anche se i trent'anni sono una tappa importante, che dà luogo ad una ben
> precisa categoria generazionale (gli esperti di marketing la tengono ben
> presente), che dà luogo ai primissimi bilanci. I miei trent'anni ad
esempio
> me li sono visti passare davanti alla faccia come un treno in corsa, ho
> lasciato la mia città per un certo periodo, ho fatto un altro lavoro che
non
> sapevo, all'inizio, nemmeno da che parte prendere. Tutto questo sembrava
> sgorgasse dai trent'anni che arrivavano, come se questo comportasse
> automaticamente un cambio di prospettive, anche un po' traumatico se
> vogliamo.

Sono sempre molte interessanti queste "intersecazioni" fra la pagina
scritta, il tuo vissuto e quello collettivo : leggendoti, si ha la
sensazione che per te letteratura e vita servano a chiarirsi reciprocamente.


>
> D'altronde capita nella vita di vedersi imperversati da stati d'animo
> negativi, ossessivi, per poi ritrovarsi improvvisamente un giorno liberi,
> quasi stupiti di come ci si sentiva, fino a ieri, schiavi di qualcosa di
cui
> non si ha più un'idea precisa. E si respira di sollievo, e si ride di se
> stessi per quanto si è stati pirla a sentirsi così...in rapporto a chi? a
> cosa?
> La chiusa del racconto, col protagonista che esce dall'ospedale ("Ti dico:
> alzati e cammina! Non hai un solo osso rotto") mi ricorda quella di "Un
> certain sourire" di Francoise Sagan, quando la protagonista dice a se
> stessa, suppergiù: "ero solo una ragazza che ha vissuto una passione, non
è
> il caso di fare tante smorfie".

ma, sul medesimo tema, c'era anche quella poesia di Brecht " Le grucce"...la
conosci ?
>

> Inchino.
> "Debbo riferire alcune parole da me udite nel profondo dei mari, là dove
> tanto si tace e tanto accade. Ho aperto una breccia nei muri e nelle
remore
> della realtà e mi sono trovato dinanzi allo specchio del mare. Dovetti
> attendere un poco, prima che esso si fendesse e io potessi penetrare il
> grande cristallo del mondo interiore. Avevo sopra di me la grande stella
> inferiore degli scopritori insaziati".
> (Paul Celan, come sopra)

doppio inchino.


linnio.

Simone Silvestri

unread,
Feb 8, 2002, 5:18:19 AM2/8/02
to
"prufrock"

> E' una castroneria o c'è qualche assonanza colla shadow line conradiana ?

Tutt'altro..hai detto bene. Secondo Conrad oltre la "shadow line" si
diventa uomini. La differenza forse é che l'uomo della Bachmann, quello
che oltrepassa il trentesimo anno, é forse più complesso e contuso,
non porta il "segno rosso del coraggio" ma l'imprimatur (bruciacchiante)
delle future società post industriali.
Linea d'ombra...metafora del "passaggio" e nome della rivista
di Goffredo Fofi? Rido.
Devo leggere "Lord Jim" ora che ci penso (chissà quando trovo il
tempo...vabbe')

> Sono sempre molte interessanti queste "intersecazioni" fra la pagina
> scritta, il tuo vissuto e quello collettivo : leggendoti, si ha la
> sensazione che per te letteratura e vita servano a chiarirsi reciprocamente.

Ti ringrazio. In effetti col passare degli anni ci si rende conto
(almeno,
io mi rendo conto) di come le letture fatte diventino una specie di
controcanto alle situazioni vissute, agli incontri fatti.
Se la vita è il testo, la letteratura é il metatesto.
Si legge veramente quando si legge con partecipazione. Uso, molto fuori
contesto, questa titolo fortiniano: con la letteratura di va spesso alla
"verifica dei poteri" con la vita.

> ma, sul medesimo tema, c'era anche quella poesia di Brecht " Le grucce"...la
> conosci ?

no, com'è?

> doppio inchino.

thx


--
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Simone Silvestri

unread,
Feb 8, 2002, 5:20:47 AM2/8/02
to
"Mattia Signorini"

> Inutile specificare che è il racconto che ha ispirato Pier Vittorio Tondelli
> per scrivere Camere Separate...

Certo che no.... :-)
Te lo ricordi il bellissimo "Pier in gennaio"? Io ogni tanto lo rileggo.

Kiko Ciatto

unread,
Feb 8, 2002, 5:49:42 AM2/8/02
to
Simone Silvestri ha scritto

>
> A Ingeborg Bachmann ci sono arrivato sempre "dopo". Dopo aver
letto del
> viaggio di Uwe Johnson a Klagenfurt (città natale della
Bachmann e, tanto
> per dirne una, di Robert Musil), in Carinzia, nei giorni
immediatamente
> successivi alla sua morte; dopo aver letto da qualche parte la
> commemorazione di un'amica scritta da Thomas Bernhard; dopo
aver letto la
> cronaca del viaggio "in gennaio" compiuto da Pier Tondelli a
Klagenfurt in
> cerca di lei; dopo aver letto che Ingeborg Bachmann é stata
ospite della
> Fondazione Ford a Berlino nello stesso periodo di un rientrante
Witold
> Gombrowicz.
> Poi sapevo che era morta a Roma. Si era addormentata con la
sigaretta accesa
> ed era "bruciata" nel letto, 1973. Amava l'Italia.
>

Leggi "Montauk" di Max Frisch, che ha a lungo vissuto con la
Bachman, e che in quello strano libro rievoca - senza mai
scriverne il nome, ma alludendo a lei come la 'scrittrice' -
alcuni momenti della loro storia, e in particolare la loro
permanenza a Roma (avevano casa in via Giulia).

--
kiko

"La mia vita è noiosa. Ormai faccio esperienze solo quando
scrivo."
(M.Frisch - "Montauk")


Mattia Signorini

unread,
Feb 8, 2002, 5:54:18 AM2/8/02
to
Simnoe Silvestri:

"Te lo ricordi il bellissimo "Pier in gennaio"? Io ogni tanto lo rileggo."

Credo che sia il più bel racconto che ha scritto.

MS

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