Google Groups no longer supports new Usenet posts or subscriptions. Historical content remains viewable.
Dismiss

l'intelligenza della forma

38 views
Skip to first unread message

sergio garufi

unread,
Feb 17, 2003, 12:58:09 PM2/17/03
to

Su Vibrisse è apparso un articolo interessante (era ora!) che forse
meriterebbe un approfondimento.
Si tratta di una replica a un paio di interventi di Mozzi intitolati "Farsi
credere", nei quali lo scrittore padovano sosteneva, in sintesi, che per
risultare credibile un narratore deve scrivere solo di ciò che conosce.
L'articolo della Zoboli è ben scritto e ben argomentato, anche se avrei
più di un'obiezione da fare.
Forse perché ci sono dei salti logici fra apparenti sinonimi come "essere
credibile", "essere convincente", ed "essere persuasivo"; o forse perché
non ritengo un'esigenza fondamentale - per un narratore - quella di
risultare credibile. Sta di fatto che ci sarebbe molto da dirne, magari
citando Tondelli, Eco, Citati, Queneau e tanti altri; oltre ad approndire
quella digressione sulle variazioni dell'Infinito di Leopardi che, a mio
parere, hanno più a che fare con l'ineffabile segreto della sprezzatura,
che non con quella che l'autrice chiama "la struttura intelligente del
linguaggio"; identificando forse con ciò il bello e il vero.

Credo pure che certe derive interpretative siano dovute al tipo di mestiere
svolto dall'autrice (la copywriter pubblicitaria); e sono convinto che gli
esempi sulla credibilità delle brochure aziendali, così come l'inclusione di
Berlusconi o del mago brasiliano in questo discorso, ne abbiano alterato un
po' il senso.
Ma lascio la parola a chi ha voglia e tempo.

L’intelligenza della forma

di Giovanna Zoboli


Una ventina d’anni fa, nelle sale della Triennale (esposizione milanese di
arti industriali), ricordo l’incontro con un oggetto stupefacente: una
gigantesca macchina il cui unico scopo era far muovere una biglia d’acciaio.
Scivoli, piani, rotaie, ponti, scalette, tubi, altalene dislocati ad arte
perché la pallina procedesse lungo un movimentato e complesso percorso. Il
meccanismo funzionava sfruttando pesi, dislivelli, velocità e attriti,
secondo le leggi della dinamica e della fisica. La gente, me compresa, si
affollava intorno alla macchina e, in perfetto silenzio, rapita e
concentrata, fissava il corpo metallico in movimento.

È l’unica cosa che ricordo di quella Triennale. Ma ricordo anche la ragione
per cui tale memoria è durata fino a oggi. La macchina mi parve una metafora
perfetta dei meccanismi narrativi. Quell’oggetto era una storia. Attraverso
un sofisticato marchingegno, raccontava le vicende della sua protagonista:
una biglia che – sebbene d’acciaio e pertanto non dotata di sentimenti,
raziocinio e volontà – nel compiere il suo percorso mostrava una personalità
spiccatissima. Aveva, infatti, indugi, arditezze, pigrizie, regressioni,
slanci, depressioni, fin anche rabbie, ripensamenti e collere. O, almeno,
procedeva così abilmente lungo la sua strada, da suggerire agli osservatori
questa intera gamma di emozioni.

Questa macchina si sarebbe potuta definire "altamente credibile". Non per
niente mi è tornata alla mente leggendo gli interventi sul "farsi credere"
di questi ultimi numeri.

La storia sulla biglia raccontata dalla macchina, infatti, era assolutamente
"vera", convincente. D’altra parte, l’ho detto: sebbene la macchina fosse
puramente ludica, cioè artificiosa e senza scopi utilitaristici, funzionava
esattamente in base alle leggi cui tutti i corpi, volenti o nolenti, sono
soggetti per muoversi nello spazio.

Sul numero 90 di vibrisse, giulio mozzi ha scritto: "E come si fa a farsi
accettare, cioè farsi credere? A volte mi sembra che sia quasi un talento
naturale (narratori a parte, Berlusconi avrà studiato l’arte della
persuasione; ma i maghi e cartomanti, i venditori e gli imbonitori che
vediamo in televisione, e che sicuramente "funzionano", sembrano essere
piuttosto dei talenti naturali). Ma qualcosa si potrà apprendere anche in
questo campo, presumo".

Stando all’esempio della biglia, in effetti, si potrebbe pensare che
persuadere è un’arte naturale: per costruire una struttura credibile -
macchina, storia, discorso - bisogna attenersi a "leggi naturali". Le leggi,
appunto, che presiedono alla vita di tutti gli esseri, animati e inanimati.

In questo senso, non credo che – come scrive mozzi – per essere più
"credibile" lo scrivente debba conoscere approfonditamente l’universo di
riferimento dell’oggetto di cui scrive. Mi sembra sacrosanto il principio in
base al quale chi scrive di qualcosa, faccia bene a informarsi, a fare i
conti con il patrimonio di conoscenze disponibile relativamente ai temi che
va trattando: è quasi inevitabile, da un certo punto di vista. Oltre tutto,
il contatto con altri testi genera sempre nuovi spunti e idee.

Ma dal punto di vista della credibilità della storia, non credo che a uno
scrittore sia necessario sapere ogni dettaglio della materia di cui scrive.
Credo sia, in qualche modo, illusorio pensare che il possesso di tutte le
informazioni serva, in sé, a costruire un testo capace di farsi leggere da
cima a fondo.

Si può scrivere una storia credibile su un tacchino sapendo ben poco di
tacchini, basandosi solo sul loro aspetto e sulle conoscenze sommarie che si
possiedono per averli osservati, o magari soltanto guardati distrattamente,
in campagna; o essere un esperto allevatore e non riuscire mettere in fila
tre parole persuasive sui tacchini ("Guardi, si fidi: sono animali
intelligentissimi: gli manca la parola").

Questa convinzione mi viene dall’esperienza. Spesso mi capita di incontrare
amministratori e dirigenti aziendali alle prese con la necessità di
comunicare i servizi e i prodotti offerti dalla propria impresa. Devono,
cioè, realizzare una "brochure istituzionale": una pubblicazione che
racconti in modo convincente e gradevole un’attività produttiva. Le persone
che incontro, uomini e donne, nella maggior parte dei casi sono laureati, e
in possesso di una conoscenza approfondita dell’azienda, in tutte le sue
articolazioni e dettagli. Tuttavia quando devono farmi capire cosa
vogliono – temi da trattare, loro ordine, argomenti da sottolineare, temi da
accennare soltanto eccetera – per lo più si trovano completamente spiazzati.

La maggior parte di loro, scopro ogni volta con stupore, non sa descrivere,
se non malamente, i caratteri dell’impresa e l’attività che svolge. In
alcuni casi si arriva a vere e proprie forme di afasia e mutismo: devo
estorcere notizie come se fossero intimi segreti. Pare incredibile, ma è una
costante del mio lavoro. Il risultato è che spesso devo intervenire sul
testo un’infinità di volte, perché i miei confusi committenti capiscono cosa
vogliono solo nel momento in cui leggono quello che non gli va bene. Eppure
nessuno meglio di costoro conosce l’argomento in oggetto. Quello che il
consulente di comunicazione fa, in questo caso, è fornire ciò che all’
azienda manca: una struttura logica persuasiva, costruita sulla base di un’
idea centrale forte e caratterizzante, intorno alla quale articolare una
descrizione vivace e seducente della fisionomia dell’impresa. In sintesi,
costruisce una macchina per biglie di acciaio.

Quasi nessuno, all’interno delle aziende, è in grado di fare questo. Molti
pensano di poter scrivere da sé i testi per le loro aziende, essendo capaci
di "scrivere correttamente", tuttavia pochi sono in grado di costruire
questa macchina di persuasione. Non si tratta, in verità, solo di
"scrivere."

Un giorno, una cliente per cui lavoro da parecchio tempo, mi ha detto: "Mi
tolga una curiosità, lei nella vita reale deve essere una tremenda
bugiarda!". Le ho chiesto come le fosse venuta questa idea. Questa è stata
la risposta: "Lei racconta le cose in modo che sembrano sempre vere". Dal
punto di vista professionale è stato un gran complimento e, infatti, l’ho
apprezzato. Ho anche apprezzato la sua sincerità. Comunque, non sono una
bugiarda: cioè, lo sono in misura normale.

Tuttavia, ammetto di ritrovarmi, a volte, a pensare qualcosa di simile di me
stessa. Mi capita quando sto scrivendo. In pieno fervore creativo, mi
sorprendo di quello che invento. Accade quando trovo particolarmente
riuscita una cosa. Mi stupisco. Ho l’impressione di non sapere da dove mi
sia uscita e, per questo, mi dico: "Questa cosa non posso essermela
inventata. L’ho letta o sentita da qualche parte, e ora non mi ricordo dove
e quando". La cosa che ho scritto, cioè, ha un’aria così vera da lasciarmi
seri dubbi sulla sua natura del tutto fantastica.

In verità, per scrivere una buona brochure istituzionale, il consulente di
comunicazione non ha bisogno di entrare in possesso di tutte le informazioni
sull’azienda. Vi confesso di aver scritto testi aziendali ben riusciti
sapendo pochissimo di quello che stavo scrivendo. Spesso i nostri clienti
hanno poca pazienza, poco tempo, sono disorganizzati, hanno collaboratori e
segretarie inefficienti, e scarsissimo è il materiale che ci forniscono per
documentarci, e non c’è verso di ottenere altro. È in queste situazioni in
cui, proverbialmente, bisogna "cavare sangue dalle rape". Ma, del tutto a
sorpresa, a riuscire meglio a volte sono proprio le brochure delle aziende
di cui sappiamo meno. Mi è capitato di fare miracoli in situazioni in cui
non riuscivo a parlare al telefono con uno straccio di responsabile, e non
avevo neppure una sola fotocopia che riportasse i dati dell’azienda:
situazioni in cui il mio sapere era un vergognoso foglio di appunti scritto
evidentemente in treno o in metropolitana da qualcuno che con ogni
probabilità stava pensando a tutt’altro. È chiaro che cerco sempre di
ottenere il massimo delle informazioni, spremo i clienti come limoni, per
capire quello vogliono e dargli esattamente quel che gli serve. Ma la verità
è che, in gran parte, loro non sanno affatto ciò che vogliono, e neppure
hanno tanta voglia di pensarci. Mi chiamano proprio perché io lo scopra,
perché gli risolva il problema. E sono disposti a pagare per questo.

Voglio aggiungere un’altra cosa su questa faccenda dei testi aziendali: in
certi casi, si scopre che per alcuni la credibilità è una funzione
secondaria rispetto ad altre funzioni della comunicazione.

A lavoro finito, il testo di solito viene sottoposto al "capo" perché lo
approvi definitivamente. Non di rado capita che vengano richieste delle
modifiche. Spesso si tratta di dettagli sfuggiti ad altri: si aggiusta il
tiro, si cambia un dato, si dà meno importanza a una cosa, se ne valorizza
un’altra. Ma non è infrequente il caso in cui, questa persona, senza alcuna
valida ragione, interviene sul testo per aggiungere qualcosa che non solo
non ha alcuna importanza, ma è del tutto fuori registro rispetto all’insieme
della comunicazione. Il capo, insomma, si mette in mente di "dire la sua" e
di dirla anche piuttosto forte, mettendola nero su bianco: anche se è una
spaventosa cazzata. E non importa che sia inappropriata, ridicola, inesatta,
inutile e cretina, tale, cioè da peggiorare la qualità della comunicazione,
o addirittura da suscitare dubbi o fastidio in chi la leggerà, anche
danneggiando l’immagine aziendale. A nulla servirà cercare di convincere lui
e i suoi collaboratori che quelle parole sono un errore. La vanità, il
narcisismo, l’ostentazione della propria importanza avranno la meglio sulla
credibilità della comunicazione. Credibilità che poi coincide con la qualità
di quello che si è fatto. Il narcisismo, peraltro, è un problema che non
riguarda solo i capi, ma anche numerosi scrittori e artisti, aspiranti tali,
ma anche affermati e riconosciuti. Lo si potrebbe definire un annebbiamento,
temporaneo o cronico, delle facoltà critiche e della integrità e serietà
professionale: qualcosa che privilegia l’io, a scapito delle sue creazioni.
Il narcisismo, in verità, è sempre in agguato, per tutti, credo, ed è una
bestia da cui guardarsi, perché è in grado di fare danni incalcolabili, alle
aziende, agli artisti e alle persone.

In sostanza, la credibilità non è determinata dall’eventuale, comprovata
verità o verosimiglianza dei contenuti di un testo. Credo che si tratti di
qualcosa che con la verità o la verosimiglianza ha molto a che fare, ma in
un modo più complesso e sottile di un rapporto diretto; in un modo anche
sfuggente, direi, non del tutto controllabile dallo scrittore.

Per tornare all’ambito dei maghi, a cui ha accennato giulio mozzi, credo
anch’io che il loro sia un talento naturale. Infatti, credo che Pacheco de
Nascimento, ex socio in affari di Vanna Marchi, non abbia studiato a fondo l
’universo di riferimento dei maghi prima di apparire in tv vestito da Mastro
Lindo per estorcere grazie al suo fluido magnetico decine di migliaia di
euro a pensionati, casalinghe, impiegati capitati davanti alla tv nel
momento sbagliato.

Probabilmente, Pacheco de Nascimento, prima di optare per l’azzeccato
travestimento da Mastro Lindo, ha seguito una procedura simile a quella
applicata dal costruttore della macchina per biglie. Cioè, si è chiesto
prima cosa gli sarebbe piaciuto veder fare alla biglia se fosse stato un
osservatore, poi se questo qualcosa dal punto di vista della realizzazione
fosse possibile e, infine, quale fosse, materialmente, il modo migliore di
realizzarlo, in relazione allo scopo da ottenere: cioè quello, primario, di
fermare l’attenzione.

Dopo di che, pur senza magari saper enunciare a memoria i principi della
dinamica e della fisica – a lui certamente noti dal punto di vista
empirico -, si è messo all’opera e ha costruito la macchina. O, nel caso di
Pacheco, ha confezionato uno spettacolo per frodare telespettatori ingenui.

Con questo non voglio dire che gli scrittori siano un branco di imbonitori
da tv di provincia. Ci sono un milione di ragioni per cui si può desiderare
di fermare l’attenzione di qualcuno su qualcosa, alcune, fra l’altro,
nobilissime: leggendo La banalità del male di Hannah Arendt – benché si
tratti di un saggio – ci si rende conto di cosa significhi scrivere un libro
narrativamente serrato e persuasivo, per la migliore delle motivazioni
possibili.

Gli scrittori, ma anche i filosofi, i poeti, i sociologi, i dirigenti di
azienda, gli scultori, i pittori, i musicisti, i registi, i politici e i
maghi – insomma tutti coloro che vogliono utilizzare un linguaggio a scopi
persausivi –, esattamente come gli imbonitori hanno bisogno di fermare l’
attenzione delle persone per la ragione che nessuno spende un attimo del
proprio tempo per ascoltare chi - pur pretendendo un sovrappiù di attenzione
rispetto a un’espressione corrente, comune - non sa esprimere compiutamente
ciò che ha in mente. Si potrebbe allora dire che la credibilità, in qualche
modo, è identificabile con una qualità della forma in cui qualcosa si
manifesta: qualità della forma in stretta relazione con lo scopo per cui l’
oggetto è stato creato.

In qualche modo, la credibilità è uno degli attributi fondamentali non solo
della letteratura, ma di tutte quelle particolari realizzazioni umane che
per comodità mettiamo sotto il nome di "arte". Per quanto mi riguarda, penso
che la credibilità sia una sorta di "intelligenza della forma".

Un’emozione simile a quella provata osservando la macchina per biglie – una
sorta di folgorazione estetica e narrativa - , l’ho vissuta alcuni anni fa,
leggendo le stesure che hanno preceduto la redazione finale de L’infinito di
Giacomo Leopardi. Una poesia è un organismo così serrato, complesso e forte,
da dare l’impressione di essere venuto alla luce nella sua forma compiuta,
senza un processo di elaborazione: come una sorta di pietra preziosa dentro
una roccia bruta. Se poi si parla di una poesia come L’infinito, consegnata
al mito dalla tradizione e dalla storia, la cosa è tanto più vera. Per il
lettore diventa una sorta di forma archetipica. Tuttavia, non è affatto
così. Ed è illuminante, per capire come lavora uno scrittore, vedere come
Leopardi abbia costruito questo testo, le approssimazioni attraverso cui si
è avvicinato alla forma perfettamente risolta che conosciamo. Quello che
balza subito all’occhio è l’evidente inadeguatezza, la rozzezza delle scelte
lessicali e strutturali testate dal poeta, prima di giungere alla soluzione
finale: dico soluzione perché, in effetti, non di rado chi scrive ha l’
impressione di risolvere un problema di logica matematica, anche se magari
sta scrivendo solo una brochure aziendale. Non credo che la logica sottesa
alle strutture del linguaggio si allontani molto dalla complessità e dal
rigore della matematica. Ho avuto spesso questa impressione, mentre
scrivevo: forse l’impressione sopra descritta di aver scritto una cosa
"vera", nonostante la consapevolezza della sua natura del tutto fantastica,
deriva proprio da questo. Il linguaggio possiede una sua profonda
intelligenza, che lo scrittore deve imparare a conoscere e a utilizzare. Lo
può fare istintivamente, perché ha molto orecchio per il ritmo e il suono
dei periodi e un’intuizione profonda dei significati più sottili delle
parole che usa, e sa fare reagire gli uni e l’altra in un composto molto
seducente. Può certamente possedere in nuce queste doti, e altre, e può
coltivarle e svilupparle attraverso lo studio e la lettura. Ma non può mai
prescindere dal fare i conti con questa alterità del linguaggio rispetto all
’uso comune, distratto, slabbrato e largamente inconsapevole, che ne fa
nella vita quotidiana. Poi, magari, potrà anche voler simulare un linguaggio
quotidiano: ma sotto la finzione, se il testo funziona, ci sarà sempre la
struttura intelligente del linguaggio, che riesce a fare dell’espressione
verbale una forma perfettamente significante ed esteticamente compiuta.

Non credo che gli artisti, gli scrittori facciano altro che realizzare forme
altamente intelligenti. Credo che la credibilità stia nel grado di
intelligenza di una forma.

Quando ero piccola, al mare, spesso mio padre portava me e mia sorella e mia
madre in spiaggia a guardare il cielo stellato. Niente di romantico o
sentimentale: manuale alla mano, indicava alla famiglia, naso all’aria, le
costellazioni, con nome, cognome e significati allegorici. Mio padre si
dilettava un po’ di astronomia, e ci teneva a condividere con noi i suoi
interessi. Mia madre lo seguiva senza difficoltà, io e mia sorella, di sei o
sette anni, un po’ ci distraevamo, un po’ seguivamo, un po’ ridacchiavamo,
guardando le ombre e ascoltando i rumori della notte. In questo modo,
riuscivamo a vedere pochissimo le costellazioni indicate. Vedevamo milioni
di stelle che a tratti ci incantavamo e a tratti ignoravamo, improvvisamente
diventate indifferenti. Ma se riuscivamo a seguire il dito di mio padre,
azzeccando e riconoscendo una stella dopo l’altra, formando la composizione
che aveva il nome, di solito stupendo, che ci leggeva, il cielo smetteva di
essere indifferenziato, sterminato, vertiginoso, e anche un po’ spaventoso.
Acquisiva un ordine e, cosa sorprendente, la forma regolare della
costellazione diventava subito un punto di riferimento. E in mezzo al caos
di tutte le altre stelle, prendeva persino a brillare un po’ più
intensamente. Ovviamente era solo un’impressione: ma la forma che insieme
quelle stelle componevano, si imponeva al nostro sguardo con una tale
evidenza e forza da alterare la nostra percezione. La sensazione era di
puro, travolgente entusiasmo. Qualcosa di simile, ma moltiplicata per mille,
a quella che provavamo facendo il giochino della settimana enigmistica - che
mia madre ci lasciava sempre - di unire i punti numerati per formare il
disegno nascosto. A metà gioco, di solito, si cominciava a intuire se quello
che sarebbe apparso era un signore con l’ombrello, una capra o una scimmia
in bicicletta.

Non credo che creare una forma intelligente, dotata in massimo grado dell’
attributo della credibilità, sia qualcosa di molto diverso da quello che
facevamo da bambine, giocando alla settimana enigmistica o guardando il
cielo notturno, d’estate. In entrambi i casi, si tratta di stabilire nessi
di senso profondo fra le cose. Stabilire vincoli di necessità tra elementi
che magari appaiono uniti, ma in modo inesplicabile e misterioso, o
addirittura sembrano lontanissimi fra loro, del tutto inconciliabili. Il
linguaggio è uno strumento prodigioso, in questo senso. È come la matita che
compone il disegno nascosto. O come l’occhio, che compone le linee che
collegano stelle lontanissime fra loro, formando il disegno, del tutto
arbitrario, ma assolutamente vivo, vero e pulsante di significato, delle
costellazioni. Una sorta di meravigliosa macchina per stanare significati.

Viene allora un sospetto: e se fosse la biglia a descrivere il funzionamento
della macchina anziché la macchina a raccontare la storia della biglia? Che
siano tutt’e due le cose insieme? La cosa non è affatto improbabile.

Quanto a Pacheco de Nascimento e a Berlusconi, la mia idea è che facciano
quello che i furbi, istintivamente o programmaticamente, hanno sempre fatto,
dall’inizio dei tempi a oggi: cioè simulano strutture intelligenti, legando
fra loro elementi del tutto strumentalmente a scopi personali, fingendo
nessi che resistono all’esame della ragione per il semplice, ma potente
motivo che la loro possibilità di esistenza sollecita paure, desideri,
aspettative, frustrazioni alle quali non è facile resistere.

Perciò bisogna stare attenti quando si vedono brillare alcune stelle più
intensamente di altre. Essere consapevoli che ciò può accadere per motivi
molto diversi. Può essere la scoperta di un nuovo universo di significato,
utile alla nostra vita. Ma può essere il nostro stesso desiderio di vederle
brillare, a provocarlo. A scuola questo ordine di problemi si studiavano a
proposito della retorica, nella celebre contesa fra Socrate e i sofisti
Gorgia, Ippia e Protagora, se ben mi ricordo.


giulio mozzi

unread,
Feb 17, 2003, 10:07:31 PM2/17/03
to

"sergio garufi" <in...@spazipalladiani.it> ha scritto nel messaggio
news:Ro94a.128288$ZE.36...@twister2.libero.it...

>
> Su Vibrisse è apparso un articolo interessante (era ora!) che forse
> meriterebbe un approfondimento.
> Si tratta di una replica a un paio di interventi di Mozzi intitolati
"Farsi
> credere", nei quali lo scrittore padovano sosteneva, in sintesi, che per
> risultare credibile un narratore deve scrivere solo di ciò che conosce.

Sono lieto che l'articolo di Giovanna Zoboli "L'intelligenza della forma"
sia piaciuto a Sergio Garufi.

Peraltro devo precisare che nei miei due pezzi intitolati "Farsi credere" io
non sostengo, in sintesi, che per risultare credibile un narratore deve
scrivere solo di ciò che conosce; sostengo invece che per risultare
credibile un narratore deve, tra le altre cose, informarsi su ciò di cui
vuole scrivere. Il che è altrettanto banale, ma è comunque un'altra cosa.


Per chi volesse, i due pezzi intitolati "Farsi credere" sono stati ripresi
da Giuseppe Genna in Società delle menti, la sua rubrica in
www.clarence.com. Gli indirizzi precisi sono:

Primo pezzo:
http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/societamenti/archives/00
0754.html#000754
Secondo pezzo:
http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/societamenti/archives/00
0791.html#000791

gm


Giovanni Tiso

unread,
Feb 18, 2003, 1:21:15 AM2/18/03
to
"giulio mozzi" <giuli...@libero.it> wrote in
news:Trh4a.129503$YG2.3...@twister1.libero.it:

> Peraltro devo precisare che nei miei due pezzi intitolati "Farsi
> credere" io non sostengo, in sintesi, che per risultare credibile un

> narratore deve scrivere solo di ciň che conosce; sostengo invece che


> per risultare credibile un narratore deve, tra le altre cose,

> informarsi su ciň di cui vuole scrivere. Il che č altrettanto banale,
> ma č comunque un'altra cosa.
>

America di Kafka sarebbe dunque l'eccezione che conferma la regola?

--
Giovanni

Lucangel

unread,
Feb 18, 2003, 2:50:44 AM2/18/03
to
"giulio mozzi" <giuli...@libero.it> ha scritto

> per risultare credibile un narratore deve, tra le altre cose, informarsi

su ciň di cui
> vuole scrivere

C'era una volta in un lontano paese...

sergio garufi

unread,
Feb 18, 2003, 7:48:32 AM2/18/03
to

giulio mozzi ha scritto

>Sono lieto che l'articolo di Giovanna Zoboli "L'intelligenza della forma"
>sia piaciuto a Sergio Garufi.

>Peraltro devo precisare che nei miei due pezzi intitolati "Farsi credere"
>io non sostengo, in sintesi, che per risultare credibile un narratore deve
>scrivere solo di ciò che conosce; sostengo invece che per risultare
>credibile un narratore deve, tra le altre cose, informarsi su ciò di cui
>vuole scrivere. Il che è altrettanto banale, ma è comunque un'altra cosa.

>Per chi volesse, i due pezzi intitolati "Farsi credere" sono stati ripresi
>da Giuseppe Genna in Società delle menti, la sua rubrica in
>www.clarence.com. Gli indirizzi precisi sono:

>Primo pezzo:
>http://www.clarence.com/contents/cultura-spettacolo/societamenti/archives/0

Scrivo di fretta durante la pausa pranzo, per cui spero mi perdonerai
l'elenco un po' confuso e disordinato di queste osservazioni, che
per la verità sono un po' a margine dei tuoi interventi.
La prima sensazione che ho, rileggendo i tuoi due pezzi, è di
un'insieme di osservazioni talmente logiche e sensate da sembrare
quasi scontate e banali.
Forse a questo contribuisce pure il tuo stile, ugualmente piano, sensato,
quasi paratattico.
Poi mi vengono in mente le riflessioni di Eco nelle Postille al Nome
della Rosa, cioè su come si dovesse costruire una narrazione e
renderla coerente ( mi riferisco in particolar modo all'esempio del
dialogo fra Adso e Guglielmo sulle scale, di cui Eco contò i gradini
per rendere più credibile e verosimile la durata della conversazione
fra loro due); di cui i tuoi ragionamenti sembrano essere in gran parte
debitori.

Parlando di coerenza di un testo, citi degli esempi che mi danno
l'idea che tu confonda la credibilità di una situazione o di un
personaggio con l'adesione di questi a un modello prefissato;
cioè a dire che quanto più ci si avvicina a un modello tanto più
si ottiene una storia convincente.
Ma così facendo si ottengono dei tipi, non degli individui,
delle situazioni standard, non dei casi particolari, il
verosimile, non il vero.
Se la tua preoccupazione è il realismo, sappi che descrivere
credibilmente un episodio, un ambiente, un personaggio,
significa toglierlo dagli schemi e restituirlo alla realtà in tutta la
sua irriducibile unicità.

E' proprio in questa tua ossessione per la coerenza dell'insieme,
e pure nell'esempio delle osservazioni sul ruolo gerarchico degli
impiegati che prendono il tuo stesso treno - identificati da alcuni
dettagli significativi per il gradino sociale che occupano -, che io
scorgo le maggiori differenze tra il mio modo di intendere la
letteratura e il tuo.
La mia sensazione è che nelle tue riflessioni sulle strutture narrative
tu non tenga conto di un elemento fondamentale: cioè quello della
sorpresa, dello spiazzamento.
Io invece apprezzo molto i paradossi, gli ossimori (difatti sono un
estimatore di Borges e Manganelli), le anamorfosi (come il teschio
nei due ambasciatori di holbein il giovane); e in quella apparente
incoerenza, in quegli accostamenti stridenti vedo molta più "verità"
che non nei luoghi comuni, che avverto come falsamente coerenti
e rassicuranti.

Aspettarsi - come tu fai - un inizio diretto, hard, da un romanzo porno,
significa attendersi l'ovvio; e ai miei occhi le ovvietà squalificano
immediatamente qualsiasi opera, non importa a quale genere
appartenga.
Dici che Borges ti dà l'asma e che non ti piacciono i suoi racconti
fantastici; e io, che non sono un estimatore di questo genere
letterario, lo apprezzo invece proprio per i suoi paradossi e le
sue incoerenze.
Mettere un aleph in uno scantinato buio e polveroso è un'assurdità
(e forse anche solo concepire un aleph può apparire un'assurdità),
sta di fatto che quel racconto e quell'invenzione sono diventati dei
classici del novecento su cui si sono scritti fiumi di inchiostro.

Mettere, come colonna sonora, i valzer di Strauss a delle navicelle
spaziali (come scelse Kubrik in 2001) fu una scelta geniale proprio
per l'accostamento ossimorico di musica e immagini.
Se avesse commentato musicalmente quelle scene con dei
suoni futuristi, oggi diremmo che erano incredibilmente datati e
inadatti.

E' che io sono convinto che spesso la realtà è meno banale e
assiomatica di quel che si pensa, e che non sempre "ciò che
sembra" coincide con "ciò che è".
Da ragazzo avevo una tata il cui marito era un siciliano dall'aspetto
torvo e minaccioso e con due grossi baffi; e che nonostante ciò era
una persona mitissima e onesta. Sta di fatto che a ogni posto di
blocco della polizia veniva invariabilmente fermato e perquisito,
perché corrispondeva allo stereotipo del delinquente mafioso.
Eppure la cronaca dovrebbe insegnarci che la vita non è mai così
prevedibile, e che spesso i peggiori criminali sono delle persone
"insospettabili" proprio perché non corrispondono all'immagine
che ci eravamo fatti di costoro.
Io, che sono siciliano di origine, ho i capelli biondi e la carnagione
chiara, ed è da una vita che quando mi dichiaro meridionale la
gente si stupisce e si meraviglia che lo sia (e parlo di gente che
sa bene della dominazione normanna e poi sveva).

In conclusione: che ci si debba informare bene prima di raccontare
una storia (che sia scrivere un libro o mentire alla moglie per coprire
un tradimento) per renderla credibile, è talmente banale e ovvio che
forse non valeva neppure la pena scriverlo.
Che la coerenza di un testo dipenda da un insieme di dettagli che
restituiscono un ambiente e una caratterizzazione dei personaggi
credibili perché corrispondenti a dei cliché; questo, a mio avviso,
è l'errore del tuo ragionamento che io non posso condividere.

Michele Governatori

unread,
Feb 18, 2003, 9:53:51 AM2/18/03
to
Il 18 Feb 2003, 13:48, "sergio garufi" <in...@spazipalladiani.it> ha scritto,
rivolgendosi a Giulio Mozzi:

> Che la coerenza di un testo dipenda da un insieme di dettagli che
> restituiscono un ambiente e una caratterizzazione dei personaggi
> credibili perché corrispondenti a dei cliché; questo, a mio avviso,
> è l'errore del tuo ragionamento che io non posso condividere.

Nemmeno io la condivido, a meno che non stiamo parlando di "cliché"
potenzialmente autoprodotti dal narratore. Cioè non di "cliché", in realtà,
ma di "mondi", caratterizzati da regole e ricorrenze che, una volta creati
dal narratore (inteso come scrittore, non come voce narrante), devono
risultare sostenibili e sostenute nell'evoluzione della storia.

La mia impressione è che il lavoro narrativo comprenda spesso una fase
"costituente", dove c'è da assemblare uno scenario fatto non solo di
ambientazione della storia, ma anche da scelta di convenzioni formali
(registro, ambiti semantici, uso o meno del grottesco, del patetico,
dell'ironia, del realismo), e poi c'è da metterlo a frutto, questo mondo
costituito, azionandone i meccanismi. A questo punto sì che come dice Mozzi
bisogna farci i conti, con il mondo appena creato.
(Non penso naturalmente a una sequenza strettamente cronologica tra
costituzione e azione).

Realismo o non realismo non importa - su questo mi sembra tu e Mozzi siate
d'accordo, e non importa per me nemmeno che il mondo neocostituito abbia
riferimenti sufficientemente simili a qualche immaginario preesistente.
Importa la coerenza, questo sì. La sostenibilità della storia rispetto alla
struttura formale costituita, l'adeguatezza degli strumenti stilistici (che
non possono innovarsi a metà racconto) e delle vicende (che per esempio non
possono accedere immotivatamente al fantastico o a nuovi immaginari - né
immotivatamente uscirne - o diventare digressive se prima restavano
compatte, e così via).
L'evoluzione nel testo, se c'è, dev'essere una violazione accettabile
dell'ordine costituito, o meglio: una finta violazione, un utilizzo magari
maliziosamente tardivo e sorprendente di elementi in realtà già pronti
all'atto della costituzione del sistema formale, latenti ma comunque già
disponibili al lettore. Non vale invece la retroattività della spiegazione.
Altrimenti una svolta è un arbitrio narrativo, altrimenti "son buoni tutti",
no?

Ecco, il "fare i conti" di Mozzi a me sembra comprensibile se lo penso in
questi termini.

Mi sembra interessante che Mozzi tocchi argomenti del genere mentre la sua
"creatura" Tullio Avoledo ha avuto un notevole successo con un libro a cui
alcuni detrattori - mi sembra - rimproverano proprio l'eccessiva - ma
soprattutto tardiva - estensione dello "spettro d'immaginario", per dire
così, con acquisizione di "superpoteri" narrativi e sovvertimento debordante
di una storia inizialmente (anzi: direi lungamente) contenuta in ambiti di
verosimiglianza.

Ciao
M


--------------------------------
Inviato via http://usenet.libero.it

Andrea Laforgia

unread,
Feb 18, 2003, 1:23:04 PM2/18/03
to
On Mon, 17 Feb 2003 17:58:09 GMT, "sergio garufi"
<in...@spazipalladiani.it> wrote:

>Su Vibrisse è apparso un articolo interessante (era ora!) che forse
>meriterebbe un approfondimento.

Lo ammetto, ho smesso di leggere l'articolo quando ho cominciato ad
avvertire le prime tracce di narcisismo. L'articolo di una persona
che si è appena accorta di inventare cose geniali e se ne compiace,
cercando di rendere partecipi anche gli altri di cotanta gioia.

Mi soffermo, però, su questo punto:

"Gli scrittori, ma anche i filosofi, i poeti, i sociologi, i dirigenti
di azienda, gli scultori, i pittori, i musicisti, i registi, i
politici e i maghi – insomma tutti coloro che vogliono utilizzare un
linguaggio a scopi persausivi –"

Gli scrittori, i copywriter, i maghi e i dirigenti d'azienda non
possono essere inseriti nello stesso calderone.

Poi, dove sta scritto, ditemi, di grazia, che un narratore voglia
sempre usare un linguaggio a scopi *persuasivi* ? persuadere di che
cosa ?

Io sono un lettore e non uno scrittore, quindi posso ignorare le
regole che stanno alla base di una corretta narrazione, ma, da
lettore, io sono rapito, il più delle volte, dallo stato d'animo dei
personaggi e se ne condivido, in certi casi, le emozioni, sono
pienamente appagato da quanto sto leggendo.

Non mi serve conoscere dettagli "tecnici"; narrare non vuol dire
pubblicizzare protesi dentarie o chewingum allo xilitolo.

Fare il dirigente d'azienda e stendere una brochure significa, con
molta probabilità, sforzarsi di persuadere qualcuno a comprare il
proprio prodotto e ciò che è scritto in una brochure è molto diverso
da ciò che è scritto in un racconto.

La credibilità è quella dei sentimenti, alla base di una storia.

Sono comunque pronto a venire tacciato di superficialità e di
banalità, nell'aver giudicato quanto scritto da questa persona.

Tra l'altro è quello che si fa normalmente, quando si pensa che gli
altri non capiscano la propria arte.

--
Andrea Laforgia

"God is dead." -- Nietzsche
"Nietzsche is dead." -- God

sergio garufi

unread,
Feb 18, 2003, 2:36:38 PM2/18/03
to

Andrea Laforgia ha scritto

> Gli scrittori, i copywriter, i maghi e i dirigenti d'azienda non
> possono essere inseriti nello stesso calderone.

> Poi, dove sta scritto, ditemi, di grazia, che un narratore voglia
> sempre usare un linguaggio a scopi *persuasivi* ? persuadere di che
> cosa ?

> Io sono un lettore e non uno scrittore, quindi posso ignorare le
> regole che stanno alla base di una corretta narrazione, ma, da
> lettore, io sono rapito, il più delle volte, dallo stato d'animo dei
> personaggi e se ne condivido, in certi casi, le emozioni, sono
> pienamente appagato da quanto sto leggendo.

> Non mi serve conoscere dettagli "tecnici"; narrare non vuol dire
> pubblicizzare protesi dentarie o chewingum allo xilitolo.

> Fare il dirigente d'azienda e stendere una brochure significa, con
> molta probabilità, sforzarsi di persuadere qualcuno a comprare il
> proprio prodotto e ciò che è scritto in una brochure è molto diverso
> da ciò che è scritto in un racconto.

Le obiezioni a cui accennavo timidamente ieri vertevano all'incirca
su questo: solo accettando lo scarto di significato implicito in chi
considera come sinonimi "l'essere credibile", "l'essere convincente"
e "l'essere persuasivo", si può prendere per buono il discorso della
Zoboli; e la deriva interpretativa parte proprio da lì, cioè dalla
sostanziale confusione di piani tra una brochure e un romanzo, tra
un narratore e un politico (o un mago televisivo); che, per la verità,
era stato lo stesso Mozzi a introdurre in uno dei suoi interventi.

Per il resto, pur con dotte e articolate argomentazioni, mi sembra
l'ennesima riproposizione, con una minima variante, della vexata
quaestio circa la maggior importanza, nell'economia di un racconto,
della forma o del contenuto.
Mozzi, nella sua analisi, predilige il contenuto (la credibilità di una
storia è data dalla coerenza interna dei dettagli dell'intreccio); e la
Zoboli, invece, mette l'accento più sulla forma (sono il linguaggio
e lo stile a determinare la credibilità di una storia), come peraltro
fa capire il rimando alle questioni retoriche nel finale del pezzo.

Se così fosse (come temo), non avrebbe molto senso intervenire
in favore dell'uno o dell'altro, perché è ovvio che concorrono
entrambe in egual misura, o in una misura impossibile da stabilire
(in formula 1 è più importante il pilota o la macchina?, il carattere
è frutto più dell'ambiente o è ereditario?).
Ma prima ancora verrebbe da chiedersi: è così importante farsi
credere, per un narratore?
La sospensione dell'incredulità non viene concessa generosamente,
dal lettore, anche perché - forse - non è su quel piano che giudicherà
l'opera e chi l'ha prodotta?
Non so, chiedo...


Lucangel

unread,
Feb 18, 2003, 2:46:11 PM2/18/03
to
"sergio garufi" <in...@spazipalladiani.it> ha scritto

> Ma prima ancora verrebbe da chiedersi: č cosě importante farsi
> credere, per un narratore?

Prendiamo l'esempio dei post di Dario, che vorrebbe risultare credibile come
conoscitore del campo e dei meccanismi dell'editoria. Si vede lontano un
miglio che non sa un cazzo e chi lo legge ha subito la sensazione di stare
perdendo tempo. Ora immagina un romanzo di Dario ambientato nel mondo
dell'editoria...

giulio mozzi

unread,
Feb 18, 2003, 2:54:20 PM2/18/03
to

"sergio garufi" <in...@spazipalladiani.it> ha scritto nel messaggio
news:aXv4a.199116$0v.55...@news1.tin.it...

> Per il resto, pur con dotte e articolate argomentazioni, mi sembra
> l'ennesima riproposizione, con una minima variante, della vexata
> quaestio circa la maggior importanza, nell'economia di un racconto,
> della forma o del contenuto.
> Mozzi, nella sua analisi, predilige il contenuto (la credibilità di una
> storia è data dalla coerenza interna dei dettagli dell'intreccio); e la
> Zoboli, invece, mette l'accento più sulla forma (sono il linguaggio
> e lo stile a determinare la credibilità di una storia), come peraltro
> fa capire il rimando alle questioni retoriche nel finale del pezzo.

Ma, così a occhio,direi:

- mi sembra che Michele Governatori abbia scritte cose sostanzialmente
condivisibili.

- io direi: la credibilità di una storia è data dalla coerenza del mondo che
essa mette in scena; e le "regole di coerenza" sono stabilite dal genere
letterario al quale la storia appartiene (o addirittura: al quale la storia
dichiara di appartenere).

Ovvio che la credibilità del "Furioso" è differente alla credibilità di "Se
questo è un uomo" (per fare un esempio estremo). Il "Furioso" è credibile
proprio in quanto dichiara (= fa capire fin dall'inizio, dalle prime righe,
dove si stipula il patto con il lettore) che la storia sarà costellata di
fatti meravigliosi (e quindi incredibili), e da tale "meravigliosità" non si
distacca mai. "Se questo è un uomo" è credibile in quanto dichiara di essere
una memoria di fatti accaduti a chi li racconta, e non c'è niente nella
narrazione che ci faccia sospettare che così non sia.

Si potrebbe dire, forse che un "genere letterario" può essere definito per
mezzo delle sue specifiche "regole di coerenza"...

***

Poi: sì, il narratore vuole essere creduto. All'inizio gli viene concessa la
"sospensione d'incredulità"; ma questa concessione va, per così dire,
"pagata" nel corso della narrazione. Altrimenti detto: il lettore non ti dà
un credito illimitato. Da un certo punto in poi la storia deve sostenere da
sé, grazie al rispetto e allo sfruttamento delle regole di coerenza, la
propria credibilità.

Mi sembra che qui la "vexata quaestio" di forma e contenuto non c'entri
niente.

gm


silvio

unread,
Feb 18, 2003, 3:44:07 PM2/18/03
to

"giulio mozzi" <giuli...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:Mbw4a.132061$YG2.3...@twister1.libero.it...

(...)

> Poi: sì, il narratore vuole essere creduto. All'inizio gli viene concessa
la
> "sospensione d'incredulità"; ma questa concessione va, per così dire,
> "pagata" nel corso della narrazione. Altrimenti detto: il lettore non ti

> un credito illimitato. Da un certo punto in poi la storia deve sostenere
da
> sé, grazie al rispetto e allo sfruttamento delle regole di coerenza, la
> propria credibilità.
> Mi sembra che qui la "vexata quaestio" di forma e contenuto non c'entri
> niente.

su questi argomenti, e anche su molti altri, ha scritto un bel libro
Federico Bertoni: "Il testo a quattro mani", Firenze, La Nuova Italia, 1996.
Consigliabile, anche proprio a mo' di dottissimo Bignami, a chiunque voglia
avventurarsi in discussioni di teoria letteraria, mi permetterei di
aggiungere.
Saluti
silvio

sergio garufi

unread,
Feb 19, 2003, 6:48:53 AM2/19/03
to

silvio ha scritto

>su questi argomenti, e anche su molti altri, ha scritto un bel
>libro Federico Bertoni: "Il testo a quattro mani", Firenze, La
>Nuova Italia, 1996. Consigliabile, anche proprio a mo' di
>dottissimo Bignami, a chiunque voglia avventurarsi in
>discussioni di teoria letteraria, mi permetterei di aggiungere.

Grazie per i riferimenti bibliografici, sempre utili e pertinenti.
Ti faccio pure i miei complimenti per il tuo pezzo sull'ultimo
numero di Vibrisse. I tuoi interventi, assieme a quelli di
Bartolomeo di Monaco, sono indubbiamente le cose
migliori di quel bollettino.

sergio garufi

unread,
Feb 19, 2003, 6:49:05 AM2/19/03
to

giulio mozzi ha scritto

>Mi sembra che qui la "vexata quaestio"
>di forma e contenuto non c'entri niente.

Almeno su un punto siamo d'accordo.
Ognuno pensa la stessa cosa dell'altro.

giovanna zoboli

unread,
Feb 19, 2003, 8:40:39 AM2/19/03
to
Salve Sergio,
ti ringrazio per aver letto e segnalato il mio pezzo e ti rispondo in
merito
ad alcune cose che hai scritto.
La mia formazione non è pubblicitaria: vengo da studi classici e ho
lavorato
come redattrice per alcuni anni in case editrici svolgendo i compiti più
diversi. L’idea di aprire uno studio di comunicazione è nata solo in un
secondo momento e comunque sulla base di una forte esperienza in ambito
editoriale, cosa che fra l’altro rende il mio studio di comunicazione
abbastanza particolare, nell’offerta dei servizi. Sottolineo questo anche
perché, operando in questo campo, ci si rende conto di quanto vi sia
necessità di persone che sappiano svolgere attività qualificate di
comunicazione, persone dotate di specifiche competenze linguistiche e
cultura letteraria, che possono invece difettare (anche se non è detto) a
chi intraprende la professione di copy, fondata su un’idea abbastanza
precisa di creatività e su una preparazione molto centrata sul campo dei
media e della pubblicità (che fra l'altro a me manca o, meglio, che
possiedo
come autodidatta). Sono, insomma, due cose molto diverse, per cui sono
previste figure professionali diverse.
In parole povere, non sono una “copywriter pubblicitaria”: faccio, fra le
altre cose, anche alcuni lavori che di solito fanno i copy.
Accanto a questa attività di comunicazione, scrivo per ragazzi: dal 1994
collaboro come autrice con Mondadori per cui però ho fatto anche diverse
altre cose: la traduttrice, la curatrice di volumi eccetera.
Ho voluto incentrare il mio articolo sulla mia esperienza professionale
perché, come è intuitivo, in scritti di questo tipo (monografie aziendali,
brichure istituzionali) la credibilità è un attributo fondamentale.
È ovvio, fra l’altro, che vi sono numerosissimi autori che si possono
citare
a proposito della retorica, delle sue tecniche e dei suoi usi: la mia
citazione alla fine dell’articolo a proposito di Socrate e dei sofisti,
(la
loro contesa segna forse l’inizio di questa infinita questione del
“discorso
sopra il linguaggio”), sta proprio a indicare le dimensioni del tema in
oggetto e il calibro dei personaggi che se ne sono occupati, oltre a Eco e
a
Queneau. Tuttavia sono anche convinta che la genericità, e le asserzioni
generiche, nella scrittura, siano un vizio (imperdonabile) che genera noia
sicura, ed è questa la ragione per cui preferisco raccontare la genesi di
un
pensiero, il modo in cui ho metabolizzato un’idea, cioè preferisco
raccontare un’esperienza, quando non sia strettamente, e angustamente,
personale. Oltretutto, non essendo una studiosa di linguistica e di
semiotica mettendomi su un piano scientifico e inanellando citazioni,
rischierei con probabilità di dire castronerie.
È anche vero, come dici, che “credibile” “persuasivo” eccetera, sono
termini
diversi che indicano cose diverse, ma quando il lettore decide di
“sospendere l”incredulità” per affidarsi alla finzione di un testo, lo fa,
a
mio avviso, perché l’autore l’ha convinto su molteplici piani, tra cui:
quello della storia (suspence>coinvolgimento), del contenuto
(verosimiglianza> fiducia), dei personaggi (empatia>identificazione). La
credibilità del testo si realizza sulla base di molteplici fattori e
catalizzando diversi sentimenti nel lettore. A mio avviso, è precisamente
nella forma compiuta del testo - nella sua forma sensibile e concreta che
è
l'unico esito dell'azione di uno scrittore - che si risolvono tutti questi
piani: è la forma compiuta che, alla fine, fa superare al lettore la noia,
la pigrizia, l’incredulità, la boria, i pregiudizi, la presunzione, la
superficialità, il sonno, la vanità, l’ignoranza, la diffidenza e
l’indifferenza, inducendolo a proseguire la lettura (il lettore, questo
essere spesso angelicato, in realtà, è un grandissimo rompiscatole, pronto
a
trovare peli nell’uovo, a vedere travi negli occhi altrui, a portare acqua
al proprio mulino, a farsi bello con le penne del pavone: cosa che sanno
tutti gli scrittori e, soprattutto, che sappiamo tutti noi lettori, quando
ci gu

--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ab...@newsland.it


Bartolomeo Di Monaco

unread,
Feb 19, 2003, 8:45:32 AM2/19/03
to

"sergio garufi" <in...@spazipalladiani.it> ha scritto nel messaggio
news:FaK4a.133998$YG2.3...@twister1.libero.it...

Grazie, Sergio. Ma tu o silvio (magari in e mail) dovete dirmi come si firma
silvio in vibrisse. Altrimenti non dormo più la notte :-) Non mi dire, però,
che dovrei riconoscerlo da solo, giacché sono un po' rincoglionito (per via
dell'età, solo per quello). Un saluto. Bart


Lucangel

unread,
Feb 19, 2003, 8:54:05 AM2/19/03
to
Bart

> Grazie, Sergio. Ma tu o silvio (magari in e mail) dovete dirmi come si
firma
> silvio in vibrisse.

Caciaturian (quello di 'Mercato Persiano')

Lucangel

unread,
Feb 19, 2003, 8:58:06 AM2/19/03
to
"giovanna zoboli" <cal...@galactica.it> ha scritto

Zoboli:

> scrivo per ragazzi: dal 1994
> collaboro come autrice con Mondadori per cui però ho fatto anche diverse
> altre cose: la traduttrice

Anche tu alle prese con Margherita Deforestan & Diserban, dunque! Salutamela
tanto e dille che l'amo ancora:-)

silvio

unread,
Feb 19, 2003, 11:46:25 AM2/19/03
to

"Lucangel" <nos...@nospam.it> ha scritto nel messaggio
news:10M4a.271194$AA2.10...@news2.tin.it...

> Caciaturian (quello di 'Mercato Persiano')

la chair est triste, caro il mio Angelo (il mio caro angelo, appunto).
Saluti
silvio


Bartolomeo Di Monaco

unread,
Feb 19, 2003, 11:55:49 AM2/19/03
to

"Lucangel" <nos...@nospam.it> ha scritto nel messaggio
news:10M4a.271194$AA2.10...@news2.tin.it...

Vuoi dire: Giovanni Choukhadarian? "Mercato Persiano" dove lo trovo? Oh,
vedi di non prendermi in giro :-) Bart


silvio

unread,
Feb 19, 2003, 1:02:18 PM2/19/03
to

"Bartolomeo Di Monaco" <bartolomeo...@tin.it> ha scritto nel
messaggio news:pGO4a.202689$0v.56...@news1.tin.it...

> Vuoi dire: Giovanni Choukhadarian? "Mercato Persiano" dove lo trovo? Oh,
> vedi di non prendermi in giro :-) Bart

faccio comunque notare l'irrilevanza storica di ogni questione
nominalistica. Non sunt multiplicanda entia, con quanto segue.
Saluti
silvio


Lucangel

unread,
Feb 19, 2003, 6:10:29 PM2/19/03
to

"Lucangel" <nos...@nospam.it> ha scritto

> Caciaturian (quello di 'Mercato Persiano')

Oops, che errore. Khachaturian è quello di 'Danza delle spade', mentre 'In
un mercato persiano' è di Ketelbey.
Chiedo scusa per aver confuso le idee a Bart:-)

kalle

unread,
Feb 19, 2003, 8:42:32 PM2/19/03
to
Il 20 Feb 2003, 00:10, "Lucangel"

> Oops, che errore. Khachaturian è quello di 'Danza delle spade', mentre 'In
> un mercato persiano' è di Ketelbey.
> Chiedo scusa per aver confuso le idee a Bart:-)

e come mai questo favorito di Stalin era sempre imitatissimo nelle colonne
sonore Hollywoodiane anni '50? Il senatore McCarty dormiva? O era
stalinista?
ciao

ps: hai un libro su K. da consigliarmi? O da consigliare a Beneforti?
ciao

Bartolomeo Di Monaco

unread,
Feb 20, 2003, 2:41:30 AM2/20/03
to

"Lucangel" <nos...@nospam.it> ha scritto nel messaggio
news:F9U4a.276846$AA2.10...@news2.tin.it...

No no con le idee confuse io ci sono nato. E' per questo che cerco di
scrivere storie. Dipanandole chissà che non ci capisca qualcosa, finalmente.
Se invece restano tutte compresse e striminzite nella zucca, mi dici come
posso infilarci il pollice e l'indice e delicatamente cogliere la "Danza
delle spade" (che conosco, voilà) e "In un mercato persiano" (che non
conosco e, "santa polenta", come lo trovo?)

Certo che se il nome di silvio somiglia a quello dell'autore della Danza
delle spade, ossia se è lui l'autore de Il verso cantato, ci sarebbe da fare
un giochino qui su icl: a chi riesca a scrivere correttamente al primo colpo
il suo cognome :-) Naturalmente, toglimi dai concorrenti, oppure prepara
l'ambulanza per farmi condurre, a fine gara, al manicomio :-)

Un saluto. Bart


--
Bartolomeo Di Monaco su www.ibs.it
www.bartolomeodimonaco.it

Bartolomeo Di Monaco

unread,
Feb 20, 2003, 2:44:24 AM2/20/03
to

"Bartolomeo Di Monaco" <bartolomeo...@tin.it> ha scritto nel
messaggio news:KE%4a.277454$AA2.10...@news2.tin.it...

>
> "Lucangel" <nos...@nospam.it> ha scritto nel messaggio
> news:F9U4a.276846$AA2.10...@news2.tin.it...
> >
> >
> > "Lucangel" <nos...@nospam.it> ha scritto
> >
> > > Caciaturian (quello di 'Mercato Persiano')
> >
> > Oops, che errore. Khachaturian è quello di 'Danza delle spade', mentre
'In
> > un mercato persiano' è di Ketelbey.
> > Chiedo scusa per aver confuso le idee a Bart:-)
>cut

> ossia se è lui l'autore de Il verso cantato,

correggo: ossia se è lui l'autore del pezzo su Il verso cantato (che è di
Antonio Cardillo)


prufrock

unread,
Feb 20, 2003, 2:03:56 PM2/20/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto

> faccio comunque notare l'irrilevanza storica di ogni questione
> nominalistica. Non sunt multiplicanda entia, con quanto segue.
> Saluti
> silvio
>

sì, però, dicci solo se concordi con il vaticinante D'Orrico, che eleva
panegirici inconsulti a Faletti e Bloom ( preferisco leopold,
indubbiamente), su i suoi gusti à propos di football e letteratura ;-)
linnio.


silvio

unread,
Feb 20, 2003, 2:57:41 PM2/20/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:wE95a.139759$ZE.39...@twister2.libero.it...

> sì, però, dicci solo se concordi con il vaticinante D'Orrico, che eleva
> panegirici inconsulti a Faletti e Bloom ( preferisco leopold,
> indubbiamente), su i suoi gusti à propos di football e letteratura ;-)

detto con franchezza, non si sospettava che il D'Orrico avesse tanti e tanto
attenti lettori.
Dei suoi gusti letterari in materia di fòlber non tèngasi conto. Il maggior
romanzo italiano d'argomento calcistico è G. Arpino, "Azzurro tenebra", qui
e altrove più volte citato - sul tema, cfr. anche M. Raffaeli, "Tenebre
azzurre", ne "il manifesto", 12/10/2002. Bloom è quel che è, ma sto dalla
sua parte dopo i proditori attacchi da lui subiti per un mano di un grosso,
giovane filologo di scuola pavàna. Faletti, minchia signor tenente.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 20, 2003, 10:39:45 PM2/20/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto

> detto con franchezza, non si sospettava che il D'Orrico avesse tanti e
tanto
> attenti lettori.
ma perchè è uno che si fa apprezzare per chiarezza e per gusto della
rodomontata. Diciamo che è un po' monomaniaco in quanto a gusti letterari.

> Dei suoi gusti letterari in materia di fòlber non tèngasi conto. Il
maggior
> romanzo italiano d'argomento calcistico è G. Arpino, "Azzurro tenebra",
qui
> e altrove più volte citato - sul tema, cfr. anche M. Raffaeli, "Tenebre
> azzurre", ne "il manifesto", 12/10/2002.

sì, ma lui mi sdogana pure la Littizzetto del pisello...


>Bloom è quel che è, ma sto dalla
> sua parte dopo i proditori attacchi da lui subiti per un mano di un
grosso,
> giovane filologo di scuola pavàna.

se fosse pure grasso sarebbe un bello scontro : dalle foto si ha la
sensazione che ormai bloom sia in via di tracimazione.

Faletti, minchia signor tenente.

tu l'hai detto.
linnio
> Saluti
> silvio
>
>


silvio

unread,
Feb 21, 2003, 12:51:18 AM2/21/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:5ch5a.140211$YG2.4...@twister1.libero.it...

> ma perchè è uno che si fa apprezzare per chiarezza e per gusto della
> rodomontata. Diciamo che è un po' monomaniaco in quanto a gusti letterari.

ma è un veneziano, uno che riduce la critica letteraria a masturbatio
grillorum, e con l'aria poi di chi fa il contrario. L'ha sistemato per bene
il Chiaberge, qualche domenica fa.

> sì, ma lui mi sdogana pure la Littizzetto del pisello...

ti direi che però l'hanno sdoganata in parecchi, eh (qualcuno no. Qualcuno
ha proprio scritto che sono menate e che è ora di basta coi libri così).

> se fosse pure grasso sarebbe un bello scontro : dalle foto si ha la
> sensazione che ormai bloom sia in via di tracimazione.

il filologo veneto non ha raggiunto le dimensioni del Bloom perché ancora
difetta di cattedra. Dàgli tempo qualche anno e poi ci saremo. Panza o non
panza, arriveremo a Roma.

> tu l'hai detto.

eh, l'ho anche letto.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 21, 2003, 12:39:40 PM2/21/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it>

> ma è un veneziano, uno che riduce la critica letteraria a masturbatio
> grillorum,

questa è breriana...chi era l'abatino quello che si dedicava a questa
pratica onanistica ?

e con l'aria poi di chi fa il contrario. L'ha sistemato per bene
> il Chiaberge, qualche domenica fa.

che gli ha detto ?

> ti direi che però l'hanno sdoganata in parecchi, eh (qualcuno no. Qualcuno
> ha proprio scritto che sono menate e che è ora di basta coi libri così).

è, più o meno, quello che si pensa anche in questi posti davanti al mare.

> il filologo veneto non ha raggiunto le dimensioni del Bloom perché ancora
> difetta di cattedra. Dàgli tempo qualche anno e poi ci saremo. Panza o non
> panza, arriveremo a Roma.

> > tu l'hai detto.
>
> eh, l'ho anche letto.

una prece.
linnio.


silvio

unread,
Feb 21, 2003, 1:13:32 PM2/21/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:wvt5a.142021$YG2.4...@twister1.libero.it...
> questa č breriana...chi era l'abatino quello che si dedicava a questa
> pratica onanistica ?

c'erano due brerismi in un periodo solo: 'veneziano' (anche 'venezia') e
appunto 'masturbatio' etc. Nessuno dei due č rubricato nel comunque
essenziale "Calciolinguaggio di G. B.", oggi ristampato entro A. Maietti,
"Com'era bello con Gianni Brera", Arezzo, Limina, 2002. La masturbatio
grillorum era in genere attribuita piuttosto a una squadra che a un singolo
pedatore. All'abatino direi mai, ma vado davvero a memoria e poi sto per
uscire a cena.

> che gli ha detto ?

che č ora di basta con questa menata che son tutti capolavori o schifezze.
Che tra l'altro, ma questo l'aggiungo io, prende lucciole per lanterne con
frequenza imbarazzante. O a qualcuno č piaciuto davvero il Philip Roth che
racconta de qučla con du' 'bbocce? No, per sapere.

> č, piů o meno, quello che si pensa anche in questi posti davanti al mare.

ecco, quello lě che citi č uno che io avrei fermato alla dogana
sabaudo-ligure molti anni fa. Tipo 25/30, quando faceva l'opening act per il
Perigeo.
Saluti
silvio

prufrock

unread,
Feb 21, 2003, 10:41:15 PM2/21/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto >

> c'erano due brerismi in un periodo solo: 'veneziano' (anche 'venezia')

amarcord : 'venezia' stava anch'esso per eccesso di fronzoli e funambolismi,
virtuosismi palleggiatori inutili, mancanza di concretezza nella fase di
realizzazione. o no ?

e
> appunto 'masturbatio' etc. Nessuno dei due è rubricato nel comunque


> essenziale "Calciolinguaggio di G. B.", oggi ristampato entro A. Maietti,
> "Com'era bello con Gianni Brera", Arezzo, Limina, 2002. La masturbatio
> grillorum era in genere attribuita piuttosto a una squadra che a un
singolo
> pedatore. All'abatino direi mai, ma vado davvero a memoria e poi sto per
> uscire a cena.
>
>

> O a qualcuno è piaciuto davvero il Philip Roth che
> racconta de quèla con du' 'bbocce? No, per sapere.

non l'ho letto, ma mi piace.
> ecco, quello lì che citi è uno che io avrei fermato alla dogana


> sabaudo-ligure molti anni fa. Tipo 25/30, quando faceva l'opening act per
il
> Perigeo.

quelli che avevano quel blues da piangere ? ma dai, che il buon Fossati cita
ad ogni piè sospinto Pessoa e Caproni e Camoes. Non conosco 'la bottega di
filosofia' o giù di lì, ma quanti assai peggio di lui! da jesahel nananana
ne ha fatta di strada :-)

silvio

unread,
Feb 22, 2003, 12:58:23 AM2/22/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:vjC5a.143495$YG2.4...@twister1.libero.it...

> amarcord : 'venezia' stava anch'esso per eccesso di fronzoli e
funambolismi,
> virtuosismi palleggiatori inutili, mancanza di concretezza nella fase di
> realizzazione. o no ?

senz'altro, sì. Non si sono dati casi di venezia che siano poi stati grandi
campioni.

> [il Philip Roth]


> non l'ho letto, ma mi piace.

l'ideale. Leggi invece l'ultimo Updike, che è di argomento piuttosto affine
(ma non parla di bocce, perché Updike ci tiene a far sempre bella figura in
società).

> quelli che avevano quel blues da piangere ? ma dai, che il buon Fossati
cita
> ad ogni piè sospinto Pessoa e Caproni e Camoes. Non conosco 'la bottega di
> filosofia' o giù di lì, ma quanti assai peggio di lui! da jesahel nananana
> ne ha fatta di strada :-)

no, quelli dopo.
Son stato io, però, a confondere il similportoghese con un anziano civilista
sabaudo, anche lui dilettante in musica. Ma me li confondo, 'sti qui nuovi.
Ieri, a Ventimiglia, sotto i portici, un tenore cantava "Core 'ngrato",
tenendo due sciacalli al guinzaglio.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 23, 2003, 1:02:43 AM2/23/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto

> senz'altro, sì. Non si sono dati casi di venezia che siano poi stati
grandi
> campioni.

et alors, baggio è o no un venezia ?


> l'ideale. Leggi invece l'ultimo Updike, che è di argomento piuttosto
affine
> (ma non parla di bocce, perché Updike ci tiene a far sempre bella figura
in
> società).

ma le bocce invece sono indispensabili per il bon ton. sono higbrow e
lowbrow in contemporanea ed, in sovrappiù, anche middlebrow. Ti scrivo
avendo ancora negli ochi il commovente e fresco ricordo di quelle della
Kidman in quegli occhi mezz'aperti e chiusi che invece sconcerta per tanti
tratti. per non parlare del nanerottolo.


>
> no, quelli dopo.
> Son stato io, però, a confondere il similportoghese con un anziano
civilista
> sabaudo, anche lui dilettante in musica.

ma allora è stato per la sinedocche 'posti davanti al mare' e l''onda su
onda' del civilista astigiano, mi pare .

Ma me li confondo, 'sti qui nuovi.
> Ieri, a Ventimiglia, sotto i portici, un tenore cantava "Core 'ngrato",
> tenendo due sciacalli al guinzaglio.
> Saluti
> silvio

no te preocupe : qui i porcospini si abbeverano ad un filo di pietà. Diffida
comunque dai servi gallonati.
linnio.
>


silvio

unread,
Feb 23, 2003, 4:04:45 AM2/23/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:7uZ5a.147182$ZE.42...@twister2.libero.it...

> et alors, baggio è o no un venezia ?

no, senz'altro.
In un articolo di Repubblica di un martedì, ora non saprei risalire all'anno
esatto, Baggio fu paragonato a Peppino Meazza: un'autentica assunzione a
semidivinità.

> ma le bocce invece sono indispensabili per il bon ton. sono higbrow e
> lowbrow in contemporanea ed, in sovrappiù, anche middlebrow. Ti scrivo
> avendo ancora negli ochi il commovente e fresco ricordo di quelle della
> Kidman in quegli occhi mezz'aperti e chiusi che invece sconcerta per tanti
> tratti. per non parlare del nanerottolo.

mi diventa complesso, stamattina, ricostruire il tuo percorso iconologico.
Le bocce sono state mid-cult in molta buona letteratura italiana degli anni
fra i Trenta e i Cinquanta del Novecento (penso, si capisce, a Moravia, ma
anche di più a certi ritratti muliebri dell'Ercole Patti, per dire). Più
avanti, direi che sono andate diradandosi. Ultimamente, ne ho ritrovato
cenni, per esempio, nell'Avalli: ma si capisce che l'intonazione è
tutt'affatto differente.
Secundum Belpoliti, le bocce dell'ultimo Roth sono teoriche. A me non era
parso, ma Belpoliti dispone di occhi socioculturali a me ignoti.

> ma allora è stato per la sinedocche 'posti davanti al mare' e l''onda su
> onda' del civilista astigiano, mi pare .

guarda, dev'essere andata così per forza. E' la pioggia che va, e il tempo
(ancora Roth, s'intende).

> no te preocupe : qui i porcospini si abbeverano ad un filo di pietà.
Diffida
> comunque dai servi gallonati.

coglierò per lei l'ultima rosa del giardino, chiunque ella sia. Né si è più
data notizia di servi, gallonati e no.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 23, 2003, 11:06:01 PM2/23/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it>

> > et alors, baggio è o no un venezia ?
>
> no, senz'altro.
> In un articolo di Repubblica di un martedì, ora non saprei risalire
all'anno
> esatto, Baggio fu paragonato a Peppino Meazza: un'autentica assunzione a
> semidivinità.

heuresement, non vidi giocare Meazza, ma se non ricordo male, anche lui non
era proprio un cuor di leone; forse la congiuntura Meazza-Baggio va letta in
cotale maniera.

>
> mi diventa complesso, stamattina, ricostruire il tuo percorso iconologico.

è quello di uno che ha visto in vhs l'ultimo Kubrick e salva di esso solo
quei nudi della Kidman e le sue scelte in tema di intimo.

> Le bocce sono state mid-cult in molta buona letteratura italiana degli
anni
> fra i Trenta e i Cinquanta del Novecento (penso, si capisce, a Moravia, ma
> anche di più a certi ritratti muliebri dell'Ercole Patti, per dire). Più
> avanti, direi che sono andate diradandosi. Ultimamente, ne ho ritrovato
> cenni, per esempio, nell'Avalli: ma si capisce che l'intonazione è
> tutt'affatto differente.

ecco, pure questo ci fa cotanto differnte dagli americani, dei minus habens
: se uno, per esempio, ti buttasse lì la vexata quaestio dell'erotismo
nella nostra letteratura contemporanea chi metteresti ? Certo Bufalino,
nostalgico e memoriale, il Tomasi di Lampedusa del ciclone amoroso, la
Cavalli e chi altri ? le bocce rimangono ferme, nessuno che le ostenti o
descrivi.


> Secundum Belpoliti, le bocce dell'ultimo Roth sono teoriche. A me non era
> parso, ma Belpoliti dispone di occhi socioculturali a me ignoti.

ma di lui ci si fida alla cieca : with eyes wide shout, per l'appunto.


>
> guarda, dev'essere andata così per forza. E' la pioggia che va, e il tempo
> (ancora Roth, s'intende).

stiamo per abbandonare 'sto gelido febbraio e allora la pioggia si tramuterà
nelle aguas do marco di Jobim, meglio con ellis regina, se possibile.


>
> coglierò per lei l'ultima rosa del giardino, chiunque ella sia. Né si è
più
> data notizia di servi, gallonati e no.

è che si cerca il segno smarrito, quel pegno solo che avemmo, perdendolo.
L'unica certezza, comunque, che ci rende in tristitia hilaris e trisitis in
hilaritate, è che l'inferno è certo.

linnio.


silvio

unread,
Feb 24, 2003, 12:49:18 AM2/24/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:JSg6a.149446$YG2.4...@twister1.libero.it...

> heuresement, non vidi giocare Meazza, ma se non ricordo male, anche lui
non
> era proprio un cuor di leone; forse la congiuntura Meazza-Baggio va letta
in
> cotale maniera.

tempo al tempo. Brera lodava di Meazza l'intelligenza che, a suo dire,
Peppino poteva esprimere soltanto parlando in dialetto (la cosa gli creò non
pochi problemi con il parentado del centrattacco, peraltro). E in ogni caso,
la qualifica di abatino non è nata con intento denigratorio. Rientrava
invece nelle tassonomie fisico-etnologiche che hanno contribuito alla fama
critica di Brera.

> è quello di uno che ha visto in vhs l'ultimo Kubrick e salva di esso solo
> quei nudi della Kidman e le sue scelte in tema di intimo.

film incompiuto. Lei bellissima, senz'altro. Intimo, boh, devi essere stato
praticamente l'unico in Europa a farci caso.

> ecco, pure questo ci fa cotanto differnte dagli americani, dei minus
habens
> : se uno, per esempio, ti buttasse lì la vexata quaestio dell'erotismo
> nella nostra letteratura contemporanea chi metteresti ? Certo Bufalino,
> nostalgico e memoriale, il Tomasi di Lampedusa del ciclone amoroso, la
> Cavalli e chi altri ? le bocce rimangono ferme, nessuno che le ostenti o
> descrivi.

eh. C'è intanto il dimenticatissimo Francesco Saba Sardi, che oggi vive
fortunato esule in qualche atollo dei Tropici (o altro del genere),
profondissimo cultore della materia nei non formidabili anni Sessanta.
Cavalli, se è la Patrizia, non parla tantissimo di bocce, se ci pensi.
Occorrono, ma non sono parte davvero costitutiva delle sue architetture
liriche. Ce n'è parecchie nell'ultimo Pallavicini, ma sono bocce posthuman,
quindi secondo me non valgono. Però dovrei pensarci meglio, e in orari più
consoni alla materia.

> [Belpoliti]


> ma di lui ci si fida alla cieca : with eyes wide shout, per l'appunto.

diffido del pensiero unico e non mi fido alla cieca di nessuno, Belpoliti
incluso.

> stiamo per abbandonare 'sto gelido febbraio e allora la pioggia si
tramuterà
> nelle aguas do marco di Jobim, meglio con ellis regina, se possibile.

E' pau e' pedra e' a fim do jardinho (tipo, no? Un cavallo di battaglia di
stagioni più lievi che questa, in fede).

> è che si cerca il segno smarrito, quel pegno solo che avemmo, perdendolo.
> L'unica certezza, comunque, che ci rende in tristitia hilaris e trisitis
in
> hilaritate, è che l'inferno è certo.

ma no. E' soltanto che il mondo oscilla tra il sublime e l'immondo, con
qualche propensione per il secondo. A me non dispiace neppure, ti direi.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 25, 2003, 12:30:05 AM2/25/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto >

> tempo al tempo. Brera lodava di Meazza l'intelligenza che, a suo dire,
> Peppino poteva esprimere soltanto parlando in dialetto (la cosa gli creò
non
> pochi problemi con il parentado del centrattacco, peraltro).

era sempre il gioannbrerafucarlo a dire che il football era sport da
lumpenproletariat e che l'unico giocatore che sapesse parlare bene l'idioma
nazionale, proveniendo eglilui da classi elevate, fosse quel gianluca
Vialli, che ora mi pare impelagato nella perfida Albione fra ballerine e
modelle.


E in ogni caso,
> la qualifica di abatino non è nata con intento denigratorio. Rientrava
> invece nelle tassonomie fisico-etnologiche che hanno contribuito alla fama
> critica di Brera.

il magistero lingusitico di brera mi ricorda quei versi di quell'amico di
dante : riman figura solo en signoria, anche se muta di gran lunga contesto
e setting.

>
> film incompiuto.

sconcerto del sottoscritto nell'osservare, qua e là, qualche retaggio
dell'antica maestria che non riesce però a nascondere quel costante
pencolare verso una banalità corriva e spuria.

> Lei bellissima, senz'altro.

bellezza algida e carnale, al contempo. E adesso mi fa la nevrotica di
bloomsbury. Cordelli, tempo fa, sul Corriere si domandava come fosse
possibile questa trasmutazione.


Intimo, boh, devi essere stato
> praticamente l'unico in Europa a farci caso.

tu mi sottovaluti, caro : domanda un po' alle tue amiche che cosa dicono
dell'intimo del nanerottolo ( eppure, in magnolia, recita da dio...)

>
> eh. C'è intanto il dimenticatissimo Francesco Saba Sardi, che oggi vive
> fortunato esule in qualche atollo dei Tropici (o altro del genere),
> profondissimo cultore della materia nei non formidabili anni Sessanta.
> Cavalli, se è la Patrizia, non parla tantissimo di bocce, se ci pensi.

vrai : eppure mi sembrava che quella simaptica poetessa potesse trarre dalle
bocce fonte vitale ed imperitura di ispirazione e sollazzo.

> Occorrono, ma non sono parte davvero costitutiva delle sue architetture
> liriche. Ce n'è parecchie nell'ultimo Pallavicini, ma sono bocce
posthuman,
> quindi secondo me non valgono.

e no, quelle cibernetiche non ci piacciono:-)

>
> diffido del pensiero unico e non mi fido alla cieca di nessuno, Belpoliti
> incluso.

sì, ma un maestro, per quanto piccolo, per dirla alla Meneghello, ce lo
teniamo in vista dei pessimi tempi che si prospettano o no ? io, alcuni, me
li curo meticolosamente.


>
> E' pau e' pedra e' a fim do jardinho (tipo, no? Un cavallo di battaglia di
> stagioni più lievi che questa, in fede).

sì, proprio quella medesima : caingà, candeia è matita pereira è madeira do
vento tombo de ribanceira. altro che il gilberto reggaetante, ora ministro
della cultura del piccolo grande Lula.


> ma no. E' soltanto che il mondo oscilla tra il sublime e l'immondo, con
> qualche propensione per il secondo. A me non dispiace neppure, ti direi.

au fond de l'immondo pour trouver de le noveau, allora ?

linnio.
>
>


silvio

unread,
Feb 25, 2003, 8:17:21 AM2/25/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:xbD6a.153933$ZE.45...@twister2.libero.it...

> era sempre il gioannbrerafucarlo a dire che il football era sport da
> lumpenproletariat e che l'unico giocatore che sapesse parlare bene
l'idioma
> nazionale, proveniendo eglilui da classi elevate, fosse quel gianluca
> Vialli, che ora mi pare impelagato nella perfida Albione fra ballerine e
> modelle.

sì, questa era un'altra delle sue tesi più o meno probabili. Ho sentito
Brera lodare de Gobineau molto prima che Rizzoli lo ristampasse cofanettato.
Questo era naturalmente un limite, specie per chi prendeva alla lettera i
suoi paradossi.

> il magistero lingusitico di brera mi ricorda quei versi di quell'amico di
> dante : riman figura solo en signoria, anche se muta di gran lunga
contesto
> e setting.

oh sì, senza dubbio. E' però molto vero che non esiste più il calcio di
Gianni Brera, e anche l'Italia è cambiata, con il giornalismo. Una rubrica
come l'Arcimatto, al giorno d'oggi, non avrebbe senso. A parte il fatto che
chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui non lo ricorda come un gran
direttore (il suo Guerin Sportivo lo leggevano in 4 gatti).

> sconcerto del sottoscritto nell'osservare, qua e là, qualche retaggio
> dell'antica maestria che non riesce però a nascondere quel costante
> pencolare verso una banalità corriva e spuria.

impressione di una precisa scelta stilistica, che avrebbe necessitato di
un'ultima revisione almeno. Ma è l'unico suo film che abbia visto una volta
sola.

> bellezza algida e carnale, al contempo. E adesso mi fa la nevrotica di
> bloomsbury. Cordelli, tempo fa, sul Corriere si domandava come fosse
> possibile questa trasmutazione.

la nevrotica di Bloomsbury la fa col nasone appiccicato, come fossimo a
Carnevale. Boh.
Cordelli sul Corsera s'è occupato di Kidman? O tempora.

> tu mi sottovaluti, caro : domanda un po' alle tue amiche che cosa dicono
> dell'intimo del nanerottolo ( eppure, in magnolia, recita da dio...)

ma infatti secondo me è un bravo attore, poveròmo. Cos'ha di male? E'
piccolo, piace alle donne - insomma, io farei il cambio.

> vrai : eppure mi sembrava che quella simaptica poetessa potesse trarre
dalle
> bocce fonte vitale ed imperitura di ispirazione e sollazzo.

pare di fatto che, nella sua vita privata, le cose vadano appunto così.
Cavalli dev'essere stata graziosa, da giovane giovane. Poetessa notevole,
per quanto monocorde.

> [Belpoliti]


> sì, ma un maestro, per quanto piccolo, per dirla alla Meneghello, ce lo
> teniamo in vista dei pessimi tempi che si prospettano o no ? io, alcuni,
me
> li curo meticolosamente.

Belpoliti è un professore, anche per il Ministero dell'Istruzione, Cultura e
Ricerca: come Raffaele Manica, che è supremo. Tra i piccoli maestri, e
presto professori pure loro, ci scommetto, Silvio Perrella e Domenico
Scarpa. Il mio maestro di questi mesi è Massimo Raffaeli.
I maestri sono comunque fatti per essere mangiati in salsa piccante.

> sì, proprio quella medesima : caingà, candeia è matita pereira è madeira
do
> vento tombo de ribanceira. altro che il gilberto reggaetante, ora ministro
> della cultura del piccolo grande Lula.

piano piano. L'ultimo disco è così, ma lui dal vivo fa paura. Grandissimo,
ancora, molto più vivo del fratello in musica Caetano.

> au fond de l'immondo pour trouver de le noveau, allora ?

l'ignoro. Je suis hanté.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 25, 2003, 11:11:07 PM2/25/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto
>
> oh sě, senza dubbio. E' perň molto vero che non esiste piů il calcio di
> Gianni Brera, e anche l'Italia č cambiata, con il giornalismo.

ecco, č che quando si pensa a questo si ha sempre la sensazione di essere
laudator temporis acti ed il timore, conseguente, che anche domani vedremo
con efferata nostalgia il melanconico svanir di questi giorni, che oggi ci
appaiono inconsulti e folli.

Una rubrica
> come l'Arcimatto, al giorno d'oggi, non avrebbe senso. A parte il fatto
che
> chi ha avuto la fortuna di lavorare con lui non lo ricorda come un gran
> direttore (il suo Guerin Sportivo lo leggevano in 4 gatti).

eliotiani, forse, quei gatti ?

>
> impressione di una precisa scelta stilistica, che avrebbe necessitato di

> un'ultima revisione almeno. Ma č l'unico suo film che abbia visto una
volta
> sola.

questo io lo chiamo eccesso di zelo.


>
> la nevrotica di Bloomsbury la fa col nasone appiccicato, come fossimo a
> Carnevale. Boh.

chiaro che la preferiamo nature;-)

> Cordelli sul Corsera s'č occupato di Kidman? O tempora.

ecco uno di quei piccoli-grandi maestri di cui sopra, e sotto. Insieme a lui
Magris, ma anche Di Stefano, per restare sul Corriere.
>
> ma infatti secondo me č un bravo attore, poverňmo. Cos'ha di male? E'


> piccolo, piace alle donne - insomma, io farei il cambio.

anche dustin Hoffman non č che sia un watusso, cosě come Al pacino. Immagino
pure De Niro. o no ? Corti d'attore, si potrebbe dire, giovenilmente
vezzeggiando.

>
> pare di fatto che, nella sua vita privata, le cose vadano appunto cosě.


> Cavalli dev'essere stata graziosa, da giovane giovane. Poetessa notevole,
> per quanto monocorde.

pure a me piace assai e la iterativitŕ dei temi e delle forme ( metriche e
non) non mi tedia. Anzi.
>
> Belpoliti č un professore, anche per il Ministero dell'Istruzione, Cultura
e
> Ricerca: come Raffaele Manica, che č supremo. Tra i piccoli maestri, e


> presto professori pure loro, ci scommetto, Silvio Perrella e Domenico

> Scarpa. Il mio maestro di questi mesi č Massimo Raffaeli.

Raffaeli č della marca anconitana pure lui,per quel che interessa.


> I maestri sono comunque fatti per essere mangiati in salsa piccante.

cfr. il corvo in uccellacci e uccellini, la voce di Alfonso leonetti che
pronuncia l'assioma di Giorgio pasquali, esimio filologo.
e alla fine, per l'appunto, il corvo viene mangiato dalla incredibile coppia
: totň-ninetto.
>
> piano piano. L'ultimo disco č cosě, ma lui dal vivo fa paura. Grandissimo,
> ancora, molto piů vivo del fratello in musica Caetano.

visto due volte, a distanza di anni : la premier fois concerto
indimenticabile, la seconda serata imbarazzante , sotto tutti i punti di
vista. E gil non era certo incolpevole.

> l'ignoro. Je suis hanté.

tieni presente che anche la chair est triste.


linnio.

silvio

unread,
Feb 26, 2003, 12:57:20 AM2/26/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:v7X6a.155995$YG2.4...@twister1.libero.it...
> ecco, è che quando si pensa a questo si ha sempre la sensazione di essere

> laudator temporis acti ed il timore, conseguente, che anche domani vedremo
> con efferata nostalgia il melanconico svanir di questi giorni, che oggi ci
> appaiono inconsulti e folli.

ma è senz'altro vero e, aggiungerei, buono e giusto. Il revival della musica
da discoteca dei primi 90s, per dire, io l'ho iniziato da un pezzo. E quegli
splendidi raccontini dei primi cannibali italiani: oh che cori, che
speranze.
E' anche una forma di autodifesa da qualunque nuovo che avanzi.

> eliotiani, forse, quei gatti ?

il Guerin Sportivo di Brera era un giornale molto d'élite. Tutto scritto, il
contrario di quello che avrebbe poi inventato l'allora giovane Italo Cucci:
e aveva tra i rubrichisti Zanetti, suo sodale storico, e il conte Rognoni,
padre dell'attuale mammasantissima berlusconiano.

> questo io lo chiamo eccesso di zelo.

o che, non hai forse tu letto almeno un par di volte Guerra e Pace? E
quattro o cinque i Promessi sposi?

> chiaro che la preferiamo nature;-)

mi sorprende sempre questo costante interesse per la Woolf, comunque. E' un
segno dei tempi, di sicuro, ma non so interpretarlo.

> ecco uno di quei piccoli-grandi maestri di cui sopra, e sotto. Insieme a
lui
> Magris, ma anche Di Stefano, per restare sul Corriere.

no, Cordelli maestro, no. Ha tante colpe, ancora tutte da espiare.
Magris già di più, salvo quando si mette a fare le considerazioni da
impolitico, cioè purtroppo molto di frequente. Paolo Di Stefano è l'unico
giornalista italiano in possesso di solida preparazione romanistica (si è
laureato a Pavia con Cesare Segre, è stato editor da Einaudi, ha un
curriculum da paura). L'unico cronista culturale italiano degno della
qualifica. Anche un bravo scrittore e un poeta eccellente, sebbene
parsimonioso di sé oltre ogni ragione.

> anche dustin Hoffman non è che sia un watusso, così come Al pacino.


Immagino
> pure De Niro. o no ? Corti d'attore, si potrebbe dire, giovenilmente
> vezzeggiando.

ecco, io direi che è bravo, ma non bravo come questi che hai citato.
De Niro, però, non è propriamente un nano. O sì? Ma direi che no.

> pure a me piace assai e la iteratività dei temi e delle forme ( metriche e


> non) non mi tedia. Anzi.

eh, ho capito, ma non è che ci puoi costruire un canzoniere sterminato, su
queste basi. Lei lo sta facendo, invece.

> Raffaeli è della marca anconitana pure lui,per quel che interessa.

là dove organizza meravigliosi convegnucci per comparatisti snob. Lo so lo
so. Sarebbe, ne avesse voglia, uno strepitoso critico militante: ma ho
proprio l'impressione che non sia interessato all'articolo.

> cfr. il corvo in uccellacci e uccellini, la voce di Alfonso leonetti che
> pronuncia l'assioma di Giorgio pasquali, esimio filologo.
> e alla fine, per l'appunto, il corvo viene mangiato dalla incredibile
coppia

> : totò-ninetto.

perfetto. Parola non ci appulcro.

> visto due volte, a distanza di anni : la premier fois concerto
> indimenticabile, la seconda serata imbarazzante , sotto tutti i punti di
> vista. E gil non era certo incolpevole.

mi sorprendo. Visto qualche mese fa, oltretutto in compagnia del
simpaticissimo Veloso jr. (ma molto jr.! Avrà 20 anni e poco più, e la
fidanzata è una bambina piccolissima), e trovato in forma smagliante.

> > l'ignoro. Je suis hanté.
> tieni presente che anche la chair est triste.

ouais, c'est tout à fait comme ça. La chair est bien triste, si ta fois
était la premier, au lieu de la première, n'est-ce-pas?
Saluti
silvio


Bartolomeo Di Monaco

unread,
Feb 26, 2003, 2:14:21 AM2/26/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:4HY6a.235664$0v.66...@news1.tin.it...
cut

>Parola non ci appulcro.

Santa polenta :-), che bel dialogo (ornato di adorabile pettegolezzo,
anche). E poi:

"Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
qual ella sia, parole non ci appulcro."

cut

Bart


Mario Bergami

unread,
Feb 26, 2003, 3:31:37 AM2/26/03
to
On Wed, 26 Feb 2003 07:14:21 GMT, "Bartolomeo Di Monaco"
<bartolomeo...@tin.it> wrote:

>Santa polenta :-), che bel dialogo (ornato di adorabile pettegolezzo,
>anche). E poi:

Io l'ho trovato insopportabile. Tutto pieno di ammiccamenti culturali,
citazioni, strizzatine d'occhio intellettualistiche. Un teatrino delle
vanità.. Una esibizione salottiera e calligrafica di pensieri
rarefatti e di pettegolezzi da conversazioni postprandiali.

silvio

unread,
Feb 26, 2003, 7:47:11 AM2/26/03
to

"Mario Bergami" <ber...@spin.it> ha scritto nel messaggio
news:3quo5v8h8rvp0h52d...@4ax.com...

> Io l'ho trovato insopportabile. Tutto pieno di ammiccamenti culturali,
> citazioni, strizzatine d'occhio intellettualistiche. Un teatrino delle
> vanità.. Una esibizione salottiera e calligrafica di pensieri
> rarefatti e di pettegolezzi da conversazioni postprandiali.

e il tempo perduto a leggerlo? Che fuori c'è già questo bel tepore di
primavera, poi. Ròb de màtt.
Saluti
silvio


prufrock

unread,
Feb 27, 2003, 12:48:43 AM2/27/03
to

"Mario Bergami" <ber...@spin.it> ha scritto

> Io l'ho trovato insopportabile. Tutto pieno di ammiccamenti
culturali,
vero.
> citazioni,
vero.
> strizzatine d'occhio intellettualistiche.
vero.

> Un teatrino delle
> vanità.. Una esibizione salottiera e calligrafica di pensieri
> rarefatti e di pettegolezzi da conversazioni postprandiali.

questa è l'unica cosa sulla quale non concordo. Hai visto gli orari della
stragrande maggioranza dei post ? Non conversazioni postprandiali, ma nugae
da prime luci dell'alba.
linnio.


prufrock

unread,
Feb 27, 2003, 12:48:44 AM2/27/03
to

"silvio" <ohann...@libero.it> ha scritto >

> ma è senz'altro vero e, aggiungerei, buono e giusto. Il revival della
musica
> da discoteca dei primi 90s, per dire, io l'ho iniziato da un pezzo.

ieri mattina, alla radio, il figlio del Bartezzaghi ( cognome gaddiano
quant'altri mai ) esaltava il Battisti elettronico e parlava dei testi di
Panella come di abilissime sperimentazioni poetiche, sul filo precario che è
teso fra avanguardia e nonsense.

E quegli
> splendidi raccontini dei primi cannibali italiani: oh che cori, che
> speranze.
> E' anche una forma di autodifesa da qualunque nuovo che avanzi.

mi sembra un ottimo atteggiamento difensivo ed offensivo al tempo stesso :
sul nuovo che avanza, mi pare che Altan e quel trittico di forzitalioti su
sfondo azzurro nello show di Antonio Albanese esprimano bene ciò che si
dovrebbe pensare a proposito.

> il Guerin Sportivo di Brera era un giornale molto d'élite. Tutto scritto,
il
> contrario di quello che avrebbe poi inventato l'allora giovane Italo
Cucci:

con quella barbetta, ora, gli affiderei una parte da ufficiale di carriera
in 'senso' di Visconti.

> e aveva tra i rubrichisti Zanetti, suo sodale storico,

lo stesso che poi diresse l'Espresso, nei suoi tempi migliori ?

>
> o che, non hai forse tu letto almeno un par di volte Guerra e Pace? E
> quattro o cinque i Promessi sposi?

guerra e pace saltando la guerra; i p.s. saltando Lucia.

>
> mi sorprende sempre questo costante interesse per la Woolf, comunque. E'
un
> segno dei tempi, di sicuro, ma non so interpretarlo.

forse l'orrore della guerra e la fatuità generale che ci circonda aiuta
senz'altro. che le bombe cadino su Londra o a bagdad poco cambia.

> no, Cordelli maestro, no. Ha tante colpe, ancora tutte da espiare.

l'esser stato filocraxiano ?


> Magris già di più, salvo quando si mette a fare le considerazioni da
> impolitico, cioè purtroppo molto di frequente.

eppure non c'è suo articolo dove non compaia una frase che val la pena
sottolineare, un pensiero sul quale riflettere. E poi la sua prosa levigata
e lucidissima è fra le più belle che si fanno leggere.

Paolo Di Stefano è l'unico
> giornalista italiano in possesso di solida preparazione romanistica (si è
> laureato a Pavia con Cesare Segre, è stato editor da Einaudi, ha un
> curriculum da paura). L'unico cronista culturale italiano degno della
> qualifica. Anche un bravo scrittore e un poeta eccellente, sebbene
> parsimonioso di sé oltre ogni ragione.

di lui ho letto, con qualche fatica, "baci da non ripetere" : non m'è parso
granchè. Ottimo invece quando scrive sul corriere. Altro ?


>
> ecco, io direi che è bravo, ma non bravo come questi che hai citato.
> De Niro, però, non è propriamente un nano. O sì? Ma direi che no.
>

mi sa di sì. Adesso comunque , dopo l'11 settembre, m'é diventato
filoultraamericano.


> eh, ho capito, ma non è che ci puoi costruire un canzoniere sterminato, su
> queste basi. Lei lo sta facendo, invece.

si parva licet componere magnis, non è quello che, nel suo grande, aveva
fatto quel francesco morto ad Arquà ?

>
> mi sorprendo. Visto qualche mese fa, oltretutto in compagnia del
> simpaticissimo Veloso jr. (ma molto jr.! Avrà 20 anni e poco più, e la
> fidanzata è una bambina piccolissima), e trovato in forma smagliante.

anche qui le colpe dei padri che ricadono sui figli : moreno sul palco mi fa
pensare a Jannacci, che ormai dove va, sponsorizza sempre il proprio
figlio - alle percussioni pure lui, come Moreno, no ? Vorrà dire qualcosa ?

> ouais, c'est tout à fait comme ça. La chair est bien triste, si ta fois
> était la premier, au lieu de la première, n'est-ce-pas?

sarà sicuramente come dici te ;-)
linnio.
>


silvio

unread,
Feb 27, 2003, 6:34:11 AM2/27/03
to

"prufrock" <pruf...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:0Fh7a.159383$YG2.4...@twister1.libero.it...

> ieri mattina, alla radio, il figlio del Bartezzaghi ( cognome gaddiano
> quant'altri mai ) esaltava il Battisti elettronico e parlava dei testi di
> Panella come di abilissime sperimentazioni poetiche, sul filo precario che
è
> teso fra avanguardia e nonsense.

Bartezzaghi iuniore è un nevrotico con qualche non irrilevante talento. Fra
questi, gli studi con Umberto Eco.

> sul nuovo che avanza, mi pare che Altan e quel trittico di forzitalioti su
> sfondo azzurro nello show di Antonio Albanese esprimano bene ciò che si
> dovrebbe pensare a proposito.

non li sopporto. La cosa divertente di quel programma è il vècchio
Fréngo-e-stop e, largheggiando, i Perego's. Il resto mi pare fùffa,
oltretutto assai prevedibile.

> con quella barbetta, ora, gli affiderei una parte da ufficiale di carriera
> in 'senso' di Visconti.

Cucci è in quota AN. Dubito che Visconti l'avrebbe imbarcato. Però può
darsi, non so.

> lo stesso che poi diresse l'Espresso, nei suoi tempi migliori ?

lo Zanetti sodale di Brera nell'epica querelle contro i qualunquisti (quelli
guidati da Antonio Ghirelli e Gino Palumbo) era Gualtiero. Quello
dell'Espresso, Livio. Ottimi ambédue, éntrambi.

> guerra e pace saltando la guerra; i p.s. saltando Lucia.

ma come? La più bella figura femminile del - ah no, quella è la Pisana.

> forse l'orrore della guerra e la fatuità generale che ci circonda aiuta
> senz'altro. che le bombe cadino su Londra o a bagdad poco cambia.

le bombe cadono o non cadono, ma mi sa che la Woolf interessa per certe sue
derive sentimentali un pochino (un pochissimo) pruriginose. Quanti sono che
si divertono davvero a leggere Mrs. Dalloway?

> [Cordelli]


> l'esser stato filocraxiano ?

non so considerarla una colpa. Mi sembrano dolosi, invece, certe sue
articolesse recenti e no proprio sul Corriere, per esempio. E le sue
antologie poetiche, non importa se prescritte.

> eppure non c'è suo articolo dove non compaia una frase che val la pena
> sottolineare, un pensiero sul quale riflettere. E poi la sua prosa
levigata
> e lucidissima è fra le più belle che si fanno leggere.

Francesco Pastonchi, più volte citato, scriveva dalle stesse colonne, e
anche nei suoi articoli c'era materiale di gran pregio stilistico. Magris
come l'immortale poeta della "Mamma è un albero grande / che tutti i suoi
frutti ti dà"?

> di lui ho letto, con qualche fatica, "baci da non ripetere" : non m'è
parso
> granchè. Ottimo invece quando scrive sul corriere. Altro ?

i primi due che mi vengono in mente: le interviste a Giulio Einaudi per
Casagrande, i reportage sulle famiglie italiane di Feltrinelli. E un romanzo
in uscita a fine anno, sempre da Feltrinelli.

> mi sa di sì. Adesso comunque , dopo l'11 settembre, m'é diventato
> filoultraamericano.

ma chi, il De Niro? E che ha detto, che cosa ha fatto?

> si parva licet componere magnis, non è quello che, nel suo grande, aveva
> fatto quel francesco morto ad Arquà ?

non licet parva componere magnis, infatti. Non quei magni, comunque.

> anche qui le colpe dei padri che ricadono sui figli : moreno sul palco mi
fa
> pensare a Jannacci, che ormai dove va, sponsorizza sempre il proprio
> figlio - alle percussioni pure lui, come Moreno, no ? Vorrà dire qualcosa
?

ohilà, per niente affatto. Moreno compone, e con un certo gusto. Io vorrei
insieme lui e Bebel Gilberto, il cui primo disco era una meraviglia e in
Italia non se l'è filato (quasi) nessuno.
Saluti
silvio

0 new messages