Prima di sposarsi, Emma aveva creduto di essere innamorata, ma la felicità che sarebbe dovuta nascere da questo amore non esisteva, ed ella pensava ormai di essersi sbagliata. Cercava ora di capire che cosa volessero dire realmente le parole felicità, passione, ebbrezza, che le erano sembrate così belle nei libri.
«Sai cosa ci vorrebbe per tua moglie?» diceva la signora Bovary madre «Dovrebbe avere delle incombenze che fosse obbligata a svolgere, delle occupazioni materiali! Se fosse costretta a guadagnarsi il pane, non avrebbe tempo per tutte quelle fantasie suggerite dalle innumerevoli idee che le frullano per la testa e dall'inattività in cui vive.»
«Eppure è molto occupata» ribatteva Charles.
«Occupata a far cosa? A leggere romanzi, cattivi libri, opere contro la religione, nelle quali ci si burla dei preti con idee prese da Voltaire. Tutto questo porta lontano, ragazzo mio, e chi non ha religione finisce sempre per imboccare una cattiva strada.»
Venne deciso allora di impedire a Emma di leggere romanzi. L'impresa non sembrava facile. Se ne incaricò la buona signora. La prima volta che fosse passata da Rouen, doveva andare personalmente dal bibliotecario e comunicargli che la nuora intendeva disdire gli abbonamenti. Non era, del resto, loro diritto rivolgersi alla polizia se questo signore avesse continuato ugualmente nella sua opera corruttrice?
Si era sentito dire tante volte tutte queste cose che ormai non avevano per lui più niente di originale. Emma non era diversa dalle altre amanti, e il fascino della novità, cadendo a poco a poco come un abito, metteva a nudo l'eterna monotonia della passione, che ha sempre le stesse forme e lo stesso linguaggio. Rodolphe non distingueva, da uomo pieno di senso pratico, la differenza dei sentimenti celata dall'identità di espressione. Poiché labbra viziose o venali gli avevano mormorato frasi simili, non attribuiva molta importanza al candore di Emma. "È necessario" pensava "ridimensionare i discorsi esagerati che spesso nascondono sentimenti mediocri: come se talora la passione eccessiva non traboccasse dall'anima servendosi delle più vuote metafore, perché nessuno, mai, può dare l'esatta misura delle proprie necessità, delle proprie concezioni, o dei propri dolori, dato che la parola umana è simile a un calderone incrinato da cui è facile trarre una musica adatta per far ballare gli orsi quando vorremmo commuovere le stelle."
In realtà era un brav'uomo, e un giorno addirittura non si scandalizzò quando il farmacista consigliò a Charles, per distrarre la moglie, di accompagnarla al teatro di Rouen a sentire cantare Lagardy, il notissimo tenore. Homais rimase strabiliato da questo silenzio, volle conoscere l'opinione del parroco e il prete dichiarò che, a suo parere, la musica era meno pericolosa per i costumi della letteratura.
Lo speziale allora prese le difese delle belle lettere. Il teatro, affermava, colpisce i pregiudizi e, sotto le apparenze del divertimento, insegna la virtù.
«Castigat ridendo mores, don Bournisien! Prendiamo la maggior parte delle tragedie di Voltaire: sono abilmente disseminate di riflessioni filosofiche che ne fanno una vera e propria scuola di morale e di saper vivere per gli spettatori.»
«Io» disse Binet «ho visto una volta una commedia intitolata Il monello di Parigi, nella quale è posto in risalto il carattere di un vecchio generale che è davvero centrato. Egli rimbrotta un giovanotto di buona famiglia, seduttore di un'operaia che alla fine...»
«Sicuro,» continuò Homais «c'è la cattiva letteratura così come esistono farmacisti incompetenti, ma condannare in blocco la più importante delle belle arti mi sembra una balordaggine, una idea medioevale, degna dei tempi abominevoli in cui imprigionarono Galileo.»
«Sono d'accordo che esistono buoni autori e buone opere,» disse il curato «ma tutte queste persone di sesso diverso riunite in un locale piacevole, adorno di lussi mondani, tutti quegli artifici pagani, i belletti, le luci, le voci effeminate, tutto ciò, deve per forza di cose dar luogo a un certo spirito di libertinaggio e suggerire pensieri sconvenienti, tentazioni impure. Questa è l'opinione di tutti i Padri della Chiesa. E poi,» soggiunse, assumendo a un tratto un tono di voce mistico, mentre faceva rotolare sul pollice una presa di tabacco «se la Chiesa condanna gli spettacoli, vuol dire che ha le sue buone ragioni; bisogna sottomettersi ai suoi decreti»
«Perché» domandò il farmacista «scomunica gli attori? Un tempo essi avevano parte attiva nelle cerimonie del culto. Sì, recitavano, rappresentavano, nel coro, delle specie di commedie chiamate misteri, nelle quali le leggi della decenza spesso venivano offese.»
Il sacerdote si contentò di emettere un gemito e il farmacista continuò:
«È come nella Bibbia; vi sono... lo sa... non pochi particolari... piccanti, delle cose... veramente... forti!»
E, a un gesto di irritazione di don Bournisien:
«Ah! Converrà che non è certo un libro da mettere nelle mani di un'adolescente, e io mi seccherei molto se Athalie...»
«Ma sono i protestanti, e non noi, a raccomandare la Bibbia» gridò l'altro, spazientito.
«Non importa,» disse Homais «mi stupisco che, al giorno d'oggi, in un secolo illuminato, ci si ostini ancora a proibire uno svago intellettuale inoffensivo moralista e talora addirittura igienico, non è vero, dottore?»
«Certo» rispose il medico, con indifferenza, quasi che, avendo le stesse idee, non volesse offendere nessuno, oppure, non avesse idee affatto.
L'argomento sembrava chiuso, quando il farmacista giudicò opportuno sferrare un ultimo colpo.
«Ho conosciuto dei preti che si mettevano in borghese per andare a veder sgambettare le ballerine.»
«Andiamo!» esclamò il curato.
«Ne ho conosciuti!»
E, sillabando le parole, Homais ripeté:
«Ne ho co-no-sciu-ti!»
«E va bene, facevano malissimo!» disse don Bournisien, rassegnato a tutto.
«Perbacco! E fanno ben altro!» esclamò lo speziale.
«Signore!...» disse il sacerdote con occhi così feroci che il farmacista ne fu intimidito.
«Volevo soltanto dire» continuò Homais in tono meno violento «che la tolleranza è il metodo più sicuro per attirare le anime alla religione.»
«Questo è vero! Questo è vero!» concesse il brav'uomo rimettendosi a sedere.
Fratelli Fabbri, 1968; ripreso da
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