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Enfant Terrible

unread,
Jun 15, 1999, 3:00:00 AM6/15/99
to
o meglio per la "relazione di fine anno"

avete qualche suggerimento per la mia tesina multimediale sui diritti umani?

sto leggendo il Secolo Breve di Hobswbawm (???) e il mio programma
e' quello del linguistico (+spagnolo)

pensavo

esistenzialismo
olocausto
Camus
Beckett
Ungaretti
e forse l'atomo in fisica (x la bomba atomica...)

avete qualche suggerimento o magari un po' di materiale????

ve ne sarei davvero grato

(se puo' servire a mobilitare qualcuno che si scoccia di mandarmi qualcosa
posso mandare degli mp3 a chi è interessato...)

ciao da Claudio

Paolo Bonardi

unread,
Jun 16, 1999, 3:00:00 AM6/16/99
to

Enfant Terrible (bambino terribile) ha scritto:

> o meglio per la "relazione di fine anno"
>
> avete qualche suggerimento per la mia tesina multimediale sui diritti umani?
>
> sto leggendo il Secolo Breve di Hobswbawm (???)

Io ti consiglio anche il Secolo XIX (decimonono) di Genova (testimone)

> e il mio programma
> e' quello del linguistico (+spagnolo)

Dovrebbe infatti essercene anche su Internet una versione in spagnolo.

> pensavo
>
> esistenzialismo
> olocausto

Questo forse è un tema un po' troppo "nuovo", come dire; forse i tuoi prof.
potrebbero non essere ancora pronti

>
> Camus
> Beckett
> Ungaretti

Sì, sì, è bravissimo e si è anche beccato i gas nella prima guerra mondiale,
così lo puoi accostare agli abitanti di Hiroshima e Nagasaki (per la questione
della bomba atomica, intendo) e stabilire un collegamento fra il fiume Piave e
l'oceano Pacifico (notoriamente inteso, per la presenza della Fossa delle
Marianne e del Triangolo della Bermude) come "porta dell'esistenzialismo
cosmogonico relativo alle profondità marine"

>
> e forse l'atomo in fisica (x la bomba atomica...)

Be' qui non dovresti avere dei problemi. Anche su Internet dovrebbero esserci
delle fotografie della Banca di Hiroshima con su stampata l'immagine del giap
che passava di lì e che si è volatilizzato per l'esplosione. Un effetto
straordinario.

>
>
> avete qualche suggerimento o magari un po' di materiale????

>
> ve ne sarei davvero grato
>
> (se puo' servire a mobilitare qualcuno che si scoccia di mandarmi qualcosa
> posso mandare degli mp3 a chi è interessato...)

Musica o fotografie (....)?

Ciao da Paolo

>
>
> ciao da Claudio


Alessandro Aldrighetti

unread,
Jun 16, 1999, 3:00:00 AM6/16/99
to
La profonda crisi vissuta dal Positivismo filosofico nei primi anni del
Novecento non si riflette sulle scienze, che negli anni Venti e Trenta
dimostrano un’eccezionale vitalità. La forza dirompente dell’innovazione
tecnologica attira l’attenzione dei filosofi e degli scienziati che
orientano i propri studi sull’analisi dei principi posti alla base delle
conoscenze scientifiche. Riceve un grande impulso l’epistemologia, intesa
soprattutto come studio dei percorsi intellettuali che conducono alla
conoscenza e come distinzione tra scienza e filosofia. Di questo movimento
di pensiero si fa protagonista alla fine degli anni Venti il Circolo di
Vienna, fondato nella capitale austriaca da filosofi, scienziati e psicologi
che promuovono una corrente di pensiero nota sotto il nome di Neopositivismo
(Positivismo logico o Empirismo logico). Ne sono esponenti figure di primo
piano come Moritz Schlick, Rudolf Carnap, Otto Neurath, Kurt Gödel.
Criticando il pensiero filosofico tradizionale e negando validità alle
ipotesi teoriche non sorrette da una verifica empirica, i neopositivisti
concepiscono la filosofia come una pura analisi, di carattere logico, dei
linguaggi scientifici. Sulla stessa linea di ricerca si inserisce il
filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein il cui Tractatus logico-philosophicus
appare nel 1921; il suo sistema di pensiero è uno dei più affascinanti e
complessi del secolo e ha come oggetto la riflessione sulla logica e sui
linguaggi.
Un’altra corrente di pensiero filosofico che svolge un ruolo decisivo negli
anni Venti e Trenta è rappresentata dalla scuola fenomenologica; essa si era
formata intorno a Edmund Husserl nei primi anni del Novecento e dopo alterne
vicende si era in parte esaurita durante il primo conflitto mondiale; ma nel
corso degli anni Venti grazie all’opera dell’assistente di Husserl, Martin
Heidegger, Essere e tempo (1927), e alle conferenze dello stesso caposcuola
a Parigi del 1929 l’influsso della fenomenologia si estende in tutta Europa
interessando autori come Sartre, Merleau-Ponty, Banfi. La fenomenologia di
Husserl sottopone a verifica le condizioni preliminari della conoscenza
mirando a una rifondazione, per via filosofica, di un sistema unitario e
razionale delle scienze. Più estremi gli esiti della fenomenologia in
Heidegger che nella citata opera tenta una liquidazione di tutta la
tradizione metafisica occidentale. Il pensiero di Heidegger rappresenta
anche la base per lo sviluppo dell’Esistenzialismo che trova, in questa
fase, uno dei maggiori interpreti nel filosofo e psichiatra tedesco Karl
Jaspers.

L’UOMO IN RIVOLTA

Dopo l’esperienza del Front populaire, il professore di liceo Jean-Paul
Sartre partecipa alla Resistenza durante l’occupazione tedesca in Francia;
dopo la guerra, abbandonato l’insegnamento, fonda la rivista Les temps
modernes, nella quale esprime il suo pensiero e la sua filosofia. Nel 1953
condanna l’intervento francese in Indocina, e nel 1956 si schiera anche
contro l’intervento sovietico in Ungheria. Nel 1968 è in prima fila durante
il “maggio francese” ed entra direttamente in contatto con le formazioni
giovanili extraparlamentari. Una celebre affermazione sartriana è “l’uomo è
condannato a essere libero”: la libertà costa sacrifici e si conquista
soltanto con un coraggioso impegno, il cosiddetto engagement. Sartre, che
nella sua stagione è stato un vero “maître à penser”, è anche romanziere e
drammaturgo; firma romanzi (Il Rinvio; L’Età della ragione), commedie (A
porte chiuse; I sequestrati di Altona; Le mani sporche) e molti saggi
apparsi sulla sua rivista Les temps modernes, in cui l’impegno esistenziale
è variamente trattato.
L’Esistenzialismo diventa presto una moda fra i giovani, e il quartiere di
Parigi di Saint-Germain-de-Prés è il loro luogo preferito di incontro; ma al
di là di ogni tipo di eccessi il pensiero di Sartre resta come il più lucido
invito a una nuova cultura, una cultura che investa anche il costume di
vita.
Una analoga esperienza è quella di Albert Camus, che parte da una posizione
astratta, come nel romanzo Lo straniero (1942), ove si avverte l’estraneità
dell’uomo alla guerra e l’attiva partecipazione alla Resistenza. La sua
visione esistenziale successivamente cambia: nel capolavoro La peste (1947)
descrive la lotta contro “il male” senza porsi alcun problema che non sia
quello di sconfiggere la peste, cioè il male (dopo, si vedrà), scopo che
dovrebbe essere raggiunto attraverso la solidarietà. Ma nulla è certo, in
Camus. Coesistono nella sua opera divergenti istanze e affermazioni spesso
contraddittorie, e questo forse è il suo fascino, l’incertezza e l’
inquietudine. L’uomo in rivolta, saggio del 1951, ci impone una scelta tra
razionalità e irrazionalità. La rivolta è appunto la lotta contro l’assurdo,
l’irrazionale. Proprio nel segno dell’assurdo, tuttavia, Camus muore
giovane, a quarantasette anni, nel 1960. Egli è forse il più acuto
interprete dell’inquietudine contemporanea.

Albert Camus
(Mondovi, Algeria 1913 - Villeblevin, Yonne 1960)

Di famiglia francese residente in Algeria, compie gli studi e inizia a
lavorare come giornalista ed attore ad Algeri. Dal 1940 è a Parigi dove
prende parte alla Resistenza. Finita la guerra, è caporedattore del giornale
“Combat”. Nel 1942 si afferma come scrittore con il romanzo Lo straniero e
con Il mito di Sisifo, saggio filosofico sul problema del suicidio. Scrive
quindi il romanzo La peste (1947) in cui è rappresentata un’allegoria dell’
occupazione nazista ed in senso più ampio dell’esistenza umana. Con questo
romanzo e con una serie di scritti per il teatro (Il malinteso, 1944,
Caligola, 1938, Stato d’assedio, 1948, I giusti, 1950) Camus acquista un’
indiscussa notorietà e riceve nel 1957 il premio Nobel. Muore dopo pochi
anni per un incidente automobilistico. Dopo la sua morte vengono pubblicati
i Taccuini (1962-64) e il romanzo giovanile La morte felice (1971). Tema
centrale dell’opera di Camus, opera che si avvicina a quella di Sartre nel
riflettere l’inquietudine della coscienza contemporanea, è la ricerca
esistenzialista del senso della vita in un mondo in apparenza dominato dal
non senso. Centrali nei primi scritti i temi legati alla morte e alla
solitudine dell’uomo; poi la riflessione trova nella ribellione, nella
solidarietà umana e nella speranza i cardini di una convivenza con l’
assurdo quotidiano.

Jean-Paul Sartre
(Parigi, 1905 - 1980)

Studia all'Ecole Normale di Parigi (1924-1928), insegna filosofia al liceo
di Le Havre (1931-1933) e si afferma come scrittore nel 1938 con il romanzo
La nausea. Richiamato alle armi durante la seconda guerra mondiale, viene
fatto prigioniero dai tedeschi (1940). Liberato nel 1941, prende parte alla
Resistenza. Pubblica nel 1943 la sua opera filosofica più importante,
L'essere e il nulla, il dramma Le mosche, i due romanzi L'età della ragione
e Il rinvio. Nel 1945 fonda, insieme a M. Merleau-Ponty, la rivista di
filosofia, letteratura e politica "Les temps modernes" ed assume una
posizione di grande rilievo nel panorama della cultura francese di quegli
anni. Nel 1964 rifiuta il premio Nobel per la letteratura assegnatoli. Nel
corso del "maggio francese" del 1968 partecipa attivamente alla lotta
politica sostenendo le posizioni di alcuni gruppi della sinistra
extraparlamentare. Una raccolta importante dei suoi saggi letterari e
politici è Situazioni (10 voll., 1947-1976). Noto come caposcuola
dell'esistenzialismo letterario, tutta la sua opera ruota intorno al grande
tema della libertà dell'uomo. In un mondo descritto come assurdo e a "porte
chiuse", senza alcuna certezza, esiste, come unica via d'uscita, la tensione
verso la libertà assoluta, la possibilità di scegliere il proprio agire e,
quindi, di farsi carico dell'esistenza. In Critica della ragione dialettica
(1960) la filosofia della libertà è messa alla prova attraverso la
dialettica hegeliano-marxista.

Giuseppe Ungaretti
(Alessandria d'Egitto, 1888 - Milano, 1970)

L’opera di Ungaretti è intimamente legata alla sua vita, tanto che non si
può parlare dell’una senza fare continuo riferimento all’altra. Del resto,
egli stesso ci ha offerto una chiave per interpretarne il significato
essenziale dando al complesso delle sue poesie il non casuale titolo Vita di
un uomo, che le trasforma in una sorta di diario ideale, unito da un filo
solido e ininterrotto. Dal primo gruppo di liriche nate in trincea alle
poesie della maturità e della vecchiaia, egli ripropone infatti nei suoi
versi alcuni motivi fondamentali, fra i quali spiccano su tutti il profondo
stupore che egli prova di fronte al mistero dell’esistenza, insieme all’
ansia e alla volontà di capire e di riuscire a tradurre in poesia le
sensazioni di cui la vita può essere fonte, ora di gioia, ora di malinconia
o di sofferenza. Ma queste meditazioni in Ungaretti si accompagnano sempre
con la speranza di una salvezza dal dolore e con la volontà testarda di non
arrendersi mai, appoggiandosi fiduciosamente alle risorse della poesia e al
suo potenziale di verità e di bellezza.
La sostanza di Ungaretti come uomo e come poeta può essere riassunta nell’
idea basilare della innocenza e della comunione fraterna con gli altri
uomini, in una continua ricerca di armonia con le cose e con le creature che
popolano l’universo, di cui egli, non a caso, volle sentirsi “docile fibra”.
In parte questa ricerca prende la forma del viaggio, che è viaggio concreto,
in terre diverse e lontane (Ungaretti fu viaggiatore instancabile), ma anche
viaggio interiore, esigenza mai sopita di rinascita spirituale.

1888 - 1913
Giuseppe Ungaretti nasce l’8 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto da
genitori lucchesi che erano emigrati in quella terra in occasione dei lavori
per lo scavo del Canale di Suez, e che si erano mantenuti in contatto con l’
Italia soprattutto attraverso alcuni fuorusciti anarchici e socialisti. In
questo ambiente il giovane Giuseppe conosce, fra l’altro, l’eccentrico
scrittore Enrico Pea, che nel suo romanzo autobiografico Vita in Egitto
(1949) ne rievocherà l’amicizia.
Ad Alessandria può frequentare una buona scuola privata grazie ai sacrifici
economici della madre, rimasta vedova; poi, nel 1912, dopo un breve
soggiorno a Firenze dove incontra Prezzolini (con il quale aveva già
rapporti epistolari), si trasferisce a Parigi. Qui si iscrive all’Università
della Sorbona (senza però laurearsi); segue le lezioni di Henri Bergson
(1859-1941), che avrà un certo peso sulla sua formazione filosofica, e
stringe amicizia con artisti e letterati di avanguardia, come i pittori
Pablo Picasso (1881-1973) e Georges Braque (1882-1963), e il poeta Guillaume
Apollinaire (1880-1918). Ha contatti anche con Giovanni Papini, Ardengo
Soffici e Aldo Palazzeschi.

1914 - 15
Nel 1914 rientra in Lucchesia e partecipa alla campagna interventista; dopo
la dichiarazione di guerra dell’Italia si arruola volontario, combattendo
sul Carso e sul fronte francese. L’anno seguente, pubblica i primi versi
sulla rivista “Lacerba”.

1916 - 22
Nel 1916 esce il volumetto Il Porto Sepolto (stampato in soli ottanta
esemplari), che costituisce il primo nucleo di Allegria di Naufragi, edito
tre anni più tardi a Firenze. Alla fine del conflitto, tornato a Parigi,
sposa Jeanne Dupoix, con la quale si trasferirà a Roma nel 1920. Forti
difficoltà economiche lo inducono a impiegarsi come traduttore all’Ufficio
stampa del Ministero degli Esteri.

1923 - 30
Nel 1923, a La Spezia, esce una nuova edizione del Porto Sepolto con la
presentazione di Benito Mussolini (Ungaretti si era iscritto al partito
fascista dopo la fine della guerra), che comprende, oltre alla raccolta
iniziale, poesie scritte dopo il 1919. Durante un breve soggiorno presso il
monastero di Subiaco, nel 1928, lo scrittore matura la sua conversione
religiosa, dalla quale nascono i testi degli Inni, che confluiranno poi
nella raccolta Sentimento del Tempo.

1931 - 42
Nel 1931 esce L’Allegria, stesura finale di Allegria di Naufragi; Ungaretti
compie in questi anni diversi viaggi in Italia e all’estero, come inviato
della “Gazzetta del Popolo” di Torino; oltre all’Olanda, visita l’Egitto,
dopo un’assenza quasi ventennale. Nel 1933 pubblica Sentimento del Tempo.
Nel 1936, a San Paolo del Brasile, dove è stato invitato per un congresso,
Ungaretti viene chiamato ad occupare la cattedra di lingua e letteratura
italiana. Vi resta fino al 1942, ed è un periodo ricco di interessi che il
poeta ricorderà sempre con grande piacere, ma segnato anche da sciagure e
lutti familiari. Muoiono infatti prima il suo unico fratello (1937), poi il
figlio Antonietto, di nove anni (1939).
Tornato in Italia quando è già scoppiata la seconda guerra mondiale, gli
viene conferito il titolo di accademico d’Italia e affidato l’insegnamento
di letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Roma,
incarico che manterrà fino al 1958. Continua intanto la sua intensa attività
di traduttore e poeta. Nel 1942, per la prima volta, L’Allegria esce presso
Mondadori in un’edizione preceduta dal titolo Vita di un uomo, che rimarrà
poi a contrassegnare tutto il suo canzoniere.

1943 - 52
Negli anni seguenti vengono pubblicati Il Dolore (1947), La Terra Promessa
(1950), Un Grido e Paesaggi (1952).

1953 - 68
Ungaretti è ormai famosissimo in Italia e nel mondo. Nel 1958, in occasione
del settantesimo compleanno, la rivista “Letteratura” gli dedica un numero
speciale. In quello stesso anno muore la moglie, e il poeta va a vivere con
la figlia Ninon; rallenta l’attività creativa, ma non il ritmo degli
impegni, a cui lo spinge il carattere inquieto. A dispetto dell’età, viaggia
in Italia e all’estero (arrivando persino in Giappone); partecipa a
dibattiti e conferenze; recita in televisione le proprie poesie, con modi e
voce fortemente caratterizzati. Nel 1966, durante un soggiorno in Brasile,
conosce la poetessa Bruna Bianco, assai più giovane di lui, che
rappresenterà il suo ultimo, vitalissimo slancio d’amore.

1969 - 70
L’edizione completa delle opere di Ungaretti, raccolte nel volume unico Vita
di un uomo. Tutte le poesie, appare nel 1969. L’anno seguente, a New York,
dove si è recato per ricevere un premio internazionale di poesia, lo
scrittore si ammala di polmonite. Quando rientra in Italia sembra aver
superato la malattia, ma si è ormai indebolito e pochi mesi dopo muore a
Milano (2 giugno 1970).

La formazione intellettuale di Ungaretti risale ai primi anni del secolo, e
avviene in un momento di acutissima crisi storicosociale, nel clima
particolare della cultura francese, sede delle più audaci esperienze di
avanguardia poetica, musicale, figurativa, e di una inconsueta e
affascinante comunanza spirituale di artisti. A Parigi convergono infatti
gli intellettuali più significativi dell’epoca, che elaborano in tutti i
campi dell’arte posizioni innovative, destinate a diventare i punti di
riferimento dell’intera cultura europea.
La maturazione umana e poetica dell’autore ha invece per sfondo il primo
conflitto mondiale, a contatto diretto con la violenza, con il dolore e con
la morte: un’esperienza lacerante, dalla quale però scaturisce il nucleo
essenziale della sua poesia, vale a dire l’“allegria” insita nella presenza
stessa della vita.
Vibra infatti nella personalità di Ungaretti una gioia di vivere che la
presenza ricorrente e a volte ossessiva del dolore, o la vicinanza e il
rischio della morte, possono incrinare o mettere in dubbio, ma che non
scompare mai, che è speranza e capacità di ricominciare. Questa speranza è
la “cifra” che distingue il poeta in un secolo che ha come motivo dominante
la crisi di ogni certezza, e che in genere traduce il proprio sgomento in
pessimismo esistenziale, in una sfiducia nelle possibilità dell’uomo di
trovare un senso per la sua vita. Al contrario, il percorso di Ungaretti in
questo momento storico di smarrimento sembra andare in direzione opposta, e
la visione negativa dell’esistenza cede il passo ad una apertura
ottimistica, ad una fiducia nelle sorti dell’uomo. L’uomo, infatti, è al
centro della poetica ungarettiana, e le vicende ed esperienze vissute in
prima persona si trasformano in altrettante occasioni per allargare l’
indagine ad una situazione universale, che coinvolge l’umanità intera; per
tutti gli uomini che soffrono Ungaretti leva la sua voce di dolore, e per
tutti sottolinea il diritto e il dovere di una vita dignitosa.
Da un lato, dunque, egli fa della sua poesia uno strumento per dar voce agli
interrogativi angosciosi che ogni uomo si pone, dall’altro però non esita a
indicare la via della speranza e dell’amore, lungo la quale la sofferenza
può trasformarsi in un dono e in un arricchimento.
Tutta la poesia di Ungaretti ha dunque come cardini la dialettica fra la
vita e la morte, fra il dolore e l’allegria. Proprio queste antinomie
aiutano a comprendere il vero significato della sua opera, non solo dal
punto di vista del contenuto, ma anche per ciò che riguarda la poetica, i
cui princìpi formali, strutturali e filosofici appaiono chiari fin dall’
inizio. Anche le numerosissime varianti che si succedono nella redazione dei
testi sono sintomo di un’esigenza di novità nella tecnica espressiva, senza
che da esse emergano contraddizioni, quanto piuttosto la conferma che la
poesia di Ungaretti è in continuo movimento.
Sin dagli esordi, infatti, essa si rivela fortemente innovativa, ed è
caratterizzata da un travaglio formale dovuto solo in parte alle esigenze di
sperimentazione proprie dell’epoca. Stile, metrica e tecniche formali, per
Ungaretti sono elementi importanti, ma solo se subordinati alla ricerca di
sé, all’indagine introspettiva, che passa, ad esempio, attraverso la
memoria. Il rinnovamento delle tecniche ha senso se rispetta il valore
originario che la poesia deve mantenere, che è un valore essenzialmente
umano. Per questo, la poesia ungarettiana cerca di far riemergere dal fondo
della memoria momenti di vita, immagini e frammenti di verità, e si basa
prevalentemente sull’illuminazione istantanea che tende ad esaltare l’
essenzialità della parola, in un continuo alternarsi di pause e di silenzi.
L’autore scava la parola e la seleziona, la sposta, la isola o la esalta
circondandola di spazi bianchi, fino ad approdare ad una soluzione
definitiva e a quella che gli appare la collocazione ideale per riuscire a
fissare sulla pagina ciò che si muove dentro di lui.
Ma anche quando la sua ricerca cambia direzione e Ungaretti torna alla
classicità e sperimenta forme piú tradizionali di espressione, restano
sorprendenti la coerenza della sua visione del mondo e delle sue tematiche,
la sua capacità inventiva e la vitalità di una poesia che lo ha imposto come
esempio e maestro a tutto un secolo.

I versi di Ungaretti sono riuniti nel volume Vita di un uomo. Tutte le
poesie, che uscì l’anno prima della morte dello scrittore.
La prima raccolta di questa sorta di autobiografia poetica è L’Allegria, che
fu sottoposta a numerose rielaborazioni, aggiunte e varianti, acquistando la
sua struttura definitiva solo nel 1942; essa contiene già le premesse del
profondo rinnovamento formale attuato da Ungaretti – che tanto incise sulla
lirica del Novecento – nella direzione di un discorso poetico frantumato,
affidato quasi esclusivamente al valore assoluto della singola parola. Con
il secondo gruppo di liriche, Sentimento del Tempo, Ungaretti orienta la sua
poetica e il suo stile verso il recupero della tradizione aulica e di una
forma più ricca ed esuberante, adottando metri classici come l’
endecasillabo; anche il discorso acquista un respiro più ampio, mentre si fa
più intensa la componente religiosa della sua poesia. In seguito, il poeta
approfondisce questo tipo di interessi, in particolare nel Dolore, in cui la
riflessione sulle sventure personali si intreccia a quella sulle sofferenze
universali in un unico tragico senso dell’esistenza. Nelle ultime raccolte,
la prospettiva cambia ancora in senso più intimista e Ungaretti, ormai
vecchio, medita su se stesso e tenta un bilancio complessivo della propria
esperienza di uomo e di poeta.
La prima esile raccolta di liriche ungarettiane, Il Porto Sepolto, comprende
le poesie scritte al fronte durante la prima guerra mondiale, per ognuna
delle quali l’autore ha indicato la data e il luogo di composizione. Il
volumetto non rappresenta solo l’esordio poetico di Ungaretti, ma anche il
nucleo essenziale della raccolta successiva, l’Allegria. Nell’edizione
definitiva, l’Allegria consta di settantaquattro testi (contro gli
ottantaquattro della precedente, intitolata Allegria di Naufragi) disposti
in ordine cronologico e strutturati a formare come un diario di momenti
particolarmente intensi di vita vissuta.
Il tema fondamentale, anche se non l’unico, dell’Allegria è la guerra, un’
esperienza fatta dal poeta in prima persona: essa è una condizione oggettiva
di pericolo, ma soprattutto un simbolo della precarietà umana. Ma Ungaretti
non vuole offrire una testimonianza delle vicende belliche, e quindi, più
che contenere una riflessione immediata sull’ingiustizia e la violenza della
guerra, i suoi versi scoprono in essa la solitudine e la fragilità della
sorte umana, proprio mentre mettono in rilievo la tensione affettiva e il
senso di fratellanza e di solidarietà che legano quasi per istinto l’uomo
all’altro uomo nella sofferenza.
L’uomo è come il relitto di un naufragio: l’unico scampo per lui è
rappresentato dal tentativo disperato di riagganciarsi alla vita, di
riaffermare se stesso in un’illusione di “allegria”. Nel momento del più
elevato rischio, quando la condizione umana appare stretta dall’emergenza e
sembra sfiorare di continuo la morte, il poeta sente vibrare dentro di sé un
desiderio genericamente religioso di armonia, si sente “docile fibra dell’
universo”, percepisce un senso di innocenza, avverte di essere una
“creatura” e cerca nell’adesione piena alla natura quella serenità di
adolescente, che risorge nella memoria e che sembrava irrimediabilmente
perduta. Ed è sempre disponibile allo stupore, alla “limpida meraviglia / di
un delirante fermento”.
L’Allegria rappresenta un momento fondamentale nell’evoluzione della lirica
italiana del Novecento. In questo libro, infatti, Ungaretti compie un’
operazione di rinnovamento profondo dei modi espressivi della poesia,
rovesciandone le strutture tradizionali. Le sue scelte stilistiche, che
risentono senza dubbio dell’esempio della grande avanguardia europea di
inizio secolo, presentano tuttavia forti tratti di autonomia e di
originalità.
Nell’Allegria, la metrica tradizionale si disgrega, scompare la
punteggiatura, il verso si spezza e si frantuma. Una delle caratteristiche
del primo Ungaretti è infatti la brevità del verso, che serve a mettere in
evidenza la parola poetica. Essa equivale ad un brandello, a un frammento di
vita ripescato dal vuoto e dal nulla, che nella sua essenzialità si carica
di un senso profondo e di una fortissima tensione. Il significato della
parola è sottolineato, quasi scolpito, dal rapporto tra la parola scritta e
il bianco della pagina, all’interno della quale molte volte essa viene
isolata, con l’effetto di farla emergere da un “illimitato silenzio” e di
farle assumere un valore di eccezionale pregnanza, circondandola di un alone
quasi magico.

La seconda raccolta, Sentimento del Tempo, comprende sette sezioni di testi
scritti fra il 1919 e il 1933, anno in cui viene pubblicata la prima
edizione. Ad essa seguono una seconda accresciuta nel 1936, ed una
definitiva nel 1943.
Sentimento del Tempo, come L’Allegria, non nasce da una disposizione d’animo
unica e quindi non possiede un’ispirazione unitaria e precostituita; al
contrario, come affermava Ungaretti nella premessa, il libro è frutto di una
“lentissima distillazione”. I principali motivi ispiratori della raccolta
sono ancora il dolore e il mistero che sta alla base dell’esistenza, ma essi
non vengono più collocati sullo sfondo storico concreto della guerra. La
poesia di Ungaretti tende ora ad esprimere conflitti eterni e a cercare una
risposta al mistero dell’esistenza; l’attenzione si sposta quindi su un
piano astratto, fuori dal tempo, e si concentra sul mutare delle stagioni e
sulla “fuga del tempo” che caratterizza il cammino della storia.
Fra i temi ricorrenti spicca quello della morte (che dà il titolo ad un’
intera sezione, La Morte Meditata), al quale si accompagnano, paralleli e
contrapposti, quelli dell’espiazione e del ritorno al paradiso perduto, all’
Eden preadamitico, alla terra promessa (un motivo che verrà poi ampliato e
approfondito in una raccolta successiva, che porta appunto questo titolo).
In Sentimento del Tempo il poeta sviluppa anche il motivo della ricerca di
un’identità attraverso il recupero della memoria, già accennato nell’
Allegria. Qui la memoria si configura come capacità di salvare il ricordo
dalla corrosione e dalla distruzione del tempo attraverso il “prodigio”
della poesia, il cui canto è ormai diventato per Ungaretti “un’ancora di
salvezza”.
Le linee portanti di Sentimento del Tempo sono i tre diversi modi in cui il
poeta considera ed esprime il concetto di tempo. Il primo è il tempo come
elemento storico concreto, le cui tracce sono visibili nel paesaggio di Roma
e della campagna romana, con la sua tradizione di miti classici e di memorie
cristiane, ma soprattutto con le testimonianze architettoniche della Roma
barocca.
Un secondo modo di percepire il tempo è quello di vedere in esso uno
strumento di meditazione sui problemi e sul destino dell’uomo e sul suo
rapporto con l’eternità. In questo motivo confluiscono la riflessione sulla
fine della giovinezza e sull’incombere della morte.
Infine, il terzo momento è legato alla ricerca di Dio, attraverso la quale
il poeta approda alla fede cristiana; di essa tratta in particolare la
sezione intitolata Inni. Il problema del sacro è infatti un nodo centrale
della poesia di Ungaretti, anche se la sua religiosità non è immune da dubbi
e conflitti, specie davanti all’esperienza del dolore e della morte, che
sono elementi costanti nelle vicende dei singoli individui e della
collettività.
Se i temi di Sentimento del Tempo appaiono in buona misura un
approfondimento di quelli già trattati nell’Allegria, gli elementi di
carattere formale distinguono nettamente la seconda raccolta dalla prima. In
questa fase della sua elaborazione poetica, infatti, Ungaretti opera il
recupero della “frase” in sostituzione della “parola”, giustificandolo con
la necessità di esprimere più compiutamente la maggiore complessità della
sua indagine esistenziale. Per questo motivo il poeta torna ad un’
organizzazione più classica del testo, recuperando elementi della metrica
tradizionale e ponendosi come punti di riferimento i modelli di Petrarca e
di Leopardi.
La riscoperta dei classici determina un tono più alto e la scelta di un
lessico più selezionato, che a tratti diventa aulico; la sintassi è più
complessa e legata. La visione costante di Roma e il nuovo rapporto con la
tradizione sono alla base anche del ricorrere frequente di immagini tratte
dalla mitologia classica, del tutto assenti nell’Allegria. I miti pagani, i
nomi degli dei dell’Olimpo diventano per Ungaretti strumenti capaci di
esprimere senza forzature i suoi stati d’animo, e il poeta sente di poterli
padroneggiare e usare come simboli, accostandoli e sovrapponendoli senza
contraddizioni a elementi della tradizione cristiana.
Un ulteriore elemento di novità di Sentimento del Tempo è rappresentato dall
’impiego su larga scala di strutture espressive di tipo analogico che
sostituiscono la tradizionale consequenzialità logica del discorso con
procedimenti metaforici e fonosimbolici, accostamenti intuitivi,
associazioni di idee e di immagini da cui scaturiscono significati nuovi.
Per queste caratteristiche di lingua e di stile, Sentimento del Tempo
eserciterà una fortissima suggestione sui contemporanei, diventando uno dei
libri essenziali, un modello irrinunciabile dell’Ermetismo.
La tensione che anima questo secondo volume di versi di Ungaretti lo porta a
toccare eccezionali vertici lirici, rispetto ai quali le prove seguenti
raggiungono risultati nel complesso meno omogenei, anche se ricchi di
momenti di altissima poesia.

La terza raccolta di poesie di Ungaretti, Il Dolore, viene pubblicata per la
prima volta nel 1947, ma le liriche in essa contenute erano in gran parte
già apparse su varie rassegne e riviste letterarie italiane. Il periodo di
composizione, che Ungaretti indica tra il 1937 e il 1946, coincide con
quello di altre due raccolte: La Terra Promessa e Un Grido e Paesaggi. Unico
caso all’interno del canzoniere ungarettiano, Il Dolore non è accompagnato
da alcuna spiegazione da parte del poeta, ma è preceduto solo da una
brevissima e drammatica nota: “Il Dolore è il libro che più amo, il libro
che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi
parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi”.
Il motivo del dolore è suggerito in primo luogo dalle sventure familiari, e
poi dalla tragica visione di Roma occupata e dell’Italia piagata dalla
guerra. I lutti familiari, la morte del fratello e ancor più quella del
figlioletto, assumono per Ungaretti il significato simbolico di una perdita
irreparabile del passato e soprattutto della possibilità di recupero dell’
Eden, di ritorno al paradiso perduto (rappresentato dall’età infantile):
infatti, con la morte del fratello scompare l’ultimo testimone dell’infanzia
del poeta, mentre con quella del figlio cade la speranza di rivivere quello
stesso periodo riflesso nell’infanzia del bambino. Inoltre, la morte del
fanciullo, così contraria alle leggi di natura, suggerisce al poeta altre
angosciose riflessioni sulla violenza implicita nell’atto stesso di esistere
e sull’ineluttabilità della sofferenza e della fine.
Il Dolore ha un carattere più intimo e drammatico dei libri precedenti,
permeato com’è dall’angoscia del poeta, così duramente colpito negli affetti
familiari. Tuttavia, pur nella sofferta constatazione del proprio dolore,
Ungaretti non cede mai all’autocommiserazione e al vittimismo, e i suoi
versi, che talvolta hanno la scarna semplicità di un diario intimo, non
lasciano emergere debolezza o passività, ma al contrario suggeriscono un
senso di forza e di autocontrollo. Nell’esprimere attraverso il canto la sua
tragedia privata, l’autore non si isola, anzi, con il suo canto vuole dar
voce alla sofferenza collettiva dell’umanità, tanto che anche nelle liriche
più personali si avverte un forte senso di solidarietà verso gli altri. Nei
momenti in cui il dolore si fa più forte e lo strazio sembra diventare
insopportabile, il poeta cerca sostegno e conforto nella preghiera.
La Terra Promessa, il cui sottotitolo è Frammenti: 1935-1953, comprende una
Canzone (scritta nel 1932), diciannove Cori descrittivi di stati d’animo di
Didone, il Recitativo di Palinuro, e infine i tre brani Variazioni sul
nulla, Segreto del poeta e Finale. Concepita fin dal 1932, prima come
libretto d’opera, poi come un ampio poema che avrebbe dovuto esprimere il
meglio del suo messaggio, la raccolta rimase allo stato di progetto per
lungo tempo, e anche nell’ultima stesura restano numerosissime varianti
irrisolte, che sono state recuperate grazie al paziente lavoro di Leone
Piccioni. I temi sono quelli del viaggio di Enea alla ricerca della terra
promessa, della tragedia di Didone e della morte del nocchiero Palinuro,
personaggi del mito virgiliano ai quali Ungaretti attribuisce un fortissimo
significato allegorico.
Oltre all’ovvio riferimento all’Eneide, la raccolta presenta moduli
linguistici di derivazione petrarchesca e leopardiana; la prima lirica poi,
Canzone, testimonia l’influenza esercitata su Ungaretti dal Decadentismo
francese, soprattutto da François Mallarmé e da Paul Valéry.
La Terra Promessa è il canto della decadenza, interpretata in una pluralità
di significati (la vecchiaia, il tramonto dell’Occidente, la decadenza e la
sorte della cultura). In tale ottica, l’opera si configura come il poema
dell’assenza, intesa come “sottrazione” della giovinezza, dell’amore e della
vita, come perdita di qualcosa che esiste in sé e che in passato è stato,
più o meno consapevolmente, posseduto. Il ritorno al paradiso terrestre
appare ormai solo un’illusione destinata a svanire, poiché l’uomo si
allontana sempre più dalla perfezione primordiale. Tuttavia, di questo
“stato di grazia” si può avere una conoscenza parziale sotto forma di
intuizione, di illuminazione, durante la quale la realtà quotidiana lascia
spazio, per un istante, ad una realtà autentica, fuori del tempo e dello
spazio.
Sia per i temi, sia per la tecnica compositiva, La Terra Promessa è una
conferma dell’inquietudine artistica di Ungaretti, della sua ininterrotta
volontà di sperimentazione e dell’infaticabile ricerca di perfezione formale
che anima tutta la sua attività nell’ampio e operoso arco della sua vita.

Un Grido e Paesaggi, antologia di versi scritti fra il 1939 e il 1952 e
apparsi per la prima volta in un volume unico nel 1952, è l’opera meno
organica di Ungaretti. Essa accoglie poesie in precedenza pubblicate su
riviste e trasmesse per radio in varie occasioni, e comprende il
Monologhetto, quattro Svaghi, lo scherzo Semantica e infine la lirica
Gridasti: Soffoco, scritta originariamente per Il Dolore.
Gli argomenti, come s’intuisce dai titoli, sono vari, suggeriti da ricordi,
da associazioni di idee, da divagazioni. Spicca per intensità Gridasti:
Soffoco, scritta in memoria del figlioletto, che riprende con toni
drammatici il tema straziante della morte del bambino. Nel complesso la
breve raccolta non propone novità rispetto ai volumi precedenti, mentre più
interessante appare il successivo Il Taccuino del Vecchio, composto tra il
1952 e il 1960, che ospita i ventisette Ultimi Cori per la Terra Promessa,
una specie di appendice al poema incompiuto, testimonianza di come il poeta
non avesse mai smesso di sperare di concludere quell’opera.
I Cori sono frammenti, resi coerenti dai temi e dall’omogeneità stilistica,
nei quali Ungaretti riprende e approfondisce il problema della condizione
dell’individuo fanciullo, cui corrisponde quella primordiale dell’umanità.
Una volta di più torna in queste poesie la ricerca della terra promessa,
accompagnata dalla certezza che l’uomo non potrà raggiungerne la conoscenza
se non attraverso barlumi intermittenti. Secondo Ungaretti, i periodi più
favorevoli per avvicinarsi all’intuizione del vero sono l’infanzia e la
vecchiaia, ovvero le fasi della vita che costituiscono gli estremi ideali di
un ciclo: il bambino infatti possiede l’ingenuità, mentre il vecchio trova
la pace nell’esaurirsi dei desideri.
Anche nelle brevi raccolte che seguono, Apocalissi, Proverbi, Dialogo e
Nuove, il filo conduttore è la presenza della morte, ormai priva però di
connotazioni tragiche e accettata come un evento naturale, che rientra nella
quotidianità, al pari di ogni altro fenomeno connesso all’esistenza sulla
Terra. Torna anche l’idea della vita come ciclo: completarlo, afferma ora il
poeta, equivale a riscoprire le proprie origini, ma con una prospettiva
diversa, modificata e arricchita grazie all’esperienza degli anni.
Particolarmente interessante è la raccolta Dialogo, che contiene nove
liriche d’amore per Bruna Bianco, pubblicate in occasione dell’ottantesimo
compleanno dell’autore, nel febbraio del 1968, e accompagnate dalle repliche
della poetessa. Il vecchio poeta, grazie a questa donna assai più giovane di
lui, riacquista l’energia ormai affievolita dagli anni; le poesie sono una
fresca dichiarazione di vitalità, una testimonianza che “l’amore non può
estinguersi che con la morte”.

Un Grido e Paesaggi, antologia di versi scritti fra il 1939 e il 1952 e
apparsi per la prima volta in un volume unico nel 1952, è l’opera meno
organica di Ungaretti. Essa accoglie poesie in precedenza pubblicate su
riviste e trasmesse per radio in varie occasioni, e comprende il
Monologhetto, quattro Svaghi, lo scherzo Semantica e infine la lirica
Gridasti: Soffoco, scritta originariamente per Il Dolore.
Gli argomenti, come s’intuisce dai titoli, sono vari, suggeriti da ricordi,
da associazioni di idee, da divagazioni. Spicca per intensità Gridasti:
Soffoco, scritta in memoria del figlioletto, che riprende con toni
drammatici il tema straziante della morte del bambino. Nel complesso la
breve raccolta non propone novità rispetto ai volumi precedenti, mentre più
interessante appare il successivo Il Taccuino del Vecchio, composto tra il
1952 e il 1960, che ospita i ventisette Ultimi Cori per la Terra Promessa,
una specie di appendice al poema incompiuto, testimonianza di come il poeta
non avesse mai smesso di sperare di concludere quell’opera.
I Cori sono frammenti, resi coerenti dai temi e dall’omogeneità stilistica,
nei quali Ungaretti riprende e approfondisce il problema della condizione
dell’individuo fanciullo, cui corrisponde quella primordiale dell’umanità.
Una volta di più torna in queste poesie la ricerca della terra promessa,
accompagnata dalla certezza che l’uomo non potrà raggiungerne la conoscenza
se non attraverso barlumi intermittenti. Secondo Ungaretti, i periodi più
favorevoli per avvicinarsi all’intuizione del vero sono l’infanzia e la
vecchiaia, ovvero le fasi della vita che costituiscono gli estremi ideali di
un ciclo: il bambino infatti possiede l’ingenuità, mentre il vecchio trova
la pace nell’esaurirsi dei desideri.
Anche nelle brevi raccolte che seguono, Apocalissi, Proverbi, Dialogo e
Nuove, il filo conduttore è la presenza della morte, ormai priva però di
connotazioni tragiche e accettata come un evento naturale, che rientra nella
quotidianità, al pari di ogni altro fenomeno connesso all’esistenza sulla
Terra. Torna anche l’idea della vita come ciclo: completarlo, afferma ora il
poeta, equivale a riscoprire le proprie origini, ma con una prospettiva
diversa, modificata e arricchita grazie all’esperienza degli anni.
Particolarmente interessante è la raccolta Dialogo, che contiene nove
liriche d’amore per Bruna Bianco, pubblicate in occasione dell’ottantesimo
compleanno dell’autore, nel febbraio del 1968, e accompagnate dalle repliche
della poetessa. Il vecchio poeta, grazie a questa donna assai più giovane di
lui, riacquista l’energia ormai affievolita dagli anni; le poesie sono una
fresca dichiarazione di vitalità, una testimonianza che “l’amore non può
estinguersi che con la morte”.

I primi scrittori che rivolgono la loro attenzione a Ungaretti, dedicando
interventi critici al Porto Sepolto, provengono dall’ambiente vociano: sono
Giovanni Papini nel 1917 e Giuseppe Prezzolini l’anno seguente. Il primo
coglie gli elementi di italianità presenti nella poesia di Ungaretti,
associati però ad “un’immaginazione orientale” e ad “una mobilissima
magneticità di raccordi e dissonanze ch’è francese moderna”.
Il secondo traccia un attento ritratto di Ungaretti, sottolineando le
caratteristiche positive della sua poetica (ma più tardi il suo giudizio
diventerà meno benevolo: nel 1929 esprimerà il dubbio che le poesie
ungarettiane siano espressioni “d’un momento”, certo profonde e sentite
mentre sono state scritte, ma frutto di uno stato d’animo fuggevole, e per
questo inadatte a rispondere all’esigenza di eternità propria della vera
arte).
Accanto ai riconoscimenti vociani non mancano, press’a poco nello stesso
periodo, giudizi sostanzialmente negativi, in particolare da parte di Flora
e di De Robertis. Francesco Flora nega decisamente che quella di Ungaretti
possa definirsi poesia, e attribuisce il fascino dei suoi versi alla loro
natura di frammenti. Comunque più tardi egli attenuerà la durezza della sua
valutazione.
Il giudizio di Giuseppe De Robertis è assai meno sfavorevole: egli infatti
vede nell’Allegria una “stanchezza di sensazioni” e rimprovera a Ungaretti
la frammentarietà, accostandolo, in senso negativo, al D’Annunzio di
Alcyone; tuttavia ne riconosce e ne apprezza la purezza espressiva,
sottolineando l’alto valore poetico di alcuni testi. In seguito De Robertis
è tornato a occuparsi della lirica di Ungaretti, soprattutto per quanto
riguarda l’aspetto metrico.
Una svolta nella critica si ha con Alfredo Gargiulo, che, intervenendo più
volte nel dibattito su Ungaretti (la prima volta nel 1924), respinge l’
attribuzione di frammentarietà alla sua poesia, e ne dimostra la potenza,
sottolineando come il poeta sia stato capace di liberare la parola dal peso
della storia ridandole il suo valore “primordiale”.
Nel 1931 appare il primo studio importante di Gianfranco Contini, il quale
compie un’attenta analisi sull’Allegria (su cui tornerà più volte),
mettendone in rilievo soprattutto gli aspetti stilistici e l’uso della
parola, ricca e carica di senso. Contini rileva inoltre “l’unanimità” della
disposizione poetica ungarettiana, ovvero la coerenza che lega le varie
tappe della sua evoluzione artistica, e che nasce dal suo spiccato senso di
appartenenza all’umanità intera, di fratellanza universale, quel “senso
corale” che trae origine dal profondo legame con la terra e con la natura.
Sul poeta Contini ritorna anche a proposito di Sentimento di Tempo, nel
quale vede una chiara evoluzione della parola verso la frase.
Successivamente si cominciano a studiare le varianti della poesia di
Ungaretti. Il primo critico che si occupa di questo aspetto è Giuseppe De
Robertis, al quale seguono molti altri: soprattutto Leone Piccioni si
dedicherà con il massimo impegno a questo tipo di indagine filologica,
concludendo la sua opera con la cura dell’edizione completa delle liriche e
con la stesura della biografia di Ungaretti. Siamo negli anni Cinquanta e
ormai Ungaretti è considerato uno dei più grandi poeti italiani viventi. L’
attenzione della critica nei suoi confronti si intensifica: nel 1958, la
rivista “Letteratura” gli dedica un numero doppio che contiene, fra gli
altri, un giudizio di Eugenio Montale, il quale definisce Ungaretti “poeta
in progress”, ossia “in evoluzione”, “in corso di formazione”, dando a quest
’espressione il suo significato migliore.
Si arricchisce anche il settore delle monografie, volte ad analizzare alcuni
elementi specifici della poesia ungarettiana: dal valore umano e religioso
del suo messaggio, all’individuazione delle fonti; dall’itinerario
formativo, all’importanza dell’attività in prosa e delle traduzioni.
Negli ultimi anni, inoltre, si approfondiscono con risultati significativi l
’indagine semantica e quella linguistica. Tra i critici che hanno apportato
un contributo di particolare interesse in questo settore va ricordato Carlo
Ossola, che analizza accuratamente i legami di Ungaretti con le sue fonti
culturali e letterarie, e ripercorre tutta la storia delle interpretazioni
date alla sua opera, soffermandosi soprattutto sull’importanza che in essa
assumono i rapporti tra la metrica e la sintassi, e tra il ritmo e la rima.
La critica contemporanea, che continua l’indagine tesa a definire con sempre
maggiore precisione la portata dell’opera di Ungaretti e a chiarire i punti
oscuri del suo messaggio, ha ormai superato definitivamente dubbi e
perplessità sul valore artistico del poeta.
La strada più seguita in questi ultimi anni resta quella di continuare le
indagini su singoli aspetti della complessa personalità poetica di
Ungaretti, superando le residue difficoltà di interpretazione e di
sistemazione definitiva della sua opera, grazie anche al contributo dato dal
poeta stesso con le premesse alle varie raccolte e con le dichiarazioni
tante volte rilasciate alla stampa e alla televisione.

STORIA

L’applicazione su grande scala delle teorie di Taylor sull’organizzazione
scientifica del lavoro, accompagnata alla crescita della domanda e alla
innovazione tecnologica è all’origine della eccezionale crescita della
produzione industriale che vivono gli Stati Uniti nel corso degli anni
venti. La logica del fordismo e la rivoluzione manageriale non comportano
soltanto benefici; le condizioni dell’operaio migliorano materialmente ma a
costo del totale annullamento della sua creatività e della sua
realizzazione. Di questa condizione alienante si è fatto interprete Charlie
Chaplin con il suo magistrale film Tempi moderni.

Gli anni tra le due guerre vedono affermarsi i nuovi strumenti della
comunicazione di massa. Primo fra tutti la radio che nel giro di pochi anni
entra nelle case di milioni di famiglie e promuove una vera e propria
industria della comunicazione. Non da meno è il cinema che, con l’
introduzione del sonoro del 1927, diventa un diffusissimo svago popolare ma
anche un potente mezzo di propaganda. In questi anni si effettuano anche le
prime sperimentazioni televisive che anticipano un fenomeno che
caratterizzerà il secondo dopoguerra.

In un periodo della storia contraddistinto da forti contrapposizioni
politiche e militari anche la scienza e le sue applicazioni si mettono al
servizio della guerra. L’ambito che più di ogni altro susciterà paure è
quello della ricerca nucleare i cui svuluppi portano al tragico lancio della
bomba atomica in conclusione della seconda guerra mondiale. Anche l’
aviazione militare sviluppa nuovi strumenti sempre più sofisticati, ma è in
generale tutta la tecnologia bellica ha fare passi da gigante e a preparare
la grande catastrofe. L’ideologia del nazismo si richiama alla scienza anche
per giustificare le sue teorie più criminali, come nel caso dell’equazione
tra biologia e razzismo.

Nel 1927 viene individuato il potere antibatterico della penicillina la cui
applicazione rappresenterà una vera e propria rivoluzione nel campo della
medicina. Questa scoperta è forse la più eclatante di un periodo storico che
vede avanzare le nuove frontiere della medicina. La scoperta di nuovi
vaccini, le nuove tecniche chirurgiche insieme a una complessiva
razionalizzazione dell’organizzazione sociale permettono un netto
miglioramento della qualità della vita.

Assurge a simbolo degli eccezionali progressi scientifici compiuti negli
anni tra le due guerre la trasvolata di Lindbergh effettuata dagli Stati
Uniti alla Francia nel 1927. Le scoperte e le invenzioni riguardano molti
campi, ma forse quelle dell’astronomia assumono un potere magico nel loro
tentativo di sondare l’Universo. Sono anni di grandi passioni come quella
che lega Nobile e il polo Nord. Tutti i grandi protagonisti delle altre
scoperte scientifiche sono spinti da un travolgente spirito di ricerca.
SCOPERTE SCIENTIFICHE
L’età compresa tra il 1919 e il 1945 ha rappresentato un periodo di
progressi scientifici senza precedenti per ampiezza, velocità e possibilità
di applicazione pratica. In questi anni sono stati raccolti i frutti di
quattro secoli di scienza moderna tanto compiutamente da trasformare l’
aspetto stesso della nostra civiltà, della nostra vita quotidiana, perfino
della nostra mentalità. Il progresso della medicina ha permesso la
realizzazione di nuovi farmaci: dalla penicillina (Fleming, 1929) e la sua
successiva trasformazione in antibiotico (Chain e Florey, 1940) ai
sulfamidici (solfapiridina, ottenuta da Ewins e Phillips e applicata nel ‘38
nella cura della polmonite e di altre patologie mortali). Nella fisica sono
fondamentali le ricerche sull’atomo e la sua struttura (scoperta dei
neutroni, Chadwich 1932). Sulla loro trasformazione in isotopi radioattivi
(Fermi, 1933) e sugli sviluppi applicativi nella scienza atomica. Anche il
progresso della tecnica metallurgica ha posto le premesse per la creazione
di nuovi materiali: il nichel, il cobalto, il tungsteno, il vanadio e molte
altre leghe si sono aggiunte alla già rilevante quantità di prodotti
metallici. Nel 1930 viene scoperta e sintetizzata la gomma. Nello stesso
anno è prodotto dalle industrie chimiche il perspex, la prima materia
plastica in grado di sostituire il vetro. Anche la produzione industriale si
avvale di nuove tecniche di produzione: Henry Ford sperimenta nel 1913 la
catena di montaggio destinata al perfezionamento negli anni venti. Sono anni
decisivi anche nello studio del nostro pianeta e delle origini dell’uomo: l’
uso delle onde elettromagnetiche e della riflessione delle onde di
percussione hanno permesso lo studio del sottosuolo e delle sue ricchezze;
il rinvenimento di resti fossili umani a Steinheim nel 1933 e a Swanscombe
due anni dopo rivoluzionano la teoria sull’origine dell’uomo, e affermano la
sua discendenza dall’homo sapiens e non più dall’uomo di Neanderthal.

BOMBA ATOMICA
Il 26 luglio 1945 a Potsdam gli alleati intimano la resa al Giappone. I
termini, trasmessi per radio, sono quelli della resa incondizionata.
Il 6 agosto, alle ore 8.15, tre bombardieri americani compaiono sul cielo di
Hiroshima. Sono tre “B-29” che provengono da Nord-est e viaggiano
approssimativamente a una quota di 8.500 metri. Uno di essi ferma i motori,
scende in picchiata, sgancia una bomba atomica e, virando a destra, si
allontana a tutta velocità.
La bomba precipita e, dopo appena un minuto e mezzo, esplode all’altezza di
circa 570 metri. La sfera di fuoco prodotta si estende per sessanta metri di
diametro con una potenza di calore di trecentomila gradi. Lo scoppio
proietta sul suolo terribili fiamme e, simultaneamente, disegna una colonna
di fumo bianco dalla inquietante forma di fungo che raggiunge i novemila
metri. Tutta l’operazione dura circa otto minuti.
La terrificante pressione sul suolo sbriciola tutti gli edifici entro un
raggio di due chilometri e mezzo e, un quarto d’ora dopo l’esplosione,
inizia una pioggia, prima densa poi minutissima, che porta a terra le
particelle radioattive di cui la nuvola è carica.
I morti immediati sono oltre 80 mila, i feriti quasi 40 mila, migliaia i
dispersi. Ma chi sopravvive sul momento è comunque destinato a morire per l’
effetto delle radiazioni nucleari: dopo pochi giorni, dopo qualche mese, a
volte anche dopo alcuni anni.
Il 9 agosto, con gli stessi effetti terrificanti, una seconda bomba viene
sganciata sulla città di Nagasaki. Lo stesso giorno, l’URSS dichiara guerra
al Giappone e occupa la Manciuria.
Ormai la potenza nipponica non può far altro che arrendersi (14 agosto), e
il 2 settembre i suoi rappresentanti firmano la resa incondizionata a bordo
della corazzata americana Missouri, nella rada di Tokyo.
Perché fu impiegata l’atomica? La giustificazione addotta dal presidente
americano Truman e dal primo ministro inglese Churchill che essa fosse l’
unico mezzo per costringere i giapponesi alla resa è stata spesso contestata
dagli storici. Innanzitutto gli americani erano a conoscenza del desiderio
del Giappone di porre fine alla guerra. Da un punto di vista intimidatorio,
esclusion fatta per le conseguenze della contaminazione radioattiva,
distruzioni enormi erano state già causate dai terribili bombardamenti con
bombe incendiarie che avevano investito Tokyo e altre città. Il problema non
era quindi militare, ma politico. Il presidente Truman, succeduto a
Roosevelt il 12 aprile 1945, vuole capovolgere la politica statunitense di
favore nei confronti dell'URSS. In quest’ottica, l’utilizzo della bomba
atomica (oltre a giustificare l’enorme spesa di denaro investita nel
progetto) è conseguente alla volontà di impedire la partecipazione dell’
Unione Sovietica alla guerra contro il Giappone, in modo da eludere gli
impegni assunti da Roosevelt a Yalta e da frenare l’affermazione di un nuovo
equilibrio mondiale in cui i sovietici sembrano acquisire, in forza delle
loro vittorie sui nazisti, un posto di primo piano.

ENRICO FERMI
Roma, 1901 - Chicago, 1954
Fisico italiano.

Professore di fisica teorica all'Università di Roma dal 1926, F. fonda con
Amaldi, Pontecorvo, Segré e Rasetti la "Scuola di Roma". Dopo gli studi di
teoria statistica con Dirac, dal 1932 si dedica alla fisica nucleare. Per
primo sperimenta l'impiego dei neutroni lenti per la disintegrazione degli
atomi. A seguito di tale scoperta ottiene il premio Nobel per la fisica nel
1938. Alla vigilia della guerra, perseguitato per motivi razziali, abbandona
l'Italia fascista e si rifugia negli Stati Uniti dove ottiene la cattedra di
fisica nucleare prima alla Columbia University e poi, nel 1945, a Chicago.
Coinvolto nella ricerca sulla bomba atomica dal governo americano (progetto
Manhattan), nel 1942 realizza la prima pila atomica a uranio e grafite. Nel
1944 ottiene la cittadinanza statunitense, l'anno successivo è nominato
professore all'Istituto per gli studi nucleari dell'Università di Chicago.
Dopo la fine del conflitto si interessa agli studi di cosmologia e si dedica
alla costruzione del ciclotrone.
LA SCIENZA APPLICATA ALLA MORTE
In un periodo della storia contraddistinto da forti contrapposizioni
politiche e militari anche la scienza e le sue applicazioni si mettono al
servizio della guerra. L’ambito che più di ogni altro susciterà paure è
quello della ricerca nucleare i cui svuluppi portano al tragico lancio della
bomba atomica in conclusione della seconda guerra mondiale. Anche l’
aviazione militare sviluppa nuovi strumenti sempre più sofisticati, ma è in
generale tutta la tecnologia bellica ha fare passi da gigante e a preparare
la grande catastrofe. L’ideologia del nazismo si richiama alla scienza anche
per giustificare le sue teorie più criminali, come nel caso dell’equazione
tra biologia e razzismo.

LA RICERCA NUCLEARE
Le ricerche sulla radioattività compiute nel XIX secolo e il loro
affinamento agli inizi del XX, aprono la strada alla scoperta dell’energia
nucleare. Gli studi dell’italiano Enrico Fermi (1901-1954), indirizzati
essenzialmente alla fisica del nucleo e dei neutroni, lo conducono a
compiere nel 1933 la prima fissione nucleare dell’uranio. Se la scoperta di
una nuova energia poteva aprire alla civiltà inediti orizzonti di benessere
(ad esempio nella produzione di energia elettrica da parte di centrali
nucleari), il suo primo impiego effettivo è a scopo bellico. La prima bomba
atomica viene fatta esplodere dall’esercito americano nel deserto del Nuovo
Messico il 16 luglio 1945.
I risultati positivi di questo esperimento spingono gli americani a
utilizzare un secondo ordigno atomico il 6 agosto 1945 sulla città
giapponese di Hiroshima distruggendola quasi totalmente e uccidendo circa
70.000 persone.
Il 9 agosto successivo una terza bomba viene lanciata sulla città di
Nagasaki, sterminando 40.000 persone.
Le conseguenze pagate dai sopravvissuti sono incredibili. Le radiazioni
nucleari, persistendo nell’atmosfera, inquinandola, prolungano i loro
effetti fino alle generazioni successive provocando, anche a distanza di
molti anni, gravi malformazioni fisiche.

La fine della seconda guerra mondiale ci restituisce un mondo liberato dalla
minaccia nazista ma anche lo spettro di un futuro e apocalittico conflitto
nucleare.
TECNOLOGIA BELLICA
Dopo la grande guerra, le maggiori potenze economiche comprendono come l’
efficacia militare fosse indissociabile dalla ricerca scientifica. L’
esigenza materiale di possedere armamenti moderni e funzionali produce una
forte spinta verso l’innovazione tecnologica.
I chimici, i fisici e gli ingegner, sono convocati per la ricerca di
esplosivi sempre più sofisticati e devastanti, per lo studio delle
traiettorie dei proiettili (balistica) e per la costruzione di congegni
bellici sempre più complessi.
I vent’anni che trascorrono tra le due guerre, sono una vera e propria
fucina per le nazioni industrializzate che modernizzano i loro arsenali.
E’ sufficiente pensare allo sviluppo della carristica e alle conseguenze che
tale sviluppo produce, soprattutto nel campo dell’artiglieria semplice.
Risale al 1931 la prima Brigata interamente meccanizzata dell’esercito
inglese.
Nel secondo conflitto mondiale l’esercito tedesco utilizza il carro armato
per invadere la Polonia, il Belgio e la Francia; la sola Russia ne possedeva
128.000 unità.
Questo crescente impiego dei mezzi pesanti, la loro articolazione con
cacciabombardieri e, specularmente, l’apparizione di una massiccia
contraerea, trasforma il modo di praticare e di concepire l’azione militare.
Il conclusivo avvento della bomba atomica fa comprendere ai governi e alle
popolazioni quanto potesse essere terrificante la ricerca scientifica
applicata ai conflitti militari.


Enfant Terrible ha scritto nel messaggio <7k677g$mkr$1...@hermes.iol.it>...


>o meglio per la "relazione di fine anno"
>
>avete qualche suggerimento per la mia tesina multimediale sui diritti
umani?
>

>sto leggendo il Secolo Breve di Hobswbawm (???) e il mio programma


>e' quello del linguistico (+spagnolo)
>

>pensavo
>
>esistenzialismo
>olocausto
>Camus
>Beckett
>Ungaretti

>e forse l'atomo in fisica (x la bomba atomica...)
>

>avete qualche suggerimento o magari un po' di materiale????
>
>ve ne sarei davvero grato
>
>(se puo' servire a mobilitare qualcuno che si scoccia di mandarmi qualcosa
>posso mandare degli mp3 a chi è interessato...)
>

>ciao da Claudio
>
>

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