Ovvero anche Egli sarebbe vincolato al rispetto di tali verità, oppure
potrebbe contraddirle? Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità e
neanche Egli potrebbe violarle?
Ed ancora: le verità matematiche sono state prodotte dalla volontà di
Dio, oppure gli preesistevano in modo tale che Egli non poteva farne
delle altre diverse?
La matematica è una scienza astratta, in cui le varie asserzioni sono
dipendenti l'una dall'altra attraverso dei ragionamenti che obbediscono alle
leggi della logica. La logica è una categoria della mente umana (forse mi
esprimo male, ma credo che tutti i lettori possano capire quello che ho in
mente).
Se Dio è creatore, insieme agli uomini ha creato anche la logica. Avrebbe
potuto creare uomini diversi da come siamo noi, in particolare forniti di
categorie mentali diverse, cioè di una logica diversa. La matematica di
questi uomini sarebbe stata diversa dalla nostra.
>
> Ovvero anche Egli sarebbe vincolato al rispetto di tali verità, oppure
> potrebbe contraddirle? Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
> diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità e
> neanche Egli potrebbe violarle?
Io non voglio porre limiti a Dio, ma penso che sia riduttivo immaginarlo
come un bambino capriccioso, che, mentre costruisce col lego una bella e
complessa composizione, ogni tanto ha un raptus distruttivo e la sfascia. Ha
creato il mondo, e, come dice la Bibbia, vide che era cosa buona. Il mondo
non è fatto per essere immutabile, quindi fa parte della bontà del mondo il
suo divenire, in particolare quel divenire prodotto dall'attività umana
guidata dal libero arbitrio. Perciò penso che il divenire sia il risultato
congiunto di leggi fisiche stabili e di un'attività libera e mutevole degli
uomini.
Forse ho girato intorno alla tua domanda senza rispondere. Ci provo.
Creando una logica diversa, potrebbe contraddire le verità matematiche.
>
> Ed ancora: le verità matematiche sono state prodotte dalla volontà di
> Dio, oppure gli preesistevano in modo tale che Egli non poteva farne
> delle altre diverse?
Penso che niente gli preesistesse. In particolare penso che le verità
matematiche non preesistessero neanche al mondo.
> Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi...
Non c'è bisogno di essere Dio.
Supponi di avere un aeroporto proprio sull'equatore, con una pista diretta
esattamente verso il Polo Nord. Tu parti con un aereo in direzione del Polo
e vai sempre diritto con la bussola che punta esattamente verso il Nord.
Quando arrivi al Polo fai una brusca virata di 90 gradi a destra, e a quel
punto ti trovi con il Nord in coda all'aereo, per cui stai andando
esattamente verso Sud. Continui ad andare verso Sud, dunque sempre diritto,
finché non raggiungi nuovamente l'equatore, e a quel punto fai di nuovo una
brusca virata di 90 gradi verso destra. Ora tu stai andando verso Ovest, e
continui ad andare verso Ovest, dunque sempre diritto, fino a quando non
arrivi all'aeroposto da cui sei partito (certo che ne avevi di benzina!).
Arrivato all'aeroporto ti rendi conto che per atterrare sulla pista da cui
sei partito devi virare di nuovo di 90 gradi. Fatta la virata atterri e ti
ritrovi di nuovo nella posizione di partenza.
Così facendo hai percorso tre curve diritte, ognuna delle quali forma degli
angoli di 90 gradi con le altre due. Dunque il tuo percorso è costituito da
tre segmenti diritti con tre angoli interni di 90 gradi, per un totale di
270 gradi.
Ogni parola che pronunci può essere reinterpretata illimitatamente.
Tu dici "triangolo" e io ti chiedo una definzione di "triangolo". A quel
punto se hai parlato di "rette" e mi hai spiegato che le "rette" sono curve
"diritte", io ti tiro fuori l'aereo che va sempre "diritto" e che percorre
un "triangolo" con 270 gradi di angoli interni.
--
Saluti.
D.
> Vorrei porre delle domande: constatato che ci sono delle veritą
> matematiche inconfutabili (ad esempio che in un triangolo, contenuto in
> un piano, la somma degli angoli interni č di 180 gradi, oppure che
> 2+2=4),
Sulla "inconfutabilitą" di un enunciato, ha gią detto Davide: il senso
dell'enunciato č soggetto all'interpretabile. Davide ha detto, parlando di
un qualunque termine del linguaggio, "illimitatamente interpretabile".
Questa illimitatezza della interpretabilitą significa, rigorosamente, che
qualunque "fissazione"del senso di un enunciato, in quanto richiederą il
vincolamento dell'enunciato ad un determinato contesto di senso, necessiterą
di altri enunciati o di altre parole (si dovrą dire: "ma io intendo
'triangolo' in questo senso, ed č in questo senso che quel certo enunciato č
inconfutabile, ovvero č tale che la sua negazione č o implica una
contraddizione logica", e per dire quel certo senso, si dovranno usare nuove
parole, le quali saranno a loro volta interpretabili etc.).
Qui, perņ, dovemmo affrontare la questione della relazione tra
"inconfutabilitą" ed "illimitata interpretabilitą" - ed č forse una delle
discussioni pił difficili che ci siano in filosofia. In ogni caso, se pure
ammettiamo che un enunciato risulta inconfutabile *solo* rispetto ad un
determinato contesto di senso, abbiamo con ciņ gią stabilito che
l'affermazione della inconfutabilitą dell'enunciato richiede la "fissazione"
di un *determinato* contesto di senso, ovvero, il vincolamento di tale
contesto a quell'enunciato. Abbiamo dunque gią, in qualche modo,
"relativizzato" l'inconfutabilitą dell'enunciato.
> Ovvero anche Egli sarebbe vincolato al rispetto di tali veritą, oppure
> potrebbe contraddirle?
La prima posizione, rispetto alla relazione tra Dio e le veritą razionali,
č, notoriamente, quella espressa da Leibnitz, per il quale <<[...]le veritą
necessarie dipendono unicamente dall'Intelletto di Dio e ne costituiscono
l'oggetto interno>> ["Monadologia", prop. 46; trad. it. Bompiani 2001]:
unicamente dall'Intelletto di Dio, cioč *non* dalla Sua Volontą (dalla
quale, invece, dipendono le veritą contingenti).
La seconda posizione č quella espressa da Cartesio, per il quale una veritą
razionale č tale perché e solo perché il suo contenuto č arbitrariamente
voluto da Dio.
>Cioč Dio avrebbe potuto far sģ che la somma
> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
> diverso da 4, oppure la sua volontą si sottomette a tali veritą e
> neanche Egli potrebbe violarle?
In definitiva, quei due modi opposti di determinare la relazione tra Dio e
le veritą razionali, si fondano entrambi sulla identitą di Dio. Per Leibniz,
le veritą razionali sono l'<<oggetto interno>> dell'Intelletto divino, il
quale č la <<regione delle veritą eterne>> ["Monadologia", prop. 43; cit.];
le veritą razionali hanno dunque un rapporto privilegiato con l'identitą di
Dio (ma poi Leibniz ricava dalla esistenza delle veritą razionali una
dimostrazione dell'esistenza di Dio). Per Cartesio, invece, Dio non potrebbe
essere se stesso, se le veritą razionali precedessero, come contenuti
intellettuali, la volontą divina. Ovvero, Dio non sarebbe se stesso, se la
volontą divina si fosse dovuta *adeguare* alla conoscenza intellettuale
della veritą necessaria di quei certi contenuti. Non puņ venire "prima" la
conoscenza intellettuale, da parte di Dio, di quelle veritą, e "poi" l'atto
della volontą divina che le ha assunte - e qui "prima" e "dopo" si
riferiscono ad una qualsiasi relazione d'ordine (logica, cronologica etc.).
La possiamo mettere cosģ: non puņ esistere, per Cartesio, una relazione
d'ordine che faccia sģ che la conoscenza intellettuale divina delle veritą
razionali stia "prima" dell'atto volitivo divino che le ha assunte.
> Ed ancora: le veritą matematiche sono state prodotte dalla volontą di
> Dio, oppure gli preesistevano in modo tale che Egli non poteva farne
> delle altre diverse?
Il problema č, da un lato, se l'atto stesso della creazione non implichi,
nella sua costituzione, quelle veritą matematiche; dall'altro lato, che cosa
si intenda, qui, per "preesistenza" delle veritą matematiche a Dio. Per
Cartesio, la "preesistenza" riguarda la precedenza della conoscenza
intellettuale sulla volontą divina; e questa precedenza č impossibile
qualunque sia la relazione d'ordine utilizzata per definirla.
Un saluto,
Marco
Ma quando uno parla della verità di una frase non sta parlando di qualcosa
relativo ai simboli che compongono quella frase, sta parlando di un certo
"contenuto semantico". E' di quello che sta dicendo che è vero, non dei
simboli. I simboli non sono nè veri nè falsi. Se i simboli vengono
reinterpretati si sta considerando un contenuto semantico differente cioè non
si sta più parlando della stessa cosa.
Se zanzara76 si chiede se si può far sì che la somma degli angoli interni di
un triangolo sia diversa da 180 non si sta domandando se c'è un modo per
rendere la frase (come insieme di simboli) vera, ma sta parlando di
"triangoli" e "angoli" con il significato già prestabilito. Lui chiede se si
può realizzare una certa cosa con *quegli oggetti lì* denotati da quelle
parole, non con le parole.
>I simboli non sono nè veri nè falsi. Se i simboli vengono reinterpretati si
>sta considerando un contenuto semantico differente cioè non si sta più
>parlando della stessa cosa.
Certo, quello di essere vero/falso non è un attributo né di una sequenza
grafica né di una sequenza fonetica - non può essere, cioè, attributo di
nessuna entità linguistica che sia assunta "in suppositione materiali",
quanto cioè al suo aspetto sensibile. Per Frege ad essere vere/false sono le
*proposizioni*, cioè i "sensi" ("Sinn"), ovvero i "pensieri", espressi dagli
enunciati. Ma la variazione della interpretazione di un enunciato è la
variazione del "senso" espresso. E allora va detto che ad essere veri/falsi
sono le occorrenze degli enunciati in determinati contesti interpretativi.
Il nostro problema logico diviene, allora, il seguente. Sì, è vero che:
- gli enunciati sono sempre interpretabili
ed è vero che:
- è sempre possibile variare l'interpretazione dell'enunciato e, attraverso
questa variazione, far esprimere all'enunciato una proposizione falsa -
ovvero, è sempre possibile "falsificare l'enunciato".
Ma *data* una certa interpretazione di un enunciato, quest'ultimo esprimerà
una certa proposizione. E' di *questa* proposizione, che noi ci domandiamo
se sia o no necessariamente vera. Così, è relativamente a una *certa*
interpretazione di "triangolo", "angolo", "piatto" etc., che noi ci
domandiamo se l'enunciato "la somma degli angoli unteri di un triangolo è
uguale ad un angolo piatto" sia o meno falsificabile.
Benissimo - e questa era appunto l'osservazione alla quale mi riferivo,
quando dicevo che <<In ogni caso, se pure ammettiamo che un enunciato
risulta inconfutabile *solo* rispetto ad un determinato contesto di
senso[...]>>. Ma che cosa abbiamo ottenuto? Abbiamo ottenuto che:
1. intanto dobbiamo specificare il contesto interpretativo cui l'enunciato
deve essere vincolato per risultare infalsificabile, cioè esprimente una
proposizione necessariamente vera. Ma questo lo possiamo fare *solo* usando
altre parole - nuovamente interpretabili. Oppure usando locuzioni "tattiche"
quale quella da te usata: <<con il significato già prestabilito>>.
2. *qualunque* enunciato che sia vincolato ad un contesto interpretativo che
gli consente di esprimere una proposizione vera, viene così ad essere, in
quanto vincolato a quel contesto, un enunciato infalsificabile. *Non è
infatti possibile* falsificare l'enunciato "questa mela è rossa", *nel*
contesto interpretativo che verifica tale enunciato.
3. l'insaturabilità del senso degli enunciati - cioè la loro irriducibile
interpretabilità (la loro ineliminabile appartenenza alla interpretatività)
implica, in riferimento al problema della esistenza di enunciati
infalsificabili, l'eliminazione del rapporto privilegiato che una
determinata classe di enunciati (di volta in volta chiamati "razionali",
"analitici" etc.) intrattiene con la verità: quel rapporto privilegiato
consistente nella "verità necessaria", cioè nella "infalsificabilità". Se
l'enunciato "la somma degli angoli unteri di un triangolo è uguale ad un
angolo piatto" è infalsificabile una volta che i termini che compaiono in
esso siano stati opportunamente interpretati, lo stesso vale per l'enunciato
"questa mela è rossa".
Queste sembrano essere le tre conseguenze, ricavabili dalla insaturabilità
del senso degli enunciati, a proposito del problema della infalsificabilità
degli enunciati.
Un saluto,
Marco
La zanzara 76 wrote:
>
> Vorrei porre delle domande: constatato che ci sono delle verità
> matematiche inconfutabili (ad esempio che in un triangolo, contenuto in
> un piano, la somma degli angoli interni è di 180 gradi, oppure che
> 2+2=4), come si pone Dio rispetto ad esse?
Come sovrainsieme.
Esempio:
In un modello in cui esiste la possibilità di disporre di più enti
multipli dell'unità, si avrà -allora- nello spazio astratto del modello
che -> 2+2=4, ma ciò non avverrà MAI nel reale.
Poiché il "tutto", che è Dio, include sia gli spazi di astrazione che il
reale, essendo "Colui di cui non vi è il maggiore", Dio è un
sovrainsieme rispetto ai modelli astratti, anzi è un sovrainsieme
rispetto ad ogni ente o collezione di enti, tranne la collezione
completa che realizza l'identità di Dio con se stesso.
>
> Ovvero anche Egli sarebbe vincolato al rispetto di tali verità, oppure
> potrebbe contraddirle? Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
> diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità e
> neanche Egli potrebbe violarle?
Dio non viola mai la verità, perché la verità è uno dei nomi di Dio.
Se vuoi la citazione riferita dal verbo di Dio, Cristo:
"Io sono la _verità_, la via, la vita".
>
> Ed ancora: le verità matematiche sono state prodotte dalla volontà di
> Dio, oppure gli preesistevano in modo tale che Egli non poteva farne
> delle altre diverse?
Non esistono verità matematiche, ma la verità -> che in parte è
espressa, *per approssimazione*, per esempio nella matematica, ossia
nella rappresentazione simbolico/semiotica di enunciati raggiunti per
studio di ciò che sia vero o falso.
La modalità matematica di espressione non è mai vera o falsa in
assoluto, ma solo nel modello, specificato cosa il modello renda
astratto per poter trascurare quantità di informazione che invece, nel
reale, non può essere trascurata per onore al vero, se non si vuole
raggiungere un compromesso ritenuto tollerabile in scienza e coscienza
(per esempio nell'ingegneria, che si pone il problema etico di
salvaguardare la salute di chi sale su un ponte o usa un fabbricato,
etc).
Saluti,
L
> Benissimo - e questa era appunto l'osservazione alla quale mi riferivo,
> quando dicevo che <<In ogni caso, se pure ammettiamo che un enunciato
> risulta inconfutabile *solo* rispetto ad un determinato contesto di
> senso[...]>>. Ma che cosa abbiamo ottenuto? Abbiamo ottenuto che:
>
> 1. intanto dobbiamo specificare il contesto interpretativo cui l'enunciato
> deve essere vincolato per risultare infalsificabile, cioè esprimente una
> proposizione necessariamente vera. Ma questo lo possiamo fare *solo* usando
> altre parole - nuovamente interpretabili. Oppure usando locuzioni
> "tattiche" quale quella da te usata: <<con il significato già
> prestabilito>>.
In che senso "dobbiamo"?
Quando abbiamo iniziato ad imparare a parlare nessuno ci ha specificato "a
parole" quale fosse il contesto interpretativo delle parole che imparavamo ad
usare. Perchè ora pretendiamo di dover dare questo tipo di specificazione? Se
fosse così necessaria non avremmo mai potuto imparare a parlare.
> 2. *qualunque* enunciato che sia vincolato ad un contesto interpretativo
> che gli consente di esprimere una proposizione vera, viene così ad essere,
> in quanto vincolato a quel contesto, un enunciato infalsificabile. *Non è
> infatti possibile* falsificare l'enunciato "questa mela è rossa", *nel*
> contesto interpretativo che verifica tale enunciato.
A meno di non intervenire direttamente sulla mela.
> 3. l'insaturabilità del senso degli enunciati - cioè la loro irriducibile
> interpretabilità (la loro ineliminabile appartenenza alla interpretatività)
> implica, in riferimento al problema della esistenza di enunciati
> infalsificabili, l'eliminazione del rapporto privilegiato che una
> determinata classe di enunciati (di volta in volta chiamati "razionali",
> "analitici" etc.) intrattiene con la verità: quel rapporto privilegiato
> consistente nella "verità necessaria", cioè nella "infalsificabilità". Se
> l'enunciato "la somma degli angoli unteri di un triangolo è uguale ad un
> angolo piatto" è infalsificabile una volta che i termini che compaiono in
> esso siano stati opportunamente interpretati, lo stesso vale per
> l'enunciato "questa mela è rossa".
Certo, una differenza comunque c'è: le verità "analitiche" non necessitano
(in linea di principio) di "esperienze sensibili" per essere verificate o
falsificate.
>La matematica è una scienza astratta, in cui le varie asserzioni sono
>dipendenti l'una dall'altra attraverso dei ragionamenti che obbediscono alle
>leggi della logica. La logica è una categoria della mente umana (forse mi
>esprimo male, ma credo che tutti i lettori possano capire quello che ho in
>mente).
>Se Dio è creatore, insieme agli uomini ha creato anche la logica. Avrebbe
>potuto creare uomini diversi da come siamo noi, in particolare forniti di
>categorie mentali diverse, cioè di una logica diversa. La matematica di
>questi uomini sarebbe stata diversa dalla nostra.
Sono d'accordo. Aggiungo che proprio la definizione di Dio come
entità onnipotente implica il fatto che non può avere limiti nel suo
potere creativo. Quindi le verità matematiche dal punto di vista di
Dio sono relative.
>Io non voglio porre limiti a Dio, ma penso che sia riduttivo immaginarlo
>come un bambino capriccioso, che, mentre costruisce col lego una bella e
>complessa composizione, ogni tanto ha un raptus distruttivo e la sfascia. Ha
>creato il mondo, e, come dice la Bibbia, vide che era cosa buona. Il mondo
>non è fatto per essere immutabile, quindi fa parte della bontà del mondo il
>suo divenire, in particolare quel divenire prodotto dall'attività umana
>guidata dal libero arbitrio. Perciò penso che il divenire sia il risultato
>congiunto di leggi fisiche stabili e di un'attività libera e mutevole degli
>uomini.
>Forse ho girato intorno alla tua domanda senza rispondere. Ci provo.
>Creando una logica diversa, potrebbe contraddire le verità matematiche.
Sono d'accordo. Tuttavia rimane il problema del perché le verità
matematiche ci appaiono necessarie: azzardo una ipotesi, cioè è la
libera volontà divina, che impone tali verità, che a noi appare come
una necessità oggettiva.
>Penso che niente gli preesistesse. In particolare penso che le verità
>matematiche non preesistessero neanche al mondo.
D'accordo.
>Supponi di avere un aeroporto proprio sull'equatore, con una pista diretta
>esattamente verso il Polo Nord. Tu parti con un aereo in direzione del Polo
>e vai sempre diritto con la bussola che punta esattamente verso il Nord.
>Quando arrivi al Polo fai una brusca virata di 90 gradi a destra, e a quel
>punto ti trovi con il Nord in coda all'aereo, per cui stai andando
>esattamente verso Sud. Continui ad andare verso Sud, dunque sempre diritto,
>finché non raggiungi nuovamente l'equatore, e a quel punto fai di nuovo una
>brusca virata di 90 gradi verso destra. Ora tu stai andando verso Ovest, e
>continui ad andare verso Ovest, dunque sempre diritto, fino a quando non
>arrivi all'aeroposto da cui sei partito (certo che ne avevi di benzina!).
>Arrivato all'aeroporto ti rendi conto che per atterrare sulla pista da cui
>sei partito devi virare di nuovo di 90 gradi. Fatta la virata atterri e ti
>ritrovi di nuovo nella posizione di partenza.
>Così facendo hai percorso tre curve diritte, ognuna delle quali forma degli
>angoli di 90 gradi con le altre due. Dunque il tuo percorso è costituito da
>tre segmenti diritti con tre angoli interni di 90 gradi, per un totale di
>270 gradi.
>Ogni parola che pronunci può essere reinterpretata illimitatamente.
>Tu dici "triangolo" e io ti chiedo una definzione di "triangolo". A quel
>punto se hai parlato di "rette" e mi hai spiegato che le "rette" sono curve
>"diritte", io ti tiro fuori l'aereo che va sempre "diritto" e che percorre
>un "triangolo" con 270 gradi di angoli interni.
Il tuo ragionamento è esatto, ma forse mi sono espresso in modo
impreciso: infatti parlavo di un triangolo posto in un piano euclideo,
mentre tu parli di un triangolo posto su una sfera: infatti le
geometrie non euclidee hanno dimostrato che un triangolo posto su una
sfera ha sempre la somma degli angoli interni superiore a 180 gradi,
invece non mi pare che qualcuno abbia confutato il fatto che nel piano
euclideo la somma degli angoli interni di un triangolo sia uguale a 180
gradi.
>In definitiva, quei due modi opposti di determinare la relazione tra Dio e
>le verità razionali, si fondano entrambi sulla identità di Dio. Per Leibniz,
>le verità razionali sono l'<<oggetto interno>> dell'Intelletto divino, il
>quale è la <<regione delle verità eterne>> ["Monadologia", prop. 43; cit.];
>le verità razionali hanno dunque un rapporto privilegiato con l'identità di
>Dio (ma poi Leibniz ricava dalla esistenza delle verità razionali una
>dimostrazione dell'esistenza di Dio). Per Cartesio, invece, Dio non potrebbe
>essere se stesso, se le verità razionali precedessero, come contenuti
>intellettuali, la volontà divina. Ovvero, Dio non sarebbe se stesso, se la
>volontà divina si fosse dovuta *adeguare* alla conoscenza intellettuale
>della verità necessaria di quei certi contenuti. Non può venire "prima" la
>conoscenza intellettuale, da parte di Dio, di quelle verità, e "poi" l'atto
>della volontà divina che le ha assunte - e qui "prima" e "dopo" si
>riferiscono ad una qualsiasi relazione d'ordine (logica, cronologica etc.).
>La possiamo mettere così: non può esistere, per Cartesio, una relazione
>d'ordine che faccia sì che la conoscenza intellettuale divina delle verità
>razionali stia "prima" dell'atto volitivo divino che le ha assunte.
Credo che la posizione cartesiana sia più adeguata: infatti credo che
non si possa distinguere tra intelletto e volontà divina, perché ciò
sarebbe attribuire delle distinzioni umane ad una entità trascendente.
Infatti solo noi uomini possiamo sentire una conflitto tra intelletto e
volontà, invece la divinità non avrebbe tale limite.
>Se zanzara76 si chiede se si può far sì che la somma degli angoli interni di
>un triangolo sia diversa da 180 non si sta domandando se c'è un modo per
>rendere la frase (come insieme di simboli) vera, ma sta parlando di
>"triangoli" e "angoli" con il significato già prestabilito. Lui chiede se si
>può realizzare una certa cosa con *quegli oggetti lì* denotati da quelle
>parole, non con le parole.
Intendevo proprio questo.
>Non esistono verità matematiche, ma la verità -> che in parte è
>espressa, *per approssimazione*, per esempio nella matematica, ossia
>nella rappresentazione simbolico/semiotica di enunciati raggiunti per
>studio di ciò che sia vero o falso.
>La modalità matematica di espressione non è mai vera o falsa in
>assoluto, ma solo nel modello, specificato cosa il modello renda
>astratto per poter trascurare quantità di informazione che invece, nel
>reale, non può essere trascurata per onore al vero, se non si vuole
>raggiungere un compromesso ritenuto tollerabile in scienza e coscienza
>(per esempio nell'ingegneria, che si pone il problema etico di
>salvaguardare la salute di chi sale su un ponte o usa un fabbricato,
>etc).
Certamente la matematica è un modello astratto che rappresenta in modo
riduttivo la realtà, tuttavia una volta che si sono presi gli enti
matematici astratti ciò che viene dimostrato a loro riguardo è una
affermazione necessaria. Ad esempio la logica formale astrae dai
contenuti semantici, ma studia la sintassi delle proposizioni: in tal
caso ciò che viene dimostrato vale sempre, in modo indipendente dal
contesto semantico; in tal modo io lo intendo come verità
inconfutabile.
1-Non sono d'accordo a definire Dio "il tutto".
2-Non sono d'accordo che sia un sovrainsieme degli spazi di astrazione e del
reale.
3-Non sono d'accordo che Dio sia "il maggiore", nel senso che possieda tutte
le qualità nel grado massimo possibile e pensabile.
Perdonami la presunzione, di cui indubbiamente sto dando prova, perché in
questo modo sostengo che fior di filosofi hanno sbagliato e anche di grosso.
Comunque provo a spiegare perché.
Prendiamo il punto 3-. In forza dell'assunto che io contesto, si dice
comunemente che Dio è Sommo Bene. Allora io chiedo: che cos'è il bene?
Per l'uomo il bene (morale, da non confondere col bene economico) consiste
nell'osservanza della legge morale; quindi per esempio nel rispetto, per i
cristiani, dei dieci comandamenti, quindi, in particolare, nel non rubare e
non desiderare la donna d'altri.
Ma che cosa può significare per Dio non rubare e non desiderare la donna
d'altri? Sono cose che per lui non hanno significato. Insomma possiamo
chiamarlo Sommo Bene a condizione di precisare che il Bene, per lui,
consiste in una cosa diversa dal bene per noi.
Questa considerazione si può generalizzare. Se esiste il bene per noi, che
non è bene per Dio, significa che possono esistere cose al di fuori di Dio,
separate da lui. Come ho enunciato sopra al punto 1-.
Ultima considerazione. Noi attribuiamo a Dio due qualifiche: di essere
creatore e provvidente. Se ci ha creati liberi e dotati di pensiero,
significa che noi possiamo agire, modificando il creato, e fare astrazioni,
creando la matematica. Insomma la matematica e il divenire del creato sono
"creazioni" nostre.
Naturalmente, poiché Dio è provvidente, è lui che ci ha dato gli strumenti
con cui facciamo le nostre creazioni. Chi crede può anche riconoscere Dio
nelle nostre creazioni, ma non è affatto necessario pensare che esse siano
in Dio, siano un sottoinsieme di lui.
Ho lanciato un sacco di idee e spunti, in maniera forse disordinata e
confusa.
Forse ci vuole l'intervento di uno dei più esperti del ng, per mettervi un
po' di ordine, e enuclearne, se c'è, qualcosa di buono.
> Il tuo ragionamento è esatto, ma forse mi sono espresso in modo
> impreciso: infatti parlavo di un triangolo posto in un piano euclideo...
Se parlavi di un triangolo posto in un piano euclideo, allora mi dovresti
dire che cos'è un piano euclideo. Ora, a me risulta che un piano eucideo sia
propio - per definizione - un piano in cui i triangoli hanno la somma degli
angoli interni pari a 180 gradi.
Quindi la tua domanda è: «Se Dio crea un piano in cui la somma degli
angoli interni di un triangolo *è* pari a 180 gradi, Egli è poi libero di
decidere che proprio in quel piano lì la somma degli angoli interni di un
triangono *non è* pari a 180 gradi?»
Dunque la domanda è sempre quella (fai merenda con girella): «Può Dio fare
sì che la stessa cosa *sia e non sia* allo stesso tempo?»
A questo punto su quel "fare sì" scatta la distinzione che faceva Marco fra
l'intelletto e la volontà di Dio, poiché dobbiamo chiederci se l'intelletto
di Dio possa pensare una contraddizione, e se decidiamo che ciò non è
possibile, dobbiamo chiederci se l'intelletto di Dio possa vincolare la
volontà di Dio a non volere ciò che essa non può pensare. E se ora
diciamo che non ci possono essere limiti alla volontà di Dio, allora
dobbiamo capire come sia possibile che la volontà di Dio voglia e possa ciò
che l'intelletto di Dio non può pensare. Grossi domandoni.
Per risolvere tutti questi problemi dobbiamo disporre di definizioni
rigorose di "intelletto", "volontà", eccetera, e queste definizioni devono
essere talmente universali da poter essere applicate come caso particolare
anche a Dio. Ma è possibile avere una specie X tale che "X di Dio" sia un
elemento individuale di quella specie? E' possibile, ad esempio, definire
"intelletto" in modo tale che anche "intelletto di Dio" cada nella nostra
definizione come caso particolare? Per rispondere a questa domanda dovremmo
avere una definizione rigorosa di "specie" e di "individuo", sempre ammesso
che la faccenda possa essere impostata in questi temini così aristotelici.
E così si può procedere all'infinito, perché - come dicevamo - ogni termine
può essere reinterpretato illimitatamente, e a seconda delle interpretazioni
si può dimostrare tutto e il contrario di tutto.
E non è nemmeno il caso di dire che noi normalmente non ci mettiamo a
spaccare il capello in quattro su ogni termine, ma in qualche modo riusciamo
a capirci. Già, riusciamo a capirci perché abbiamo delle esperienze
condivise per le quali possiamo ben sperare di usare gli stessi termini, ma
come si fa a parlare di "intelletto di Dio" appellandosi alla nozione comune
e intuitiva di "intelletto" e senza mettersi a spaccare il capello in
quattro, visto che si tratta di un concetto-limite del tutto estraneo alla
nostra esperienza?
Quando i fisici discutevano dei corpi stellari parlando "intuitivamente" di
solidi e liquidi, saltavano sempre fuori delle assurdità, perché quei
dannati aggeggi si comportavano in modo strano sia per essere dei solidi sia
per essere dei liquidi. Allora i fisici hanno dovuto fermarsi e chiedersi:
«Un attimo, ma cosa è esattamente un "solido"? E cosa è un "liquido"?»
E quando si sono posti questa domanda hanno capito che una stella non poteva
essere né "solida" né "liquida", ma doveva essere qualcos'altro, e questo
qualcos'altro lo hanno chiamato "plasma". Ora, secondo te un fulmine è
"solido" o "liquido"? E quello di Dio è un "inteletto" o una pura "volontà"?
Dunque non è per fare dei sofismi che si decide di fermarsi a riflettere
bene su cosa si debba intendere per "intelletto di Dio".
Nel caso delle stelle le cose sono andate a buon fine, perché facendo le
varie ipotesi si ricavano varie conseguenze, e fra le varie conseguenze
logiche ce ne erano alcune compatibili e altre incompatibili con certi
risultati sperimentali, per cui si sono scelte le ipotesi che implicavano
delle conseguenze compatibili. Ma d'altra parte il fatto stesso che una
affermazione sia compatibile o meno con una osservazione sperimentale è
frutto di una interpretazione, perché già solo per dire «il termometro segna
37 gradi» tu devi avere alle spalle un putiferio di costrutti teorici
ampiamente arbitrari che ti porti dietro solo fino a quando ti sembra che ti
vegano utili, sacrificando ad essi gli altri costrutti teorici che di volta
in volta entrano in conflitto con i primi, sebbene non te l'abbia ordinato
il Dottore di tenere i primi a scapito dei secondi.
Dunque torniamo daccapo alla faccenda delle interpretazioni.
Alla fine sul cuore della Terra resta la sola volontà,
trafitta da un raggio di sole.
In un altro thread si diceva che alcuni filosofi sono tornati alla "saggezza
aristotelica" dopo aver scoperto che la pura razionalità non è in grado di
dirci che cosa sia bene e male. Ma questo è un trucco per nascondere dentro
la parola "saggezza" il fatto che ognuno di noi crede di poter riconoscere
chi è davvero un "uomo di buona volontà", quando in realtà questa
espressione è radicalmente legata alle nostre consuetudini e a ciò che ci
hanno insegnato. Così tornare a Aristotele perché delusi dalla "ragion pura"
è un doppio errore: fu un errore quando si pensò di poter scrivere un
teorema che ci permettesse di andare dagli altri a dire loro cosa dovevano
pensare e cosa dovevano volere; e fu un errore quando poi ci si rese conto
che non avremmo potuto usare i teoremi per contrallare la volontà altrui, e
allora si pensò di recuperare il "sano senso comune" di aristotelica
memoria.
E tutto questo mentre in tutto il mondo ogni giorno salta fuori qualcuno che
si recinta il suo pezzo di terra e appende il suo cartello «Attenti, ché
sparo», con la famosa comunità internazionale che prima comincia a gridare
al criminale che usurpa i diritti legittimi di qualcun altro, e poi - se
dopo qualche annetto quello è ancora lì e nel frattempo magari ha anche
cominciato a produrre un bene di cui gli altri hanno bisogno - la suddetta
comunità internazionale scopre che a pensarci meglio quello lì
effettivamente era legittimato a occupare quel territorio (anche perché
magari quello che c'era prima nel frattempo è scomparso).
Dunque viviamo in una realtà in cui l'unica cosa che appare assolutamente
concreta è il fatto che di fronte a te si presenta continuamente qualche
altra volontà a dire: «Io voglio questo», dopodiché tu sei chiamato a
misurare la forza di quella volontà e la tua, e questa - dicevo - è l'unica
cosa che appare assolutamente evidente e concreta, eppure a quanto pare si
può dire qualunque cosa, formulare qualunque teoria e qualunque
interpretazione del mondo, parlare dei solidi e dei plasmi e del Big Bang e
scrivere dei libri di etica e di diritto grossi così per cercare di capire
come si possa fare per ricavare anche una sola prescrizione da qualche
principio uninversale, e c'è persino chi è disposto a fare avanti e indietro
fra Aristotele e Wittgenstein continuamente deluso perché non trova la
pietra filosofale, ecco, si può fare qualunque cosa tranne trarre l'unica
deduzione che appare assai più evidente di un paletto nei denti.
Anzi, preciso: l'unica deduzione che *a una certa volontà* appare assai più
evidente di un paletto nei denti, ma che a quanto pare ad altre volontà
appare tanto poco evidente quanto poco desiderabile, tant'è che queste altre
volontà possono usare proprio l'illimitata interpretabilità di ogni parola
per pensare che il mondo sia fatto come esse vogliono che sia fatto.
Il linguaggio - che come ci insegna Eco è quella cosa che serve per
mentire - è talmente elastico che ognuno può tirarlo dalla sua parte per
coprirsi fino al collo e stare al caldino, ché là fuori fa un freddo boia.
--
Saluti.
D.
Non ha ragione di porsi. Le verità matematiche sono tautologie. Quindi Dio
può dedicarsi ad altro, magari a sostentare le leggi fisiche.
> Ovvero anche Egli sarebbe vincolato al rispetto di tali verità, oppure
> potrebbe contraddirle?
Dipende da dove è andato a scuola.
Se è sceso tra di noi per affrontare il martirio per la nostra salvezza, e
quindi ha frequentato la scuola nostrana ai giorni nostri, potrebbe anche
contraddirle :-)
Scusa, non volevo prenderti in giro. Mi è venuta così pensando a diplomandi
che naufragano gloriosamente in un'equazione di primo grado.
> Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
> diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità e
> neanche Egli potrebbe violarle?
Dovrebbe volere che le tautologie non siano tautologie. Dopodiché se
qualcuno dicesse che Lui non è Lui, Dio non avrebbe di che scagliare fulmini
su chi lo ha detto.
> Ed ancora: le verità matematiche sono state prodotte dalla volontà di
> Dio, oppure gli preesistevano in modo tale che Egli non poteva farne
> delle altre diverse?
Nel momento in cui una cosa è quello che è (e Dio ha fatto le cose in modo
che siano quello che sono), Dio è contento così.
Credimi.
Ciao.
qf
> Nel momento in cui una cosa è quello che è (e Dio ha fatto le cose in modo
> che siano quello che sono), Dio è contento così.
Ma allora, visto che ciascuna cosa è sempre ciò che essa è, Dio è *sempre*
contento? (gettonatissima domandina da un milione di euro:-)).
Un saluto,
Marco
> In che senso "dobbiamo"?
> Quando abbiamo iniziato ad imparare a parlare nessuno ci ha specificato "a
> parole" quale fosse il contesto interpretativo delle parole che imparavamo
> ad usare. Perchè ora pretendiamo di dover dare questo tipo di
> specificazione? Se fosse così necessaria non avremmo mai potuto imparare a
> parlare.
Sì, sono d'accordo che l'uso del linguaggio comune non richiede affatto la
specificazione del contesto interpretativo. Ma dal punto di vista logico le
cose stanno in modo differente. Noi diciamo che l'enunciato E è
infalsificabile. Ma noi sappiamo che E è sempre interpretabile, cioè può
esprimere proposizioni differenti. E infine affermiamo che E, mediante una
opportuna interpretazione, può sempre essere falsificato. A questo punto,
per tentare di far tornare i conti, dovremo vincolare E ad un determinato
contesto interpretativo e dire, ad esempio, che interpretando "triangolo" e
"angolo" come i nomi che denotano quegli oggetti descritti dalla geometria
piana euclidea etc., l'enunciato "la somma degli angoli interni etc."
esprime una verità necessaria, nel senso che non è possibile falsificarlo
mediante l'esibizione o la costruzione di un triangolo la somma dei cui
angoli interni non sia etc. e questo, perché noi, preso un qualunque
triangolo, siamo in grado di dare luogo ad un procedimento dimostrativo la
cui conclusione asserisce che il qualunque triangolo è tale che la somma dei
suoi angoli interni è etc. [ovviamente, come ha in sostanza ricordato
Davide e come sai, questo procedimento dimostrativo richiede come premessa
il quinto postulato di Euclide; il quale a sua volta, è dimostrabile avendo
assunto come premessa la proposizione sugli angoli interni dei triangoli,
della quale stiamo discutendo].
Tu in sostanza hai richiamato la differenza tra "far esprimere
(attraverso una opportuna interpretazione) una proposizione falsa ad un
enunciato" e "falsificare la proposizione espressa dall'enunciato
all'interno di un certa interpretazione". Questa differenza è assolutamente
corretta. Ma la sua considerazione non ci consente di sottrarci al problema
dell'interpretatività degli enunciati.
> A meno di non intervenire direttamente sulla mela.
Ma gettandoci sopra della vernice blu, e dunque intervendo sulla realtà
extralinguistica, non si tratterebbe più di "questa" mela. Si tratterebbe di
una mela differente. E questa differenza sarebbe la stessa variazione del
contesto interpretativo, in quanto implicante una nuova interpretazione del
termine indessicale "questa".
> Certo, una differenza comunque c'è: le verità "analitiche" non necessitano
> (in linea di principio) di "esperienze sensibili" per essere verificate o
> falsificate.
Già, ma qui il problema viene a riguardare il significato di "esperienza
sensibile". La dimostrazione di quella proposizione sui triangoli della
geometria piana euclidea (essendo la dimostrazione, la verificazione stessa
della proposizione dimostrata) necessita o no, in linea di principio, di un
"modello mentale"? (e l'uso delle virgolette indica proprio la
problematicità delle espressioni virgolettate). Se sì, siamo già costretti
ad interrogarci sulla differenza tra "modello mentale" ed "esperienza
sensibile".
Saluti,
Marco
Il piano euclideo si definisce come quello in cui vige il postulato
dell'unicità della parallela. Che gli angoli di un triangolo abbiano somma
di 180° è una conseguenza che si dimostra.
> Vorrei porre delle domande: constatato che ci sono delle verità
> matematiche inconfutabili (ad esempio che in un triangolo, contenuto in
> un piano, la somma degli angoli interni è di 180 gradi, oppure che
> 2+2=4),
Inconfutabili se .. l'angolo giro è stato posto uguale a 360° e se
siamo in un sistema posizionale a base > 4.
> come si pone Dio rispetto ad esse?
Le osserva e le rispetta, per primo.
> Ovvero anche Egli sarebbe vincolato al rispetto di tali verità, oppure
> potrebbe contraddirle?
Risp. sì e no.
> Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
> diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità
Nelle ipotesi dette .. no, no e sì .. perchè non vuole smentirsi. Fatica
già tanto così a far credere che esiste, figurati se incominciasse anche
a mostrarsi illogico su cose del genere!
> e neanche Egli potrebbe violarle?
Non può e non vuole, per non contraddirsi ed indurre confusione. Ciò
vale del resto anche per le leggi fisiche, come è detto chiaramente
nella Lettera agli Ebrei, ove - parlando cripticamente delle congiun-
zioni Giove-Saturno, il cui regolare ritorno era allora visto come
conferma di predilezione e promessa mantenuta - si dice:
".. Per questo Dio, volendo mostrare con mggiore certezza agli eredi
della promessa l'immutabilità della sua risoluzione, si fece garante
con un giuramento, affinchè per mezzo di due cose immutabili, nelle
quali è impossibile che Dio mentisca, abbiamo un grande incoraggia-
mento noi che .." (Ebr 6, 16-20)
Le due cose immutabili di cui si parlava in questo testo, congiun-
gendo le quali era come se Dio giurasse, senza poter mentire, erano
[imho] i pianeti Giove e Saturno, con tutte le loro immutabili
caratteristiche cinematico-dinamiche.
> Ed ancora: le verità matematiche sono state prodotte dalla volontà di
> Dio, oppure gli preesistevano in modo tale che Egli non poteva farne
> delle altre diverse?
Beh .. anche ammettendo che avesse un'unica scelta, un Dio (intelligente)
cercherebbe comunque di non mostrarlo, per non indurre dubbi nelle crea-
ture.
bye
Giuseppe
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questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
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> Il piano euclideo si definisce come quello in cui vige il postulato
> dell'unicità della parallela. Che gli angoli di un triangolo abbiano somma
> di 180° è una conseguenza che si dimostra.
Certo, si dimostra. Ma credo si dimostri anche che la proposizione "la somma
degli angoli interni di un triangolo è uguale ad un angolo piatto" (sia S)
implica logicamente il postulato (sia P) dell'unicità della parallela.
Abbiamo dunque che P=>S e S=>P. Ovvero, P è vera se e solo se S è vera.
Questa equivalenza tra S e P, però, non autorizza a considerare
interscambiabili la definizione D1 "il piano euclideo è quello in cui P è
vera" e la definizione D2 "il piano euclideo è quello in cui S è vera".
Un saluto,
Marco
> 1-Non sono d'accordo a definire Dio "il tutto".
> 2-Non sono d'accordo che sia un sovrainsieme degli spazi di astrazione e
> del
> reale.
> 3-Non sono d'accordo che Dio sia "il maggiore", nel senso che possieda
> tutte
> le qualità nel grado massimo possibile e pensabile.
>
> Perdonami la presunzione, di cui indubbiamente sto dando prova, perché in
> questo modo sostengo che fior di filosofi hanno sbagliato e anche di
> grosso.
> Comunque provo a spiegare perché.
>
> Prendiamo il punto 3-. In forza dell'assunto che io contesto, si dice
> comunemente che Dio è Sommo Bene. Allora io chiedo: che cos'è il bene?
> Per l'uomo il bene (morale, da non confondere col bene economico) consiste
> nell'osservanza della legge morale; quindi per esempio nel rispetto, per i
> cristiani, dei dieci comandamenti, quindi, in particolare, nel non rubare
> e
> non desiderare la donna d'altri.
> Ma che cosa può significare per Dio non rubare e non desiderare la donna
> d'altri? Sono cose che per lui non hanno significato. Insomma possiamo
> chiamarlo Sommo Bene a condizione di precisare che il Bene, per lui,
> consiste in una cosa diversa dal bene per noi.
Certo, affinché un comandamento quale "non desiderare la donna d'altri"
abbia *senso*, è necessario che abbia senso che il destinatario del
comandamento desideri la donna d'altri. Nel caso di Dio (sempre che non si
stia parlando di quel simpaticone di Zeus:-)), questa condizione di
sensatezza - diciamolo pure - viene meno.
Tuttavia (e riprenderò più sotto questa affermazione) non solo occorre
osservare che la proposizione "è bene che l'uomo non desideri la donna
d'altri" ha validità - sebbene per ragioni differenti - tanto per Dio quanto
per l'uomo. Ma occorre non farsi sfuggire che l'affermazione "Dio è il Sommo
Bene" asserisce l'*identità* tra Dio ed il Sommo Bene, e non ha dunque a che
fare con ciò che è bene "per" Dio. Non si può cioè mettere in relazione
quella affermazione con il fatto che il Bene, "per" Dio, consiste in una
cosa differente dal bene per noi perché ciò che è bene per noi (il non
desiderare la donna d'altri etc.) non è definito per Dio. Una delle ragioni
che la teologia adduce come base per quella affermazione, è che Dio è il
fondamento di tutto ciò che è bene per l'uomo - e una cosa che è a
fondamento di tutto ciò che è bene per l'uomo, è bene in modo eminente.
> Questa considerazione si può generalizzare. Se esiste il bene per noi, che
> non è bene per Dio,
Qui farei valere la considerazione svolta sopra. C'è un senso in cui ciò che
è bene per noi è bene anche per Dio: la proposizione "è bene che l'uomo non
desideri la donna d'altri" è valida tanto per Dio quanto per l'uomo - il che
significa questo: che l'uomo non desideri la donna d'altra, è bene tanto per
l'uomo quanto per Dio. Ciò accade perchè il contenuto del bene non è preso
come quella particolare cosa (il non desiderare la donna d'altra) che non è
definita per Dio, ma è preso nella forma della relazione tra l'uomo ed il
bene per l'uomo.
>significa che possono esistere cose al di fuori di Dio,
> separate da lui.
Secondo me questa tua particolare deduzione della separatezza tra Dio ed il
mondo (o porzioni di mondo) non funziona.
Occorrerebbe negare che Dio sia il "fondamento della realtà". Non poter
esistere fuori da Dio, significa, per la teologia, che nessuna cosa può
esistere separatamente dal nesso con il suo fondamento. (e le cose, infatti,
per la teologia si annientano storicamente, perdendo così il loro nesso con
l'essere, ma vengono "conservate in Dio").
Un saluto,
Marco
La zanzara 76 wrote:
> Certamente la matematica è un modello astratto che rappresenta in modo
> riduttivo la realtà, tuttavia una volta che si sono presi gli enti
> matematici astratti ciò che viene dimostrato a loro riguardo è una
> affermazione necessaria. Ad esempio la logica formale astrae dai
> contenuti semantici, ma studia la sintassi delle proposizioni: in tal
> caso ciò che viene dimostrato vale sempre, in modo indipendente dal
> contesto semantico; in tal modo io lo intendo come verità
> inconfutabile.
Dimostrami nel reale una qualche misura che sia vera per sempre.
Se puoi farlo hai espresso -nel reale- una verità inconfutabile.
Ma poiché ciò non è possibile, (se non introducendo un delta di errore,
che magari sarà noto -per il carattere autocorrettivo della scienza-
solo -per esempio- tra 100 anni) ne segue che le verità dei modelli sono
astrazioni utili per gestire in modo semplificato il reale.
cvd.
Saluti,
L
Luciano wrote:
>
> 1-Non sono d'accordo a definire Dio "il tutto".
> 2-Non sono d'accordo che sia un sovrainsieme degli spazi di astrazione e del
> reale.
> 3-Non sono d'accordo che Dio sia "il maggiore", nel senso che possieda tutte
> le qualità nel grado massimo possibile e pensabile.
>
> Perdonami la presunzione, di cui indubbiamente sto dando prova, perché in
> questo modo sostengo che fior di filosofi hanno sbagliato e anche di grosso.
> Comunque provo a spiegare perché.
>
> Prendiamo il punto 3-. In forza dell'assunto che io contesto, si dice
> comunemente che Dio è Sommo Bene. Allora io chiedo: che cos'è il bene?
> Per l'uomo il bene (morale, da non confondere col bene economico) consiste
> nell'osservanza della legge morale; quindi per esempio nel rispetto, per i
> cristiani, dei dieci comandamenti, quindi, in particolare, nel non rubare e
> non desiderare la donna d'altri.
Sei in errore.
Secondo lo stesso San Paolo -visto che stiamo esaminando il
Cristianesimo- l'uomo è "sopra la legge" e i comandamenti sono per chi
non ama Dio, ma -non amandolo- comunque non li osserva.
Noi -umani- non possiamo sapere quale sia un ente in assoluto.
Noi -umani- possiamo sforzarci di intuire, di cercare, di sapere, ma non
possediamo mai verità assolute (nel nostro attuale stato di limitazione
cognitiva).
> Ma che cosa può significare per Dio non rubare e non desiderare la donna
> d'altri? Sono cose che per lui non hanno significato. Insomma possiamo
> chiamarlo Sommo Bene a condizione di precisare che il Bene, per lui,
> consiste in una cosa diversa dal bene per noi.
Misceli due concetti:
1) personifichi la figura di Dio, mentre -nello stesso Cristo- non
avevamo Dio -> ma una sua manifestazione.
2) connoti Dio come "Sommo Bene" e pretendi di conoscere un metodo per
poter giungere "deduttivamente" a implicare Dio.
Viceversa, Dio, non risente del metodo deduttivista, per "collasso della
modalità di deduzione".
Si può dedurre -infatti- dal generale al particolare.
Ma non si può mettersi più in generale di Dio, quindi non è
investigabile -Dio- per deduzione.
E' investigabile per induzione.
Ossia congetturando dal particolare all'universale.
Tale tecnica non solo riconferma la omnipotenzia di Dio discendente dal
suo "non mancare di nulla", ma lo allude come "completa quantità di
informazione" e ne svela il concetto di *verità* in quanto nella
completezza del "tutto" -> non è trascurato proprio nulla -> da cui ->
*la verità* in senso _assoluto_(a-soluto, non diluito), (assoluto: non
miscelato con impurezze di errore a causa dell'avere trascurato
qualcosa, e quindi in questa luce andrebbe investigato l'attributo di
*purissimo*, che spesso è associato a Dio, per teofania).
>
> Questa considerazione si può generalizzare. Se esiste il bene per noi, che
> non è bene per Dio, significa che possono esistere cose al di fuori di Dio,
> separate da lui. Come ho enunciato sopra al punto 1-.
>
> Ultima considerazione. Noi attribuiamo a Dio due qualifiche: di essere
> creatore e provvidente. Se ci ha creati liberi e dotati di pensiero,
> significa che noi possiamo agire, modificando il creato, e fare astrazioni,
> creando la matematica. Insomma la matematica e il divenire del creato sono
> "creazioni" nostre.
Quindi _noi_ saremmo fuori di Dio?
: - )
Ti debbo contraddire:
Noi finché siamo, siamo in Dio, nell'ESSERE.
Il termine "creazioni nostre" ... andrebbe inteso che noi "completiamo"
Dio!
Ma nel generare il reale e portarlo dall'esistibile all'essente, noi
plasmiamo la nosta quota parte di ESSERE.
> Naturalmente, poiché Dio è provvidente, è lui che ci ha dato gli strumenti
> con cui facciamo le nostre creazioni. Chi crede può anche riconoscere Dio
> nelle nostre creazioni, ma non è affatto necessario pensare che esse siano
> in Dio, siano un sottoinsieme di lui.
Vi è un solo caso in cui si possa uscire da Dio, ( e quindi non esserne
un sottoinsieme), secondo le mie informazioni:
Accendendo al NULLA.
Infatti "Dio è", mentre il nulla -> "non è".
Ma per accedere al nulla bisogna desiderarlo finché dura la nostra
esperienza umana.
Non mi risulta che però sia una modalità che dia delle grosse
soddisfazioni.
E' una sindrome di nichilismo fino al distruttivismo dello stesso
equilibrio mentale, come Nietzsche insegna.
E io penso che si possa portare anche oltre: fino alla distruzione della
nostra "identità mistica", id.
Anziché id-ente-farci, identificarci, ci possiamo distruggere.
>
> Ho lanciato un sacco di idee e spunti, in maniera forse disordinata e
> confusa.
> Forse ci vuole l'intervento di uno dei più esperti del ng, per mettervi un
> po' di ordine, e enuclearne, se c'è, qualcosa di buono.
C'è molto di buono, secondo la mia opinione:
1) C'è di buono il fatto di porsi domande e non accontentarsi di
risposte che non ci risultino.
2) C'è di buono di non vergognarsi di parlare di un concetto -"Dio"- che
non padronegggiamo per antonomasia, ma che sentiamo dirimente per
questioni di teleologia.
3) C'è di buono che buchi l'indottrinamento di tipo catechismo e cominci
a pensare con la _tua_ capacità di porti, perché l'ESSERE ha bisogno di
te, proprio di te, visto che ci sei.
Saluti,
L
Assolutamente sì.
Del resto è noto che è persona... di spirito
(questa me la moderano per manifesta demenza :-))
Ciao
qf
>> Il tuo ragionamento è esatto, ma forse mi sono espresso in modo
>> impreciso: infatti parlavo di un triangolo posto in un piano euclideo...
>
> Se parlavi di un triangolo posto in un piano euclideo, allora mi dovresti
> dire che cos'è un piano euclideo.
Potremmo richiedere lo stesso di "triangolo", di "angolo" e degli ulteriori
termini che userà per definire i concetti che gli chiediamo di definire.
> Ora, a me risulta che un piano eucideo sia
> propio - per definizione - un piano in cui i triangoli hanno la somma degli
> angoli interni pari a 180 gradi.
Non so se attualemnte questa sia una "definizione" standard, ma in ogni caso
ai tempi di Euclide il nostro amico zanzara avrebbe potuto porre lo stesso
identico quesito - all'epoca avrebbe detto "piano" invece di "piano euclideo"
non essendoci problemi di ambiguità con le geometrie non euclidee - e nessuno
avrebbe potuto dirgli che la somma è 180 "per definizione".
> Assolutamente sì.
> Del resto è noto che è persona... di spirito
Bene. Sappiamo che le madri di una volta dicevano ai loro figli: "non fare
così, ché se no Gesù piange". Ora, potremmo dire che Gesù non è Dio, che
quello è solo un detto popolare etc. Ma come si fa, in generale, visto che
ciò che siamo venuti a dire è in sostanza che il contenuto unico di Dio è
l'inviolabile autoidentità di ogni cosa, a fondare un'etica su Dio, visto
che, ad esempio, un omicidio è un omicidio, una bugia è una bugia etc.?
Dobbiamo allora enunciare la contraddittorietà di ogni tentativo di fondare
l'etica su Dio?
Mi pare che, una volta che si sia assunti che l'unico contenuto di Dio è
l'inviolabile autoidentità di ogni cosa, l'unico modo per fondare l'etica
sopra Dio sia di conferire un senso etico (dunque prescrittivo) al principio
di identità: perfetta convertibilità di logica ed etica (l'obiettivo
filosofico di Severino, la cui filosofia è probabilmente il vertice
dell'idealismo logico). L'errore etico (ma anche l'errore etico è l'errore
etico), allora, verrà a consistere nel pensare qualcosa come differente da
sé - ed esso sarà possibile nella misura in cui è possibile pensare qualcosa
come differente da sé. Era qui, che volevo condurti;-).
Insomma, Dio si incazza solo se ci contraddiciamo. Ma anche l'incazzarsi di
Dio è l'incazzarsi di Dio (e dunque l'incazzarsi di Dio fa, in quanto unito
in questa relazione di autoidentità, la felicità e la contentezza di Dio).
Ed anche il contraddirsi è il contraddirsi: la negazione dell'identità è
identica a se stessa. Ma intanto, come concludeva Davide nel suo post, pare
proprio che là fuori faccia un freddo boia (ed anche la parvenza che faccia
un freddo boia è identica a se stessa): ed è subito sera (ma anche il fatto
che sia subito sera è identico a se stesso).
Un saluto,
Marco
> come si fa, in generale, visto che ciò che siamo venuti a dire è in
> sostanza che il contenuto unico di Dio è l'inviolabile autoidentità di
> ogni cosa, a fondare un'etica su Dio, visto che, ad esempio, un omicidio è
> un omicidio, una bugia è una bugia etc.? Dobbiamo allora enunciare la
> contraddittorietà di ogni tentativo di fondare l'etica su Dio?
Perché mai - se l'inviolabile autoidentità di ogni cosa è la verità - non si
dovrebbe poter fondare un'etica su questo?
La negazione, infatti, di tale autoidentità non potrebbe che essere
un'istanza di nulla, di non-esistenza - dunque il male essendo la negazione
di Dio stesso o della realtà per chi non ama parlare di Dio.
Non sta sempre forse il male nella negazione della verità? Non è il
principio stesso del diritto, visto che parliamo di etica?
> Mi pare che, una volta che si sia assunti che l'unico contenuto di Dio è
> l'inviolabile autoidentità di ogni cosa, l'unico modo per fondare l'etica
> sopra Dio sia di conferire un senso etico (dunque prescrittivo) al
> principio di identità:
"Non negherai che sia ciò che è."
Certo che è prescrittivo.
Mentire ha proprio la natura della negazione di ciò che è.
E mentire (ad altri, a se stessi) è radice di ogni male.
(Non dire falsa testimonianza.)
E' introdurre nella realtà dell'essente l'istanza del nulla.
In ciò è l'istanza di annichilazione di Dio stesso o della realtà stessa per
chi non ami parlare di Dio.
> L'errore etico (ma anche l'errore etico è l'errore etico), allora, verrà a
> consistere nel pensare qualcosa come differente da sé - ed esso sarà
> possibile nella misura in cui è possibile pensare qualcosa come differente
> da sé. Era qui, che volevo condurti;-).
Certamente. Errore etico è pensare/affermare che qualcosa non è ciò che è.
> Insomma, Dio si incazza solo se ci contraddiciamo.
Non ha ragione di farlo, perché chi è in errore è in errore, e dunque si sta
spingendo da sé nel nulla: aspira al nulla, e vi tende sotto forma di
distruzione dal momento che il nulla non può essere.
Molti altri - dirai tu - cadono nel risucchio del nulla che costui tenta di
creare intorno a sé. E questo può apparire ingiusto, ma, seppure
dolorosamente, non lo è, perché l'affermazione del nulla non è isolata, ma
ne è sempre responsabile un'intera cultura: è un intero corpo sociale a
essere malato di aspirazione al nulla. Chi lavora in una fabbrica di
ghiaccio, pur non essendone direttamente responsabile, non può non avvertire
freddo.
> Ma anche l'incazzarsi di Dio è l'incazzarsi di Dio (e dunque l'incazzarsi
> di Dio fa, in quanto unito in questa relazione di autoidentità, la
> felicità e la contentezza di Dio).
Quando cce vo' cce vo', come si dice, e una bella strigliata a chi ha
meticolosamente cercato di costruire il nulla ci vorrebbe.
Ma in realtà non ce n'è bisogno. Come dico sempre, la realtà è tale che chi
inciampa cade, cioè i predicatori del nulla non avranno il nulla, dato che
il nulla non è, ma avranno il disastro che inevitabilmente l'aspirarvi
causa. Non può non essere così, per quanto tempo occorra affinché il
processo abbia una sua conclusione.
> Ed anche il contraddirsi è il contraddirsi: la negazione dell'identità è
> identica a se stessa.
Perciò i predicatori del nulla non hanno avvocati in giudizio. Non ci sono
neppure le attenuanti generiche.
> Ma intanto, come concludeva Davide nel suo post, pare proprio che là fuori
> faccia un freddo boia
<cit>
«Il linguaggio - che come ci insegna Eco è quella cosa che serve per
mentire - è talmente elastico che ognuno può tirarlo dalla sua parte per
coprirsi fino al collo e stare al caldino, ché là fuori fa un freddo boia.»
</cit>
Il linguaggio può essere elastico quanto si vuole, ma o dice il vero o dice
il falso riguardo alla realtà.
E se il falso si può dire in mille modi - essendo affermazione di nulla -
invece il vero si può dire in un modo solo, che è quello della
corrispondenza alla realtà, appunto.
Ma il freddo - là fuori - è appunto dove c'è il falso, non dove c'è il vero.
Cioè il vero non ha bisogno della sciarpina di menzogne per fingere di stare
al caldo. E' l'aspirazione al nulla a tenere freddo, come ovvio, anche con
addosso un materasso. (Ma, ripeto, stare accanto a chi ha i piedi o le mani
o la testa al freddo, e magari si tratta appunto di un'intera cultura, non
può non fare avvertire freddo agli altri, se non altro perché da qualche
parte ci sono legami affettivi - e comunque inevitabili relazioni - anche
nei confronti di chi spaccia il nulla.)
> ed è subito sera (ma anche il fatto che sia subito sera è identico a se
> stesso).
Per alcuni la sera non arriva abbastanza presto, per altri arriva troppo
presto.
Direi però che per ciascuno è l'una o l'altra cosa a seconda di quanto ha
freddo.
Di quanto cioè ha i piedi o le mani o la testa nel nulla: di quanto si è
compromesso con il nulla.
Ciao.
qf
Beh, neanche San Paolo ha mai detto che i buoni cristiani siano esentati
dall'osservare la legge morale. Lui stesso ci dà tante prescrizioni morali.
Credo che quando parla degli uomini "sopra la legge" non si riferisca alla
legge morale, quella che parla silenziosamente alla coscienza, ma alla legge
rituale ebraica; che è una cosa diversa, anche se spesso intrecciata alla
legge morale.
>
> Noi -umani- non possiamo sapere quale sia un ente in assoluto.
>
> Noi -umani- possiamo sforzarci di intuire, di cercare, di sapere, ma non
> possediamo mai verità assolute (nel nostro attuale stato di limitazione
> cognitiva).
D'accordo, credo di non aver mai detto il contrario.
>
> > Ma che cosa può significare per Dio non rubare e non desiderare la donna
> > d'altri? Sono cose che per lui non hanno significato. Insomma possiamo
> > chiamarlo Sommo Bene a condizione di precisare che il Bene, per lui,
> > consiste in una cosa diversa dal bene per noi.
>
> Misceli due concetti:
> 1) personifichi la figura di Dio, mentre -nello stesso Cristo- non
> avevamo Dio -> ma una sua manifestazione.
A dire il vero, tutto il pensiero cristiano "personifica" Dio. Quando
diciamo che Dio ama gli uomini, non è il massimo della personificazione?
> 2) connoti Dio come "Sommo Bene" e pretendi di conoscere un metodo per
> poter giungere "deduttivamente" a implicare Dio.
Qui hai equivocato. I teologi o alcuni filosofi chiamano Dio Sommo Bene. Io,
sostenendo l'inadeguatezza di questa definizione, ritengo errato connotarlo
con quell'appellativo.
E poi, perché chiamarlo Sommo Bene sarebbe un uso improprio del metodo
deduttivo?
>
> Viceversa, Dio, non risente del metodo deduttivista, per "collasso della
> modalità di deduzione".
>
> Si può dedurre -infatti- dal generale al particolare.
> Ma non si può mettersi più in generale di Dio, quindi non è
> investigabile -Dio- per deduzione.
>
> E' investigabile per induzione.
>
> Ossia congetturando dal particolare all'universale.
Chiamarlo Sommo Bene è un modo di investigare per induzione. Partendo dal
"bene particolare", si arriva a un concetto di Bene assoluto; è induzione
bella e buona.
>
> Tale tecnica non solo riconferma la omnipotenzia di Dio discendente dal
> suo "non mancare di nulla", ma lo allude come "completa quantità di
> informazione" e ne svela il concetto di *verità* in quanto nella
> completezza del "tutto" -> non è trascurato proprio nulla -> da cui ->
> *la verità* in senso _assoluto_(a-soluto, non diluito), (assoluto: non
> miscelato con impurezze di errore a causa dell'avere trascurato
> qualcosa, e quindi in questa luce andrebbe investigato l'attributo di
> *purissimo*, che spesso è associato a Dio, per teofania).
Qui sinceramente non ho capito.
> >
> > Questa considerazione si può generalizzare. Se esiste il bene per noi,
che
> > non è bene per Dio, significa che possono esistere cose al di fuori di
Dio,
> > separate da lui. Come ho enunciato sopra al punto 1-.
> >
> > Ultima considerazione. Noi attribuiamo a Dio due qualifiche: di essere
> > creatore e provvidente. Se ci ha creati liberi e dotati di pensiero,
> > significa che noi possiamo agire, modificando il creato, e fare
astrazioni,
> > creando la matematica. Insomma la matematica e il divenire del creato
sono
> > "creazioni" nostre.
>
> Quindi _noi_ saremmo fuori di Dio?
>
> Ti debbo contraddire:
>
> Noi finché siamo, siamo in Dio, nell'ESSERE.
Se concepisci Dio come "tutto", allora siamo necessariamente dentro Dio.
Poiché rifiuto questa concezione, posso tranquillamente sostenere, senza
contraddirmi, che siamo fuori di Dio, ovvero siamo cose diverse da Dio.
Credo che invece la tua posizione rischi di diventare contraddittoria. Se
Dio è tutto, è anche il male (morale) prodotto dagli uomini.
>
> Il termine "creazioni nostre" ... andrebbe inteso che noi "completiamo"
> Dio!
>
> Ma nel generare il reale e portarlo dall'esistibile all'essente, noi
> plasmiamo la nostra quota parte di ESSERE.
Non vorrei che questa nostra discussione, così elevata e in apparenza di
alto contenuto spirituale, si rivelasse basata su un grossolano materialismo
(nel quale ho l'impressione che qualche volta cada anche la chiesa cattolica
o in genere cristiana).
Mi spiego meglio. Creare significa fare una cosa dal nulla. L'uomo,
vincolato dalla legge di conservazione della materia e dell'energia, non può
creare, ma solo trasformare, o plasmare come tu dici, la materia.
Contesto risolutamente questa posizione. Si possono creare, e l'uomo lo fa,
cose immateriali. Per esempio un'opera d'arte, o un sistema di pensiero, o
uno strumento logico come la matematica.
>
> > Naturalmente, poiché Dio è provvidente, è lui che ci ha dato gli
strumenti
> > con cui facciamo le nostre creazioni. Chi crede può anche riconoscere
Dio
> > nelle nostre creazioni, ma non è affatto necessario pensare che esse
siano
> > in Dio, siano un sottoinsieme di lui.
>
> Vi è un solo caso in cui si possa uscire da Dio, ( e quindi non esserne
> un sottoinsieme), secondo le mie informazioni:
>
> Accendendo al NULLA.
>
> Infatti "Dio è", mentre il nulla -> "non è".
>
> Ma per accedere al nulla bisogna desiderarlo finché dura la nostra
> esperienza umana.
Se la ricerca del nulla è una distruzione dell'equilibrio mentale, cioè una
specie di pazzia, dire che "per accedere al nulla bisogna desiderarlo finché
dura la nostra
esperienza umana", è come dire che un pazzo, il quale crede di essere
Napoleone, può diventarlo veramente, se lo desidera finché dura la sua
esperienza umana.
>
> Non mi risulta che però sia una modalità che dia delle grosse
> soddisfazioni.
>
> E' una sindrome di nichilismo fino al distruttivismo dello stesso
> equilibrio mentale, come Nietzsche insegna.
>
> E io penso che si possa portare anche oltre: fino alla distruzione della
> nostra "identità mistica", id.
>
> Anziché id-ente-farci, identificarci, ci possiamo distruggere.
>
> >
> > Ho lanciato un sacco di idee e spunti, in maniera forse disordinata e
> > confusa.
> > Forse ci vuole l'intervento di uno dei più esperti del ng, per mettervi
un
> > po' di ordine, e enuclearne, se c'è, qualcosa di buono.
>
> C'è molto di buono, secondo la mia opinione:
>
> 1) C'è di buono il fatto di porsi domande e non accontentarsi di
> risposte che non ci risultino.
> 2) C'è di buono di non vergognarsi di parlare di un concetto -"Dio"- che
> non padroneggiamo per antonomasia, ma che sentiamo dirimente per
> questioni di teleologia.
> 3) C'è di buono che buchi l'indottrinamento di tipo catechismo e cominci
> a pensare con la _tua_ capacità di porti, perché l'ESSERE ha bisogno di
> te, proprio di te, visto che ci sei.
Grazie di cuore, del commento e delle gentili parole finali.
L:
> >
> > Viceversa, Dio, non risente del metodo deduttivista, per "collasso della
> > modalitа di deduzione".
> >
> > Si puт dedurre -infatti- dal generale al particolare.
> > Ma non si puт mettersi piщ in generale di Dio, quindi non и
> > investigabile -Dio- per deduzione.
> >
> > E' investigabile per induzione.
> >
> > Ossia congetturando dal particolare all'universale.
Luciano:
> Chiamarlo Sommo Bene и un modo di investigare per induzione. Partendo dal
> "bene particolare", si arriva a un concetto di Bene assoluto; и induzione
> bella e buona.
Esatto, induzione, ma senza la pretesa -anzitempo- di poter escludere
cosa sia il "sommo bene", visto che lo stiamo esplorando.
L:
> >
> > Tale tecnica non solo riconferma la omnipotenzia di Dio discendente dal
> > suo "non mancare di nulla", ma lo allude come "completa quantitа di
> > informazione" e ne svela il concetto di *veritа* in quanto nella
> > completezza del "tutto" -> non и trascurato proprio nulla -> da cui ->
> > *la veritа* in senso _assoluto_(a-soluto, non diluito), (assoluto: non
> > miscelato con impurezze di errore a causa dell'avere trascurato
> > qualcosa, e quindi in questa luce andrebbe investigato l'attributo di
> > *purissimo*, che spesso и associato a Dio, per teofania).
Luciano:
> Qui sinceramente non ho capito.
>
L:
Se cerchi di mettere a fuoco _cosa_ non ti risulta, io ti posso dire
perchй mi risulterebbe il testo in riferimento.
Tu potresti dire:
"Non mi risulta nulla".
Io ti risponderei:
Prova a svolgere una impostazione analitica.
ana-lisi: ossia scomposizione nelle singole parti ("ana"=privare, di
sciogliere (lyo) in un magma)
http://www.etimo.it/?term=analisi
Luciano:
> > >
> > > Questa considerazione si puт generalizzare. Se esiste il bene per noi,
> che
> > > non и bene per Dio, significa che possono esistere cose al di fuori di
> Dio,
> > > separate da lui. Come ho enunciato sopra al punto 1-.
> > >
> > > Ultima considerazione. Noi attribuiamo a Dio due qualifiche: di essere
> > > creatore e provvidente. Se ci ha creati liberi e dotati di pensiero,
> > > significa che noi possiamo agire, modificando il creato, e fare
> astrazioni,
> > > creando la matematica. Insomma la matematica e il divenire del creato
> sono
> > > "creazioni" nostre.
L:
> > Quindi _noi_ saremmo fuori di Dio?
> >
> > Ti debbo contraddire:
> >
> > Noi finchй siamo, siamo in Dio, nell'ESSERE.
Luciano:
> Se concepisci Dio come "tutto", allora siamo necessariamente dentro Dio.
> Poichй rifiuto questa concezione, posso tranquillamente sostenere, senza
> contraddirmi, che siamo fuori di Dio, ovvero siamo cose diverse da Dio.
> Credo che invece la tua posizione rischi di diventare contraddittoria. Se
> Dio и tutto, и anche il male (morale) prodotto dagli uomini.
L:
Esatto, con la seguente precisazione:
"E' anche ciт che _a noi_ sembra male".
Ma siamo noi nelle condizioni, per completo accesso a tutta la quantitа
di informazione possibile, di poter giudicare come mai "il tutto" genera
le trasformnazioni che osserviamo nella completezza di "ciт che и"?
Noi -al piщ- possiamo tentare delle congetture.
Possiamo assumerci delle responsabilitа per ciт che ci risulta.
Ma ci passa parecchio prima di poter mettere -dal sottoinsieme che noi
siamo- sul banco degli imputati -> un insieme -Dio- che и oltre le
nostre informazioni.
L:
> >
> > Il termine "creazioni nostre" ... andrebbe inteso che noi "completiamo"
> > Dio!
> >
> > Ma nel generare il reale e portarlo dall'esistibile all'essente, noi
> > plasmiamo la nostra quota parte di ESSERE.
Luciano:
> Non vorrei che questa nostra discussione, cosм elevata e in apparenza di
> alto contenuto spirituale, si rivelasse basata su un grossolano materialismo
> (nel quale ho l'impressione che qualche volta cada anche la chiesa cattolica
> o in genere cristiana).
> Mi spiego meglio. Creare significa fare una cosa dal nulla. L'uomo,
> vincolato dalla legge di conservazione della materia e dell'energia, non puт
> creare, ma solo trasformare, o plasmare come tu dici, la materia.
> Contesto risolutamente questa posizione. Si possono creare, e l'uomo lo fa,
> cose immateriali. Per esempio un'opera d'arte, o un sistema di pensiero, o
> uno strumento logico come la matematica.
Concordo, il senso comune intende "creare" come un *puff* un apparire
dal nulla.
Ma io contesto tale modalitа, altrimenti vi sarebbe una violazione del
principio di causa ed effetto.
A mio avviso "c-r-e-azione" dovrebbe essere inteso come:
Cum Rah -nell'E- azionem.
Ossia promanazione (che si irradia) dall'essere e in cui vi и una
trasformazione del "vivente", che, per antonomasia, si trasforma.
Luciano:
> > > Naturalmente, poichй Dio и provvidente, и lui che ci ha dato gli
> strumenti
> > > con cui facciamo le nostre creazioni. Chi crede puт anche riconoscere
> Dio
> > > nelle nostre creazioni, ma non и affatto necessario pensare che esse
> siano
> > > in Dio, siano un sottoinsieme di lui.
> >
> > Vi и un solo caso in cui si possa uscire da Dio, ( e quindi non esserne
> > un sottoinsieme), secondo le mie informazioni:
> >
> > Accendendo al NULLA.
> >
> > Infatti "Dio и", mentre il nulla -> "non и".
> >
> > Ma per accedere al nulla bisogna desiderarlo finchй dura la nostra
> > esperienza umana.
>
> Se la ricerca del nulla и una distruzione dell'equilibrio mentale, cioи una
> specie di pazzia, dire che "per accedere al nulla bisogna desiderarlo finchй
> dura la nostra
> esperienza umana", и come dire che un pazzo, il quale crede di essere
> Napoleone, puт diventarlo veramente, se lo desidera finchй dura la sua
> esperienza umana.
Sм, se tu ti convinci di essere Napoleone alla fine sarai Napoleone.
E' ciт -tipicamente- fa la figura del pazzo.
Il desiderio e la mente hanno una potenza ignota ai piщ.
L:
> > Non mi risulta che perт sia una modalitа che dia delle grosse
> > soddisfazioni.
> >
> > E' una sindrome di nichilismo fino al distruttivismo dello stesso
> > equilibrio mentale, come Nietzsche insegna.
> >
> > E io penso che si possa portare anche oltre: fino alla distruzione della
> > nostra "identitа mistica", id.
> >
> > Anzichй id-ente-farci, identificarci, ci possiamo distruggere.
Luciano:
> > >
> > > Ho lanciato un sacco di idee e spunti, in maniera forse disordinata e
> > > confusa.
> > > Forse ci vuole l'intervento di uno dei piщ esperti del ng, per mettervi
> un
> > > po' di ordine, e enuclearne, se c'и, qualcosa di buono.
L:
> > C'и molto di buono, secondo la mia opinione:
> >
> > 1) C'и di buono il fatto di porsi domande e non accontentarsi di
> > risposte che non ci risultino.
> > 2) C'и di buono di non vergognarsi di parlare di un concetto -"Dio"- che
> > non padroneggiamo per antonomasia, ma che sentiamo dirimente per
> > questioni di teleologia.
> > 3) C'и di buono che buchi l'indottrinamento di tipo catechismo e cominci
> > a pensare con la _tua_ capacitа di porti, perchй l'ESSERE ha bisogno di
> > te, proprio di te, visto che ci sei.
Luciano:
> Grazie di cuore, del commento e delle gentili parole finali.
Non sono frasi di circostanza, se usiamo la modalitа di dare la dignitа
di esistere che riconosciamo a noi stessi a "ogni cosa che и" ->
soffriamo anche nell'uccidere i virus che potrebbero uccidere il nostro
corpo.
Se perт entriamo nell'idea che siamo dentro un processo non di creazione
in senso favolistico, ma di trasformazione in cui noi copriamo una
minima parte del complesso di ciт che accade e di come accade
-> allora ->
non sottovalutiamo anche la potenza del nostro desiderio e la dignitа
che potremmo dare a ogni pensiero.
Saluti,
L
> Il piano euclideo si definisce come quello in cui vige il postulato
> dell'unicità della parallela.
Ci sono molti modi di fissare i postulati: spesso basta mettere un teorema
al posto di un postulato e il postulato diventa un teorema.
Ad esempio il Quinto Postulato, tradotto alla lettera dagli _Elementi_ di
Euclide, suona così:
«1. - Sia postulato che [...]
2. - [...]
3. - [...]
4. - [...]
5. - E che se una linea retta intersecante due linee rette forma angoli
interni dalla stessa parte minori che due angoli retti, prolungando le due
rette all'infinito esse si intersecano da quella parte dei due angoli
interni minori di due angoli retti.»
A prima vista appare assai oscuro, ma ragionandoci un po' lo possiamo
formulare in modo più chiaro.
Si parte con due linee rette qualunque, e si traccia una terza retta che le
interseca entrambe. In questo modo si formano otto angoli:
http://piripillina.ifrance.com/piripillina/geometria/pagina8.htm
Osserviamo che la terza retta, quella che interseca le altre due, divide il
piano in due parti, cioè in due semipiani. Due angoli che stanno nello
stesso semipiano si dicono *coniugati* fra di loro, mentre due angoli che
stanno in due semipiani diversi si dicono *alterni* fra di loro.
Anche le due rette possono essere usate per dividere il piano in due parti,
ovvero la parte compresa fra le due rette, cioè la parte interna ad esse, e
la parte non compresa fra le due rette, cioè la parte esterna. Gli angoli
che stanno nella parte interna si dicono angoli *interni*, mentre quelli che
stanno nella parte esterna si dicono *esterni*.
Se ora prendiamo due angoli coniugati fra loro, cioè due angoli che stanno
dalla stessa parte della retta che intereseca le altre due, essi possono
essere entrambi interni (dunque *coniugati interni*) o entrambi esterni
(dunque *coniugati esterni*) oppure possono essere uno interno e l'altro
esterno, nel qual caso si diranno *corrispondenti* (per ragioni che si
evincono chiaramente dalla figura).
Forti di queste definizioni, proviamo a rifolmulare in altri termini il
Quinto Postulato.
Euclide, dopo aver detto che le due rette vengono intersecate da una terza
retta, ipotizza che da uno dei due lati di questa retta ci siano angoli
coniugati interni la cui somma sia minore della somma di due angoli retti,
che è poi un angolo piano. Ebbene - dice Euclide - se accade ciò allora
prolungando le due rette da quella parte (cioè dalla parte in cui si trovano
i due angoli coniugati interni la cui somma non è un angolo piatto) quelle
rette si intersecano. E' questo il Quinto Postulato secondo Euclide.
Ma che c'entrano allora le rette parallele con il Quinto Postualto, visto
che in esso si parla solo di rette che si intersecano?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo tenere presente che Euclide in
precedenza aveva introdotto alcune Definizioni, fra cui la seguente:
«23. - Linee parallele sono linee rette che, essendo nello stesso piano, e
essendo prolungate all'infinito in ogni direzione, non si intersecano in
nessuna delle due [direzioni]».
Forti di questa definizione possiamo riformulare il Quinto Postulato
nel modo seguente:
5'. - Se una retta che interseca altre due rette forma da una parte due
angoli coniugati interni la cui somma è minore di un angolo piatto,
allora le due rette non sono parallele.
Appare del tutto "evidente" che 5' è una riformulazione di 5 applicando la
Definizione 23, ma che faremmo se uno dicesse che per lui non è affatto
evidente, e che glielo dobbiamo "dimostrare"?
Facile: lo si dimostra "per assurdo", negando il nostro enunciato 5'. Esso
afferma che date certe condizioni quelle due rette *non sono* parallele,
sicché tale enunciato può essere negato affermando che date quelle stesse
condizioni le due rette *sono* parallele. Ma se è vero che sono parallele
allora, per definizione, esse non si intersecano, mentre il Quinto Postualto
afferma che esse si intersecano, sicché la negazione di 5' nega 5. Ma 5 è
vero per ipotesi (è, appunto, un postulato) per cui se non vogliamo avere
una contraddizione non possiamo negare 5', e se non è vero che 5' è falso
allora è vero.
Questa era facile, perché è "evidente" che 5' - data quella definizione di
retta parallela - è equivalente a 5, ma ho voluto comunque produrre una
dimostrazione per far vedere che ciò che è "logicamente evidente" lo è in
quanto ci serve a evitare una contraddizione. Il che è come dire che la
"evidenza logica" non è altro che uno strumento dell'intelletto che serve
semplicemente ad evitare di violare il principio di non contraddizione.
Diciamo che in certi casi la contraddizione è talmente "vicina" che noi ne
possiamo sentire il "calore", e starne debitamente alla larga senza avere
bisogno di appoggiarci sopra la mano per sentire che scotta. Ma se stiamo
alla larga da quella cosa è perché essa scotta, e non è che essa scotta
perché noi ci stiamo alla larga.
Ora che abbiamo visto questa applicazione talmente banale da risultare più
facilmente intuibile che dimostrabile, proviamo ad andare avanti.
Euclide comincia infatti a ricavare una serie di teoremi che egli chiama
Proposizioni. Nelle prime 28 egli usa tutti i Postulati tranne il Quinto,
sperando forse di trovare - strada facendo - il modo di fare a meno di quel
"brutto anatroccolo". Esso però risulta necessario quando si arriva alla:
«Proposizione 29. - Una linea retta intersecante delle linee parallele forma
angoli alterni [interni] uguali fra loro, l'angolo esterno uguale all'angolo
interno e opposto [= corrispondente], e gli angoli interni dalla stessa
parte [= coniugati] uguali a due angoli retti.»
Per prima cosa bisogna prendere atto che qui ci sono più enunciati in una
sola frase. Il primo di questi enunciati afferma che se una linea retta ne
interseca due parallele allora gli angoli alterni interni sono uguali fra
loro. Sarà vero? Al solito, proviamo a dimostrarlo "per assurdo", negandolo.
Per negarlo dobbiamo affermare che se una linea retta ne interseca due
parallele allora essa forma con quelle angoli alterni interni diversi. Ma se
sono diversi, allora uno dei due sarà più grande dell'altro. Prendiamo
allora la pagina di cui ho fornito il link precedentemente, e supponiamo che
i due angoli alterni interni in parola siano gamma e beta-primo, con
beta-primo maggiore di gamma (altrimenti sarà gamma ad essere maggiore di
beta-primo, ma la dimostrazione sarà ovviamente analoga):
beta-primo > gamma
Sommiamo ora l'angolo alpha-primo a entrambi questi angoli. Siccome
beta-primo è maggiore di gamma, allora beta-primo più alpha-primo è maggiore
di gamma più alpha-primo:
beta-primo + alpha-primo > gamma + alpha-primo.
Ma d'altra parte beta-primo più alpha-primo è un angolo piatto:
gamma + alpha-primo = piatto
per cui gamma più alpha-primo deve essere minore di un angolo piatto, che a
sua volta è pari alla somma di due angoli retti:
piatto = 2 retti > gamma + alpha-primo
Così abbiamo dimostrato che a partire dalla nostra ipotesi (che a sua
volta è la negazione di quanto volevamo dimostrare) si ricava che la somma
degli angoli coniugati interni gamma e alpha-primo è minore di due angoli
retti. Ma allora per il postulato 5 (o 5') le due rette parallele non
possono essere parallele, il che è una contraddizione. Dunque ancora una
volta per evitare la contraddizione non possiamo negare il primo enunciato
della Proposizione 29, e se non possiamo negarlo lo dobbiamo affermare.
Poi, una volta che si sia dimostrata la Proposizione 29, è facile
dimostrare, come corollario, la:
«Proposizione 32. - Per ogni triangolo, prolungato uno dei lati, l'angolo
esterno è uguale ai due angoli interni e opposti, e i tre angoli interni del
triangolo sono uguali a due angoli retti.»
Questa è proprio quella che io avevo preso come definizione di piano
euclideo. Ora, poiché essa è un corollario della Proposizione
29, e poiché la Proposizione 29 deve essere negata per evitare di
contraddire il Quinto Postulato, ne consegue che noi dobbiamo affermare la
32 per evitare una contraddizione. Se invece neghiamo la 32 stiamo negando
anche il Quinto Postulato, per cui se prendiamo il Quinto Postulato per
definire il piano euclideo e poi diciamo che nel piano euclideo non vale la
32, stiamo dicendo che nel piano euclideo non vale il Quinto Postualato,
il che è come dire - stante la nostra definizione - che il piano euclideo
*non è* il piano euclideo.
Gira gira, tutto ciò che è "logico" deve assumere questa forma, poiché la
"logica" non è altro che l'insieme degli strumenti che usiamo per evitare le
contraddizioni.
--
Saluti.
D.
>Se parlavi di un triangolo posto in un piano euclideo, allora mi dovresti
>dire che cos'è un piano euclideo. Ora, a me risulta che un piano eucideo sia
>propio - per definizione - un piano in cui i triangoli hanno la somma degli
>angoli interni pari a 180 gradi.
La geometria euclidea parte da alcuni enti o concetti intuitivi che non
si possono definire in modo esplicito: ad esempio il punto viene preso
come ente intuibile normalmente da tutti. Poi da tali enti primitivi
può scaturire un processo deduttivo da cui discendono dei teoremi. Nel
caso del piano esso è un concetto intuitivo, quindi immediatamente
chiaro e distinto.
Del resto ogni scienza deve partire da enti che non possono essere
definiti, proprio per evitare il regresso all'infinito.
>Quindi la tua domanda è: «Se Dio crea un piano in cui la somma degli
>angoli interni di un triangolo *è* pari a 180 gradi, Egli è poi libero di
>decidere che proprio in quel piano lì la somma degli angoli interni di un
>triangono *non è* pari a 180 gradi?»
>Dunque la domanda è sempre quella (fai merenda con girella): «Può Dio fare
>sì che la stessa cosa *sia e non sia* allo stesso tempo?»
>A questo punto su quel "fare sì" scatta la distinzione che faceva Marco fra
>l'intelletto e la volontà di Dio, poiché dobbiamo chiederci se l'intelletto
>di Dio possa pensare una contraddizione, e se decidiamo che ciò non è
>possibile, dobbiamo chiederci se l'intelletto di Dio possa vincolare la
>volontà di Dio a non volere ciò che essa non può pensare. E se ora
>diciamo che non ci possono essere limiti alla volontà di Dio, allora
>dobbiamo capire come sia possibile che la volontà di Dio voglia e possa ciò
>che l'intelletto di Dio non può pensare. Grossi domandoni.
Certamente il problema è molto difficile, al di là delle forze umane.
Tuttavia io suppongo che, se è vero che l'intelletto umano è
vincolato dalle leggi logiche e matematiche, tanto che non possiamo
pensare senza obbedire a tali leggi, invece l'intelletto divino non
avrebbe tali limiti, il suo intelletto sarebbe infinito, ossia potrebbe
concepire anche cose impossibili per noi. Inoltre potrebbe realizzare
cose inconcepibili per noi. Quindi l'intelletto divino è infinito
come la volontà divina, perciò non può mai esserci conflitto tra le
due. Ciò che a noi appare impossibile perché contraddittorio in un
altro mondo potrebbe essere possibile.
>Per risolvere tutti questi problemi dobbiamo disporre di definizioni
>rigorose di "intelletto", "volontà", eccetera, e queste definizioni devono
>essere talmente universali da poter essere applicate come caso particolare
>anche a Dio. Ma è possibile avere una specie X tale che "X di Dio" sia un
>elemento individuale di quella specie? E' possibile, ad esempio, definire
>"intelletto" in modo tale che anche "intelletto di Dio" cada nella nostra
>definizione come caso particolare? Per rispondere a questa domanda dovremmo
>avere una definizione rigorosa di "specie" e di "individuo", sempre ammesso
>che la faccenda possa essere impostata in questi temini così aristotelici.
Questo è il problema: solo per analogia possiamo parlare di intelletto
e di volontà divine, ma esse sono diverse qualitativamente e
quantitativamente da quelle umane.
>Non ha ragione di porsi. Le verità matematiche sono tautologie. Quindi Dio
>può dedicarsi ad altro, magari a sostentare le leggi fisiche.
Certo sono tautologie, ma quello che intendevo dire è che Dio poteva
darci altre tautologie diverse da quelle che conosciamo. Quindi avremmo
un corpo di teoremi matematici coerenti tra di loro ma diversi da
quelli che conosciamo.
>> Vorrei porre delle domande: constatato che ci sono delle verità
>> matematiche inconfutabili (ad esempio che in un triangolo, contenuto in
>> un piano, la somma degli angoli interni è di 180 gradi, oppure che
>> 2+2=4),
>Inconfutabili se .. l'angolo giro è stato posto uguale a 360° e se
>siamo in un sistema posizionale a base > 4.
Certo, la scelta della base del sistema numerico e dei gradi
dell'angolo giro sono convenzionali. Ho scelto le unità di misura e
di conto più comuni: potevo dire che la somma degli angoli interni di
un triangolo è uguale ad un angolo piatto. Cambiano i termini
linguistici ma la sostanza non cambia.
>> Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
>> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
>> diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità
>Nelle ipotesi dette .. no, no e sì .. perchè non vuole smentirsi. Fatica
>già tanto così a far credere che esiste, figurati se incominciasse anche
>a mostrarsi illogico su cose del genere!
Non intendevo negare la coerenza di Dio: facevo un discorso ipotetico,
allo scopo di mostrare come ciò che sembrerebbe assoluto per noi, da
un altro punto di vista apparirebbe relativo. Certamente Dio ha scelto
di creare questo mondo (probabilmente ci sarà un motivo) e non torna
indietro. Ma volevo dire che ai suoi occhi aveva infinite scelte che
poteva realizzare con la propria volontà.
>Dimostrami nel reale una qualche misura che sia vera per sempre.
>Se puoi farlo hai espresso -nel reale- una verità inconfutabile.
>Ma poiché ciò non è possibile, (se non introducendo un delta di errore,
>che magari sarà noto -per il carattere autocorrettivo della scienza-
>solo -per esempio- tra 100 anni) ne segue che le verità dei modelli sono
>astrazioni utili per gestire in modo semplificato il reale.
Non volevo negare quello che dici. Prendiamo un triangolo rettangolo:
esso è solo un modello ideale che non si potrà mai trovare nella
realtà, gli oggetti reali possono solo approssimarsi ad esso.
Tuttavia, dato questo triangolo ideale, allora il teorema di Pitagora
che lo riguarda non può essere negato in nessun modo. Certamente non
si può andare a verificare questo teorema su oggetti reali.
Supponiamo che in uno spazio astratto, creato allo scopo:
==
Spazio Miao on
==
postulato-1:
ambrarabà + cicci = coccò
==
Spazio Miao off
==
Chi potrebbe negare che ciò sia vero?
Nessuno.
Perché -per definizione- (finché siamo nello spazio astratto Miao) varrà
per postulato.
Naturalemente possiamo aggiugere:
-operatori
-regole con cui gli operatori agisono
etc.
Ma perché ci dovrebbe interessare tale spazio "Miao" se non fosse
attinente se non all'astrazione?
Certo -> come ricerca pura.
Ma i dominii della ricerca pura cadono spesso nell'oblio, se non servono
a niente se non a se stessi, così come affogò Narciso che non sapeva
distogliere lo sguardo, se non da se stesso.
Per converso la stessa teoria di Einstein -per esempio- si regge -nella
sua intuizione- (vedi lavori preparatori) sul teorema di Pitagora, ma è
teoria che cerca di interpretare fisica applicata, mica Bau Bau Micio
Micio o spazio astratto Miao.
: - )
Ecco perché si fa presto a parlare di verità, ma è poi più difficile
uscire dalle tautologie e dalle sponde Lapalissiane.
La verità -nel'etimo- attiene alla res (dal latino verum).
Come parlare di verità riferendosi sola alla res degli spazi astratti?
... in modo astratto dalla materia, siamo daccordo.
Ma è un esercizio ludico onanistico -> se non trova attinenza con il
reale e prende coscienza che non ci si può rifugiare negli spazi di
astrazione -> senza un perché.
Saluti,
L
Non sono d'accordo (non so Dio :-), perché le tautologie son tutte
identiche, dal momento che non dicono nulla.
Te ne puoi inventare anche tu quante ne vuoi, senza far perdere tempo colà
dove si puote ciò che si vuole.
Infatti la matematica non è nelle cose, ma noi le descriviamo mediante la
matematica avendo scoperto che mediante intuizioni (come il numero) e
proposizioni analitiche elementari (come i teoremi elementari e anche meno
elementari, che appunto sono tautologie) riuscivamo a costruire dei modelli,
e vedemmo che era cosa buona e giusta.
Il funzionamento della tautologia nel suo applicarsi al mondo (alle cose)
consiste in questo: che le cose sono quello che sono, il che è
"ontologicamente" una tautologia.
Ciao
qf
Luciano:
Perchй chiami "pretesa anzitempo" la mia affermazione?
Io investigo induttivamente, quando arrivo a una conclusione debbo vedere se
questa conclusione induttiva и coerente con il concetto di Dio che mi sono
dato.
Mi spiego in altre parole. Se parti dal presupposto che Dio и tutto, allora
poichй esiste il bene come lo concepiamo per l'umanitа, questo stesso bene
deve esistere anche in Dio. Ma se rifiuto il presupposto, non ho nessun
imbarazzo ad affermare che il bene "umano" non sia dentro Dio.
Ugualmente affermo che il male (morale) degli uomini non и in Dio.
>
> L:
> > > Tale tecnica non solo riconferma la omnipotenzia di Dio discendente
dal
> > > suo "non mancare di nulla", ma lo allude come "completa quantitа di
> > > informazione" e ne svela il concetto di *veritа* in quanto nella
> > > completezza del "tutto" -> non и trascurato proprio nulla -> da cui ->
> > > *la veritа* in senso _assoluto_(a-soluto, non diluito), (assoluto: non
> > > miscelato con impurezze di errore a causa dell'avere trascurato
> > > qualcosa, e quindi in questa luce andrebbe investigato l'attributo di
> > > *purissimo*, che spesso и associato a Dio, per teofania).
>
> Luciano:
> > Qui sinceramente non ho capito.
>
> L:
> Se cerchi di mettere a fuoco _cosa_ non ti risulta, io ti posso dire
> perchй mi risulterebbe il testo in riferimento.
> Tu potresti dire:
> "Non mi risulta nulla".
> Io ti risponderei:
> Prova a svolgere una impostazione analitica.
Luciano:
Provo. Secondo me si puт dire che Dio и onnipotente senza dover dire che Dio
и tutto. E si puт dire che Dio sa tutto senza dover dire che и tutto.
Quanto al concetto di veritа, io penso che essa si riferisca alle
asserzioni, non alle cose. Il fatto che Dio abbia la "completezza del tutto"
non significa che sia "vero".
Vera (oppure falsa) puт essere solo un'affermazione del tipo: Dio esiste;
oppure: io mi chiamo Luciano.
Quanto al concetto di veritа assoluta (nel senso di purissima), credo che
sia del tutto improprio, concettualmente e linguisticamente.
Luciano:
Cioи vuoi dire che il male (morale, perchй solo di questo sto parlando) non
и realmente male? Allora in che consiste la morale, se esiste solo il bene,
e un male che nella realtа non и male?
Il male morale vero, autentico, non solo apparente, secondo te esiste o no?
Sono gli uomini quelli che lo producono? Dopo che lo hanno prodotto, questo
male vero e autentico risiede anche in Dio?
Le mie risposte sono sм, sм, no.
> L:
> Ma siamo noi nelle condizioni, per completo accesso a tutta la quantitа
> di informazione possibile, di poter giudicare come mai "il tutto" genera
> le trasformnazioni che osserviamo nella completezza di "ciт che и"?
> Noi -al piщ- possiamo tentare delle congetture.
> Possiamo assumerci delle responsabilitа per ciт che ci risulta.
> Ma ci passa parecchio prima di poter mettere -dal sottoinsieme che noi
> siamo- sul banco degli imputati -> un insieme -Dio- che и oltre le
> nostre informazioni.
Luciano:
Ma io non lo metto sul banco degli imputati. Tutto il mio ragionamento cerca
di dimostrare che и possibile escludere la presenza in Dio del male morale,
quindi mi pare il contrario di quello che pensi tu.
> L:
> > >
> > > Il termine "creazioni nostre" ... andrebbe inteso che noi
"completiamo"
> > > Dio!
> > >
> > > Ma nel generare il reale e portarlo dall'esistibile all'essente, noi
> > > plasmiamo la nostra quota parte di ESSERE.
>
> Luciano:
> > Non vorrei che questa nostra discussione, cosм elevata e in apparenza di
> > alto contenuto spirituale, si rivelasse basata su un grossolano
materialismo
> > (nel quale ho l'impressione che qualche volta cada anche la chiesa
cattolica
> > o in genere cristiana).
> > Mi spiego meglio. Creare significa fare una cosa dal nulla. L'uomo,
> > vincolato dalla legge di conservazione della materia e dell'energia, non
puт
> > creare, ma solo trasformare, o plasmare come tu dici, la materia.
> > Contesto risolutamente questa posizione. Si possono creare, e l'uomo lo
fa,
> > cose immateriali. Per esempio un'opera d'arte, o un sistema di pensiero,
o
> > uno strumento logico come la matematica.
>
> L:
> Concordo, il senso comune intende "creare" come un *puff* un apparire
> dal nulla.
> Ma io contesto tale modalitа, altrimenti vi sarebbe una violazione del
> principio di causa ed effetto.
> A mio avviso "c-r-e-azione" dovrebbe essere inteso come:
> Cum Rah -nell'E- azionem.
> Ossia promanazione (che si irradia) dall'essere e in cui vi и una
> trasformazione del "vivente", che, per antonomasia, si trasforma.
Luciano:
Michelangelo scolpisce il Mosи. Secondo la terminologia che mi pare
corretta, ha "creato" un'opera d'arte.
Non direi che il Mosи "promana (o si irradia)" dall'essere. E poi l'essere
che cos'и, forse Dio?
Inoltre la trasformazione di un blocco di marmo in una statua chiamata Mosи
non и "trasformazione del vivente".
> Perché mai - se l'inviolabile autoidentità di ogni cosa è la verità - non
> si dovrebbe poter fondare un'etica su questo?
Di solito quando "fondiamo", sappiamo già che cosa fondare, quale deve
essere il risultato garantito dalla fondazione etc. Se noi sappiamo che la
fondazione dell'etica deve fondare l'esser male dell'omicidio, ad esempio,
sembrerebbe che tutto ciò che il principio di identità (che è, come dici,
"la verità") riesce a garantirci, è la seguente proposizione: "l'omicidio è
l'omicidio".
Ovviamente, si trattererà di far sì che l'*omicidio stesso* (cioè il termine
che si distingue nella relazione di identità "l'omicidio è l'omicidio", la
quale fa la felicità e la contentezza del Dio Identico) appaia connesso ad
una negazione dell'identità. Ma allora ci ritroviamo alle prese con
quell'altro problema che avevo segnalato, e che tu stesso implicitamente
richiami: se
ogni cosa è inviolabilmente se stessa, è impossibile che qualcosa non sia se
stessa; c'è dunque un senso in cui la negazione dell'autoidentità è nulla:
non esiste. Quale spazio di realtà, allora, è concesso all'errore etico,
visto che la fondazione dell'etica sopra la logica dell'identità implica
l'identità tra l'errore etico e la violazione del principio di identità?
Ovviamente, la risposta a quest'ultima domanda è contenuta in quello che
dici qui:
> Certamente. Errore etico è pensare/affermare che qualcosa non è ciò che è.
Esatto. Non c'è alcunché che possa essere diverso da sé. Ma ciò non implica
l'impossibilità di pensare la diversità da sé di qualcosa. E questo è
l'unico spazio di realtà che l'errore etico riesce a ritagliarsi, una volta
che si sia data una fondazione "logica" dell'etica.
E allora non ci resta da dimostrare perché l'omicida è uno che pensa/afferma
la (una) negazione dell'identità con sé dell'essente. Oppure perché uno che
desidera la donna d'altri, è uno che pensa/afferma la (una) negazione
dell'identità con sé dell'essente. E in questo genere di dimostrazioni,
forse, avremo qualche problemino in più:-). Infatti dovremo dimostrare
l'esistenza di nessi necessari, la cui negazione viene a consistere nella
negazione dell'identità di qualcosa. E non solo: se l'omicidio è connesso ad
una negazione dell'identità, allora - come dirai giustamente qui sotto - è
impossibile che l'omicida ottenga ciò che vuole o si è proposto di ottenere,
dunque è impossibile che egli riesca ad uccidere; se il desiderare la donna
d'altri è connesso ad una negazione dell'identità, allora è impossibile che
chi la desidera riesca a realizzare il suo desiderio (così come è
impossibile che chi desidera uccidere, riesca a realizzare il suo
desiderio). Magari a Caio piace la moglie di Tizio, e riesce pure a
portarsela a letto. Ma, Innegabile, Caio ascolterà la voce dell'Identico: "o
negatore dell'Identico, quello che è accaduto non è e non può essere che tu
sia riuscito ad ottenere la donna d'altri, cioè a strapparla dal nesso
necessario con suo marito". Da capire se sulla testa di Tizio saranno o meno
spuntate delle corna:-) (le quali, ovviamente, sarebbero identiche a se
stesse).
> Quando cce vo' cce vo', come si dice, e una bella strigliata a chi ha
> meticolosamente cercato di costruire il nulla ci vorrebbe.
> Ma in realtà non ce n'è bisogno. Come dico sempre, la realtà è tale che
> chi inciampa cade, cioè i predicatori del nulla non avranno il nulla, dato
> che il nulla non è, ma avranno il disastro che inevitabilmente l'aspirarvi
> causa. Non può non essere così, per quanto tempo occorra affinché il
> processo abbia una sua conclusione.
La negazione dell'identità ha un contenuto nullo, e dunque
il negatore dell'identità non otterrà mai ciò che vuole (predica, pensa,
afferma etc.). Tuttavia, il negare esiste ed è reale - e così esistono e
sono reali i comportamenti improntati alla negazione dell'identità.
Qui, allora, si apre il solito problema della relazione tra la Realtà e la
negazione dell'identico, al quale problema possiamo dare questa forma. La
Realtà non consente alla negazione dell'identico di realizzarsi, ma le
consente quell'unico "grado" di realtà nel quale consiste la realtà del
negare l'identico, del volere il nulla (cioé: che il nulla sia),
dell'aspirare alla realizzazione del nulla etc. E va bene. Ma dispone, la
Realtà, del modo di porre termine, con certezza assoluta, a quel negare, a
quel volere, a quell'aspirare? E' precisamente la domanda che solleva quel
tuo <<per quanto tempo occorra>>. Che Realtà mai sarebbe, una Realtà capace
sì di impedire agli affermatori del nulla la realizzazione di ciò che essi
affermano, ma tale che possa essere negata per sempre? Che differenza ci
sarebbe, cioè, tra una Realtà *incapace* di impedire ai suoi negatori la
realizzazione di ciò che essi affermano, ed una Realtà che sia sì capace di
questo impedimento, ma sia *incapace* di non farsi negare per sempre?
Insomma, sembra che la Realtà debba essere capace - per poter veramente
preservare l'Identico da quella negazione dell'Identico in cui consisterebbe
una negazione dell'Identico lasciata a se stessa in saecula saeculorum - di,
diciamo pure, "colpire a morte" il negatore dell'Identico. La longa manus
della Realtà, per poter veramente preservare l'Identico dalla negazione,
deve essere in grado, prima o poi, di acciuffare il negatore dell'Identico.
E qui "acciuffarlo" significa: il negare l'Identico deve essere, prima o
poi, tolto, superato, oltrepassato. Il che vuol dire, ancora: prima o poi,
l'errore deve essere riconosciuto. "Di quante divisioni armate dispone, la
Realtà?":-).
> Ma il freddo - là fuori - è appunto dove c'è il falso, non dove c'è il
> vero.
Lasciando pure perdere il problema della relazione della dipendenza tra
realtà e linguaggio, qui, visto che parliamo di etica, abbiamo già messo i
piedi sul terreno del sorgere di questioni del tipo: laddove c'è un campo di
concentramento, c'è il vero o c'è il falso? Se c'è il vero, allora i
prigionieri di quel campo stanno al caldo (d'altra parte i prigionieri sono
i prigionieri: eternamente al caldo dell'Identico).
Torniamo allora al problema di partenza. Se la nostra fondazione dell'etica
deve garantire l'esser male di un campo di concentramento, allora il campo
di concentramento stesso deve essere connesso ad una negazione
dell'identico. La relazione con sé del campo di concentramento, infatti, ci
restituirà una "verità" (è vero che il campo di concentramento è identico a
se stesso) che, presa per sé, non ci garantirà in alcun modo la fondazione
etica che ricerchiamo. Troppo "fredda", per quella fondazione, la semplice
relazione astratta del campo di concentramento per sé. Occorre che il
*significato* stesso del campo di concentramento sia una negazione della
identità dell'essente con sé (in modo tale che l'autoidentità del campo di
concetramento venga a costituirsi come autoidentità di una negazione
dell'identità dell'essente).
Un saluto,
Marco
> La geometria euclidea parte da alcuni enti o concetti intuitivi che non
> si possono definire in modo esplicito: ad esempio il punto viene preso
> come ente intuibile normalmente da tutti.
Sì, ma se vale questro principio, che fai quando qualcuno ti dice che dalla
sua intuzione di un certo oggetto si ricava una implicazione che è contraria
alla implicazione che ricavi tu dalla tua intuizione dello stesso oggetto?
Ripeto il solito esempio: fino a pochi decenni fa l'intuizione di chiunque
percepiva "deterministico" come sinonimo di "prevedibile", ma da quando
Poincaré è riuscito a concepire delle traiettorie che pur essendo
deterministiche erano ovunque instabili, ci si è resi conto che una
traiettoria può essere sia deterministica sia imprevedibile. Dunque fino a
un secolo fa per l'intuizione di chiunque parlare di traiettorie
deterministiche e imprevedibili sarebbe sembrata una contraddizione di tipo
"analitico", cioè implicita nella stessa definizione di "deterministico" a
prescindere dalla esperienza, e pertanto una vera e propria affermazione e
negazione dello stesso enunciato nel medesimo contesto. E invece no, da
quando l'immaginazione di Poincaré e il computer di Lorenz (quello
dell'attrattore) ci hanno messo di fronte a certe "figure", la nostra
intuizione è mutata, e oggi sappiamo concepire qualcosa che è allo stesso
tempo deterministico e imprevedibile.
In questo caso abbiamo preso due piccioni con una fava: abbiamo mostrato che
l'"intuizione" è soggettiva e dipende dal contesto culturale e dalla
esperienza posseduta, e allo stesso tempo abbiamo mostrato che ciò che
intuibilmente ci sembrava implicito nella definizione di un oggetto in
realtà implicito non lo era affatto; dal che segue che ciò che alla nostra
intuizione appare "analitico" può essere invece "sintetico".
Una strage.
> Certamente il problema è molto difficile, al di là delle forze umane.
> Tuttavia io suppongo che, se è vero che l'intelletto umano è
> vincolato dalle leggi logiche e matematiche, tanto che non possiamo
> pensare senza obbedire a tali leggi, invece l'intelletto divino non
> avrebbe tali limiti, il suo intelletto sarebbe infinito, ossia potrebbe
> concepire anche cose impossibili per noi.
Invece secondo l'intuizione mia e di tanti altri dovrebbe essere vero il
contrario.
L'intelletto divino, inteso come perfetto, non dovrebbe essere in grado di
concepire la contraddizione; mentre che l'intelletto umano possa
tranquillamente concepire la contraddizione lo possiamo sperimentare tutti i
giorni accendendo per cinque minuti il televisore, o aprendo un giornale,
o leggendo certi post ;-)
Pertanto secondo questa intuizione delle cose per Dio sarebbe impossibile
ciò che qualunque uomo riesce a fare facilmente.
> Questo è il problema: solo per analogia possiamo parlare di intelletto
> e di volontà divine, ma esse sono diverse qualitativamente e
> quantitativamente da quelle umane.
Già, ma quando "passi al limite asintotico" non puoi fare le "analogie".
E' intuitivo che non funzionano :-)
--
Saluti.
D.
> >
> > Ma che cosa puņ significare per Dio non rubare e non desiderare la donna
> > d'altri? Sono cose che per lui non hanno significato. Insomma possiamo
> > chiamarlo Sommo Bene a condizione di precisare che il Bene, per lui,
> > consiste in una cosa diversa dal bene per noi.
>
> Certo, affinché un comandamento quale "non desiderare la donna d'altri"
> abbia *senso*, č necessario che abbia senso che il destinatario del
> comandamento desideri la donna d'altri. Nel caso di Dio (sempre che non si
> stia parlando di quel simpaticone di Zeus:-)), questa condizione di
> sensatezza - diciamolo pure - viene meno.
>
> Tuttavia (e riprenderņ pił sotto questa affermazione) non solo occorre
> osservare che la proposizione "č bene che l'uomo non desideri la donna
> d'altri" ha validitą - sebbene per ragioni differenti - tanto per Dio
quanto
> per l'uomo. Ma occorre non farsi sfuggire che l'affermazione "Dio č il
Sommo
> Bene" asserisce l'*identitą* tra Dio ed il Sommo Bene, e non ha dunque a
che
> fare con ciņ che č bene "per" Dio. Non si puņ cioč mettere in relazione
> quella affermazione con il fatto che il Bene, "per" Dio, consiste in una
> cosa differente dal bene per noi perché ciņ che č bene per noi (il non
> desiderare la donna d'altri etc.) non č definito per Dio. Una delle
ragioni
> che la teologia adduce come base per quella affermazione, č che Dio č il
> fondamento di tutto ciņ che č bene per l'uomo - e una cosa che č a
> fondamento di tutto ciņ che č bene per l'uomo, č bene in modo eminente.
In che senso diciamo che Dio č il fondamento di tutto ciņ che č bene per
l'uomo?
Parliamo del bene morale? Mi sembra difficile. Il bene morale č un
comportamento dell'uomo approvato dalla legge morale. Certo per un credente
la legge morale ha origine da Dio, e in questo senso Dio ne č il fondamento.
Ma la legge morale descrive e condanna anche il male. Allora Dio sarebbe il
fondamento anche del Male?
Io ho il sospetto che questa tua frase
> Dio č il fondamento di tutto ciņ che č bene per l'uomo
sia stata enunciata o interpretata in riferimento non al solo bene morale.
Per me la distinzione, linguistica e concettuale, fra bene e male intesi nel
campo morale, e quelli intesi nel campo che potremmo chiamare
economico/utilitaristico, č fondamentale, e preliminare a qualsiasi
ragionamento sull'etica, e anche sulla metafisica.
>
> > Questa considerazione si puņ generalizzare. Se esiste il bene per noi,
che
> > non č bene per Dio,
>
> Qui farei valere la considerazione svolta sopra. C'č un senso in cui ciņ
che
> č bene per noi č bene anche per Dio: la proposizione "č bene che l'uomo
non
> desideri la donna d'altri" č valida tanto per Dio quanto per l'uomo - il
che
> significa questo: che l'uomo non desideri la donna d'altra, č bene tanto
per
> l'uomo quanto per Dio. Ciņ accade perchč il contenuto del bene non č preso
> come quella particolare cosa (il non desiderare la donna d'altra) che non
č
> definita per Dio, ma č preso nella forma della relazione tra l'uomo ed il
> bene per l'uomo.
Qui dai alla parola bene un senso diverso da quello di bene morale.
La relazione fra l'uomo e il bene per l'uomo č cosa di cui certamente Dio si
interessa, ma non č per lui bene morale. Sarą, diciamo cosģ, un motivo di
soddisfazione, allo stesso modo in cui io posso essere contento nel vedere
che mio figlio ha fatto una cosa buona.
>
> >significa che possono esistere cose al di fuori di Dio,
> > separate da lui.
>
> Secondo me questa tua particolare deduzione della separatezza tra Dio ed
il
> mondo (o porzioni di mondo) non funziona.
> Occorrerebbe negare che Dio sia il "fondamento della realtą". Non poter
> esistere fuori da Dio, significa, per la teologia, che nessuna cosa puņ
> esistere separatamente dal nesso con il suo fondamento.
Ma questo non si chiama panteismo?
> (e le cose, infatti,
> per la teologia si annientano storicamente, perdendo cosģ il loro nesso
con
> l'essere, ma vengono "conservate in Dio").
Se mi dici che la teologia afferma questo, non ho motivo per dubitarne. Ma
per dissentire sģ.
Quello che resta conservato in Dio č piuttosto una memoria delle cose.
Grazie per l'intervento particolarmente profondo.
L:
Ma non puoi arrivare ad una conclusione, se non per illazione, ossia
trascurando quantità di informazione.
Quindi sei dentro un modello, ma non nel reale, come del resto è
_sempre_ per la capacità umana di costruirsi modelli.
Avere chiaro che "un modello è un modello .. ed il reale è il reale",
sebbene dovrebbe essere chiaro, non sempre lo è.
Non lo è per il nostro desiderio di autorassicurazione in cui -nella
surrealtà- ci culliamo ignorando il gap.
Luciano:
> Mi spiego in altre parole. Se parti dal presupposto che Dio è tutto, allora
> poiché esiste il bene come lo concepiamo per l'umanità, questo stesso bene
> deve esistere anche in Dio.
L:
Esiste come sottoinsieme, non come 1:1.
Luciano:
> Ma se rifiuto il presupposto, non ho nessun
> imbarazzo ad affermare che il bene "umano" non sia dentro Dio.
> Ugualmente affermo che il male (morale) degli uomini non è in Dio.
L:
Il male, nel senso "ciò che _a noi_ sembra male" -> accade -> è quindi
nell'ESSERE.
Che "ciò che _a noi_ sembra male" contamini Dio (ossia sia applicabile
all'etica "sulla sorgente dell'ETHOS"=THEOS, Dio) è un altro paio di
maniche visto che si risponde delle proprie azioni e convinzioni in base
a ciò che ci risultava.
Ora poiché -per assunto- a Dio risulta tutto, ossia nell'ipotesi che il
tutto abbia coscienza soggettiva di sè, la relativa morfenogenosi non
sarà parzialmente squilibrata, ma totalmente consistente.
Inoltre ciò che è consentito ad un uomo -> non lo è -neccessariamente-
per un bambino.
E si dovrebbe intuire che chi disponga di un piano cognitivo superiore
(a ciò che risulta ad un singolo) può essere nelle condizioni di
esprimersi in modo diverso da chi ha una visione parziale di ogni ché.
Ecco perché -spesso- nella mistica risuona:
"Lasciate a Dio ciò che è di Dio!"
Per esempio sul fatto di causare la morte.
> > L:
> > Se cerchi di mettere a fuoco _cosa_ non ti risulta, io ti posso dire
> > perché mi risulterebbe il testo in riferimento.
> > Tu potresti dire:
> > "Non mi risulta nulla".
> > Io ti risponderei:
> > Prova a svolgere una impostazione analitica.
>
> Luciano:
> Provo. Secondo me si può dire che Dio è onnipotente senza dover dire che Dio
> è tutto. E si può dire che Dio sa tutto senza dover dire che è tutto.
> Quanto al concetto di verità, io penso che essa si riferisca alle
> asserzioni, non alle cose. Il fatto che Dio abbia la "completezza del tutto"
> non significa che sia "vero".
> Vera (oppure falsa) può essere solo un'affermazione del tipo: Dio esiste;
> oppure: io mi chiamo Luciano.
> Quanto al concetto di verità assoluta (nel senso di purissima), credo che
> sia del tutto improprio, concettualmente e linguisticamente.
>
L:
Ma come farebbe a sapere "tutto" senza essere tutto?
Ti rendo noto che anche se Dio fosse il tutto (come io e molti
sostengono) potrebbe -il tutto- non avere coscienza di sè.
Anche solo implicare la illazione che Dio abbia coscienza di sè -> è più
una intuizione -> che una cosa facile da poter documentare.
> Luciano:
> Cioè vuoi dire che il male (morale, perché solo di questo sto parlando) non
> è realmente male?
L:
Bisogna specificare le condizioni di Cauchy.
Male per chi?
Male rispetto a che contesto?
Qual'era il set degli input?
Qual'era lo stato del sistema in esame?
Qual'era la funzione di trasferimento in linea diretta e/o
controreazionata?
Luciano:
> Allora in che consiste la morale, se esiste solo il bene,
> e un male che nella realtà non è male?
> Il male morale vero, autentico, non solo apparente, secondo te esiste o no?
L:
Il male come "bastian contrarieria" esiste come tendenza soggettiva, ma
è un'investigazione relativicizzata.
Esploro tale investigazione relativicizzata:
Ossia ambire alla vittoria di parte contro ciò che _a noi stessi_
risulta gridare vendetta agli occhi di Dio, ossia essere contro ciò che
_noi stessi_ risulta basato sulla prevaricazione e contro la verità che
ci risultava è la tendenza di accogliere la sopraffazione, il
distruttivismo.
Nell'icona dell'attività luciferina non vi è la incoscienza che Dio non
avesse diritto a esser nomato "Colui di cui non vi è il maggiore".
Vi è l'invidere che ciò sia nella disponibilità di chi ne abbia i
"titoli" la legittimità alla funzione della completezza e cercare non
una sinergia (fondersi nell'UNO) ma un'antitesi per ambire al potere
anche tramite la mal-versazione.
Eploro invece ora la investigazione assoluta:
Ci si chiede spesso:
Ma -allora- se ciò era male .. perché Dio lo consente?
Per il fatto che proponevo dall'inizio di questa discussione:
Non tutto ciò che relativamente (con un'analisi parziale, da un punto di
vista limitato) sembra male -> poi -> lo è cambiando la base di dati a
cui si possa accedere (anche nell'oriente vi sono molti gustosi aneddoti
sul fatto di come anche "lo stesso fatto" possa esser detto bene o male
al mutare delle informazioni disponibili).
> Sono gli uomini quelli che lo producono? Dopo che lo hanno prodotto, questo
> male vero e autentico risiede anche in Dio?
> Le mie risposte sono sì, sì, no.
E' una questione di "quantità di informazione"
"A chi più sa -> più sarà chiesto".
Se tu inavvertitamente travolgi qualcuno con l'autovettura è diversa
-anche per le leggi dello stato italiano- la sanzione o il piano etico,
se vogliamo dire così, in dipendenza dal tuo stato coscienziale:
-eri ubriaco?
-eri sano di mente?
-stavi parlando al telefonino e hai trascinato una vecchietta per tutto
il percorso del 64 barrato?
etc.
Saluti,
L
> Giuseppe ha scritto:
> > La zanzara 76 ha scritto:
> >> Vorrei porre delle domande: constatato che ci sono delle verità
> >> matematiche inconfutabili (ad esempio che in un triangolo, contenuto
> >> in un piano, la somma degli angoli interni è di 180 gradi, oppure
> >> che 2+2=4),
> >Inconfutabili se .. l'angolo giro è stato posto uguale a 360° e se
> >siamo in un sistema posizionale a base > 4.
> Certo, la scelta della base del sistema numerico e dei gradi
> dell'angolo giro sono convenzionali.
Certo! ma ogni tanto è bene ricordarsene, esserne consapevoli.
Altrimenti potrebbero sembrarci comunque errate, assurde e senza senso
ad es. espressioni del tipo
2 + 2 = 10
1 = 3
che sono invece solo ambigue.
> Ho scelto le unità di misura e
> di conto più comuni: potevo dire che la somma degli angoli interni di
> un triangolo è uguale ad un angolo piatto.
Andava già meglio.
> Cambiano i termini linguistici ma la sostanza non cambia.
A volte, invece, può cambiare e moltissimo (1 = 3)
> >> Cioè Dio avrebbe potuto far sì che la somma
> >> degli angoli del triangolo fosse diversa da 180 gradi o che 2+2 fosse
> >> diverso da 4, oppure la sua volontà si sottomette a tali verità
> >Nelle ipotesi dette .. no, no e sì .. perchè non vuole smentirsi. Fatica
> >già tanto così a far credere che esiste, figurati se incominciasse anche
> >a mostrarsi illogico su cose del genere!
> Non intendevo negare la coerenza di Dio: facevo un discorso ipotetico,
> allo scopo di mostrare come ciò che sembrerebbe assoluto per noi, da
> un altro punto di vista apparirebbe relativo. Certamente Dio ha scelto
> di creare questo mondo (probabilmente ci sarà un motivo) e non torna
> indietro.
E sì .. anche il moto retrogrado dei pianeti era solo apparente!
> Ma volevo dire che ai suoi occhi aveva infinite scelte che
> poteva realizzare con la propria volontà.
Può darsi, ma non possiamo ancora esserne certi.
ciao
Giuseppe
--
In quanto tale (omi-cidio) и una negazione (violenta) di un essente.
Dunque se dici "l'omicidio и l'omicidio" stai giа dicendo che и il male
(negazione di ciт che и).
Non hai bisogno d'altro.
In qualunque modo tu cerchi di descrivere quell'atto, и giа nella sua
descrizione la contraddizione che lo qualifica come male.
> Ovviamente, si trattererа di far sм che l'*omicidio stesso* (cioи il
> termine
> che si distingue nella relazione di identitа "l'omicidio и l'omicidio", la
> quale fa la felicitа e la contentezza del Dio Identico) appaia connesso ad
> una negazione dell'identitа.
Infatti cosм и da qualunque definizione di omicidio.
Omicidio и un atto che impone, a uno che и, di cessare di essere.
Naturalmente, nel momento in cui и, non и nel momento in cui cessa di
essere, come direbbe il divino Jacques.
Ma non и lм il problema di identitа che tu sollevi.
Il problema di violazione di identitа и nel momento in cui quel tale и, ma
nella mente di qualcuno si vuole che non sia.
La contraddizione и dunque in quella mente, e il male и infatti in quella
sede.
L'azione successiva di commettere l'omicidio и solo un tentativo di
realizzare la contraddizione, ossia il far non essere uno che и. Azione
impossibile in termini sincronici ma possibilissima in termini diacronici.
Infatti si ammazza ogni giorno.
Nota: il male in quella mente и un male tutto interno, ed и tale anche se
non ha effetti nel concreto. Il male nel concreto ha un'altra dimensione:
quella sociale. Male morale l'uno e male etico l'altro.
E' in quella sede (mente) che l'omicidio viola il principio di identitа.
Perciт и male prima di essere un fatto.
> Ma allora ci ritroviamo alle prese con
> quell'altro problema che avevo segnalato, e che tu stesso implicitamente
> richiami: se
> ogni cosa и inviolabilmente se stessa, и impossibile che qualcosa non sia
> se stessa;
Ma la violazione puт essere pensata, come dicevo qui sopra.
Puт essere pensata come ogni contraddizione.
E poi puт essere osata nel concreto.
E' impossibile che una cosa non sia se stessa, ma il male esige che non lo
sia, il male essendo istanza del nulla, cioи pura contraddizione.
La menzogna per esempio non fa essere qualcosa diverso da se stesso, ma ne
forza (mentalmente) l'istanza e poi, nel concreto, presenta il falso a chi
non puт verificare il vero, con le conseguenze distruttive del caso. La
calunnia, in prima battuta, non ti fa essere diverso da quello che sei, ma,
una volta iniettata nel tuo mondo, lo modifica, e prima o poi influirа
quindi anche su ciт che tu sei.
Anche qui una doppia struttura della violazione dell'identitа: sincronica
prima (mentale) e diacronica poi (reale). La prima perт resta la piщ
stridente sul piano logico (o della coscienza), mentre la seconda, come
dicevo, ha rilevanza sociale, mentre sul piano logico si difende dietro il
meccanismo del tempo (dunque sul piano logico и meno rilevante, e del resto
и in questa sede che il relativismo fa presa, non nella sede della pura
contraddizione, che и la coscienza, dal momento che... una contraddizione и
una contraddizione).
> c'и dunque un senso in cui la negazione dell'autoidentitа и nulla:
> non esiste.
La negazione dell'autoidentitа non esiste, ma puт essere *affermata* in
quanto negazione (e puт essere anche forzata concretamente in tutta la sua
irrealisticitа, producendo effetti deleteri). Il male и in tale
affermazione, che и contraddizione.
> Quale spazio di realtа, allora, и concesso all'errore etico,
> visto che la fondazione dell'etica sopra la logica dell'identitа implica
> l'identitа tra l'errore etico e la violazione del principio di identitа?
Lo spazio и l'affermazione del falso. Lo spazio и la possibilitа di pensare
e affermare la contraddizione.
> Ovviamente, la risposta a quest'ultima domanda и contenuta in quello che
> dici qui:
>
>> Certamente. Errore etico и pensare/affermare che qualcosa non и ciт che
>> и.
Ecco, appunto.
> Esatto. Non c'и alcunchй che possa essere diverso da sй. Ma ciт non
> implica l'impossibilitа di pensare la diversitа da sй di qualcosa. E
> questo и
> l'unico spazio di realtа che l'errore etico riesce a ritagliarsi, una
> volta che si sia data una fondazione "logica" dell'etica.
Non и poco, come dicevo sopra, ma и l'essenza del male perchй aspirazione al
nulla.
Inoltre non и solo questione di "pensare" qualcosa come diverso da sй, ma di
progettare e poi agire con il fine di far essere un certo qualcosa come
diverso
da sй.
> E allora non ci resta da dimostrare perchй l'omicida и uno che
> pensa/afferma la (una) negazione dell'identitа con sй dell'essente.
Nel senso di cui qui sopra: mentre egli riconosce l'identitа con sй
dell'essente (che significa che и quello che и, in particolare vivo), e
proprio perchй lo riconosce come tale (vivo, ma non gli va che lo sia),
allora *afferma* di non volere che lo sia (in particolare vivo), e dunque
dentro di sй lo vede vivo e non vivo.
> Oppure perchй uno che
> desidera la donna d'altri, и uno che pensa/afferma la (una) negazione
> dell'identitа con sй dell'essente.
Certo, perchй egli sa che "и la donna d'altri" ma pensa di negare questa
realtа. Come sopra, egli la vede come donna d'altri ma al tempo stesso la
vede come propria amante.
Il peccato di Davide и certo nel mandare in prima linea Uria affinchй muoia,
ma solo come conseguenza "sociale" del male commesso nel vedere Betsabea
come moglie di Uria e al tempo stesso come propria amante.
L'intento di negazione della realtа (dell'identitа) и giа errore logico in
sй, ma diventa poi anche errore concreto ("sociale" o etico) una volta che
l'intento diventa progetto e poi azione.
L'intento di negare la realtа и visto in prima istanza (im-mediatamente)
dalla coscienza - che и intollerante della contraddizione, - la quale quindi
puт dissuadere dal progetto e dall'azione concreta di negazione. E cosм
accade per molti, se non per tutti.
Dunque proprio di principio etico sto parlando quando dico che и la
negazione della realtа (questo per me significa negazione del principio di
identitа), cioи la negazione del fatto che un ente и quello che и, a essere
l'errore prima ancora che sia manifesto nell'azione.
> dovremo dimostrare
> l'esistenza di nessi necessari, la cui negazione viene a consistere nella
> negazione dell'identitа di qualcosa. E non solo: se l'omicidio и connesso
> ad
> una negazione dell'identitа, allora - come dirai giustamente qui sotto - и
> impossibile che l'omicida ottenga ciт che vuole o si и proposto di
> ottenere, dunque и impossibile che egli riesca ad uccidere;
Ciт che non и possibile и che la sua vittima sia viva *e* morta. Ma, essendo
viva, egli puт pensarla morta; e in tale situazione и impossibile che il suo
desiderio abbia un qualunque effetto. Per ottenerlo dovrа agire non contro
il principio d'identitа, ma contro l'identitа stessa (il suo contenuto nel
momento in cui и pensata), in modo che in futuro non sia piщ ciт che era in
passato. E' il tempo a interrompere nel concreto l'inviolabilitа
dell'identitа, dal momento che nel tempo essa spontaneamente muta, ossia и
massimamente vulnerabile: uno и sempre quello che и, ma non и mai lo stesso.
> La negazione dell'identitа ha un contenuto nullo, e dunque
> il negatore dell'identitа non otterrа mai ciт che vuole (predica, pensa,
> afferma etc.).
Non *realizzerа* mai la contraddizione. Questo и impossibile.
Ma puт fare in modo che ciт che и oggi non sia ciт che era ieri.
Che non и una contraddizione.
E perт per arrivare a questo deve aver pensato la contraddizione.
> La
> Realtа non consente alla negazione dell'identico di realizzarsi, ma le
> consente quell'unico "grado" di realtа nel quale consiste la realtа del
> negare l'identico, del volere il nulla (cioй: che il nulla sia),
> dell'aspirare alla realizzazione del nulla etc. E va bene.
Questo ho inteso dire. Esattamente.
> Ma dispone, la
> Realtа, del modo di porre termine, con certezza assoluta, a quel negare, a
> quel volere, a quell'aspirare? E' precisamente la domanda che solleva quel
> tuo <<per quanto tempo occorra>>.
Il mio parere и che il tentativo di realizzare la contraddizione pensata
abbia sempre effetti catastrofici perchй serializza temporalmente la
contraddizione per renderla possibile, cosicchй l'essere dell'ente и
lasciato al passato e il non essere dello stesso ente и forzato nel
presente. La catastrofe consiste nel fatto che l'ente non и isolato ma fa
parte integrante di un tessuto che viene lacerato e integralmente mutato
dalla sua scomparsa.
> il negare l'Identico deve essere, prima o
> poi, tolto, superato, oltrepassato. Il che vuol dire, ancora: prima o poi,
> l'errore deve essere riconosciuto. "Di quante divisioni armate dispone, la
> Realtа?":-).
Dico spesso: se tu inciampi (e negare l'identico lo и), la Realtа ha bisogno
di divisioni per vederti cadere?
> Lasciando pure perdere il problema della relazione della dipendenza tra
> realtа e linguaggio, qui, visto che parliamo di etica, abbiamo giа messo i
> piedi sul terreno del sorgere di questioni del tipo: laddove c'и un campo
> di concentramento, c'и il vero o c'и il falso? Se c'и il vero, allora i
> prigionieri di quel campo stanno al caldo (d'altra parte i prigionieri
> sono i prigionieri: eternamente al caldo dell'Identico).
L'identico и caldo se и caldo ed и freddo se и freddo.
Se io dico che uno и identico a se stesso non и che sto dicendo 'nulla', ma
sto dicendo che и quello che и, caldo se и caldo e freddo se и freddo,
piccolo se и piccolo e alto se и alto. "Identitа" non ha solo il significato
di "=", ma se dico che tu sei identico a te stesso sto parlando di te con
tutti i tuoi caratteri.
Dunque non cambia nulla di ciт che ho detto.
Il campo di concentramento и (il tentativo di) realizzazione sequenziale del
male (contraddizione) pensato da qualcuno che vedeva certi vivi come
importuni e quindi nella propria mente li vedeva anche morti.
> Torniamo allora al problema di partenza. Se la nostra fondazione
> dell'etica
> deve garantire l'esser male di un campo di concentramento, allora il campo
> di concentramento stesso deve essere connesso ad una negazione
> dell'identico.
Ma certo: chi lo ha pensato ha visto gi Ebrei vivi & morti nella propria
mente.
Poi ha posto in sequenza le due cose per realizzare la contraddizione
spezzandola nel tempo.
> Occorre che il
> *significato* stesso del campo di concentramento sia una negazione della
> identitа dell'essente con sй
Lo и. Nella sua stessa definizione, come luogo in cui sono inviati degli
essenti pensati/voluti come non essenti per mezzo di quella struttura.
Ciao.
qf
>Certo per un credente
> la legge morale ha origine da Dio, e in questo senso Dio ne è il
> fondamento.
Esatto. E' già sufficiente questa osservazione. Tocco, qui sotto, due punti
molto importanti della tua replica.
> Ma la legge morale descrive e condanna anche il male. Allora Dio sarebbe
> il
> fondamento anche del Male?
Certo. Ma qui di nuovo devo svolgere una considerazione analoga ad un'altra
contenuta nella mia precedente risposta. Dio è il fondamento del Male, nel
senso che è il fondamento dell'esser male del male (cioè, dell'esser male di
ciò che è male). Così come è fondamento del Bene, nel senso che è il
fondamento dell'esser bene del bene (cioè, dell'esser bene di ciò che è
bene). E il Bene è che il male sia male.
> Ma questo non si chiama panteismo?
Dobbiamo allora accordarci sulla definizione del termine "panteismo". Spesso
si intende per "panteismo" l'affermazione della "divinità" della natura. E
il bello è che, letteralmente, questa affermazione la troverai anche sulla
bocca di un papa (mi pare fu Wojtyla, qualche anno fa, a dire che "la natura
è divina"). Ovviamente, si tratta di non farsi giocare dalla
reinterpretazione dei termini: se per la Chiesa la natura è "opera di Dio",
allora un papa può ben dire che "la natura è divina" senza rischiare il
rogo:-).
Se per panteismo intendiamo l'affermazione della *identità* tra Dio e cosmo,
allora direi che tra il panteismo e l'affermazione della impossibilità, per
una cosa, di esistere separatamente dal nesso con il suo fondamento,
intercorre una innegabile differenza di contenuto logico. Negare l'identità
tra Dio ed il mondo non significa necessariamente affermare *quella*
separatezza tra Dio ed il mondo, nella negazione della quale consiste
l'affermazione della impossibilità, per una cosa, di esistere separatamente
dal nesso con quel suo fondamento cui la teologia dà il nome di Dio.
L'impossibilità che il mondo (assieme alle cose in cui esso consiste) esista
separatamente da Dio, si distingue dalla identità tra Dio ed il mondo - allo
stesso modo in cui una *relazione* riesce a distinguersi da (non è cioè la
stessa cosa di) una *identità*. Se una relazione non riuscisse in alcun modo
a distinguersi da una identità, allora l'affermazione della impossibilità di
una separatezza tra Dio ed il mondo, in quanto necessariamente affermazione
di una relazione tra Dio ed il mondo, acquisirebbe necessariamente un
significato panteistico (e qui ho messo un bel po' di carne logica al
fuoco).
E' la relazione tra Dio ed il mondo, che la teologia cattolica non può in
alcun modo negare - ma di cui deve negare la necessità del significato
panteistico. Un mondo che esistesse anche solo per un microsecondo
separatamente da Dio (ovvero, visto che ci viene detto che "Dio è Amore", un
essente che si trovasse anche solo per un microsecondo al di fuori
dell'Amore divino, e dunque in preda ad una sofferenza chiusa in se stessa
etc.), sarebbe l'inesistenza stessa di Dio - ovvero la contraddittorietà del
suo concetto.
Il mondo non è Dio, dice la teologia cattolica - ed in questo senso dobbiamo
affermare che Dio "è separato da" il mondo. Ma il mondo è in relazione a
Dio - ed in questo senso dobbiamo dire che il mondo "non è separato da" Dio.
Dio non è il mondo, ed il mondo non è Dio - ma Dio è *con* il mondo, ed il
mondo è *con* Dio. E' per questa precisa ragione, che per la Chiesa la
pensabilità del mondo esige la pensabilità di Dio - cioè, esige che sia
impossibile pensare il mondo (e tutto ciò che in esso accade etc.) senza
pensare Dio - e che dunque la scienza contemporanea non può riuscire a
pensare (dunque a descrivere, comprendere etc.) il mondo. Ma l'impossibilità
di pensare il mondo senza pensare Dio non implica la necessità della
identità tra i due termini della relazione: Dio ed il mondo.
Un saluto,
Marco
Grazie della risposta approfondita, e delle sottili (e utili) precisazioni.
Mi permetto di riassumerle con parole mie.
Mio padre e mia madre sono il fondamento della mia vita, cioè di me.
Io sono una persona diversa da mio padre e mia madre.
Io sono separato da mio padre e da mia madre, nel senso che posso vivere
anche quando sono lontani.
Io non sono un sottoinsieme di mio padre o di mia madre.
Tieni presente che tutto quel che avevo detto, forse con terminologia meno
precisa della tua, era in risposta a "L", il quale aveva affermato che:
Dio è tutto
Tutto è in Dio
Ogni cosa è un sottoinsieme di Dio.
Scusami, ma se si investiga su Dio, si può arrivare a conclusioni solo per
illazione, perché ci sono poche informazioni; e questo vale per tutti, non
solo per me.
Non è che le informazioni esistano, e io le trascuri.
> Luciano:
> > Mi spiego in altre parole. Se parti dal presupposto che Dio è tutto,
allora
> > poiché esiste il bene come lo concepiamo per l'umanità, questo stesso
bene
> > deve esistere anche in Dio.
>
> L:
> Esiste come sottoinsieme, non come 1:1.
>
> Luciano:
> > Ma se rifiuto il presupposto, non ho nessun
> > imbarazzo ad affermare che il bene "umano" non sia dentro Dio.
> > Ugualmente affermo che il male (morale) degli uomini non è in Dio.
>
> L:
> Il male, nel senso "ciò che _a noi_ sembra male" -> accade -> è quindi
> nell'ESSERE.
Luciano:
Risposta non pertinente. Io parlo del male morale, non delle malattie. Il
male morale non sembra, *è* male, e lo è perché Dio lo definisce tale.
"L"
> "Lasciate a Dio ciò che è di Dio!"
>
> Per esempio sul fatto di causare la morte.
Luciano:
Mi ripeto. Sto parlando del male morale. Tu mi parli della morte, che è un
male fisico, non morale.
> > > L:
> > > Prova a svolgere una impostazione analitica.
> >
> > Luciano:
> > Provo. Secondo me si può dire che Dio è onnipotente senza dover dire che
Dio
> > è tutto. E si può dire che Dio sa tutto senza dover dire che è tutto.
> > Quanto al concetto di verità, io penso che essa si riferisca alle
> > asserzioni, non alle cose. Il fatto che Dio abbia la "completezza del
tutto"
> > non significa che sia "vero".
> > Vera (oppure falsa) può essere solo un'affermazione del tipo: Dio
esiste;
> > oppure: io mi chiamo Luciano.
> > Quanto al concetto di verità assoluta (nel senso di purissima), credo
che
> > sia del tutto improprio, concettualmente e linguisticamente.
> >
>
> L:
> Ma come farebbe a sapere "tutto" senza essere tutto?
Luciano:
Nello stesso modo in cui io so quello che mangiato ieri, senza essere ciò
che ho mangiato ieri.
"L"
> Ti rendo noto che anche se Dio fosse il tutto (come io e molti
> sostengono) potrebbe -il tutto- non avere coscienza di sè.
>
> Anche solo implicare la illazione che Dio abbia coscienza di sé -> è più
> una intuizione -> che una cosa facile da poter documentare.
Luciano:
D'accordo. Che Dio sia un essere dotato di coscienza di sé è cosa che si
crede per fede, non per dimostrazione razionale.
> > Luciano:
> > Cioè vuoi dire che il male (morale, perché solo di questo sto parlando)
non
> > è realmente male?
>
> L:
> Bisogna specificare le condizioni di Cauchy.
> Male per chi?
Luciano:
Replica non pertinente se parliamo del male morale.
Ci si può chiedere : male per chi? solo se parliamo del male economico.
> L:
> Male rispetto a che contesto?
Luciano:
Rispetto a un contesto in cui esiste una legge morale che stabilisce cosa è
bene e cosa è male.
> L:
> Qual'era il set degli input?
Luciano:
Le norme morali suggerite dalla coscienza.
L:
> Qual'era lo stato del sistema in esame?
Luciano:
Uno stato psichico con capacità di intendere e di volere.
L:
> Qual'era la funzione di trasferimento in linea diretta e/o
> controreazionata?
Luciano:
Mi chiedi se uno ha fatto il male dopo essere stato provocato? In questo
caso avrebbe qualche attenuante.
>
> Luciano:
> > Allora in che consiste la morale, se esiste solo il bene,
> > e un male che nella realtà non è male?
> > Il male morale vero, autentico, non solo apparente, secondo te esiste o
no?
>
> L:
> Il male come "bastian contrarieria" esiste come tendenza soggettiva, ma
> è un'investigazione relativicizzata.
>
> Esploro tale investigazione relativicizzata:
>
> Ossia ambire alla vittoria di parte contro ciò che _a noi stessi_
> risulta gridare vendetta agli occhi di Dio, ossia essere contro ciò che
> _noi stessi_ risulta basato sulla prevaricazione e contro la verità che
> ci risultava è la tendenza di accogliere la sopraffazione, il
> distruttivismo.
Luciano:
Perché non fai esempi più terra terra?
Per me un esempio di male, che non è bastiancontrarieria, e non è
relativicizzato, è rapinare la pensione a una vecchietta che esce
dall'ufficio postale. Che non è neanche una vittoria di parte, né
distruttivismo, né contro la verità.
> L:
> Nell'icona dell'attività luciferina non vi è la incoscienza che Dio non
> avesse diritto a esser nomato "Colui di cui non vi è il maggiore".
>
> Vi è l'invidere che ciò sia nella disponibilità di chi ne abbia i
> "titoli" la legittimità alla funzione della completezza e cercare non
> una sinergia (fondersi nell'UNO) ma un'antitesi per ambire al potere
> anche tramite la mal-versazione.
>
> Esploro invece ora la investigazione assoluta:
> Ci si chiede spesso:
> Ma -allora- se ciò era male .. perché Dio lo consente?
>
> Per il fatto che proponevo dall'inizio di questa discussione:
> Non tutto ciò che relativamente (con un'analisi parziale, da un punto di
> vista limitato) sembra male -> poi -> lo è cambiando la base di dati a
> cui si possa accedere (anche nell'oriente vi sono molti gustosi aneddoti
> sul fatto di come anche "lo stesso fatto" possa esser detto bene o male
> al mutare delle informazioni disponibili).
Luciano:
Ripeto ciò che ho detto più sopra. Questo può dirsi del male economico, non
del male morale.
> L:
> > Sono gli uomini quelli che lo producono? Dopo che lo hanno prodotto,
questo
> > male vero e autentico risiede anche in Dio?
> > Le mie risposte sono sì, sì, no.
>
> E' una questione di "quantità di informazione"
>
> "A chi più sa -> più sarà chiesto".
>
> Se tu inavvertitamente travolgi qualcuno con l'autovettura è diversa
> -anche per le leggi dello stato italiano- la sanzione o il piano etico,
> se vogliamo dire così, in dipendenza dal tuo stato coscienziale:
>
> -eri ubriaco?
> -eri sano di mente?
> -stavi parlando al telefonino e hai trascinato una vecchietta per tutto
> il percorso del 64 barrato?
Luciano:
Però non mi hai risposto. Io chiedevo: questo male morale (reale non
apparente) è prodotto dagli uomini? Sottinteso: se non è prodotto dagli
uomini, sarebbe prodotto da Dio.
L:
> >
> > Se tu inavvertitamente travolgi qualcuno con l'autovettura è diversa
> > -anche per le leggi dello stato italiano- la sanzione o il piano etico,
> > se vogliamo dire così, in dipendenza dal tuo stato coscienziale:
> >
> > -eri ubriaco?
> > -eri sano di mente?
> > -stavi parlando al telefonino e hai trascinato una vecchietta per tutto
> > il percorso del 64 barrato?
>
> Luciano:
> Però non mi hai risposto. Io chiedevo: questo male morale (reale non
> apparente) è prodotto dagli uomini? Sottinteso: se non è prodotto dagli
> uomini, sarebbe prodotto da Dio.
L:
Noi -a mio avviso- non conosciamo né il bene assoluto, né il male
assoluto.
Conosciamo -viceversa- ciò che _a noi_ sembra bene, _a noi_ sembra male.
Quindi nonostante tu possa pensare che un fatto sia "male" come concetto
sempre assoluto, lo è in riferimento a ciò che ci risultava.
Infine Dio non è causa dei nostri atti, visto che ci lascerebbe liberi,
quindi siamo _noi_ che dovremmo assumerci la responsabilità dei nostri
atti.
Il paradosso -infine- è solo insito nella erronea divisione tra un Dio
esterno ed iperuranico e "ogni cosa che è" (mentre io sono di avviso
opposto a tale tesi, ossia solo -parmenidianamente- per il concetto di
UNO, della non separazione).
Quindi così come le verità matematiche sono verità relative, ma pur
sempre "in ciò che è",
COSI'
la morale interpretata da chi la sottende è una morale relativa al
relativo piano congitivo, ma assume connotati diversi se vista alla luce
che -pur tuttavia accadendo- aveva il diritto di ESSERE.
Un diritto, si noti, che non trae legittimità dal singolo ente, ma dal
complesso degli enti.
Saluti,
L
aumenta il 'grado' della scala ma la questione non cambia.
esiste un male assoluto che non coincide (o meglio non si sa in che misura
possa coincidere) con il male
'umano' (questo è implicito nella tua affermazione)....se tale male assoluto
esiste (è deve esistere perchè
esiste il bene assoluto ed il male non è altro che il 'non bene' quindi uno
implica/spiega/motiva/da l'es dell'altro) allora
è prodotto da dio.
gli uomini non conoscendo ne potendo arrivare a tale 'assolutismo' del male
non possono esserne creatori, si limitano
ad *usarlo* nella misura a loro accessibile così come accade per 'il bene
assoluto' e il 'bene umano'.
quindi dio che (sempre per tua affermazione) crea nel senso che emana se
stesso è anche il male assoluto.
cosa contraria all'idea di dio che vuoi dimostrare (che poi sarebbe se ho
ben inteso il dio cristiano) se invece dio non fosse
anche il male assoluto allora esisterebbe un'insieme "male assoluto" esterno
a dio e dio non sarebbe più il 'tutto', cioè l'insieme
che include tutti gli altri ma semplicemente un'insieme infinito (ricorda
che esistono i transinfiniti).....
...esisterebbe quindi un'insieme "dio+1" che include l'insieme "dio",
l'insieme "male assoluto" e l'insieme "nulla" (insieme vuoto)
sul qual dibattito aspetto ancora una tua risposta che non confonda un
*modello* con un prodotto del modello stesso.
la matematica degli insiemi è un 'modello' mentra la funzione:
y=f(x)=1/x è un prodotto del sistema della matematica analitica.
"Il punto x=0 è un punto di singolarità per la funzione riportata."
vero questo ma non prova nulla riguardo ciò che si diceva...confondi una
funzione con il modello; e se la funzione ha un punto di sigolarità non
significa il modello matematico sia invalido nel punto x=0...parimenti una
funzione non valida in x=0 non implica che posso considera come insieme
*massimo* un'insieme che non include tutti i sotto insiemi vuoti
[riporto per comprensione parte del post a cui mi sto riferendo che si è
tenuto su icf e che consiglierei di seguire per capire meglio cosa lamento]:
Karso:>> peccato che tu non parli della quantità di pere sulla bancarella ma
del
Karso:>> nulla che è un ente astratto
Karso:>> e del tutto, un ente 'limite' astratto e tormentato da cantor.
Karso:>> al tutto non arrivo con un'addizione altrimenti non sarebbe nato il
Karso:>> concetto di limite.
Karso:>> ma se il tutto non è semplicemente un'addizione (e.Kant) per
passare dal
Karso:>> tutto al nulla non basta una sottrazione.
Karso:>> cmq un insieme che include 'tutto' deve includere sia il kg di pere
sia
Karso:>> il 1/2 kg di pere sia la bancarella vuota che nella tua anologia è
il nulla.
Karso:>> altrimenti avremo un secondo insieme (vuoto) solo per rappresentare
il nulla
Karso:>> (peccato che nulla non sia una quantità e quinti 0 pere) non
incluso
Karso:>> nell'insieme *dio* ed è quindi logico aspettarci un unlteriore
sovrainsieme
Karso:>> che includa l'insime dio e l'insieme nulla.
L: > E' vero vi sarebbe un insieme che dovrebbe includere Dio se Dio non
L: > fosse "Colui di cui non vi è il maggiore".
Karso: quindi la teoria degli insieme non 'rende grazia a dio' e/o non può
essere
Karso: usata per descriverlo
Karso: tranne se non vogliamo assumere dogmi "Colui di cui non vi è il
maggiore"
Karso: per spiegare....
Karso: per spiegare che?
Karso: che tiri in mezzo (con rispetto parlando) a fare la teoria degli
insiemi se
Karso: poi non vuoi sottostare alle sue regole ma chiudi
Karso: il tutto con un dogma che ti dà già la risposta.
Karso: questo non è farsi domande per avere risposte ma cercare le domande
migliori
Karso: per giustificare
Karso: una risposta presa aprioisticamente
L: > Ma ciò contraddirrebbe il concetto di cosa sia Dio nell'ex-sistere
L: > (altro è Dio nell'ESSERE, di cui l'esistere è l'involucro del come ci
L: > appare e quindi c'è un gap tra intuire l'esistenza di Dio e conoscerne
L: > la natura completa).
Karso: se la teoria degli insiemi contradice in qualche modo dio allora o
dio non
Karso: esiste o la teoria non è adatta a descriverlo"
> Conosciamo -viceversa- ciò che _a noi_ sembra bene, _a noi_ sembra male.
questo non cambia il nodo della questione.
ciao
> se invece dio non fosse
> anche il male assoluto allora esisterebbe un'insieme "male assoluto"
> esterno a dio e dio non sarebbe più il 'tutto', cioè l'insieme
> che include tutti gli altri ma semplicemente un'insieme infinito (ricorda
> che esistono i transinfiniti).....
No, no, no. Il male assoluto è il nulla, perciò non può rientrare nel
"tutto" (qualunque cosa si intenda per "tutto").
Il nulla può essere solo un'aspirazione erronea (una contraddizione) della
mente umana, che è libera di spaziare *consapevolmente* in tutte le
direzioni possibili (cioè è libera tout-court). Quindi il nulla (il male) è
unicamente una responsabilità dell'uomo.
Cazzi nostri, per così dire.
Non prendiamocela sempre col governo :-))
e questo su che cosa lo basi?
> perciò non può rientrare nel "tutto" (qualunque cosa si intenda per
> "tutto").
1) che il male assoluto sia il nulla devi prima dimostrarmelo; se si può per
astrazione pensare ad un bene assoluto si può pensare anche ad un male
assoluto
2) il nulla se vuoi dimostrare dio tramite la teoria degli insiemi è un
insieme vuoto e se all'insieme che include tutti gli altri tu vuoi
appiccicare il nome "dio" allora dio comprende per definizione
(insiemisticamente parlando) anche esso
3) se esiste un male assoluto esso è parte di *tutto* se con tutto intendi
'tutto' ... se inveci intendi 'tutto quello che mi fa comodo' allora rimane
un'insieme di ordine superiore che include tutto quello che ti fa comodo più
tutto il resto.....e se tutto quello che ti fa comodo lo chiami dio allora
dio non l'insieme di ordine *massimo*
> Il nulla può essere solo un'aspirazione erronea (una contraddizione) della
> mente umana, che è libera di spaziare *consapevolmente* in tutte le
> direzioni possibili (cioè è libera tout-court). Quindi il nulla (il male)
> è unicamente una responsabilità dell'uomo.
quindi esiste fuori da dio che non è più un insieme che comprende tutti gli
altri?
> Cazzi nostri, per così dire.
> Non prendiamocela sempre col governo :-))
se dio ha creato tutto e tutto è in lui; esistendo il male....
2+2 fa sempre 4 (almeno in modula 10)....il discorso del libero arbitrio va
a parare altrove...
il libero arbitrio non è la creazione del male in se ma la possibilità di
scegliere tra il bene e il male
(siano essi di ente terreno e cioè quelli concepiti dall'uomo, siano essi
trascendentali cioè così come
dio li ha creati).
se definisci dio come l'insieme che comprende tutto allora dio comprende
anche il male...il che spiegherebbe
da dove è andato a pescarlo l'ente che dio ha creato identico a se e che a
lui si è ribellato.....
Sul fatto che, per esempio, mentire è affermare ciò che non è, dunque è
affermare il nulla.
Voler uccidere è voler far non-essere quancuno che è, dunque è affermare il
nulla.
Rubare è voler essere ciò che non si è e voler far essere altri ciò che non
sono, ergo è affermare il nulla.
E così via.
>
> > perciò non può rientrare nel "tutto" (qualunque cosa si intenda per
> > "tutto").
>
> 1) che il male assoluto sia il nulla devi prima dimostrarmelo; se si può
per
> astrazione pensare ad un bene assoluto si può pensare anche ad un male
> assoluto
L'affermazione-istanza del non-essere nell'ambito dell'essere non può che
essere il male assoluto. Nulla infatti richiede pensiero e proposito più
distruttivo, neppure un'invasione di barbari che non facciano prigionieri o
mangino i bambini.
> 2) il nulla se vuoi dimostrare dio tramite la teoria degli insiemi
Mai preteso di esercitarmi in simili ingenuità.
> è un insieme vuoto
"insieme vuoto" è un ossimoro (oltre ad avere altri difetti logici), perciò
lo evito accuratamente anche se sta scritto su tutti i libri di matematica.
> e se all'insieme che include tutti gli altri tu vuoi
> appiccicare il nome "dio" allora dio comprende per definizione
> (insiemisticamente parlando) anche esso
Se tu aggiungi al tuo ricco portafoglio il nulla, sei diventato ancora più
ricco?
Tu ripeti qui uno degli errori logici che si annidano nella teoria degli
insiemi da tempo immemorabile: quello di considerarli come una sorta di
contenitori (dei quali si possa dire che sono pieni o "vuoti"), il che è
totalmente assurdo.
Anche sommare infiniti nulla non dà nulla, mentre sommare anche solo due
contenitori (seppure vuoti) dà due. Vai a vedere in una fabbrica di scatole
da imballo: ce ne sono a migliaia vuote - ma la somma di tutto ciò che
contengono è nulla. Quindi vediamo di non confondere gli insiemi (o le
classi) con dei contenitori, che non fa bene alla digestione.
> 3) se esiste un male assoluto esso è parte di *tutto* se con tutto intendi
> 'tutto' ... se inveci intendi 'tutto quello che mi fa comodo'
Non fa certo comodo alla logica (a parte i miei gusti personali) dire che il
nulla è parte del tutto.
Fa anzi sorridere.
> allora rimane un'insieme
s.m. immagino
> di ordine superiore che include tutto quello che ti fa comodo più
> tutto il resto.....e se tutto quello che ti fa comodo lo chiami dio allora
> dio non l'insieme di ordine *massimo*
Ripeto che non sono in questione i miei gusti.
Io ho provato però, per venirti incontro, a infilare parecchi nulla nel mio
portafoglio (era proprio zeppo di nulla) e poi ad andare a far spese per
Natale. Ti assicuro che alla Rinascente non hanno accettato quei nulla in
pagamento. Una commessa biondo platino, dotata di un certo spirito (anche
natalizio), mi ha però preparato una scatola dorata, con tanto di fiocco
rosso, e me l'ha consegnata in cambio di un pacchetto di nulla, anche se ha
voluto dei soldi per le spese d'imballo. Dentro non c'era nulla. Ora è sotto
il mio albero di Natale: se vuoi ci scrivo il tuo nome come strenna
natalizia.
> > Il nulla può essere solo un'aspirazione erronea (una contraddizione)
della
> > mente umana, che è libera di spaziare *consapevolmente* in tutte le
> > direzioni possibili (cioè è libera tout-court). Quindi il nulla (il
male)
> > è unicamente una responsabilità dell'uomo.
>
> quindi esiste fuori da dio che non è più un insieme che comprende tutti
gli
> altri?
Cosa vuol dire "fuori" o "dentro" se non è nulla???
Ovvìa! :-))
> > Cazzi nostri, per così dire.
> > Non prendiamocela sempre col governo :-))
>
> se dio ha creato tutto e tutto è in lui; esistendo il male....
> 2+2 fa sempre 4 (almeno in modula 10)....il discorso del libero arbitrio
va
> a parare altrove...
In base 10 o in altra base, due più due fa sempre quattro.
E il nulla è sempre nulla in ogni base possibile.
Poi fra l'essere e il non-essere, come ricordava il triste principe di
Danimarca, si può scegliere (almeno mentalmente) il non-essere.
Ma il non-essere non è, quindi non riempie la scodella di nessuno.
Però uno è padronissimo di aspirare a una scodella vuota (di esistenza). Qui
sta il libero arbitrio: non te lo impedisce nessuno.
> il libero arbitrio non è la creazione del male in se ma la possibilità di
> scegliere tra il bene e il male
La creazione del male sarebbe la creazione del nulla, dunque la prima parte
della proposizione andrebbe analizzata bene. Ma vedremo poi.
Venendo alla seconda parte, in genere la scelta è fra due oggetti: hai
davanti agli occhi vino rosso o bianco e scegli uno dei due.
Non è così con il bene e il male.
Se infatti il bene è l'essere e il male è (la pretesa-istanza di) non-essere
(con tutti gli errori a catena che comporta anche nel concreto), allora
necessariamente il male non è un oggetto bell'e pronto sul tavolo come il
vino bianco, ma semmai è una sciagurata mancanza di vino :-)
Ma poiché essa consegue alla negazione dell'essere - ossia, per così dire,
del vino - allora è proprio generata (o creata se preferisci) nel suo esser
nulla da colui che esprime la negazione.
Dunque non si tratta di una scelta, ma, davanti alla sola bottiglia di vino
esistente (l'essere), è dichiarare che non esistono né il vino né la vite,
e, se per caso invece si vede bene che ci sono, è dichiarar guerra la vino e
alla vite (per lapsus keyboardiano avevo scritto 'vita').
Allora ribadisco che il male non è una scelta ma un'iniziativa, che ha ben
più peso in termini di responsabilità.
Davanti al vino rosso o bianco posso fare una scelta sbagliata nel senso che
uno dei due mi dà mal di testa.
Ma davanti all'iniziativa di far scomparire il vino dalla faccia della terra
c'è ben altro, in termini di responsabilità
Prova infatti ad andarlo a dire nell'oltrepò pavese o in Franciacorta!
> (siano essi di ente terreno e cioè quelli concepiti dall'uomo, siano essi
> trascendentali cioè così come dio li ha creati).
Dio che crea il nulla non ce lo vedo.
I fancazzisti sono merce nostra, non merce divina :-)
> se definisci dio come l'insieme che comprende tutto allora dio comprende
> anche il male...
Una riflessione sul concetto di insieme, e un'idea di Dio un po' meno da
manuale elementare di matematica, sotto Natale farebbe bene a tutti.
> il che spiegherebbe
> da dove è andato a pescarlo l'ente che dio ha creato identico a se e che a
> lui si è ribellato.....
L'ente cui alludi (Lucifero) se lo è andato a costruire da sé nel tentativo,
appunto, di negare l'essere - nella bizzarra convinzione di divenir padrone
di qualcosa una volta realizzato il nulla. Non aveva capito che
l'aspirazione al nulla non crea il nulla ma crea catastrofi. Il secolo
scorso è stato indubbiamente il più nichilista di tutta la storia umana, ed
è stato il più denso di orrori e di stragi.
Lucifero è solo il primo nichilista della storia, e talvolta si sveglia
incazzato, come in una notte sul goethiano Montecalvo.
> Sul fatto che, per esempio, mentire è affermare ciò che non è, dunque è
> affermare il nulla.
> Voler uccidere è voler far non-essere quancuno che è, dunque è affermare
> il
> nulla.
> Rubare è voler essere ciò che non si è e voler far essere altri ciò che
> non
> sono, ergo è affermare il nulla.
> E così via.
Eh, è proprio questo sviluppo, questo "e così via" del
voler-far-non-essere-ciò-che-è, o voler-far-essere-ciò-che-non-è, che ti
dovrebbe inquietare non poco, e che taglia alla radice ogni possibilità di
fondare un'_etica_ sull'esser-sé-dell'essente...
Saluti sviluppati,
Surak
Francamente, dato che il male è affermare il nulla (cioè errare [ossia
affermare il non esser sé dell'essente]), mi sembra esattamente il
contrario.
Saluti contrariati (esattamente :-)
qf
>> Eh, è proprio questo sviluppo, questo "e così via" del
>> voler-far-non-essere-ciò-che-è, o voler-far-essere-ciò-che-non-è, che ti
>> dovrebbe inquietare non poco, e che taglia alla radice ogni possibilità
>> di fondare un'_etica_ sull'esser-sé-dell'essente...
>
> Francamente, dato che il male è affermare il nulla (cioè errare [ossia
> affermare il non esser sé dell'essente]), mi sembra esattamente il
> contrario.
Il punto è che, *in quanto essenti*, l'affermazione (teorico/pratica)
dell'esser-sé-dell'essente e l'affermazione (teorico/pratica) del
non-esser-sé-dell'essente sono assolutamente identiche: sono entrambe
essenti. Varierà il loro contenuto specifico, ma *in quanto essenti* sono
identiche. E un'etica che si proponga di esser fondata sull'esser sé
dell'essente, deve proprio guardare a questa foma, non ai contenuti
specifici: altrimenti, non è più un'etica dell'esser sé dell'essente, ma è
un'etica fondata su qualcos'altro - bello e buono finché si vuole, ma sempre
qualcos'altro rispetto al semplice esser-sé-dell'essente.
Ora, volendo che la seconda affermazione non sia (o volendo, in generale,
che la negazione dell'esser sé dell'essente - nelle sue possibili forme
teoretiche e pratiche - non sia; volendo cioè trarre implicazioni e
indicazioni etiche dall'esser-sé-dell'essente), vorresti quindi il non
essere di un essente, cioè di quell'essente in cui consiste tale
affermazione; da questo punto di vista (se guardiamo cioè il semplice
esser-sé-dell'essente), tale volontà etica è contraria
all'esser-sé-dell'essente esattamente quanto lo è quella di chi uccide
qualche milione di persone volendo che quegli essenti non siano, o quanto lo
è qualunque altra volontà che voglia il non essere di qualcosa che è.
Cambierà, ripeto, il loro specifico contenuto, ma *in quanto negazioni (o
tentativi di negazione) dell'esser sé dell'essente*, questa volontà etica e
ciò che condanna sono assolutamente identiche; e, se si guarda invece al
loro specifico contenuto e non alla forma di essenti, ciò che si persegue
non è più un'etica dell'esser-sé-dell'essente, ma qualcos'altro.
Saluti essenti,
Surak
> > Luciano:
> > Però non mi hai risposto. Io chiedevo: questo male morale (reale non
> > apparente) è prodotto dagli uomini? Sottinteso: se non è prodotto dagli
> > uomini, sarebbe prodotto da Dio.
>
> L:
> Noi -a mio avviso- non conosciamo né il bene assoluto, né il male
> assoluto.
>
> Conosciamo -viceversa- ciò che _a noi_ sembra bene, _a noi_ sembra male.
Luciano:
Io ritengo piuttosto che il bene e il male assoluto probabilmente non
esistono; almeno non abbiamo nessun indizio che esistano, e non vedo nessuna
necessità logica per cui debbano esistere.
> L:
> Quindi nonostante tu possa pensare che un fatto sia "male" come concetto
> sempre assoluto, lo è in riferimento a ciò che ci risultava.
>
> Infine Dio non è causa dei nostri atti, visto che ci lascerebbe liberi,
> quindi siamo _noi_ che dovremmo assumerci la responsabilità dei nostri
> atti.
Luciano:
Su queste due affermazioni sono d'accordo.
> L:
> Il paradosso -infine- è solo insito nella erronea divisione tra un Dio
> esterno ed iperuranico e "ogni cosa che è" (mentre io sono di avviso
> opposto a tale tesi, ossia solo -parmenidianamente- per il concetto di
> UNO, della non separazione).
Scusa, ma tu dai per scontato che Dio debba essere il tutto. Io no, e,
scusami ancora, non ho trovato nei tuoi post nessun argomento a sostegno.
Nella visione che tu definisci erronea, poi, non ci vedo niente di
paradossale.
> >> Luciano:
> >> Però non mi hai risposto. Io chiedevo: questo male morale (reale non
> >> apparente) è prodotto dagli uomini? Sottinteso: se non è prodotto dagli
> >> uomini, sarebbe prodotto da Dio.
> >
> > L:
> > Noi -a mio avviso- non conosciamo né il bene assoluto, né il male
> > assoluto.
>
> aumenta il 'grado' della scala ma la questione non cambia.
> esiste un male assoluto che non coincide (o meglio non si sa in che misura
> possa coincidere) con il male
> 'umano' (questo è implicito nella tua affermazione)....se tale male
assoluto
> esiste (è deve esistere perché
> esiste il bene assoluto ed il male non è altro che il 'non bene' quindi
uno
> implica/spiega/motiva/da l'es dell'altro) allora
> è prodotto da dio.
Non condivido. Come ho già scritto in un altro post, non abbiamo nessun
argomento per sostenere che esiste il male assoluto, e neanche il bene
assoluto.
Potrebbero anche esistere, ma sarebbero al di fuori delle nostre possibilità
cognitive.
> gli uomini non conoscendo ne potendo arrivare a tale 'assolutismo' del
male
> non possono esserne creatori, si limitano
> ad *usarlo* nella misura a loro accessibile così come accade per 'il bene
> assoluto' e il 'bene umano'.
No, gli uomini sono creatori delle loro azioni, e quindi del bene e del male
(beninteso non assoluti) insiti in esse.
> quindi dio che (sempre per tua affermazione) crea nel senso che emana se
> stesso è anche il male assoluto.
Scusa, ma stai esagerando nell'interpretarmi in maniera distorta.
Credo di non aver mai detto che la creazione di Dio sia una sua emanazione.
> cosa contraria all'idea di dio che vuoi dimostrare (che poi sarebbe se ho
> ben inteso il dio cristiano)
La concezione cristiana di Dio mi pare la migliore. Però non sono sicuro che
i teologi cristiani approverebbero tutto quello che dico.
> se invece dio non fosse
> anche il male assoluto allora esisterebbe un'insieme "male assoluto"
esterno
> a dio e dio non sarebbe più il 'tutto', cioè l'insieme
> che include tutti gli altri ma semplicemente un'insieme infinito (ricorda
> che esistono i transinfiniti).....
Proprio così. Secondo me Dio non è "il tutto", pur essendo infinito.
> ...esisterebbe quindi un'insieme "dio+1" che include l'insieme "dio",
> l'insieme "male assoluto" e l'insieme "nulla" (insieme vuoto)
> sul qual dibattito aspetto ancora una tua risposta che non confonda un
> *modello* con un prodotto del modello stesso.
La risposta è semplice: Dio non è tutto. Tutto il resto che dico non è in
contraddizione con questa affermazione.
Tu piuttosto dovresti essere un poco in imbarazzo, quando ti faccio notare
che, dopo aver definito Dio come "il tutto", devi attribuirgli anche il male
assoluto.
Alt! :-)
Non è possibile l'affermazione "pratica" del non-esser-sé-dell'essente e
neppure del contrario.
La seconda è inutile pronunciarla (se non per compiacere il divino Jacques
de Chabanne, sempiterno signore di Lapalisse :-) mentre la prima può essere
solo pensata o detta. La contraddizione può essere solo "mentale" o
"verbale", mai reale.
Perciò ho sostenuto che del male siamo pienamente responsabili: in quanto
"padroni" del nostro pensiero e della nostra parola. Per il resto, tentando
di portare la contraddizione nel reale, facciamo solo casino.
Infatti - ho anche aggiunto - il tentativo di "passare alle vie di fatto"
che dall'universo sincrono della contraddizione mentale/verbale intende
passare all'universo sequenziale del tempo [dove si possono mettere in
successione l'essere (di un certo ente) e il non essere (di ciò che tale
ente *era*)] qualcosa fa: anzi produce catastrofi proprio perché fondato su
un progetto/programma contraddittorio. Non si riuscirà mai a far non essere
un essere umano, neppure uccidendolo e poi bruciandolo nei forni dei campi
che ora si vogliono negare, ma le catastrofi che seguiranno a
quell'insensato tentativo di portare nel reale la contraddizione virtuale
saranno immani.
In altre parole: il male concreto non consiste in una contraddizione reale,
che sarebbe la contraddizione nella contraddizione, ma nello sprovveduto
tentativo di trasferire la contraddizione dal virtuale al reale, che è come
gettare sabbia in un meccanismo che nessuno comunque potrà fermare. Si
metterà a funzionare da cani :-), ma nessuno lo può fermare: nessuno e
niente può fermare infatti la realtà.
Non si può introdurre il nulla nel reale.
> sono entrambe
> essenti. Varierà il loro contenuto specifico, ma *in quanto essenti* sono
> identiche.
No. Come vedi, non sono identiche (la prima è lapalissiana, la seconda
invece è problematica) né vi si può aggiungere l'attributo "pratico".
Il fatto che si possano pronunciare - ossia che siano "essenti" in quanto
proposizioni - non le esonera dall'avere o non avere senso.
E poiché hanno il senso che hanno, per tale senso vanno considerate, non per
essere una selezione a capocchia di parole da un dizionario.
Quando parliamo di etica - e di questa stiamo parlando - non stiamo parlando
di proposizioni pur ben formate mediante termini presi a caso da un
dizionario.
Nossignore: parliamo di ***senso***.
> E un'etica che si proponga di esser fondata sull'esser sé
> dell'essente, deve proprio guardare a questa foma, non ai contenuti
> specifici: altrimenti, non è più un'etica dell'esser sé dell'essente, ma è
> un'etica fondata su qualcos'altro - bello e buono finché si vuole, ma
sempre
> qualcos'altro rispetto al semplice esser-sé-dell'essente.
L'etica della forma la lascio ai burocrati. Sull'etica dei significati (del
senso) trovo invece che vale la pena discutere.
Anche quando faccio della programmazione, benché costretto a usare il
linguaggio più formale che si possa immaginare, la mia attenzione è alla
funzione che sto realizzando, ossia al senso, non a un listato (codice) che
la meccanica di una banale routine di diagnostica della forma può
correggere.
Quindi ho l'impressione che stiamo parlando di cose molto diverse.
E' ovvio che dalla forma non si può trarre nessuna etica. Se era questo il
tuo punto, beh, hai sfondato una porta che neppure c'era :-)
Saluti.
qf
be dio stesso 'dovrebbe' essere fuori dalle nostre capacità cognitive (sia
come dio che per
il fatto che il bene assoluto è solo una delle qualità 'assolutistiche' di
cui gode)...
eppure nonostante i fiumi di parole spesi da filosofi e scienziati
sull'indimostrabilità di dio
tramite la scienza (la corrente 'agnostica' non nasce dal nulla e trova
negli scienziati ivi inclusi
i matematici che di 'modello' degli insiemi magari ne capiscono più di noi i
maggiori sostenitori)
si tenta ancora di dimostrare (perchè descrivere vuol dire anche dimostrare
implicitamente) l'esistenza
di dio con il giochetto degli insiemi.
non puoi liquidare tutto dicendo che per quello che ne sappiamo.....per
quello che ne sappiamo dio
non esiste; il bene assoluto neanche e il male assoluto neanche.
bene e male assoluto sono un astrazione di un concetto già astratto di suo.
bene e male non significano un bel niente già senza considerarli assoluti;
il bene e il male 'umani' cambiano
in base alle coordinate spaziali e temporali e i presupporsti "bene
assoluto", "male assoluto" sono solo astrazioni
in assoluto di queste astrazioni base che esistono solo là dove esiste uno
'stato' (quegli apici implicano molto percui
tratta la parola con le pinzette) in grado di imporre una retorica ed in
grado di autodifendersi dalla retorica altrui e da
attacchi ad esso ....tale retorica disegnerà cosa è bene e cosa è
male....stato (condizioni culturali, credenze, epoche storiche,
licello di progresso, etc) diverso -> regole diverse.
il bene assoluto che "l" vuole a forza includere in dio è di fatto
un'astrazione del concetto di bene che ci siamo formati così come lo è il
male assoluto....ontologicamente il bene e il male sono identici; qualsiasi
confutazione sulla non esistenza di uno dei due vale automaticamente anche
per l'altro. (non saprei spiegarlo meglio di come ha fatto "surak" due post
sopra)
>
>
>
>> gli uomini non conoscendo ne potendo arrivare a tale 'assolutismo' del
> male
>> non possono esserne creatori, si limitano
>> ad *usarlo* nella misura a loro accessibile così come accade per 'il bene
>> assoluto' e il 'bene umano'.
>
> No, gli uomini sono creatori delle loro azioni, e quindi del bene e del
> male
> (beninteso non assoluti) insiti in esse.
mi pare che diciamo la stessa cosa?!
>
>
>> quindi dio che (sempre per tua affermazione) crea nel senso che emana se
>> stesso è anche il male assoluto.
>
> Scusa, ma stai esagerando nell'interpretarmi in maniera distorta.
> Credo di non aver mai detto che la creazione di Dio sia una sua
> emanazione.
perdonami ma "luciano" e "l" sono in realtà la stessa persona?
io sto rispondendo a "l" che in icf ha detto che dio non crea nel senso di
creare ma:
"L: Prova a rifondare il canone che conosci:
L: Dio non fa *puff* e crea dal nulla.
L: Dio genera da egli stesso che è sempre stato."
>
>
>
>> cosa contraria all'idea di dio che vuoi dimostrare (che poi sarebbe se ho
>> ben inteso il dio cristiano)
>
> La concezione cristiana di Dio mi pare la migliore. Però non sono sicuro
> che
> i teologi cristiani approverebbero tutto quello che dico.
>
leggendo il post per intero sono contento per te che il medioevo è finito se
no
finivi a tenermi compagnia in qualche scantinato di 'confessione' degli
inquisitori :D
>
>
>> se invece dio non fosse
>> anche il male assoluto allora esisterebbe un'insieme "male assoluto"
> esterno
>> a dio e dio non sarebbe più il 'tutto', cioè l'insieme
>> che include tutti gli altri ma semplicemente un'insieme infinito (ricorda
>> che esistono i transinfiniti).....
>
> Proprio così. Secondo me Dio non è "il tutto", pur essendo infinito.
allora non puoi essere "l" che invece vuole proprio dimostrarmi che dio è
"TUTTO"
>
>
>
>> ...esisterebbe quindi un'insieme "dio+1" che include l'insieme "dio",
>> l'insieme "male assoluto" e l'insieme "nulla" (insieme vuoto)
>> sul qual dibattito aspetto ancora una tua risposta che non confonda un
>> *modello* con un prodotto del modello stesso.
>
> La risposta è semplice: Dio non è tutto. Tutto il resto che dico non è in
> contraddizione con questa affermazione.
> Tu piuttosto dovresti essere un poco in imbarazzo, quando ti faccio notare
> che, dopo aver definito Dio come "il tutto", devi attribuirgli anche il
> male
> assoluto.
perchè?
io dio lo definisco come un'atto di fede che non compio.
la discussione al massimo la possiamo mettere sul:
chiamare con il nome "dio" l'insieme tutto....e quell'insieme allora deve
contenere tutto ma proprio
tutto non solo le qualità/quantità che ci fanno comodo.
per quel che mi riguarda hai detto lo stesso che sto dicendo io:
dio non è tutto; quindi non è l'insieme *massimo*.
poi anche dopo varie richieste non ho ricevuto risposta e non so se "l"
vuole concepire dio tramite gli insiemi o se "l" vuole
chiamare "dio" l'insieme che include tutto....
>
>
>
>
>
>> Il punto è che, *in quanto essenti*, l'affermazione (teorico/pratica)
>> dell'esser-sé-dell'essente e l'affermazione (teorico/pratica) del
>> non-esser-sé-dell'essente sono assolutamente identiche:
>
> Alt! :-)
> Non è possibile l'affermazione "pratica" del non-esser-sé-dell'essente e
> neppure del contrario.
> La seconda è inutile pronunciarla (se non per compiacere il divino Jacques
> de Chabanne, sempiterno signore di Lapalisse :-) mentre la prima può
> essere
> solo pensata o detta. La contraddizione può essere solo "mentale" o
> "verbale", mai reale.
Njet, con quell'_affermazione teorico/pratica_ non facevo altro (in primo
luogo) che richiamare quanto avevi appena scritto, e cioè che "Voler
uccidere è voler far non-essere quancuno che è, dunque è affermare il nulla.
Rubare è voler essere ciò che non si è e voler far essere altri ciò che non
sono, ergo è affermare il nulla". Parole tue, quindi, che io mi limitavo a
riprendere e a sottoscrivere con quell' "affermazione teorico/pratica"...
Affermazione teorico/pratica, dunque, come considerare, volere e trattare
l'essente come se fosse un nulla (indipendentemente da che cosa realmente
ottengano poi i mortali): la fede e le opere dell'Occidente, potrei chiosare
da parte mia.
[...]
> In altre parole: il male concreto non consiste in una contraddizione
> reale,
> che sarebbe la contraddizione nella contraddizione, ma nello sprovveduto
> tentativo di trasferire la contraddizione dal virtuale al reale, che è
> come
> gettare sabbia in un meccanismo che nessuno comunque potrà fermare. Si
> metterà a funzionare da cani :-), ma nessuno lo può fermare: nessuno e
> niente può fermare infatti la realtà.
> Non si può introdurre il nulla nel reale.
Ma se veramente "non si può introdurre il nulla nel reale", questa non sarà
appunto un'*etica*, sarà solo l'enunciazione di uno stato di fatto.
Viceversa, se vorrà essere un'*etica* (e come tale proporre la scelta di
qualcosa anziché qualcos'altro - del non uccidere anziché dell'uccidere, per
esempio), non lo farà in base all'esser sé dell'essente, ma in base a tutta
un'altra serie di considerazioni contenutistiche e preferenziali: per
esempio, che l'ordine è meglio dei "casini" che seguono quando si cerca di
introdurre il nulla nel reale, o che il funzionare bene è meglio del
"funzionare da cani", o che il non uccidere è meglio dell'uccidere. Tutte
cose che possono anche essere belle e buone, ripeto, ma che non c'entrano
nulla con il salvaguardare l'esser sé dell'essente: sul piano dell'esser sé
dell'essente, *sono* tanto l'ordine quanto i casini, tanto il funzionare
bene quanto il funzionare da cani, tanto l'uccidere quanto il non uccidere.
Proprio perché l'esser sé dell'essente, per sua fortuna, si salvaguarda da
sé senza bisogno che i mortali intervengano in sua difesa, un'etica che si
proponga di salvaguardarlo è, in realtà, un'etica che si propone di
sacrificare certi essenti a certi altri essenti, e dunque una volontà di
negarlo. Come ogni etica, del resto, anche se fra l'una e l'altra etica
cambiano solitamente gli essenti da salvaguardare. Ma l'*essente in quanto
essente* è già stato considerato come ciò che è disponibile all'essere e al
nulla, a discrezione dell'agire etico che dice questo essente sì, questo
essente no: *in corde tuo*, l'essente in quanto essente l'hai già
violentato - anche se, per sua fortuna, è munito di una buona cintura di
castità, e non si lascia quindi violentare tanto facilmente... ^__-
Saluti cinturati,
Surak
mi dici: "mentire è affermare....." quindi mentire *è* il contenuto della
sua essenza non conta
specie nel modello matematico degli insiemi
> Voler uccidere è voler far non-essere quancuno che è, dunque è affermare
> il
> nulla.
se uccidere fosse il nulla allora non si potrebbe uccidere.
invece di omicidi c'è ne sono purtroppo;
lo stesso vale per *l'intenzionalità volitiva* 'messa in atto' nell'atto di
uccidere:
se fosse nulla non produrebbe l'atto stesso.
> Rubare è voler essere ciò che non si è e voler far essere altri ciò che
> non
> sono, ergo è affermare il nulla.
rubare non è affermare qualcosa ma compiere un'azione.
si ruba a volte per sopravvivere.
vale per esso quello detto sopra...
> E così via.
penso che non sarei capace di risponderti meglio di "surak" che a ben
sintentizzato il mio pensiero.
il così vià poi crea altre perplessità:
un cancro è nulla?
perchè un cancro nella concezione comune (che separe in bene e male) è un
male,
se il cancro è nulla allora proprio non capisco perchè la gente muore di
nulla.
ma se fosse un "voler far non-essere" come hai ipotizato per l'omicidio
(visto che il cancro uccide) allora
dovrei ipotizare il cancro come ente volitivo?
evidentemente no...il cancro non ha volonta propria ma neanche è generato da
azioni umane (e lascia stare il fumo
o il mangiare sano perchè il cancro può venirti anche se hai la miglior
alimentazione possibile e se non fumi)...
il cancro quindi è 'caso'? ma al caso non attribuivamo un disegno divino?
il cancro è opera di dio, è fuori dal controllo di dio (e dall'insieme dio)
o è un nulla con volontà propria e libero arbitrio?
>
>>
>> > perciò non può rientrare nel "tutto" (qualunque cosa si intenda per
>> > "tutto").
>>
>> 1) che il male assoluto sia il nulla devi prima dimostrarmelo; se si può
> per
>> astrazione pensare ad un bene assoluto si può pensare anche ad un male
>> assoluto
>
> L'affermazione-istanza del non-essere nell'ambito dell'essere non può che
> essere il male assoluto. Nulla infatti richiede pensiero e proposito più
> distruttivo, neppure un'invasione di barbari che non facciano prigionieri
> o
> mangino i bambini.
oltre la già citata risposta di "surak" che condivido, quoto e ringrazio per
aver espresso
in maniera tanto formale ed elegante (forse ancora fuori dalla mia portata
che sono solo
un novellino) c'è da dire che questa frase è così ricca di apriorie da non
poter essere
presa per buona.
la prima è quella che già surak ha replicato
la seconda è il tuo associare il distruttivo al male il che implica 2 errori
di fondo:
1) se il male *è* ha sufficienza da poterne anche descrivere le 'proprietà'
come fai a dire che non è?
2) che distruggere sia = male è un'aprioria frutto della retorica cristiana;
in alcune interpretazioni dell'induismo shivaista shiva si manifesta in 3
modi diversi
(e qui per manifestarsi intendo alla maniere del mistero della trinità cioè
è 1 e trino)
semplificando enormemente una di essa funge da bilancia di misura, da
elemento di controllo
per decidere quando debbano entrare in gioco le altre due le quali
semplicemente incarnano
lo shiva distruttore (colui che portera la distruzione, la fine dei tempi)
la prima e lo shiva costruttore
che ricrea il creato la seconda.
nell'ottica shivaista distruggere non è male ma un passaggio per costruire
esattamente come
nell'ottica cattolico-cristiana la morte non è un male ma un passaggio a
un'altra vita.
allora mi chiedo su quali basi associ il distruggere al male?
stai qualificando il male come un ente che distrugge?
ma il nulla può essere qualificato?
conosci il disegno di dio (sia anche solo quello cristiano) per dire che
distruggere è male e costruire
è bene?
perchè gli shivaisti non la vedrebbero così sempicistica la cosa
3) ma il giorno del giudizio universale dio che metterà fine hai tempi non
compierà un'azione 'male' se distruggere qualcosa è male?
infatti mettere fine al tempo, al mondo etcetc vuol dire: voler che il
tempo non-sia; che il non-mondo etctetc
vedi come le tue parole ti tornano dietro a boomerang
>
>> 2) il nulla se vuoi dimostrare dio tramite la teoria degli insiemi
>
> Mai preteso di esercitarmi in simili ingenuità.
meno male
>
>> è un insieme vuoto
>
> "insieme vuoto" è un ossimoro
anche il bene e il male sono figure retoriche sai
> (oltre ad avere altri difetti logici),
non credo proprio.
non solo la matematica ma persino in informatica si tiene conto dell'insieme
vuoto.
nominami questi difetti logici per cortesia che sono curioso di accrescere
le mie competenze.
> perciò
> lo evito accuratamente anche se sta scritto su tutti i libri di
> matematica.
insomma citi il modello degli insiemi ma lo tagli e cuci a tua comodità.
è evidente che se devi epurare un modello matematico e plasmarlo perchè
ricopra a dovere un tua
teoria quel modello matematico non è adatto a descrivere la tua teoria.
>
>> e se all'insieme che include tutti gli altri tu vuoi
>> appiccicare il nome "dio" allora dio comprende per definizione
>> (insiemisticamente parlando) anche esso
>
> Se tu aggiungi al tuo ricco portafoglio il nulla, sei diventato ancora più
> ricco?
no ma non pretendo neanche di dire che il mio portafoglio è l'insieme che
include
tutti gli altri insieme altrimenti per semplice tautologia dovrebbe
includere anche tutti gli insiemi
vuoti e l'insieme nulla
> Tu ripeti qui uno degli errori logici che si annidano nella teoria degli
> insiemi da tempo immemorabile: quello di considerarli come una sorta di
> contenitori (dei quali si possa dire che sono pieni o "vuoti"), il che è
> totalmente assurdo.
scusa se sempro sarcastico ma lo hai fatto presente ai matematici
teorici....
magari ci scappa un nobel
> Anche sommare infiniti nulla non dà nulla, mentre sommare anche solo due
> contenitori (seppure vuoti) dà due.
a be se siamo al livello che confondi l'aggregazione di enti con contenitori
allora
il nobel te lo scordi
> Vai a vedere in una fabbrica di scatole
> da imballo: ce ne sono a migliaia vuote - ma la somma di tutto ciò che
> contengono è nulla. Quindi vediamo di non confondere gli insiemi (o le
> classi) con dei contenitori, che non fa bene alla digestione.
infatti, peccato che sei tu a confondere le cose
>
>> 3) se esiste un male assoluto esso è parte di *tutto* se con tutto
>> intendi
>> 'tutto' ... se inveci intendi 'tutto quello che mi fa comodo'
>
> Non fa certo comodo alla logica (a parte i miei gusti personali) dire che
> il
> nulla è parte del tutto.
> Fa anzi sorridere.
non direi
>
>> allora rimane un'insieme
>
> s.m. immagino
s.m. è acronimo di cosa scusa?
>
>> di ordine superiore che include tutto quello che ti fa comodo più
>> tutto il resto.....e se tutto quello che ti fa comodo lo chiami dio
>> allora
>> dio non l'insieme di ordine *massimo*
>
> Ripeto che non sono in questione i miei gusti.
e chi dice il contrario
> Io ho provato però, per venirti incontro, a infilare parecchi nulla nel
> mio
e come hai fatto se il nulla non è?
per caso ti confondi con l'azione di infilare nel portafoglio una
non-banconota
> portafoglio (era proprio zeppo di nulla) e poi ad andare a far spese per
> Natale.
il mio portafoglio non è l'insieme che include tutti gli altri insiemi ma un
insieme
che include un numero finito e limitato di altri sottoinsiemi.
ovvio che l'insieme nulla != dai sotto insiemi banconote altrimenti sarebbe
appunto un sotto insieme
banconota e non l'insieme nulla....ma mi pare che qua stiamo in 3 elementare
> Ti assicuro che alla Rinascente non hanno accettato quei nulla in
> pagamento.
ma va?
e ti sei chiesto la differenza tra il nulla e le banconote o hai litigato
con la cassiera?
> Una commessa biondo platino, dotata di un certo spirito (anche
> natalizio), mi ha però preparato una scatola dorata, con tanto di fiocco
> rosso, e me l'ha consegnata in cambio di un pacchetto di nulla, anche se
> ha
> voluto dei soldi per le spese d'imballo. Dentro non c'era nulla. Ora è
> sotto
> il mio albero di Natale: se vuoi ci scrivo il tuo nome come strenna
> natalizia.
se vuoi puoi anche scriverlo non mi offendo.
la prossima volta però prima di confondere aggregazioni con contenitori e
insiemi
di tipo X con insiemi di tipo Y fermati a pensarci...eviterai brutte figure
alla rinascente
>
>> > Il nulla può essere solo un'aspirazione erronea (una contraddizione)
> della
>> > mente umana, che è libera di spaziare *consapevolmente* in tutte le
>> > direzioni possibili (cioè è libera tout-court). Quindi il nulla (il
> male)
>> > è unicamente una responsabilità dell'uomo.
>>
>> quindi esiste fuori da dio che non è più un insieme che comprende tutti
> gli
>> altri?
>
> Cosa vuol dire "fuori" o "dentro" se non è nulla???
> Ovvìa! :-))
"se non è nulla"
potrei scrivere 12 mln di righe solo su questa singolarità linguistica....
hai presente la matematica degli insiemi?
io direi di no.
>
>> > Cazzi nostri, per così dire.
>> > Non prendiamocela sempre col governo :-))
>>
>> se dio ha creato tutto e tutto è in lui; esistendo il male....
>> 2+2 fa sempre 4 (almeno in modula 10)....il discorso del libero arbitrio
> va
>> a parare altrove...
>
> In base 10 o in altra base, due più due fa sempre quattro.
> E il nulla è sempre nulla in ogni base possibile.
tautologico!
> Poi fra l'essere e il non-essere, come ricordava il triste principe di
> Danimarca, si può scegliere (almeno mentalmente) il non-essere.
> Ma il non-essere non è, quindi non riempie la scodella di nessuno.
anche essere non riempe le scodelle di nessuno.
ma ripeto l'esposizione di surak supera di lunga la mia capacità sintattica
> Però uno è padronissimo di aspirare a una scodella vuota (di esistenza).
> Qui
> sta il libero arbitrio: non te lo impedisce nessuno.
la scodella è piena d'aria per cominiciare.
il libero arbitrio sta ben oltre quello che dici tu soprattutto secondo la
religione
cristiana che spiega in maniera dettagliata il libero arbitrio come la
possibilità di
scegliere tra bene e male.
evidentemente non ricordi (o non sai) le radici del cristianesimo che sono
di tipo
ellenistico.
ti consiglio d fare un pò di ricerche in tal senso prima di parlare di
libero arbitrio così
alla leggera
>
>> il libero arbitrio non è la creazione del male in se ma la possibilità di
>> scegliere tra il bene e il male
>
> La creazione del male sarebbe la creazione del nulla,
solo perchè hai posto il dogma (già sfatato) male = nulla
> dunque la prima parte
> della proposizione andrebbe analizzata bene. Ma vedremo poi.
> Venendo alla seconda parte, in genere la scelta è fra due oggetti: hai
> davanti agli occhi vino rosso o bianco e scegli uno dei due.
> Non è così con il bene e il male.
> Se infatti il bene è l'essere e il male è (la pretesa-istanza di)
> non-essere
> (con tutti gli errori a catena che comporta anche nel concreto), allora
> necessariamente il male non è un oggetto bell'e pronto sul tavolo come il
> vino bianco, ma semmai è una sciagurata mancanza di vino :-)
ma neanche il bene è un'oggetto sul tavolo
> Ma poiché essa consegue alla negazione dell'essere - ossia, per così dire,
> del vino - allora è proprio generata (o creata se preferisci) nel suo
> esser
> nulla da colui che esprime la negazione.
ma va....stai solo ripetendo un'aprioria
il male != nulla
leggi i posti in risposta a te e luciano (anche da parte di altri utenti)
> Dunque non si tratta di una scelta, ma, davanti alla sola bottiglia di
> vino
> esistente (l'essere), è dichiarare che non esistono né il vino né la vite,
si questo lo hai già detto....non siamo alle politiche...ripeterlo 1000
volte non lo rende vero
> e, se per caso invece si vede bene che ci sono, è dichiarar guerra la vino
> e
> alla vite (per lapsus keyboardiano avevo scritto 'vita').
> Allora ribadisco che il male non è una scelta ma un'iniziativa, che ha ben
> più peso in termini di responsabilità.
> Davanti al vino rosso o bianco posso fare una scelta sbagliata nel senso
> che
> uno dei due mi dà mal di testa.
> Ma davanti all'iniziativa di far scomparire il vino dalla faccia della
> terra
> c'è ben altro, in termini di responsabilità
> Prova infatti ad andarlo a dire nell'oltrepò pavese o in Franciacorta!
>
>> (siano essi di ente terreno e cioè quelli concepiti dall'uomo, siano essi
>> trascendentali cioè così come dio li ha creati).
>
> Dio che crea il nulla non ce lo vedo.
finchè continui a dogmatizzare il male == nulla sarà difficile andare
avanti...
a me i dogmi danno fastidio.
dato che poi il nulla *è* se è e dio ha creato tutto quello che *è* allora
lui
deve averlo creato...e sono io a dirlo:
dio che crea il nulla è un bel rompicapo non trovi.....già certo se può
andare
il mistero della trinità perchè non anche questo...ma quella è fede e non
matematica
degli insiemi o filosofia
> I fancazzisti sono merce nostra, non merce divina :-)
sono fuori dall'insieme dio?
>
>> se definisci dio come l'insieme che comprende tutto allora dio comprende
>> anche il male...
>
> Una riflessione sul concetto di insieme, e un'idea di Dio un po' meno da
> manuale elementare di matematica, sotto Natale farebbe bene a tutti.
guarda che non sono io a voler definire dio con il manuale di matematica
anzi io voglio dimostrare come (secondo me) ciò non sia fattibile.
poi sotto natale farsi le visioni di dio servirebbe tanto quanto il giubileo
del 2000....
non era meglio investire tutti quei soldi ed energie per aiutare la vicina
di casa che magari
moriva di fame sola e abbandonata invece di farsi milano-roma (per citare un
caso) a piedi
in segno di devozione.
al mondo c'è tanta religione per far si che l'uomo si odi ma non perchè si
ami.
chi lo disse? (non io cmq)
>
>> il che spiegherebbe
>> da dove è andato a pescarlo l'ente che dio ha creato identico a se e che
>> a
>> lui si è ribellato.....
>
> L'ente cui alludi (Lucifero) se lo è andato a costruire da sé
ohhhhhh lucifero crea cose che non sono nel creato di dio?
forte; ecco perchè alcuni venerano lucifero.
> nel tentativo,
> appunto, di negare l'essere - nella bizzarra convinzione di divenir
> padrone
> di qualcosa una volta realizzato il nulla.
da dove l'hai presa questa interpretazione?
lucifero semplicemente voleva la democrazia in paradiso e a dio non piacque
:)
> Non aveva capito che
> l'aspirazione al nulla non crea il nulla ma crea catastrofi. Il secolo
> scorso è stato indubbiamente il più nichilista di tutta la storia umana,
> ed
> è stato il più denso di orrori e di stragi.
> Lucifero è solo il primo nichilista della storia, e talvolta si sveglia
> incazzato, come in una notte sul goethiano Montecalvo.
si dai basta tanto contisci tutto con "nulla" di quà e "nulla" di là, fuori
contesto
e senza ragione di sorta...adesso lucifero voleva il nulla....lucifero
voleva il tutto
a quanto si legge in quelli che per te sono i testi sacri.....su su almeno
quelli
non rimodellarli
"Luciano" <l.buo...@alice.it> ha scritto nel messaggio
news:458866c1$0$4255$4faf...@reader1.news.tin.it...
>
> be dio stesso 'dovrebbe' essere fuori dalle nostre capacità cognitive (sia
> come dio che per
> il fatto che il bene assoluto è solo una delle qualità 'assolutistiche' di
> cui gode)...
> eppure nonostante i fiumi di parole spesi da filosofi e scienziati
> sull'indimostrabilità di dio
> tramite la scienza (la corrente 'agnostica' non nasce dal nulla e trova
> negli scienziati ivi inclusi
> i matematici che di 'modello' degli insiemi magari ne capiscono più di noi
i > maggiori sostenitori)
> si tenta ancora di dimostrare (perchè descrivere vuol dire anche
dimostrare
> implicitamente) l'esistenza
> di dio con il giochetto degli insiemi.
Secondo me descrivere non significa dimostrare.
Io sono in grado di descriverti alla perfezione l'asino volante. Però con
questo non ti dimostro che esiste.
> non puoi liquidare tutto dicendo che per quello che ne sappiamo.....per
> quello che ne sappiamo dio
> non esiste; il bene assoluto neanche e il male assoluto neanche.
> bene e male assoluto sono un astrazione di un concetto già astratto di
suo.
Io non dico che non esistono (Dio, bene e male). Dico che non si può
dimostrarlo scientificamente.
Però gli uomini non sono tutto scienza e intellettualismo.
Esistono i sentimenti, esiste la coscienza, esiste il rimorso, esistono gli
slanci mistici, e tante altre cose. Non sono prove scientifiche
dell'esistenza di Dio, ma sono cose che non ci consentono (almeno a molti
uomini) di snobbare certi interrogativi esistenziali.
> bene e male non significano un bel niente già senza considerarli assoluti;
> il bene e il male 'umani' cambiano
> in base alle coordinate spaziali e temporali
Il fatto che cambino non implica che non significhino niente. Secondo me il
bene e il male morale umani esistono, anche se, come giustamente dici,
cambiano nel tempo.
> e i presupporsti "bene
> assoluto", "male assoluto" sono solo astrazioni
> in assoluto di queste astrazioni base che esistono solo là dove esiste uno
> 'stato' (quegli apici implicano molto percui
> tratta la parola con le pinzette)
Non sono d'accordo. Il bene e il male morale esistono prima di tutto nella
nostra coscienza, poi i nostri comportamenti ispirati dalla coscienza
diventano un'abitudine, una tradizione, poi arriva uno "stato" (con le
pinzette) ad ergersi come custode della tradizione.
Ma non è lo stato che ha creato la morale.
> >> gli uomini non conoscendo ne potendo arrivare a tale 'assolutismo' del
> > male
> >> non possono esserne creatori, si limitano
> >> ad *usarlo* nella misura a loro accessibile così come accade per 'il
bene
> >> assoluto' e il 'bene umano'.
> >
> > No, gli uomini sono creatori delle loro azioni, e quindi del bene e del
> > male
> > (beninteso non assoluti) insiti in esse.
>
> mi pare che diciamo la stessa cosa?!
No, tu dici che lo "usano". Io dico che lo creano (parlo di bene e morale
umani, non di quelli assoluti).
> >> quindi dio che (sempre per tua affermazione) crea nel senso che emana
se
> >> stesso è anche il male assoluto.
> >
> > Scusa, ma stai esagerando nell'interpretarmi in maniera distorta.
> > Credo di non aver mai detto che la creazione di Dio sia una sua
> > emanazione.
>
> perdonami ma "luciano" e "l" sono in realtà la stessa persona?
> io sto rispondendo a "l" che in icf ha detto che dio non crea nel senso di
> creare ma:
> "L: Prova a rifondare il canone che conosci:
> L: Dio non fa *puff* e crea dal nulla.
> L: Dio genera da egli stesso che è sempre stato."
Non mi ero accorto che replicavi a "L". Scusami.
> >
> > La concezione cristiana di Dio mi pare la migliore. Però non sono sicuro
> > che
> > i teologi cristiani approverebbero tutto quello che dico.
> >
>
> leggendo il post per intero sono contento per te che il medioevo è finito
se
> no
> finivi a tenermi compagnia in qualche scantinato di 'confessione' degli
> inquisitori :D
>
> >
> >
> >> se invece dio non fosse
> >> anche il male assoluto allora esisterebbe un'insieme "male assoluto"
> > esterno
> >> a dio e dio non sarebbe più il 'tutto', cioè l'insieme
> >> che include tutti gli altri ma semplicemente un'insieme infinito
(ricorda
> >> che esistono i transinfiniti).....
> >
> > Proprio così. Secondo me Dio non è "il tutto", pur essendo infinito.
>
> allora non puoi essere "l" che invece vuole proprio dimostrarmi che dio è
> "TUTTO"
Forse anche qui non ho capito che ti riferivi a "L".
>
> >
> >
> >
> >> ...esisterebbe quindi un'insieme "dio+1" che include l'insieme "dio",
> >> l'insieme "male assoluto" e l'insieme "nulla" (insieme vuoto)
> >> sul qual dibattito aspetto ancora una tua risposta che non confonda un
> >> *modello* con un prodotto del modello stesso.
> >
> > La risposta è semplice: Dio non è tutto. Tutto il resto che dico non è
in
> > contraddizione con questa affermazione.
> > Tu piuttosto dovresti essere un poco in imbarazzo, quando ti faccio
notare
> > che, dopo aver definito Dio come "il tutto", devi attribuirgli anche il
> > male
> > assoluto.
>
> perchè?
> io dio lo definisco come un'atto di fede che non compio.
> la discussione al massimo la possiamo mettere sul:
> chiamare con il nome "dio" l'insieme tutto....e quell'insieme allora deve
> contenere tutto ma proprio
> tutto non solo le qualità/quantità che ci fanno comodo.
> per quel che mi riguarda hai detto lo stesso che sto dicendo io:
> dio non è tutto; quindi non è l'insieme *massimo*.
> poi anche dopo varie richieste non ho ricevuto risposta e non so se "l"
> vuole concepire dio tramite gli insiemi o se "l" vuole
> chiamare "dio" l'insieme che include tutto....
"L" risponderà per sé.
Io dico che Dio potrebbe essere una cosa diversa dall'insieme massimo, ecc
ecc. Se provassi a descriverlo, questo non sarebbe un atto di fede, perché
descrizione non implica ancora l'esistenza (come l'asino volante).
L'atto di fede è una dichiarazione del tipo: Dio esiste, oppure Dio non
esiste.
certo ma l'asino volante non lo descrivi con un modello matematico come si
sta tentando
di fare con dio.
se il modello degli insiemi descriveresse dio la cosa implicherebbe molto
più che un racconto
di narrativa su asini volanti.
>
>
>
>> non puoi liquidare tutto dicendo che per quello che ne sappiamo.....per
>> quello che ne sappiamo dio
>> non esiste; il bene assoluto neanche e il male assoluto neanche.
>> bene e male assoluto sono un astrazione di un concetto già astratto di
> suo.
>
> Io non dico che non esistono (Dio, bene e male). Dico che non si può
> dimostrarlo scientificamente.
ma è lo stesso che dico io (e parecchi filosofi di calibro ben più alto e
parecchi scienziati)
quindi forse c'è solo un malinteso tra noi perchè tutti i miei post sono
volti a ribadire la stessa cosa
a "l" che vuole descrivere dio con un modello matematico; e se un modello
matematico descrive
qualcosa allora o è sbagliata la matematica o la cosa è dimostrata
matematicamente (ricorda che la
matematica è una scienza quindi questo andrebbe contro l'affermazione che
hai appena fatto)
> Però gli uomini non sono tutto scienza e intellettualismo.
solo un'appunto: non essere tanto sicuro che sia un bene...
tra i sentimenti buoni e fini idealistici che però ci hanno portato dove
siamo (guerre, fame nel mondo,
arrivismo etc etc) e un'ipotetico mondo fondato sulla logica (si proprio
stile spock di star trek) non è
detto che il secondo sia peggiore
> Esistono i sentimenti, esiste la coscienza,
la scoscienza non è forse figlia dell'intelletto?
> esiste il rimorso, esistono gli
> slanci mistici, e tante altre cose. Non sono prove scientifiche
> dell'esistenza di Dio, ma sono cose che non ci consentono (almeno a molti
> uomini) di snobbare certi interrogativi esistenziali.
ne io intendo snobbarli, ne intendo non tener conto di queste cose.
semplicemente non mi quadra quanto si tenta di descrivere dio con una
visione (tra l'altro
erronea) personale di un sistema matematico
>
>
>
>
>> bene e male non significano un bel niente già senza considerarli
>> assoluti;
>> il bene e il male 'umani' cambiano
>> in base alle coordinate spaziali e temporali
>
> Il fatto che cambino non implica che non significhino niente.
facciamo a capirci: quando si parla di bene e male si tende a darli un
valore assolutistico,
questo accade anche quanto non si parla di bene e male assoluti (quelli di
dio per capirci),
anche quando si parla di bene e male 'terreni' ognuno li tratta come se
fossero valori
assoluti ....il fine o la negazione di esso....mentre non è assolutamente
vero;
il bene è relativo non perchè non parliamo del bene di dio ma perchè il bene
di cui parliamo
è frutto di una retorica; esempio pratico: incesto = male...oggi nella
nostra società.....vai a dirlo
ai faraoni che coopulare con la sorella è male, o vai a dirlo a tutta
l'aristocrazia delle epoche scorse....
puoi trovare una giustificazione estranea dal contesto
socioculturale-tempospaziale perchè i faraoni
non dovessero procreare con le sorelle?
da dove vai a pescarla? dalla retorica figlia del contesto socioculturale in
cui vivi, dell'epoca e del luogo.
e magari bastasse questo....uccidere è bene o male?
se lo fa lo stato condannando a morte è bene se no è male ... quindi il bene
è ben lontano da avere un significato
invariante ...anzi....in quest'ottica il bene e il male non significano
niente perchè sono solo delle variabili
che di volta in volta vengo riempite con la retorica di chi ha i mezzi per
primeggiare.
vero che un significato temporaneo c'è lo hanno ma proprio nella sua
precarietà questo spoglia il bene
e il male di quell'enfasi che sembra farli apparire come valori superiori.
il bene e il male sono solo delle costruzioni mentali + o - imposte e anche
oggi variano tantissimo da luogo a luogo.
vai a spiegare alle tribù cannibali (ne esistono ancora ti assicuro) che il
cannibalismo è male....e perchè?
solo perchè sei cresciuto in un contesto in cui retoricamente ti è stato
insegnato a pensarla in quel modo....
> Secondo me il
> bene e il male morale umani esistono, anche se, come giustamente dici,
> cambiano nel tempo.
sono variabili e presi in tempi non troppo brevi nascono e muoiono decine di
*beni* e *mali*
in questo contesto non ha senso parlare del *bene* ma si dovrebbe parlare
del bene momentaneo....
detta così sembrerebbe che il bene sia solo un 'il più adatto al contesto' e
di fatto è così.
ecco perchè il bene delle tribu cannibali include il cannibalismo e il bene
delle tribù occidentali lo condanna.
una volta superato lo scoglio del tabù che la parola "BENE" incute ti
accorgi che il bene è solo una regolamentazione
temporane dettata da chi (o dal gruppo di chi) è riuscito a far prevalere la
propria visione di *bene* sulle altre.
ma ancora bisogna notare che "quà giù non siamo in cielo" (come cantavano i
pooh) e a prevalere sono molto spesso
quelli che fanno uso della forza (non solo quella fisica ma anche quella,
soprattutto in questo caso quella, sofistica della
dialettica).
insomma il bene umano è una retorica imposta da pochi sui molti e che si
assimila come 'metamappa' di pensiero
sin da bambini.
ecco spiegato cosa intendo: il bene preso in un determinato istante T' ha un
suo valore ma questo ha poco a che fare
con l'iconografia BENE che creiamo nel sentire la parola "bene"
>
>
>
>> e i presupporsti "bene
>> assoluto", "male assoluto" sono solo astrazioni
>> in assoluto di queste astrazioni base che esistono solo là dove esiste
>> uno
>> 'stato' (quegli apici implicano molto percui
>> tratta la parola con le pinzette)
>
> Non sono d'accordo. Il bene e il male morale esistono prima di tutto nella
> nostra coscienza, poi i nostri comportamenti ispirati dalla coscienza
> diventano un'abitudine, una tradizione, poi arriva uno "stato" (con le
> pinzette) ad ergersi come custode della tradizione.
di beni e mali ne esistono molteplici in competizione.
quindi in ogni istanti T ci sono tanti 'noi' con tanti beni e mali....ad un
certo punto
T' una fazione prevale sulle altre e impone la sua idea di bene...se la
prevalenza
riesce ad essere 'FORTE' al punto da instaurare un gioco di 'serpente mordi
coda'
tra retorica e forza utilizzata per far rispettare le regole da essa nata
allora l'idea
che questa fazione aveva di bene diventa l'idea di bene dominante e tutte le
altre
sono visioni contorte (quindi male)....questo vale dalle tribù primitive
fino ai giorni
nostri.
il bene che ora in occidente consideriamo bene non ha nessuna base logica
per essere
migliore del bene dell'oriente, del bene delle tribù cannibali, del bene di
ieri o del bene di domani.
è semplicemente il più adatto al contesto che si è venuto a creare in un
determinato spazio-tempo.
nella tua coscienza c'è la retorica di chi prima di te ha accettato delle
regole come bene,
retorica così fortemente installata sin dai primi giorni di vita che finisce
per diventare lo strumento
con cui valuti le tue idee.
> Ma non è lo stato che ha creato la morale.
mo|rà|le
agg., s.f., s.m.
* agg., che riguarda l'agire, il comportamento umano, considerati in
rapporto all'idea che si ha del bene e del male: legge m., giudizio m.,
qualità m.
* agg., conforme ai valori e ai principi ritenuti giusti e onesti in una
determinata società o gruppo sociale: insegnamento, esempio m.; libro m.,
spettacolo m.
* agg., di qcn., che si comporta, che agisce con onestà e rettitudine; che
ispira la propria condotta a principi di probità e giustizia
* s.f. AD insieme di norme e precetti che regolano il comportamento umano
in dipendenza da specifiche concezioni religiose, filosofiche, politiche: m.
individuale, m. corrente, i dettami della m., un uomo senza m., contrario
alla m.
* s.f. CO insegnamento, ammaestramento pratico che si ricava da una favola,
da un racconto e sim. | le parole stesse, poste alla fine di una favola o di
un racconto, che enunciano una sentenza: la m. delle favole di Esopo
* s.f. CO estens., insegnamento, conclusione che si trae da un fatto, da un'esperienza,
ecc.: la m. è che non hai agito come dovevi; anche come inciso: m., ho
dovuto arrangiarmi!
e ovvio e avevo sottolineato bene come per 'stato' non si intendesse lo
stato come ente politico ma le condizioni sociali, culturali, di progresso,
economiche etc etc in cui la morale si afferma.
una volta che una fazione che moralizza la sua visione di bene riesce a
creare una retorica e a mantenerla (ma qui entra in gioco anche la politica
e la guerra perchè per mantenere una retorica di 'gruppo' come quella
dominande bisogna anche essere riconosciuti come autorità e quindi evitare
di essere spodestati (se si parlasse di un'ipoteticp re così non ci
confondiamo con lo stato)) quella morale in base alla definizione che ho
trovato sul dizionario e che ho sopra-riportato è quella che:
* "considerati in rapporto all'idea che si ha del bene e del male"
* "conforme ai valori e ai principi ritenuti giusti e onesti in una
determinata società o gruppo sociale: insegnamento"
* " che si comporta, che agisce con onestà e rettitudine; che ispira la
propria condotta a principi "
* " insieme di norme e precetti che regolano il comportamento umano in
dipendenza da specifiche concezioni religiose, filosofiche, politiche"
* "insegnamento, ammaestramento pratico che si ricava da una favola, da un
racconto e sim."
* "insegnamento, conclusione che si trae da un fatto, da un'esperienza"
e questo spoglia la morale di tutto quel luccichio che le si vuole
attribuire
perdonami se come per dio anche per il bene non riesco a vederci niente di
poetico.
>
>
>
>> >> gli uomini non conoscendo ne potendo arrivare a tale 'assolutismo' del
>> > male
>> >> non possono esserne creatori, si limitano
>> >> ad *usarlo* nella misura a loro accessibile così come accade per 'il
> bene
>> >> assoluto' e il 'bene umano'.
>> >
>> > No, gli uomini sono creatori delle loro azioni, e quindi del bene e del
>> > male
>> > (beninteso non assoluti) insiti in esse.
>>
>> mi pare che diciamo la stessa cosa?!
>
> No, tu dici che lo "usano". Io dico che lo creano (parlo di bene e morale
> umani, non di quelli assoluti).
se tu parli di morale come insieme di regole etc etc allora quella se la
creano gli uomini.
ma se parli di bene come ente metafisico (che come avrai intuito non
riconosco) allora
il bene come 'non insieme di regole da rispettare' ma come "BENE" non solo
non lo creiamo,
non sappiamo cosa sia e non è detto che esista.
>
>
>
>> >> quindi dio che (sempre per tua affermazione) crea nel senso che emana
> se
>> >> stesso è anche il male assoluto.
>> >
>> > Scusa, ma stai esagerando nell'interpretarmi in maniera distorta.
>> > Credo di non aver mai detto che la creazione di Dio sia una sua
>> > emanazione.
>>
>> perdonami ma "luciano" e "l" sono in realtà la stessa persona?
>> io sto rispondendo a "l" che in icf ha detto che dio non crea nel senso
>> di
>> creare ma:
>> "L: Prova a rifondare il canone che conosci:
>> L: Dio non fa *puff* e crea dal nulla.
>> L: Dio genera da egli stesso che è sempre stato."
>
> Non mi ero accorto che replicavi a "L". Scusami.
figurati :)
e a me sta benissimo rispettare la tua libertà di fede.
quello che premeva a me era confrontarmi sul terreno che credevo (e ai fatti
si è dimostrato esserlo)
fragile del voler pensare dio come insieme massimo e poi spogliarlo di tutti
i sottoinsiemi non comodi
ma continare a definirlo ancora insieme massimo.
poi la fede è come dici tu una cosa che non si può spiegare con la logica o
la scienza.
se la hai la hai altrimenti no.
> Se provassi a descriverlo, questo non sarebbe un atto di fede, perché
> descrizione non implica ancora l'esistenza (come l'asino volante).
se provassimo a descriverlo senza usare formule fisiche e equazioni
matematiche.
perchè se dio fosse descritto da una formula matematica o da una fisica
allora
dio esisterebbe come fenomeno fisico.
fortunatamente (per i credendi almeno) dio è qualcosa di ben oltre da una
semplice
equazione o fenomeno fisico.
ecco la differenza: una descrizione di proprietà supposte non è la stessa
cosa di una
formula matematica.
> L'atto di fede è una dichiarazione del tipo: Dio esiste, oppure Dio non
> esiste.
>
giusto
e stato un piacere (che spero possa rinnovarsi) scambiare colpi di spada con
te.
cordiali saluti.
Mi pare che tu debba solo leggere con maggiore cura quello che ho scritto,
senza aggiungere di tuo, perché stai rispondendo a cose che non ho detto o
che avevano chiaramente un significato ben diverso da quello cui tu hai
risposto, per cui non ha senso che io commenti la tua replica. E non
appellarti a Surak, che è stato decisamente più pertinente, benché a sua
volta abbia introdotto la questione del "pratico" dandola per scontata,
mentre è fortemente problematica. E comunque sui commenti di Surak vedi le
mie risposte a Surak.
Ciao
qf
mi pare che non sia un modo di dialogare
> perché stai rispondendo a cose che non ho detto
???
> o
> che avevano chiaramente un significato ben diverso da quello cui tu hai
> risposto,
può anche essere che ho inteso male, ma non mi pare.
perchè non ti sforzi ti sottolineare i miei errori.
magari ti sei espesso tu male
> per cui non ha senso che io commenti la tua replica.
per cui non ha senso continuare a risponderti
> E non
> appellarti a Surak,
perchè è vietato?
non mi appello a nessuno dico solo che condivido la sua replica
> che è stato decisamente più pertinente,
io ho replicato a quello che avevi scritto
> benché a sua
> volta abbia introdotto la questione del "pratico"
tu di questioni ne hai introdotte parecchie e spesso dandole per scontate
> dandola per scontata,
> mentre è fortemente problematica. E comunque sui commenti di Surak vedi le
> mie risposte a Surak.
le ho viste e ho visto anche le risposte di "surak" alle tue risposte.
>
> Ciao
> qf
> > Io non dico che non esistono (Dio, bene e male). Dico che non si può
> > dimostrarlo scientificamente.
>
> ma è lo stesso che dico io (e parecchi filosofi di calibro ben più alto e
> parecchi scienziati)
> quindi forse c'è solo un malinteso tra noi perchè tutti i miei post sono
> volti a ribadire la stessa cosa
> a "l" che vuole descrivere dio con un modello matematico; e se un modello
> matematico descrive
> qualcosa allora o è sbagliata la matematica o la cosa è dimostrata
> matematicamente (ricorda che la
> matematica è una scienza quindi questo andrebbe contro l'affermazione che
> hai appena fatto)
Le dimostrazioni matematiche sono vere come astrazioni del pensiero umano;
ma non è detto che debbano anche esistere come realtà esterne.
>
> > Però gli uomini non sono tutto scienza e intellettualismo.
>
> solo un'appunto: non essere tanto sicuro che sia un bene...
> tra i sentimenti buoni e fini idealistici che però ci hanno portato dove
> siamo (guerre, fame nel mondo,
> arrivismo etc etc) e un'ipotetico mondo fondato sulla logica (si proprio
> stile spock di star trek) non è
> detto che il secondo sia peggiore
Ho qualche dubbio. I regimi dichiaratamente ateistici sono stati un po'
peggiori degli altri.
> facciamo a capirci: quando si parla di bene e male si tende a darli un
> valore assolutistico,
> questo accade anche quanto non si parla di bene e male assoluti ....
Qui dai inizio a un discorso lungo, interessante, ma anche complesso.
Quando avrò più tempo ti farò una lunga e circostanziata replica.
la matematica è solo un modello.
come tutti i modelli scientifici serve a descrivere la realtà esterna.
in fisica come in matematica nulla è certo (contrariamente a quello che si
pensa) ma tutto è teorico....
....una teoria se congrua con il modello è ritenuta valida fino a smentita
(esempio la teoria dell'etere in fisica),
se ha teorie concorrenti è ritenuta 'sospesa' in attesa di verifiche nella
realtà esterna (strighe/super simetria, big crash/espansione infinita, etc
etc).
se un modello scientifico descrive qualcosa e non esistono descrizioni
scientifiche alternative o confutanti
allora quella cosa è presa per scientificamente valida (tachioni) fino a
prova contraria.
la matematica (come tutte le scienze) sono modelli di astrazione del
pensiero per poter descrivere la realtà
esterna....quindi se una scienza descrive un qualcosa con una precisa
*formula* (leggasi regola congrua al modello
e non in conflitto con altri modelli dimostratisi validi) allora il qualcosa
è considerato scientificamente vero (ad esempio
i gravitoni che sono 'nati' prima su carta e forse non sono ancora stati
confermati ma sono ritenuti scientificamente esistenti).
se poi vuoi scavare ancora più l'abisso si può anche dire che la fisica
(come la matematica e ogni altra scienza) indaga solo
fino al limite del *sensibile* (che rientra nei sensi direttamente o
indirettamente tramite strumenti di osservazione che permettono a nostri
sensi di percepirlo)....da questo punto di vista la 'realtà esterna'
potrebbe essere cosa completamente diversa da quella descritta e accetta (ma
anche percepita) sia dai sensi che dalle scienze; basti pensare che per
limitazione 'sensoriale' siamo costretti a misurare le *cose* in solo 3
dimensioni mentre di sicuro ne esistono altre.
parimenti all'esempio un pò elementaresco della macchina che potrebbe uscire
da un box chiuso senza doverlo aprire semplicemente avendo accesso ad un 4
dimensione prova a immaginare le implicazioni di n dimensioni (dove n non si
sa ancora bene quanto valga anche se le teorie più recenti parlano di n=9)
trovi qualcosa di sbagliato nel mio modo di vedere le cose?
se si dove e perchè?
>
>
>
>>
>> > Però gli uomini non sono tutto scienza e intellettualismo.
>>
>> solo un'appunto: non essere tanto sicuro che sia un bene...
>> tra i sentimenti buoni e fini idealistici che però ci hanno portato dove
>> siamo (guerre, fame nel mondo,
>> arrivismo etc etc) e un'ipotetico mondo fondato sulla logica (si proprio
>> stile spock di star trek) non è
>> detto che il secondo sia peggiore
>
> Ho qualche dubbio. I regimi dichiaratamente ateistici sono stati un po'
> peggiori degli altri.
io non mi riferivo alla contrapposizione religioso-(non religioso) ma ad un
ipotetico
(ed impossibile) mondo senza sentimenti, emozioni e ideali di origine
emotiva.
questa è cosa ben diversa dall'ateismo (parola che mi lascia perplesso: non
è un pò come negare
*es* ad una cosa la quale *è* già altrimenti non potrebbe essere negata?)
parlavo di una morale basata sulla logica e nessuna morale lo ha mai fatto
veramente.
per il complesso gioco di sistemi morali oggi l'80% della popolazione
mondiale deve vivere con
meno del 20% delle risorse mentre il restante 20% si spartisce il resto
(sono dati un pò vecchioti
e le percentuali potrebbero essere variate)....una morale emotiva fa si che
ci dispiacia, ci fà fondare
associazioni di aiuto, donazioni etc etc ma non va al sodo della questione:
quelle sono tutte pezze
è inutile fingere che si possa risolvere il problema così quanto è ovvio che
il problema da un punto di
vista squisitamente logico è un'erronea divisione delle
risorse....logicamente parlando basterebbe
riassegnare meglio le quote; si può fare?
no con il complesso sistema di meccanismi politico-economici.....questo però
è come ammettere
che un sistema scelto impedisce una gestione logica e quindi andrebbe
ridisegnato.
la morale (emotiva) si spinge tanto lontano?
ti faccio un'esempio che mi fece un docente di filosofia (non ho fatto studi
filosofici se non come autodidatta
ma ho avuto modo di scambiare qualche battuta con alcuni docenti):
immagina di trovarti vicino a una villa bifamiliare, la villa è in fiamma e
la struttura sta per cedere.
non hai nessun mezzo per impediro e sai che i soccorsi non arriverano in
tempo.
la villa è abitata e gli abitanti sono al loro interno semi-incoscienti a
causa dei fumi.
per questioni di tempo non sei in grado di salvare entrambe le famiglie.
sai che a destra abita tua sorella, suo marito e suo figlio di 6 anni;
coincidenza vuole che la famiglia di sinistra sia composta alla stesso modo:
1 moglie, un marito e un figlio di 6 anni.
senza descrivere tutte le possibili restrizioni che ti impedisco di salvare
entrambe le famiglia sai che comunque
puoi scegliere di salvarne solo una delle due.
quale delle due famiglie salvi?
prova a rispondere a questo quesito e analizza la tua risposta (o le più
risposte che si vengono a creare a ogni ulteriore analisi)
rispetto alla morale di tipo sentimental-emotivo e al concetto di bene che
ne scaturisce.
quelle è secondo la scelta giusta?
>
>> facciamo a capirci: quando si parla di bene e male si tende a darli un
>> valore assolutistico,
>> questo accade anche quanto non si parla di bene e male assoluti ....
>
> Qui dai inizio a un discorso lungo, interessante, ma anche complesso.
> Quando avrò più tempo ti farò una lunga e circostanziata replica.
>
volentieri, aspetto.
saluti
>> Alt! :-)
>> Non è possibile l'affermazione "pratica" del non-esser-sé-dell'essente e
>> neppure del contrario.
>> La seconda è inutile pronunciarla (se non per compiacere il divino
>> Jacques de Chabanne, sempiterno signore di Lapalisse :-) mentre
>> la prima può essere solo pensata o detta. La contraddizione può essere
>> solo "mentale" o "verbale", mai reale.
>
> Njet, con quell'_affermazione teorico/pratica_ non facevo altro (in primo
> luogo) che richiamare quanto avevi appena scritto, e cioè che "Voler
> uccidere è voler far non-essere quancuno che è, dunque è affermare il
> nulla.
> Rubare è voler essere ciò che non si è e voler far essere altri ciò che
> non
> sono, ergo è affermare il nulla". Parole tue, quindi, che io mi limitavo a
> riprendere e a sottoscrivere con quell' "affermazione teorico/pratica"...
> Affermazione teorico/pratica, dunque, come considerare, volere e trattare
> l'essente come se fosse un nulla (indipendentemente da che cosa realmente
> ottengano poi i mortali): la fede e le opere dell'Occidente, potrei
> chiosare
> da parte mia.
Achtung! :-) Ho detto "voler". Ossia ho fatto riferimento unicamente a un
atto
mentale. Quindi ribadisco quanto sopra.
E ho precisato che il male - nella sua origine - è un porsi della
contraddizione, che può essere solo mentale/verbale. Nella realtà non
esistono contraddizioni (enti che sono e non sono).
Ho poi spiegato che i disatri concreti sono una conseguenza del tentativo di
serializzazione dell'errore (contraddizione) di base.
Nello sviluppare la contraddizione per farla diventare gesto (far non essere
un essere), ci si trova davanti all'impossibilità assoluta di far non essere
ciò che è, per cui si può fare solo un gran casino - che è
quello che chiamiamo impropriamente 'male', mentre è solo la conseguenza del
tentativo di portare il male (mentale) nel concreto.
Tale casino non è il vero male (contraddizione, istanza del nulla) ma si
riduce a distruzione nell'illusione che essa costituisca il nulla, mentre
non lo è. Perciò parlo di 'disastri' e non di 'male' quando si scende sul
terreno "pratico". Detto in soldoni: chi pensa la contraddizione e cerca
anche di realizzarla è uno sprovveduto, e quindi combina i disastri tipici
dello sprovveduto.
> [...]
>> Non si può introdurre il nulla nel reale.
>
> Ma se veramente "non si può introdurre il nulla nel reale", questa non
> sarà appunto un'*etica*, sarà solo l'enunciazione di uno stato di fatto.
Se io ti dico che mettere le dita nella presa di corrente ci si fa male, tu
puoi anche appellarti al metodo sperimentale, ma l'etica elettrica dice che
è meglio non farlo. Allora che ho fatto io scrivendoti quella norma? Ti ho
messo in guardia rispetto alla cazzata. E di fatto l'etica, con suo figlio
il Diritto, non fa altro che mettere in guardia dalle cazzate.
E la cazzata principe è pensare di mettere in atto una contraddizione
pensata. Cazzata solo logica, ma foriera di casini immani nel concreto.
E questo è il sano fondamento di un'etica: 'non uccidere', per esempio,
significa 'non cercare di portare la contraddizione che hai in mente nella
realtà' perché causerai solo disastri nel tuo mondo, e senza che il tuo
nemico possa mai essere & non-essere (così come lo era nella tua mente).
> Viceversa, se vorrà essere un'*etica* (e come tale proporre la scelta di
> qualcosa anziché qualcos'altro - del non uccidere anziché dell'uccidere,
> per
> esempio), non lo farà in base all'esser sé dell'essente, ma in base a
> tutta
> un'altra serie di considerazioni contenutistiche e preferenziali: per
> esempio, che l'ordine è meglio dei "casini" che seguono quando si cerca di
> introdurre il nulla nel reale,
Ma questo è proprio conseguenza dell'impossibilità di non esser sé
dell'essente!
> o che il funzionare bene è meglio del
> "funzionare da cani",
Di nuovo ne è una conseguenza. Il funzionamento "da cani" è proprio
conseguenza del mancato rispetto di quel principio: della pretesa di portare
il nulla nel reale, che è impossibile e si risolve quindi in distruzioni,
come cercare di fermare un meccanismo che non si può fermare: si deformerà,
devierà, travolgerà, uscirà dal controllo, ma non si fermerà. L'immane
macchina dell'essere non la fermano né gli Hitler né gli Stalin.
> o che il non uccidere è meglio dell'uccidere. Tutte
> cose che possono anche essere belle e buone, ripeto, ma che non c'entrano
> nulla con il salvaguardare l'esser sé dell'essente: sul piano dell'esser
> sé
> dell'essente, *sono* tanto l'ordine quanto i casini, tanto il funzionare
> bene quanto il funzionare da cani, tanto l'uccidere quanto il non
> uccidere.
No, no, no! :-))
Non ho mai parlato di salvaguardare quello che *nessuno* può mutare (l'esser
sé dell'essente). Quando mai?
La norma etica dice solo: pensa quello che ti pare - ne hai facoltà, come
dicono in televisione - ma bada a non cercare di **realizzare** le
contraddizioni che sei in grado di pensare. E, già che ci sei, cerca anche
di evitare di pensare contraddizioni (cioè studia la logica! :-), così ti
eviti la tentazione di creare casini nel tuo mondo (es. cerca di evitare di
desiderare la moglie del tuo amico, che se poi, pensaci e ripensaci, decidi
di provarci, rovini un'amicizia :-)
> Proprio perché l'esser sé dell'essente, per sua fortuna, si salvaguarda da
> sé senza bisogno che i mortali intervengano in sua difesa, un'etica che si
> proponga di salvaguardarlo è, in realtà, un'etica che si propone di
> sacrificare certi essenti a certi altri essenti, e dunque una volontà di
> negarlo.
No. Vedi sopra.
Chi vuoi che si metta a "salvaguardare" quello che non ha neppure senso
pensare di toccare!?
Qualcuno si mette forse a pretendere di salvaguardare la pericolosità
dell'alta tensione? No, come ovvio: ma ti mette in guardia dal far male i
tuoi conti e quindi dal pretendere di metterci le dita e sentirti bene, che
è una contraddizione. Etica è studiare bene le leggi dell'elettricità, e di
conseguenza usarla correttamente, non certo mettersi a salvaguardare gli
elettroni! :-))
Non per nulla i primi Comandamenti affermano l'essere come al di sopra di
ogni cosa, tanto da identificarlo come Essere, e solo poi si dilungano a
raccomandare di non cimentarsi nelle cazzate più gettonate dalla specie
umana - e che, in quanto pensate, sono contraddizioni, e dunque affermano il
nulla, cioè *sfidano* l'Essere. Il che, come dicevo, sarebbe da perfetti
sprovveduti, se non fosse che la sfida del nulla genera catastrofi.
> Come ogni etica, del resto, anche se fra l'una e l'altra etica
> cambiano solitamente gli essenti da salvaguardare.
Ciò dimostra solo che sono malamente fondate.
Se poi parlano di "salvaguardia di essenti" non hanno niente a che fare con
l'etica - a meno che per 'etica' non si intenda il manifesto di partito o di
lobby (o di cosca).
Se, a fronte di un'etica ben fondata, si disegna un Diritto che si basa sul
medesimo principio - cioè del mettere in guardia dal porre in atto la
contraddizione (che si può definire come 'commettere reato'), con tanto di
sanzione per chi lo fa - allora la "salvaguardia" di certi essenti (es. i
bambini, gli indifesi) è una conseguenza e non un principio di fondazione
dell'etica.
> Ma l'*essente in quanto
> essente* è già stato considerato come ciò che è disponibile all'essere e
> al nulla, a discrezione dell'agire etico che dice questo essente sì,
> questo
> essente no:
Insensato. Etiche prive di fondamento logico.
Saluti.
qf
> Achtung! :-) Ho detto "voler". Ossia ho fatto riferimento unicamente a un
> atto
> mentale. Quindi ribadisco quanto sopra.
Veramente prima hai detto "voler uccidere", ma poi anche "rubare", non
"voler rubare". Da una parte c'è solo l'intenzione, dall'altra anche il
compimento.
> E ho precisato che il male - nella sua origine - è un porsi della
> contraddizione, che può essere solo mentale/verbale. Nella realtà non
> esistono contraddizioni (enti che sono e non sono).
Non è questo il problema, anzi. Quello che sto sottolineando è proprio che
tutte queste cose - che chiamo affermazioni teorico/pratiche, fede e opere
dell'Occidente - sono pur sempre essenti. Per questo, la volontà etica che
si pone contro questi essenti, va (vuole andare) contro l'essente
esattamente come la volontà che si pone contro qualunque altro essente. Non
è un'espressione o una testimonianza dell'esser sé dell'essente, ma è un suo
tentativo di negazione, esattamente come lo sono quelle cose contro cui si
scaglia. Una bella lite in famiglia, insomma: ma il cuore non tremante
l'esser sé dell'essente se ne sta lì tranquillo e intoccato da queste beghe
familiari dei mortali a due teste...
>> Ma se veramente "non si può introdurre il nulla nel reale", questa non
>> sarà appunto un'*etica*, sarà solo l'enunciazione di uno stato di fatto.
>
> Se io ti dico che mettere le dita nella presa di corrente ci si fa male,
> tu puoi anche appellarti al metodo sperimentale, ma l'etica elettrica dice
> che è meglio non farlo. Allora che ho fatto io scrivendoti quella norma?
> Ti ho messo in guardia rispetto alla cazzata. E di fatto l'etica, con suo
> figlio il Diritto, non fa altro che mettere in guardia dalle cazzate.
> E la cazzata principe è pensare di mettere in atto una contraddizione
> pensata. Cazzata solo logica, ma foriera di casini immani nel concreto.
Ma va benissimo: le etiche si sono da sempre premurate di mettere in guardia
contro qualcosa e contro qualche casino (cambiando poi le interpretazioni e
le valutazioni dei casini, le une interpretando non di rado per casino ciò
che le altre vedevano come Pieno Compimento dell'Essente...), ossia contro
qualche *essente*. E' il loro mestiere, e non mi fa certo specie. Ciò che
dico è solo che tutto ciò non c'entra nulla con l'esser sé dell'essente (che
non è minimamente toccato da nessun casino), ma è solo, per l'appunto,
l'espressione di quella volontà etica che non vorrebbe quei particolari
essenti in cui consistono i casini - e che, in corde suo, ha già considerato
l'essente *in quanto essente* come ciò che è disponibile all'essere e al
nulla. L'assassino si propone di far non essere quell'essente in cui
consiste la sua vittima; l'etico si propone di far non essere quell'essente
in cui consiste ciò che identifica - di volta in volta, a seconda
dell'etico - come un casino.
>> Viceversa, se vorrà essere un'*etica* (e come tale proporre la scelta di
>> qualcosa anziché qualcos'altro - del non uccidere anziché dell'uccidere,
>> per
>> esempio), non lo farà in base all'esser sé dell'essente, ma in base a
>> tutta
>> un'altra serie di considerazioni contenutistiche e preferenziali: per
>> esempio, che l'ordine è meglio dei "casini" che seguono quando si cerca
>> di
>> introdurre il nulla nel reale,
>
> Ma questo è proprio conseguenza dell'impossibilità di non esser sé
> dell'essente!
Ehh? La conseguenza dell'impossibilità di non esser sé dell'essente è,
semplicemente, che il non esser sé dell'essente non è. Punto. Ma invece i
casini, e tutte le altre cose condannata dall'etica, ci sono (altrimenti non
si metterebbe neppure a condannarle e a dire "questo no", del resto...). E
se i casini ci sono, significa che l'esser sé dell'essente non ha proprio
nulla da dire in proposito. Potranno dire qualcosa le volontà etiche: che lo
dicano pure, per carità, è il loro mestiere (e in non pochi casi, purché
siano etiche sensate e tolleranti e non facciano più danni - più casini... -
che guadagni, come purtroppo spesso accade, mi fa pur piacere che lo dicano,
aggiungerò), ma l'esser sé dell'essente in tutto questo non c'entra nulla,
non dice nulla in proposito. Dal punto di vista dell'esser sé dell'essente,
il casino (di qualunque casino si tratti) *è* tanto quanto l'ordine (di
qualunque ordine si tratti).
> Chi vuoi che si metta a "salvaguardare" quello che non ha neppure senso
> pensare di toccare!?
> Qualcuno si mette forse a pretendere di salvaguardare la pericolosità
> dell'alta tensione? No, come ovvio: ma ti mette in guardia dal far male i
> tuoi conti e quindi dal pretendere di metterci le dita e sentirti bene,
> che è una contraddizione. Etica è studiare bene le leggi dell'elettricità,
> e di conseguenza usarla correttamente, non certo mettersi a salvaguardare
> gli elettroni! :-))
Tutte cose belle e buone, per carità, ma allora non parliamo di un'etica che
sia espressione dell'esser sé dell'essente, visto che l'esser sé
dell'essente non ha nulla da dire né contro i casini, né contro le scariche
elettriche. Non è l'esser sé dell'essente a dire che i casini non devono
esserci: stando all'esser sé dell'essente, i casini, se ci sono, sono
essenti non meno delle strutture più ordinate che si possano concepire. In
base all'esser sé dell'essente, tutto ciò che si può dire è che tutto ciò
che è, è - che sia poi un campo di sterminio o un campo medico. Se si vuole
dire qualcosa di più - che, per esempio, il campo di sterminio non deve
esserci e il campo medico sì -, si sono già voltate le spalle al semplice
esser sé dell'essente, e si inizia a progettare che qualche essente deve
esserci e qualche altro no. Come progetta l'assassino guardando storto la
sua vittima... Per carità, preferisco anch'io i campi medici ai campi di
sterminio e agli assassini, ma non parliamo dell'esser sé dell'essente, che
su tutte queste cose nulla ha da dire... (E del resto, poi, anche i campi
medici si prefiggono di far non essere i miliardi di essenti che portano
un'infezione patogena...)
Saluti medici,
Surak
Credo di essere stato chiaro in tutta la discussione nel suo complesso. Ho
fatto una nettissima distinzione fra la contraddizione (sincronica) e il
tentativo della sua realizzazione (diacronica) che è impossibile. Non credo
potessero rimanere dubbi.
>> E ho precisato che il male - nella sua origine - è un porsi della
>> contraddizione, che può essere solo mentale/verbale. Nella realtà non
>> esistono contraddizioni (enti che sono e non sono).
>
> Non è questo il problema, anzi.
Direi invece che è il solo problema. La contraddizione può essere solo
pensata, mai realizzata.
Tuttavia il tentativo (sprovveduto sempre) di realizzarla causa le
catastrofi che conosciamo molto bene.
> Quello che sto sottolineando è proprio che
> tutte queste cose - che chiamo affermazioni teorico/pratiche, fede e opere
> dell'Occidente - sono pur sempre essenti.
Le affermazioni non sono mai "pratiche", ripeto. E definire "essente" una
contraddizione - che è già nullificata da sé in quanto contraddizione, -
come lo si direbbe di un vivente o di un mondo, francamente mi sembra una
violenza fatta alla logica per far tornare non so quale conto.
L'affermazione di nulla - cioè la non affermazione - non è un essente. Il
nulla non è un essente, ma la sua negazione (pensata). Perciò è il male.
> Per questo, la volontà etica che
> si pone contro questi essenti, va (vuole andare) contro l'essente
> esattamente come la volontà che si pone contro qualunque altro essente.
Non è affatto vero. Mettere in guardia dalla contraddizione, come fa
qualunque logica che si rispetti (e quindi un'etica logicamente fondata),
non è come opporsi all'esistenza di qualcuno.
Lasciamo stare simili forzature, che non reggono.
Che poi il Diritto si opponga al tentativo di realizzazione della
contraddizione è proprio esito di un'etica logicamente fondata, e non
affatto un atto discriminatorio e arbitrario come sembra che tu cerchi di
far apparire.
> Non è un'espressione o una testimonianza dell'esser sé dell'essente, ma è
> un suo tentativo di negazione, esattamente come lo sono quelle cose contro
> cui si scaglia.
Eccerto! Se definisci come essente la contraddizione, ossia il nulla, tutto
fa brodo :-)
E' sicuro però che mettendo sullo stesso piano i cattivi pensieri e gli
omicidi, si annacquano i secondi.
La confusione fra etica e Diritto è sempre infausta.
> Una bella lite in famiglia, insomma: ma il cuore non tremante l'esser sé
> dell'essente se ne sta lì tranquillo e intoccato da queste beghe familiari
> dei mortali a due teste...
Bah... Cosa vuoi dire lo sai solo tu.
I mortali di testa ne hanno una, e gli errori sono tutti e solo lì, fino a
prova contraria.
Solo lì dentro può essere pensato il nulla (?) o quel pensiero
contraddittorio che si cancella da sé e che perciò non c'è.
Quindi semmai le due teste stanno dove si confondono i fatti concreti con
gli esercizi mentali di nulla.
Che mi sembra il tuo tentativo.
>> E di fatto l'etica, con suo
>> figlio il Diritto, non fa altro che mettere in guardia dalle cazzate.
>> E la cazzata principe è pensare di mettere in atto una contraddizione
>> pensata. Cazzata solo logica, ma foriera di casini immani nel concreto.
>
> Ma va benissimo: le etiche si sono da sempre premurate di mettere in
> guardia
> contro qualcosa e contro qualche casino (cambiando poi le interpretazioni
> e
> le valutazioni dei casini, le une interpretando non di rado per casino ciò
> che le altre vedevano come Pieno Compimento dell'Essente...), ossia contro
> qualche *essente*.
E io ripeto: se non sono logicamente fondate, può succedere di tutto.
Anche che è reato non commettere reati.
Figuriamoci se non si trovano i sofisti che te lo dimostrano!
Che però il Diritto debba tenere conto dell'attuale non lo ascriverei a suo
peccato o difetto. Ci mancherebbe che il Diritto nato millanta e millanta
anni addietro (pur a pari fondamento logico, cioè etico) dovesse ignorare
che siamo nell'era delle comunicazioni e di quant'altro.
> L'assassino si propone di far non essere quell'essente in cui consiste la
> sua vittima; l'etico si propone di far non essere quell'essente in cui
> consiste ciò che identifica - di volta in volta, a seconda dell'etico -
> come un casino.
La logica non ammette alcun genere di qualunquismo del tipo che tu qui
proponi.
Se cade una bomba su casa tua o se un tizio ti spara perché gli sei
antipatico, vieni poi a dirmi che è solo una mia "etica" personale
considerare quell'evento come un casino, mentre per l'"etica" di un altro
sarebbe bene. Usare il temine 'etica' in questo modo è anche peggio che
confonderla con il Diritto con le sue necessarie contingenze.
L'etica di cui io sto parlando è mille miglia lontana da quella che tu
insisti a proporre scambiandola con gli interessi personali di qualcuno.
Se poi nei fatti domina un'"etica" come tu la descrivi (cioè non logicamente
fondata), prenditela con quella e non con la logica.
Del resto anche tu qui difendi una simile "etica" non logicamente fondata,
quando confondi il nulla con l'essente e li metti sullo stesso piano
definendo essente anche il nulla della contraddizione.
Mi pare anche che tu confonda etica e Diritto, con il relativo potere
sanzionatorio (su qualcuno) che ha fondamenti e motivazioni sociali e
contingenti.
Io preferisco non fare questa confusione lasciando l'etica alla sfera della
logica.
La contraddizione era contraddizione anche 2000 anni fa, mentre 2000 anni fa
il reato di interferenza elettromagnetica nelle comunicazioni non era
contemplato, ti pare?
>
>>> Viceversa, se vorrà essere un'*etica* (e come tale proporre la scelta di
>>> qualcosa anziché qualcos'altro - del non uccidere anziché dell'uccidere,
>>> per
>>> esempio), non lo farà in base all'esser sé dell'essente, ma in base a
>>> tutta
>>> un'altra serie di considerazioni contenutistiche e preferenziali: per
>>> esempio, che l'ordine è meglio dei "casini" che seguono quando si cerca
>>> di
>>> introdurre il nulla nel reale,
>>
>> Ma questo è proprio conseguenza dell'impossibilità di non esser sé
>> dell'essente!
>
> Ehh? La conseguenza dell'impossibilità di non esser sé dell'essente è,
> semplicemente, che il non esser sé dell'essente non è. Punto.
... e virgola, dal momento che può essere pensato. La prova è qui: tu per
esempio confondi il nulla (la contraddizione) con l'essente.
Ovvio che l'essente è, e che nessuno lo sposta dall'essere. Ma (lo ripeto
ancora una volta poi basta, altrimenti viene a noia a tutti) è proprio e
solo il prenderne atto che è fondamento di un'etica logica, mentre pensare
la contraddizione, cioè il nulla, ne è la violazione.
Non basta che una cosa sia in sé e per sé (l'essente) e sia inviolabile. Se
non se ne prende atto, tutti gli errori sono possibili.
Questo è il "punto".
Non basta che in sé e per sé un muro di cemento armato sia inviolabile, ma
tu, se non lo sai - se non ne prendi atto - puoi cercare di abbatterlo a
zuccate. Ma ti avevo già fatto l'esempio dell'elettricità, che bastava e
avanzava.
> Ma invece i
> casini, e tutte le altre cose condannata dall'etica,
None! Dal Diritto! Non confondiamo.
L'etica non condanna niente e nessuno, se è logicamente fondata: indica una
contraddizione e suggerisce (anche senza dirlo) di evitarla, perché è nulla
in sé ma può avere risvolti catastrofici se portata nella realtà (in quanto
tentativo di portare il nulla nella realtà, che non è mai gesto innocuo ma
gesto sprovveduto).
>> Chi vuoi che si metta a "salvaguardare" quello che non ha neppure senso
>> pensare di toccare!?
>> Qualcuno si mette forse a pretendere di salvaguardare la pericolosità
>> dell'alta tensione? No, come ovvio: ma ti mette in guardia dal far male i
>> tuoi conti e quindi dal pretendere di metterci le dita e sentirti bene,
>> che è una contraddizione. Etica è studiare bene le leggi
>> dell'elettricità,
>> e di conseguenza usarla correttamente, non certo mettersi a salvaguardare
>> gli elettroni! :-))
>
> Tutte cose belle e buone, per carità, ma allora non parliamo di un'etica
> che
> sia espressione dell'esser sé dell'essente,
E che altro è, se non porlo come fondamento per non commettere errori?
Se non prendo atto del fatto che l'elettrone è l'elettrone e che nessuno può
farlo non essere quello che è, allora posso sbagliare *tutti* i miei
calcoli.
Lo dico sempre io, che non studiare l'elettricità è il male :-)
A parte l'elettricità, la prima indicazione di un'etica fondata sulla logica
dell'esser sé dell'essente è dunque lo studio molto accurato di ciò che ci
si accinge a prendere in considerazione nel proprio pensiero al fine del
poprio agire. Quindi non si limita a dire «"l'essente è" e quindi me ne
frego, tanto, comunque vadano le cose, è», che è solo un tuttofabrodo aperto
a ogni arbitrio, ma con intelligenza e cura va a vedere **che cosa**
*quell*'essente è, in modo da non incappare in contraddizioni che portano a
combinare disastri nell'azione.
Cioè la prima immediata conseguenza di un'etica fondata sulla logica
dell'esser sé dell'essente è - in termini di raccomandazione - la
conoscenza.
Del resto, se qualcuno tendesse a metterti in un tuttofabrodo tu
affermeresti «Eh, no, **io sono io**! E se volete porvi in relazione con me
ne dovete tenere accuratamente conto.»
Altro che tuttofabrodo!
Saluti.
qf
Non trovo niente di sbagliato. Solo non mi sembra del tutto pertinente al
discorso, che stavamo facendo noi ed altri, su Dio.
Una teoria scientifica, e quindi un modello matematico, serve a interpretare
i fenomeni, cioè a farci capire le relazioni fra i fenomeni.
Un modello matematico che cerchi di descrivere Dio, che cosa ci fa capire
sui fenomeni? Io credo niente.
Un credente è convinto che Dio influisca sul mondo, sugli uomini, sulla
natura, ecc; ma ne è convinto per fede, non per dimostrazione scientifica.
Un Dio corrispondente a un modello matematico non sarebbe nulla di quello
che la gente comune pensa sia Dio.
Perciò dico che il modello matematico che si può ipotizzare a proposito di
Dio:
non è una prova dell'esistenza di Dio;
non aiuta a conoscere e capire i fenomeni;
non esclude nemmeno che si possano avere di Dio concezioni diverse.
> >
> > Ho qualche dubbio. I regimi dichiaratamente ateistici sono stati un po'
> > peggiori degli altri.
>
> io non mi riferivo alla contrapposizione religioso-(non religioso) ma ad
un
> ipotetico
> (ed impossibile) mondo senza sentimenti, emozioni e ideali di origine
> emotiva.
> questa è cosa ben diversa dall'ateismo (parola che mi lascia perplesso:
non
> è un pò come negare
> *es* ad una cosa la quale *è* già altrimenti non potrebbe essere negata?)
> parlavo di una morale basata sulla logica e nessuna morale lo ha mai fatto
> veramente.
Ti ho promesso una replica organica sulla morale in cui dovrebbe entrare
anche qualche osservazione pertinente a quest'ultima tua.
>>> E ho precisato che il male - nella sua origine - и un porsi della
>>> contraddizione, che puт essere solo mentale/verbale. Nella realtа non
>>> esistono contraddizioni (enti che sono e non sono).
>>
>> Non и questo il problema, anzi.
>
> Direi invece che и il solo problema. La contraddizione puт essere solo
> pensata, mai realizzata.
> Tuttavia il tentativo (sprovveduto sempre) di realizzarla causa le
> catastrofi che conosciamo molto bene.
Ma allora, nulla da dire. Solo, non capisco perchй sostieni che la tua etica
sarebbe una qualche espressione dell'esser sй dell'essente. Se - e poichй -
ciт che si realizza non и mai una contraddizione, l'esser sй dell'essente
non ha nulla da dire in proposito. Se - e poichй - qualunque cosa si
realizzi non и contraddittoria, l'esser sй dell'essente non dа alcuna
indicazione etica: qualunque cosa si realizzi, va benissimo quanto ogni
altra cosa. A protestare, al massimo, sarа chi ritiene che questo o quel
qualcosa che si и realizzato - e che dunque и in piena armonia con l'esser
sй dell'essente - и un casino. Per alcuni, poi, sarа un casino una cosa, per
altri un'altra: per l'esser sй dell'essente, invece, van bene tutte.
> E definire "essente" una contraddizione - che и giа nullificata da sй in
> quanto contraddizione, - come lo si direbbe di un vivente o di un mondo,
> francamente mi sembra una violenza fatta alla logica per far tornare non
> so quale conto.
> L'affermazione di nulla - cioи la non affermazione - non и un essente. Il
> nulla non и un essente, ma la sua negazione (pensata). Perciт и il male.
L'affermazione del nulla и sempre un'affermazione, e come tale non и un
nulla: puт esser nulla ciт che afferma, ma non il suo affermare. Se io
voglio annullare Tizio (o un miliardo di microbi, o un piatto di lasagne, o
qualche casino), voglio pur sempre qualcosa - voglio che quegli enti siano
nulla -, e questo volere и. Se dт seguito alle mie intenzioni e cerco di
realizzarle, questo mio agire и. Sarebbe una violenza fatta alla logica (uno
degli innumerevoli tentativi di violentare l'esser sй dell'essente...) dire
che questo volere e questo agire non sono...
>> Per questo, la volontа etica che
>> si pone contro questi essenti, va (vuole andare) contro l'essente
>> esattamente come la volontа che si pone contro qualunque altro essente.
>
> Non и affatto vero. Mettere in guardia dalla contraddizione, come fa
> qualunque logica che si rispetti (e quindi un'etica logicamente fondata),
> non и come opporsi all'esistenza di qualcuno.
Per l'etica и indifferente che si realizzi X oppure non-X (uccidere un uomo
oppure non ucciderlo), oppure l'etica, come dicevi all'inizio, dа qualche
indicazione in proposito? E, visto che in X potremmo far rientrare qualunque
cosa, l'etica dice qualcosa oppure non tace su tutto (o dice che tutto и
indifferente)? Insomma, questa etica dice qualcosa (non rubare, non
ammazzare, come dicevi all'inizio), oppure ha perso la favella e si и ormai
chiusa nel silenzio?
Oh, non fraintendermi: se ti sei reso conto che quell'etica che all'inizio
diceva di non uccidere e non rubare, non и in realtа in grado di dare alcuna
indicazione in base all'esser sй dell'essente, come ti facevo notare, ti
assicuro che ne sono anche contento; solo, mi piacerebbe saperlo...
>> Non и un'espressione o una testimonianza dell'esser sй dell'essente, ma и
>> un suo tentativo di negazione, esattamente come lo sono quelle cose
>> contro cui si scaglia.
>
> Eccerto! Se definisci come essente la contraddizione, ossia il nulla,
> tutto fa brodo :-)
E allora non definire come nulla un essente, cioи il contraddirsi e agire in
base a questa contraddizione... Altrimenti, poi tutto fa brodo e dal brodo
magari ci scappa fuori addirittura un'etica che dice di esser fondata
sull'esser sй dell'essente... ^__-
>> Una bella lite in famiglia, insomma: ma il cuore non tremante l'esser sй
>> dell'essente se ne sta lм tranquillo e intoccato da queste beghe
>> familiari dei mortali a due teste...
>
> Bah... Cosa vuoi dire lo sai solo tu.
> I mortali di testa ne hanno una, e gli errori sono tutti e solo lм, fino a
> prova contraria.
> Solo lм dentro puт essere pensato il nulla (?) o quel pensiero
> contraddittorio che si cancella da sй e che perciт non c'и.
> Quindi semmai le due teste stanno dove si confondono i fatti concreti con
> gli esercizi mentali di nulla.
> Che mi sembra il tuo tentativo.
Era una citazione di Parmenide (oi brotoi dykranoi). Detto questo, mi
spiegheresti perchй proporsi il non essere di qualche essente andrebbe
contro l'esser sй dell'essente, e il proporsi di fare altrettanto con
qualche altro essente no, di grazia? Per esempio, perchй il proporsi di
uccidere l'essente Tizio andrebbe contro l'esser sй dell'essente (e dunque,
come dicevi all'inizio, sarebbe qualcosa contro cui tale etica mette in
guardia), e il proporsi di uccidere un miliardo di microbi (altrettanto
essenti), o di mangiare un piatto di lasagne, o volere fermare una strage in
corso o qualche casino no?... Dal punto di vista dell'esser sй dell'essente,
sono essenti tanto Tizio, quanto i microbi, quanto le lasagne e quanto i
casini. Tu puoi certo metterti a fare un'etica e dire quindi questo essente
sм, questo essente no, ma questa и appunto soltanto un'espressione della tua
volontа, non dell'esser sй dell'essente.
>> L'assassino si propone di far non essere quell'essente in cui consiste la
>> sua vittima; l'etico si propone di far non essere quell'essente in cui
>> consiste ciт che identifica - di volta in volta, a seconda dell'etico -
>> come un casino.
>
> La logica non ammette alcun genere di qualunquismo del tipo che tu qui
> proponi.
Scusa, dove sarebbe il qualunquismo non ammesso nella logica nel dire che il
volere che un essente non sia и pur sempre un volere che un essente non sia,
indipendentemente da quale sia l'essente?... A meno che per te qualunquismo
non sia sinonimo di utilizzo di un quantificatore universale, certo...
>> Ehh? La conseguenza dell'impossibilitа di non esser sй dell'essente и,
>> semplicemente, che il non esser sй dell'essente non и. Punto.
>
> ... e virgola, dal momento che puт essere pensato. La prova и qui: tu per
> esempio confondi il nulla (la contraddizione) con l'essente.
Ehm, non per dire ma sei tu che continui a farlo, a confondere il qualcosa
(quell'essente in cui consiste il contraddirsi e operare di conseguenza) con
il nulla... O meglio: da una parte dici che и nulla, dall'altro che и
qualcosa che l'etica dice (suggerisce, consiglia ecc.) di evitare. Stai
facendo il mortale a due teste, insomma...
> Ovvio che l'essente и, e che nessuno lo sposta dall'essere. Ma (lo ripeto
> ancora una volta poi basta, altrimenti viene a noia a tutti) и proprio e
> solo il prenderne atto che и fondamento di un'etica logica, mentre pensare
> la contraddizione, cioи il nulla, ne и la violazione.
Eh, allora prendine atto. Poi perт non potrai piщ proporre un'etica, perchй
ogni tentativo di porre qualcosa anzichй qualcos'altro, foss'anche solo il
voler mangiare un piatto di lasagne, o il ritenere che vada posto qualcosa
anzichй qualcos'altro, ne sarа violazione o tentativo di violazione,
esattamente come dicevi a proposito del voler uccidere o rubare. A meno che
tu non voglia fare il mortale a due teste e prender l'esser sй dell'essente
findove e fintanto che ti aggrada, s'intende... ^__-
Saluti etici,
Surak
> Ma allora, nulla da dire. Solo, non capisco perché sostieni che la tua
> etica
> sarebbe una qualche espressione dell'esser sé dell'essente. Se - e
> poiché -
> ciò che si realizza non è mai una contraddizione, l'esser sé dell'essente
> non ha nulla da dire in proposito. [...]
Ciò sta bene, per come la vedo io (d'altra parte abbiamo alcuni riferimenti
filosofici in comune:-)).
Tuttavia, se all'essente in cui consiste il "contraddirsi" neghiamo una sua
specificità nei confronti della necessità che l'errore sia negato, allora
quel riferimento filosofico (Severino) entra in crisi. Severino nei suoi
scritti successivi a "Ritornare a Parmenide" e precedenti a "Destino della
Necessità", ha da qualche parte (ora non ho tempo per reperire la citazione)
parlato della contraddizione che dà vita all'Occidente come di ciò che "non
doveva" apparire.
Ora, come ben sai Severino ha revisionato alcuni concetti del suo sistema -
e in quel "non doveva" c'è certamente una traccia di nichilismo (negazione
dell'esser sé dell'essente). Ma se il contraddirsi è in tutto e per tutto un
essente come un altro, allora il sistema di Severino, nella sua globalità,
crolla. E d'altra parte, se non crolla, è perché la relazione tra il
contraddirsi e la struttura originaria riesce a distinguersi dalla relazione
tra gli altri essenti e la struttura originaria - ed è sul fondamento di
questa distinzione che si può pensare di fondare una "eticità" sull'esser
sé. Eticità che non potrà consistere in nulla se non nella stessa logicità.
E tuttavia per Severino ogni essente è hegelianamente, nel finito, un
contraddirsi. Eh, l'ormai vecchio onto-tautologo ne sa una più del diavolo.
Ma allora la necessità che la contraddizione in cui consiste il "nihilismo"
sia superata è la stessa necessità che qualunque essente, in quanto esso ha
incominciato ad apparire, sia oltrepassato (presuppongo che tu abbia
presente il discorso sviluppato in "La Gloria")? Domanda fatidica. Se si
risponde di sì, allora l'unico modo per conservare la specificità del
superamento della contraddizione è di far valere il fatto che *ogni* essente
viene superato come un contraddirsi (contraddizione C: contraddizione in cui
consiste la finitezza stessa). Ma allora la contraddizione in cui consiste
il nihilismo non viene superata *in quanto* contraddizione in cui consiste
il nihilismo ma come esemplificazione della contraddizione C? Non ricordo,
adesso, se Severino affronta questa questione in "La Gloria".
Da questo genere di considerazione, nasceva anche l'osservazione che volevo
sottoporre a Qf. Se l'uomo è pensiero, e se il pensiero, negando l'esser sé,
si contraddice, allora la negazione della negazione dell'esser sé nella
quale prima negazione Dio consiste (quel Dio al quale "basta" che ciascuna
cosa sia identica a se stessa) esige in qualche modo la salvezza del
pensiero dal contraddirsi. Dio, insomma, non può starsene con le mani in
mano a godersi lo spettacolo dell'erramento dell'uomo, nella consapevolezza
che "tanto" l'esser sé dell'essente è perennemente salvaguardato (visto che
da un lato la contraddizione ha un contenuto nullo, e dall'altro lato, per
quel tanto che alla contraddizione riesce di essere un essente, questo
essente che la contraddizione riesce ad essere è identico a se stesso),
visto che gli errori dell'uomo sono "cazzi sua":-). Se le cose stanno come
dicevo poco sopra, Dio, beh, deve rimboccarsi le maniche, e "salvare" in
qualche modo l'uomo dalla contraddizione. Un paio di premesse, e tutta la
storia appare, necessariamente come "storia della salvezza". In un modo o
nell'altro.
In generale: Che Dio sarebbe, un Dio che lascia che l'uomo perseveri in
indefinitum nell'errore? Nota. Qui siamo interessati a fare le cose
"logicamente". Che poi sia antropologicamente "ovvio" che tutte le religioni
si siano immaginate un Dio che, in qualche modo, "salva l'uomo" (per la
serie: altrimenti che ce ne faremmo di 'sto Dio?), è una cosa che qui non
può interessarci in alcun modo.
Ed ora saluti a tutti, che "Dio" esiste, per lo meno in "Jesus bleibet meine
Freude" (BWV 147).
Marco
> quel riferimento filosofico (Severino) entra in crisi. Severino nei suoi
> scritti successivi a "Ritornare a Parmenide" e precedenti a "Destino della
> Necessità", ha da qualche parte (ora non ho tempo per reperire la
> citazione)
> parlato della contraddizione che dà vita all'Occidente come di ciò che
> "non
> doveva" apparire.
>
> Ora, come ben sai Severino ha revisionato alcuni concetti del suo
> sistema -
> e in quel "non doveva" c'è certamente una traccia di nichilismo (negazione
> dell'esser sé dell'essente).
Esatto, traccia nichilistica che in seguito è stata rimossa, anche in
relazione all'apparire. In Destino della Necessità afferma infatti che è
necessario che la Terra si inoltri nel cerchio dell'apparire nel modo in cui
si inoltra.
> Ma se il contraddirsi è in tutto e per tutto
> un
> essente come un altro, allora il sistema di Severino, nella sua globalità,
> crolla.
Uhm, non direi così. Perché il sistema di Severino non crolli, occorre che
venga mantenuta, quella sì, l'incolmabile distanza fra l'errore - il
contenuto del contraddirsi - e il destino. Ma il contraddirsi, l'Occidente
con la sua fede e le sue opere, è. E in quell'*è* non ci stanno mezze
misure. La differenza - l'infinita opposizione - sta tutta nel suo
contenuto, ma *quanto al suo essere un essente*, nel suo positivo
significare, non ha nulla da invidiare agli altri essenti. Volere che non ci
sia, o ritenere che non ci dovrebbe essere, o anche solo che non doveva
apparire, è pensiero mortale - peccato mortale... ;-) - non meno che
ritenerlo per ogni altro ente.
> E d'altra parte, se non crolla, è perché la relazione tra il
> contraddirsi e la struttura originaria riesce a distinguersi dalla
> relazione
> tra gli altri essenti e la struttura originaria - ed è sul fondamento di
> questa distinzione che si può pensare di fondare una "eticità" sull'esser
> sé. Eticità che non potrà consistere in nulla se non nella stessa
> logicità.
Che è il tentativo che Severino formula esplicitamente, prima di Essenza del
nichilismo, negli Studi di filosofia della prassi (ponendo esplicitamente il
"non ci si deve contraddire" come l'unica formulazione dell'imperativo
categorico). Poi, però, come sai, c'è stata l'illuminazione... ;-) E dopo
l'illuminazione, la domanda "Che cosa devo fare?" - la domanda etica - perde
comunque senso, ed è sostituita dal "Che cosa è destinato ad accadere?".
> E tuttavia per Severino ogni essente è hegelianamente, nel finito, un
> contraddirsi. Eh, l'ormai vecchio onto-tautologo ne sa una più del
> diavolo.
> Ma allora la necessità che la contraddizione in cui consiste il
> "nihilismo"
> sia superata è la stessa necessità che qualunque essente, in quanto esso
> ha
> incominciato ad apparire, sia oltrepassato (presuppongo che tu abbia
> presente il discorso sviluppato in "La Gloria")? Domanda fatidica. Se si
> risponde di sì, allora l'unico modo per conservare la specificità del
> superamento della contraddizione è di far valere il fatto che *ogni*
> essente
> viene superato come un contraddirsi (contraddizione C: contraddizione in
> cui
> consiste la finitezza stessa). Ma allora la contraddizione in cui consiste
> il nihilismo non viene superata *in quanto* contraddizione in cui consiste
> il nihilismo ma come esemplificazione della contraddizione C? Non ricordo,
> adesso, se Severino affronta questa questione in "La Gloria".
Il problema è affrontato a partire dalla domanda sulla necessità del
tramonto dell'isolamento della Terra, ma direi che le linee argomentative
seguite - dalla necessità del tramonto di ciò che ha incominciato ad
apparire, all'intreccio dei cerchi - non si fermano a quello, ma hanno una
valenza generale, per ogni contraddizione/finitezza. Il continuo superamento
non si ferma con il superamento dell'errore - la contraddizione del
nichismo - ma prosegue anche una volta tramontato il nichilismo, nel
sentiero della Gloria: "La Gloria è appunto l'oltrepassamento e la
conservazione di ogni contraddizione che sopraggiunge in quel cerchio, e
dunque non solo della contraddizione del dolore e del piacere, ma anche di
ogni contraddizione sopraggiunta che si manifesti quando l'isolamento della
terra è divenuto un passato, cioè un perfectum" (p. 361)
[...]
> In generale: Che Dio sarebbe, un Dio che lascia che l'uomo perseveri in
> indefinitum nell'errore? Nota. Qui siamo interessati a fare le cose
> "logicamente". Che poi sia antropologicamente "ovvio" che tutte le
> religioni
> si siano immaginate un Dio che, in qualche modo, "salva l'uomo" (per la
> serie: altrimenti che ce ne faremmo di 'sto Dio?), è una cosa che qui non
> può interessarci in alcun modo.
Eh, c'è però il problema che se a un Dio venisse in mente di salvare
qualcosa o qualcuno, il primo mortale nichilista bisognoso di salvezza
sarebbe lui... ;-)
E poi comunque l'ontotautologo è furbo, e sa che l'uomo - il cerchio
dell'apparire finito - è anche già da sempre salvo nella Gioia, "al di là
del piacere e del dolore"... ;-)
Saluti ontotautologici,
Surak
è pertinente dal punto in cui cercando di descrivere dio con un modello
matematico
ci si domanda se un 'sistema' nato per descrivere la realtà circostante sia
in grado di descrivere
"dio" quali sarebbero le implicazioni.
le implicazioni sarebbero che "dio" sarebbe parte della 'realtà circostante'
e descrivibile...
se in un discorso si solleva un dubbio su una 'sotto sezione' usata anche
marginalmente
trovo pertinente discutere di quella 'sotto sezione' senza per questo
tradire le tematiche del
discorso originale, altrimenti ci troveremo a prendere le 'sotto sezioni'
come 'apriorie valide'
il chè non mi pare il massimo della filosofia
> Una teoria scientifica, e quindi un modello matematico, serve a
> interpretare
> i fenomeni, cioè a farci capire le relazioni fra i fenomeni.
appunto.
se "dio" rientra in un modello allora possiamo descrivere le relazioni tra
il fenomeno
dio e gli altri fenomeni.
implictamente è questo che si afferma quando si dice che dio è l'inisieme
che include
tutti gli altri insieme: si crea una relazione tra fenomeni...ma ci si
spinge ben oltre
quando si vuole puoi pensare "tutti gli insiemi" e quindi dio solo come gli
insiemi
che descrivono dio secondo il cattolicesimo cristiano (infinitamente buono
ma non infinitamente cattivo,
l'insieme che continene tutto ma che non contiene "l'insieme vuoto", etc)
vedi che un pò di relazioni si sono già descritte....da qui a trasporle su
piano fisico ci passa
così poco che si è persino tentato di farlo: "dio crea nel senso che emana
da se stesso"
ha affermato qualcuno....in accordo con il fatto che dio è l'insieme massimo
la creazione non
è altro che *l'isolamento* dei sotto insiemi che lo compongono
> Un modello matematico che cerchi di descrivere Dio, che cosa ci fa capire
> sui fenomeni? Io credo niente.
la matematica non ci fa capire i fenomeni ma le relazioni tra essi.
un modello che ho malamente riassunto sopra traccerebbe diverse relazione
tra fenomeni.
> Un credente è convinto che Dio influisca sul mondo, sugli uomini, sulla
> natura, ecc; ma ne è convinto per fede, non per dimostrazione scientifica.
infatti qui trovo l'inutilità del tentativo di tirare in ballo gli insiemi
matematici per descrivere
un 'modo di pensare' erto a simbolo e simbologia
> Un Dio corrispondente a un modello matematico non sarebbe nulla di quello
> che la gente comune pensa sia Dio.
infatti ma se poi sporchi il modello per adattarlo al pensiero che la gente
ha di dio ('citazioni' da post vari: "dio ha creato il
bene ma il male no perchè questo è solo la negazione di 'dio che è tutto'
quindi è nulla e quindi non
esiste", "dio è l'insieme massimo anche se non include l'insime *nulla*
perchè dio è colui il quale è tutto",
"il bene assoluto esiste ed è dio mentre il male neanche esiste perchè
...vedi citazione precedente) ottieni
un modello che descrive un dio simile al pensiero comune ma fai un insulto
alla matematica e al metodo
scientifico.
> Perciò dico che il modello matematico che si può ipotizzare a proposito di
> Dio:
> non è una prova dell'esistenza di Dio;
neanche le formule fisiche che prevedono i tachioni provano l'esistenza dei
tachioni
ma li danno validità scientifica
e trovo strano che un sotto insieme di regole (sia matematico o fisico)
abbia la capacità
di descrivere regole per l'insieme massimo.
per descrivere regole metafisiche non basta la fisica così come gli errori
di metalinguaggio
(tipico esempio: io sto mentendo!) richiedono un'analisi metalinguistica per
essere risolti
e solo dopo possono essere espressi tramite il linguaggio
> non aiuta a conoscere e capire i fenomeni;
matematicamente no....ma matematicamente non ha proprio senso provare a
dimostrare dio
con la matematica....se sospendi questa regola ovvia allora non solo aiuta a
capire i fenomeni
ma ne da un relazione: dio è l'insieme massimo e noi siamo sue emanazioni
(ma non il male il quale
essendo negazione di dio/bene/insiememassimo non può che essere il nulla che
in matematica sarebbe
un insieme vuoto ma avendo sospeso poco priva qualche regola *matematica*
possiamo pure permetterci
qualche astrazione di comodo no? :) )
> non esclude nemmeno che si possano avere di Dio concezioni diverse.
e no ferma.
se dio si potesse descrivere come legge fisica escluderebbe ogni altra
interpretazione.
dal momento che due corpi si attragono secondo le leggi di
newton/ceplero/eistein è escluso
che ci siano demoni (e ti prego di rispolverare il concetto di demone dalla
filosofia/letteratura
classica greca) che facciano cadere i gravi per 'lavoro'.
poi uno può pure credere che la tv funziona perchè gli gnomi muovono dei
disegni all'interno e parlano,
ma siccome esistono precise leggi fisiche che la tv sfrutta taluna persona
sarebbe solo un folle.
>
>
>
>
>> >
>> > Ho qualche dubbio. I regimi dichiaratamente ateistici sono stati un po'
>> > peggiori degli altri.
>>
>> io non mi riferivo alla contrapposizione religioso-(non religioso) ma ad
> un
>> ipotetico
>> (ed impossibile) mondo senza sentimenti, emozioni e ideali di origine
>> emotiva.
>> questa è cosa ben diversa dall'ateismo (parola che mi lascia perplesso:
> non
>> è un pò come negare
>> *es* ad una cosa la quale *è* già altrimenti non potrebbe essere negata?)
>> parlavo di una morale basata sulla logica e nessuna morale lo ha mai
>> fatto
>> veramente.
>
> Ti ho promesso una replica organica sulla morale in cui dovrebbe entrare
> anche qualche osservazione pertinente a quest'ultima tua.
volentieri
>
>
>
>