pcf ansiagorod ha scritto:
Ciao "pcf ansiagorod". Ho letto, al tuo primo link, dei falsi stereotipi
circa il buddismo. Non potendo mettere in dubbio l'autorevolezza
dell'autore (non ho fatto ricerche approfondite su argomenti cosi'
lontani dai miei interessi intellettuali; mi bastano ed avanzano le
problematiche del pensiero occidentale:-)), mi sono chiesto tuttavia di
quale buddhismo si sta parlando, avvertendone un'interpretazione venata
quasi da un certo "edonismo", difficile da trovare almeno in quello
originario riferibile direttamente alle parole di Gotamo Siddharta sulle
"Quattro auguste verita'", tenuto a Benares(*). Vero e' che Buddha non
ha scritto nulla e la sua vita ci e' stata tramandata dai discepoli (che
nel corso del tempo hanno dato origine a varie "correnti"), in racconti
agiografici in cui e' difficile discernere i dati sicuramente storici.
Cosi' e' anche il discorso che ho riportato in nota, ma che dagli
studiosi e' giudicato di massima verosimiglianza.
Comunque io mi tengo la perplessita' dell'incompetente e possiamo
mettere tutto questo tra parentesi, per tornare piu' al tema specifico
del tuo post, che riguarda piu' in particolare che cosa il fisico
Rovelli ha recepito della filosofia indiana, in funzione della sua
soluzione "relazionale" degli enigmi posti dalla meccanica quantistica.
Hai detto di non possedere il suo "Helgoland"?(**). Ne ho copia
digitale, per cui mi e' facile cercare le citazioni che possono
interessarti e che vado a riportare. Le numero, per meglio distinguerle
da qualche mio eventuale breve commento.
1)<<All'ennesima volta che mi sono sentito chiedere: «Hai letto
Nagarjuna?», ho deciso di leggerlo. È un testo poco noto in Occidente ma
non è un testo minore: è uno dei capisaldi della filosofia indiana, ed è
solo per la mia penosa ignoranza del pensiero asiatico, caratteristica
di un occidentale, che non lo conoscevo. Si intitola con una di queste
impossibili parole indiane: Mùlamadhyamakakàiikà, tradotta in molti
modi, per esempio Le stanze del cammino di mezzo. Uno letto in una
traduzione commentata di un filosofo analitico americano."3 Mi ha
lasciato un'impressione profonda.
Nàgàrjuna è vissuto nel II secolo. Sul suo testo esistono innumerevoli
commenti e si sono stratificate interpretazioni ed esegesi, ^interesse
dei testi così antichi è proprio la stratificazione di letture che ce li
consegna arricchiti di livelli di significato. Quello che ci interessa
davvero dei testi antichi non è cosa volesse inizialmente dire l'autore:
è quello che il testo può suggerire oggi a noi.
La tesi centrale del libro di Nàgàrjuna è semplicemente che non ci sono
cose che hanno esistenza in sé, indipendentemente da altro. La risonanza
con la meccanica quantistica è immediata. Ovviamente Nàgàrjuna non
sapeva e non poteva sapere nulla di quanti, non è questo il punto. Il
punto è che i filosofi ci offrono modi originali di pensare il mondo, e
noi possiamo servircene se ci risultano utili. La prospettiva che offre
Nàgàrjuna ci rende forse un po' più facile pensare il mondo dei quanti.
2)<<Il fascino del pensiero di Nagarjuna va al di là del le questioni
della fisica moderna. La sua prospettiva ha qualcosa di vertiginoso.
Risuona con il meglio di tanta filosofia occidentale, classica e
recente. Con lo scetticismo radicale di Hume, con lo smascheramento
delle domande mal poste che ci permette il pensiero di Wittgenstein. Ma
Nagarjuna mi sembra non cadere nella trappola in cui si impiglia tanta
filosofia postulando punti di partenza che finiscono sempre per
rivelarsi poco convincenti a lungo andare. Parla della realtà, della sua
complessità e della sua comprensibilità, ma ci difende dalla trappola
concettuale di volerne trovare un fondamento ultimo.>>
3)<<Io non sono un filosofo, sono un fisico: un vile meccanico. A questo
vile meccanico, che si occupa di quanti, Nagarjuna insegna che posso
pensare le manifestazioni degli oggetti fisici senza dovermi chiedere
cosa sia l'oggetto fisico indipendentemente dalle sue manifestazioni.
Ma la vacuità di Nagarjuna nutre anche un atteggiamento etico
profondamente rasserenante: comprendere che non esistiamo come entità
autonome ci aiuta a liberarci dall'attaccamento e dalla sofferenza.
Proprio per la sua impermanenza, per l'assenza di ogni Assoluto, la vita
ha senso ed è preziosa.>> [Questa l'hai in parte riportata tu]
Questi sono i piu' diretti riferimenti al pensiero di Nagarjuna. Ma cio'
che piu' importa e' la funzione che essi hanno, che e' quella che hai
presente e cui ho anch'io accennato: la sua interpretazione
*relazionale* dei fenomeni quantistici, e che nel suo nucleo piu'
logico-teoretico ha il suo perno nel concetto di "vuoto", inteso come
vuoto *di sostanza*, cioe' della sostanza come oggettivita' ontologica
della realta'. Non e' il caso che mi dilunghi con citazioni anche su
questo, che dal punto di vista della fisica dei quanti saprai meglio di
me. Piuttosto: tu ritieni che Rovelli abbia estremizzato questa
impostazione relazionale. Non solo, a mio avviso, e' andato
"filosoficamente" oltre dovuto, ma ha anche fatto sua questa
estremizzazione:
4)<<Di solito poi osserviamo il mondo a grandi scale, quindi non ne
vediamo la granularità. Vediamo valori mediati fra tantissime piccole
variabili. Non vediamo singole molecole: vediamo l'intero gatto. Quando
ci sono tantissime variabili, le fluttuazioni diventano irrilevanti, la
probabilità si avvicina alla certezza.7* I miliardi di variabili
discontinue e punteggiate dell'agitato e fluttuante mondo dei quanti si
riducono alle poche variabili continue e ben definite della nostra
esperienza quotidiana. Alla nostra scala il mondo è come un oceano
agitato dalle onde osservato dalla luna: una piatta superficie di una
biglia immobile.
La nostra esperienza quotidiana quindi è compatibile con il mondo
quantlstico: la teoria dei quanti comprende la meccanica classica, e
comprende la nostra usuale visione del mondo, come approssimazioni. Le
comprende come un uomo che vede bene può comprendere l'esperienza di un
miope che non vede il ribollire in una pentola sul fuoco. Ma alla scala
delle molecole, il netto spigolo di un coltello d'acciaio è fluttuante e
impreciso come il bordo di un oceano in tempesta che si sfrangia su una
spiaggia di sabbia bianca.
La solidità della visione classica del mondo non è che nostra miopia. Le
certezze della fisica classica sono solo probabilità. L’immagine del
mondo nitida e solida della vecchia fisica è un'illusione.>>
5)<<Al di là della fisica, il pensiero relazionale lo si ritrova in
tutte le scienze. In biologia le caratteristiche dei sistemi viventi
sono comprensibili in relazione all'ambiente, formato da altri esseri
viventi. In chimica le proprietà degli elementi sono il modo in cui
questi interagiscono con altri elementi. In economia si parla di
relazioni economiche. In psicologia la personalità individuale esiste in
un contesto relazionale. In questi e tanti altri casi capiamo le cose
(vita biologica, vita psichica, composti chimici...) nel loro essere in
relazione ad altre cose.
Nella storia della filosofia occidentale, la critica alla nozione di
«entità» presa come fondamento della realtà è ricorrente. La si ritrova
nelle tradizioni filosofiche più disparate, dal «tutto scorre» di
Gradito, fino alla contemporanea metafisica delle relazioni. Solo
nell'ultimo anno sono usciti libri di filosofi come "Un approccio
fondale alla metafisica delle prospettive" e "Il relativismo dei punti
di vista: un nuovo approccio epistemologico basato sul concetto di punto
di vista". Nella filosofia analitica, il "realismo strutturale" è basato
sull'idea che le relazioni vengano prima degli oggetti: per Ladyman, ad
esempio, il modo migliore di comprendere il mondo è pensarlo come un
insieme di relazioni senza oggetti che siano in relazione. In una
prospettiva neokantiana Michel Bitbol ha scritto "Dall'interno del
mondo: per una filosofia e una scienza delle relazioni". In Italia,
Laura Candiotto ha pubblicato con Giacomo Pezzano un libro intitolato
Filosofia delle relazioni.>>
Non mi dilungo in una critica delle posizioni filosofiche che qui
Rovelli cita, che sarebbe troppo specialistica. Mi accontento solo di
accennare al fatto che l'estremizzazione del concetto di "vuoto di
sostanza" logicamente porta, per un procedimento all'infinito,
all'idealismo assoluto; e da poco esperto di meccanica quantistica mi
permetto di preferirgli la prundenza e la saggezza tutta occidentale di
Penrose, espresse in un altro libro divulgativo:
<<Non ho fatto mistero della mia convinzione che la soluzione dei
rompicapo della teoria quantistica si potrà avere soltanto quando avremo
trovato una teoria migliorata [...]. Sappiamo che, al livello
submicroscopico, dominano incontrastate le leggi quantistiche, ma al
livello delle palle da tennis vale la fisica classica. Fra questi due
li¬velli abbiamo bisogno secondo me di capire la nuova legge, per
ve¬dere in che modo il mondo quantistico si fonda con quello classico.
Io credo, inoltre, che avremo bisogno di questa legge se dovremo mai
capire la mente!>> (Penrose, "I vestiti nuovi dell'imperatore")
> Scusate la lunghezza.
Cosa dovrei dire io?:-)
Un saluto,
Loris
(*) <<Questa, o monaci, è l'augusta verità circa il dolore: nascita è
dolore, vecchiezza è dolore, malattia è dolore; dolore è l'unione con
ciò che dispiace, dolore è la separazione da ciò che piace, non ottenere
ciò che si desidera è dolore; in breve, i cinque diversi aggregati che
determinano l'attaccamento all'esistenza sono dolore.
Questa, o monaci, è l'augusta verità circa l'origine del dolore: è la
sete che conduce di rinascita in rinascita, che si associa con la gioia
e il desiderio e trova qua e là il suo appagamento, cioè la sete di
piaceri sessuali, la sete di rinascita, la sete di annichilimento.
Questa, o monaci, è l'augusta verità circa l'estinzione del dolore:
l’eliminazione di questa sete mediante il totale annientamento della
passione; abbandonarla, privarsi di lei, sciogliersi da lei, non
concederle alcun luogo.
Questa, o monaci, è l'augusta verità circa la via che conduce
all'estinzione del dolore; è questa la santa via composta di otto parti.
Essa ha questi nomi: retto modo di pensare, retta decisione, retta
parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto ricordo, retta
concentrazione.>>
(**) Breve saggio divulgativo, piacevole da leggere, non disdegna di
scendere nell'aneddotico (la famiglia molto "allargata" del brillante
Heisenberg, le amanti di Schroedinger, l' "arrogante" Pauli, le
vicissitudini del comunista Bohm...), ma contiene anche numerose note e
riferimenti impegnativi, per "addetti ai lavori".