Il 28/02/23 21:55, Loris Dalla Rosa ha scritto:
> posi ha scritto:
>> Il 28/02/23 13:24, Loris Dalla Rosa ha scritto:
>>> posi ha scritto:
>>>> Il 27/02/23 18:00, Loris Dalla Rosa ha scritto:
>
> [...]
>
>>> La definizione nella Lettera agli ebrei (falsamente attribuita a
>>> Paolo), bravo!, e' quella piu' in tema con la nostra discussione.
>>> "πραγμάτων ἔλεγχος οὐ βλεπομένων", cioe' "prova" di realta' che non
>>> si vedono. Qui "prova" ha un significato forte, di una vera e propria
>>> "dimostrazione" , naturalmente non in senso logico, ma di certezza
>>> assoluta dell'esistenza di realta' che non si vede.
>
>> Sì, ma permettimi una correzione: il termine "assoluta" è a mio parere
>> decisamente fuori luogo. Puoi dire "apodittica", o meglio ancora
>> "assiomatica".
>
> Io uso "incondizionata", ma non formalizziamoci sulle parole.
>
Va benissimo "incondizionata".
Mentre "assoluta" si oppone a "relativa".
>> Ma non è necessariamente una certezza *assoluta*: è una certezza che
>> riguarda il sistema che si sta definendo: se vuoi stare *dentro* quel
>> sistema, devi postulare che quell'enunciato sia vero. E' dunque una
>> necessità relativa a quel sistema.
>>
>
> Ma questo non verrebbe a dire una cosa del genere?: se vuoi stare
> *dentro* la chiesa (la cerchia dei credenti) devi credere? Non so se e'
> chiaro; sembra cioe' che la "chiesa" dei credenti esista prima che
> esistano i credenti, quando invece prima c'e' la fede dei credenti, che
> poi costruiscono la "chiesa" con le regole per chi puo' e chi non puo'
> entraci. Insomma, la fede in un'entita' metafisica viene *logicamente*
> prima della sua assiomatizzazione.
Sai per quante migliaia di anni la gente ha usato il teorema di Pitagora
prima che Euclide ne definisse esplicitamente gli assiomi su cui si basa?
E sai quanti assiomi Euclide ha dimenticato di menzionare esplicitamente
in quanto tali nel suo trattato, ma di fatto, senza accorgersene, li usava?
La realtà è che definire con precisione un paradigma, chiarendo che cosa
può essere dimostrato (cioè derivato da qualcos'altro) e che cosa non
può essere dimostrato, non è affatto semplice.
Imparare ad usare la logica significa che prima di dire "ma questo è
*ovvio*!" ci si ferma un attimo a ragionare e capire se può essere
dimostrato o è un assioma.
>
>> Che poi tu riesca o meno a vedere un *fuori*, è un altro discorso. Se
>> ci riesci, allora parlerai di certezza relativa, altrimenti di
>> certezza assoluta.
>>
>
> Io penso che siamo ambedue "all'aperto", tu con la fede e io senza.
> Ma in sintesi le posizioni sono logicamente tre e non due. Ci sono due
> posizioni, due "assiomi" come a te piace chiamarle, ambedue metafisiche,
> che si contraddicono e si beccano in continuazione tra di loro come le
> tortore di Konrad Lorenz.
Esatto: si può avere un assioma, si può avere la sua negazione, e si può
non averlo affatto. Le possibilità sono tre.
Ma, come spiegavo nell'altro thread, le tortore si beccano solo se
pretendono di stare nello stesso paradigma. Utilizzare assioma non
significa necessariamente attaccarci con la colla a quel paradigma. Se
due paradigmi sono incompatibili tra loro, si può benissimo metterne da
parte uno ed utilizzarne temporaneamente un altro. Un assioma fa parte
di un paradigma, una *persona* nel suo complesso no.
Per ambedue le loro sono verita' assolute,
> rinchiuse all'"interno" del loro assioma.
Se sono all'interno di un sistema, allora sono relative.
Infine c'e' la posizione di
> chi rimane "all'aperto", considerando che la verita' e' solo quella
> dell'indecidibilita' irrisolvibile di certe questioni metafisiche,
> perche' dovuta ai limiti della ragione, e che percio' non e' tanto
> questione di "dentro" e "fuori" da questa o quella "chiesa", quanto
> piuttosto di un "sopra" e "sotto" i limiti della ragione; e che allora
> e' meglio occuparsi di problemi che presumibilmente abbiano una
> soluzione. Di solito questa viene definita la posizione dell'agnostico;
E' la posizione in cui mi sono messo io nell'impostare il thread
"certezza e relativismo". Io lo chiamo "agnosticismo metodologico" per
distinguerlo da quello che menzioni sotto.
E' una sorta di lingua franca che permette il dialogo tra persone di
fedi diverse, purché razionali e non cieche.
Un agnosticismo perfetto e totale in cui non si assume niente di niente
sarebbe, da un lato, il massimo della tolleranza e dell'apertura
mentale, dall'altro estremamente limitato come possibilità di ragionamento.
Di fatto, almeno il pdnc o un qualche suo surrogato occorre assumerlo
anche solo per iniziare un discorso.
A questo va poi aggiunta una qualche forma sia pur limitata di realismo
("ciò che posso vedere esiste"), se non ci si vuole fossilizzare su un
dubbio cosmico.
Se poi aspiriamo anche a fare 2+2 servono anche tutti i numerosi assiomi
della matematica.
Se a questo aggiungiamo anche gli assiomi della scienza si riesce già ad
ottenere un bel paradigma che è abbastanza potente pur rimanendo anche
al tempo stesso ancora abbastanza universale.
Però c'è chi sente l'esigenza di avere una risposta anche domande sul
*perché* delle cose, e nessuno dei paradigmi sopra menzionati riesce
allo scopo. Si noti che anche risposte come "non c'è un perché" o "il
perché è in loro stesse", sarebbero pur sempre risposte, ma servono
comunque ulteriori assiomi.
> il quale pero', pur facendo parte in pratica dell'ampia famiglia degli
> atei, non e' detto che non si diletti anche di questioni metafisiche:-).
>
Detto fra noi, secondo me gran parte di coloro che si definiscono
agnostici, in realtà sono degli atei che non vogliono ammettere a loro
stessi di avere una fede e allora si auto-convincono di aver sospeso il
giudizio anche se una profonda convinzione al riguardo ce l'hanno.
Tu invece hai risolto il problema in un altro modo: hai deciso di non
chiamarla "fede" ma "fiducia" sei contento così.
>> E' curioso che con questa definizione il
>>> nostro contrasto si riduca drasticamente alla presenza o assenza di
>>> una parolina, "οὐ", "non". Se la togliamo abbiamo la "prova" delle
>>> realta' che si vedono, che e' la certezza, mai raggiunta
>>> completamente, che persegue il pensiero scientifico e che e'
>>> antitetica alle certezze assolute della fede.
>>
>> Togliere quel "non", significa perdere di generalità e non parlare più
>> di un qualsiasi assioma o insieme di assiomi, ma riferirsi un assioma
>> ben preciso: "ciò che osservo attraverso i sensi, corrisponde al vero".
>
> Questo "assioma" asserisce che ogni conoscenza inizia dall'esperienza, e
> non dice che questa e' una verita' assoluta, ma che e' il comunciamento,
> l'inizio della *via* della ricerca della verita'. Quanto alla verita' di
> cio' che si intuisce immediatamente attraverso i sensi, neanche il piu'
> rigoroso dei sensisti sostiene che quella e' la verita'. Se un bastone
> dritto immerso nell'acqua appare spezzato (esempio che risale agli
> stoici, se non ricordo male) in realta' e' dritto o spezzato, visto che
> sia l'un caso che l'altro derivano da osservazione diretta? Ecco che le
> leggi di rifrazione della luce risolve il problema; ma la legge e'
> astratta, non e' mica visibile.
Un criterio comunemente usato per attenuare il problema delle illusioni
sensoriali è usare i sensi congiuntamente al pdnc: se una cosa mi appare
agli occhi ma non al tatto, oppure la vedo da una angolazione ma
scompare se la guardo da un'altra, oppure appare o scompare da
un'istante all'altro, allora è un'illusione.
Tuttavia, come tu stesso ha notato, l'unico modo per risolvere veramente
il problema è ricorre alle leggi della scienza, che vuol dire introdurre
molti altri assiomi.
>
>> Se non si ammettono altri assiomi al di fuori di quello, allora ecco
>> che sorge l'incompatibilità con la fede. Quest'ultima è forse la
>> posizione tua, ma certamente non quella della scienza.
>>
>
> Quello che non va confuso, detto in soldoni, e' l'astratto (che e'
> prodotto dell'attivita' dell'intelletto) col metafisico, inteso
> quest'ultimo come realta' ontologica separata dall'intelletto.
>
Allora non confondiamolo.
Io sto dicendo che il metafisico è *indecidibile* con i paradigmi empirici.
>> Ovviamente parlo della scienza empirica, le cui
>>> "certezze" si fondano in ultima istanza sul riscontro empirico.
>>> Potrai dirmi che esistono anche scienze puramente teoriche, p.e. la
>>> fisica teorica, che costruisce modelli puramente astratti, ma nessun
>>> modello, per quanto possa essere lontano mille miglia dalla realta'
>>> concreta dell'esperienza, ha un qualche valore se non e' infine
>>> applicabile a tale realta'.
>>
>> Beh... quello non te lo dico, perché in effetti la fisica teorica non
>> esiste: esistono i fisici teorici. Tra scienziati ci si divide un po'
>> il lavoro, ed è normale che qualcuno si occupi più della teoria e
>> qualcun altro più dell'esperimento, fermo restando che sono entrambi
>> indispensabili.
>>
>> Posso invece menzionarti la logica, la matematica, ma soprattutto,
>> visto il luogo in cui ci troviamo, la filosofia.
>>
>
> Certamente, tutte attivita' che trattano concetti, che sono astratti; ma
> non e' che la filosofia sia un'entita' metafisica.
>
Ovviamente no. Però la filosofia tratta *anche* di metafisica.
>> Come ben sapeva anche Einstein, la cui teoria della
>>> relativita' poteva essere la fantasia fisico-matematica di un mondo
>>> immaginario, senza il riscontro empirico dell'eclisse del 1919, e i
>>> vari altri esperimenti che in seguito la corroborarono.
>>> E la "cecita'" di cui noi parliamo? E' del sapere scientifico o della
>>> fede? Prendiamo questi passi di Paolo di Tarso:
>>> <<Abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle
>>> che non si vedono; poiche' le cose che si vedono sono per un tempo,
>>> ma quelle che non si vedono sono eterne.>> (L. ai Corinzi, 2, 4:18)
>>> e ancora:
>>> <<Camminiamo per fede e non per visione.>> (Corinzi 2, 5:7)
>>> Quant'e' allora relativo anche il concetto di "cecicita'"!
>>
>> Per quanto possa essere inteso in senso metaforico, il concetto di
>> "cecità" è inscindibilmente legato al *non* vedere qualcosa che c'è.
>> Quindi totalmente inappropriato al concetto che vuoi esprimere.
>>
>
> E' legato anche al vedere qualcosa che non si vede, secondo San Paolo.
No. Né San Paolo né nessun altro chiama *cecità* il vedere qualcosa che
non c'è. L'unico sei tu, e lo fai solo per coerenza con la tua
assunzione che la fede sia per sua natura "cieca".
> Questo in effetti e' un mistero della fede.
>
>> Se vuoi riferiti al vedere ciò che non c'è, puoi parlare semmai di
>> *allucinazione*.>
>
> Vuoi forse dire che Paolo, con quel suo bel ossimoro dello sguardo
> intento alle cose che non si vedono, era un allucinato? Posso essere
> d'accordo:-).
Voglio dire che, se proprio vuoi scambiarsi insulti con un credente, tu
puoi chiamare lui "allucinato" e lui chiamerà te "cieco".