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[Recensione] Perche' i tedeschi, perche' gli ebrei

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Jey

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Apr 16, 2019, 2:00:02 AM4/16/19
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Così i tedeschi impararono ad odiare gli ebrei
20 Ottobre 2013
di Ester Moscati

Perché? Perché l'odio, perché la violenza, perché �€" nel migliore dei
casi �€" l'indifferenza? Tutti noi, quando poco più che bambini iniziamo a
confrontarci con "la notizia", con l'idea di quello che il nostro popolo
ha dovuto sopportare con la Shoah e lo sterminio di gran parte degli
ebrei che vivevano in Europa alla metà del Novecento, tutti noi abbiamo
sentito nel cuore e nella mente questo inevitabile interrogativo. Ma non
è solo la domanda retorica di chi non si capacita di una assurda
enormità. È la domanda che spinge decine di storici ad affrontare il
tema della Shoah. Un bisogno di capire, di darsi una ragione. E questa
ragione spesso sfugge, anche a chi è del mestiere. Si parla così di
"follia nazista", "Hitler era un pazzo". Si tirano fuori persino
risvolti esoterici, mistici. Si scomodano i rapporti personali difficili
dei vertici del nazismo con i loro compagni ebrei. Ma ovviamente tutto
questo non basta a spiegare "la misura" della Shoah. Non basta a mettere
in moto e nutrire una macchina dello sterminio che ha cancellato milioni
di uomini, donne e bambini dalla faccia della terra. Non basta, no. E
allora la domanda perché? resta sospesa.

Il pregio del libro di Götz Aly, Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? è
quello di ricostruire un passato, quello del popolo tedesco, della
nazione germanica, e degli ebrei in mezzo a loro partendo da molto
lontano, dalla radici della simbiosi ebraico-tedesca. Si scopre così che
il "perché" può avere risposta, anzi ne ha diverse. E il fatto di dare
risposta alla domanda fondamentale implica la capacità di dare nel
contempo una "prospettiva", una "visione" dell'oggi e del futuro che
rende la lezione di Aly tutt'altro che sterile erudizione. Oggi che
l'odio per il diverso, le pulsioni distruttive verso i nemici "di
genere" continuano ad infettare le società, a livello planetario.

Ma partiamo da un dato: nell'anno 1900, in Germania, gli studenti ebrei
che conseguivano la maturità erano otto volte di piú dei loro compagni
cristiani. E cento anni prima, il gap era ancora maggiore. "Sin
dall'inizio del XIX secolo fu evidente che per gli studenti ebrei era
più facile imparare a leggere, scrivere e far di conto, strumenti da
allora in poi imprescindibili. Nel 1743 il quattordicenne Moses
Mendelssohn sapeva leggere e scrivere, parlava yiddish, ebraico,
aramaico e tedesco". Solo nel 1900 le grandi città tedesche ebbero un
liceo, mentre ovunque gli ebrei, almeno da 100 anni prima, avevano dato
ai propri figli l'istruzione superiore, fondando scuole tecniche e
umanistiche.

Se per i signori locali istruire i ragazzi cristiani era considerato un
pericoloso veicolo di emancipazione e ribellione, dalle comunità
ebraiche ogni sia pur cauto segno di libertà, ogni spazio di tolleranza,
veniva colto e sfruttato per crescere dal punto di vista sociale,
culturale ed economico. I tedeschi vedevano in tutto questo non solo un
pericolo, una rivalità, ma soprattutto il segno di una "diversità".

"Chi vuole capire l'antisemitismo della maggioranza tedesca deve anche
parlare delle attitudini e del desiderio di cultura, della presenza di
spirito e della rapida ascesa sociale di così tanti ebrei. Solo allora
risulteranno evidenti sia il contrasto con la maggioranza dei tedeschi,
nel complesso inerte e lenta ad accettare i cambiamenti, sia gli alibi
dell'antisemitismo. Solo allora sarà possibile capire perché gli
antisemiti erano persone rose dalla gelosia e dall'invidia".

La tesi di Aly è che gli ebrei erano in Germania tutto ciò che i
tedeschi non erano. Avevano tutto ciò che i popoli germanici
desideravano da tempo: radici antiche, una lingua comune, tradizioni
estese e condivise.

"L'insicurezza insita nel nazionalismo tedesco condusse tra il 1800 e il
1933 ai noti eccessi di isterica millanteria", scrive Aly. L'insicurezza
è quella di coloro che degli ideali della rivoluzione francese e del
secolo dei Lumi colsero l'aspetto dell'uguaglianza come un comodo nido,
dove sparire come individui. Un popolo che non volle assumersi il
rischio della libertà individuale, per la quale si sentiva inadeguato.
Ed è per la diffusione massiccia e la profondità di questi sentimenti
"tedeschi" che li ritroviamo declinati con poche varianti sia nei
democratici, sia nei conservatori. Ciascuno a suo modo costruì "buone
ragioni" per odiare gli ebrei.

"Solo un popolo di servi può provare piacere nello schiavizzare una
minoranza", scriveva nel 1831 Gabriel Riesser, politico tedesco pioniere
dell'idea dell'emancipazione ebraica. E lo scriveva perché da ogni parte
si levavano voci favorevoli alla discriminazione degli ebrei, a
contenerne le libertà e l'ascesa sociale, ad impedirne l'accesso
all'insegnamento nelle cattedre universitarie e alla carriera militare.

E fu sotto la Repubblica di Weimar, l'ultima luce democratica prima
dell'avvento di Hitler, che fu istituita nel 1923 presso l'Università di
Monaco la prima cattedra tedesca di Igiene razziale e nel 1927
l'Istituto berlinese di antropologia, dove lavorò Josef Mengele. Fu lì
che i pregiudizi antisemiti si ammantarono di validità scientifica, ben
prima dell'avvento della "follia nazista".

Fu lì che gli ebrei, sotto l'egida di una prestigiosa università e
all'ombra della Repubblica, si videro descrivere come una "stirpe
bastarda, totalmente avulsa dal contesto europeo, caratterizzati dalla
sorprendente capacità di entrare nella mente degli altri uomini e
guidarli secondo il loro volere".

"In Germania gli ebrei non avevano a che fare con un solo nemico, ma con
cinque diversi correnti antiebraiche animate da altrettante motivazioni
e dunque contrarie all'emancipazione: in primo luogo con l'antico
pregiudizio religioso; poi con la paura del progresso che caratterizzava
i ceti tradizionali; terzo, con la borghesia avida di protezioni statali
invece che di libertà; quarto con l'odio per lo straniero dei
nazionalrivoluzionari tedeschi, che legavano il concetto di popolo
all'idea di una religione, di una storia e di una lingua comune; infine
con i romantici tedeschi e cristiani di idee riformatrici". Perché i
tedeschi? Perché gli ebrei? Ecco perché. L'antisemitismo divenne
patrimonio comune dei tedeschi, un collante formidabile. Come avrebbero
potuto salvarsi gli ebrei?

Le premesse erano gettate da secoli, la modernità pseudo-scientifica
dava il suo imprimatur all'odio e alla discriminazione, le masse non
aspettavano altro. Soprattutto quando la dittatura tolse al popolo la
responsabilità dei propri sentimenti antisemiti e li impose addirittura,
con gli annessi vantaggi della distribuzione dei beni sequestrati, dei
posti di lavoro che si liberavano a favore dei tedeschi puri.

"L'antisemitismo elevato nel 1933 a scopo dello Stato affrancò il
tedesco dalla vergogna e dalla responsabilità". L'invidia sociale,
protetta dalla legge, poteva a quel punto bearsi dell'umiliazione
dell'ebreo, della sua persecuzione, spoliazione, della violenza che in
modo sempre più sistematico iniziò a colpirlo.

Ester Moscati


Götz Aly, Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? Uguaglianza, invidia e
odio razziale (1800-1933), traduzione di Valentina Tortelli, Einaudi
Storia, pp. XX �€" 284, € 32,00. Lo storico Götz Aly (Heidelberg 1947)
insegna al Fritz Bauer Institut presso l'Università di Francoforte.
Giornalista tra i piú noti, ha pubblicato numerosi studi sul
nazionalsocialismo e sullo sterminio ebraico. Per Einaudi ha pubblicato
Lo stato sociale di Hitler (2007) e Perché i tedeschi? Perché gli ebrei?
(2013).





Fonte:
http://www.mosaico-cem.it/cultura-e-societa/libri/cosi-i-tedeschi-impararono-ad-odiare-gli-ebrei
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Jey
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