Google Groups no longer supports new Usenet posts or subscriptions. Historical content remains viewable.
Dismiss

accenti

552 views
Skip to first unread message

teo

unread,
Dec 25, 2002, 8:06:49 PM12/25/02
to
Allora:
un giorno parlando con la mia ragazza nminai disgraziatamente invano il nome
di *Eràclito*. Essendo ella quasi diplomata al clasico, mi corresse
puntigliosa con un "SI DICE *Eraclìto*!!!" ed io umile incassai, essendo
maturato allo scientifico. Tempo dopo con mio cugggino, liceo classico
Berchet, sfoggiai con fierezza nel mezzo di un discorso impegnato la parola
*Eraclìto* ma invece di dirmi "che bravo, gli accenti giusti li sappiamo
mettere solo noi geni liceali!", mi corresse con un "si dice *Eràclito*!!
Ignorante!!".
Ho provato a cercare un escamotage, dicendo che, siccome parlo italiano e
nella ia lingua l'accento cade generalmente sulla penultima, se uso il
termine italiano "Eràclito" lo dovrò pronunciare appunto con l'accento sulla
A..
Cercando sul vocabolario però, ho scoperto che in greco gli accenti dei nomi
non hanno una regola precisa, anche con nomi simili (mi pare che Aristoteles
non abbia lo stesso accento di Aristofanes o qsa di simile..)
Ecco allora una domanda: se vedo un nome greco, come faccio/è possibile
saperne l'esatta pronuncia??
grazie mille a chiunque avrà la voglia di rispondermi!!
ciao!
Matteo

Sergio Audano

unread,
Dec 26, 2002, 9:25:58 AM12/26/02
to

teo <gren...@yahoo.it> wrote in message
audkds$vbh$1...@lacerta.tiscalinet.it...

> un giorno parlando con la mia ragazza nminai disgraziatamente invano il
nome
> di *Eràclito*. Essendo ella quasi diplomata al clasico, mi corresse
> puntigliosa con un "SI DICE *Eraclìto*!!!" ed io umile incassai, essendo
> maturato allo scientifico.

Due suggerimenti: la prossima volta o parli di argomenti più "leggeri"
oppure ti conviene cambiare ragazza:-)))
Scherzi a parte, la pronuncia delle parole greche ha in realtà delle
"regole" (anche se non esiste una "regola" fissa, cosa che ha dilaniato i
cuori degli studiosi fin dai tempi dell'Umanesimo secondo il noto adagio:
"Graeca per Ausoniae fines sine lege vagantur"), una delle quali dice che le
parole greche, dal momento che sono passate in italiano tramite la
mediazione del latino, dovrebbero mantenere la pronunzia latina (questo
spiega perché "Eraclìto" e non "Eràclito", "èdipo" e non "Edìpo", "Téseo" e
non "Teséo", "Dionìso" e non "Diòniso", con delle eccezioni per nomi propri
troppo diffusi come "Cleopàtra" in luogo del più corretto "Cleòpatra"). Ti
suggerisco quindi di consultare un vocabolario di latino per vedere l'esatta
quantità della penultima sillaba e, quindi, determinare l'esatta
accentazione.
Ciao e auguri!
Sergio

Massimo Manca

unread,
Dec 26, 2002, 1:53:54 PM12/26/02
to
teo wrote:
>
>
> Ecco allora una domanda: se vedo un nome greco, come faccio/č possibile
> saperne l'esatta pronuncia??

La pronuncia dei nomi greci segue per lo piů in italiano la loro
pronuncia latina; puoi dunque consultare un dizionario di latino.
Quindi, nel caso specifico, Eraclěto. Comunque, se ne č parlato da poco,
ragion per cui

[ADMIN] Rimando al thread: Accentazione [era: Samo, il giorno dopo].
Poi lo mettiamo nelle FAQ.

--
"Il poeta aveva la bocca spalancata per ricevere dalla donna ettolitri
d'amore" Tema sullo stilnovismo, terza liceo.
it.cultura.classica: http://digilander.iol.it/mmanca

Alex 5630

unread,
Dec 27, 2002, 7:59:19 AM12/27/02
to
On Thu, 26 Dec 2002 14:25:58 GMT, "Sergio Audano"
<sergio...@libero.it> wrote:

> le
>parole greche, dal momento che sono passate in italiano tramite la
>mediazione del latino, dovrebbero mantenere la pronunzia latina (questo
>spiega perché "Eraclìto" e non "Eràclito", "èdipo" e non "Edìpo", "Téseo" e
>non "Teséo", "Dionìso" e non "Diòniso", con delle eccezioni per nomi propri
>troppo diffusi come "Cleopàtra" in luogo del più corretto "Cleòpatra"). Ti
>suggerisco quindi di consultare un vocabolario di latino per vedere l'esatta
>quantità della penultima sillaba e, quindi, determinare l'esatta
>accentazione.

Questa e' la regola che ho sentito ogni qualvolta viene affrontato
l'argomento, e sara' sicuramente affidabile, visto che la ripetono
tutti. Mi piacerebbe pero' conoscere il nome dell'autorevole linguista
o grammatico che l'ha proposta per primo.

La motivazione puo' aprire poi qualche complicazione. Se non ricordo
male anche qui e' stato detto che moltissimi nomi greci sono entrati
nel volgare italiano attraverso il francese: dovremmo pronunciare
<Pa'ris> e <Cleopa'tras> come faceva Dante). Piu' tardi, in epoca
rinascimentale, la maggior parte dei nomi sono pervenuti nel volgare
fiorentino attraverso i precettori calabresi di lingua greca: dovremmo
pertanto ricorrere al greco adoperando per quei nomi anche la
pronunzia calabrese di allora (reuchliniana?).

Ciao,
Alex (5630)

Ferdinando Chiodo

unread,
Dec 28, 2002, 10:46:03 PM12/28/02
to
In article <3e0c4ccb...@news.cis.dfn.de>, on Fri, 27 Dec 2002

12:59:19 GMT, Alex 5630 wrote:

>> le
>>parole greche, dal momento che sono passate in italiano tramite la
>>mediazione del latino, dovrebbero mantenere la pronunzia latina
>

>Questa e' la regola che ho sentito ogni qualvolta viene affrontato
>l'argomento, e sara' sicuramente affidabile, visto che la ripetono
>tutti.

Anche a me sembra non sembra giusto che una lingua debba trarre i
criteri che sono alla base delle proprie norme da un'altra --anche se
quest'altra è la lingua madre-- invece che dalla cultura (la storia, la
letteratura, ecc.) di cui la stessa lingua è il modello.

> Se non ricordo
>male anche qui e' stato detto che moltissimi nomi greci sono entrati
>nel volgare italiano attraverso il francese: dovremmo pronunciare
><Pa'ris> e <Cleopa'tras> come faceva Dante). Piu' tardi, in epoca
>rinascimentale, la maggior parte dei nomi sono pervenuti nel volgare

Il mio professore di Latino e Greco al liceo sosteneva che per i latini
non era esistita una semplice regola riguardante l'importazione dei
vocaboli greci, ma che la pronuncia delle parole greche fosse cambiata
nel tempo, e che l'accento permetteva anzi di datare l'introduzione del
vocabolo in latino (e ovviamente in italiano, come hai giustamente
ricordato). Le stesse opinioni le ho poi trovate nel libro di Pietro
Janni sui grecismi nell'italiano contemporaneo "Il nostro greco
quotidiano" edito da Laterza.

L'accento nella lingua latina era regolato da principi differenti, e non
conciliabili, da quelli della lingua greca. In greco l'accento si
regolava sulla quantità dell'ultima sillaba, a differenza della norma
latina che lo voleva sulla penultima; per di più in molti vocaboli greci
l'accento cadeva sulla sillaba finale, cosa impossibile in latino. Le
soluzioni sono state differenti nel tempo.
Nel latino dell'età classica la posizione dell'accento veniva
sacrificata in favore della quantità, per cui si spostava l'accento.
D'altra parte certi termini greci, come ad esempio i nomi propri,
venivano usati soprattutto in poesia, dove la posizione dell'accento non
è quasi mai molto importante (neanche noi ci stupiamo per gli Ettòrri o
gli Agamennòni nelle traduzioni ottocentesche dei poemi omerici).
Nel II-III secolo d.C. il senso classico della quantità delle vocali era
già perduto e le parole greche entrate in latino dopo quel periodo
conservarono pertanto l'accento originario (è il caso, ad esempio, di
molti termini religiosi quali éremo o ìdolo).
Nel frattempo vigeva uno stato di anomìa: Quintiliano riferisce, ad
esempio, di un contrasto fra generazioni nella pronuncia dei nomi greci
ai suoi tempi:
Sed id saepius in Graecis nominibus accidit, ut 'Atreus', quem nobis
iuvenibus doctissimi senes acuta prima dicere solebant, ut necessario
secunda gravis esset, item "Nerei" "Terei"que (Institutio oratoria,
I, 5, XXIV).

Che l'atteggiamento della lingua latina non potesse essere compendiato
sempre dalla semplice regoletta dell'accento sulla penultima è
rafforzato anche dalla presenza di regole differenti nelle lingue
neolatine --eredi anch'esse, come l'italiano, della lingua e della
cultura latina. Non è infrequente, inoltre, che lo stesso vocabolo
greco, ma verosimilmente introdotto in periodi o ambiti differenti,
abbia dato origine anche in italiano a forme differenti accentate
differentemente (Butìrro e bùrro, Nicòla e Nicolò, ecc.).

Ciao,
Ferdinando
--
Remove AUFER from the address for direct mail

Sergio Audano

unread,
Dec 28, 2002, 6:36:36 PM12/28/02
to

Ferdinando Chiodo <f.ch...@AUFERtiscalinet.it> wrote in message

> Che l'atteggiamento della lingua latina non potesse essere compendiato
> sempre dalla semplice regoletta dell'accento sulla penultima è
> rafforzato anche dalla presenza di regole differenti nelle lingue
> neolatine --eredi anch'esse, come l'italiano, della lingua e della
> cultura latina. Non è infrequente, inoltre, che lo stesso vocabolo
> greco, ma verosimilmente introdotto in periodi o ambiti differenti,
> abbia dato origine anche in italiano a forme differenti accentate
> differentemente (Butìrro e bùrro, Nicòla e Nicolò, ecc.).

Sono perfettamente d'accordo sul dato storico: la pronunzia di ogni vocabolo
è intrinsecamente legata al momento "storico" della lingua. Avrei qualche
perplessità sugli esempi da te portati, dal momento che: 1) "butirro" è voce
ora solo a livello regionale, che si conservata in pochi luoghi,
linguisticamente conservatori, a scapito del "facilior" burro; 2) burro mi
pare più l'evoluzione di "butirro" che un diverso esito dal greco (filtrato
dal latino); ma, al di là dei dettagli, è vero che, come non esiste una
fissità "ortografica", non esiste neppure una rigidità di pronunzia (ad
esempio, è noto che nel VI sec. Boezio dicesse "Consolatio filosofìe", non
per un "barbarismo", ma al contrario per marcare la pronunzia originale
greca: mi scuso per l'orrida traslitterazione, ma è per rendere chiaro il
concetto). Tuttavia il quesito iniziale del giovane amico Teo pone un
problema "pratico", la cui risposta non può che essere empirica. Ed è
indubbio che la mediazione più forte tra greco e italiano sia quella del
latino, non tanto perché quest'ultima sia la "lingua madre", ma proprio per
ragioni di ordine storico-culturale; la mediazione medievale mi lascia molto
perplesso: del resto era tipico dei Provenzali cercare di "grecizzare" i
nomi (e questo spiega "Cleopatràs"), ma è un vezzo letterario, non
storico-linguistico. Come tutte le soluzioni "empiriche" quella dell'accento
latino mi pare la più economica: in ogni caso la soluzione migliore è
evitare i troppo rigidi "purismi".
Ciao e auguri
Sergio

Ferdinando Chiodo

unread,
Dec 29, 2002, 10:02:16 PM12/29/02
to
In article <8AqP9.59454$TC5.1...@twister1.libero.it>, on Sat, 28 Dec

2002 23:36:36 GMT, Sergio Audano wrote:

>Sono perfettamente d'accordo sul dato storico: la pronunzia di ogni vocabolo

>è intrinsecamente legata al momento "storico" della lingua. [SNIP]


> Tuttavia il quesito iniziale del giovane amico Teo pone un
>problema "pratico", la cui risposta non può che essere empirica. Ed è
>indubbio che la mediazione più forte tra greco e italiano sia quella del
>latino, non tanto perché quest'ultima sia la "lingua madre", ma proprio per
>ragioni di ordine storico-culturale;

Non nego l'utilità delle regole, soprattutto quando si devono risolvere
problemi pratici della lingua. Il fatto è che sono diffidente verso
quelle regole, di cui le grammatiche sono piene, che vengono sommerse da
valanghe di eccezioni.

Ho cercato anch'io di capire come dovessero essere pronunciati i
vocaboli di origine greca per problemi pratici: in medicina quasi tutti
i neologismi nascono in ambito accademico e vengono coniati attingendo
al serbatoio delle lingue classiche, soprattutto a quello della lingua
greca. Ho il sospetto, anzi, che i termini di origine greca utilizzati
da un medico siano più numerosi di quelli utilizzati da un professore di
lettere classiche. La varietà della pronuncia della maggior parte dei
termini crea molti problemi, soprattutto per gli studenti. Sembra che
Ettore Paratore bocciasse gli studenti che dicevano Svetonio, invece di
Suetonio. I miei professori non erano così severi, ma dalla pronuncia di
aterosclèrosi / ateroscleròsi, cristàllino / cristallìno, anàmnesi /
anamnèsi, eccetera, facevano inferenze, ad esempio, sull'assiduità dello
studente alle lezioni.
Si consultavano i dizionari, e quelli spesso davano per buone entrambe
le pronunce; le grammatiche riportavano la regola della "pronuncia
latina" senza spiegare però come facessero i latini a conoscere la
pronuncia dell'aterosclerosi senza l'ausilio dell'anatomia e
dell'istologia patologica.
Se un tale ti contestasse il plurale "provincie" ricordandoti la regola
che le parole in -cia (con la i atona) fanno il plurale in -ce quando
sono precedute da consonante, lo faresti nero grazie alle tue conoscenze
di filologia. Per quel che mi riguarda, rivendico l'analoga libertà di
pronunciare "aterosclèrosi", non perché conosco la storia della medicina
(la maggior parte dei termini "greci" in medicina ci vengono dal tedesco
e dall'inglese), ma perché così pronunciano quasi tutti i miei colleghi
viventi: una pronuncia differente sarebbe giudicata indizio di
affettazione.

Qualcosa di analogo accade per il plurale delle parole, quasi tutte di
origine greca, che terminano in -co e -go. Dobbiamo pronunciare farmaci,
archeologi, chirurgi e stomaci o farmachi, archeologhi, chirurghi e
stomachi? Anche in questo caso i dizionari danno per buoni entrambi i
plurali, e le grammatiche ripetono la regola che "bisogna fare come in
latino" per poi elencare lunghe liste di eccezioni.
Personalmente sono diffidente verso le proposizioni che non siano
"statisticamente significative", che non siano in accordo almeno col 95%
dei casi, e non solo in biometria.

Quale risposta dare allora a Teo? Occorre dirgli, naturalmente, che le
grammatiche prescrivono la famosa regola della pronuncia latina. Ma
(IMO) è bene aggiungere che questa regola non è altro che la
schematizzazione di un singolo fatto avvenuto nel passato, sicuramente
il più importante, ma non l'unico. Occorrerebbe descrivere gli altri
fatti del passato in grado di spiegare perché nessuno di noi ha il
fegato di pronunciare Òrfeo, metamorfòsi, Idòmeneo, Giàsone, Andronìco e
Tessalonìca, e chi pronuncia scleròsi viene considerato, nel migliore
dei casi, un saccente. Forse (IMHO) è meglio rispondere che non esiste
una regola che vada bene in ogni caso, e che anzi certi schemi rigidi e
semplicistici sono addirittura dannosi. La bonanima per portare alla
luce i monumenti romani fece distruggere innumerevoli monumenti barocchi
e rinascimentali nel cuore di Roma. Perché mai una determinata pronuncia
dei nomi greci deve essere considerata degna di essere cancellata come
residuo di ignoranza? Abbiamo ereditato anch'essa allo stesso modo
dell'altra, quella ritenuta "giusta", e non possiamo respingere (o
accettare) ciò che abbiamo ereditato in base ai nostri criteri.

> 1) "butirro" è voce
>ora solo a livello regionale, che si conservata in pochi luoghi,
>linguisticamente conservatori, a scapito del "facilior" burro; 2) burro mi
>pare più l'evoluzione di "butirro" che un diverso esito dal greco (filtrato
>dal latino);

Non ho un dizionario etimologico a portata di mano. Il Gabrielli dice
che "burro" è pervenuto in italiano da un'altra lingua neolatina, il
francese. Burro deriverebbe infatti dall'antico francese _burre_ il
quale derivava ovviamente dal latino "butyrum" (accento sull'y), che
discendeva, a sua volta, dal greco "bùtyron". Il vocabolo "butirro"
dovrebbe derivare invece direttamente dal latino.

Ciao e auguri,

Righel

unread,
Dec 29, 2002, 2:27:46 PM12/29/02
to
Ci scrive "Ferdinando Chiodo", f.ch...@AUFERtiscalinet.it:

> Non nego l'utilitŕ delle regole, soprattutto quando si devono
> risolvere problemi pratici della lingua. Il fatto č che sono


> diffidente verso quelle regole, di cui le grammatiche sono piene, che
> vengono sommerse da valanghe di eccezioni.

La mia diffidenza, altrettanto consistente, ha invece un'altra origine.
Il greco antico ha la caratteristica di indicare con precisione dove va
posto l'accento, in ogni parola.
Perché mai dobbiamo rifarci al latino se abbiamo a disposizione l'originale?
E non venite a raccontarmi che poi l'accento si puň spostare a seconda dei
casi!... Non non usiamo i casi, quindi č sufficiente rifarsi al nominativo.

(cut)
> ... Il Gabrielli dice
> che "burro" č pervenuto in italiano da un'altra lingua neolatina, il


> francese. Burro deriverebbe infatti dall'antico francese _burre_ il
> quale derivava ovviamente dal latino "butyrum" (accento sull'y), che

> discendeva, a sua volta, dal greco "bůtyron". Il vocabolo "butirro"


> dovrebbe derivare invece direttamente dal latino.

Giŕ... bisognerebbe poi capire come mai in un'altra lingua neolatina ed
"equidistante" dal francese, cioč lo spagnolo, "burro" significhi 'asino'...
e in tutti i sensi ;)

Ciao,

--
Righel
_________________________
FISA: http://www.ulixes.it/fisa
UAN: http://www.na.astro.it/uan

Ferdinando Chiodo

unread,
Dec 30, 2002, 8:42:01 AM12/30/02
to
In article <S0IP9.61654$TC5.2...@twister1.libero.it>, on Sun, 29 Dec

2002 19:27:46 GMT, Righel wrote:

>Il greco antico ha la caratteristica di indicare con precisione dove va
>posto l'accento, in ogni parola.
>Perché mai dobbiamo rifarci al latino se abbiamo a disposizione l'originale?

Nel linguaggio di tutti i giorni parliamo in italiano. E se
rabbrividiamo nel sentire pronunciare, nella nostra lingua, Òrfeo,
Idòmeneo, Èdipo e Giàsone, rabbrividiamo ugualmente nel sentire
pronunciare Òmero (quello che non si sa se è esistito, e quindi non si
sa se ha scritto l'Iliade o l'Odissea), Socràte e Diogène.

<OT> A proposito di pronunce buffe, in terza media ho avuto un supplente
di lettere che chiamava "Càvur" il primo ministro di Vittorio Emanuele.
Poi, allertato dalle nostre risatine o dal nostro sbalordimento,
aggiungeva: "Guagliò, che ci volete fare, a Napoli diciamo Càvur e non
sono ancora riuscito a levarmi il vizio". </OT>

>E non venite a raccontarmi che poi l'accento si può spostare a seconda dei
>casi!... Non non usiamo i casi, quindi è sufficiente rifarsi al nominativo.

Mi hai fatto venire in mente un altro argomento contro i fautori della
regola della pronuncia latina dei termini greci. Chi si preoccupa
dell'accento dovrebbe essere coerente fino in fondo e preoccuparsi anche
delle desinenze di quei sostantivi che conservano in italiano la forma
dell'accusativo greco, non quella latina. Dovrebbero perciò sostituire
"Salamine" a "Salamina", "Elicone" a "Elicona", "peane" a "peana",
eccetera.

>Già... bisognerebbe poi capire come mai in un'altra lingua neolatina ed
>"equidistante" dal francese, cioè lo spagnolo, "burro" significhi 'asino'...


>e in tutti i sensi ;)

Temo che una persona che potrebbe risponderci con competenza, Mariuccia,
abbia cose più importanti di cui preoccuparsi in questo periodo.
Auguro a tutti che il nuovo anno sia migliore di quello trascorso, ma
gli auguri più sentiti li faccio proprio a Mariuccia e al suo paese.

Sergio Audano

unread,
Dec 29, 2002, 5:11:28 PM12/29/02
to

Righel <fun.ru...@libero.it> wrote in message

> La mia diffidenza, altrettanto consistente, ha invece un'altra origine.
> Il greco antico ha la caratteristica di indicare con precisione dove va
> posto l'accento, in ogni parola.
> Perché mai dobbiamo rifarci al latino se abbiamo a disposizione
l'originale?
> E non venite a raccontarmi che poi l'accento si può spostare a seconda dei
> casi!... Non non usiamo i casi, quindi è sufficiente rifarsi al
nominativo.

E' sempre un piacere dialogare con l'amico Franco che saluto con amicizia e
con molti auguri e nel contempo riprendo il discorso con l'amico Ferdinando
di cui ho molto apprezzato il bel post. Franco ha toccato un problema
spinosissimo: l'accento greco. E' vero che ogni parola, nel greco scolastico
che noi leggiamo, ha il suo bravo accento: ma si tratta appunto di greco
scolastico. L'accento, come fatto grafico, ha forse la sua origine nella
filologia alessandrina (forse lo "inventò" Aristofane di Bisanzio), ma in
ogni caso divenne di uso comune in età tardo-antica quando la natura
quantitativa ("musicale" direbbe qualche studioso) del greco finì per
perdersi a favore di una dimensione "accentuativa". Ed in quell'età molte
delle parole greche erano già entrate nel latino, non solo (ed è questo il
punto che mi preme evidenziare) a livello puramente "fonetico" o
"morfologico", ma culturale: Ferdinando dice giustamente che molti termini
del linguaggio medico, dall'etimologia chiaramente greca, sono entrati nel
linguaggio medico attraverso coniazioni anteriori in tedesco e probabilmente
(è solo una supposizione di cui non sono sicuro) in tedesco la pronunzia di
"arterosclérosi" (o "arteriosclérosi"?) è simile a quella prevalente in
italiano. Ma qui siamo davanti ad un termine specialistico di un lessico
tecnico come quello della medicina ed è evidente che la mediazione non è
latina, ma moderna. Ma nel caso dei nomi di personaggi storici o mitologici
della grecità mi pare evidente che il filtro non dico esclusivo, perché
nella cultura non esiste nulla di assoluto (non sarebbe altrimenti
"cultura"), ma prevalente sia stata la latinità; io insegno al Liceo: non do
4 né "boccio" un alunno se mi dice "Tesèo". Io lo correggo perché ritengo
maggiormente corretto "Tèseo": gli darò 4 se mi confonde il personaggio con
Enea o con Ulisse. Ma ripeto, in ogni caso è necessario il buon senso ed
evitare purismi troppo rigidi: mi pare che possa essere una conclusione
ragionevole ed accettabile da parte dei miei dotti interlocutori. Vorrei
solo domandare a Franco una spiegazione sull'ultima parte del post che non
mi risulta chiara, quando scrivi: " E non venite a raccontarmi che poi
l'accento si può spostare a seconda dei casi!... Non non usiamo i casi,
quindi è sufficiente rifarsi al nominativo". A parte il fatto che anche in
italiano ci sono residui dei casi (ad esempio i pronomi), mi potresti
gentilmente portare qualche esempio specifico?
Grazie ed ancora tanti cari auguri a tutti!
Sergio

Alex 5630

unread,
Dec 30, 2002, 4:13:27 AM12/30/02
to
On Mon, 30 Dec 2002 13:42:01 GMT, f.ch...@AUFERtiscalinet.it
(Ferdinando Chiodo) wrote:

> Righel wrote:
>>Già... bisognerebbe poi capire come mai in un'altra lingua neolatina ed
>>"equidistante" dal francese, cioè lo spagnolo, "burro" significhi 'asino'...
>>e in tutti i sensi ;)
>
>Temo che una persona che potrebbe risponderci con competenza, Mariuccia,
>abbia cose più importanti di cui preoccuparsi in questo periodo.
>Auguro a tutti che il nuovo anno sia migliore di quello trascorso, ma
>gli auguri più sentiti li faccio proprio a Mariuccia e al suo paese.

Innanzitutto mi associo nell'augurio che il prossimo anno sia buono
per tutti noi, e in particolare per Mariuccia e il Venezuela.

Cerco poi di rispondere alla domanda sull'etimo del burro spagnolo
consultando il Dizionario della Real Academia Española
(http://buscon.rae.es/diccionario/drae.htm). "Burro" (asino)
deriverebbe da "borrico", che a sua volta deriverebbe dal latino
"burricus" o "buricus" (in spagnolo "caballejo"; "cavaliere" o
"cavalcatore" in italiano?).
Il che mi fa venire in mente l'insulto romanesco a chi abitava nel
contado ("burino"). Che l'etimo di burino abbia a che fare col
burricus invece che col butirrus?

Di nuovo auguri a tutti,
Alex (5630)

Alex 5630

unread,
Dec 30, 2002, 4:13:30 AM12/30/02
to
On Sat, 28 Dec 2002 23:36:36 GMT, "Sergio Audano"
<sergio...@libero.it> wrote:

> 1) "butirro" è voce
>ora solo a livello regionale, che si conservata in pochi luoghi,
>linguisticamente conservatori, a scapito del "facilior" burro;

Non sapevo che "butirro" fosse sinonimo di "burro". Pensavo che fosse
chiamato "butirro" solo quello straordinario formaggio calabrese che
ha la forma di una piccola pera e l'anima di burro. Anzi, ci sono
delle pere che vengono chiamate "butirre" probabilmente perche'
ricordano nella forma e nella morbidezza il butirro (formaggio).

Ciao,
Alex (5630)

Piero F.

unread,
Dec 30, 2002, 6:44:33 AM12/30/02
to

"Ferdinando Chiodo" ha scritto

> <OT> A proposito di pronunce buffe, in terza media ho avuto un
> supplente di lettere che chiamava "Càvur" il primo ministro di Vittorio
> Emanuele. Poi, allertato dalle nostre risatine o dal nostro sbalordimento,
> aggiungeva: "Guagliò, che ci volete fare, a Napoli diciamo Càvur e non
> sono ancora riuscito a levarmi il vizio". </OT>

Premesso che ho una vita costellata di gaffes umilianti sugli accenti, e che
non sono perciò in grado di ridere (se non a denti stretti) su quelle
altrui, mi domando, seguendo questo interessante thread, se vale la pena di
preoccuparsi più di tanto per una questione così controversa e senza
soluzioni univoche.
Mi pare di aver capito che l'italiano è una lingua un po' particolare,
essendo le parole composte da un numero di sillabe più consistente (da un
punto di vista fonetico, s'intende) rispetto alle altre lingue moderne.
L'assenza degli accenti nelle parole plurisillabiche ingenera molta
confusione, e non si può pretendere che i parlanti risalgano sempre
all'etimo di una parola prima di pronunciarla.
L'uso fa la regola, sostengono i linguisti più "illuminati": e se i termini
che provengono da lingue morte non vengono diffusi *sùbito* nella loro
corretta pronunzia, è fatale che si affermino accentazioni errate
filologicamente, ma da considerarsi corrette proprio perché generalmente
accettate.
Ora io mi chiedo (e chiedo a voi:-)), come si fa a pronunciare senza il
minimo imbarazzo, giacché TUTTI lo fanno, le parole "motoscàfo" e
"piròscafo", pur sapendo che una delle due è sicuramente sbagliata...

saluti a tutti e buon anno!
--
Piero F.

Righel

unread,
Dec 30, 2002, 4:41:26 PM12/30/02
to
Ci scrive "Sergio Audano", sergio...@libero.it:

(cut)
> .. L'accento, come


> fatto grafico, ha forse la sua origine nella filologia alessandrina
> (forse lo "inventò" Aristofane di Bisanzio), ma in ogni caso divenne
> di uso comune in età tardo-antica quando la natura quantitativa
> ("musicale" direbbe qualche studioso) del greco finì per perdersi a
> favore di una dimensione "accentuativa".

Eh no!... Non vale... Non ci gioco più....
Per più di quarant'anni mi sono portato dietro questa convinzione e adesso
arriva fresco fresco quest'Aristofane di Bisanzio a farmi fare la solita
"figurella"! ;(

Basta, mi ritiro!
Mi ritiro su FISA a discutere l'etimologia di Pythecoussai ;o)

Sergio Audano

unread,
Dec 30, 2002, 5:00:44 PM12/30/02
to

Righel <fun.ru...@libero.it> wrote in message
>
> Eh no!... Non vale... Non ci gioco piů....
> Per piů di quarant'anni mi sono portato dietro questa convinzione e adesso

> arriva fresco fresco quest'Aristofane di Bisanzio a farmi fare la solita
> "figurella"! ;(
>
> Basta, mi ritiro!
> Mi ritiro su FISA a discutere l'etimologia di Pythecoussai ;o)

Non ti preoccupare: non č peccato mortale! ti impartisco la mia
assoluzione:-))))
Buon anno!
Sergio

Righel

unread,
Dec 31, 2002, 8:13:59 AM12/31/02
to
Ci scrive "Sergio Audano", sergio...@libero.it:

> Non ti preoccupare: non è peccato mortale! ti impartisco la mia
> assoluzione:-))))
> Buon anno!

Com'è buono Lei!...
Grazie!... mi sento più sollevato ;o)
Buon anno anche a te e a tutti gli amici di ICCl.

Eleonora Cavallini

unread,
Jan 1, 2003, 8:49:54 PM1/1/03
to
alex56...@yahoo.it (Alex 5630) wrote in message news:<3e100bf1...@news.cis.dfn.de>...

> Cerco poi di rispondere alla domanda sull'etimo del burro spagnolo
> consultando il Dizionario della Real Academia Española
> (http://buscon.rae.es/diccionario/drae.htm). "Burro" (asino)
> deriverebbe da "borrico", che a sua volta deriverebbe dal latino
> "burricus" o "buricus" (in spagnolo "caballejo"; "cavaliere" o
> "cavalcatore" in italiano?).

Mah, a me par di ricordare che il (tardo)latino "buricus" valga
"piccolo cavallo": che, con un facile slittamento semantico, può
diventare "ronzino" e addirittura "asino" (cf. anche il desueto
italiano "buricco").

> Il che mi fa venire in mente l'insulto romanesco a chi abitava nel
> contado ("burino"). Che l'etimo di burino abbia a che fare col
> burricus invece che col butirrus?

Su "burino" non avrei dubbi: deriverà da "bura", "buris", ossia "stiva
dell'aratro". In sostanza, il burino è colui che lavora la terra, in
contrapposizione al nobile che vive dei prodotti dell'agricoltura ma
non fa un tubo in tutto il giorno.
Eleonora

Luca Lorenzetti

unread,
Jan 2, 2003, 7:04:53 AM1/2/03
to
In 1c00f5ed.03010...@posting.google.com, Eleonora Cavallini,

leon.ca...@virgilio.it, il 2-01-2003 2:49 ha scritto:

> Su "burino" non avrei dubbi: deriverà da "bura", "buris", ossia "stiva
> dell'aratro". In sostanza, il burino è colui che lavora la terra,

giusto per notizia (ma forse sono già fuori tema?):
in realtà i dubbi ci sono. L'etimo di _burino_ è incerto e discusso
quant'altri mai. I romanisti accorti tendono a sospenderne il giudizio.
ciao
Luca

Eleonora Cavallini

unread,
Jan 2, 2003, 9:18:43 PM1/2/03
to
Luca Lorenzetti <lore...@unitus.it> wrote in message news:<BA39E972.390A%lore...@unitus.it>...

>
> giusto per notizia (ma forse sono già fuori tema?):

No, mi pare di no (del resto Massimo tace);-)

> in realtà i dubbi ci sono. L'etimo di _burino_ è incerto e discusso
> quant'altri mai.

Lo so che i dubbi ci sono. Ho detto solo quel che ne penso io. A me,
ad esempio, il 'bulino' pare che non c'entri affatto.
E men che meno il "Mulino";-)

I romanisti accorti tendono a sospenderne il giudizio.

Vale a dire gli studiosi di diritto romano?
Certo che tra servitù, usucapione, enfiteusi etc. con i burini hanno
un bel po' di problemi;-)
Eleonora

Ferdinando Chiodo

unread,
Jan 3, 2003, 8:46:40 AM1/3/03
to
In article <kqKP9.62038$Ou4.2...@twister2.libero.it>, on Sun, 29 Dec

2002 22:11:28 GMT, Sergio Audano wrote:

>Ferdinando dice giustamente che molti termini
>del linguaggio medico, dall'etimologia chiaramente greca, sono entrati nel
>linguaggio medico attraverso coniazioni anteriori in tedesco e probabilmente
>(è solo una supposizione di cui non sono sicuro) in tedesco la pronunzia di
>"arterosclérosi" (o "arteriosclérosi"?) è simile a quella prevalente in
>italiano.

Avevo utilizzato a dire il vero il termine "aterosclerosi", senza la
"r". "Arteriosclerosi", con la "r", è un termine che indica
genericamente un indurimento delle pareti arteriose, e comprende, oltre
alle lesioni ateromatose a cui accennerò fra poco, molte condizioni
associate all'ipertensione o ai processi di invecchiamento.
L'aterosclerosi, senza la "r", si riferisce invece alla deposizione di
lipidi (ad es. colesterolo) negli strati più superficiali ("intima")
delle arterie, ed è senza dubbio la lesione responsabile del maggior
numero di decessi, per lo meno nel mondo occidentale.
"Aterosclerosi" ci è giunto dagli USA ("atherosclerosis"); ma fu coniato
da Rudolf Schoenheimer, un medico di educazione europea: nato a Berlino
da una famiglia di religione israelita, si rifugiò negli USA all'avvento
di Hitler e nel 41, quando l'avanzata di Hitler sembrava inarrestabile,
a soli 41 anni, si uccise.

Ecco il giudicio uman come spesso erra!
Avrei giurato che "aterosclerosi" derivasse da un "ateròs", che
immaginavo dovesse significare "grasso" e da "sklerosis", indurimento.
Sul Rocci ho trovato che "atEròs" (E=eta) significa invece pernicioso,
funesto; non ho ho trovato inoltre "sklEròsis", ma l'aggettivo "sklEròs"
(duro) e il sostantivo "sklEròtEs" (durezza).
Sia in inglese che in tedesco l'accento cade (giustamente) sulla seconda
"o". Non ho capito perché in Italia si sia affermata la pronuncia errata
(aterosclèrosi); ma tant'è.

>Ma qui siamo davanti ad un termine specialistico di un lessico
>tecnico come quello della medicina ed è evidente che la mediazione non è
>latina, ma moderna.

Bisogna sempre tener presente, invece, che termini esclusivamente dotti
fino a poco tempo fa si diffondono ormai attraverso i mass media con
significati spesso diversi da quelli che hanno avuto originariamente. In
questi casi la conoscenza del greco è perfino controproducente per
inferire il significato, figuriamoci la pronuncia. Potrei fare degli
esempi, ma sono costretto a fermarmi perché devo andare al lavoro.

Ciao,

Alex 5630

unread,
Jan 3, 2003, 2:24:28 AM1/3/03
to
On Fri, 03 Jan 2003 13:46:40 GMT, f.ch...@AUFERtiscalinet.it
(Ferdinando Chiodo) wrote:

>Avrei giurato che "aterosclerosi" derivasse da un "ateròs", che
>immaginavo dovesse significare "grasso" e da "sklerosis", indurimento.
>Sul Rocci ho trovato che "atEròs" (E=eta) significa invece pernicioso,
>funesto;

Forse Schoenheimer ha derivato 'atero-' dall'ateroma, la tumefazione
purulenta che in genere si trova sul cuoio capelluto. In fondo la
placca ateromatosa e' un deposito di grassi e puo' essere inteso come
un tumore, nel significato etimologico di "tumor".

Ciao,
Alex (5630)

Luca Lorenzetti

unread,
Jan 3, 2003, 7:25:33 PM1/3/03
to
In 1c00f5ed.03010...@posting.google.com, Eleonora Cavallini,

leon.ca...@virgilio.it, il 3-01-2003 3:18 ha scritto:

> Lo so che i dubbi ci sono. Ho detto solo quel che ne penso io.

chiedo scusa, non volevo offendere. Il mio era un post di servizio, diretto
anche a chi, pensando che burino < burricus (vd. infra***), evidentemente
non era aggiornato sulla questione e poteva pensare che la tua fosse
un'ipotesi pacifica.

>> I romanisti accorti tendono a sospenderne il giudizio.
>
> Vale a dire gli studiosi di diritto romano?

quello č *romanista1*. io intendevo *romanista2*, 'studioso di ll. romanze',
oppure *romanista3*, 'studioso di cose romane medievali e moderne'. ;)

> Certo che tra servitů, usucapione, enfiteusi etc. con i burini hanno


> un bel po' di problemi;-)

adesso č facile parlar male dei burini. Certo che se vincevamo noi
Curiazi...

ciao
Luca

Eleonora Cavallini

unread,
Jan 3, 2003, 7:50:02 PM1/3/03
to
"Piero F." <mail...@jumpy.it> wrote in message news:<BkWP9.48556$R45.2...@news2.tin.it>...


> L'uso fa la regola, sostengono i linguisti più "illuminati": e se i termini
> che provengono da lingue morte non vengono diffusi *sùbito* nella loro
> corretta pronunzia, è fatale che si affermino accentazioni errate
> filologicamente, ma da considerarsi corrette proprio perché generalmente
> accettate.

Sostanzialmente sono d'accordo.
Comunque dipende anche dalla storia dei termini: può succedere che un
vocabolo antico penetri in una lingua moderna attraverso un'altra
lingua moderna, e questo passaggio influenza la pronuncia (mi viene in
mente, per esempio, il tedesco _Politìk_, di derivazione francese).

> Ora io mi chiedo (e chiedo a voi:-)), come si fa a pronunciare senza il
> minimo imbarazzo, giacché TUTTI lo fanno, le parole "motoscàfo" e
> "piròscafo", pur sapendo che una delle due è sicuramente sbagliata...

Nel caso che tu citi, forse una risposta c'è: "piroscafo" è un
neologismo (neo- per modo di dire, ormai) coniato interamente sul
greco, e se ne è proposta una pronuncia alla greca. "Motoscafo" è una
parola ibrida, imbastita senza troppa sottigliezza filologica, e la si
è pronunciata così come veniva.
Ho l'impressione che, oggi come oggi, con il proliferare di
neologismi, sia legittimo insistere sulla pronuncia filologicamente
corretta solo per i nomi propri di personaggi antichi.
Ma quando gli stessi appellativi entrano nell'uso moderno le cose
cambiano. Il Prof. Dario Del Corno ha riflettuto spesso sulla
pronuncia del proprio nome...ma non fino al punto di farsi chiamare
"Darìo".
Eleonora

>
> saluti a tutti e buon anno!


Anche a te!

Ferdinando Chiodo

unread,
Jan 4, 2003, 12:01:14 PM1/4/03
to
In article <3e153951...@news.cis.dfn.de>, on Fri, 03 Jan 2003

07:24:28 GMT, Alex 5630 wrote:

>>Sul Rocci ho trovato che "atEròs" (E=eta) significa invece pernicioso,
>

>Forse Schoenheimer ha derivato 'atero-' dall'ateroma,

Molto probabilmente hai ragione. Sembra che, nel significato di "cisti
sebacea", "ateroma" risalga al XIV secolo.

Eleonora Cavallini

unread,
Jan 4, 2003, 9:21:45 PM1/4/03
to
Luca Lorenzetti <lore...@unitus.it> wrote in message news:<BA3BE862.3A01%lore...@unitus.it>...

> chiedo scusa, non volevo offendere.

Scherzerai?:-)

> Il mio era un post di servizio, diretto
> anche a chi, pensando che burino < burricus (vd. infra***), evidentemente
> non era aggiornato sulla questione e poteva pensare che la tua fosse
> un'ipotesi pacifica.

No, in questo caso era solo una convinzione personale. Peraltro
discutibilissima, tanto più che non sono una romanista2.

> >
> > Vale a dire gli studiosi di diritto romano?
>

> quello è *romanista1*. io intendevo *romanista2*, 'studioso di ll. romanze',


> oppure *romanista3*, 'studioso di cose romane medievali e moderne'. ;)

Certo! Però la mia piccola provocazione forse non è stata inutile.
Mi ha sempre colpito il fatto che il termine 'romanista' venga usato
per definire uno studioso di diritto romano, ovvero un cultore di
lingue romanze, ma _non_ uno che si occupi di storia romana (e questo
come diavolo si chiama? lo studioso di letteratura è un 'latinista',
ma quello di storia?)
Inoltre, ho colto l'occasione per buttare lì qualche problemuccio
giuridico (ma anche storico-sociale) sulla questione relativa al
rapporto fra grandi proprietari terrieri e lavoratori (a vario titolo)
della terra. Gli istituti che ho citato appartengono al diritto romano
(soprattutto, e non a caso, a quello giustinianeo) ma sussistono nel
nostro codice civile.

> adesso è facile parlar male dei burini.

_Absit iniuria_. Il contrasto tra latifondisti (coloro che
percepiscono i redditi senza, magari, nemmeno conoscerne la
provenienza) e agricoltori (che invece vivono sul fondo e lo lavorano)
interessa non solo la storia romana, ma anche quella moderna. Chi si
disinteressa dei propri averi è motivatamente penalizzato dal diritto.
Altro che burini!
Prevedibilmente, il codice Grandi, creato durante il fascismo, non va
molto oltre il diritto giustinianeo...col risultato, fra l'altro, di
mettere in ombra la questione delle proprietà immobiliari destinate ad
uso abitativo. Su questo punto, la giurisprudenza è tuttora costretta
(almeno in molti casi) ad avvalersi di interpretazioni estensive della
legge.


>Certo che se vincevamo noi
> Curiazi...

Boh, a me la storia dell'Orazio vittorioso che ammazza la sorella
piangente per il fidanzato ucciso ( cf. Livio) non è mai piaciuta: e
se la cava pure, l'Orazio fratricida!
Magari si potrebbe aprire un nuovo thread:-)
Eleonora

giova...@gmail.com

unread,
Jun 22, 2020, 2:42:02 AM6/22/20
to
Anchea llo scientifico (e anche in prima elementare) si dice "cugino" e non "cuggino".
--
Newsgroup robomoderato - tutti gli articoli sono approvati automaticamente.
0 new messages