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(Racconto) Quell'estate in cui mia zia...

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mauchat1

unread,
Jul 16, 2008, 3:26:13 AM7/16/08
to
Non potrò scordare mai quell’estate. Avevo 14 anni e gli ormoni maschili in
piena tempesta. I miei genitori avevano affittato una appartamentino a
Fregene per luglio e agosto, dove ci aveva raggiunto anche mia zia Beatrice,
la sorella di mia madre, una bella donna di 28 anni, allora fidanzata con un
tipo che non le piaceva, ma che poi avrebbe sposato lo stesso.
Verso la fine di luglio mio padre per motivi di lavoro fu spedito in
missione all’estero per una decina di giorni e mia madre decise di seguirlo,
lasciandomi al mare con sua sorella. Non avrebbe potuto farmi un regalo
migliore. Prima di tutto perché mia zia era molto più permissiva di mia
madre e mi lasciava fare il comodo mio. E poi... perché mi piaceva da
impazzire. Non avevo alcuna familiarità con il sesso femminile e mia zia era
l’unica donna con cui mi era facile entrare in contatto. Tra l’altro, senza
l’incubo di venire scoperto dai miei genitori, in quei dieci giorni ogni
occasione sarebbe stata buona per spiarla dal buco della chiave, eccitandomi
a guardarla la sera quando si spogliava o si faceva la doccia prima di
andare a letto o quando, durante la notte, si scopriva nel sonno e dal
lenzuolo spuntavano malandrine ora le sue gambe lunghe e tornite, ora le
rotonde forme dei suoi glutei, appena contenuti dai minuscoli slip
trasparenti che era solita indossare, noncurante dei miei sguardi eccitati
di adolescente.
All’epoca ero un ragazzino timidissimo, che arrossiva se solo una ragazza mi
rivolgeva la parola. Ciononostante, o forse proprio per questa mia
difficoltà di rapportarmi con l’altro sesso, le pulsioni sessuali
diventavano ogni giorno più pressanti, obbligandomi a sfogarle
quotidianamente con la masturbazione. Durante quell’estate, però, accadde
qualcosa destinato a cambiare definitivamente tutta la mia vita futura.
Un giorno, di ritorno dalla spiaggia, mia zia Beatrice si infilò come di
consueto in bagno per farsi la doccia ed io, col cuore che mi scoppiava nel
petto, mi chinai come facevo ogni giorno a spiarla eccitato dal buco della
chiave. Era bellissima nuda mia zia. Aveva due seni grandi e sodi, la vita
sottile che si allargava in fianchi tondi e carnosi, un sedere pieno e
prominente, gambe lunghe e slanciate, cosce su cui mi sari addormentato
volentieri, ma soprattutto una folta peluria nera sul pube sporgente. Mi
faceva impazzire il contrasto tra la sua pelle abbronzata e il candore delle
sua parti intime, che il succinto bikini proteggeva dai raggi del sole.
Come faceva sempre, si sfilò il reggiseno, poi gli slip, quindi si sedette
sul water per fare pipì e infine si infilò tutta nuda nel vano della doccia,
cominciando ad insaponarsi. Quel giorno, però, accadde qualcosa di assai
diverso dal solito e che non avrei mai immaginato.
«Lo so che sei lì», disse lei all’improvviso rivolta verso la porta chiusa,
verso il buco della chiave. Verso di me.
Per un istante il sangue mi si gelò nelle vene. Ero stato scoperto e mi
vergognavo come un ladro. Rimasi in silenzio, ansimando smarrito, e allora
lei continuò:
«Tanto vale che entri e mi insaponi le spalle».
Il mio primo istinto sarebbe stato quello di fuggire, di farle credere che
si era sbagliata, ma poi girai esitante la maniglia e scostai appena la
porta, tenendo rigorosamente gli occhi bassi.
«Pensavi che non mi fossi accorta che stai lì tutti i giorni a spiarmi dal
buco della chiave?».
Sentivo il sangue affluire vertiginosamente sulle gote e arrossarle di un
profondo imbarazzo.
«Dai, non statene lì impalato, entra. Tanto ormai mi conosci a memoria,
no?».
Tremante, con gli occhi bassi e pieni di eccitato pudore, mi accostai al
piatto della doccia. Mia zia mi mise due dita sotto al mento e mi sollevò il
viso, sorridendo rassicurante.
«Sta tranquillo, non c’è niente di male alla tua età pensare alle donne»,
sussurrò passandomi un dito insaponato sul naso con un gesto sbarazzino.
Se ne stava lì, nuda, con una mano a nascondere il pube e l’altra a coprire
entrambi i seni prosperosi.
«Forza, prendi il sapone e lavami le spalle», disse lei voltandosi e
mostrandomi la schiena, che io però non guardai, preferendo inebriarmi del
suo sedere tondo e sporgente, che per la prima volta vedevo da vicino, tanto
da sentire il profumo della sua pelle.
Senza riuscire a spiccicare una sola parola, raccolsi il sapone dalla
mensola e cominciai meccanicamente a strofinarlo sulle spalle abbronzate di
mia zia, segnate orizzontalmente dalla linea candida lasciata dal laccio del
reggiseno.
«Strofina più forte» - mi guidò lei - «Devi togliere completamente il sale».
Io obbedii, spingendo prima il sapone e poi la mano nuda con più energia.
Ero eccitato come non mi era mai accaduto prima e per quanti sforzi facessi
non riuscivo più a nasconderlo. Il costume da bagno che avevo indosso,
infatti, era rigonfio all’altezza dell’inguine e ormai riusciva a contenere
a stento tutta l’esuberanza giovanile del mio pene. Mano a mano che la mia
mano insaponata scivolava sulla carne nuda di mia zia, però, ogni pudore ed
ogni esitazione scemavano, trasformandosi in desiderio dirompente,
bruciante, incontenibile. Finché, incapace di tenere a freno le mie emozioni
e incurante dell’eventuale reazione di mia zia, lasciai scivolare la mano
insaponata prima sui glutei, poi nel meraviglioso spazio che li separava,
indugiando tremante sulle sue zone segrete.
«Quelle non sono le spalle», precisò lei, ma nella sua voce non c’era alcun
cenno di rimprovero, semmai di divertita presa in giro.
«Lo so» - risposi io con la voce rotta dall’emozione - «ma posso
continuare?».
Lei si voltò, offrendomi il lato anteriore della sua nudità:
«Sì, ma allora insaponami anche il resto».
Non me lo lasciai ripetere e cominciai a passare il sapone sui suoi senti
prorompenti e turgidi.
«E questo cos’è?» - disse lei fingendosi sorpresa mentre allungava la mano
sul rigonfiamento del mio slip.
Era la prima volta che una donna mi toccava il pene e istintivamente feci un
balzo indietro. Tra noi maschietti quello era un gesto che di solito
preludeva ad una dolorosissima strizzata di testicoli.
«Eh, quanta paura, non voglio mica farti male».
Rassicurato, anche se ancora a disagio, mi avvicinai di nuovo a portata di
mano di mia zia, lasciando che le sue dita si stringesse attorno al
rigonfiamento.
«Però!» - commentò lei con un sorriso di compiacimento - «Sei diventato
proprio un ometto».
Imbarazzato e a disagio, mi sottrassi alla sua presa e ricominciai ad
insaponare quel corpo femminile nudo. Una lunga carezza sui seni, poi giù,
sui fianchi rotondi, quindi sulla pancia. Ma mi fermai lì. Non avevo il
coraggio di scendere sul pube. Fu lei a prendermi la mano ed a portarsela
lentamente prima sulla folta peluria, poi ancora più giù. Tra le cosce.
«Ti piaccio?», chiese con voce roca.
Risposi accennando appena di sì con il capo. Lei strinse forte la sua mano
attorno alla mia e, chiudendo gli occhi rapita, se la portò tra le gambe
leggermente divaricate in una prolungata carezza. Era la prima volta che
toccavo le intimità di una donna e non potevo sapere che anche lei si stava
eccitando. Poi, di colpo, come era cominciato il paradiso finì. Con un gesto
busco mia zia mi lasciò la mano e mi spinse fuori dal piatto della doccia:
«Adesso basta!» - sibilò nervosamente come se io avessi fatto qualcosa che
non dovevo e lei si fosse arrabbiata - «Dai, esci!».
La guardai un lungo istante senza capire.
«Non hai capito? Ti ho detto di andartene!», ribadì lei decisa ed
apparentemente contrariata.
Mi dispiaceva rinunciare a toccare quel bellissimo corpo nudo, ma ero ancor
più dispiaciuto di aver commesso involontariamente qualcosa che aveva
turbato mia zia, tuttavia mi voltai ed uscii dal bagno.
«E chiudi la porta!», aggiunse lei con stizza.
Obbedii e stavolta senza sentire il desiderio irrefrenabile di chinarmi sul
buco della chiave. Ormai avevo visto e toccato tutto quello che c’era da
vedere e toccare ed avevo “materiale” più che sufficiente per masturbarmi i
prossimi dieci anni. Non feci in tempo ad arrivare in cucina, però, che lei
mi richiamò:
«Maurizio».
«Che c’è?».
«Torna qui».
Entrai di nuovo nel bagno. Lei aveva aperto l’acqua della doccia, che adesso
le scorreva sulla pelle, portando via il sapone. La sua voce non sembrava
più irritata come poco prima.
«Passami l’asciugamano, per favore».
Di solito l’asciugamano se lo prendeva da sola – lo sapevo bene dato che
l’avevo spiata tante volte dal buco della chiave – perché allora adesso lo
chiedeva a me?
Mia zia chiuse l’acqua e si strizzò i lunghi capelli neri. Indugiai ancora
una volta a guardarla tutta nuda e grondante e i miei slip si gonfiarono di
nuovo.
«Dai, dammi una mano ad asciugarmi», chiese lei come se non nulla fosse
accaduto.
Presi l’asciugamano e glielo poggiai delicatamente sulle spalle, poi ce
l’avvolsi, cominciando a frizionarle il corpo.
«Scusa per prima, ma è che...» - lasciò il discorso in sospeso come non
trovasse le parole giuste, poi riprese - «è che...vabbè, insomma... di
questa faccenda della doccia... ecco... non ne devi parlare mai con nessuno.
Mai. Tanto meno con tua madre».
«No, sta tranquilla», risposi io convinto.
«E nemmeno con i tuoi amici» - aggiunse con un certo disagio - «Magari lo
dicono a casa e... i genitori potrebbero pensare che io...».
«Ma certo, zia, non ti preoccupare. Non l’ho mica detto a nessuno che tu mi
fai accendere le sigarette, no?».
«Allora promesso?».
«Promesso», confermai portandomi la mani sul cuore.
Mi zia mi scompigliò i capelli con un gesto affettuoso, quasi a scusarsi di
avermi trattato male poco prima:
«Sei un bravo nipote, lo so».
Poi, avvolgendosi nell’asciugamano, mi fece una carezza:
«Sarà il nostro piccolo segreto», aggiunse con un sorriso di complicità
sulle labbra.
Io annuii, anche se in fondo mi dispiaceva non poterlo raccontare a quei
segaioli dei miei compagni di scuola per farli schiattare di invidia.
«Ti va di accendermi una sigaretta?».
«Adesso?».
«Hai fame? Preferisci mangiare?».
«No, no, va bene» - mi affrettai a rispondere - «Dove ce l’hai le
sigarette?».
«Sono nella borsa blu con i fori gialli, quella che avevo in spiaggia».
«Ok».
Corsi a prendere le sigarette, ma quando tornai in bagno mia zia non c’era
più.
«Sono qui», disse chiamandomi dalla camera da letto, dove mi aspettava
distesa su un fianco sul lettone di mamma e papà, con l’asciugamano indosso
che però non era grande e riusciva a coprirle solo la piccola porzione di
corpo dai seni fino al pube, lasciando scoperte le belle gambe sode e
brunite.
Mi sedetti sul letto accanto a lei, tirai fuori una sigaretta dal pacchetto
e la accesi, aspirando la prima boccata e tossendo come al solito, quindi la
passai a lei.
«Di’ un po’, ma tu ce l’hai la ragazza?», chiese lei aspirando una lunga
boccata di fumo.
«No...», risposi io con un po’ di vergogna.
«E quindi non hai mai dato un bacio».
«No», mi rammaricai.
«Ti piacerebbe che ti insegnassi come si fa?».
«Magari!», esplosi entusiasta.
«Così quando ti capita di baciare una ragazza farai un figurone», aggiunse
lei divertita.
«Che devo fare?».
«Per prima cosa rilassati, sei rigido come un pezzo di legno».
Cercai di distendermi, ma il mix di emozione ed eccitazione mi rendeva teso
come un fuso.
«Adesso poggia le tue labbra delicatamente sulle mie».
Mi avvicinai e posai la mia bocca su quella carnosa di mia zia.
«Così?», chiesi non appena avvertii il contatto.
«Sì...», rispose lei languida, poi mi passò una mano sulla nuca e mi strinse
forte a sé. Sentii le sue labbra schiudere le mie e la sua lingua umida
penetrare nella bocca cercando avida la mia. Era la prima volta che baciavo
una donna e la cosa mi piacque molto. Vidi i suoi occhi chiudersi rapiti e
mi accorsi che il contatto fra i nostri corpi aveva fatto scivolare via
l’asciugamano, tanto che potevo sentire i suoi capezzoli appuntiti stamparsi
contro il mio petto.
«Ti piace?», sussurrò roca mia zia staccando le labbra.
«Altroché...».
«Ne vuoi un altro?».
La mia risposta fu gettarmi ancora sulla sua bocca. Ora avevo capito come si
faceva e mi piaceva da impazzire. Così dopo il secondo bacio ci fu il terzo,
e poi il quarto, fino a perdere il conto.
«Impari in fretta...» - bisbigliò lei mordendomi voluttuosamente le labbra -
«ora abbracciami e stringimi forte».
Mi stesi accanto a lei, eccitato alla follia per il contatto del suo corpo
nudo contro il mio e per la sua lingua che si intrufolava frenetica nella
mia bocca. Ed è a quel punto che sentii la sua mano infilarsi spudoratamente
nei miei slip e stringersi attorno al mio pene, ormai talmente gonfio che la
pelle del glande sembrava doversi strappare da un momento all’altro, tanto
da farmi male.
«Questo è un po’ più di un bacio...», mormorò mia zia. Poi, ebbra di
desiderio, si inarcò come un serpente, prese il mio viso tra le mani e, dopo
avermi stampato un altro bacio sulla bocca, mi obbligò a scorrere con le
labbra e la lingua lungo il suo corpo, prima sui capezzoli turgidi, quindi
sulla pancia e infine sul pube.
«Adesso baciami qui», disse divaricando appena le gambe come i petali di un
fiore ai raggi del sole e premendo la mia bocca sulla sua vulva grondante di
umori.
«Più su...» - mi guidava lei - «No, un po’ più giù... un po’ più a
destra...».
Io esploravo con la lingua la sua vulva, eccitato dall’odore aspro che
emetteva e succhiando avidamente i liquidi che trasudavano copiosi. Poi la
sua mano afferrò la mia e la pose su un punto esatto:
«Senti questo punto più duro?».
«Sì... sembra un cordone...».
«Ecco, con la lingua devi insistere qui».
Non mi fu difficile ritrovare con la lingua il punto indicato con tanta
precisione da mia zia e mi accorsi di averlo centrato dal suo lungo
irrefrenabile fremito.
«Sì, sì... ci sei, ci sei... adesso non ti fermare più...».
Io obbedii e lei fece il resto, tenendomi la testa schiacciata sulla vulva e
muovendo sinuosamente il bacino da una parte all’altra, cosicché la mia
lingua ondeggiasse sul quel piccolo rigonfiamento. Allora non sapevo che
fosse il clitoride, ma avevo capito che era la parte più sensibile di una
donna, quella che la faceva impazzire.
«Sì, sì... continua, continua...», mi diceva lei ora mugolando, ora
respirando affannata, ora gridando, mentre tutti i muscoli del suo corpo di
tanto in tanto si irrigidivano e tremavano per alcuni secondi. Andò avanti
così per una buona mezzora e nonostante la mia lingua strofinando sulla
peluria che circondava la vulva fosse diventata più sensibile, non mi
stancavo di muoverla freneticamente e di succhiare gli umori che colavano
abbondanti dalle piccole labbra. Finché fu lei a staccarmi da sé,
stendendosi supina sul letto come per riprendere fiato.
«Ti piace?», mi chiese.
«Da morire», risposi convinto.
«Adesso, però, tocca a te».
Lì per lì non capii cosa voleva dire. Cos’altro avrei dovuto fare? I miei
dubbi, però, svanirono non appena lei si sollevò dal letto, mi sfilò gli
slip, indugiò qualche istante a guardare con tenerezza il mio pene che nel
frattempo si era rimpicciolito, poi si chinò a baciare il glande,
cominciando a leccarlo come fosse un cono gelato. Il mio pene ci mise molto
poco a irrigidirsi di nuovo e solo allora lei se lo cacciò tutto in bocca,
stringendo delicatamente il glande tra le labbra in un lungo bacio
appassionato. Non mi piaceva starmene passivamente lì, mentre lei in
ginocchio sul letto mi baciava il pene, così le passai un braccio tra le
gambe e cominciai a palpeggiare con insistenza la sua vulva bagnata. Allora
lei sollevò una gamba e, dopo aver scavalcato il mio viso, si accucciò su di
me, porgendo le sue parti più intime alle mie labbra.
«Io bacio te e tu baci me», ordinò perentoria con la voce strozzata
dall’eccitazione. Era troppo tempo che ero in erezione esplosiva, per cui
adesso un dolore intenso, simile a veri e propri crampi, partiva proprio
dalla base del pene, diffondendosi a macchia d’olio sugli inguini e sul
basso ventre. Al punto che le labbra di mia zia che affondavano ritmicamente
sul glande mi procuravano più una sensazione sgradevole che di piacere.
Però, la vista ravvicinata delle parti intime femminili, compreso il
pertugio invitante dell’ano, che fino ad allora avevo solo sognato, ma che
ora potevo toccare a volontà e in cui potevo infilare la lingua e le dita,
ebbero il potere di farmi dimenticare i dolori muscolari. Poi, mano a mano
che mia zia insisteva eccitata con le labbra umide e calde sul glande e io
con la lingua e le dita le frugavo la vulva e l’ano, le fitte si fecero
quasi insopportabili. Sentivo chiaramente che qualcosa premeva dall’interno
del pene, quasi a farmelo esplodere. E d’improvviso, come una liberazione,
il seme spruzzò abbondante nella bocca di mia zia, mentre la sua vulva e il
suo ano presero a pulsare in una interminabile e frenetica sequenza di
contrazioni.
Di colpo ogni tensione al basso ventre scomparve e le mie membra, fino ad
allora in tensione, si rilassarono, come quelle di una marionetta a cui
avessero tagliato i fili. Anche mia zia si abbandonò sfinita e appagata sul
letto. Nuda. Ma adesso che avevo baciato, leccato, toccato e succhiato ogni
angolo riposto e segreto del suo splendido corpo la sua nudità mi appariva
meno eccitante, quasi normale.
«E’ questo fare l’amore?», chiesi ingenuamente.
«Non proprio», rispose lei.
«E... non si può fare?», azzardai.
Mia zia si sollevò su un fianco e con un bel sorriso sulle labbra si chinò
sul mio pene un po’ rimpicciolito e ancora grondante di umori.
«Dipende da tuo pistolino», rispose lei avvolgendo di nuovo il mio glande
con le labbra.
Ci volle poco perché il mio pene riprendesse le dimensioni di prima e quando
fu di nuovo turgido mia zia si pose a cavallo su di me e cominciò a sfregare
la sua vulva sulla punta del mio glande, finché d’improvviso lo sentii
penetrare in una sacca umida, pulsante, avvolgente.
«Questo è fare l’amore», disse lei, poi furono solo ansimi e mugolii di
piacere.
Capii che il mio pene era entrato per tutta la lunghezza nella sua vulva e
la cosa mi procurava un piacere sublime. Anche perché, ad aumentare la
sensazione di piacere, lei affondava la sua lingua fremente nella mia bocca,
mentre le mie dita scivolavano bramose ora sui suoi grandi seni, ora sulle
cosce tornite, ora sulle carni pastose delle natiche. Quando poi lei aumentò
il ritmo con cui mi cavalcava, cominciando a gridare e irrigidendosi in una
interminabile contrazione, il mio pene, ormai incapace di contenere la forza
prorompente dell’eccitazione, esplose di nuovo un vigoroso abbondante fiotto
di seme, stavolta all’interno della vulva, trascinandomi in un vortice di
piacere indescrivibile, che scemò rapidamente, lasciando il posto alla dolce
spossatezza del più completo e totale appagamento. Anche mia zia si
abbandonò sfinita sul letto, quasi senza fiato. Per la prima volta avevo
fatto l’amore ed ora potevo dire a ragion veduta che era una cosa
meravigliosa. Decisamente meglio di come lo avevo immaginato.

Nei giorni seguenti io e mia zia ripetemmo più volte quella straordinaria
esperienza, esplorando ogni angolo del pianeta sesso, in un crescendo di
piaceri e godimenti oltre ogni limite della mia immaginazione. Cominciavamo
la mattina, appena alzati. Poi andavamo sulla spiaggia a farci un bagno,
quindi di corsa a casa a rifarlo di nuovo. Poi ancora la sera, dopo cena, e
per tutta la notte. Finché le forze ce lo consentivano. Unica nota
spiacevole la mia folle gelosia per ogni sguardo maschile che in spiaggia si
posasse su mia zia, ed erano tanti, e per ogni sorriso che lei dedicava a
qualcun altro, fosse anche il droghiere o il vicino di casa. In compenso non
mi importava più niente delle partite a pallone con gli amici, con cui avevo
riempito tutti i miei pomeriggi marini fino ad allora.
Quello che me sembrava il paradiso in terra finì bruscamente la mattina in
cui tornarono i miei genitori. Dopo essersi fatta promettere ancora una
volta che non avrei parlato con nessuno di quei giorni di follia erotica,
mia zia riprese con me i rapporti normali e distaccati di prima. E ogni
volta che non visto provavo a toccarla, lei mi bloccava fulminandomi con
sguardi di fuoco. Per fortuna questa situazione durò poco, perché mia zia
dopo qualche giorno tornò al suo paesetto poco lontano da Roma, dove viveva
con i miei nonni e dove poco tempo dopo si sposò con il tizio che non amava.

Trascorsero quindi anni da quei giorni indimenticabili ed io, ormai
trentenne, dopo essermi laureato ero stato assunto come giornalista da una
testata nazionale. Mia zia ormai la vedevo solo saltuariamente, le rare
volte che andavo al paese per mettere un fiore sulle tombe dei miei nonni,
che nel frattempo erano scomparsi. Nonostante avesse avuto due figli ed ora
viaggiasse sui 50 anni aveva ancora lo stesso corpo magnifico di un tempo.
Solo qualche chilo in più, che però non guastava affatto. Anzi.
In genere quando ci incontravamo non parlavamo mai di quella nostra
esperienza segreta. Da parte sua solo qualche vago accenno malizioso alle
mie tante amicizie femminili e al fatto che non mi decidevo a sposarmi. Se
eravamo soli, lontani da orecchie indiscrete, le rispondevo che era
difficile trovare un’altra donna che sapesse soddisfare i miei desideri come
aveva fatto lei. Lei si scherniva, ma era evidente che i miei complimenti le
facessero piacere. Del resto era la pura verità. Quell’esperienza, infatti,
era stata determinante per trasformare un adolescente timido e introverso in
un vero e proprio lover, capace di saltare da un letto all’altro lasciandosi
dietro solo le lacrime e i rimpianti delle partner.

Finché un giorno il tempo sembrò tornare improvvisamente indietro. Era
estate e mia zia, dovendo sbrigare alcune pratiche a Roma, per un paio di
giorni si trasferì dal paesello a casa nostra. Nonostante i miei genitori
non ci fossero, perché erano nella loro casa al mare, o forse proprio per
questo. Ai bambini nel frattempo avrebbe badato il marito. Mia madre
rassicurò la sorella dicendole che comunque io sarei stato a casa e che
quindi per qualunque cosa avrebbe potuto contare su di me.
Mi telefonò al giornale verso l’ora di pranzo, per sapere a che ora sarei
tornato a casa. Le dissi che potevo anche mollare subito il lavoro e correre
da lei, purché ne valesse la pena. Lei capì immediatamente a cosa mi
riferivo e mi rispose di saltare in sella alla mia moto e raggiungerla,
perché anche lei aveva in mente lo stesso progetto. Da quindici anni. Il
sangue mi si gelò nelle vene e poi affluì vorticosamente sul pene, che si
gonfiò come allora creandomi più di un imbarazzo con la segretaria e le
colleghe che erano in redazione. Annunciai che per un paio di giorni non
sarei andato a lavorare, poi, preso da una febbre improvvisa, da un
desiderio bruciante, tanto più inspiegabile considerando che di certo le
donne non mi mancavano, volai giù in garage, saltai sulla moto e corsi a
casa.
Mia zia mi aspettava davanti al portone. Era sempre bella, anche se la sua
bellezza e la morbida sinuosità del suo corpo erano mortificate dentro un
tailleur di fattura scadente e dal chignon che raccoglieva dietro la nuca i
suoi magnifici capelli lunghi e corvini.
Ci salutammo con un casto bacio sulle guance, ad uso del portiere curioso e
chiacchierone che ci stava osservando, poi le chiesi se aveva fame,
proponendole un ristorantino poco distante. Lei scosse la testa. Era di
altro genere la sua fame, mi disse. Lo stesso genere della mia, le risposi.
Ci infilammo nell’ascensore e premetti il tasto del quinto piano. Non appena
le porte di metallo si chiusero provai ad abbracciarla, ma lei si irrigidì.
Si capiva che era agitata, fremente, ma anche che in quel momento la ragione
aveva il sopravvento sul desiderio. Erano passati troppi anni da quei giorni
a Fregane – disse - e aveva bisogno ancora di un po’ di tempo per ritrovare
il feeling di allora. Rispettai volentieri la sua volontà. In fondo
rimandare il piacere di stringerla a me, di far scivolare la mano sotto la
sua gonna, di baciarla voluttuosamente, di stringerle i seni, aveva
l’effetto di accrescere la mia bramosia.
Una volta in casa, però, la situazione precipitò. Chiese se poteva farsi una
doccia e naturalmente le risposi di sì. Al momento di spogliarsi, però, mi
disse imbarazzata che voleva restare da sola. Non si sentiva ancora pronta a
mostrarsi discinta. Ancora una volta pensai di non insistere, pregustando
già lo spettacolo che mi sarei goduto attraverso il buco della chiave. Era
da tempo che non lo facevo e la cosa mi intrigò oltre misura.
Lei chiuse la porta ed io mi chinai a spiare dal foro. Lo spogliarello cui
mia zia diede vita fu da antologia. Era ancora bellissima. La vidi sfilarsi
con studiata lentezza la gonna, poi le calze, quindi la camicetta, il
reggipetto e infine gli slip. Niente a guardarla faceva pensare che avesse
quasi cinquant’anni. Non certo i suoi seni, turgidi e sodi come allora. Né
le cosce, sempre lunghe, affusolate e senza il minimo accenno di cellulite.
Né tanto meno i fianchi e i glutei, ancora tondi e carnosi, proprio come me
li ricordavo.
Sciolse i capelli, che le ricaddero neri e lunghi sulle spalle eburnee, poi
si infilò sotto la doccia, aprì l’acqua e si bagnò il corpo, preparandolo al
sapone. A quel punto, però, non ce la feci più ad aspettare ed irruppi nel
bagno. Pensai che mi avrebbe rimproverato, invece...
«Che diavolo stavi aspettando!», sibilò con aria di rimprovero e la voce
rotta dall’emozione offrendosi alle mie braccia. Incurante di bagnarmi, la
strinsi forte a me e la baciai con tutta la passione di cui ero capace.
Avevo aspettato tanto tempo quel momento ed ora il mio sogno adolescenziale
stava per ripetersi. Ma non ero più il bambino di allora. Adesso ero un uomo
fatto e avrei potuto darle molto più. E lei lo sapeva. Per questo aveva
creato ad arte l’occasione, inventandosi un fantomatico disbrigo di
pratiche.

Facemmo l’amore ininterrottamente fino a notte fonda, fintanto che le forze
ce lo consentirono. E fu un amplesso incredibile, fatto di estrema dolcezza
e improvvisi momenti di rabbia, che si alternavano esasperati dal desiderio
troppo a lungo represso. Molte donne si erano avvicendate nel mio letto, ma
nessuna era come lei, nessuna possedeva la sua straordinaria carica erotica,
nessuna la sua capacità di godere e farmi godere, nessuna lo stesso sapore
asprigno della vulva bagnata. Per quanto avessi cercato di dimenticarla lei
era rimasta nei miei sensi come un imprinting da cui non riuscivo a
liberarmi e di cui a fatica ero riuscito a fare a meno. Chissà, forse era
sempre stata lei la donna che avevo cercato inutilmente saltando
indifferente da un letto all’altro. Era lei la donna che avevo sempre amato.
Era sua la sola vulva in cui il mio pene sarebbe potuto rimanere in erezione
per l’eternità.
Non so quante volte raggiungemmo l’orgasmo. Impossibile contarle. Io presi
lei e lei prese me in tutti i modi, così tanti e fantasiosi da far sembrare
il Kamasutra un libro per la prima infanzia. Fino all’appagamento totale, al
piacere assoluto.

Il mattino seguente mi svegliai prima di lei. Vedendola nuda e languidamente
abbandonata sul letto disfatto, sollevai la serranda di quel tanto che senza
svegliarla era sufficiente a far entrare un po’ di luce, poi presi la
Polaroid e cominciai a scattarle delle foto. Volevo immortalare la soda e
rotonda bellezza del suo corpo, fissarla nel tempo e conservarne per sempre
il ricordo. D’un tratto lei si svegliò. Pensavo che si sarebbe contrariata
per la mia iniziativa di fotografarla nel sonno, invece non solo ne fu
lieta, ma si mise in posa per me, offrendo voluttuosamente il suo corpo
all’obiettivo per una serie di scatti dal sapore decisamente hard. Finché di
nuovo eccitato gettai la macchina fotografica, mi stesi accanto a lei e
l’abbracciai con foga. Mia zia rispose all’abbraccio con la stessa passione
e facemmo di nuovo l’amore, fino a sfinirci. Solo quando entrambi ci
accasciammo stremati sulle lenzuola lei con un filo di voce mi disse che
quella sarebbe stata l’ultima volta. Ciò che provava per me, infatti, non
era più compatibile con il suo ruolo di moglie e di madre e quindi tra noi
tutto doveva finire lì, in quel preciso momento. Altrimenti il conflitto che
la divorava ormai da quindici anni sarebbe diventato insostenibile, al punto
da mettere a rischio la sua salute fisica e mentale.
Mio malgrado fui costretto a darle ragione. Anche per me, infatti, il
ricordo di quell’estate lontana, rinnovato dalle ore appena trascorse
insieme, avrebbe finito per condizionare per sempre anche la mia vita
sentimentale, impedendomi di trovare la donna giusta da sposare e con cui
condividere la gioia di avere bambini.

Ci salutammo malinconicamente alla stazione dei pullman. Vidi mia zia
asciugarsi una lacrima dietro al vetro del finestrino e poi il bus si
allontanò, portando via per sempre la donna che mi aveva insegnato cosa
fossero davvero l’amore e il piacere.
Di lei, ormai, non mi restano che le foto scattate quella mattina e, lo
confesso, ogni volta che le guardo non posso fare a meno di masturbarmi
ferocemente. Perché per me nessuna è mai stata e forse mai sarà come lei.


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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/

Ary

unread,
Jul 16, 2008, 6:41:35 AM7/16/08
to

"mauchat1"

> Non potrò scordare mai quell’estate. Avevo 14 anni e gli ormoni maschili
in
> piena tempesta.

Carino questo racconto. Mi ha preso e l'ho letto fino in fondo,
anche se è un po' lunghino.
Belle le descrizioni e i dialoghi, anche se un po' scontati.

ary

Pier Paolo

unread,
Jul 17, 2008, 12:24:27 PM7/17/08
to
Ary ha spiegato il 16/07/2008 :


Sì.. Un unico pensiero, che forse non c'entra nulla con la scrittura:
Ma se invece della zia fosse stato lo zio?


Pier Paolo


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