Riccardomustodario
11.1.2007
Sensazioni d’inverno
Quella volta lì era veramente freddo non come adesso con il termometro a meno sei gradi centigradi.
La settimana scorsa, il giorno prima dell’Epifania, avvertivo nell’aria una sensazione antica, conosciuta, piacevole, misteriosa, racchiusa nel freddo pungente di quando ero bambino, un momento andato nel dimenticatoio e rimbalzato all’improvviso nel suo ricordo, unico e particolare, rimasto in memoria.
Questo inverno è freddo, lo soffro da novembre, anche se non eccessivamente. Quando ero bambino gelava sovente, molto più d’adesso, ma il freddo era diverso, meno sintetico, si combatteva la temperatura rigida con più filato; l’ambiente circostante si colorava bianco, a volte di nebbia nel profumo di quel periodo dell’anno: l’inverno, o forse avvertivo ciò, perché dopo qualche anno, la campagna intorno la casa nostra, una delle prime del luogo ed eravamo appena nella zone a ridosso del centro città, scomparve alterando i valori naturali, e senza accorgercene salutavano anche i sapori dell’aria, per un buon arrivederci odierno sessanta anni dopo circa?
Arrivederci nell’aldilà orso polare artico, il tuo Iceberg si squaglia. – No! – Fa freddo! – Arrivederci pinguini dell’altro emisfero, idem con patate come sopra, e cosa sarà dell’orca che aspetta il suo banchetto prelibato in bianco e nero? - Dove andranno i pinguini? Non mica tutti in smoking: a teatro? La vita è qualcosa di prezioso e la natura altrettanto seria.
La speculazione edilizia ha condizionato le nostre abitudini rendendoci più contemporanei, laddove c’era la mucca cavalla, oggi impera il super mercato, a due piani, con scala mobile incorporata, magazzino incredibilmente grande, al fin che ogni cosa sia a prova di mano o di comodo cestello, dall’abbigliamento alla corsetteria, dall’intimo alla cartoleria, ai casalinghi e quanto altro si possa aver bisogno e tanto di piano sottostante esclusivo per derrate alimentari.
“ Sviluppo Città “ era il motto dell’industria che cercava manodopera negli anni del boom economico mentre le campagne si spopolavano dei loro figli naturali ovvero gli storici contadini stufi di lavorare la terra, ma felici di respirare aria metallurgica in fabbrica. - Ed a chi lo vado a raccontare che sto prendendo le pillole “ Aironitiche “ perché alle ultime analisi, è risultato il mio organismo, bisognevole di ferro? - Il freddo dei metalli, d’inverno trasmette un’ennesima sensazione di ghiaccio e le dita della mano e dei piedi s’intorpidiscono, allora mi guardo i pantaloni lunghi e penso ai tempi delle elementari, quando si andava a scuola con i calzoncini corti; ed ai chiari di carnagione cicciottelli, l’inverno disegnava polpacciotti dalle venature rosse, vividi dal formicolio attivo delle temperature basse. - I bambini del Nord indossovano pantaloni lunghi e sorridevano nel freddo, giocando con pupazzi e palle di neve – noi eravamo a conoscenza di ogni dove dei nostri coetanei, perchè in televisione notavamo queste cose qui e poi, lasciate le elementari, i pantaloni sarebbero diventati lunghi. - D’inverno era vietato giocare al dottore? - Non mi ricordo!
Il palazzo più in là del nostro, oltre il muro di cinta della civiltà d'allora, dalle parti più giù del bosco, dove si scambia anche la pelle se suoni il blues, era abitato da ragazzini terribili, così si vociferava a scuola; inutile aggiungere come vedessero la zona gli studenti del collegio nel bosco quando andai alle scuole medie; indubbiamente, noi di Viale Colli Aminei rappresentavamo i santarelli, i per bene della zona Capodimonte - gli snob.
La società cambia. – A leggere i giornali, risulta la perversione avanza su tutti i fronti, inoltre i tifosi organizzati in bande da combattimento stadio si fanno più audaci. - Quale sia la situazione attuale, con mamme alla ricerca di facili guadagni, pronte ad incolpare il povero prete di turno, vittima della mentalità ose’ di bambini sempre più incuriositi nell’emulare i loro genitori, impegnati in menage ogni stagione più complicati, in nome della perfezione della coppia gay cui ispirarsi e da raggiungere, non voglio proprio pensarlo.
La famiglia è diventata qualcosa di strano - difficile diagnosticare dove la troveremo tra cento anni, ma anche tra venti - esisteranno ancora i bambini o nasceranno già adulti?
La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte. – Com’era bello Natale - un periodo enorme – iniziava un paio di sabato prima del venticinque dicembre con il presepe, e finiva il sette gennaio, allorquando tutti i pastori ritornavano incartati nelle scatole, su nel ripostiglio. – Di questo lasso di tempo che copriva tre, quattro settimane, l’Epifania, significava per i bambini, il momento topico. - Il presepio piaceva a tutti, specialmente a noi fanciulli incantati al cospetto di cotanto spettacolo. – A detta d’amici di Via Epomeo, zona allora nota per gli inceneritori dell’immondizia, il mio quartiere sembrava fermo nelle sue abitazioni tolte da sopra i presepi, cui di siffatti capolavori, bisogna annotare, ve n’erano due importanti assai, uno dei quali addirittura con i pastori moventi, o entrambi? – Amici, conosciuti anni dopo quei giorni d’infanzia che sto raccontando; amici criticoni tanto, fino a farmi realizzare, abitavo sul tempo antico di mio piacimento. – Tra l’altro, una delle zone tagliate nel tufo della collina sottostante, si chiamava proprio “ ‘Ncopp’o Presepio “ e così appariva a Natale Donna Nannina sopra al carrettino di frutta e verdura con il suo ciuccio di fronte al baccalaiuolo, il quale per l’occasione metteva fuori il negozio, delle semi botti azzurre, nel senso di contenitori pieni, stracolmi di capitoni, i quali li acchiappi per la coda e scappano per la testa, e viceversa, e si rideva, nel raccontarlo a mo’ di barzellette alle elementari. – Era quel mondo, periodo cui i negozi alimentari del vicolo si vestivano a festa, strabocchevoli di mercanzie da tavola, squisitezze, tanto che una decantina d’anni dopo, il presepio iniziò ad essere definito “ Mangiatoia “. – A me non piaceva il nuovo termine coniato all’uopo, lo trovavo volgare e pensai tale nome da sacra stalla fosse frutto della fantasia dei vecchi, propri di quel luogo della mia infanzia, i quali giocavano a carte bevendo il vino nella cantina, mentre quelli del bar di fronte sorbivano il caffè, giocando a carte anch’essi. – Per la mia mamma, i vecchi del bar erano più degni degli anziani della cantina, quindi per me era facile additare tutto ciò che non mi piaceva in direzione pensione cantina e viceversa bar, in effetti mi fu subito chiara la divisione del bene e del male ovvero fuggire l’alcool, così come più in là avrei imparato a scampare le droghe.
Napoli centro era uno spettacolo di giocattoli nella serate illuminate delle bancarelle per noi giovinetti della collina, dove si giunge oltrepassando il quartiere visto dall’alto, lungo la strada sul ponte.
I banchi vendita in città erano pieni zeppi di giocattoli e dovevamo scegliere quali volevamo dalla Befana, specificandolo bene nella letterina da mettere sul comodino prima del bacino ai genitori e sogni d’oro accompagnati dal segno della croce, senza preghiere, poiché giovanissimi per la prima comunione, eravamo esenti da Ave Maria e Padre Nostro. – Ricordo una sera piovigginosa, quando sceglievo il trenino elettrico insieme ai miei genitori e mio fratello, sicuramente le sue richieste erano rivolte a pistole e fucili per la distruzione da eserciti nella polvere del mio treno veloce. – Si era allora, in piena esplosione cinematografia Colossal, film storici che impiegavano migliaia di persone: Cleopatra, Deserto dei Tartari, i Dieci Comandamenti o pellicole Western, non ancora spaghetti, ciò nonostante, avevano voglia, i cow boy pistoleros, a restare al palo, con i loro cavalli da staccionata buoni, giusto per gli attacchi alla diligenza, al cospetto del mio Trans Express Rapido. – Altresì mi sovviene di un’altra volta, ormai quasi militare: quella sera la mia mamma volle l’accompagnassi per andare ad acquistare la bambola che parlava per mia sorella, la quale ha sette anni meno di me. - Quel anno, il giocattolo da lei richiesto, era andato a ruba e non si trovava, figurarsi la gioia, quando riuscimmo ad accaparrarci del balocco ricercato.
Che tempi! – La fiducia del guadagno era ovunque, gli stessi venditori ambulanti con la bancarella illuminata a festa, passavano la domenica successiva del dopo festività ad offrire biglietti al campo sportivo, il cui costo veniva moltiplicato per due o per tre con semplicità estrema; faceva rabbia pagare tanto in eccesso per poter assistere alla partita, in uno stadio sempre gremito all‘inverosimile, e se parlavi loro, questi da bravi bagarini consumati, chiedevano il posto fisso per togliersi dalla strada, intanto è garantito: nessuno traeva profitti più di costoro che cambiavano attività ogni giorno. - Però l’inverno, era freddo ed il boom economico un giorno sarebbe pur finito, ma come facevano a saperlo e per tanto chiedevano impiego sicuro garantito dallo Stato? - Forse erano più intelligenti di quanto sembrassero, avevano ragione ed ora credo loro, nonostante la nostalgia di quei bianchi monti innevati che facevano da corollario al pennacchio candido del
Vesuvio, verso alto, affacciato sul golfo, ad osservare il tempo del voto elettivo, il quale faceva la differenza alle elezioni, allora erano tanti ad affermare che lavorare in strada significasse patire il freddo, quindi essere impiegati al coperto era sinonimo di benessere, testimoniato della televisione in bianco e nero, la quale vedeva ovunque presenti, personaggi animati da buona volontà economica, forse tenuti in penombra sullo schermo o che ne so, comunque pronti a spuntar fuori ad ogni minima occasione, fino ai “ Vuo’ cumpra’ “ i quali all’inizio veramente sembravano scesi dal presepe per inondare le spiagge, questi carichi di mercanzie, parevano i Re Magi, e ci si chiedeva i cammelli dove fossero? – Allo stato odierno, gli stadi si svuotano sempre più ed i giocattoli? - Qualcosa era successo lo so, ma ve lo racconterò domani, oggi a livello calcio siamo fuori dalle coppe europee, allora dichiaro rivedrei con piacere la commedia “ Natale in casa Cupiello “. Auguri! - Natale salutava e Capodanno si presentava; apriti cielo! - La sparatoria spaghetti western pacifica iniziava. – I fuochi d’artificio, con tanto di colonna sonora animata dai fischi che partivano a razzo dalle bottiglie, brillavano nell’aria buia; linee di fuoco sprizzavano improvvisi, petardi di varia potenza, tavolta si udivano veri e propri boati, i quali muovevano anche i palazzi e poi girandole, granate e l’indomani mattina era impossibile trovare un centimetro quadrato di strada senza i segni della notte di follia precedente. - E noi del ragassini d’Italia si usciva al mattino presto in cerca di botti non esplosi ed un mio amico si spappolò la mano, diventando uno dei tanti che affollavano il Pronto Soccorso, il quale in quel giorno di felice anno nuovo, puntualmente stilava un vero e proprio bollettino di guerra da arrivederi all’anno prossimo primo gennaio. Esistevano delle botte a muro che nemmeno si odono negli odierni telegiornali in diretta dai campi di battaglia – auguri!
Poi le case, in quegli anni da passeggio sereno, si riempirono di cani da compagnia che abbaiavano terrorizzati dai tanti decibel improvvisi; intanto il vicinato invecchiò, e l'aria carica d’ossidi di polvere da sparo, iniziava a guastare il buon senso e la festa man mano abbassava il sipario; mentre calavano i botti e si spegnevano i fuochi d’artificio, aumentava il volo dei cessi, porcellane in gloria d’arredo bagno, avere un tale accessorio scardato in casa, assurgeva a mera fortuna da carta igienica fumettata. - Amen!
Noi bambini di quel tempo, credevamo la Befana entrasse dalla finestra e ci preoccupavamo di lasciare gli infissi di una camera della casa apposta socchiusi, in modo la cara nonnina riempisse le calze d’ogni leccornia, altresì ponendo, regali a piacimento, entrando in casa facilmente e sempre sulla stessa scopa tornare a volare fin l’altra finestra, lasciata anch’essa leggermente aperta dai bimbi dell’appartamento accanto. – In questi pensieri fantastici avvolti nel mistero del perchè non si dice chi mai sarà che si sa la nonnina, ecco noi dell’asilo infantile, in quei giorni a guardare con ammirazione le vecchiette chiedendoci se non fosse proprio quella di turno di fronte ai nostri occhi, la Befana che avrebbe portato i doni e più era curva e più carica di giocattoli appariva nella nostra fantasia, come Donna Nannina, tale e quale l’avevo immaginata la prima volta che la notai, il suo asino poi, altro che scopa, lavava veramente il pavimento quando urinava; un rivolo liquido giallognolo interminabile scorreva fino alle latrine pubbliche accostate al muro di cinta del Bosco, dove giungeva dopo aver saltato i binari del tram, i quali ormai non passavano più, però tardavano da essere rimossi ed in certi punti erano stati riempiti dal catrame. – Cento metri e piu, tracciato di liquido, il quale da un punto scorreva fino a tutt’altro luogo, come se sapesse dove andare, piccione viaggiatore. - L’orinatoio era accostato al muro del Parco, laddove un albero capeggiava sul marciapiedi ad un passo dall’entrata dall’imponente cancello e tanta gente sulla fermata d’innumerevoli linee di autobus. - E si diceva tra i monelli la strada fosse stata toilettata ricevendo una latrina pubblica, di quelle cementate nel brecciame, le quali emanavano forti esalazioni di cloro. – Abbiamo trasmesso: tipi di servizi pubblici ormai scomparsi del tutto dalla città, unico esemplare rimasto, si può notare a Posillipo. – Nella piazzetta antistante il vicoletto tanto attivo, grigio, dal colore del selciato scuro di basalto antico, il quale, quando aumentò il traffico negli anni sessanta, ogni anno era battuto con martello e scalpello, per non far perdere attrito onde evitare alle auto di slittare sul lastricato lucidato dall’uso: a febbraio si presentava Carnevale ed ecco si presentava una luce calda, la quale mi è rimasta impressa, più delle luminarie di Natale, forse. – A carnevale si edificava un grande fuoco, partecipavano tutti, scugnizzi e non - si buttava il vecchio mobile ed è facile immaginare che pila enorme di legname si generasse in quegli anni dai forti fermenti innovativi e chissà quanti tesori sono stati arsi, per essere sostituiti dalla formica, simbolo del moderno d’allora. – Quando si appiccava il fuoco, la pira determinava un momento molto emozionante per noi bambini e più calava la sera e più il legno ardeva e le fiamme si alzavano alte, fino a far temere bruciasse i fili del lampione che illuminava la strada. - Un unico filo reggeva una cuffia di vetro, dalla quale una lampadina illuminava di un colore ormai in disuso, per scarsa visibilità rispetto alle moderne lampade allo iodio. – Era bello quel colore, come solo i pensieri romantici sanno dipingere, quindi non si rimpiangono, perché la vita va avanti, tra un palazzo a lato del fuoco in giallo nostrano ed un altro edificio faceva angolo a facciata rosso pompeano, colori mischiati alla luce del lampione che oscillava alta quando tirava vento, disegnando schermi ombrati tra piani non illuminati. – La stradina che conduce a Napoli centro, ove si giunge scendendo lungo il versante principale della collina della nostra zona, non si vedeva più, causa l’enorme lampata che si sprigionava da tale ammasso d’ogni cosa, non ultimo il trasbordo dal bosco vicino di quantità di rami secchi ottimi da ardere. – Ed in alto lei – la vecchiaccia sorridente, la quale poi, per noi bambini cambiò ruolo, trasformandosi in pennacchio da albero di Natale, quando questi diventò di moda dalle nostre parti. Orbene, eravamo sempre alla ricerca di ogni sorta di consumo – veramente era facile associare il pennacchio del cippo, la strega carnevalesca alla Befana, e poi gli americani giunsero primi con Babbo Natale, fischi e pennacchi e tutti i giocattoli che già se n’erano andati, rotti, ed il fuoco saliva e la strega bruciava e papà mi raccontava gli avvenimenti, raccomandando a priori nessun timore fosse solo una storia a lieto fine - una favola in attesa della cara vecchietta carica di doni, la quale sarebbe tornata l’anno seguente, perché nemmeno il fuoco o la neve o il vento fermano la Befana, quando viene il momento di portare i doni ai bambini. – Allora nel cielo si alzavano lucine piccole piccole e poi verso la fine delle elementari scoprii si chiamavano monachine o forse nel primo anno della scuola media e fu bello notarlo insieme ai compagni di classe studiando un brano dall’Antologia, e tutti pensammo, nello stesso momento, al Cippo di Sant’Antuono, al giogo che conoscevamo di quei lapilli nell’aria che sanno di magico movimento di luci mosse dalla cenere, fuoco che da sotto si alza leggero, dimostrazione che cenere e lapilli, caldo, luce e vita sono nell’aria. - Le fiamme s’inceneriscono leggere, volano e brillano, evitando il più possibile di spegnersi: il fuoco non vuole morire! – E si tornava a casa accaldati dagli odori del fuoco, festanti, e c’era il sanguinaccio; la mia mamma non sapeva cucinare. - Badava il mio papà ai fornelli, ma come faceva il sanguinaccio lei, e la pastiera e la cioccolata, non ha eguali ed a me andava benissimo così - adoro le leccornie. – Per la verità, sapeva cucinare e bene anche peperoni e melanzane, ma io non ne ero ghiotto. - Che periodo corpulento, da animali di cortile serviti a tavola e non, infatti alla Vigilia ventiquattro dicembre gallina in brodo, Natale a messa venticinque con mucca ed asinello nella stalla del Bambin Gesù ed al ritorno a casa si pranzava, c’era a tavola anche il capitone, che io ho sempre rifiutato, non mi piaceva; alla fine di tale periodo, ecco a febbraio c’era il sanguinaccio con il sangue di porco: una prelibatezza più unica che rara, si, e tra una specialità ed un’altra siamo a marzo, è Pasqua, o al più tardi in aprile; ma allora e sempre festa? - È tutto un gioco? - Essere bambini, a volte è un affare! – Quando fosse Carnevale, era sempre un mistero, la data cambiava, non si capiva perché; quel giorno un amichetto garantiva che si ricordava bene, era Carnevale, c’era il Cippo di Sant’Antuono! - Come mai, c’era chi s’interrogava tra i monelli, coloro i quali la mia mamma non voleva frequentassi, perché essendo più grandicelli si appendevano al tram, addirittura qualcuno aveva detto che il fuoco era da vedere la settimana prossima ed a lui gli sembrava che pure l’anno precedente ancora, fosse stato prima, infatti imparammo che i Patti Lateranensi erano buoni, perché l’undici febbraio era festa a scuola e gli scugnizzi del Vico Lieti, già si stavano preoccupando di raccogliere la legna da ardere. - E noi? - A parte preoccuparci come imparare a parlare e scrivere bene, tra i tanti verbi, coniugati come se fossero sposati e questi e quegli e né è e ne e qui e qua che l’accento va e non va, e figurati i cui e quanti ancora? – Nicchiavamo sulle pagine bianche durante il componimento in attesa di un’idea da raccontare e comunque facevamo la conta con la grammatica al fin che essa si rivelasse a noi senza la fragilità del nostro italiano. – La danza degli indiani che invocano la pioggia, mentre costruivamo case sotto terra, e poi vennero gli anni dei mobili a scomparsa e si andava nella Grotta di Maria Cristina, dove sopra in alto, c’è un foro e su quel buco altissimo, gli scugnizzi ballavano senza paura. Sotto, in fondo al foro, illuminata dall’apertura nella volta, una collinetta a mezzogiorno grazie alla lenza di sole – a pensarci ora, tale cumulo di terra attratta dalla luce solare, sembrerebbe un’ara con un anello sospeso nell’aria, il quale dal buio della caverna si apre al cielo con tanto di raggio solare a tagliare il buio della grotta. – Che posto incantevole! - Che storia incredibile! - Maria Cristina era una prostituta, la quale aveva un letto di pietra nella grotta e lì riceveva i suoi clienti tedeschi, durante la ritirata della seconda guerra mondiale e se uno di noi delle scuole elementari chiedeva cosa stessero favoleggiando i più grandicelli, allora questi ci conducevano in un viale dove su una lapide si leggono i nomi degli italiani della zona in quel posto trucidati, alcuni si commuovevano riconoscendo i propri zii; io, forse, diventavo fascistiello riconoscendo che alla fine si muore sempre, meglio salutare per una giusta causa, invece no, perché morire attualmente non è mai giusto, democraticamente e tecnologicamente possiamo essere mantenuti in vita sempre e poi si andava in un altro luogo dove cadde un aereo. – Com’è bello il Bosco, sui campi giocavamo a pallone, ero un campione. - Una volta entrammo nella Grotta di Maria Cristina con le torce e facemmo tutto il giro – era impressionante – pipistrelli, a iosa, attaccati alla parete aspettavano calassero le tenebre. – … E le scalette che conducevano al giaciglio di Maria Cristina, scavato un paio di metri in alto nella parete tufacea interna, nella grotta, di tutto ciò ne feci uno script grafico anni fa, lo postai sui vari newsgroup design che frequentavo allora ed ora non trovo, perché il computer vecchio s’è scassato definitivamente, però posseggo i floppy, i quali nel Mac Quattro non entrano. - Ai tempi antichi ciò non accadeva, direbbe la mia mamma; questi computer cambiano continuamente, sono peggio della Moda, senza mai portarci sulla luna. - Sulle scalette di Maria Cristina s’apriva un giaciglio di pietra, e noi in gruppo, composto da ragazzini con le fiaccole in mano, procedevamo stretti, spalla a spalla, il posto non incuteva paura solo perché aravamo in tanti a marciare in quella polvere, quanta ne era depositata sul fondo della grotta, la quale a percorrere in marcia, risultava esclusiva e mera questione di sentire proprio quel posto appartenente al Bosco e noi figli d’esso al passo nel nostro spazio privato di bambini naturali. – Noi eravamo sempre nel Bosco – cresciuti selvaggi sin dall’asilo al Primo Campo, laddove si giocavano partite di pallone a tambur battente; ogni pomeriggio ero lì, con i miei fratelli più grandi. Mi sembra sono stato all’asilo un anno nel bosco ed un altro dove c’è quel viale stretto che esce a San Rocco e la bidella si chiamava Messina, infine il viale non era tanto stretto, ma non vi erano case e gli alberi ai lati restringevano. Quanti bambini c’rtano allora, gli asili non bastavano mai.
Forse avevo cinque anni, poiché l’anno successivo iscrivendomi alle elementari, qualche ragazzaccio avrà svelato che la Befana è rappresentata dai nostri genitori, quando giocando tra i mobili, capitai nella credenza in camera da pranzo, la quale aveva due coppie di portelli, ed il gioco consisteva nell’entrare da un passaggio del mobile per uscirne dall’altro - intramezzo suspense – buio - nonostante le ante aperte - trepidante momento, allorquando si era immersi nel pezzo d’arredamento, facendo attenzione a non rovesciare piatti bicchieri e vettovaglie. – Le portiere erano assicurate a chiavi, e come mi apprestai ad aprirle, mio fratello più grande, si parò davanti per non farmi accedere, tanto meno curiosare. - Faceva molto freddo quel giorno, le finestre erano aperte, come solo a casa mia si poteva notare quando la temperatura era bassa; sarà forse stato la nostalgia della nostra mamma che andava a lavorare in fabbrica e tornando a casa non sopportava stare al chiuso in sette stanze ventilate - tanto noi ci si abituava alla sera, insomma in quel mobile, nel pentolone d’alluminio in esso stipato, enorme contenitore da venticinque coperti, nessuno me lo toglie di testa, c’erano i regali che avrei ricevuto il mattino seguente, in quel giorno dell’anno, cui svegliarsi prima di sempre era d’uopo, andando a letto con il pensiero rivolto ai doni. - Considerazioni di freddo invernale: oggi siamo a meno sei gradi, come la mettiamo con il pianeta che volge al surriscaldamento da un decennio a questa parte? – E poi ci fu la neve alta, mio padre con i suoi fratelli con il badile spazzò la neve dal terrazzo; acquistammo le castagne e le buttammo nella brace, dopo essere passati per un basso buio che vendeva i carboni, e la mia mamma odiava quella cosa lì che di notte con le finestre chiuse mieteva vittime. - La mia impressione è ci siamo abituati ai cibi transgenici, automanipolandoci geneticamente previo il vitto, ci corazziamo contro il freddo. - È fuori discussione - non avvertiamo più la sensazione freddo come una volta, e questi stessi medesimi geni si manifestano nella natura tutta, diffondendosi nell’aria ed ecco i fiori sono al mio balcone da anni ormai, d’estate come d’inverno e tutto va bene, fino al limite di guardia - quale? – L’orso polare rimane sul suo iceberg.
La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, per far felici i bambini di tutto il mondo ed oggi, dimenticato il tempo della vecchia dalla calza rammendata, con Babbo Natale sempre più presente, la cara nonnina non soffre più il freddo.
FINE
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Riccardomustodario
11 Gen, 17:54
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Da: Riccardomustodario <
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Data: Thu, 11 Jan 2007 17:54:45 GMT
Locale: Gio 11 Gen 2007 17:54
Oggetto: Sensazioni d'inverno
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