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(racconto 2002) La confessione

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farfallina

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Oct 20, 2022, 9:47:41 AM10/20/22
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(racconto 2002) LA CONFESSIONE
Tempo fa mi hai chiesto perché scrivo racconti, ricordi? Nessuno lo aveva mai fatto prima di te, anche se la medesima domanda me l'ero posta anch'io a più riprese. Scrivo per sconfiggere la paura, ecco qual è la vera ragione per cui scrivo.
La paura è una compagna che mi porto appresso dall'adolescenza e di cui non sono mai riuscito a liberarmi del tutto.
Sulla tastiera del computer digito lettere dell'alfabeto per riempire il vuoto che mi circonda e sentirmi meno solo. Se rimango senza fare niente mi prende la malinconia, così ho imparato a dribblare le mie paure prodigandomi nello scrivere racconti. Mi comporto allo stesso modo di chi, per vincere le proprie inquietudini, occupa il tempo lavorando ininterrottamente dal mattino sino a sera, senza mai fermarsi, perché stare impegnati, mantenendo occupata la mente, aiuta a non pensare.
- Paura di che? - hai domandato. - Paura di vivere. - ho risposto.
Ero certo che non mi avresti capito, siamo troppo diversi tu e io, anche se le tue paure le taciti ubriacandoti e riempiendoti il cervello con sogni di fumo. Di diverso, fra noi, c'è che non vuoi ammettere le tue angosce, vero?
Entrambi abbiamo una dannata paura di vivere, lo so bene. Vivere vuole dire amare e né tu né io sappiamo farlo. Siamo egoisti e innamorati di noi stessi. Sostieni che i miei racconti sono malinconici, può darsi, probabilmente hai ragione, ma sei davvero convinta che le storie che scrivi non lo siano altrettanto?
Ciò che entrambi troviamo affascinante nello scrivere racconti sta nella potenzialità che abbiamo d'immedesimarci nei personaggi delle storie che scriviamo, nella capacità di saperle raccontare ed esserne protagonisti in prima persona nel momento in cui le scriviamo. Sono storie che ci eccitano perché ne diveniamo inconsapevoli mattatori. Ci piace immedesimarci nei personaggi, nelle loro storie e perversioni, e proviamo il medesimo piacere che avvertono loro, sei d'accordo?
Attraverso la scrittura abbiamo l'occasione di essere finalmente protagonisti e provare quelle sensazioni che descriviamo nei racconti, perché nella vita reale, quella di tutti i giorni, non siamo in grado di realizzare le storie di sesso e d'amore che narriamo.
Infatti, nel momento in cui scrivo un racconto mi è permesso di essere di volta in volta, appassionato amante, gay, lesbica, puttana, pederasta, single o maritato. Non credi che tutto ciò sia meraviglioso? Sono certo che la medesima cosa succede anche a te, vero? Penso di sì, non oso pensare che i tuoi racconti siano autobiografici come invece appaiono ai miei occhi quando li leggo.
Dici che scrivere racconti erotici ti è utile per auto analizzarti, che provi piacere nel comunicare agli altri le emozioni che provi quando fai l'amore. Io c'ho creduto, ma non immaginavo fossi così puttana come hai mostrato d'essere quando ti ho conosciuta di persona.
Sei stata tu a prendere l'iniziativa, ricordi? Fino allora c'eravamo fiutati soltanto attraverso la posta elettronica commentando privatamente i nostri racconti, poi hai insistito per volermi conoscere di persona. Perché lo hai fatto? Perché?
Quando alle due del pomeriggio sono partito da Parma, terminato il lavoro in clinica, avevo un solo pensiero per la testa: scoparti! Le lunghe ore di viaggio in autostrada hanno affaticato il mio fisico. Ho raggiunto Roma verso le otto di sera. Il navigatore satellitare, in dotazione al mio Bmw, mi ha guidato sino al luogo convenuto dell'incontro. Senza quell'infernale aggeggio elettronico non sarei mai arrivato puntuale all'appuntamento. E poi, per dirla tutta, per un provinciale come me è stata una impresa non da poco addentrarmi nelle strade trafficate di Roma.
Ho raggiunto il luogo dell'appuntamento con qualche minuto di anticipo rispetto all'ora concordata. Ho aspettato mezz'ora nell'abitacolo dell’automobile prima che ti degnassi di raggiungermi. Meno male che hai avuto l'accortezza di avvertirmi sul cellulare del tuo ritardo, altrimenti, indispettito com'ero, sarei scappato senza aspettarti.
Di te, prima di quella sera, conoscevo l'età e le poche cose che c'eravamo confidati nelle e-mail scambiate. Non t'immaginavo così carina, ma ero curioso di conoscerti perché affascinato dalla delicatezza dei tuoi scritti. Storie di gente comune con cui hai saputo trasmettermi forti emozioni. Questo ti aveva reso magica ai miei occhi e non è cosa da poco se permetti. Quando te l'ho raccontato in e-mail mi hai detto:
- Perché non vieni a trovarmi a Roma?
Non ho dato risposta al tuo messaggio, ho preferito lasciare trascorrere qualche settimana prima di farlo. Durante questo lasso di tempo sono andato a rileggere più di un tuo racconto. Adesso, dopo che ti ho conosciuto di persona, sono dell'idea che sei molto diversa dalla romantica ragazza protagonista dei tuoi racconti. Spero di non offenderti se dico che sei un po' troia. Ecco quello che realmente sei. Ti senti offesa? Spero di no.
Seduto davanti al volante del Bmw sono rimasto ad ascoltare la musica che usciva dai diffusori, collegati al lettore di CD, mentre ero in attesa del tuo arrivo, con la macchina parcheggiata dinanzi al ristorante dove c'eravamo dati appuntamento. Sei comparsa forando il buio della notte, illuminata dalla flebile luce di un lampione, come solo una dea può fare. Hai bussato al vetro della vettura e ti sei rivolta a me pronunciando il mio nome.
- Lorenzo?
- Sì. - ho risposto, articolando a mia volta il tuo nome, dopo essermi premurato di abbassare il finestrino della portiera.
Sono sceso dalla vettura e ci siamo scambiati una serie di convenevoli baci sulle guance, dopodiché mi hai preso sottobraccio e mi hai condotto al ristorante.
- Come hai fatto a intuire che c'ero io e non un altro nell'auto? - ti ho chiesto una volta che abbiamo preso posto a tavola.
- Dalla targa, cretinetto. Su una delle due strisce azzurre c'è la sigla PR.
Cazzo! Che figura da imbranato che ho fatto. Ricordi? Ma emozionato lo ero per davvero. Mica potevo immaginare che mi sarei trovato in compagnia di una donna bella e seducente come te quando ho lasciato Parma per raggiungere Roma.
- Mamma mia! Che erre arrotata che c'hai! - hai commentato. - Mi piace come parli. Fa tanto francese, ma i parmigiani hanno tutti questo accento?
Ho risposto di no, anche se la cadenza con cui noi parmigiani siamo soliti modulare le parole si caratterizza per una accentuazione della erre.
Il cameriere ci ha servito un primo piatto di spaghetti bucati conditi con ragù di carne, salsa di pomodoro e spezie. A te avevo lasciato il compito di fare le ordinazioni delle pietanze e la scelta dei vini da accompagnare alla cena.
Abituato a consumare un vino leggero e frizzante come il lambrusco, mi sono trovato a disagio nel sorseggiare un chianti rosato come quello che abbiamo bevuto.
Dopo pochi bicchieri ero già brillo, ricordi? Sono rimasto stupito, ma non troppo, quando l'estremità del tuo piede si è insinuata fra le mie cosce e hai cominciato a sfiorarmi la patta dei pantaloni con l'alluce. Stavo gustando una porzione d'agnello al forno e per poco un boccone di carne non mi è andato per traverso. Ho incrociato i tuoi occhi e siamo rimasti a lungo a fissarci mentre hai seguitato, ostinata, a strisciare le dita del piede sul tessuto delle brache.
Ero venuto a Roma anche per scopare, ma non era il motivo più importante, perlomeno per me. Mi ero sobbarcato un viaggio di qualche centinaia di chilometri animato dalla voglia di conoscerti, ma ti avevo immaginata meno puttana di quello che hai mostrato d'essere.
A mezzanotte abbiamo abbandonato il ristorante. Lo ricordo bene perché hai dato una occhiata all'orologio che tengo al polso mentre superavo la porta d'uscita del locale.
- Ho un piccolo bilocale a pochi passi da qui. Ti va di andarci? - hai detto quando siamo giunti in prossimità della mia auto.
Che domanda del cazzo. Certo che mi andava, ero venuto da Parma fino lì per conoscerti e l'invito lasciava presagire che la nostra conoscenza si sarebbe arricchita di altre emozioni, specie dopo il massaggio al cazzo che avevi eseguito con la punta del piede.
Nel temperamento di tutte le persone c'è presente una componente sadica e masochistica e la cosa mi sembra normale. Penso che una piccola dose di sofferenza serva ad aumentare il godimento. Ma esiste un tipo di sofferenza che non è propriamente fisica ed è quella di chi sa fare uso delle parole o di un semplice gesto per mettere in imbarazzo e umiliare l'altro. Tu in questo sei maestra, vero?
Varcata la soglia della mansarda mi sono ritrovato in un appartamento che somigliava a una palestra.
- E' una tua seconda casa, vero? Quella in cui sei solita ricevere gli amanti, è così?
- Accomodati nella stanza da letto, torno subito. - hai detto indicandomi la porta della stanza.
Sei sparita alla mia vista e hai fatto ritorno dopo pochi minuti. Quando sei riapparsa non indossavi l'abito di qualche istante prima. Un bustino in stile vittoriano, di pelle nera, ti avvolgeva il tronco fino al sottile perizoma che proteggeva il triangolo di peli dell'inguine. Un paio di guanti neri lunghi fino ai gomiti ti coprivano le mani e gli avambracci. Ai piedi calzavi stivaletti di cuoio neri, dalle lunghe punte, guarniti con frange e borchie lucenti che ti facevano sembrare una cavallerizza.
Mi hai fatto stendere sul letto e hai provveduto a spogliarmi. Le tue mani mi hanno liberato degli indumenti, lasciandomi completamente nudo. Ti ho lasciato fare, eccitato dai tuoi modi ridicoli, ma che di assurdo non avevano niente.
- Fidati di me. - hai detto mentre provvedevi a divaricarmi braccia e gambe stringendomi polsi e caviglie con dei legami che hai provveduto a fissare all'armatura in ferro del letto. Dopo avere allestito il campo su cui avremmo dovuto battagliare sei andata a sederti al bordo del letto, hai tolto i guanti e hai iniziato ad accarezzarmi i fianchi e l'interno delle cosce, poi hai preso a baciarmi sulla bocca.
Se fino a quel momento avevo giudicato i tuoi modi divertenti, seppure abbastanza ridicoli, col trascorrere dei minuti ho iniziato a provare una strana eccitazione. Fremiti di piacere hanno fatto sussultare il mio corpo esplorato dalle tue carezze. Tu ne eri compiaciuta, più di quanto ne godessi io. Hai aperto la bocca e con la punta della lingua hai iniziato a leccarmi ogni anfratto. I muscoli hanno cominciato a irrigidirsi come una corda tesa. In quei frangenti ho sperimentato un certo compiacimento per lo stato di prigioniero in cui mi sono venuto a trovare. Il cazzo mi pulsava a dismisura, ma a te pareva non importartene granché. Ne sei rimasta lontana occupandoti invece delle altre parti del mio corpo.
Hai cominciato a sfiorare con le dita la superficie ricca di peli del mio petto. Con la punta dei capezzoli, sporgenti dal bustino di pelle, hai sfiorato la mia bocca, ripetendo il gesto più volte. Avrei desiderato carpirli, stringerli fra le labbra, e succhiarli, tu invece mostravi un certo piacere nell'accrescere il desiderio che mi stava divorando.
Ti ho supplicato più volte di liberarmi. Avrei voluto seppellire il cazzo nella tua bocca, ma tu hai seguitato nella tua opera di circonvenzione senza dire una sola parola. In quel frangente mi sono reso conto che l'immobilizzazione non serviva a vincere la riluttanza di chi è legato e si sente prigioniero, ma è una utile risorsa che serve ad aumentare la tensione erotica e incrementare l'intensità dell'orgasmo.
Legato polsi e caviglie, in completa balia del tuo volere, mi sono sentito un prigioniero sessuale. Per te era appagante tenermi incatenato al letto delle torture, chissà quanti uomini hai tenuto sdraiati sopra quel giaciglio prima e dopo di me, vero?
A essere sincero il momento più difficile della serata si è rivelato quello iniziale, quando mi sono trovato legato al letto, poi c’è stato un crescendo di sensazioni, fino a raggiungere il massimo della sopportazione che ha fatto spazio a uno stato di ebbrezza da non ritorno.
Hai iniziato a praticarmi un tipo di masturbazione servendoti di una piuma, poi hai proseguito con un lavoro di mano abilissimo e lento. Le sensazioni derivate da quei toccamenti erano violentissime, quasi insopportabili. Ho desiderato che ponessi fine al più presto a quella specie di tortura, invece hai proseguito nella tua opera, imperturbabile, eccitata più di quanto lo ero io.
Il dolore col passare del tempo si è trasformato in piacere, terrore e odio verso di te. Dopo quella sera ho subito una metamorfosi e ora subisco una infatuazione masochista.
Ognuno di noi ha un sogno segreto nel cassetto, io avevo quello sbagliato. Ho reso pubblica la nostra storia perché sei stata tu a ordinarmelo, quello che in cambio ti chiedo è di farmi provare ancora un volta le medesime sensazioni di piacere che ho provato quella notte insieme a te.

http://www.iraccontidifarfallina.altervista.org/index.htm
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