Per "difficile" intendo non solo i pezzi
meccanicamente virtuosistici,
ma anche pezzi ostici
anche musicalmente,
pezzi "non-pianistici", ecc.
Il mio "decalogo"di proposte comprende:
1) Studi da Paganini Prima Versione - Liszt
2) Totentanz (entrambe le versioni) - Liszt
3) Studio n° 1 op. 10 di Chopin
4) Concerto di Dvorak
(difficilissimo e "anti-pianistico" - anche se non sembra)
5) Studi sopra gli studi di Godowsky
6) Toccata di Busoni
7) Opus di Sorabij (per il rapporto difficoltà/durata)
8) Secondo Concerto di Bartok
9) Secondo di Rachmaninoff (per Rachmaninoff)
9) Terzo di Rachmaninoff (per tutti gli altri pianisti)
10) Decima Sonata di Scriabin
HA HA HA HA HA HA... mi immagino le risate di Carlo... :-))))
- Per "difficile" intendo non solo i pezzi
- meccanicamente virtuosistici,
- ma anche pezzi ostici
- anche musicalmente,
- pezzi "non-pianistici", ecc.
cioé praticamente tutto!
1) Studi da Paganini Prima Versione - Liszt
concordo
2) Totentanz (entrambe le versioni) - Liszt
non concordo
3) Studio n° 1 op. 10 di Chopin
non concordo. Questo studio è una vera cazzata. L'ho provato per otto anni
senza venirne a capo. Poi è bastata una frase di Risaliti per eseguirlo
dall'oggi al domani.
Ti giuro, lo posso suonare in qualsiasi momento senza nemmeno riscaldarmi.
E' uno dei più grandi bluff del pianoforte. Pensa che per stupire i
pianisti lo faccio spesso nei negozi di musica quando provo nuovi
strumenti: una volta mi si è avvicinata una pianista giapponese dicendomi:
questo non sono mai riuscito ad eseguirlo! Ed io che stavo - dentro di me -
ridendo come un pazzo... se ci incontriamo ti insegno il trucco (non si
tratta di alterare la scrittura o barare, è solo un diverso atteggiamento
della mano). E' molto più difficile l'op. 10 n. 2 (per me!)
4) Concerto di Dvorak
(difficilissimo e "anti-pianistico" - anche se non sembra)
concordo
5) Studi sopra gli studi di Godowsky
CONCORDO
6) Toccata di Busoni
dipende. Se la suona Brendel è un pezzo da diploma. Se la suona Carlo è un
sesto grado del virtuosismo pianistico
7) Opus di Sorabij (per il rapporto difficoltà/durata)
tutto sorabji. :-)
8) Secondo Concerto di Bartok
concordo
- 9) Secondo di Rachmaninoff (per Rachmaninoff)
HA HA HA HA HA. Questa è veramente divertente. Sei un grande!
9) Terzo di Rachmaninoff (per tutti gli altri pianisti)
concordo. Anche se la difficoltà non è tanto di ordine meccanico, quanto di
resistenza (io per esempio riesco ad eseguire tutti i passi, a parte
qualche allucinante 'ossia' nel terzo tempo, ma tutto di fila come diceva
Horowitz ci vuole un elefante)
- 10) Decima Sonata di Scriabin
Non so. A me pare difficile perché mi spaventano i trilli ed i tremoli a
due mani.
Cmq il post sarebbe veramente interessante.
Faccio qualche modesta aggiunta.
Secondo concerto di Brahms
Sonata op 25 n. 2 "Vento Notturno" di Medtner (fra poco te la mando,
pazienza, eh!)
Concerto di Busoni (TREMENDOOOOOO)
Reminescienze del Don Giovanni di Liszt/Mozart
Brahms-Paganini
op. 106 di Beethoven, specie con i metronomi originali (ma lo saranno
veramente?)
Secondo concerto di Prokoviev
Fantasia su due temi delle Nozze di Figaro di Liszt/Busoni (ci sono dei
passi in terze bestiali)
un bel po' di roba che non mi viene in mente...
ciao,
Jashugan
Maremma ! Qualcuno ha fatto pure quelli ?
Non bastavano gli studi sopra gli studi di Chopin (di Godowski) ? :-)
Roberto
--
/_/ Roberto Maria Avanzi
_/ Institut für Experimentelle Mathematik / Universität Essen
/ Ellernstraße 29 / 45326 Essen / Germany
Vorrei capire cosa intendi qui.
(se ti riferisci al recital di New York, temo tu interpreti
male certe scelte interpretative).
ROTFL !!!
Aspetta che mi riprendo... speriamo che nessuno lo faccia sennò so cxxxi
!!!!
Jashugan
Ammazza appena nomino Carlo e la toccata di Busoni (guarda che l'adoro
anche io e l'ho studiata molto prima di conscere l'esecuzione di Grante,
per il conscorso Rendano)
ti scaldi subito :-))
Volevo solo dire che, se tecnicamente, la Toccata va fatta come la fa
Carlo, cioé con quegli stacchi di tempo, quell'assoluto rilievo polifonico,
quello staccato che non si capisce se è un uomo a suonare od i pistoni di
un motore, allora non è più un pezzo alla portata mia, di Brendel, di
Tanski, di Tozer, di Mariotti ecc.. (con tutto il rispetto per questi
eccellenti musicisti sia chiaro).
Ok?
Jashugan
il Festino d'Espopo di Alkan op. 39 n. 12
perdono, perdono, perdono
(sono in ginocchio sui ceci...)
caro Fabrizio, se non lo conosci, devo rimediare perché è una cosa
pazzesca.
(solo quando lo suona Hamelin però)
Sempre secondo il giudizio del mio 'innamorato' (Hamelin per l'appunto),
Stevenson ha scritto un brano intitolato Il festino di Alkan che è proprio
un omaggio a tale autore, che è la cosa più difficile che lui abbia mai
dovuto suonare.
Ovvio che dal momento che il brano è dedicato a lui, non è del tutto
imparziale.
Ma io non vedo l'ora che lo incida.
Jashugan
La frase poteva essere letta in molti modi diversi.
> Volevo solo dire che, se tecnicamente, la Toccata va fatta come la fa
> Carlo, cioé con quegli stacchi di tempo, quell'assoluto rilievo polifonico,
> quello staccato che non si capisce se è un uomo a suonare od i pistoni di
> un motore,
Detto cosi' sembra che pesti... invece lo sai gia' che non riesce a pestare
neppure se ci prova e dire che mi sembra che suoni un po' piu' forte della
media dei suoi colleghi comunque. Sulla precisione, nulla da dire.
> allora non è più un pezzo alla portata mia, di Brendel, di
> Tanski, di Tozer, di Mariotti ecc.. (con tutto il rispetto per questi
> eccellenti musicisti sia chiaro).
Non sta bene definirsi un eccellente musicista: lascia che (eventualmente)
siano gli altri a giudicare... :-P
>La domanda č per i pianisti (Carlo, Francesco) e per tutti...
>Per "difficile" intendo non solo i pezzi
>meccanicamente virtuosistici,
>ma anche pezzi ostici
>anche musicalmente,
>pezzi "non-pianistici", ecc.
>Il mio "decalogo"di proposte comprende:
(snip)
Per mia informazione: ma Ravel ti sembra facile?
Schillogeno
------------------
"Well, i'm the slime from your video
Oozin' along on your living room floor
I am the slime from your video
can't stop the slime, people, look it me go"
Frank Zappa, 1973
NB: Per scrivermi togliete accaacca finali al mio username.
Ci ho provato, Accch! Non ti sfugge nulla... ;-)
Cmq vedo che qualunque cosa dica la interpreti subito 'male'.
Non ho mai detto che Carlo pesti. Ma ha una forza nelle dita che ho sentito
solamente in Pollini. Chi pesta in genere lo fa proprio perché quella forza
nelle dita non l'ha.
ciao,
Jashugan
schill...@libero.it wrote:
> Per mia informazione: ma Ravel ti sembra facile?
Tempo fa un pianista (dilettante) mi disse che "Gaspard de la Nuit" e'
considerato universalmente il brano pianistico piu' difficile in
assoluto......
--
=================================
Marco Marcelli - Genova
marc...@libero.it [casa]
marco.m...@elsag.it [ufficio]
=================================
il :-P vuol dire: "una battuta", e non avevo interpretato il tuo commento
nel senso di "CG pesta". Il significato mi era chiaro, ma non tutti qui lo
hanno sentito (CD o dal vivo) e quindi la metafora dei pistoni poteva essere
malinterpretata. Il mio "lo sai gia'" rivolto a te serviva proprio a
evitare questi malintesi...
> Non ho mai detto che Carlo pesti. Ma ha una forza nelle dita che ho sentito
> solamente in Pollini. Chi pesta in genere lo fa proprio perché quella forza
> nelle dita non l'ha.
Mi dai l'occasione infatti per correggere un po' quello che ho scritto
sopra. Dicendo che Grante suona piu' forte della media non volevo
dire che lui fa f quando sta scritto mf e p al posto di pp !!! Volevo
dire esattamente quello che hai osservato anche tu, ovvero che lui
puo' suonare forte e senza pestare anche quando altri non ce la fanno.
ciao
shiro Kuma
Gli studi da Paganini Prima Versione
li ha mai incisi qualcuno per caso?
> 2) Totentanz (entrambe le versioni) - Liszt
> non concordo
Perché?
> 3) Studio n° 1 op. 10 di Chopin
> Ti giuro, lo posso suonare in qualsiasi momento senza nemmeno riscaldarmi.
> E' uno dei più grandi bluff del pianoforte.
Si, ma... suonato alla velocità giusta, come faceva Ciani
e senza un solo errore, come fa Pollini?
Secondo te resta ancora un pezzo facile?
> 4) Concerto di Dvorak
> (difficilissimo e "anti-pianistico" - anche se non sembra)
> concordo
Oltrettutto è anche bellissimo!
> 6) Toccata di Busoni
>
> dipende. Se la suona Brendel è un pezzo da diploma. Se la suona Carlo è un
> sesto grado del virtuosismo pianistico
Mio dio!
Meglio della sovrana ironia di Brendel
che la suona perfettamente quasi senza pensarci?
Non ti piacerà mica l'interpretazione di Madge,
che arranca come un disperato
dando la sensazione di un pastone indistinto?
Sono sempre più ansioso di ascoltare Carlo!
> tutto sorabji. :-)
Intuisco, anche se non conosco altro che l'Opus.
> 8) Secondo Concerto di Bartok
> concordo
Lo stesso Bartok, che pure sonava il Totentanz,
aveva delle difficoltà a interpretarlo.
> - 9) Secondo di Rachmaninoff (per Rachmaninoff)
> HA HA HA HA HA. Questa è veramente divertente. Sei un grande!
Vabbè, data l'ancor tenera età, sei perdonato...
Lo stesso Rachmaninoff confessava
di preferire di gran lunga suonarsi il Terzo
piuttosto del Secondo che lui riteneva difficilissimo!
Detto questo, l'interpretazione rimastaci
è praticamente perfetta.
> - 10) Decima Sonata di Scriabin
>
> Non so. A me pare difficile perché mi spaventano i trilli ed i tremoli a
> due mani.
Anche Askhenazy ha dei problemi a far percepire
tutti i piani sonori...
>
> Cmq il post sarebbe veramente interessante.
Grazie. Non avevo dubbi, peraltro.
> Faccio qualche modesta aggiunta.
> Secondo concerto di Brahms
Giusto, però a me piace pochissimo Brahms...
> Sonata op 25 n. 2 "Vento Notturno" di Medtner (fra poco te la mando,
> pazienza, eh!)
Grazie
> Concerto di Busoni (TREMENDOOOOOO)
Quello col coro maschile?
> Reminescienze del Don Giovanni di Liszt/Mozart
> Brahms-Paganini
Perché mi sembrano più ardue le Haendel?
Per quella fuga finale? Boh?
> op. 106 di Beethoven, specie con i metronomi originali (ma lo saranno
> veramente?)
La 106 l'avevo anche inserita, poi l'ho tolta.
Chissa perché? Boh?
> Secondo concerto di Prokoviev
Il Terzo è più facile?
> Fantasia su due temi delle Nozze di Figaro di Liszt/Busoni (ci sono dei
> passi in terze bestiali)
Purtroppo non la conosco, 'identi...
> un bel po' di roba che non mi viene in mente...
Reger? Sciarrino? Dallapiccola?
Ciao
Fabrizio
> > 5) Studi sopra gli studi di Godowsky
> Maremma ! Qualcuno ha fatto pure quelli ?
> Non bastavano gli studi sopra gli studi di Chopin (di Godowski) ? :-)
Ehm... naturalmente volevo dire
"Studi sopra gli studi di Chopin..."
Scuse al colto e all'inclita!
Fabrizio
P.S.:vedo che l'argomento proposto vi ha fatto litigare,
la mia intenzione diretta non era quella,
anche se forse era inevitabile
> Per mia informazione: ma Ravel ti sembra facile?
No, certamente, però penso che Ravel induca
nel pianista una tale sensazione di piacere anche fisico
da far scomparire la difficoltà stessa dell'esecuzione.
IMHO.
Fabrizio
> NB: Per scrivermi togliete accaacca finali al mio username.
Però se lo dici...
[...]
Quindi Ravel e' facile (Gaspard de la Nuit infatti si esegue come prova a
prima vista all'esame di quinto di pianoforte)
>8) Secondo Concerto di Bartok
>
>concordo
>
Vero. Pero' ho come l'impressione che tutti quei passaggi a doppie terze non
siano poi cosi' allucinanti.
>op. 106 di Beethoven, specie con i metronomi originali (ma lo saranno
>veramente?)
I metronomi di Beethoven sono autografi. Forse la domanda era: il metronomo
di Beethoven funzionava bene? Anche in questo caso la risposta e' si, visto
che tra l'altro esitono decine di esempi in cui il metronomo di Beethoven
andava ora "troppo veloce" ora "troppo lento" a parere dei soloni
dell'interpretazione. Il metronomo di LvB funzionava perfettamente e
Beethoven sapeva bene quello che faceva e scriveva. Sarebbe ora che tutti
noi mettessimo in soffitta per qualche tempo la tradizione romantica e
cominciassimo a riflettere (peralmeno a riflettere, non di piu') su cio' che
in fin dei conti Beethoven ha effetivamente scritto, inclusi i metronomi.
L'op 106 a 132 di metronomo fa paura, pero' non dimentichiamo, come dice
pure Rattalino, che il metronomo ai tempi di Beethoven non deve essere
considerato con lo stesso rigore di oggi, quanto serve a "creare l'amniente
sonoro" entro cui si svolge l'opera. Quindi anche l'op. 106 dovrebbe IMHO
essere letta sotto questa prospettiva ed essere presa con la dovuta
flessibilita'.
Ciao
Mario
GiR#165
Sei un estimatore degli studi di Ciani? io li trovo
magnifici.
> Perché mi sembrano più ardue le Haendel?
> Per quella fuga finale? Boh?
E' davvero solo una sensazione: basterebbero da soli i
glissando in ottava (che Michelangeli riusciva a
smorzare....!)
> > Fantasia su due temi delle Nozze di Figaro di
Liszt/Busoni (ci sono dei
> > passi in terze bestiali)
> Purtroppo non la conosco, 'identi...
C'è in circolazione un disco con un'esecuzione di Horowitz
poco più che ventenne: bisogna conoscerla per avere un'idea
di cosa riusciva a fare da giovane.
Dopo però lìsciati i capelli...... :-)))))))
Bye
Pit
Anche Scarbo?
ma poi la valse? l'ultimo pezzo del Tombeau de Couperin? e
i valses nobles?
(e anche l'Alborada non scherza...)
Bye
Pit
(i) rivedere per benino le note in caratteri piccoli della
assicurazione sugli infortuni alle dita
e
(ii) munirsi di guantini con le dita tagliate come si fa
per il Klavierstück X di Stockhausen ?
Roberto
non dovevo dive che ho la evve moscia... adesso chi
lo fevma il Fabvizio ?
> > > 5) Studi sopra gli studi di Godowsky
> > Maremma ! Qualcuno ha fatto pure quelli ?
> > Non bastavano gli studi sopra gli studi di Chopin (di Godowski) ? :-)
>
> Ehm... naturalmente volevo dire
> "Studi sopra gli studi di Chopin..."
>
> Scuse [...]
E perche' ? Ci siamo divertiti un po'.
> Fabrizio
> P.S.:vedo che l'argomento proposto vi ha fatto litigare,
Non esageriamo. IAMC ha visto di peggio. Questa questione
al piu' la chiamerei incomprensione.
>Domanda: e' vero che per suonare l'Alborada del Gracioso
>con la dovuta ferocia e' opportuno
>
>(i) rivedere per benino le note in caratteri piccoli della
> assicurazione sugli infortuni alle dita
>
>e
>
>(ii) munirsi di guantini con le dita tagliate come si fa
> per il Klavierstück X di Stockhausen ?
>
NO.
Periodicamente mi ritrovo a nominare questo brano perchè su
rec.music.classical se ne parlò come il più difficile brano per
pianoforte...è lo studio op.76 n°2 per la sola destra di Alkan ...
...pareri ? ..qualcuno ha questo disco della Marco Polo oltre a me ?
ciao
Wentu
Allora sono il piů grande pianista vivente!!! :-)))
Scherzi a parte, ogni pianista ha le sue bestie nere. Sia dilettante che
professionista.
Horowitz diceva che non sarebbe mai stato in grado di suonare i primi due
studi di Chopin. Eppure eseguiva cose che a me sembrano assai piů
impegnative.
Gaspar č certamente un brano difficile, ma č inserito nel programma di
diploma dei conservatori italiani, accanto a cose altrettanto difficili,
tipo Islamey, le Brahms-Paganini, la Sonata di Liszt, la 106 ecc.
cose che un pianista professionista abbastanza (ma non chissŕ quanto)
dotato č in grado di eseguire dignitosamente.
Il concetto di difficoltŕ č mutato veramente nel corso degli ultimi dieci
anni.
Anche gli studi di Godowksy, cominciano a fare meno paura. Anche perché se
prima l'obbiettivo era quello di arrivare a fare gli Studi di Liszt, ora
che Sorabji, Busoni e Godowsky circolano di piů, il piansita che arriva a
fare Liszt, secondo me si sente ancora a metŕ strada. Io suono delle cose
che, obbiettivamente, dieci anni fa non mi sognavo nemmeno (pensa che a
diciott'anni avevo deciso che mi sarei ritenuto soddisfatto quando sarei
arrivato a fare "Tormenta di Neve" di Liszt, ed ora non capisco come
potesse sembrarmi difficile).
Ora i miei sforzi sono rivolti a suonare Godowsky, Alkan, Medtner e Busoni.
Con scarsi risultati, devo dire. Perň si ritorna al 'vecchio' repertorio
con molta piů sicurezza (non ti dico come mi viene Bach, dopo un paio d'ore
di Bach-Godowsky, sembra di suonare senza la zavorra!!!)
ciao,
Jashugan
Intendiamoci: non è chi io lo consideri un pezzo facile. Ma non mi sembra
al livello di altri che hai menzionato. Poi dipende sempre da come uno lo
suona. Hai sentito Zimerman e Ciani in questo brano? Minchia.
- Si, ma... suonato alla velocità giusta, come faceva Ciani
- e senza un solo errore, come fa Pollini?
- Secondo te resta ancora un pezzo facile?
Si.
Con il 'mio' sistema (che mio non è, perché l'ho visto utilizzare anche da
Cziffra in una videocassetta live - anzi stava semplicemente _provando_ il
pianoforte) la velocità non è un problema. Si può arrivare anche a tempi
superiori a quelli di Pollini (con meno forza, è chiaro).
La precisione è un'altro paio di maniche. Quella secondo me dipende proprio
dalla assiduità nello studio (correggimi Carlo se sbaglio).
Ci sono dei brani che ho suonato tante di quelle volte che generalmente
sbaglio poco o niente anche senza preparazione. In altri brani sui quali
stò lavorando da poco, magari anche dedicandoci tantissime ore al giorno,
c'è sempre un po' di sporcizia casuale. Forse dipende anche dal fatto che
uno ha fretta di fare un pezzo alla sua velocità, mentre invece dovrebbe
lasciargli il tempo di maturare.
Se hai letto le conversazioni con Arrau di Joseph Horowitz, saprai che il
grande pianista cileno, quando non riusciva ad eseguire qualcosa come
voleva (ma cosa poi?) lo lasciava in disparte, anche per anni. Quando vi
tornava scopriva che il più delle volte le vecchie difficoltà non si
ripresentavano più.
Ma quello che voglio dirti è che quello studio per me è risolto e non mi fa
nessuna paura. Managgia, dobbiamo vederci, se ti faccio vedere il 'trucco'
(ti dico solo che non c'è quasi nemmeno bisogno di articolare le dita)
morirai dalle risate. Garantito.
- Giusto, però a me piace pochissimo Brahms...
DOOOOOOH! :-)
- Toccata di Busoni
- Non ti piacerà mica l'interpretazione di Madge,
- che arranca come un disperato
- dando la sensazione di un pastone indistinto?
Povero Madge... concordo, però è anche vero che Madge con tutte le pagine
che ha studiato ed inciso, non può arrivare al livello di coloro che
concentrano l'attenzione solo su pochi brani (Grante è un caso più unico
che raro, DEVI SENTIRLO)
- Lo stesso Rachmaninoff confessava
- di preferire di gran lunga suonarsi il Terzo
- piuttosto del Secondo che lui riteneva difficilissimo!
- Detto questo, l'interpretazione rimastaci
- è praticamente perfetta.
lo so, lo so. Diceva anche che erano più difficili le prime due pagine del
Rach 3 (che schifo, da quando ho visto Shine me lo sento sempre chiamare
così, bleah!),
quella con la melodia in ottava. Bisogna stare attenti, però perché c'è
talvolta un fondo di snobismo nelle dichiarazioni dei grandi artisti.
- Secondo concerto di Prokoviev
- Il Terzo è più facile?
Ma, nel complesso sono difficili tutti e due. Ma il secondo ha una cadenza
nel primo tempo che è veramente paurosa (a quando una registrazione
Carlo?).
Alla fine stiamo cmq parlando di difficoltà tecniche o meccaniche.
Sarebbe bello fare una lista di brani difficili per problemi di tocco (tipo
Mazurche di Chopin), o di scomodità di scrittura (Quadri di Mussorgsky)
ecc.
il problema è che poi saltano fuori le confessioni più strane!
Io per esempio non riesco proprio a fare il primo tempo della Sonatina di
Ravel.
Non capisco come devo mettere le due mani una sopra all'altra. Il brano non
è difficile, ma mi risulta scomodissimo.
ciao,
Jashugan
Ho molti difetti (sono presuntuoso, megalomane, egocentrico, ecc.) ma non
sono proprio permaloso. Nella mia casa ci prendiamo per il culo dalla
mattina alla sera, per cui le tue battute (come quella sui musicista
eccellente) mi fanno divertire da matti.
Spero valga anche il contrario... :-)
(ti sto' preparando un post privato.... vedrai!)
le questioni serie, le prendo però seriamente. Anzi hai fatto bene a
puntualizzare su Carlo, ed io ti ho risposto, anche per far capire che la
pensavo nello stesso modo.
ciao,
Jashugan
per Pit: credo fosse una battuta ;-)
Io tutta questa difficoltà proprio non ce la vedo (lo suono, magari non
come Michelangeli...). Però come ho già detto, alle volte dipende da
predisposizioni personali per un certo tipo di pianismo. A me riescono
molto facilmente le ottave, invece ho enormi problemi con i trilli, non
tanto quelli brevi e fitti (alla scarlatti) ma quelli lunghi e liberi.
Pensa che sono riuscito a comporre programmi di concerto nei quali non
compare nemmeno un trillo! (suonando anche Chopin, Liszt e Beethoven)
- Beethoven e 106
Davvero dei commenti molto interessanti i tuoi. Ma sei proprio sicuro della
originalità dei metronomi? Potresti dirci quali fonti hai?
Certo sarebbe bello se un pianista si decidesse a provarli 'sti benedetti
metronomi per capire cosa succede. Schnabel l'ha fatto, ma con troppi
pasticcetti.
ciao,
Jashugan
sono mostruosi tutti e tre :-)
- ...pareri ? ..qualcuno ha questo disco della Marco Polo oltre a me ?
BUUUUUH :-)
_Devi_ prendere l'esecuzione di Hamelin dal vivo (vabbeh, così almeno
dicono...) alla Wigmore Hall (CD della Hyperion)
Li fa tutti e tre. Io ho studiato il primo ed il terzo (ci ho provato,
almeno).
Raccapriccianti (in senso buono!)
ciao,
Jashugan
Infatti lo era :-). Ma volevo dire un'altra cosa: Gaspard de la Nuit e'
pezzo straordinariamente intenso, bellissimo, emozionante. La difficolta' e'
tecnica e musicale assieme, e raramente ho ascoltato musica per piano che
unisse queste due caratteristiche ai massimi livelli come succede in Gaspard
de la Nuit. Le liste che ho letto in questo thread sono costituite all'80%
da musica orrenda ... cioe' difficile e basta. A Natale ho ascoltato
l'incredibile CD di Arcadi Volodos sulle trascrizioni+parafrasi da concerto.
Grand CD, gran pianista, grandissimo musicista, probabilmente davvero un
nuovo Horowitz, ma se ripenso al programma del disco posso salvare la
trascrizione dall Patetica di Piotr Ilic (originale per oechestra), la
Rapsodia Ungherese di Listz e la Sonata di Bach (per organo). Il resto,
seppure vertiginosamente suonato, non ha lasciato traccia.
> - Beethoven e 106
>
> Davvero dei commenti molto interessanti i tuoi. Ma sei proprio sicuro
della
> originalità dei metronomi? Potresti dirci quali fonti hai?
Gli autografi stessi, che ho visto in copia anastatica qualche tempo fa. Ci
sono correzioni, e' vero, ma Beethoven, che nelle sue lettere parla
continuamente delle sue indicazioni metronomiche, lamentandosi del fatto che
nessuno gia' all'epoca li seguiva, dava un'enorme importanza all'indicazione
del tempo nelle sue composizioni.
> Certo sarebbe bello se un pianista si decidesse a provarli 'sti benedetti
> metronomi per capire cosa succede. Schnabel l'ha fatto, ma con troppi
> pasticcetti.
>
Schnabel ha affrontato i metronomi di Beethoven con troppa rigidita'. Non
credo assolutamente che i metronomi originali fossero da seguire "a rotta di
collo", a costo di sacrificare la resa musicale. Se Beethoven scrive 132
significa che il pezzo deve mantenere quel "tactus" centrale, ma non
necessariamente dall'inizio alla fine senza sosta. Prendiamo l'op. 106. Il
tempo 132 e' troppo veloce se applicato alle prime battute. Ma piu' in
avanti nel pezzo il tempo 132 diventa persino naturale da suonare. Cio' che
importa e' che "l'ambito climatico" sia quello di 132, non che ogni battuta
vada fatta a quel tempo. E poi, diciamola tutta, "l'andare a metronomo" in
modo pedissequo e' roba da studenti di conservatorio, non da musicisti. E
credo che Beethoven lo fosse ed avesse ben chiaro quale fosse la reale
funzione del suo metronomo.
Ciao
Mario
GiR#165
> ciao,
> Jashugan
E' facile immaginare melodicamente l'attacco della 106 a 132 di metronomo,
ma in esecuzione la percezione delle proporzioni cambia, anche per via
dello spessore sonoro.
Spesso la filologia è anti-filologica!
Carlo
Francesco Lo Cascio wrote:
> - Tempo fa un pianista (dilettante) mi disse che "Gaspard de la Nuit" e'
> - considerato universalmente il brano pianistico piu' difficile in
> - assoluto......
>
> Allora sono il più grande pianista vivente!!! :-)))
>
Complimenti!
E lo dico serissimamente.
scusa, lo chiedo senza intenzioni polemiche... ma quale sarebbe la musica
'orrenda'?
Mi pare si sia citato gli studi di Chopin, gli studi da Paganini di Liszt,
le Brahms-Paganini, il secondo di Bartok, il secondo Prokoviev, la Toccata
di Busoni, l'Opus di Sorabji (ma lo conosci?), gli studi di Godowsky, sopra
gli studi di Chopin (ma da chi li hai sentiti fare? non credo da Carlo
Grante), il secondo di Brahms...
non ci vedo nulla di orrendo. Anzi si tratta di alcuni dei massimi
capolavori pianistici di sempre.
- A Natale ho ascoltato
- l'incredibile CD di Arcadi Volodos sulle trascrizioni+parafrasi da
concerto.
- Grand CD, gran pianista, grandissimo musicista, probabilmente davvero un
- nuovo Horowitz, ma se ripenso al programma del disco posso salvare la
- trascrizione dall Patetica di Piotr Ilic (originale per oechestra), la
- Rapsodia Ungherese di Listz e la Sonata di Bach (per organo). Il resto,
- seppure vertiginosamente suonato, non ha lasciato traccia.
non sono d'accordo. Ma per ragioni contrarie a quelle che credi. A me
Volodos non mi fa nessun effetto. Certo ha grande facilità, sa come rendere
eccitante la musica che suona (ma la sua trascrizione della Marcia Turca di
Mozart è orripilante...)
e così via. Ma si tratta di un modo di suonare demodé che nulla aggiunge
alla storia del piano. Una vera montatura. Il pianismo si è spostato in
altri nomi, come Marc-André Hamelin, come Stephen Hough (scelte di
repertorio a parte) e come lo stesso Carlo Grante che ci onora dei suoi
post. Il paragone con Horowitz è poi proprio fuori luogo. Sai quante volte
ho sentito parlare del nuovo Gilels, del nuovo Horowitz (fortuna che
nessuno ha mai parlato del nuovo Richter...)!
- Gli autografi stessi, che ho visto in copia anastatica qualche tempo fa.
Ci
- sono correzioni, e' vero, ma Beethoven, che nelle sue lettere parla
- continuamente delle sue indicazioni metronomiche, lamentandosi del fatto
che
- nessuno gia' all'epoca li seguiva, dava un'enorme importanza
all'indicazione
- del tempo nelle sue composizioni.
Mi dai una grande tranquillità così. Ora so che non potrò mai suonare la
106! :-)))
Molto interessante il tuo discorso sull'andare a tempo. Tuttavia nella
pratica dei grandi nomi, non si trova nessuno che vada a tempo in modo
rigido, forse l'eccezione è Gould che lo faceva in modo quasi provocatorio.
Non sei d'accordo?
Jashugan
>- Le liste che ho letto in questo thread sono costituite all'80%
>- da musica orrenda ... cioe' difficile e basta.
>
>scusa, lo chiedo senza intenzioni polemiche... ma quale sarebbe la musica
>'orrenda'?
>Mi pare si sia citato gli studi di Chopin, gli studi da Paganini di Liszt,
>le Brahms-Paganini, il secondo di Bartok, il secondo Prokoviev, la Toccata
>di Busoni, l'Opus di Sorabji (ma lo conosci?), gli studi di Godowsky, sopra
>gli studi di Chopin (ma da chi li hai sentiti fare? non credo da Carlo
>Grante), il secondo di Brahms...
>non ci vedo nulla di orrendo. Anzi si tratta di alcuni dei massimi
>capolavori pianistici di sempre.
>
Si, "orrenda" era un termine un po' forte, ma volevo rendere il contrasto. E
provocare la tua domanda :-) Ti rispondo diplomaticamente: dei brani sopra
citati (che conosco tutti tranne Sorabji) vado pazzo per il secondo di
Bartok ed il secondo di Brahms. E basta. ;-)
[...]
>A me Volodos non mi fa nessun effetto. Certo ha grande facilità, sa come
rendere
>eccitante la musica che suona (ma la sua trascrizione della Marcia Turca di
>Mozart è orripilante...)
Lui la chiama parafrasi da concerto, non trascrizione. E non e' solo "mani
che vanno", musicalmente il pezzo funziona, si vendica adeguatamente della
bruttura mozartiana, ed e' pure piuttosto divertente! Tieni presente che
Volodos ha solo 28 anni, e per la sua eta' ha gia' una lucidita' narrativa
impressionante.
>e così via. Ma si tratta di un modo di suonare demodé che nulla aggiunge
>alla storia del piano. Una vera montatura. Il pianismo si è spostato in
>altri nomi, come Marc-André Hamelin,
e chi e' Hamelin?
>come Stephen Hough (scelte di
>repertorio a parte) e come lo stesso Carlo Grante che ci onora dei suoi
>post. Il paragone con Horowitz è poi proprio fuori luogo.
Perche'?
>Sai quante volte
>ho sentito parlare del nuovo Gilels, del nuovo Horowitz (fortuna che
>nessuno ha mai parlato del nuovo Richter...)!
>
Io tendo a non basarmi sui "sentiti parlare", preferisco ascoltare in modo
autonomo e formarmi un giudizio altrettanto autonomo su cio' che ascolto.
L'ultima volta che ho fatto un salto sulla sedia sentendo un pianista
"nuovo" e' stato nel 1985 con Pogorelich che, guarda caso, suonava a Genova
Gaspard de la Nuit. Volodos e' un grande pianista, oppure lo diventera',
perche' secondo me ha tutti i numeri, artistici, musicali e tecnici per
diventare un grande pianista. Anzi, gia' che ci sono invito tutto il NG a
procurarsi (non a mie spese ovviamente) il CD Sony delle trascrizioni da
concerto di Volodos. Avrete una (piacevole) sorpresa.
[...]
>Molto interessante il tuo discorso sull'andare a tempo. Tuttavia nella
>pratica dei grandi nomi, non si trova nessuno che vada a tempo in modo
>rigido, forse l'eccezione è Gould che lo faceva in modo quasi provocatorio.
>Non sei d'accordo?
Per dirla un po' provocatoriamente, non me ne frega niente di cosa fanno i
grandi nomi, soprattutto quando vengono posti come modelli interpretativi.
La storia dell'interpretazione non mi ha mai convinto dalle sue fondamenta.
E tra l'altro a me Gould non piace.
Ciao
Mario
GiR#165
>
>Jashugan
>
Carlo
> - 2) Totentanz (entrambe le versioni) - Liszt
> - non concordo
> - Perché?
> Intendiamoci: non è chi io lo consideri un pezzo facile. Ma non mi sembra
> al livello di altri che hai menzionato. Poi dipende sempre da come uno lo
> suona. Hai sentito Zimerman e Ciani in questo brano? Minchia.
M***ia è proprio l'espressione più adatta.
fanno entrambi paura!
> - Secondo te resta ancora un pezzo facile?
> Si.
> Ma quello che voglio dirti è che quello studio per me è risolto e non mi
fa
> nessuna paura. Managgia, dobbiamo vederci, se ti faccio vedere il 'trucco'
> (ti dico solo che non c'è quasi nemmeno bisogno di articolare le dita)
> morirai dalle risate. Garantito.
?!
> - Giusto, però a me piace pochissimo Brahms...
> DOOOOOOH! :-)
Chiedo venia, ci provo in tutti i modi,
mi piacciono anche le Haendel,
però, forse, con l'aumentare dell'età,
anch'io prima o poi...
> (Grante è un caso più unico
> che raro, DEVI SENTIRLO)
Già sentito, anche se non dal vivo
(non ancora...)
> [taglio] Alla fine stiamo cmq parlando di difficoltà tecniche o
meccaniche.
> Sarebbe bello fare una lista di brani difficili per problemi di tocco
(tipo
> Mazurche di Chopin), o di scomodità di scrittura (Quadri di Mussorgsky)
> ecc.
Verissimo. Ho iniziato a studiarmi i Quadri,
sembrano facili all'occhio, quanto alle mani...
Ciao, Fabrizio
> _Devi_ prendere l'esecuzione di Hamelin dal vivo (vabbeh, così almeno
> dicono...) alla Wigmore Hall (CD della Hyperion)
> Li fa tutti e tre. Io ho studiato il primo ed il terzo (ci ho provato,
> almeno).
> Raccapriccianti (in senso buono!)
Alkan è stato uno dei musicisti più geniali in assoluto.
Ho solo i suoi Preludi suonati da Mustonen,
e già mi sono fatto questa convinzione.
Che sia stato anche un mago del virtuosismo, però,
mi giunge nuova: è un pò come Dvorak,
difficile senza sembraro?
Grazie anticipate!
Ciao, Fabrizio
> No, certamente, però penso che Ravel induca
> nel pianista una tale sensazione di piacere anche fisico
> da far scomparire la difficoltà stessa dell'esecuzione.
Questa è una delle cose più belle che abbia mai letto. Mi hai fatto venire
i lucciconi,
davvero!
Infatti quando suono la Sonatina o l'Adagio del concerto in sol o la
cadenza del concerto per mano sinistra sola, mi sento proprio felice.
Vorrei che andassero avanti all'infinito.
Jashugan
[...]
>Francamente (qui la sparo grossa) la storia dell'interpretazione
>strumentale se la sono inventata i musicisti falliti che ripiegano
>riempiendo le pagine di aria fritta.
Questa e' da signature! Sei un grande! Anzi, un Grante ...
[...]
Post da incorniciare. Domani vado in negozio e compro un tuo CD. Grazie di
esistere.
Ciao
Mario
GiR#165
> Francamente (qui la sparo grossa) la storia dell'interpretazione
> strumentale se la sono inventata i musicisti falliti che ripiegano
> riempiendo le pagine di aria fritta.
Un nome a caso? ;-))
--
"Nur der blickt heiter, der nach vorwärts schaut"
(Ferruccio Busoni, Doktor Faust)
Giuseppe Mariotti
1010 Wien - Austria
Oh, son proprio de coccio, non l'avevo mica capito.....
:-))))))
Ma ne approfitto per accodarmi al thread con la mia
proposta: sono giorni che leggo e stasera finalmente mi si è
accesa una lampadina: nessuno ha ancora citato lo studio per
la mano sinistra di Felix Blumenfeld, il maestro di
Horowitz.
Si tratta di un pezzettino di pochi minuti, dal delizioso
sapore biedermeier, che Horowitz, che pure ha sempre amato i
pezzettini ipervirtuosistici, si è ben guardato dal mettere
in
repertorio.
Di questo pezzo esiste una mitica esecuzione del pianista
Simon Barer, passato alla storia più che altro per essere
morto, poveretto, di ictus, mentre eseguiva il concerto di
Grieg alla Carnegie Hall, nel 1951.
Il corpus delle sue incisioni, bellissime, tra cui appunto
lo studio di
Blumenfeld, dovrebbe essere stato ripubblicato di recente
anche in cd; mi pare che anche qualcun'altro abbia
recentemente registrato il pezzo ma potrei sbagliarmi. Io ho
il disco di Barer in vinile,
con tutta la difficoltà di trasferirlo in MP3 che questo
comporta, ma se mi riesce, lo posterò al più presto.
(Sì, per la gloria mia e del NG sono pronto a rischiare la
galera.....:-))))
Ritengo, al di fuori delle polemiche che, sul piano della
meccanica, questo studio sia veramente difficilissimo. Ma
bisogna intendersi su un punto: la difficoltà meccanica, a
mio avviso, non è un parametro assoluto: va rapportata alla
sonorità.
In altre parole lo studio di Blumenfeld diventa
difficilissimo se a quella velocità si vuole ottenenere
quella qualità di suono, quella spaziatura della melodia e
dell'accompagnamento, quella crescita della dinamica verso
il punto culminante che il pezzo richiede per
restituire la sua profondità e la sua poesia.
Anche l'ammirazione per le esecuzioni di ABM o di
Horowitz scaturisce, per me, non tanto e non solo dal modo
meraviglioso in cui le difficoltà meccaniche vengono
risolte,
ma soprattutto dalla qualità del suono che i due riescono a
ottenere.
Questo rapporto tra difficoltà meccanica e sonorità mi
sembra il punto intorno al quale ruota tutta la questione
della difficoltà dei pezzi
Che ne pensate?
Bye
Pit
Io ho un'esecuzione di Ronald Smith (cd Arabesque).
Mi risulta che effettivamente Alkan sia molto, molto
difficile, ma dal solo
ascolto del brano, peraltro di una lunghezza sgomentevole,
non riesco a farmi un'idea molto puntuale.
Bye
Pit
> la storia dell'interpretazione strumentale se la sono inventata i
musicisti falliti
> che ripiegano riempiendo le pagine di aria fritta. Non c'è un continuum,
un
> divenire, nel percorso tracciato dagli interpreti
scuola-talento-tipologia-personalità-
> ascolti-intelligenza-emozioni "tracciano" unicamente con i loro effetti
mi sembra che tu non colga nel segno. La storia dell'interpretazione non
esiste forse in sé, allo stessomodo in cui non esistono la storia della
musica o la storia in genere (per cui valgono ESATTAMENTE le stesse
osservazioni che tu aggiungi). La storia comincia, sempre, dove qualcuno la
sa raccontare, dove qualcuno (chiunque sia) sappia mettere in relazione
(anche su principi che possono essere discussi, e confutati) eventi o
fenomeni che di per sé non dichiarano manifestamente la loro natura.
> Nessuno può emulare nessuno.
Neanche nella composizione. Né nella politica...
> Possiamo riconoscere le costellazioni e nominarle, ma certo le stelle non
> si sono messe lì per fare la forma di una Carro, di un'Orsa, etc. solo per
> creare forme da noi riconoscibili...
Appunto, questa frase è piuttosto chiara, e l'apprezzo per questo.
Però l'astronomia si serve a buon diritto delle costellazioni, non solo, ma
si prende la libertà di sfruttare anche altre caratteristiche delle stelle
(magnitudo, età, luminosità... che di per sé sono solo dei dati puntuali)
per ordinarle eclassificarle. Lavoro che, beninteso, non è a vantaggio delle
stelle, né vuole esserlo, ma non per questo è meno legittimo, ed addirittura
di grande utilità!
> L'esempio che un artista dà a un altro è ben altra cosa. Allora l'altro ne
> importa elementi riconoscibili, ma non così riconoscibili da farne una
> storia, come si può fare in discipline come la filosofia, la letteratura,
> le arti figurative.
E perchè? anche lì, il gioco e la natura degli stimoli è spesso
imponderabile. Il problema è forse soltanto che l'opinione comune (cui mi
permetto di aderire, anche avendo consapevolmente abbandonato la
composizione, ed essermi votato all'interpretazione!) è che l'incidenza
storica della creazione è più rilevante di quella dell'interpretazione. Più
interessante diciamo, e più urgentemente necessita di un lavoro critico.
Il fatto che in realtà anche l'interpretazione comporti una misura di
"creazione" può essere la prima considerazione utile a suggerire l'affinità
fra questi punti di vista.
Il fatto che la "storia dell'interpretazione" nasca oggi è certo il segno di
una debolezza, cioè della tendenza della società odierna a conservare tutto.
In altre epoche, più creative della nostra (socialmente beninteso! nondovrò
certo ripetere i miei argomenti a favore dell'arte contemporanea...!) non si
conosceva neanche la "storia della musica", perché la musica si faceva
direttamente nel presente. Oggi conserviamo non solo la musica del passato
(cui io stesso, beninteso, nonpotrei rinunciare assolutamente!), ma
cominciamo anche a tener traccia delle sue interpretazioni; una riflessione
storica in proposito è a questo punto non solo legittima, ma doverosa.
Il fatto di averla proposta in modo coraggioso e sistematico è, a mio
giudizio, un merito fondamentale di Rattalino. Che poi le sue considerazioni
possano essere messe in discussione, o che si possano osservare i medesimi
fenomeni sotto altri punti di vista, mi sembra naturale. Il problema in
Italia non è certo la voce di Rattalino, ma il fatto che ce ne sia solo una;
magari avessimo anche solo un paio di altri critici (non emuli) della sua
tempra: avremmo superato il problema, e potremmo cominciare a valutare gli
argomenti...
> Alcuni grandi interpreti viventi che ho conosciuto ridevano delle analisi
> che certi "studiosi" osavano fare del loro modo di suonare.
Questa è sempre un'esperienza interessante. Ma non vuol dire davvero nulla.
Vale naturalmente anche per le opere d'arte; il punto è che l'artista,
compiuta l'opera, non solo non ne ha più la "proprietà" (salvo i sacrosanti
diritti economici), ma spesso non ne offre più neanche la "spiegazione" più
interessante.
Fatte le debite proporzioni (siamo almeno un gradino al di sotto, in termini
di creatività, d'accordo) lo stesso si può applicare all'interpretazione...
ammesso che qualcuno non abbia l'illusione che l'interpretazione possa
annullarsi nella pura "enunciazione del testo". Quest'ultima è piuttosto un
atteggiamento che una realtà, atteggiamento che è all'origine di certe
tendenze interpretative (neanche le uniche legittime, sebbene anch'io
simpatizzi con esse...).
Scusate la lunghezza del post. Poiché la questione m'interessa molto, mi son
permesso di proporre un diverso punto di vista, sperando di suscitare
commenti ed anche reazioni.
Ciao
Tito
Fabrizio Miletto <tissa...@tiscalinet.it> scritto nell'articolo
> Alkan è stato uno dei musicisti più geniali in assoluto.
> Ho solo i suoi Preludi suonati da Mustonen,
> e già mi sono fatto questa convinzione.
> Che sia stato anche un mago del virtuosismo, però,
> mi giunge nuova: è un pò come Dvorak,
> difficile senza sembraro?
> Grazie anticipate!
>
> Ciao, Fabrizio
>
No, no. Se conosci solo i Preludi (fra l'altro splendidamente suonati, hai
sentito lo 'studio sulla velocità' n. 24? da Mustonen) non hai idea di cosa
sia la musica di Alkan, quanto a difficoltà. Se hai pazienza si rimedia a
tutto.
Jashugan
Pit <plo...@libero.it> scritto nell'articolo
>
> Ma ne approfitto per accodarmi al thread con la mia
> proposta: sono giorni che leggo e stasera finalmente mi si è
> accesa una lampadina: nessuno ha ancora citato lo studio per
> la mano sinistra di Felix Blumenfeld, il maestro di
> Horowitz.
>
> Si tratta di un pezzettino di pochi minuti, dal delizioso
> sapore biedermeier, che Horowitz, che pure ha sempre amato i
> pezzettini ipervirtuosistici, si è ben guardato dal mettere
> in
> repertorio.
>
> Ritengo, al di fuori delle polemiche che, sul piano della
> meccanica, questo studio sia veramente difficilissimo. Ma
> bisogna intendersi su un punto: la difficoltà meccanica, a
> mio avviso, non è un parametro assoluto: va rapportata alla
> sonorità.
>
Sono assolutamente d'accordo. Infatti io non l'ho citato perché non si
tratta di uno studio particolarmente difficile (io lo suono!). Non come la
cadenza nel terzo tempo del concerto di Ravel, almeno.
Però fatto come lo fa Barer, con quel canto sempre in primo piano, con
quella enfasi, è quasi impossibile. INfatti le altre due registrazioni che
ho (una per la Marco Polo di un poco noto pianista, l'altra di Leon
Fleisher che pure è stato un grande virtuoso) non reggono proprio il
confronto.
ciao,
Jashugan
>Intervenendo solo ora in questo thread, non ho ancora avuto modo di
>segnalare il mio altro apprezzamento per le opinioni che hai espresso, anche
>per quelle che in realtà non condivido fino in fondo, ma che tradiscono
>sempre un'intelligenza ed una competenza graditissime.
Grazie!
>A questo punto però devo osservare che:
>- la polemica che introduci in questo post è troppo scoperta per avere il
>diritto di nascondersi dietro un tono generico. Se te la stai prendendo con
>Rattalino (e "nipoti") forse dovresti dirlo apertamente, se non è così
>allora stai attento perché dai quest'impressione.
>- l'"intuizione" che tu stia parlando di Rattalino (se questo è vero) non mi
>viene dal fatto che le tue considerazioni colgano necessariamente nel segno
>(che ne abbia riconosciuto il "ritratto"!), ma dal fatto che si tratta per
>lo più di luoghi comuni ripetuti dai suoi detrattori.
Ecco, questo lo considero un insulto. Non ti permetto di considerarmi così
derelitto da dover diventare un "detrattore" di Rattalino.
Lo so che non era tua intenzione, però.
Credo di rispettarlo più io, che leggo ciò che scrive, confutando o
apprezzandone i contenuti, come faccio di tutto ciò che mi capita di
leggere, piuttosto che "ingraziarmi" la sua simpatia, come fanno falsamente
molti altri.
Secondo me non si può insegnare una storia dell'interpretazione pianistica,
perché come ho detto, tale storia è una contigenza. Invece la storia della
letteratura pianistica è una storia, un percorso, e questa la si può
descrivere ed insegnare.
Direi che ci sono dei percorsi in tal senso molto più nelle letture dei
direttori d'orchestra, che hanno un ruolo super partes nei confronti della
strumentalità, ma un esecutore è diverso, è troppo vincolato a se stesso.
>
>mi sembra che tu non colga nel segno. La storia dell'interpretazione non
>esiste forse in sé, allo stessomodo in cui non esistono la storia della
>musica o la storia in genere (per cui valgono ESATTAMENTE le stesse
>osservazioni che tu aggiungi).
Sono in completo disaccordo. La storia dell'arte figurativa, ad esempio è
un concatenamento di acquisizioni tecnico-percettive e i periodi che più
attestano in tal senso l'evoluzione del rapporto dell'artista con la natura
circostante e la propria psiche sono, rispettivamente, il Rinascimento e le
fasi del Futurismo, Espressionismo, Fauvismo, etc. Questo accade in stretta
relazione con la storia.
La storia comincia, sempre, dove qualcuno la
>sa raccontare, dove qualcuno (chiunque sia) sappia mettere in relazione
>(anche su principi che possono essere discussi, e confutati) eventi o
>fenomeni che di per sé non dichiarano manifestamente la loro natura.
>
>> Nessuno può emulare nessuno.
>
>Neanche nella composizione. Né nella politica...
Non sono d'accordo. Nella composizione, si studia la...composizione! Cioè i
lavori altrui. E la teoria, che segue la pratica (tranne che nella
Dodecafonia, dove la teoria impone la pratica).
Il compositore deve conoscere i linguaggi e gli assunti che ne derivano.
>> Possiamo riconoscere le costellazioni e nominarle, ma certo le stelle non
>> si sono messe lì per fare la forma di una Carro, di un'Orsa, etc. solo per
>> creare forme da noi riconoscibili...
>
>Appunto, questa frase è piuttosto chiara, e l'apprezzo per questo.
>Però l'astronomia si serve a buon diritto delle costellazioni, non solo, ma
>si prende la libertà di sfruttare anche altre caratteristiche delle stelle
>(magnitudo, età, luminosità... che di per sé sono solo dei dati puntuali)
>per ordinarle eclassificarle. Lavoro che, beninteso, non è a vantaggio delle
>stelle, né vuole esserlo, ma non per questo è meno legittimo, ed addirittura
>di grande utilità!
Ripeto: le costellazioni sono il nostro modo di assemblare dei punti in
forme a noi familiari, non il modo o la volontà delle stelle di fare
questo.
>
>> L'esempio che un artista dà a un altro è ben altra cosa. Allora l'altro ne
>> importa elementi riconoscibili, ma non così riconoscibili da farne una
>> storia, come si può fare in discipline come la filosofia, la letteratura,
>> le arti figurative.
>
>E perchè? anche lì, il gioco e la natura degli stimoli è spesso
>imponderabile. Il problema è forse soltanto che l'opinione comune (cui mi
>permetto di aderire, anche avendo consapevolmente abbandonato la
>composizione, ed essermi votato all'interpretazione!) è che l'incidenza
>storica della creazione è più rilevante di quella dell'interpretazione.
Appunto!
Più
>interessante diciamo, e più urgentemente necessita di un lavoro critico.
>Il fatto che in realtà anche l'interpretazione comporti una misura di
>"creazione" può essere la prima considerazione utile a suggerire l'affinità
>fra questi punti di vista.
Sono d'accordo.
>Il fatto che la "storia dell'interpretazione" nasca oggi è certo il segno di
>una debolezza, cioè della tendenza della società odierna a conservare tutto.
>In altre epoche, più creative della nostra (socialmente beninteso! nondovrò
>certo ripetere i miei argomenti a favore dell'arte contemporanea...!) non si
>conosceva neanche la "storia della musica", perché la musica si faceva
>direttamente nel presente. Oggi conserviamo non solo la musica del passato
>(cui io stesso, beninteso, nonpotrei rinunciare assolutamente!), ma
>cominciamo anche a tener traccia delle sue interpretazioni; una riflessione
>storica in proposito è a questo punto non solo legittima, ma doverosa.
Attenzione: c'è una fondamentale differenza fra "interpretazione" ed
"esegesi". In tempi di filologia, Rotoli del Mar Morto, restaurazioni
varie, si vorrebbe scoprire il vero significato dell'opera d'arte con la
sua esegesi. Ma una composizione musicale non ha elementi semantici dal
significato diretto. NON SI PUO' DESCRIVERE UNA INTERPRETAZIONE MUSICALE.
E' molto più utile fare una storia della letteratura specifica, invece.
>> Alcuni grandi interpreti viventi che ho conosciuto ridevano delle analisi
>> che certi "studiosi" osavano fare del loro modo di suonare.
>
>Questa è sempre un'esperienza interessante. Ma non vuol dire davvero nulla.
E allora confermi il fatto che se uno studioso ne sa più dell'interprete su
cosa quest'ultimo fa, la storia dell'interpretazione non esiste, perché per
esistere deve soggiacere ad un volontario determinismo da parte di chi la
fa.
>Vale naturalmente anche per le opere d'arte; il punto è che l'artista,
>compiuta l'opera, non solo non ne ha più la "proprietà" (salvo i sacrosanti
>diritti economici), ma spesso non ne offre più neanche la "spiegazione" più
>interessante.
Forse neanche lui sa darne la spiegazione più interessante e lo lascia fare
agli interpreti, che sono specializzati in questo: far esperire una
composizione. Sai bene che quando un compositore fa eseguire le sue musiche
chiede all'interprete cosa funzioni meglio. E questo proprio per poter fare
in modo che la sua composizione reciti i significati sottesi. Poiché la
composizione non è una barzelletta, si deve far molto di più che capirne il
senso: le si deve rendere giustiiza! Occorre alta qualità, non solo buone
motivazioni, per farlo.
>Fatte le debite proporzioni (siamo almeno un gradino al di sotto, in termini
>di creatività, d'accordo) lo stesso si può applicare all'interpretazione...
>ammesso che qualcuno non abbia l'illusione che l'interpretazione possa
>annullarsi nella pura "enunciazione del testo". Quest'ultima è piuttosto un
>atteggiamento che una realtà, atteggiamento che è all'origine di certe
>tendenze interpretative (neanche le uniche legittime, sebbene anch'io
>simpatizzi con esse...).
>
>Scusate la lunghezza del post. Poiché la questione m'interessa molto, mi son
>permesso di proporre un diverso punto di vista, sperando di suscitare
>commenti ed anche reazioni.
>
Ti ringrazio per l'intervento, niente affatto lungo.
Saluti,
Carlo
> >- l'"intuizione" che tu stia parlando di Rattalino (se questo è vero) non
mi
> >viene dal fatto che le tue considerazioni colgano necessariamente nel
segno
> >(che ne abbia riconosciuto il "ritratto"!), ma dal fatto che si tratta
per
> >lo più di luoghi comuni ripetuti dai suoi detrattori.
>
> Ecco, questo lo considero un insulto. Non ti permetto di considerarmi così
> derelitto da dover diventare un "detrattore" di Rattalino.
> Lo so che non era tua intenzione, però.
meno male. anche perché nelle mie intenzioni, ed nelle mie espressioni,
anche polemiche, non c'è ombra di insulto (non nelle intenzioni, e credo
neanche nelle parole); me lo vieterebbe d'altr'onde il rispetto e la stima
che ho per te.
> Credo di rispettarlo più io, che leggo ciò che scrive, confutando o
> apprezzandone i contenuti, come faccio di tutto ciò che mi capita di
> leggere, piuttosto che "ingraziarmi" la sua simpatia, come fanno
falsamente
> molti altri.
meglio!
> Secondo me non si può insegnare una storia dell'interpretazione
pianistica,
> perché come ho detto, tale storia è una contigenza. Invece la storia
della
> letteratura pianistica è una storia, un percorso, e questa la si può
> descrivere ed insegnare.
Probabilmente non capisco, comunque non ti seguo.
A parte il dubbio che il termine *insegnare* (scomodo in tutti i campi)
m'insinua; credo che l'attività critica sia di per sé meno attaccabile di
quella didattica. Mi chiedo se sia davvero non dico sciocco, ma anche
soltanto incoerente fare delle riflessioni critiche sulla natura degli
atteggiamenti interpretativi, ed eventualemten, laddove i dati lo consentano
(sono convinto che *inevitabilmente* lo consentano sempre, perché nessun
individuo e nessuna indole è al di fuori della storia) ipotizzare una
descrizione storica dei medesimi.
L'individualità di un interprete non è avulsa (più di quanto non lo sia
quella di un compositore o di un filosofo) dallo stato della storia, sia
generale (sociale e del pensiero) che specifica (la conoscenza di coloro che
l'hanno preceduto). Questo non in senso deterministico (infatti è falso
affermare ad esempio che oggi nascano solo interpreti "filologi"), ma è un
fatto che lo storicismo di un Fischer non poteva appoggiarsi alla Neue
Mozart Ausgabe, così come è chiaro che un Andras Schiff non è ignaro di
Fischer e di Leonhardt, ed il suo atteggiamento interpretativo è una sintesi
personale di ciò che conosce e di ciò che la sua indole lo induca a
prediligere.
Vado facendo esempi, a tentoni e per cenni, perché so che coglierai quel che
voglio dire.
> Direi che ci sono dei percorsi in tal senso molto più nelle letture dei
> direttori d'orchestra, che hanno un ruolo super partes nei confronti della
> strumentalità, ma un esecutore è diverso, è troppo vincolato a se stesso.
Credo che tu lo dica proprio da pianista: mi azzardo a suggerire che un
direttore è, per un verso, altrettanto vincolato alla propria fisicità, per
un altro (spesso, forse, azzardo...) meno consapevole (perché meno
direttamente vincolato al confronto) di quel che fanno i suoi colleghi.
Inoltre la storia dell'interpretazione non si limita necessariamente a
rcercare "percorsi" e certo non in ambiti *necessariamente* chiusi. Lo stato
dell'interpretazione oggi dipende certo dallo stato della cultura e del
pensiero in genere, per un direttore come per un pianista; inoltre gli
stessi atteggiamenti interpretativi possono accomunare violinisti, pianisti
e direttori, anche se è pur vero che in sede critica sarà più facile
ragionare su equivalenze tecnicamente rapportabili (pianista versus
pianista, eccetera...)
> >mi sembra che tu non colga nel segno. La storia dell'interpretazione non
> >esiste forse in sé, allo stessomodo in cui non esistono la storia della
> >musica o la storia in genere (per cui valgono ESATTAMENTE le stesse
> >osservazioni che tu aggiungi).
>
> Sono in completo disaccordo. La storia dell'arte figurativa, ad esempio è
> un concatenamento di acquisizioni tecnico-percettive e i periodi che più
> attestano in tal senso l'evoluzione del rapporto dell'artista con la
natura
> circostante e la propria psiche sono, rispettivamente, il Rinascimento e
le
> fasi del Futurismo, Espressionismo, Fauvismo, etc. Questo accade in
stretta
> relazione con la storia.
voglio credere (o meglio, sono convinto, e lo sono per esperienza diretta)
che anche la psiche di un interprete sia in rapporto con la natura e con il
pensiero che lo circondano.
> La storia comincia, sempre, dove qualcuno la
> >sa raccontare, dove qualcuno (chiunque sia) sappia mettere in relazione
> >(anche su principi che possono essere discussi, e confutati) eventi o
> >fenomeni che di per sé non dichiarano manifestamente la loro natura.
> >
> >> Nessuno può emulare nessuno.
> >
> >Neanche nella composizione. Né nella politica...
>
> Non sono d'accordo. Nella composizione, si studia la...composizione! Cioè
i
> lavori altrui.
Lo studio della composizione (se esiste, o se esistesse) non consiste nello
studio dei lavori altrui (che dovrebbe essere comune per un compositore, un
direttore, un pianista!), ma in quello di tecniche di scrittura,
teoricamente aggiornate. Sospetto che un simile modello oggi non esista e
non abbia neanche ragion d'essere (non concepiamo più, e non vogliamo
concepire il compositore come unartigiano, che produce riproducendo uno
stilema). In tal caso se i compositori imparano tramite le loro esperienze
complessive (tra cui ha un posto di primo piano l'analisi), è pur vero che
anche un pianista si forma *altrettanto* sulla base delle sue esperienze
d'ascolto.
> E la teoria, che segue la pratica (tranne che nella
> Dodecafonia, dove la teoria impone la pratica).
Questo, sia detto per inciso, è falso. La dodecafonia è una tecnica desunta
(assiomaticamente quanto vuoi) da una pratica.
E nei fatti non si è dimostrata più vincolante di altre tecniche a qualunque
livello: come la struttura teorica della "Forma sonata" non solo non ha
impedito, ma ha forse da sola reso possibile la Sonata di Liszt, così la
dodecafonia non solo non ha impedito, ma ha forse costituito lo sfondo
necessario per il Concerto per vl. di Berg. In entrambi i casi sono
risultati che (apparentemente, ma forse non solo apparentemente)
contraddicono la sostanza della struttura di riferimento, ma sono capolavori
la cui coerenza si sostanzia di un forte confronto con essa. Ora non mi dire
che "forma sonata" e "dodecafonia" sono due principi che agiscono su livelli
diversi, perché lo so anch'io, ma non mi sembra che ciò indebolisca il
contenuto del confronto...
> Il compositore deve conoscere i linguaggi e gli assunti che ne derivano.
Il musicista (qualunque musicista, nelle condizioni ideali) deve conoscere
tutto.
Anche i linguaggi e gli assunti che ne derivano.
L'attività del compositore non ha una relazione diretta con i linguaggi che
ha appreso, perché la parte più letterale della sua attività si esplica in
ciò che di nuovo sa creare. La sua maturazione interna si esercita
parallelamente sullo studio dei capolavori di altri, e sull'esperienza
diretta dello scrivere.
Lo stesso vale per un interprete: matura (a mio giudizio) la sua
comprensione della musica attraverso lo studio dei testi (studio analitico
ed esperienza diretta di esecuzione) e sull'ascolto dei medesimi nelle
esecuzioni di altri.
Non solo non esiste interprete che non si sia effettivamente formato
attraverso il confronto/competizione/scambio con il suoi compagni di studi,
ovvero con i suoi colleghi coetanei, ma neanche nessun interprete che a tali
confronti non abbia aggiunto (indipendentemente dall'importanza che ha loro
attribuito) l'ascolto di artisti più anziani, in concerto o in disco.
Con questo non sto facendo finta che non esista una prepotente percentuale
di individualità nelle scelte che compie. Ma la stessa, concedimelo, sarà
rintracciabile nel compositore o nell'artista in genere.
> >> Possiamo riconoscere le costellazioni e nominarle, ma certo le stelle
non
> >> si sono messe lì per fare la forma di una Carro, di un'Orsa, etc. solo
per
> >> creare forme da noi riconoscibili...
> >
>
> >Appunto, questa frase è piuttosto chiara, e l'apprezzo per questo.
> >Però l'astronomia si serve a buon diritto delle costellazioni, non solo,
ma
> >si prende la libertà di sfruttare anche altre caratteristiche delle
stelle
> >(magnitudo, età, luminosità... che di per sé sono solo dei dati puntuali)
> >per ordinarle eclassificarle. Lavoro che, beninteso, non è a vantaggio
delle
> >stelle, né vuole esserlo, ma non per questo è meno legittimo, ed
addirittura
> >di grande utilità!
>
> Ripeto: le costellazioni sono il nostro modo di assemblare dei punti in
> forme a noi familiari, non il modo o la volontà delle stelle di fare
> questo.
Il modo o la volontà conta poco nelle stelle, e perfino (provoco, ed
esagero, lo so) nei compositori e negli interpreti.
E' sempre il modo in cui il loro messaggio, la loro proposta viene recepita
(individualmente o socialmente) a costituire l'oggetto dell'esperienza
artistica, ed in ogni modo l'oggetto dell'indagine critica e storica.
> >> L'esempio che un artista dà a un altro è ben altra cosa. Allora l'altro
ne
> >> importa elementi riconoscibili, ma non così riconoscibili da farne una
> >> storia, come si può fare in discipline come la filosofia, la
letteratura,
> >> le arti figurative.
> >
> >E perchè? anche lì, il gioco e la natura degli stimoli è spesso
> >imponderabile. Il problema è forse soltanto che l'opinione comune (cui mi
> >permetto di aderire, anche avendo consapevolmente abbandonato la
> >composizione, ed essermi votato all'interpretazione!) è che l'incidenza
> >storica della creazione è più rilevante di quella dell'interpretazione.
>
> Appunto!
Siamo d'accordo, e non è male rendere esplicito questo punto. Ma è una
questione di livelli, di quantità e non di qualità.
Infatti si fa molta meno storia dell'interpretazione che non storia della
composizione, e se fosse il contrario sarei il primo a reagire.
Ma purché siano chiare le proporzioni, e le reali dimensioni dei fenomeni,
non vedo perché non ammettere la possibilità di entrambe.
> Più
> >interessante diciamo, e più urgentemente necessita di un lavoro critico.
> >Il fatto che in realtà anche l'interpretazione comporti una misura di
> >"creazione" può essere la prima considerazione utile a suggerire
l'affinità
> >fra questi punti di vista.
>
> Sono d'accordo.
Vai così!
vinix finirà per l'annoiarsi!
> >Il fatto che la "storia dell'interpretazione" nasca oggi è certo il segno
di
> >una debolezza, cioè della tendenza della società odierna a conservare
tutto.
> >In altre epoche, più creative della nostra (socialmente beninteso!
nondovrò
> >certo ripetere i miei argomenti a favore dell'arte contemporanea...!) non
si
> >conosceva neanche la "storia della musica", perché la musica si faceva
> >direttamente nel presente. Oggi conserviamo non solo la musica del
passato
> >(cui io stesso, beninteso, nonpotrei rinunciare assolutamente!), ma
> >cominciamo anche a tener traccia delle sue interpretazioni; una
riflessione
> >storica in proposito è a questo punto non solo legittima, ma doverosa.
>
> Attenzione: c'è una fondamentale differenza fra "interpretazione" ed
> "esegesi". In tempi di filologia, Rotoli del Mar Morto, restaurazioni
> varie, si vorrebbe scoprire il vero significato dell'opera d'arte con la
> sua esegesi. Ma una composizione musicale non ha elementi semantici dal
> significato diretto. NON SI PUO' DESCRIVERE UNA INTERPRETAZIONE MUSICALE.
> E' molto più utile fare una storia della letteratura specifica, invece.
E' certo molto più utile. E non mi sembra che sia una disciplina trascurata
> >> Alcuni grandi interpreti viventi che ho conosciuto ridevano delle
analisi
> >> che certi "studiosi" osavano fare del loro modo di suonare.
> >
> >Questa è sempre un'esperienza interessante. Ma non vuol dire davvero
nulla.
>
> E allora confermi il fatto che se uno studioso ne sa più dell'interprete
su
> cosa quest'ultimo fa, la storia dell'interpretazione non esiste, perché
per
> esistere deve soggiacere ad un volontario determinismo da parte di chi la
> fa.
Lo stesso vale per la creazione, nei termini in cui io ho proposto il mio
"paradosso".
Quel che un'analisi è in grado di rivelare della V di Beethoven, o dell'op.
111 o 132, non sarebbe sminuito dalla rivelazione che Beethoven (in ipotesi)
non era consapevole di tutto ciò, ma che avrebbe indicato in altri aspetti
il reale motivo d'interesse del suo lavoro.
> >Vale naturalmente anche per le opere d'arte; il punto è che l'artista,
> >compiuta l'opera, non solo non ne ha più la "proprietà" (salvo i
sacrosanti
> >diritti economici), ma spesso non ne offre più neanche la "spiegazione"
più
> >interessante.
>
> Forse neanche lui sa darne la spiegazione più interessante e lo lascia
fare
> agli interpreti, che sono specializzati in questo: far esperire una
> composizione. Sai bene che quando un compositore fa eseguire le sue
musiche
> chiede all'interprete cosa funzioni meglio. E questo proprio per poter
fare
> in modo che la sua composizione reciti i significati sottesi. Poiché la
> composizione non è una barzelletta, si deve far molto di più che capirne
il
> senso: le si deve rendere giustiiza! Occorre alta qualità, non solo buone
> motivazioni, per farlo.
Se c'incontrassimo e discutessimo alcune ore in tempo reale, temo che
finiremmo per l'essere d'accordo su tutto.
Che grande pericolo!
> >Fatte le debite proporzioni (siamo almeno un gradino al di sotto, in
termini
> >di creatività, d'accordo) lo stesso si può applicare
all'interpretazione...
> >ammesso che qualcuno non abbia l'illusione che l'interpretazione possa
> >annullarsi nella pura "enunciazione del testo". Quest'ultima è piuttosto
un
> >atteggiamento che una realtà, atteggiamento che è all'origine di certe
> >tendenze interpretative (neanche le uniche legittime, sebbene anch'io
> >simpatizzi con esse...).
> >
> >Scusate la lunghezza del post. Poiché la questione m'interessa molto, mi
son
> >permesso di proporre un diverso punto di vista, sperando di suscitare
> >commenti ed anche reazioni.
> >
> Ti ringrazio per l'intervento, niente affatto lungo.
Ringrazio io te per la pazienza nel leggerlo e discuterlo.
Resta un piacere discutere ed anche polemizzare, laddove non è in dubbio la
qualità e la sostanza delle opinioni che mi sono opposte!
Ciao
Tito
Ed è all'origine di mistero e poesia, oltre che di scienza.
> Il fatto che la "storia dell'interpretazione" nasca oggi è
certo il segno di
> una debolezza, cioè della tendenza della società odierna a
conservare tutto.
Credo che non sia nata prima perché prima non c'erano i
dischi.
> > Alcuni grandi interpreti viventi che ho conosciuto
ridevano delle analisi
> > che certi "studiosi" osavano fare del loro modo di
suonare.
Così come molti pittori, scultori, poeti, grandi e meno
grandi, dalla notte dei tempi.
La storia dell'arte l'hanno
fatta gli artisti ma i sono i critici che ce l'hanno
raccontata. Molto di quello che sappiamo oggi lo dobbiamo a
quelli che sulle opere d'arte altrui hanno ragionato.
(taglio e riassumo: si riferisce di artisti che ridono delle
interpretazioni date dai critici alle loro opere)
> Questa è sempre un'esperienza interessante. Ma non vuol
dire davvero nulla.
> Vale naturalmente anche per le opere d'arte; il punto è
che l'artista,
> compiuta l'opera, non solo non ne ha più la "proprietà"
(salvo i sacrosanti
> diritti economici), ma spesso non ne offre più neanche la
"spiegazione" più
> interessante.
Pare un libro stampato. (Leporello)
> Fatte le debite proporzioni (siamo almeno un gradino al di
sotto, in termini
> di creatività, d'accordo) lo stesso si può applicare
all'interpretazione...
> ammesso che qualcuno non abbia l'illusione che
l'interpretazione possa
> annullarsi nella pura "enunciazione del testo".
Quest'ultima è piuttosto un
> atteggiamento che una realtà, atteggiamento che è
all'origine di certe
> tendenze interpretative (neanche le uniche legittime,
sebbene anch'io
> simpatizzi con esse...).
Idem. Anche se ho dei dubbi sul gradino al di sotto.
> Scusate la lunghezza del post. Poiché la questione
m'interessa molto, mi son
> permesso di proporre un diverso punto di vista, sperando
di suscitare
> commenti ed anche reazioni.
>
> Ciao
>
> Tito
Ti seguo e son d'accordo con te.
Bye
Pit
>Generatore di Schille,
>> Per mia informazione: ma Ravel ti sembra facile?
>No, certamente, però penso che Ravel induca
>nel pianista una tale sensazione di piacere anche fisico
>da far scomparire la difficoltà stessa dell'esecuzione.
Geniale.
Concordo e applaudo.
Schillogeno
------------------
"Well, i'm the slime from your video
Oozin' along on your living room floor
I am the slime from your video
can't stop the slime, people, look it me go"
Frank Zappa, 1973
NB: Per scrivermi togliete accaacca finali al mio username.
Caro Tito,
scusa se non ti ho risposto tempestivamente, ma ero impegnato.
Non mi va di essere perentorio, ma credo che in parte mi fraintenda.
La storia della musica ha una valenza simile a quella della storia
dell'arte, ma la storia dell'interpretazione no. Le arti in cui la
specializzazione si dirama in 1) creazione e 2) interpretazione sono le
"performing arts", come musica e teatro; qui la figura dell'interprete
esiste, mentre nelle altre forme d'arte l'interprete è semmai il suo
fruitore o il critico-studioso. Però nella musica il critico-studioso può
essere interprete della musica solo nel dar voce ai concetti e stilemi
sottesi alle sue forme inerenti poietica ed estesica, sempre che abbia il
talento e i mezzi di base per capirne anche i meccanismi tecnici. Ma
l'interpretazione del livello neutro dell'opera, e la effettiva, musicale
resa estesica della forma poietica, cioè la sua esecuzione, non si presta
facilmente a disanime interpretative a sua volta.
Qualsiasi scelta interpretativa fa parte di un organismo in cui tutti i
parametri sono fisiologicamente correlati; non si può giudicare il tempo di
esecuzione cose se fosse un parametro parallelo a tutti gli altri, nè
l'agogica, né tutto il resto.
>L'individualità di un interprete non è avulsa (più di quanto non lo sia
>quella di un compositore o di un filosofo) dallo stato della storia, sia
>generale (sociale e del pensiero) che specifica (la conoscenza di coloro che
>l'hanno preceduto). Questo non in senso deterministico (infatti è falso
>affermare ad esempio che oggi nascano solo interpreti "filologi"), ma è un
>fatto che lo storicismo di un Fischer non poteva appoggiarsi alla Neue
>Mozart Ausgabe, così come è chiaro che un Andras Schiff non è ignaro di
>Fischer e di Leonhardt, ed il suo atteggiamento interpretativo è una sintesi
>personale di ciò che conosce e di ciò che la sua indole lo induca a
>prediligere.
Sono d'accordo. Mi aiuti a dire, però, che l'indivualità dell'interprete,
poiché non avulsa dalla storia, non lo è soprattutto dal sistema indiduale
dell'interprete stesso (a sua volta non avulso dalla storia), che per
essere valido deve avere la sua coerenza interna. Il paradosso è che
l'elemento esterno che si interiorizza deve assolutamente calzare la
coerenza interna di cui sopra. Altrimenti si fa un collage di prassi
raccolte qua e là. La colpa di ciò è anche di chi tenta di realizzare
tassonomie interpretative.
>> Direi che ci sono dei percorsi in tal senso molto più nelle letture dei
>> direttori d'orchestra, che hanno un ruolo super partes nei confronti della
>> strumentalità, ma un esecutore è diverso, è troppo vincolato a se stesso.
>
>Credo che tu lo dica proprio da pianista: mi azzardo a suggerire che un
>direttore è, per un verso, altrettanto vincolato alla propria fisicità, per
>un altro (spesso, forse, azzardo...) meno consapevole (perché meno
>direttamente vincolato al confronto) di quel che fanno i suoi colleghi.
Può darsi. Francamente preferisco i direttori che fanno parlare l'orchestra
con i loro gesti fisici a quelli che usano l'orchestra per far parlare i
loro gesti fisici. Quale dei due preferisci?
>>
>> Sono in completo disaccordo. La storia dell'arte figurativa, ad esempio è
>> un concatenamento di acquisizioni tecnico-percettive e i periodi che più
>> attestano in tal senso l'evoluzione del rapporto dell'artista con la
>natura
>> circostante e la propria psiche sono, rispettivamente, il Rinascimento e
>le
>> fasi del Futurismo, Espressionismo, Fauvismo, etc. Questo accade in
>stretta
>> relazione con la storia.
>
>voglio credere (o meglio, sono convinto, e lo sono per esperienza diretta)
>che anche la psiche di un interprete sia in rapporto con la natura e con il
>pensiero che lo circondano.
Certo, ma rappresenta tutto ciò assai più virtualmente e, spero, senza
troppa ambizione. Chi vuol farlo deve comporre.
>
>> La storia comincia, sempre, dove qualcuno la
>> >sa raccontare, dove qualcuno (chiunque sia) sappia mettere in relazione
>> >(anche su principi che possono essere discussi, e confutati) eventi o
>> >fenomeni che di per sé non dichiarano manifestamente la loro natura.
>> >
>> >> Nessuno può emulare nessuno.
>> >
>> >Neanche nella composizione. Né nella politica...
>>
>> Non sono d'accordo. Nella composizione, si studia la...composizione! Cioè
>i
>> lavori altrui.
>
>Lo studio della composizione (se esiste, o se esistesse)
???
non consiste nello
>studio dei lavori altrui (che dovrebbe essere comune per un compositore, un
>direttore, un pianista!), ma in quello di tecniche di scrittura,
>teoricamente aggiornate.
In tutt'e due!
Se hai ragione tu, Schoenberg aveva torto. La sua padronanza della musica
passata era impressionante. Leon Kirchner, allievo di Schoenberg e Bloch,
dice: "musicians now do not have the immence historical reservoir that
Bloch or Schoenberg had".
Sospetto che un simile modello oggi non esista e
>non abbia neanche ragion d'essere (non concepiamo più, e non vogliamo
>concepire il compositore come unartigiano, che produce riproducendo uno
>stilema).
Ma se non fosse ANCHE un artigiano chiunque saprebbe comporre!
In tal caso se i compositori imparano tramite le loro esperienze
>complessive (tra cui ha un posto di primo piano l'analisi), è pur vero che
>anche un pianista si forma *altrettanto* sulla base delle sue esperienze
>d'ascolto.
Certo, ma artigiano (mentale, soprattuto), deve essere!
>
>> E la teoria, che segue la pratica (tranne che nella
>> Dodecafonia, dove la teoria impone la pratica).
>
>Questo, sia detto per inciso, è falso. La dodecafonia è una tecnica desunta
>(assiomaticamente quanto vuoi) da una pratica.
Devo contraddirti. La Dodecafonia ha desunto dalla pratica il serialismo
fiammingo e le sue tecniche, il "totale cromatico" cui il post-Wagnerismo
tendeva, ma il sistema dodecafonio è un assioma tecnico, sistematico e
normativo. Il compositore si scrive ben bene le serie, numera i pitch e si
affaccenda ad esaurirne (tranne casi espressamente desiderati) il layout.
Qui la teoria precede così tanto la pratica da far nascere anche il
"feticismo del 12", che avrebbe investito anche le suddivisioni ritmiche ed
altro.
>E nei fatti non si è dimostrata più vincolante di altre tecniche a qualunque
>livello:
per fortuna.
come la struttura teorica della "Forma sonata" non solo non ha
>impedito, ma ha forse da sola reso possibile la Sonata di Liszt,
infatti non c'è mai stato nessuno che ha individualmente secolarizzato la
sonata come forma e ne ha dichiarato gli assiomi, ma piuttosto si è
secolarizzata da sé, previo uso e cristallizzazione da parte dei
compositori.
così la
>dodecafonia non solo non ha impedito, ma ha forse costituito lo sfondo
>necessario per il Concerto per vl. di Berg.
Il Concerto di Berg è un caso emblematico di Dodecafonia con "ridondanze
tonali": già nell'enunciazione della serie all'inizio del primo tempo,
fatta di 4 gruppi di 3 note con uguali rapporti intervallari, melodicamente
ed armonicamente riconoscibili. Ma la Dodecafonia ha creato una normativa
volta ad impedire anche queste nostalgie, e con Webern è riuscita ad
abbandonare tutti i gesti tonali residui proprio in forza della sua tecnica
inerente.
>
>> Il compositore deve conoscere i linguaggi e gli assunti che ne derivano.
>
>Il musicista (qualunque musicista, nelle condizioni ideali) deve conoscere
>tutto.
>Anche i linguaggi e gli assunti che ne derivano.
Appunto.
>L'attività del compositore non ha una relazione diretta con i linguaggi che
>ha appreso, perché la parte più letterale della sua attività si esplica in
>ciò che di nuovo sa creare. La sua maturazione interna si esercita
>parallelamente sullo studio dei capolavori di altri, e sull'esperienza
>diretta dello scrivere.
Guarda, non voglio sembrare arrogante, ma, per usare i tuoi stessi termini,
credo che ciò sia falso. Nessun compositore ha mai addirittura copiato a
mano composizioni di altri? Era proprio il modo di imparare e conoscere le
composizioni altrui! Mozart non ha mai copiato niente?
E suo padre, che gli chiedeva di conoscere le composizioni di Rutini, in
seguito definito il suo "maestro segreto", era stupido?
>Lo stesso vale per un interprete: matura (a mio giudizio) la sua
>comprensione della musica attraverso lo studio dei testi (studio analitico
>ed esperienza diretta di esecuzione) e sull'ascolto dei medesimi nelle
>esecuzioni di altri.
Sì, le esecuzioni degli altri sono solo un esempio, se ne studiano le
cause, non gli effetti. Per fare questo occorre prendere le lezioni giuste
dalle persone giuste, che a loro volta hanno preso le lezioni giuste dalle
persone giuste, che a loro volta...
Mi sembra che chi pecchi di scuola se ne vuol fare una propria
pretestuosamente, facendo casistiche di esecuzioni ascoltate.
>Non solo non esiste interprete che non si sia effettivamente formato
>attraverso il confronto/competizione/scambio con il suoi compagni di studi,
>ovvero con i suoi colleghi coetanei, ma neanche nessun interprete che a tali
>confronti non abbia aggiunto (indipendentemente dall'importanza che ha loro
>attribuito) l'ascolto di artisti più anziani, in concerto o in disco.
Sono d'accordo, solo che io questo l'ho espresso diversamente.
>Se c'incontrassimo e discutessimo alcune ore in tempo reale, temo che
>finiremmo per l'essere d'accordo su tutto.
>Che grande pericolo!
Perché?
>
>Ringrazio io te per la pazienza nel leggerlo e discuterlo.
>Resta un piacere discutere ed anche polemizzare, laddove non è in dubbio la
>qualità e la sostanza delle opinioni che mi sono opposte!
>
Ricambio.
Carlo
> In tutt'e due!
> Se hai ragione tu, Schoenberg aveva torto. La sua padronanza della musica
> passata era impressionante. Leon Kirchner, allievo di Schoenberg e Bloch,
> dice: "musicians now do not have the immence historical reservoir that
> Bloch or Schoenberg had".
Si tratta di un punto minore, ma lo vorrei vedere sviluppato. La mia
impressione personale, al contrario, e' che Schoenberg, da buon
autodidatta, avesse dei buchi formativi non da poco. Lo immagino dal
fatto che nei suoi libri tende a citare pochissimi autori (quasi solo
Bach, Mozart, Wagner, Mahler) e pochissime composizioni, quasi sempre le
stesse. Particolarmente impressionanti, poi, certe pagine del 'Trattato
d'armonia' dove dimostra di non aver capito che cosa sono i suoni
armonici.
--------------------------------------------------------
Luca Logi - Firenze - Italy e-mail: ll...@dada.it
Home page: http://www.angelfire.com/ar/archivarius
(musicologia pratica)
>Particolarmente impressionanti, poi, certe pagine del 'Trattato
>d'armonia' dove dimostra di non aver capito che cosa sono i suoni
>armonici.
Che cosa sono i suoni armonici ?
(ah, come mi piace sembrare Schönberg ... pensa, Bellavite, se tu
potessi fare lo stesso con Ciaikovski :-)))
ps: a parte gli scherzi, davvero, cos'è che non aveva capito
Schönberg? (grazie)
Allegri !
Claudio
> ps: a parte gli scherzi, davvero, cos'è che non aveva capito
> Schönberg? (grazie)
Tiro fuori la mia copia (la vecchia edizione con la copertina blu). A
pag.22/23 vedo una notevole confusione mentale: Schoenberg sembra
preoccupato che la teoria dei suoni armonici possa essere confutata, sia
pure non definitivamente, da scoperte fisiche moderne.
Dato che la scomposizione di un suono complesso nei suoi armonici altro
non e' che la versione fisica della scomposizione matematica di una
funzione periodica nelle sue componenti secondo la serie di Fourier,
sara' ben difficile che la teoria dei suoni armonici venga confutata....
Ammazza, Roberto! Mi sa che hai trovato un osso duro da rodere... :-))))
Caro Luca,
ci puoi spiegare pure a noi?
Jashugan
Non credo. E ho gia' espresso dubbi sul fatto che la teoria "classica"
degli armonici possa essere addotta a giustificazione della armonia
tonale, visto che le componenti spettrali dei suoni degli strumenti reali
non (sempre) seguono i rapporti classici 2:1, 3:1 ecc.
Schoenberg poi non era un matematico o un fisico e puo' aver fatto
confusione. Sapessi i castroni che spara Stockhausen
Roberto
--
/_/ Roberto Maria Avanzi
_/ Institut für Experimentelle Mathematik / Universität Essen
/ Ellernstraße 29 / 45326 Essen / Germany
> Schoenberg poi non era un matematico o un fisico e puo' aver fatto
> confusione. Sapessi i castroni che spara Stockhausen
Castroni matematici o musicali? .-))))))))))))
Fabrizio
Matematici e fisici.
Dal '68 in poi sempre piu' spesso anche musicali. Eppure la
sua musica conserva un certo fascino che e' la impronta del genio.
> Tiro fuori la mia copia (la vecchia edizione con la copertina blu). A
> pag.22/23 vedo una notevole confusione mentale: Schoenberg sembra
> preoccupato che la teoria dei suoni armonici possa essere confutata, sia
> pure non definitivamente, da scoperte fisiche moderne.
>
> Dato che la scomposizione di un suono complesso nei suoi armonici altro
> non e' che la versione fisica della scomposizione matematica di una
> funzione periodica nelle sue componenti secondo la serie di Fourier,
> sara' ben difficile che la teoria dei suoni armonici venga confutata....
Fuor di polemica: che cosa c'entra questo con la conoscenza profonda o
superficiale che Schönberg aveva della musica del passato?
Tito
> Fuor di polemica: che cosa c'entra questo con la conoscenza profonda o
> superficiale che Schönberg aveva della musica del passato?
Niente: mi si chiedeva dove Schoenberg ha le idee confuse sugli armonici
e rispondevo. Quanto alla mia personalissima opinione che avesse una
conoscenza parziale della musica del passato, trovo che per esempio non
citi mai autori anteriori a Bach, non citi mai Haydn, Schubert, Weber,
Schumann (per dire solo degli autori che nell'area culturale tedesca
dovrebbero essere importanti), cosi' come non cita mai ne' autori
francesi ne' russi (e armonicamente questi ultimi avevano qualcosa da
dire), etc.
O forse era solamente molto crucco...
>
> La mia impressione personale, al contrario, e' che Schoenberg, da buon
>autodidatta, avesse dei buchi formativi non da poco. Lo immagino dal
>fatto che nei suoi libri tende a citare pochissimi autori (quasi solo
>Bach, Mozart, Wagner, Mahler) e pochissime composizioni, quasi sempre le
>stesse.
Sbaglio, o mi aiuti a dire quanto invece sia importante lo studio delle
composizioni del passato? Non tanto per fare delle sterili casistiche dei
linguaggi, né per acquisire un "reservoir" o un vocabolario (anche per
questo, ovviamente), quanto per conoscere la musica occidentale nel suo
percorso.
Credo che lo studio della composizione esista, eccome!
Carlo
Beh, autodidatta o no, uno puo' anche scegliere di continuare lo studio
della composizione da autodidatta proprio per NON avere le lacune che
vede in giro in tanti colleghi. Non e' il caso di Schoenberg, comunque.
E poi il fatto che citi pochi lavori, bisogna per forza citarne migliaia
per capire come funziona una certa tecnica, o forse non ha apposta scelto
e sempre usato quelli che per lui erano gli esempi piu' significativi ?
Mi piace sollevare dubbi, come ben sai.
> Sbaglio, o mi aiuti a dire quanto invece sia importante lo studio delle
> composizioni del passato? Non tanto per fare delle sterili casistiche dei
> linguaggi, né per acquisire un "reservoir" o un vocabolario (anche per
> questo, ovviamente), quanto per conoscere la musica occidentale nel suo
> percorso.
>
> Credo che lo studio della composizione esista, eccome!
Come dicevano gli studiosi medioevali (riferendosi ai loro antichi,
cioe' ai greci e ai latini): noi siamo nani e loro sono giganti; ma se
li studiamo diventiamo nani sulle spalle dei giganti, che quindi vedono
piu' lontano dei giganti stessi...
>
>Come dicevano gli studiosi medioevali (riferendosi ai loro antichi,
>cioe' ai greci e ai latini): noi siamo nani e loro sono giganti; ma se
>li studiamo diventiamo nani sulle spalle dei giganti, che quindi vedono
>piu' lontano dei giganti stessi...
>
Poi arrivano i figli dei nani che si mettono sulle spalle dei nani che
stanno sulle spalle dei giganti, etc...
Carlo
Ma certo Carlo: solo che lo studio della musica del passato non equivale a
studiare la composizione nello stesso senso in cui si studia uno
strumento...
La conoscenza della musica del passato ha all'incirca lo stesso ruolo della
conoscenza della musica da camera per un direttore d'orchestra: FONDAMENTALE
formativamente, senza però costituire un insegnamento diretto o immediato.
Questo tipo di studio ha un ruolo in tutte le discipline musicali (anche un
pianista si forma studiando l'armonia, ed ascoltando musica sinfonica...),
nelle quali però esiste anche una prassi didattica di altra natura (lo
studio diretto dello strumento, e dei testi che si vanno ad eseguire) cui è
difficile trovare un corrispondente per la composizione...
Ciao
Tito
Luca Logi wrote:
> Come dicevano gli studiosi medioevali (riferendosi ai loro antichi,
> cioe' ai greci e ai latini): noi siamo nani e loro sono giganti; ma se
> li studiamo diventiamo nani sulle spalle dei giganti, che quindi vedono
> piu' lontano dei giganti stessi...
Ma "noi siamo nani sulle spalle dei giganti" non era lucuzione di Giordano
Bruno???
--
=================================
Marco Marcelli - Genova
marc...@libero.it [casa]
marco.m...@elsag.it [ufficio]
=================================
come vedi mi son preso tempo anch'io. complice un'influenza...
> La storia della musica ha una valenza simile a quella della storia
> dell'arte, ma la storia dell'interpretazione no. Le arti in cui la
> specializzazione si dirama in 1) creazione e 2) interpretazione sono le
> "performing arts", come musica e teatro; qui la figura dell'interprete
> esiste, mentre nelle altre forme d'arte l'interprete è semmai il suo
> fruitore o il critico-studioso. Però nella musica il critico-studioso può
> essere interprete della musica solo nel dar voce ai concetti e stilemi
> sottesi alle sue forme inerenti poietica ed estesica, sempre che abbia il
> talento e i mezzi di base per capirne anche i meccanismi tecnici. Ma
> l'interpretazione del livello neutro dell'opera, e la effettiva, musicale
> resa estesica della forma poietica, cioè la sua esecuzione, non si presta
> facilmente a disanime interpretative a sua volta.
>
> Qualsiasi scelta interpretativa fa parte di un organismo in cui tutti i
> parametri sono fisiologicamente correlati; non si può giudicare il tempo
di
> esecuzione cose se fosse un parametro parallelo a tutti gli altri, nè
> l'agogica, né tutto il resto.
Bene, benissimo. Però non vale, tutto ciò (ad un livello naturalmente
diverso, non credo che ci fraintendiamo su questo punto), anche nella
composizione? Non è altrettanto vero che l'opera d'arte è un organismo di
cui solo provvisoriamente ed in certo modo innaturalmente è possibile
analizzare le singole componenti (forma, armonia, strumentazione...)?
>
>
>
> >L'individualità di un interprete non è avulsa (più di quanto non lo sia
> >quella di un compositore o di un filosofo) dallo stato della storia, sia
> >generale (sociale e del pensiero) che specifica (la conoscenza di coloro
che
> >l'hanno preceduto). Questo non in senso deterministico (infatti è falso
> >affermare ad esempio che oggi nascano solo interpreti "filologi"), ma è
un
> >fatto che lo storicismo di un Fischer non poteva appoggiarsi alla Neue
> >Mozart Ausgabe, così come è chiaro che un Andras Schiff non è ignaro di
> >Fischer e di Leonhardt, ed il suo atteggiamento interpretativo è una
sintesi
> >personale di ciò che conosce e di ciò che la sua indole lo induca a
> >prediligere.
>
> Sono d'accordo. Mi aiuti a dire, però, che l'indivualità dell'interprete,
> poiché non avulsa dalla storia, non lo è soprattutto dal sistema
indiduale
> dell'interprete stesso (a sua volta non avulso dalla storia), che per
> essere valido deve avere la sua coerenza interna. Il paradosso è che
> l'elemento esterno che si interiorizza deve assolutamente calzare la
> coerenza interna di cui sopra. Altrimenti si fa un collage di prassi
> raccolte qua e là. La colpa di ciò è anche di chi tenta di realizzare
> tassonomie interpretative.
Ma è assolutamente ovvio che io sia d'accordo. Solo non vedo in che senso
QUESTO distingua un interprete da un creatore. Anche il compositore è
soggetto a stimoli esterni (e quanto!), ed anche (ed a maggior ragione) per
lui valgono le tue belle parole sulla necessità di interiorizzazione e di
coerenza interna...
> Francamente preferisco i direttori che fanno parlare l'orchestra
> con i loro gesti fisici a quelli che usano l'orchestra per far parlare i
> loro gesti fisici. Quale dei due preferisci?
secondo te? anche questo però vale ugualmente per i pianisti (anche se è
molto vero che i "pagliacci" siano più numerosi fra i direttori che fra gli
strumentisti), nel senso che esiste anche per gli strumentisti il questito
di quanto l'espressività naturale del gesto sia funzionale alla produzione
del suono, e di quanto invece non la assecondi semplicemente (diventando
perciò intrinsecamente superflua, e perciò assumendo natura di puro
"spettacolo")
> >voglio credere (o meglio, sono convinto, e lo sono per esperienza
diretta)
> >che anche la psiche di un interprete sia in rapporto con la natura e con
il
> >pensiero che lo circondano.
>
> Certo, ma rappresenta tutto ciò assai più virtualmente e, spero, senza
> troppa ambizione. Chi vuol farlo deve comporre.
D'accordo. Infatti è una questione di livelli, anche per me, a distinguere i
due "atteggiamenti".
> >> >Neanche nella composizione. Né nella politica...
> >>
> >> Non sono d'accordo. Nella composizione, si studia la...composizione!
Cioè
> >i
> >> lavori altrui.
> >
> >Lo studio della composizione (se esiste, o se esistesse)
>
> ???
>
> non consiste nello
> >studio dei lavori altrui (che dovrebbe essere comune per un compositore,
un
> >direttore, un pianista!), ma in quello di tecniche di scrittura,
> >teoricamente aggiornate.
>
> In tutt'e due!
> Se hai ragione tu, Schoenberg aveva torto. La sua padronanza della musica
> passata era impressionante. Leon Kirchner, allievo di Schoenberg e Bloch,
> dice: "musicians now do not have the immence historical reservoir that
> Bloch or Schoenberg had".
La padronanza della musica del passato è importantissima (anche se non
completamente ed assolutamente imprescindibile) per un compositore:
altrettanto però (ed anzi molto di più) per un direttore d'orchestra (per
lui invece è fondamentale, perché utopicamente deve conoscere tutto di
tutto...)
Per importante che sia, comunque, non basta a fare un compositore. Ci sono
fior di musicologi (più che altro all'estero...) che conoscono la musica del
passato in modo invidiabile, eppure non solo non hanno creatività, ma magari
neanche la capacità pratica, meramente artigianale che deriva al compositore
dalla sua pratica compositiva.
> Ma se non fosse ANCHE un artigiano chiunque saprebbe comporre!
? nel senso che l'artigianato non si può imparare?
guarda che la conoscenza della musica passata non la sto escludendo dal
"corso di studi" di un compositore! solo non posso considerarla come "lo
studio della composizione" in sé...
> >> E la teoria, che segue la pratica (tranne che nella
> >> Dodecafonia, dove la teoria impone la pratica).
> >
> >Questo, sia detto per inciso, è falso. La dodecafonia è una tecnica
desunta
> >(assiomaticamente quanto vuoi) da una pratica.
>
> Devo contraddirti. La Dodecafonia ha desunto dalla pratica il serialismo
> fiammingo e le sue tecniche, il "totale cromatico" cui il post-Wagnerismo
> tendeva, ma il sistema dodecafonio è un assioma tecnico, sistematico e
> normativo. Il compositore si scrive ben bene le serie, numera i pitch e si
> affaccenda ad esaurirne (tranne casi espressamente desiderati) il layout.
> Qui la teoria precede così tanto la pratica da far nascere anche il
> "feticismo del 12", che avrebbe investito anche le suddivisioni ritmiche
ed
> altro.
Niente affatto. La dodecafonia ha cercato nei modelli da te citati dei
suggerimenti di comportamento per la gestione di unamateria compositiva che
aveva già assunto di fatto le componenti proprie componenti essenziali.
Fondamentale nella dodecafonia (per la sua teoria) non è il principio
contrappuntistico (che è solo una modalità di trattamento del materiale) ma
il principio che nessuna nota deve essere ripetuta prima che siano state
"citate" tutte le altre. Questo principio si era fatto avanti spontaneamente
nella pratica compositiva del periodo "atonale" di Schönberg, e non è una
assioma teorico. L'"invenzione" (in senso etimologico) della "serie" deriva
dall'osservazione di questo comportamento, e dalla applicazione dei principi
che ne sono alla base.
Tutto il resto non è "teoria" ma la pratica di quei principi di composizione
che per Schönberg eran validi comunque: ed anzi l'applicazione delle
strutture formali "tradizionali" in un contesto mutato non solo è ciò che
meno convince nella musica dello Schönberg dodecafonico, ma è anzi un
elemento di contraddizione in sé.
> >E nei fatti non si è dimostrata più vincolante di altre tecniche a
qualunque
> >livello:
>
> per fortuna.
Eppure ha consentito, meglio reso possibili i capolavori di Webern e di
Dallapiccola.
Lascio stare Berg perché dà sempre l'impressione (falsa, ma la dà) che
avrebbe fatto le stesse cose anche senza la dodecafonia...
> come la struttura teorica della "Forma sonata" non solo non ha
> >impedito, ma ha forse da sola reso possibile la Sonata di Liszt,
>
> infatti non c'è mai stato nessuno che ha individualmente secolarizzato la
> sonata come forma e ne ha dichiarato gli assiomi, ma piuttosto si è
> secolarizzata da sé, previo uso e cristallizzazione da parte dei
> compositori.
come ho spiegato poco fa questo vale anche per la dodecafonia, tant'è che
dei grandi compositori che ne abbiano fatto uso (Schönberg, Berg, Webern,
Stravinsky, Dallapiccola, Stravinsky, e poi Boulez, Stockhausen, Maderna,
Nono...) non ce n'è UNO dico UNO che abbia applicato uno "schema"
compositivo comune (non dico uguale, ma anche solo vagamente somigliante) a
quello applicato da un altro.
> così la
> >dodecafonia non solo non ha impedito, ma ha forse costituito lo sfondo
> >necessario per il Concerto per vl. di Berg.
>
> Il Concerto di Berg è un caso emblematico di Dodecafonia con "ridondanze
> tonali": già nell'enunciazione della serie all'inizio del primo tempo,
> fatta di 4 gruppi di 3 note con uguali rapporti intervallari,
melodicamente
> ed armonicamente riconoscibili. Ma la Dodecafonia ha creato una normativa
> volta ad impedire anche queste nostalgie, e con Webern è riuscita ad
> abbandonare tutti i gesti tonali residui proprio in forza della sua
tecnica
> inerente.
L'ho citato apposta, naturalmente, anche per evidenziare quanto poco
costrittivi siano in sé i principi della dodecafonia.
Se avessi citato la fondamentale Sinfonia di Webern o le meravigliose
Liriche greche di Dallapiccola avrei offerto alla dodecafonia un
riconoscimento non inferiore...
> >L'attività del compositore non ha una relazione diretta con i linguaggi
che
> >ha appreso, perché la parte più letterale della sua attività si esplica
in
> >ciò che di nuovo sa creare. La sua maturazione interna si esercita
> >parallelamente sullo studio dei capolavori di altri, e sull'esperienza
> >diretta dello scrivere.
>
> Guarda, non voglio sembrare arrogante, ma, per usare i tuoi stessi
termini,
> credo che ciò sia falso. Nessun compositore ha mai addirittura copiato a
> mano composizioni di altri? Era proprio il modo di imparare e conoscere le
> composizioni altrui! Mozart non ha mai copiato niente?
Fingi di ignorare che la composizione oggi sia una cosa diversa da due
secoli fa. Se così non fosse, lo studio della composizione non sarebbe un
problema, oggi (due secoli fa, infatti, non lo era).
Mozart imparava ad applicare un linguaggio, uno stile preconfezionato.
Siccome era un genio andò molto al di là, e contribuì significativamente a
modificare quello stesso stile. Ma non è questo che sia aspettavano da lui i
suoi maestri ed il suo pubblico, bensì la (ri)produzione di alta qualità di
principi riconosciuti come validi. Compiava la musica del suo tempo, o
quella immediatamente precedente. Il fatto che si sia interessato a quella
di Bach (nientemeno un compositore di tre generazioni più anziano!) è
addirittura un caso fuori del normale, e del tutto eccezionale.
Oggi un compositore studia la musica di epoche il cui stile non intende
riprodurre, né il pubblico si aspetta che lo riproduca, neanche per
"svilupparlo".
E questo mutamento, così decisivo, ha cominciato a profilarsi già nel XIX
secolo, ma oggi è perfettamente compiuto
> >Lo stesso vale per un interprete: matura (a mio giudizio) la sua
> >comprensione della musica attraverso lo studio dei testi (studio
analitico
> >ed esperienza diretta di esecuzione) e sull'ascolto dei medesimi nelle
> >esecuzioni di altri.
>
> Sì, le esecuzioni degli altri sono solo un esempio, se ne studiano le
> cause, non gli effetti. Per fare questo occorre prendere le lezioni giuste
> dalle persone giuste, che a loro volta hanno preso le lezioni giuste dalle
> persone giuste, che a loro volta...
> Mi sembra che chi pecchi di scuola se ne vuol fare una propria
> pretestuosamente, facendo casistiche di esecuzioni ascoltate.
siamo d'accordo
> >Se c'incontrassimo e discutessimo alcune ore in tempo reale, temo che
> >finiremmo per l'essere d'accordo su tutto.
> >Che grande pericolo!
>
> Perché?
scherzavo. naturlamente mi farebbe piacere. ma forse potremmo andare avanti
per molte ore e giorni, e trascurare tante cose...
Ciao, con simpatia
tito
Sì ma perché hai tirato fuori quella storia dei suoni armonici mentre
parlavi delle presunte lacune "storiche" di Schönberg?
> Quanto alla mia personalissima opinione che avesse una
> conoscenza parziale della musica del passato, trovo che per esempio non
> citi mai autori anteriori a Bach,
Capisco. Però non ti sembra che le aspettative che tu proietti su Schönberg
somiglino di più a quelle che abbiamo verso i (grandi) compositori
successivi? Non credo che i grandi compositori contemporanei o precedenti a
Schönberg avessere (mediamente, e fatte molte eccezioni, OK) una miglior
conoscenza della musica del passato. Il fatto è che Scönberg teorizzava
molto, ed analizzava molto, perciò la profondità con cui indagava alcuni
autori (già in sé superiore, credo, a quella di un compositore "normale") fa
risaltare il fatto che non occupasse allo stesso modo di tutto il passato.
E' un ipotesi, naturalmente.
> non citi mai Haydn, Schubert, Weber,
> Schumann (per dire solo degli autori che nell'area culturale tedesca
> dovrebbero essere importanti), cosi' come non cita mai ne' autori
> francesi ne' russi (e armonicamente questi ultimi avevano qualcosa da
> dire), etc.
> O forse era solamente molto crucco...
Non credo che la musica francese precendente Debussy (o diciamo Fauré)
potesse avere molti spunti da offrirgli. Però la trascrizione di Eisler del
"Prélude a l'apres-midi...", eseguita nella classe di Schönberg, è
testimonianza (a mio avviso) del fatto che il maestro aveva ben presente
l'importanza di anche quella musica.
Sul suo crucchismo, d'altronde, è possibile che qualcosa ci sia... ma più in
termini di "atteggiamenti d'interesse" e di "concezione dell'arte e della
cultura" che in termini di una chiusura mentale. Questa è, naturalmente,
solo la mia impressione.
Ciao
Tito
No (credo che Luca non sbagli mai un riferimento!): era una massima di
Alcuino.
Ciao
Tito
> > Niente: mi si chiedeva dove Schoenberg ha le idee confuse sugli armonici
> > e rispondevo.
>
> Sì ma perché hai tirato fuori quella storia dei suoni armonici mentre
> parlavi delle presunte lacune "storiche" di Schönberg?
Beh, io personalmente attribuisco ambedue le cose alla status di
autodidatta di Schoenberg. Il difetto degli autodidatti e' che spesso
conoscono solo quello che piace loro, le altre cose in maniera molto
piu' approssimativa.
> Capisco. Però non ti sembra che le aspettative che tu proietti su Schönberg
> somiglino di più a quelle che abbiamo verso i (grandi) compositori
> successivi? Non credo che i grandi compositori contemporanei o precedenti a
> Schönberg avessere (mediamente, e fatte molte eccezioni, OK) una miglior
> conoscenza della musica del passato. Il fatto è che Scönberg teorizzava
> molto, ed analizzava molto, perciò la profondità con cui indagava alcuni
> autori (già in sé superiore, credo, a quella di un compositore "normale") fa
> risaltare il fatto che non occupasse allo stesso modo di tutto il passato.
> E' un ipotesi, naturalmente.
E' una ipotesi che ha il suo fondo di verita' senza dubbio, ma trascura
l'onnipossente musicologia tedesca.... penso che se un qualche autore
gli fosse interessato, non avrebbe avuto problemi a studiarlo.
*********************
Prova per curiosita' a leggere la nota a piede della pag.81. A parte il
fatto che Schoenberg stesso fa vanto della sua ignoranza musicologica,
come minimo il procedimento logico e' un po' azzardato. Io ci sono
arrivato ragionando, dice Schoenberg, mi fa piacere che gli storici
confermino che e' proprio cosi'.
Un procedimento logicamente corretto sarebbe quello di informarsi di che
cosa e' storicamente successo, non di inventarsi la storia a tavolino.
8-) hai proprio ragione!
Jashugan