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La guerra dei morti - 8 Capitolo

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Ladro d'Anime

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Nov 10, 2022, 12:45:07 PM11/10/22
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Ancora inorriditi per quello che era successo ci dirigemmo mestamente
verso la città. Il Ladro d’Anime, notando il nostro silenzio, disse:
“Allora? Cosa sono questi musi lunghi? Avrei dovuto forse tramutarlo in
una pianta per soddisfare la vostra ipocrita moralità?”
“Veramente...”
Iniziai io, ma poi mi interruppi non riuscendo trovare le parole adatte
per continuare.
Balar, invece, con una certa durezza, sentenziò:
“Mai prima d’ora avevo visto morire in maniera così crudele un uomo.”
“Una frase così breve e così densa di inesattezze.” rispose il mago.
“In primis non definirei Apophis un 'uomo', lo era sicuramente, un
tempo, anche se, in tutta sincerità, preferirei essere un animale
piuttosto che venir accomunato a un personaggio simile, ma forse il
nostro scrivano qui presente potrà delucidarti sulla discutibile fama di
cui godeva l’uomo in questione.”
“Non vorrà forse dire che l’essere che abbiamo incontrato era
quell’Apophis.” intervenni io.
Il Ladro d’Anime mi guardò come se fossi un idiota e , pieno di
vergogna, preferii tacere.
“Vedo che il nome ti dice qualcosa…” poi, rivolgendosi al generale
continuò:
“Nella mia vita sono stato testimone di molte uccisioni. Ho visto uomini
privi di budella, con la testa fracassata o con gli arti mozzati e non
mi è mai parso che quei disgraziati si considerassero dei privilegiati.
Trovi forse che morire per mano di una spada comporti un particolare
stato di grazia?”
Ormai ci trovavamo sotto le mura della città e le grida di una
sentinella interruppero bruscamente quella conversazione. Mi soffermai a
osservare le pietre di quella cinta: in esse erano chiaramente visibili
i segni di antiche battaglie, ormai sbiaditi dal tempo e dall’azione
degli elementi. Chissà se quelle mura avrebbero sostenuto un nuovo
assedio, mi domandai, e con un certo terrore mi resi conto che i suoi
artefici non avevano certo previsto il pericolo che ora ci minacciava.
Per la prima volta iniziai a nutrire dei dubbi sulla saggezza della mia
decisione di seguire il mago: se egli avesse fallito molto probabilmente
anch’io avrei perso la vita, come tutti gli abitanti della città del resto.
Dopo un breve chiacchiericcio con la guardia, Balar riuscì finalmente a
convincerla della sua identità e in breve il pesante portone d’ingresso
ci venne aperto. Incamminandoci per le strade cittadine, mi resi ben
presto conto di essere un privilegiato: se io temevo per il mio futuro,
avevo pur sempre la mia fiducia nel Ladro d’Anime a sorreggermi; cosa
che non si poteva dire per i molti profughi e cittadini che ingombravano
in quel momento le strade. In quei volti si leggeva dolore, disperazione
e nella migliore delle ipotesi apatia: la speranza era ormai sfumata da
tempo e la morte rappresentava per loro l’unica credibile aspirazione.
Per certi versi, però, Milasia pareva avvolta in una incredibile
frenesia. Molti uomini, infatti, cercavano di esorcizzare la paura con
orgie di vario genere e le taverne erano incredibilmente piene di
avventori chiassosi e attaccabrighe. Per essi vigeva una sola regola:
eccedere nel vizio consueto e sperimentare il desueto. Spinti dall’ansia
di godere di ogni attimo che la vita ancora concedeva loro, i
parsimoniosi erano diventati scialacquatori, i morigerati avevano del
tutto abbandonato le loro sobrie abitudini e i casti erano ormai caduti
nel baratro del vizio. Una bevanda nuova, una leccornia rara, nuove ed
esotiche pratiche sessuali venivano consumate con ingordigia e senza
risparmio.
Uno di quei bizzarri passatempi, un uomo dal volto celato da una
maschera animalesca, ci guardò con insistenza mostrando il posteriore
come una donna avrebbe fatto con il suo petto. Quando, scandalizzato, mi
voltai altrove, l’uomo rise ripetendo provocatoriamente quel gesto.

Chi vi parla sa apprezzare i piaceri del vino e le carezze di una donna
di facili costumi. Non voglio, dunque, passare per un moralista, ma
credetemi, in quei tristi momenti ho potuto assistere alle cose più
incredibili, e devo dire che alcune di esse non le ricordo con piacere,
ma è proprio in momenti come questi che ci si rende conto di come
l’umanità, in fondo, non abbia del tutto abbandonato il suo originario
stato ferino. Per inverso, nei periodi di crisi e di terrore,
raggiungono notorietà e fama le cassandre e i profeti di sventure, quasi
esclusivamente di matrice religiosa.
Bisogna riconoscere a molti di loro una certa onestà intellettuale: i
loro appelli e i loro inviti al pentimento non erano mancati nemmeno in
passato anche se, allora, erano stati derisi o trattati con cortese
disprezzo. Ora, invece, riscuotevano da una certa parte della
popolazione un insperato successo. Voi vi chiederete come sia stato
possibile conciliare l’eccesso con la virtù: è una domanda che anch’io
mi sono posto spesso, ma alla quale, francamente, non so ancora dare una
risposta. Ritengo, tuttavia, che anche la frenesia religiosa possa
essere considerata una forma di sfogo come lo era per altri il vizio.
Tra questi predicatori ve ne erano alcuni dell’ultima ora, riconoscibili
dai corpi temprati dall’ozio e dai bagordi dei tempi andati.

Uno di essi stava arringando la folla che, inviperita, si accingeva
lapidare una donna. Ci avvicinammo, dunque, anche noi e subito mi
accorsi che essa era incinta.
“Cosa succede qui, padre santo?”gli si rivolse il generale.
“Questa meretrice una volta era una religiosa votata al dio Aban, ma ora
ha orrendamente infranto il suo voto perdendo la sua illibatezza: come
può vedere la sua stessa condizione è la testimonianza palese del suo
crimine.”
“Cosa hai da dire a tua discolpa, donna?”
“Lei non ti può rispondere, generale: abbiamo dovuto tagliarle la lingua
perché dalla sua bocca scaturivano terribili oscenità.”
“Anch’io sarei stato molto curioso di sapere cos’aveva da dire questa
donna, padre santo.” intevenne il mago.
Balar lo fulminò con uno sguardo ma egli continuò:
“Padre santo...” continuò “quasi una contraddizione in termini visto il
celibato che professate.”
Tronfio e sicuro di sé il religioso rispose:
“Noi sacrifichiamo noi stessi al servizio del dio Aban, non abbiamo
bisogno di padri, né di madri: il nostro dio rappresenta tutta la nostra
famiglia. Inoltre rinunciamo volontariamente ad avere una moglie e una
discendenza: crediamo, infatti, che per poter servire al meglio la
divinità sia necessario non avere alcun legame con il mondo. Aban, però,
nella sua infinita benevolenza, ama tutta l’umanità, e ci ha comandato
di aiutarla a raggiungere la purezza che noi abbiamo già acquisito. Gli
uomini per noi sono come dei figli ai quali, con il nostro esempio e le
nostre opere, dobbiamo indicare la via della salvezza.”
“Tu, dunque, credi di riuscire a salvare questa donna uccidendola?”
“Può sembrare una via estrema, lo ammetto, ma di fronte all’efferatezza
del crimine commesso devo preoccuparmi almeno di emendare la sua anima.”
“E con chi avrebbe consumato il suo peccato? Se non erro, le accolite
del vostro ordine vivono rinchiuse in un chiostro inaccessibile ai più.”
“Questo lo ignoro.”
“Io, invece, credo che tu lo sappia benissimo mio caro 'padre' dalla
dubbia santità.”
Il religioso, chiaramente infuriato per quella allusione, rispose:
“Tu...tu... osi accusarmi di un crimine così turpe?”
“Certo, o ritieni che il tuo ruolo di sacerdote ti renda alieno da ogni
colpa?”
Il mago lo guardò sorridendo per un attimo, poi riprese:
“Ho una piccola parabola da raccontarti: devi sapere che molti anni fa
c’era un eremita in questa regione. Una persona pia dedita alla
preghiera e al digiuno. Nel suo altruismo cercò di emendare l’anima di
un giovane coinvolto in cattive compagnie. Lo seguiva ovunque, cercando
di riportalo sulla retta via, ma invano.”
La gente, intanto, ascoltava rapita. La voce del mago, solitamente aspra
come una frusta, si era fatta quasi ritmica ed era una piacevole nenia
per loro.
“Un giorno il giovane dissoluto morì e il povero eremita, roso dai
rimorsi per il suo fallimento, si rivolse al suo dio spinto dal
desiderio di conoscere la sorte del ragazzo.”
Il mago si fermò ancora, sembrò valutare la presa del suo racconto
sull’uditorio che lo circondava. Quando da sotto il cappuccio vidi
apparire un sorriso cattivo, iniziai a temere che i risvolti della
storia nascondessero un finale inquietante...
“Pregò per molti giorni senza toccare cibo e acqua. Dopo queste
privazioni finalmente entrò in estasi e vide un grande fuoco ardere
davanti a lui. Dall’alto, tuttavia, era visibile la testa del giovane
che lo riconobbe e gli rivolse grandi ringraziamenti...”
“O, nobile eremita, gli disse, ti sono grato di aver pregato per me.
Grazie alle tue suppliche mi è stato permesso di tenere almeno la testa
fuori dalle fiamme. Molto peggio si trova l’alto prelato sulle cui
spalle mi sorreggo.”
La gente rise a tutta bocca, ma il monaco non la prese bene: si fece
rosso in faccia e, dopo un attimo di smarrimento, rivolgendosi alla
folla urlò:
“Che Aban ti maledica, tu che osi prenderti gioco dei suoi figli
prediletti.”
La gente che si era raccolta in quel luogo cominciò a agitarsi e noi
tememmo seriamente che avrebbero linciato anche il mago, ma egli,
incurante di tutto ciò, scostò con violenza gli uomini che attorniavano
la donna e le si avvicino toccandole il volto. All’apparenza non accadde
nulla, ma in quel momento mi trovavo troppo lontano per poter vedere
alcunché. Infine il Ladro d’Anime disse:
“Ora puoi parlare…”
“Maledetto porco.” eruppe con voce stridula. “Una volta ti accontentavi
della mia bocca e delle mie chiappe. Quando hai cercato di più sei stato
punito. E ora non solo non vuoi prenderti le tue responsabilità, ma vuoi
anche farmi uccidere?”
Il mago rise, una risata aspra e carica di sadismo.
“Che hai da ridere tu, maledetto corvaccio nero. Non so come tu abbia
fatto a ridarmi la voce, ma ora devi punire questo verme ipocrita.”
Il Ladro d’Anime sorrise beffardo:
“Non sono solito immischiarmi in questioni del genere. Poi, donna, certe
cose si fanno in due.”
L’effetto di questa rivelazione fu veramente sconvolgente e un gruppo di
esagitati armati di verghe si avvicinò al religioso con il chiaro
intento di linciarlo.
“Non ascoltate questa meretrice e quel messaggero di sventura, sono loro
i colpevoli, sono loro che vogliono gettare discredito sui servitori del
sacro Aban.”
La folla si fermò interetta, ma qualcuno intervenne dicendo:
“Il mago ha ragione, solo voi sacerdoti potete accedere al convento
delle sorelle. Tu o qualcuno dei tuoi confratelli siete colpevoli!”
Il religioso cercò in ogni modo di denunciare la sua innocenza, ma alla
fine, forse spinto da un sincero pentimento o come ultimo ed estremo
tentativo di salvarsi la vita affermò:
“Ho peccato, ed è giusto che paghi. Avanti… fate di me quello che
volete, io accetterò in silenzio la mia sorte.”
Se con questo atteggiamento aveva sperato di commuovere la plebaglia,
commise un pessimo errore, e in breve attorniato dalla folla inferocita
venne bastonato a morte. Nell’occasione non ebbe modo nemmeno di
soffrire in silenzio come aveva vanamente promesso, e tra pianti e
gemiti orribili perse anche la dignità del martire. Balar e io,
sconvolti per quella scena, in tono concitato cercammo di attirare la
guardia cittadina, ma il mago, con la sua solita sarcastica risata commentò:
“Non vorrete certo ostacolare il suo acceso al paradiso: lasciate dunque
che la sua purificazione abbia compimento.”
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