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La guerra dei morti - 21bis Capitolo

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Ladro d'Anime

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Dec 26, 2022, 10:28:29 AM12/26/22
to
Purtroppo nel Copia-incolla, ho saltato un capitolo, che si trova tra il
21 e il 22. Lo inserisco ora

L'alba è il momento in cui la terra prende vita: gli animali notturni
con i loro versi inquietanti abbandonano l'aria aperta ormai rischiarata
dalla luce del sole per rifugiarsi nell'oscurità dei loro giacigli. Ma
anche questi suoni, indice comunque di vitalità, erano sconosciuti nelle
vicinanze dell'antro di Remigio. Con questo non si vuole certo affermare
che il silenzio predominasse in quei luoghi, ma quando esso era
interrotto, non erano certo suoni di questo mondo a infrangerlo.
Non saprei come descrivere i tenebrosi guardiani che vegliavano sulla
tranquillità del negromante. Sono quasi sicuro che fossero demoni, ma
non posso dirlo con certezza: il Ladro d'Anime non è stato prolisso
quando l'ho interrogato sulle vicende che non mi hanno visto
direttamente testimone, né le fonti scritte a cui ho fatto riferimento
hanno potuto estinguere il fuoco della mia curiosità (con mia somma
sorpresa visto il carattere specialistico di alcune di esse). Mi
comporterò comunque come se lo fossero. Ormai i miei lettori
conosceranno la stranezza e la sfacciataggine tipiche del carattere del
mago e non fu certo proprio di chi agisce da timido il suo ingresso in
quella piana desolata. Il rombo che accompagnò la sua apparizione non
era, infatti, un effetto collaterale della magia che aveva evocato e i
guardiani, inoperosi ormai da lunghissimo tempo, si riscossero a quel
suono di sfida decidendo di palesare la loro presenza a quell'impudente.
Le minacce e le facezie prima di uno scontro non rappresentavano certo
il loro naturale modo di agire: avrebbero potuto attaccarlo
improvvisamente, come spinti dall’alito del vento, ma qualcosa in quello
sconosciuto li trattenne. Forse percepirono il potere insito in
quell’essere o forse erano semplicemente divertiti o meravigliati dalla
sua baldanza. Il mago non era affatto ignaro di quelle presenze e
sperava appunto che decidessero di mostrarsi: nonostante la sicurezza
che affettava conosceva fin troppo bene i pericoli che un duello contro
simili creature comportava, senza contare che risentiva ancora
dell’ultimo scontro che aveva dovuto sostenere.
Gli esseri gli apparvero infine con le sembianze di volute di fumo:
all’apparenza esili e inconsistenti, ma nell'arte arcana le apparenze
spesso non coincidono con la realtà e quello era forse un caso da
manuale di quell'assioma.
“Chi sei tu, mortale, che osi entrare nella dimora di Remigio il
maledetto?” domandarono con un tono quasi sussurrato e sibilante.
“Vi basti sapere che sono conosciuto come il Ladro d'Anime.”
“È dunque così che vuoi essere ricordato nella tua epigrafe tombale?”
“Non ho intenzione di morire e se mi attaccate non è detto che sia io a
soccombere.” poi quasi per un ripensamento aggiunse:
“E se davvero siete intenzionati a aggredirmi non voglio certo
facilitarvi il compito: conosco bene il valore e il potere che un nome
comporta."
"E perché mai non dovremmo risparmiarti? Il nostro padrone e carceriere
ce lo impone e se anche fossimo soggetti alle regole di questo mondo
nulla potrebbe dissuaderci dal nostro compito."
“Invece io credo ci sia qualcosa che desiderate, li contraddisse lui, un
bene così prezioso che è anelato da ogni essere mortale e immortale".
"E quale sarebbe questo bene?" domandarono in coro con una voce che ora
era più simile a un rombo.
“La libertà, che altro… io posso offrirvela… la volete?”
Gli esseri parvero riflettere sulle parole del mago e infine quasi con
un lamento affermarono:
“La vogliamo, la bramiamo, ma solo la morte del nostro carceriere
potrebbe concedercela.”
“E' appunto quello che ho intenzione di fare: fatevi da parte, dunque, e
lasciate che ponga fine al vostro triste servaggio. Il negromante è mio
nemico: lo affronterò e lo ucciderò, è un patto.”
“E se tu fallissi?” affermarono in coro dubbiosamente. “Molti, uomini e
demoni hanno tentato quello che tu ora ti proponi di fare, in che cosa
saresti migliore di loro?”
“Forse in niente,” affermò il mago. “ma una cosa sicuramente mi
differenzia dai miei predecessori: ho visto la mia morte e conosco
l'identità di chi me la concederà.”
E in tono minaccioso aggiunse:
“E non sarete né voi né il negromante i miei assassini. Se comunque
dovessi fallire?” continuò in tono più conciliante. “Che avete da
perdere? Non sarete certo in condizioni peggiori di questa, e al mago
potrete facilmente far credere di essere stati sopraffatti da me. Forse
addirittura riuscirete a ottenere delle benemerenze dal vostro padrone,
attribuendovi il merito di avermi indebolito alla vigilia del nostro
scontro.”
Il mago aveva ragione dopotutto, pensarono. Non che avessero la minima
intenzione di rispettare quel patto, sia chiaro: i demoni sono, per loro
natura, infidi e incostanti e chiunque avesse prevalso sarebbe stato
vulnerabile per lo sforzo e le ferite. Se fosse stato Remigio, avrebbero
potuto sfogare l’odio che da tempo covavano nei suoi confronti
uccidendolo se, invece, quel mago fosse uscito vincitore lo avrebbero
ucciso ugualmente, senza rancore, è ovvio.
Il Ladro d’Anime, dovette attendere qualche minuto, ma non ricevette
risposta, almeno non la ricevette a parole: i guardiani semplicemente
lasciarono libero il campo. La torre, ma sarebbe stato più corretto
definirla uno spuntone di roccia, era una ben misera dimora per chi
ambiva al dominio del mondo, ma era forse la cornice ideale per un
sovrano dei morti che presto avrebbe condiviso la loro sorte. Il portone
d’ingresso non faceva certo eccezione: il legno marcio e soprattutto i
cardini arrugginiti facevano pensare che esso non fosse usato da anni,
anche se in fondo un essere soprannaturale può utilizzare altri sistemi
ed era chiaro che questa procedura era seguita normalmente anche dai
servitori di Remigio. Il Ladro d’Anime preferì utilizzare mezzi
convenzionali, e con un energico calcio ridusse in trucioli gran parte
del legno fradicio di quell’antico accesso, gettando nello sconforto e
nel terrore i pochi e inadeguati guardiani che si trovavano all’interno.
Con gesti lenti e fin troppo misurati dalla rigidità della morte quelle
parodie di uomini cercarono di reagire, ma tutto fu vano: la loro
presenza, la loro incapacità era una chiara testimonianza del fatto che
Remigio non aveva previsto che qualcuno sarebbe stato in grado di
penetrare nel suo rifugio. Per quanto l’opposizione che manifestarono
risultasse inutile, i rumori di lotta confermarono al negromante quello
che i suoi sensi gli avevano già segnalato: il mago, con tutto il suo
tremendo potere era arrivato, ma avrebbe avuto una bella sorpresa, pensò
pregustando il momento del loro incontro.
Si sentiva di nuovo sicuro e invincibile con quella straordinaria forza
che aveva imparato a controllare, ma il druido sapeva meglio del
negromante a quali rischi si era esposto per apprenderla: già le prime
esperienze con quella strana energia avevano seriamente incrinato gli
incantesimi che permettevano a Remigio di conservare inalterato il
proprio aspetto, e fu la sua capigliatura corvina a mostrare i primi
sintomi di senilità. Il negromante, però, ebbro di quel nuovo potere,
pareva insensibile a quei cambiamenti, che probabilmente erano stati
così impercettibili da non mettere a repentaglio nell’immediato la sua
salute fisica. Ma cosa sarebbe successo quando lo scontro avrebbe
costretto Remigio a compiere sforzi più gravosi? Il druido non ebbe
tempo per riflettere ulteriormente sulle conseguenze delle proprie
azioni, perché Remigio, con fare deciso, si allontanò dalla sala del
trono per affrontare il mago ed egli dovette seguirlo. Le grida
impotenti dei suoi servitori, agghiaccianti a sentirsi quasi come se
provenissero da persone vive, erano insieme ai passi dei due, gli unici
rumori udibili in quell’edificio tetro e desolato. Corridoio dopo
corridoio, stanza dopo stanza, i rumori di lotta si facevano più intesi
e vicini fino a cessare del tutto proprio pochi istanti prima che
Remigio e il druido arrivassero nel locale d’ingresso. Ai due, una volta
entrati, si prospettò uno spettacolo veramente terrificante:
Ossa e arti umani giacevano disordinatamente sul pavimento, benché
difficilmente qualcuno avrebbe potuto riconoscere degli uomini da quei
resti.
Vedendo arrivare il negromante, il Ladro d’Anime sorrise:
“Finalmente ci conosciamo e vedo anche che mi hai risparmiato la fatica
di venirti a cercare.”
Il mago, tuttavia, rimase senza parole quando riconobbe l’accompagnatore
del negromante, sembrava nello stesso tempo sorpreso e soddisfatto di
vederlo lì, ma egli dovette ben presto badare a ben altro, dal momento
che Remigio non perse tempo a rispondergli, e lo attaccò immediatamente:
una nuvola scura, simile al vortice con cui il Ladro d’Anime aveva
annientato la prima armata soprannaturale, scaturì dalle sue dita e si
scagliò con violenza inusitata contro il mago, che si difese
affannosamente creando una barriera. Attacco e difesa erano
l’espressione della medesima forza e come tale si annullarono
reciprocamente.
“Come fai a conoscere la mia dottrina nera?” domandò meravigliato e
sorpreso il Ladro d’Anime.
I due iniziarono un furioso duello fatto di attacchi e risposte, di
incantesimi e contro incantesimi in un climax ascendente che costrinse i
due, gradualmente, a innalzare il livello del loro potere
all’inverosimile. Entrambi, stanchi e sfibrati, si concessero infine una
pausa per riprendere fiato. Attorno a loro c’era la devastazione più
assoluta e a stento il druido era riuscito a salvarsi facendo ricorso
anche ai suoi poteri per farlo. Fortunatamente per lui, i flussi
contrapposti che provenivano dai due contendenti tendevano a elidersi
vicendevolmente, ed egli subì solo indirettamente gli effetti della
forza distruttrice che emanava da loro. Nonostante questo fu spesso in
pericolo. e comprese che se fosse stato vivo, le ferite che avrebbe
ricevuto sarebbero state tali da ucciderlo. Quell'interruzione fornì
anche a lui una provvidenziale occasione per riprendere le forze e
analizzare la situazione. Remigio e il Ladro d'Anime sembravano in
parità, ma il negromante aveva già iniziato a subire più del suo
avversario gli effetti nefasti del potere che stava evocando.
Resisti ancora un po'. Pensò il druido rivolto a Remigio, e ancora una
volta si chiese come quel mago riuscisse ad assorbire così bene gli
effetti collaterali della sua magia.
Notò, però, che anche il Ladro d'Anime questa volta sembrava più provato
del solito. Il suo respiro era affannoso, il suo incedere più esitante,
come se avesse dovuto compiere uno sforzo fuori dal comune. Forse
Remigio rappresentava per lui un avversario più impegnativo di altri e
per questo aveva dovuto ricorrere a risorse che forse avrebbe preferito
non utilizzare. I due si stavano squadrando ancora: pensava che si
sarebbero detti qualcosa, ma neanche allora sprecarono inutile tempo in
chiacchiere, le loro mani si unirono in un abbraccio spasmodico e
ricominciarono a far appello ai loro poteri tentando di sopraffarsi a
vicenda. Una cappa di oscurità estinse ogni fonte di luce nella stanza e
le pareti diroccate dell'edificio esplosero permettendo al buio di
inghiottire la luce del giorno che ormai brillava nella piana circostante.
Era una visione nel contempo grandiosa e terrificante: sembrava quasi
che quei due cercassero di colmare la voragine oscura delle loro anime
con la sostanza del mondo. Il buio avrebbe reso impossibile a chiunque
una chiara visione dello scontro, ma il negromante e il mago non avevano
bisogno di vedere, e nemmeno il druido: le auree erano ben chiare ai
loro occhi e i due contendenti, in contatto fisico strettissimo,
sperimentavano le forze dell'altro provando sofferenza e dolore. Alla
fine Remigio urlò e il suo corpo lentamente iniziò a sfaldarsi, senza
che egli riuscisse a comprendere cosa stesse succedendo. Le braccia
furono le prime a disgregarsi, in modo indolore e quasi con sollievo del
negromante, dal momento che avevano interrotto il contatto con il mago e
il suo potere.
“Sei stato uno sciocco.” gli disse il Ladro d’Anime quasi con compassione:
“La dottrina nera è in grado di offrire risultati senza pari, ma
impone anche sacrifici severi. Credevi che mi sollazzassi frequentando i
campi di battaglia?”
“Non capisco” affermò con un filo di voce Remigio, che osservava con
panico crescente il diffondersi della distruzione sul suo corpo.
“L’energia delle anime, e non le anime stesse come molti credono, è
questo che mi permette di sopravvivere dagli effetti del potere che stai
sperimentando, ma non ne sono immune purtroppo.”
“Dunque è questo il tuo segreto. È in questo modo che riesci, nonostante
tutto, a mantenerti in vita...” intervenne il druido.
“È così, saggio maestro.” Affermò con una riverenza il mago,
inchinandosi leggermente di fronte a lui.
“La dottrina nera crea come un vuoto che assorbe ogni cosa: vita, luce,
forma, nulla è in grado di contrastarla. Con l’esperienza ho imparato a
impedire che danneggiasse il mio corpo, ma nulla ho potuto contro la
degenerazione da conduzione che essa provoca. L’energia degli esseri
senzienti, però, è cosi intensa che posso indurre in me un processo di
rigenerazione continua, ma un simile procedimento richiede molte, troppe
anime. Per mia fortuna, grazie alla stupidità umana, la materia prima
non mi è mai mancata e ora sono in grado in parte anche di accumulare un
surplus che mi permette di sottrarmi a quei disgustosi spettacoli di cui
parlavo.”
“Molto ingegnoso, lo devo ammettere. A quanto mi è dato vedere sei un
druido anche tu e i druidi dovrebbero essere in grado di fare fronte al
fenomeno di degenerazioni da conduzione di cui parli.”
“No, così non è, venni scacciato dal mio ordine prima che il mio
apprendistato fosse concluso.”
Lo disse in maniera atona, quasi come non gli importasse, ma qualcosa
nel suo modo di fare e forse nel suo sguardo (il suo volto rimaneva
sempre coperto alla vista altrui) lasciava trasparire con evidenza
l’amarezza e la tristezza che quell’avvenimento aveva generato. Tale
sentimento venne a galla chiaramente quando disse:
“Quegli stolti non hanno riconosciuto il valore della mia scoperta, mi
hanno scacciato come se fossi un lebbroso o un mendicante. Ho ottenuto
risultati inimmaginabili per la loro scienza, ma invece di onori e
riconoscenza sono stato trattato come un paria e un eretico.”
“Dunque mi stai chiedendo di ricevere quei precetti che i miei
discendenti e confratelli ti hanno negato? Non posso, e se anche ne
fossi in grado, non voglio farlo. Davvero pensi che la tua scoperta
fosse originale? Davvero credi che qualcuno non avesse già vagliato in
precedenza la strada che hai intrapreso? Ai druidi non è chiesto di
giudicare quale sia la forma di vita migliore, noi le rispettiamo tutte
a prescindere dal loro aspetto o caratteristica. La vita è dono degli
dei, non abbiamo diritto di toglierla anche se farlo ci procura dei
vantaggi. La malattia fa parte delle leggi della natura come la guerra,
è un metodo che gli dei hanno escogitato per controllare il numero delle
loro creature più intelligenti e pericolose: gli esseri senzienti.
Abbandonando per un attimo le questioni dottrinali e filosofiche non mi
è possibile aiutarti: i risultati che ottieni con la tua magia sono
direttamente proporzionali ai danni che subisci. Un druido non sarebbe
in grado di far fronte a simili carichi di potere e i sistemi che potrei
insegnarti risulterebbero completamente inefficaci.”
Deluso e arrabbiato il mago replicò:
“Temevo che questa sarebbe stata la tua risposta, ma dovevo comunque
tentare. A proposito di ciò che hai detto sulla vita e la natura
dimostri di essere preda delle stesse illusioni di chi mi ha scacciato:
per quale ragione gli dei, se esistono, ci avrebbero messo al di sopra
di tutte le creature, perché ci avrebbero dato l’intelligenza? Dovremmo
porre dei limiti alla conoscenza sulla base di sciocchi e vetusti
precetti?” poi in tono acido aggiunse:
“Ed è in nome della vita che sono stato scacciato e perseguitato, è in
nome della vita che mi sono state aizzate contro le folle ed è sempre in
nome della vita che tu hai macchinato il mio omicidio e il suo?”
guardando l’ormai agonizzante negromante.
“Sì, a volte si debbono scegliere vie drastiche per il bene generale
come, stagione dopo stagione, gli alberi devono essere liberati dei rami
secchi e malati per salvaguardare la pianta nel suo complesso.”
Remigio, pur nell’agonia della morte, aveva ascoltato con attenzione i
loro discorsi e con un filo di voce chiese al mago di avvicinarsi. La
distruzione del suo corpo era ormai in fase molto avanzata e dalle
spalle procedeva inarrestabile verso i suoi centri vitali. Il mago gli
si accostò e lui gli sussurrò alcune parole all’orecchio. Il Ladro
d’Anime a sua volta domandò qualcosa e la risposta giunse, se è
possibile, ancora più incerta e fievole e infine cedette alla morte e
spirò. Il processo che l’aveva ucciso non si arrestò nemmeno allora, e
si protrasse fino a che il suo cadavere non fu ridotto a un mucchio di
cenere.
Appena il loro padrone morì, tutti i servitori di Remigio iniziarono a
dissolversi: morti e demoni sarebbero tornati alle loro dimore
ultraterrene o avrebbero di nuovo condiviso il medesimo luogo.
Anche il druido iniziò a perdere consistenza e il suo corpo si ricoprì
di luce sperimentando di nuovo, dopo tanto tempo, la gioia e la
beatitudine del paradiso.
Il Ladro d’Anime sorrise a quella vista e iniziò a pronunciare alcune
arcane parole che interruppero immediatamente quel fenomeno.
Con il viso sconvolto il druido si guardò attorno sconsolato, quasi
cercasse qualcosa e infine comprese ciò che era avvenuto:
“Lasciami andare, maledetto, lasciami tornare a godere della beatitudine
eterna.”
“I desideri di un moribondo sono sempre stati sacri per me: Remigio,
prima di morire, mi ha riferito l’incantesimo negromantico che vincola
il tuo spirito a questo piano dell’esistenza. Mi sono permesso non solo
di ripristinarlo, ma anche di rafforzarlo: predicavi il rispetto della
vita quando eri su questa terra? Ora vi soggiornerai per l’eternità. Non
ti aggrondare: non patirai né fame né sete, non perirai di spada o di
malattia e non ti mancherà nemmeno la compagnia, ho provveduto anche a
questo. Voi, spiriti fedifraghi, credevate davvero che non conoscessi le
vostre vere intenzioni? Uscite allo scoperto, se avete ancora l’ardire
di attaccarmi.”
Ma quando gli spiriti apparvero con la chiara intenzione di aggredirlo
il mago pronunciò una parola di comando, anch’essa appresa dal morente
Remigio, ed essi furono tormentati da atroci sofferenze.
“È meno di ciò che meritate, larve traditrici!” esclamò il mago. Poi
rivolgendosi di nuovo al druido disse:
“Ti presento i tuoi carcerieri. Ora potrete fare lunghe e annose
discussioni sulle piacevolezze offerte dal Paradiso e dall’Inferno,
nessuno di voi ne godrà più”.
“Quello che hai fatto è proibito e verrai punito per questo!” esclamò
fuori di sé il druido.
“Se fosse proibito non potrei farlo, rifletti su questo negli anni che
verranno.”
Detto questo il mago diede gli diede le spalle, scomparendo, infine e
lasciando il druido alla sua disperazione.

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