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La guerra dei morti - 10 Capitolo

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Ladro d'Anime

unread,
Nov 12, 2022, 3:09:32 PM11/12/22
to
Gerard era un ragazzo introverso. Non lo era sempre stato, almeno fino a
quando fu in vita sua madre. Era una donna delicata la madre di Gerard,
delicata e cagionevole di salute. Era anche di ascendenza nobile. Ma,
come ben si sa, il destino di una famiglia è spesso legato a quello
dell’uomo di casa. Il padre di Gerard, nobile anch’esso, serviva
nell’esercito di Milasia e morì in uno dei tanti eventi bellici che
sconvolsero il regno. La moglie, non avvezza agli affari e incapace di
seguire le orme del marito, dovette dunque abbandonare la vita agiata.
Una delle mansioni di una donna di buona famiglia era, però, la
tessitura e la madre di Gerard era molto abile in questo. Le sue dita
lunghe e sottili le donavano in quell’arte un’agilità straordinaria e
per alcuni anni fu quest’abilità a far vivere dignitosamente lei e il
figlio. Una notte Gerard si svegliò: alcuni rumori lo avevano destato.
Sentì ancora qualcosa: un’anfora caduta gli parve. Egli sapeva che la
madre lavorava spesso fino a notte inoltrata, ma mai aveva sentito
rumori simili a quelli che stava udendo.
Scostò le coperte con forza e si diresse in cucina dove trovò la madre a
terra, in preda al delirio. Quando la toccò si accorse che era madida di
sudore e scottava per la febbre. Con fatica la trascinò verso il suo
letto, attinse al pozzo dell’acqua e cercò di darle un po’ di sollievo
dall’arsura rinfrescandole il volto. La vegliò per due giorni senza mai
mangiare e dormire, ma nella notte del secondo, dopo aver gridato
un’ultima volta, spirò.
Gerard non poteva permettersi le spese di un funerale e la tomba di
famiglia a cui avrebbe avuto diritto nella necropoli cittadina era stata
pignorata dai creditori. La notte successiva, quindi, Gerard rubò un
carretto e trasportò il corpo della madre fino alla necropoli che era
costruita appena fuori città. Il portone era chiuso e dopo aver avvolto
il corpo del genitore in un lenzuolo la seppellì fuori dal muro di
cinta. Sarebbe stata più vicina agli dei, pensava, vicina al luogo dove
riposavano gli eletti…
Quell’episodio diede inizio anche alla sua nuova attività: scoprì,
infatti, di poter sfruttare in altra maniera le dita agili che aveva
ereditato dalla madre. All’inizio, per sfamarsi, si limitò a piccoli
furtarelli nel mercato cittadino: un frutto, un filone di pane, una
salsiccia. Arrivò, infine, a comprendere che poteva ottenere ben di più
occupandosi delle ben pasciute sacche dei cittadini che lo frequentavano.
Nessuno però in città ruba senza il permesso della Gilda e dopo alcune
giornate di intensa attività il ragazzo venne rapito da due nerboruti
ladri e portato alla presenza del decano dell’associazione, un vecchio
di nome Rumir noto con il nomignolo di “rubizzo” per la sua carnagione.
Il vecchio prese quasi subito in simpatia il ragazzo e lo scelse come
apprendista riconoscendone le innate doti di ladro.
In questo modo cominciò la carriera di Gerard, ma nonostante la sua
nuova esistenza fosse piena di emozioni, i suoi pensieri andavano spesso
alla madre e alla sua vita precedente. Il vecchio Rumir sorprendeva di
frequente il ragazzo mentre fissava un punto indistinto e non
comprendeva appieno le ragioni di quel comportamento.
Una notte Gerard decise, infine, di confidarsi:
“Questi anni mi sembrano un incubo Rumir.”
“E perché mai?” rispose il vecchio perplesso. “È vero, siamo costretti a
vivere nell’ombra, dobbiamo agire spesso di notte. Ma preferiresti
essere un contadino? Piegato tutto il giorno su un aratro? Sporco di
concime e sudore? E credi che gli astuti mercanti che derubiamo siano
più onesti di noi?”
“Non è questo Rumir, ma…”
“Dimmi che ti passa per la testa, ragazzo: ti vedo assente, distratto e
durante il lavoro non è una buona cosa. Sappilo!”
“È che io… mi manca, capisci? Mia madre intendo.”
“Ah, allora è questo quello che ti affligge.” guardando con comprensione
il ragazzo.
“Gerard, non devi pensare a quello che hai perso, ma a quello che hai
avuto e che ancora possiedi. Guarda me, ad esempio: io non ho mai
conosciuto mia madre, sono orfano dalla nascita e quando avevo più o
meno la tua età avrei dato tutto per conoscere i miei genitori. Cerca di
non affliggerti per lei. Quando verrà il momento la incontrerai nel
regno dei morti.”
Quella frase rimase impressa nella mente del ragazzo, ma credeva che
quel momento fosse lontano, quasi irraggiungibile tuttavia, un giorno…
“Hanno sconfitto Galdor e il suo esercito! I morti stanno arrivando in
città!” Urlava come un ossesso un uomo.
Gerard, ormai ventenne, ripensò dopo tanto tempo alle parole di Rumir e
la luce della speranza si accese nel suo cuore. Quella notte stessa
sgattaiolò fuori dalle mura, da un’ uscita che solo i ladri conoscevano.
Senza un cavallo cercò di raggiungere la necropoli cittadina che distava
alcuni chilometri da Milasia. All’inizio correva, poi prese a camminare:
doveva raggiungere il prima possibile il sepolcro della madre, ma cosa
avrebbe incontrato?
Finalmente in lontananza vide una luce, una luce verdastra che
illuminava la necropoli
Cosa poteva essere successo? Che fosse l’incantesimo del Negromante, di
quel Remigio a causare tutto questo?
Si avvicinò in maniera più circospetta e vide decine, centinaia di
sagome in movimento.
Con tutto il fiato di cui disponeva urlò: “Madre!”
Quei cadaveri, udita la voce, si diressero verso Gerard con un passo
malfermo e pesante. Quando furono a circa una decina di metri da lui
egli vide una donna, che sembrava, sembrava...
“Madre!” chiamò ancora.
Il suo corpo era corroso dalla putrefazione e quasi irriconoscibile: il
lenzuolo, uno di quei bei lenzuoli ricamati che solo lei sapeva
confezionare, la fece riconoscere agli occhi del figlio. La donna guardò
per un attimo i cadaveri che l’attorniavano e loro, come sottoposti a
comando, si fermarono dietro di lei. Quando Gerard, con il volto rigato
di lacrime, abbracciò la madre non sentì l’odore penetrante del suo
corpo e non si preoccupò dell’aspetto lacero della sua carne… ma non
senti nemmeno i denti della donna fare a brani il suo collo.

Il ladro Rumir denunciò la sparizione del ragazzo al Bargello della
città. Conoscendone i turbamenti ipotizzò anche quale potesse essere
stato il suo destino. Ho ricostruito questo episodio in base al rapporto
dell’accaduto redatto dalle autorità. Ma torniamo agli eventi centrali
di questa storia.
Chi sta leggendo giudicherà, forse, i miei interventi un po' troppo
invadenti: mi preme, però, mettere in chiaro che questa è un'opera
storica e non l'apologia di un uomo, per quanto notevole egli sia o sia
stato. La traformazione dello studioso mi apparve allora come adesso del
tutto insensata, benché scaturita da una provocazione dell'anziano
accademico. Il Ladro d'Anime, insomma, con la sua imprevedibilità e
incostanza era capace nella stessa misura di gesti di grande umanità e
giustizia, ma anche di meschine cattiverie, che, nella maggior parte dei
casi, definirei delle vere e proprie birbonerie per lo stesso modo
infantile, fatto di rimpianto e pentimento, con cui ne parlava in
seguito. Il tutto era comunque immancabilmente contornato dal suo
sadismo e dal suo truce umorismo che egli amava sfoggiare in ogni
occasione dal momento che, rivelò, prima di allora aveva avuto ben pochi
spettatori per cui esibirsi. Balar, investito del comando dei difensori
della città, aveva ben altre preoccupazioni che occuparsi di
quell'oscuro giullare. Il mago gli divenne ben presto insopportabile in
quei giorni in cui tutti, oramai, aspettavamo l'arrivo dei morti di
Remigio con la fondata possibilità di ingrossarne le fila. Non mi pare
il caso soffermarmi, in questa sede, a descrivere gli eventi
insignificanti che accaddero in quel periodo e i piccoli incidenti
scaturiti dai bizzarri comportamenti del mago. Bisogna dire però, che
tali avvenimenti sortirono l'effetto di aumentare la diffidenza e la
sfiducia della corte e della popolazione nei suoi riguardi. Soprattutto
quest'ultima, che si era abbandonata in manifestazioni di giubilo una
volta saputo del suo arrivo, ora non si faceva più troppe illusioni su
di lui e il suo atteggiamento provocatorio e il suo disprezzo non
facevano che peggiorare la situazione. Il momento tanto temuto giunse
pochi giorni dopo, all'alba.

“Arrivano, Arrivano !” urlarono alcune sentinelle
Le campane di allarme suonarono con rintocchi frenetici, anche se questo
segnale risultò superfluo. Da lontano , insieme al debole chiarore del
sole, l’alba era contornata dall' orrida luminescenza verdastra dei
fuochi fatui che i morti in avanzata emanavano e il lezzo acre dei loro
corpi, nella maggior parte dei casi ridotti a cumuli informi di carne
putrescente, rendeva l’aria irrespirabile. Le mura si riempirono di
soldati e curiosi, entrambi vittime di sentimenti assai diversi. Alcuni,
infatti, si abbandonarono a pianti e gemiti, altri, invece, ammutoliti
da quello spettacolo, sembravano quasi schiacciati e increduli di fronte
al destino che li attendeva. Attirati dalle grida concitate della gente
io e il mago ci affrettammo a raggiungere il generale sulle mura. Quando
il mio sguardo si posò sulla piana sottostante, quasi mi mancò il
respiro. Da ogni parte avanzavano migliaia e migliaia di cadaveri,
alcuni privi di armature, altri dotati di armi rugginose e consunte,
miseri resti di antiche battaglie, altri ancora sfoggiavano dotazioni
all'apparenza recenti, benché sporche e chiazzate di sangue. Con un
brivido riconobbi numerosi reparti di soldati nicasiani: da anni i regni
di Milasia e Nicas erano acerrimi nemici e io, come tutti i Milasiani,
nutrivo nei loro confronti odio e disprezzo, ma non avrei mai augurato a
nessuno di loro una fine simile. La loro presenza era, dunque, una
chiara testimonianza della fondatezza delle congetture del mago sul loro
sterminio. Per somma sfortuna, quella sfilata di orrori non era ancora
terminata: Remigio, forse con intenti provocatori, o per sventare
l'azione violenta dei difensori, aveva collocato all' avanguardia un
folto gruppo di morti Milasiani: ne facevano parte numerosi soldati di
Galdor e forse lo stesso defunto generale (mi parve, infatti, di
riconoscerne lo stendardo) ma anche moltissimi civili uccisi durante
l'avanzata dell'armata soprannaturale e alcuni cadaveri evocati dalla
necropoli posta poco fuori le mura. Ormai quei morti erano così vicini
che alcuni di coloro che si trovavano sugli spalti iniziarono a
identificarli:
chi invocava il nome del figlio, chi del proprio padre o della propria
madre, chi del fratello o del proprio marito, ma ogni richiamo risultò
vano. Essi avanzavano all'apparenza privi di ogni raziocinio, con passo
lento e barcollante e lo sguardo vacuo e solo la loro voce, un perenne
lamento, tradiva la sofferenza di un risveglio forzato.
Il Ladro d'Anime, anch'egli assorto da quello spettacolo, commentò
rivolgendosi verso di me:
"Certo che sono proprio rivoltanti, non trovi?"
Io, che non mi sentivo davvero in vena di scherzi risposi:
"Perché siamo arrivati a questo punto? Mi aspettavo che sarebbe partito
prima dell'arrivo dei morti. Non ha forse detto lei stesso che,
sconfitto il negromante, i cadaveri non avrebbero rappresentato più un
problema?"
Egli, osservandomi con sarcasmo, rispose:
"Mio caro ragazzo, non è tutto così facile come lo fai apparire.
Innanzitutto ignoro dove Remigio si sia rifugiato: i maghi del suo rango
non si abbassano certo a guidare direttamente un'armata simile; inoltre,
egli, come me, è in grado di dissimulare la sua aura. Ammetto che mi
sarei aspettato una sfida da parte sua, ma forse ha giudicato più
prudente aspettare per conoscere le mie reali capacità prima di
affrontarmi o forse intende affidare questo compito a uno dei suoi
famigli. Senza contare che, da soli, non riuscireste mai a tenere le mura."
Mentre stavamo parlando l'armata interruppe la sua marcia fermandosi
appena fuori l'area di tiro delle macchine belliche. Il generale, che
con ordini bruschi e decisi aveva allontanato i curiosi e aveva riscosso
i difensori dal loro stupito torpore, intimò ai soldati di non
attaccare, se non al suo ordine.
La quiete immobile di quegli attimi concitati venne scossa da un
episodio: un gruppo di morti, protetti dalle insegne di tregua,
arrivarono, infatti, fin sotto le mura, staccandosi dal grosso
dell’armata: li capeggiava un alto colosso in armatura e gli esseri che
l'attorniavano erano, all'apparenza, la sua guardia del corpo,
disponendo di armi della medesima foggia. Insieme a loro, un po' in
disparte, procedeva una figura che io identificai immediatamente come un
mago, dall’aspetto delle sue vesti e dalle rune incise su di esse. Lo
indicai al Ladro d'Anime dicendo:
"Guardi quell'uomo, non è forse Remigio?"
"No, non è lui" mi rispose, e fissando lo sguardo su quel gruppetto disse:
"Non sono comunque uomini comuni."
"Popolo di Milasia!" sbottò l'alta figura in armatura con voce
incredibilmente stentorea. "Di fronte a voi si erge l'infinita potenza
del mio padrone, il grande Remigio: arrendetevi subito e avrete salva la
vita, seppiatelo. Guardatevi attorno, la vostra inferiorità è palese
come è palese il vostro destino se non accetterete la mia proposta."
Il re, dagli spalti, appariva più che mai indeciso e spaventato, come lo
erano, del resto i suoi consiglieri, i quali, per ironia della sorte,
osservavano soltanto ora con i loro occhi una guerra che in precedenza
si erano limitati soltato a fomentare da lontano.
"Un patto così scellerato sarebbe meglio metterlo per iscritto, dal
momento che non mi pare che i precedenti siano stati in alcun modo
onorati." intervenne il Ladro d'Anime con la voce rafforzata da un
incantesimo.
"Questa gente," riprese "gode della mia protezione. Sono io, ora, a
intimarvi di andarvene e abbandonare questo luogo. I morti non
dovrebbero aggirarsi sulla terra che è il luogo dei vivi. Se non
accetterete le mie profferte di pace a parole, sarò ben lieto con i
fatti di restituirvi alla pace eterna che godevate."
"Pazzo!" urlò l'essere in armatura. "Per quanto potente tu sia, mago,
non puoi certo affrontare un simile esercito da solo."
"Vuoi dunque opporre la quantità alla qualità?" affermò beffardamente il
Ladro d'Anime "Per citare un antico condottiero: più la messe è folta e
più facile è falciarla."
"A parole te la cavi egregiamente!” affermò caustico l'essere. “ma
simili smargiassate ti serviranno a ben poco tra breve."
"Perché rimandare a dopo ciò che può essere fatto subito?" disse il
mago. "Contempla, dunque, sciocco, il potere a cui hai pensato di opporti."
Per un attimo temetti che avrebbe attaccato il piccolo drappello
violando così le convenzioni di tregua, ma egli rivolse le sue
attenzioni all' esercito schierato alle spalle di esso. Distese una mano
dalla quale scaturirono una miriade di rutilanti puntini scuri simili a
granelli di sabbia. Ben presto quella nuvola indistinta si tramutò in un
immenso vortice, che avrei giurato avesse la forma contorta di un
serpente o di un drago e si scagliò con violenza inaudita sulle prime
file dell'esercito in attesa, generando un terribile schianto. A
contatto con i cadaveri il vortice si dissolse a macchia d'olio
polverizzando tutto quello che incontrava: metallo, vesti, ossa, carne
senza distinzione alcuna e con il solo visibile effetto di rendere più
fitta quella tempesta di polvere nera. In men che non si dica, dunque,
dell'esercito dei morti non c'era più traccia e anche quella polvere
magica, non incontrando più alcuna resistenza, si dissolse pian piano
nell'immensità della piana. Solo un candido lenzuolo, come un ideale
sudario, aleggiò per un attimo sul campo di battaglia, cadendo sul
terreno. Il mago guardò per un attimo quella stoffa, che aveva resistito
inerte alla forza della sua magia, poi si limitò a scrollare le spalle e
, con la voce colma di ironia sentenziò:
"Cenere alla cenere... riposate in pace."
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