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La guerra dei morti -Epilogo

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Ladro d'Anime

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Dec 26, 2022, 11:15:34 AM12/26/22
to
Siamo arrivati alla fine del racconto: come ho detto l'ho pubblicato in
onore di un passato che purtroppo non tornerà più. Il mondo dei
newsgroups, dove si poteva parlare di tutto con tanti utenti
interessanti, purtroppo non tornerà più, ma non vedo analoghi sostituti
nemmeno nei forum e su Fb che ho freqeuntato successivamente. Se volete
darmi una parere sul racconto, la mia mail è reale. Un saluto a tutti.

Molti anni dopo, il Ladro d'Anime ebbe modo di entrare di nuovo la
città. Si accodò al fiume di visitatori che, da ogni dove, giungevano
per scambiare i loro prodotti e ammirare i templi e i monumenti di
Milasia. Ogni traccia dei passati conflitti era scomparsa e solo le mura
di cinta, in certi punti sbrecciate e annerite, testimoniavano che il
periodo di pace che si godeva rappresentava solo una brevissima
parentesi nella lunga storia del regno. Nemmeno i soldati a guardia
delle porte davano l'impressione di aver mai combattuto: le loro corazze
chiazzate di ruggine e i loro mantelli sdruciti denotavano un lassismo
tale che sarebbe stato intollerabile presso un esercito efficiente e
sicuramente il generale Balar, a suoi tempi, non l'avrebbe permesso.
Nonostante la loro rilassatezza, quelle guardie avevano evidentemente
un'idea assai amplificata del loro ruolo. I mendicanti venivano
malmenati e scacciati e ai ricchi mercanti erano imposte bustarelle
molto esose come una sorta di tassa di transito.
Quella mattina, pensò con irritazione una di queste sentinelle, sembrava
però che in città fossero giunti soltanto degli straccioni. Nessuno che
fosse degno di essere derubato o picchiato. L'unica cosa che poteva fare
era crogiolarsi a quel debole sole mattutino godendo delle episodiche
brezze che attraversavano la piana. Una bella abbronzatura, pensava,
avrebbe giovato al suo aspetto e forse, aggiunto all'indubbio fascino
del suo ruolo, gli avrebbe fatto ottenere quel favore femminile che da
tempo gli mancava. Tutto sommato si sentiva bene: anche l'ozio aveva i
suoi vantaggi, dopotutto. L'unico neo in quell'idillio era rappresentato
da una fastidiosa unghia incarnita che da un po' di giorni lo
infastidiva. Una rozza fasciatura copriva il pollice del piede e il suo
lento pulsare quasi scandiva il passaggio del tempo. E fu proprio
l'improvviso tepore che si diffuse in quell'appendice a riscuoterlo:
quando abbassò gli occhi, vide un cane che aveva urinato ai suoi piedi
infradiciando la fasciatura.
Con rabbia lo scacciò e cercò pieno di furore il suo padrone: qualcuno
avrebbe pagato per quell'affronto.
“Vieni qua Nicia!” sentì dire da un uomo. “Non disturbare il sonno di
quella guardia.”
Come osava prendersi gioco di lui? Pensò la sconcertata sentinella:
quello straniero, evidentemente non sapeva con chi aveva a che fare, ma
lo avrebbe compreso presto a proprie spese.
“Ehi tu, è tuo quel cane?” urlò la sentinella volteggiando
minacciosamente tra le mani il bastone che aveva in dotazione.
“Sì signore.” disse lo sconosciuto. Il suo aspetto lasciava credere che
fosse un druido, anche se gli appartenenti a quell'ordine, di solito,
non erano avvezzi a coprirsi completamente il volto.
“Vogliate scusare il mio Nicia, messere, ma probabilmente la vostra
immobilità gli ha fatto pensare che voi foste un albero. Sa, ormai è
molto anziano e non ci vede più tanto bene.”
“Avresti dovuto pensarci prima e trovare un altro posto per far fare i
bisogni al tuo cane.”
“Che vuole dire messere?” rispose con divertimento lo sconosciuto. “Che
in questa civilissima città avete dei vespasiani anche per gli animali?”
“Basta così ! Ho sempre odiato le persone che si credono spiritose,
vediamo se quando avrò finito avrai ancora voglia di ridere.”
Lo straniero sembrava non preoccuparsi di ciò che sarebbe avvenuto e
attese la minacciata battuta con le braccia conserte.
“Che succede qui?” li interruppe una voce.
La sentinella immediatamente riconobbe chi aveva pronunciato quelle
parole: era il suo capitano. Quel rompiballe arrivava sempre nei momenti
meno opportuni, pensò, e sembrava quasi specializzato nel togliere il
divertimento a persone come lui. Cosa ancor più grave a parole odiava a
morte la corruzione, anche se tutti sapevano che era solo una facciata e
ambiva ad accaparrarsi di ogni emolumento illegale che i suoi uomini
potevano mungere dagli stranieri. Ovviamente adesso quel porco avrebbe
salvato il presunto druido dalla meritata punizione, dietro compenso, si
intende.
A differenza del suo sottoposto sfoggiava un armamento ben curato: era
abbastanza anziano da aver combattuto la “guerra dei morti”, e amava
indossare le decorazioni ottenute in quel conflitto. In effetti, in
gioventù, era stato coraggioso e lo aveva dimostrato innumerevoli volte,
benché adesso di quel coraggio rimanesse solo una parvenza e quel
vecchio parassita desiderasse soltanto arricchirsi il più possibile
prima della meritata pensione.
Egli si avvicinò ai due, ma quando ebbe modo di squadrare meglio lo
sconosciuto si paralizzò terrorizzato:
“Tu… Tu… puoi passare.” disse con voce tremante.
La sentinella era stupefatta: non solo il suo superiore gli aveva
sottratto l'occasione di vendicarsi, ma non aveva nemmeno chiesto denaro
per farlo.
“Ma capitano!” osò protestare infine quando lo straniero si fu
allontanato. “Quell'uomo si è preso gioco della dignità del nostro
esercito, lui…”
“Taci, idiota!” lo interruppe. “Hai idea dell’identità di chi hai fermato?”
Quando la sentinella scosse il capo continuò:
“Era il Ladro d'Anime, avrai sentito parlare di lui….”
“Vuole dire quel Ladro d'Anime?” disse incredulo il soldato. “Ma allora
quel cane…”
“Che fai lì impalato, vai a palazzo e avverti del suo arrivo gli uomini
del re.”
Mentre correva a spron battuto la sentinella si accorse distrattamente
che il piede non gli faceva più male.
Quando il mago si fu allontanato dal grosso portone, guardò con severità
il cane e disse:
“Molto astuto il tuo tentativo di suicidio, ma non farlo mai più:
altrimenti le sofferenze che finora hai patito ti sembreranno ben poca
cosa rispetto a quello che ti farò.”
Il cane, a queste parole, uggiolò terrorizzato.
Gironzolando per un po' nei vicoli cittadini giunse, infine, nel foro
principale, dove campeggiava uno strano gruppo scultoreo. Vi era una
grande statua equestre che rappresentava il re Balar definito "vincitore
dei morti", davanti a lui c'era una figura a stento riconoscibile dal
momento che era completamente ricoperta da escrementi di uccello.
Sembrava quasi che quel personaggio tenesse le redini del cavallo e
fungesse da guida, ma a differenza della prima effige, era stata
evidentemente molto trascurata. Più a margine, c'era anche un terzo
personaggio: pareva uno scriba o uno scrivano, ed era stato
rappresentato seduto con le gambe raccolte intento a riportare qualcosa
su una tavoletta. Anche quella parte di monumento aveva subito l'offesa
degli uccelli, ma la cosa che colpì maggiormente il mago fu che la
statua era stata decapitata.
Era un vero e proprio mistero, quello, che doveva essere assolutamente
indagato e, quindi, si guardò attorno per cercare qualcuno che potesse
dargli informazioni. La piazza a quell'ora era ingombra di persone
intente nelle loro faccende, ma c'erano anche moltissimi mendicanti i
quali, essendo originari della città, erano evidentemente tollerati
dalle guardie. Molti di loro si atteggiavano a reduci di guerre mai
combattute per indurre in compassione i passanti, altri affermavano di
avere una prole sconfinata o esibivano cucciolate di cani con la stessa
finalità. Ma un uomo attirò la sua attenzione: aveva un aspetto
trasandato, ma la trascuratezza in lui sembrava non una espressione di
povertà, ma un voluto sfoggio di eleganza. Sedeva con dignità ai margini
di un negozio e canzonava i servi e i garzoni che si affannavano nella
piazza con i loro carretti: lui non aveva bisogno di lavorare, a
differenza loro. Aveva la battuta pronta e le sue facezie gli
garantivano sempre ampi guadagni. Le altre vittime preferite del
mendicante erano i sacerdoti, che giudicava dei concorrenti sleali
nell'arte di mendicare, perché raccomandati da entità invisibili. Di
fronte a quelle cassandre, assolutamente agli antipodi della sua
bonomia, amava affermare quello che qualche dotto avrebbe definito
“Carpe diem” ma che nella sua bocca rozza si traduceva, nel volgare
salace della città all'incirca così: “Magna bain e chega fort e n'avair
brisa pora dla mort” (Mangia bene e defeca forte, e non aver paura della
morte).
Quando il mago lesse il cartello che l'uomo aveva collocato di fronte a
lui, annuì con un sorriso, riconoscendo in quel mendicante quasi un suo
pari.
C'era scritto, infatti, con lettere chiare, ma incise in maniera
insicura:
"Accetto anche assegni di credito."
Camminò, dunque, verso di lui e una volta che gli fu innanzi gli disse:
“Ehi tu, ho qualcosa da chiederti.”
“Dit a me?” (Dici a me) rispose il mendicante in volgare.
“Sì dico a te.” rispose il mago che aveva già avuto esperienza con
quell’eloquio.
“Chi sono rappresentati in quelle statue?”
“An so brisa, ma crad che l'oman in pii fos un meg. Molt temp fa han
prouvé a tirerlarla zà, ma un oman è scapuzè par tera e se rat la gamba,
un'etar s'e' fat mel con la maza. Insama, porta iatta!!!”.
(Non so, ma credo che l’uomo in piedi fosse un mago. Molto tempo fa
hanno provato a tirarla giù, ma un uomo è caduto per terra e si è rotto
una gamba, un altro si è fatto male con la mazza. Insomma, porta sfortuna).
Il mago rise di gusto: sembrava quasi che il destino si divertisse ad
amplificare la sua sinistra fama e rispose:
“Pare che gli uccelli non siano dotati del medesimo discernimento.”
“S'et det?” (Cosa hai detto?)
“Ho detto che sembra che gli uccelli non abbiano paura della sfortuna.”
Questa volta fu il mendicante a ridere e rispose:
“Per anch a me” (Sembra anche a me)
“E l'altro?” domandò il mago
“L'etar l'è on ch'ha tradé. L'han ammazè dis an fa, me crad, parchè l'ha
det di broti cos a proposit del re” (L’altro è uno che ha tradito. Lo
hanno ammazzato dieci anni fa, io credo, perché ha detto delle brutte
cose a proposito del re).
“Povero Alassius,” gli scappò detto. “In fondo non sono privo di colpe
per il tuo triste destino.”
All'improvviso, però, ci fu un fuggi fuggi generale: un grosso gruppo di
armati si stava avvicinando e molti dei mendicanti avevano già afferrato
affrettatamente le loro cose per mettersi in salvo.
“Brota madona, a i'è tota la carovena!” (Brutta “Signora” c’è tutta la
carovana) affermò sorpreso il mendicante, osservando con orrore lo
spiegamento di forze che si stava dirigendo verso di loro.
Il mago non poté trattenersi e rise fragorosamente per quella splendida
imprecazione.
“Cretein!” affermò piccato lui. “A i'è brisa da redar” (Cretino, non c’è
nulla da ridere)
Quel drappello di soldati non era affatto paragonabile alle guardie che
il mago aveva incontrato all'ingresso: il loro armamento e i loro
sguardi decisi lasciavano pensare che quelle fossero le truppe di élite
del sovrano. Facendosi largo tra la folla rimasta, arrivarono fino a
loro e uno dei componenti di quel drappello, presumibilmente un maggiore
o un capitano, disse:
“Grande Ladro d’Anime, il mio signore, il potente Balar II, ti dà il
benvenuto nella città di Milasia e come promesso dal suo predecessore e
padre, ti offre la sua ospitalità.”
“Obbligato,” rispose il mago. “ma quella scultura mi dà un’idea molto
concreta di quella che potrebbe essere l’ospitalità del vostro signore.”
riferendosi forse più alla statua piena di sterco che lo raffigurava,
che all’effige del povero storico.
“Riferitegli, però, queste parole: il Ladro d’Anime onora sempre i suoi
debiti e riscuote sempre i suoi crediti. Il vostro re ha ucciso una
persona a me cara, ma non sarò io a riscuotere, sarà la stessa
popolazione a ottenere in mia vece la giusta vendetta. Il regno del
vostro signore durerà ancora pochi giorni.”
Il mendicante non capiva e anzi credeva fosse un millantatore perché gli
disse:
“Ma dai, cretein, di bain chi ti!” (ma dai, cretino, di loro chi sei)
Il mago, incurante di quell’offesa lo guardò con un sorriso e rispose:
“Non mi credi, allora, schernitore? Allora osserva…” E tendendo una mano
e pronunciando alcune parole, fece esplodere letteralmente la sua effige
proiettando in aria una miriade di frammenti di metallo; poi, con alcuni
di essi, modellò una nuova testa per la statua che raffigurava lo
storico defunto. Una testa piangente. Ai piedi della stessa campeggiava
anche una nuova iscrizione “Historia non solum magistra vitae et lux
veritatis sed etiam causa doloris est”. I soldati interdetti non
sapevano che fare, ma il loro comandante, infine, decise che era più
urgente informare il loro padrone di quella profezia sinistra e ordinò
di tornare a palazzo.
“Ma dit da baun” (Ma dici sul serio?) domandò il mendicante meravigliato.
“Ancora non mi credi? Non ti è bastata la dimostrazione?” domandò lui.
E il mendicante si affrettò ad annuire
Prima di andarsene, però, il Ladro d’Anime gli lanciò una moneta:
“Tieni, questa è per le informazioni.”
Il mendicante accettò di buon grado quel dono, soprattutto quando si
accorse che la moneta che aveva ricevuto era d’oro. Rimase, però, un po’
deluso: aveva, infatti, sempre avuto la convinzione che i maghi
conoscessero ogni cosa e che non avessero bisogno di intermediari:
chiunque, del resto, in città avrebbe potuto fornirgli quelle
informazioni, ma si guardò bene dal farlo osservare.
Il mago si diresse, poi, verso la biblioteca cittadina: per sua fortuna
la notizia della sua identità non si era ancora diffusa e grazie alle
indicazioni di alcuni passanti la trovò senza difficoltà. Nicia
arrancava ancora al suo fianco e quando un pignolo portiere intimò al
mago di lasciare fuori il cane dall’edificio, quest’ultimo si trovò
improvvisamente trasposto in una delle guglie più alte della città.
“Uomo dalla vista ristretta.” si limitò a commentare il mago dirigendosi
all’interno. Il bibliotecario, appena lo vide, lo squadrò con sospetto e
il suo sguardo si fece ancora più torvo quando il mago gli domandò di
consultare “La guerra dei morti” di Alassius.
Egli cercò di svicolare di fronte a quella richiesta. Quella era
un’opera scritta da un criminale politico. Tentò addirittura di
depistare quell’impudente lettore, offrendogli un’altra cronaca
dell’epoca più “politicamente corretta”, ma il Ladro d’Anime non cadde
nel tranello ed egli dovette cedere e gli consegnò un rotolo di papiro
rovinato e macchiato.
“Ora dovrebbe darmi i suoi dati per il modulo di prestito...” affermò il
burocrate.
“Il suo nome?” domandò
“Ladro d’Anime.”
Il bibliotecario iniziò a scrivere senza riflettere, ma poi si fermò ad
osservare nuovamente l’uomo che aveva innanzi, e infine comprese la sua
vera identità.
“Penso… che possa bastare” affermò con voce tremante.
“Ma come? Non mi domanda dove e quando sono nato, dove risiedo e altre
informazioni del genere?” chiese un po’ deluso il mago.
“Non è necessario, si giustificò il bibliotecario, quest’opera non è…
ehm… molto richiesta. Quindi non si dia pena di riconsegnarla
immediatamente.”
“La ringrazio, è stato molto collaborativo.” detto questo il mago uscì
dall’edificio.
Mentre camminava per strada lesse attentamente quella cronaca: ne notò
le pecche stilistiche e contenutistiche e rise del modo in cui l’autore
lo aveva descritto, ricordandosi di come la verità possa cambiare da
persona a persona. Ma in fondo, eccettuate alcune cadute di tono di
natura apologetica, quella era una narrazione abbastanza fedele dei
fatti che erano avvenuti.
Terminò, dunque, di leggere quel rotolo mentre si dirigeva verso le
porte della città e una volta arrivato all’ultimo capitolo lo riavvolse
e lo gettò in un cumulo di rifiuti al margine della strada. Egli non
aveva bisogno né di sculture né di aedi: che gli uomini lo ricordassero
come meglio credevano, lui sapeva chi era e la benevolenza altrui non
avrebbe certo mutato la sua natura. Il Ladro d’Anime, accompagnato dal
suo uggiolante compagno, se ne andò da Milasia senza attendere nemmeno
gli esiti dei nefasti presagi che aveva pronunciato: se ne andò verso
nuove avventure e forse verso nuove battaglie, dove sarebbe stato ancora
testimone della follia di chi pretende di giudicare. Lui, invece,
avrebbe sospeso il suo giudizio: si sarebbe limitato a sfruttare quella
stupidità per la propria esistenza.
Il rotolo venne raccolto da uno di quei tanti diseredati che affollavano
la città. Quel poveretto, vedendo da lontano lo scritto, sperava che
fosse di pergamena: avrebbe, infatti, potuto imbiancarla e trarne un
buon prezzo, ma quando si avvicinò rimase deluso:
“Puah, papiro, non serve a niente!” e stava già per andarsene, quando
venne improvvisamente colto da una necessità impellente.
Maledizione, pensò, questa maledetta dissenteria non fa che tormentarmi,
e con fare concentrato afferrò il rotolo per cercare un angolo
tranquillo dove sfogare la sua necessità.
La storia, forse, in quell’occasione, non sarebbe stata maestra di vita,
ma avrebbe avuto comunque una sua utilità.
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