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La guerra dei morti - 18 Capitolo

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Ladro d'Anime

unread,
Dec 4, 2022, 3:06:21 PM12/4/22
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Era notte a Milasia e la città con i suoi abitanti giacevano
profondamente addormentati con la parziale eccezione delle truppe sugli
spalti e delle ronde che vigilavano sulla sua sicurezza. Anche Arbil,
che aveva appena terminato il suo turno di guardia, cercava invano di
dormire, ma l’agitazione e la rabbia non glielo permettevano. A
differenza dei suoi commilitoni non aveva certo gradito i recenti
successi del Ladro d’Anime e si chiedeva se l'occasione tanto attesa
della vendetta, culminata dalla riscossione della sua agognata
ricompensa, sarebbe mai giunta. Era appena caduto nel dormiveglia,
quando una voce lo esortò a svegliarsi:
“È giunto il momento…”
Arbil si riscosse subito a quel richiamo e in maniera concitata iniziò a
vestirsi cercando di non svegliare i suoi commilitoni. Indossata la
cotta di maglia e afferrata la spada si apprestò a uscire, ma prima di
imboccare la porta ebbe un ripensamento.
Si diresse nella stanza attigua alle camerate dove si trovava un lavabo
e afferrato convulsamente un rasoio iniziò a radersi. Il suo nervosismo
era quasi tangibile e faticava a trattenere la lama tra le mani a tal
punto che il suo viso divenne ben presto irriconoscibile per i tagli, ma
lui non se ne preoccupò: nonostante tutto si sentiva impuro e sporco per
quello che stava per fare e questo era il suo modo per riacquistare
tranquillità.
Terminata quell’operazione uscì dalla stanza e di qui dagli alloggi dei
soldati e con sguardo allucinato si diresse verso la porta orientale
della città.
C’era la luna piena quella sera ed era forse la notte meno indicata per
progettare un attacco a sorpresa, ma se Arbil avesse avuto successo
nella sua missione ciò non avrebbe avuto importanza.
“Chi va là!” intimò una sentinella quando si avvide di lui
“È solo quel coglione di Arbil” disse un altro
“Ehi Arbil, che ci fai in giro a quest’ora della notte, sei a caccia di
fanciulli, sono loro ad averti malmenato?” domandò una terza guardia,
riferendosi ai tagli sul suo viso.
Poi, voltandosi ed esponendo beffardamente il posteriore disse con voce
da falsetto:
“Oh Arbil non mi fare la bua con la tua spada, riponila delicatamente
nel mio tenero fodero.”
“Ma quale spada.” aggiunse il primo soldato. “Sarà al massimo un
temperino.”
E tutti risero fragorosamente per quella battuta.
Arbil, se prima nutriva dei dubbi per quello che stava per fare, li
abbandonò subito, ma nascose bene l’odio bruciante che stava provando e
disse:
“Ehi, si trattano così gli amici, soprattutto quelli che offrono da
bere?”ostentando il mantello nel quale aveva occultato la spada.
I suoi compagni ritenendo, invece, che nascondesse un’anfora di vino,
lanciarono grida di approvazione e il soldato che lo aveva deriso arrivò
al punto di scusarsi con lui:
“In fondo sei una brava persona.” bofonchiò, ma ben presto quelle parole
gli morirono sulle labbra perché Arbil, estratta la spada dal mantello,
lo trafisse da parte a parte:
“Allora, che ne dici della lunghezza della mia lama?”
Gli altri soldati lo guardarono sorpresi e intimoriti, non riuscendo
nemmeno ad accennare una reazione e quando lo fecero si resero conto di
non poter tenere tasta alla sua rabbia e alla sua abilità. Sembrava che
Arbil fosse animato da una forza sconosciuta che lo rendeva invincibile
alle loro armi. Egli, dunque, ebbe facile gioco nell’eliminarli e iniziò
subito ad armeggiare con la sbarra che chiudeva il portone. Era molto
pesante e normalmente non sarebbe riuscito a sollevarla da solo, ma
l’innaturale forza che lo pervadeva gli permise anche questa impresa.
Una volta all’interno, spacciò in breve tempo le guardie poste
nell’interstizio che divideva la porta esterna da quell’interna. Il più,
dunque, era fatto: ora avrebbe dovuto spalancare il portone esterno e
avrebbe completato la sua missione, ma proprio mentre si apprestava in
quella operazione sentì un acuto dolore alla gamba. Un cane lo stava
mordendo con furia e nonostante i suoi sforzi per liberarsene l’animale
non accennava a mollare la presa. Non riuscendo a scrollarselo di dosso
afferrò la spada e gli inferse una profonda ferita alla schiena e il
cane perdendo sangue in gran copia, si accasciò sul terreno. Il povero
Nicia, un tempo Magnus non soffrì a lungo e non ebbe nemmeno la
soddisfazione di rendersi conto delle conseguenze del suo gesto: quel
breve ritardo aveva permesso, infatti, la salvezza della città.
Quando Arbil cercò di aprire di nuovo il portone trovò una figura alle
sue spalle che lo colpì con un violento manrovescio. Ritenendo che fosse
il Signore delle Illusioni disse:
“Perché mi percuoti, padrone? Non ho forse eseguito alla lettera le tue
direttive?”
“Dunque non è Remigio che ti manovra.” affermò il nuovo venuto ancora
avvolto nell’ombra, poi, avanzando verso di lui, venne illuminato dalla
luce delle torce che rese riconoscibile la sua figura.
La rabbia del Ladro d’Anime era evidente e l'emanazione del suopo
potere, più nera della notte stessa, eruttava dal suo corpo minacciando
di inglobare tra le sue spire lo sbigottito Arbil. Egli, ora, si trovava
nello stesso stato d’animo delle sue vittime non riuscendo nemmeno a
trattenere la spada tra le mani
“Ti prego...” biascicò tra le lacrime e i singhiozzi. “Abbi pietà!”
Senza degnarsi di rispondere il mago gli toccò la spalla. Un tocco
breve, freddo come la morte, e un gelo intenso gli attanagliò le membra
come se lentamente il calore prodotto dal suo cuore si stesse affievolendo.
“Dovresti considerarti onorato.” gli disse il mago. “Contro di te ho
usato il terzo livello della mia dottrina nera. Raramente qualcuno mi
aveva costretto a tanto. L’ho chiamato "Il buio consuma anima e corpo",
un nome evocativo, non trovi? Ovviamente mi sono premunito di attenuarne
gli effetti: voglio che tu lo assapori fino in fondo.”
A metà della frase Arbil non lo stava più nemmeno a sentire, il dolore
era talmente intenso che ormai non pensava ad altro che a urlare. Le
alte grida che proferì attirarono molti curiosi che rimasero inorriditi
di fronte a quella strage non riuscendo a capire né chi ne fosse
l’autore, né la ragione delle urla dell’uomo. Ben presto il suo corpo si
gonfiò a dismisura trasudando un icore dal miasma nauseabondo che
costrinse molti a coprirsi la bocca per non rimanerne intossicati.
L’agonia di quel folle durò molte ore e il Ladro d’Anime, insensibile
alle sue grida, si sedette a poca distanza da lui osservandolo
lentamente spegnersi. Quando il suo corpo divenne una massa informe di
carne e pus, segno evidente che la sua vita stava giungendo al termine,
gli si avvicinò nuovamente. La lucidità di Arbil da alcuni minuti,
ormai, stava vacillando, ma prima del trapasso egli parve averla
riacquistata per un attimo. A quel punto il mago gli disse:
“Muori pure tranquillo, l’inferno è pieno di gente pelosa.”
E la sua sadica risata fu l’ultima cosa che Arbil ricordò di questo mondo.
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