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I festini agricoli di chi ama gli immigrati

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Theo Gattler

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Sep 23, 2014, 11:25:49 AM9/23/14
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http://www.terrelibere.org/racconti/i-festini-agricoli/
L'ultimo dei cinque racconti scritti per RadioTre
I festini agricoli

di Antonello Mangano · · 20/09/2014

Provincia di Ragusa, serre a perdita d’occhio e latitudine a sud di
Tunisi. Buona parte dei pomodori che arrivano sulle nostre tavole si
produce qui. Magrebini e rumeni lavorano nelle serre. D’estate
diventano forni. Pieni di veleno. Uomini e donne. Vi sento distratti.
Diritti sul lavoro, un argomento noioso. Se invece vi parlo di
pomodorini, sesso e aborti? Ecco, ora vi sento più attenti. E cosa
sono i “festini agricoli” nelle campagne?



Ascolta su RadioTre Fahreneit

Ci sono donne che sfruttano altre donne. Sette giorni su sette, per
conto dello stesso padrone. La mattina delle caporali inizia alle
quattro. E anche la nostra. Un pulmino ci carica, siamo venti
ragazze, tutte rumene. Andiamo a raccogliere i famosi pomodorini di
Pachino o le zucchine nei tunnel, piccole serre alte 80 centimetri.
D’estate diventano una fornace. Un giorno pioveva e ci siamo
rifiutate. Allora la caporale, sicuramente molto ingenua, si è
rivolta al sindacato. È andata alla Cgil per chiedere aiuto: «Le
braccianti non vogliono lavorare per il fango che si è formato nei
campi». Il sindacato è intervenuto, ma ovviamente contro la caporale,
che non aveva idea di fare un’azione illegale. Per il suo “lavoro”
aggiuntivo guadagnava cinquemila euro l’anno, pagate dalla ditta, e
tanto le bastava.

Qui in Sicilia ci sono anche aziende del Nord. Pagano 40 euro al
giorno, ma a volte in ritardo e mai lo straordinario. Se arriviamo
tardi, il padrone detrae mezz’ora di paga oraria e per tre giorni non
ci chiama al lavoro. Sono furbi, questi del nord. Applicano il
contratto provinciale di lavoro di Chieti che prevede una paga più
bassa rispetto a quello del siracusano. Nell’agricoltura le
condizioni dei salari si stabiliscono su base provinciale, ma conta
la sede legale della ditta.

I guanti e le mascherine per ripararci dalle inalazioni dobbiamo
comprarceli da soli, il padrone ha stabilito così. Qualche anno fa è
morto un siciliano impegnato nella raccolta delle zucchine. Infarto,
ha fatto sapere l’azienda. Ma noi pensiamo ancora che è morto di
anticrittogamici. Li respiriamo spesso, dentro i tunnel di plastica.
A me, per fortuna, ancora non è successo niente. Anche se dovrei
controllarmi da un medico. Un giorno o l’altro devo andarci.

Vi sento distratti. Salute sul lavoro, un argomento noioso. Se invece
vi parlo di pomodorini, sesso e aborti? Ecco, ora vi sento più
attenti. Se vi parlo dei “festini agricoli”? Succede anche questo.
Siamo tante, partiamo dall’Est e veniamo a lavorare nelle campagne
siciliane. Quasi sempre nella fascia trasformata, l’enorme distesa di
serre di plastica che serve a consegnare ai consumatori europei
ortaggi in ogni periodo dell’anno. Con quelle serre hanno sconfitto
le stagioni e si sono arricchiti, da Vittoria a Pachino, terra rossa
a sud di Tunisi. Ma non hanno conquistato la dignità.

A volte cerchiamo lavoro verso l’interno, in provincia di
Caltanissetta, tra carciofeti, vigneti e grano. Posti dove il mercato
del lavoro si svolge nei bar dei paesi, entroterra. Qui non c’è
nemmeno il caporale, ma è lo stesso titolare dell’azienda che viene a
prenderci. Sono ditte piccolissime ma ci comprano a gruppi di dieci,
donne comprese. Poi, dopo, tre giorni ci vendono a un’altra ditta.
Così evitano denunce e controlli. Mi hanno detto che gli ispettori
del lavoro sono solo due per un territorio sterminato. Come ci
scelgono per lavorare? Provate a immaginare. I padroni si contendono
le più carine. Intanto i prodotti agricoli, quelli che comprate
quando fate la spesa, non costano un centesimo di meno. I nostri
salari, invece, si sono dimezzati. La crisi non è uguale per tutti.
Per esempio, non c’è crisi per chi vende giornate. Cos’è il mercato
dei giorni?

I proprietari delle aziende fanno lavorare in nero gli stranieri,
senza versare i contributi che, invece, vengono venduti ai falsi
braccianti per 10-15 euro. Così, gli italiani, senza stare nei campi,
avranno l’indennità previdenziale. Tutti ci guadagnano, tranne noi.
L’azienda passa per quella che paga i contributi, il falso bracciante
percepisce l’indennità di disoccupazione; lo straniero, invece,
continua a lavorare senza tutele.

A me non è capitato, ma ne sento parlare sempre. So di rumene
costrette ad allietare le serate dei padroni nelle campagne di
Vittoria. Dieci euro per una serata di sesso col padrone e i suoi
amici. Senza preservativo. Festini agricoli, li chiamano. Sommati
alle otto ore di lavoro nei campi fanno trenta euro. Tutte conosciamo
l’ospedale Guzzardi. Le mie amiche non ci vanno per controllarsi le
vie respiratorie devastate dagli anticrittogamici, ma per abortire.
Tutte abbiamo bene in mente la storia di una giovane diciassettenne
che ha partorito un bambino, poi scaraventato dalla finestra di un
appartamento. Siamo duemila nelle campagne. I tunisini ci odiano,
lavoriamo per poco e gli togliamo lavoro. Le donne di qui ci odiano,
dicono che gli rubiamo i mariti. A noi sembra di essere tornate in
epoca feudale. La serva che garantisce la prima esperienza al
padroncino.

Questi racconti sono tratti dal libro «Voi li chiamate clandestini»,
di Laura Galesi e Antonello Mangano, edizioni Manifestolibri [Scheda
del libro]. Puoi ascoltarli su RadioTre Fahreneit

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