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Altavilla Irpina, tra santi martiri, gente “senza storia” e letteratura
Alla scoperta del borgo in cui Giuseppe Verga ambientò il romanzo “Il
marito di Elena”
Il borgo di Altavilla Irpina, in provincia di Avellino, ha origini
molto antiche.
La zona presentava diversi insediamenti già a partire dall’Età del
Ferro, come testimoniano i numerosi reperti ritrovati nel corso degli
anni e custoditi, ad oggi, nel Museo della Gente Senza Storia.
L’area in questione era già nota a Virgilio: ne troviamo, infatti, una
citazione nell’Eneide con il nome di “Poetilia”. Tuttavia, non si
tratta dell’unico riferimento letterario per la cittadina: secoli
dopo, nel 1881, Giovanni Verga ambienterà, proprio ad Altavilla
Irpina, “Il marito di Elena”, un romanzo in cui l’autore abbandonerà
gli elementi stilistici che hanno caratterizzato “I Malavoglia” e
riprenderà i temi di carattere romantico e passionale a sfondo
psicologico.
Il territorio fu ufficialmente abitato a partire dal IV secolo a.C., a
seguito della scoperta di strutture insediative e tracce archeologiche
che provengono dalle attuali località di contrada Toro, Tufara,
Bagnara, Campo dei Santi e Ortolana. Del primitivo centro urbano se ne
ha notizia certa nel “Chronicon” di Falcone Beneventano del 1134,
storico e giudice di Benevento, il quale mette in risalto l’importanza
strategica di Altacauda (Altavilla) poiché, essendo situata lungo la
strada che da Abellum (Atripalda) giungeva fino a Beneventum,
costituiva una valida difesa naturale a guardia delle valli
circostanti.
Sempre in alcuni passi del Chronicon, si apprende che nel 1134 il
borgo fu distrutto dal normanno Ruggero, per poi essere governato, dal
1180 al 1238, da Riccardo, Rao ed Emma De Fraineto.
Proprio al 1183 risalgono le prime testimonianze relative alla Chiesa
di Santa Maria Assunta in Cielo che, fin dalla sua origine, fu sempre
una “collegiata” in quanto eretta da un collegio composto da un
arciprete e quattro canonici che, nel corso del tempo, divennero
dieci. Dal mese di marzo del 2003 la chiesa è diventata santuario
diocesano e luogo privilegiato per il culto dei Santi Pellegrino e
Alberico Crescitelli, quest’ultimo, missionario altavillese che fu
martire in Cina e le cui reliquie sono custodite nella Casa Museo a
lui dedicata.
L’attuale toponimo della cittadina compare in uno scritto del 1220 che
è attualmente conservato presso l’archivio storico di Montevergine.
Nel 1269, un documento attesta che Altavilla passa a Simone Bagot,
familiare del re Carlo I d’Angiò. Dopo un breve periodo di dominio
militare, Bartolomeo I De Capua, importante uomo politico, letterato e
giureconsulto alla corte angioina, acquista il feudo dando vita a una
dinastia che durò fino alla sua morte nel 1792, quando, per mancanza
di eredi, il dominio passò al fisco regio.
Un’importante testimonianza della famiglia De Capua è data dal Palazzo
Comitale, situato al civico 1 di via San Pellegrino. La sua
costruzione iniziò nel XIV secolo e fu portata a termine nella seconda
metà del secolo successivo. Attualmente, l’edificio visibile è quello
quattrocentesco, con un corpo anteriore e due ali simmetriche rispetto
all’asse principale. Oltre il monumentale portale d’ingresso in pietra
scolpita, al piano terra si trovano una cappella privata, un grande
arco in stile catalano, un cortile intermedio e una scala a doppia
rampa da cui si raggiungono gli ambienti del piano nobile. Le finestre
a croce guelfa e tutte le porte del palazzo sono in pietra vesuviana
con disegni ornamentali in stile toscano. Al centro di ogni architrave
vi è uno scudo che porta gli stemmi dei titoli di casa De Capua. I
frammenti del pavimento originale si trovano nel Museo della Gente
Senza Storia.
Quando, nel 1866, a valle dell’abitato furono scoperti importanti
giacimenti di zolfo, l’attività estrattiva portò ad Altavilla un forte
sviluppo economico e sociale. Solo due anni dopo, nel 1868, si
realizzò uno stabilimento industriale del quale, oggi, si possono
ammirare i corpi di fabbrica, dove si conservano i forni di fusione e
i moli a turbina. Attualmente, dell’imponente impianto industriale
resta attiva solo una parte che produce zolfi per l’agricoltura, usati
come fertilizzanti e correttivi.