Storia della Festa di Piedigrotta

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Gino Di Ruberto [GMAIL]

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Aug 27, 2008, 8:19:11 AM8/27/08
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Storia della Festa di Piedigrotta:

I articolo)
da
http://www.festadipiedigrotta.it/it/index.php?id=storia

Piedigrotta è una delle feste più antiche di Napoli.
La più tumultuosa, gioconda e pittoresca delle feste popolari napoletane.

Le sue radici risalgono ai baccanali erotici che si celebravano nella Cripta
Neapolitana, di notte, intorno al simulacro del dio Priapo.
Una volta cristianizzato il culto, l'antica cappella pagana fu sostituita
dal Santuario di Piedigrotta.

Nella chiesa fu posta la statua della Vergine che, secondo la leggenda, fu
trovata seguendo le indicazioni date in sogno, dalla Madonna stessa, a tre
differenti persone, l'8 settembre del 1353.
E proprio quella statua divenne fulcro di un culto religioso molto sentito,
tanto dal popolo quanto dai regnanti delle diverse dinastie, che fecero di
quella chiesa ai piedi della grotta una meta costante di visite, cortei e
cavalcate.

A cominciare dagli Angioini e dagli Aragonesi fino ad arrivare ai Borboni.
Proprio con i Borboni, la Piedigrotta raggiunse fulgore regale e
ufficialità, con la sua "Parata di Piedigrotta" alla quale partecipavano
anche dignitari del regno (e talvolta gli stessi regnanti), corpi militari
in parata, pellegrini e delegazioni di paesi vicini.
Fu il Seicento, comunque, il secolo d'avvio ufficiale della festa.
In questo periodo si sviluppò la pratica religiosa dei nove sabato di Santa
Maria di Piedigrotta. Gruppi di devoti arrivavano a Napoli in
pellegrinaggio. Tanti a piedi, scalzi, per chiedere un miracolo o per
grazia ricevuta: donne desiderose di trovare marito o restare incinte, madri
preoccupate per i propri figli lontani in mare, marinai grati per i pericoli
scampati.

Per i primi anni la festa si celebrava nella grotta, in seguito anche nella
villa comunale. Si pregava, si mangiava, si cantava, si ballava.
La Piedigrotta divenne un inno alla vita prima dell'arrivo dell'inverno.
Nell'Ottocento, dopo la caduta dei Borbone, dalla festa scomparvero le
sfilate militari che per circa due secoli ne avevano disegnato il profilo
"civile".

La Piedigrotta continuò con il pellegrinaggio religioso, i giochi
pirotecnici da terra e da mare, le luminarie, le bancarelle.
E anche quando le autorità ne decretarono la sospensione per il pericolo di
un'epidemia di colera, la Madonna di Piedigrotta seguitò ad essere
festeggiata, in maniera spontanea, da lazzari, borghesi e nobili.
Nel 1835 prese forma la Piedigrotta canora, vero trampolino di lancio per la
melodia partenopea.
Il ritornello della canzone "Io te voglio bbene assaje" diventò la colonna
sonora del Regno, le note di "Fenesta vascia" e "Michelemmà", insieme a
tante altre, salparono dal Golfo per approdare in America e in Australia.

" 'O Sole mio" (Piedigrotta, 1898) diventò la canzone più popolare in
città, e da lì si diffuse, superando qualsiasi confine geografico e
temporale.
Negli anni Sessanta venne ideato il popolarissimo Festival della canzone
napoletana.
Di lì a poco sarebbe iniziato il declino di una tradizione popolare che ha
attraversato i secoli.


II articolo)

da
http://caffenews.wordpress.com/2008/01/28/la-piedigrotta-napoletana-lalter-ego-del-carnevale-di-cento/

Le radici della Piedigrotta affondano nel passato più mistico e simbolico
di Napoli.

Risalgono ai baccanali erotici, ai misteri lascivi che si celebravano di
notte a ritmo di canti osceni intorno al simulacro del dio Priapo.

Non a caso la Piedigrotta è la più tumultuosa, gioconda e pittoresca delle
feste popolari napoletane.

La festa napoletana per eccellenza.

Una festa legata visceralmente a due luoghi simbolo della città: la Cripta
Neapolitana, in cui si celebravano le orge in onore di Priapo e il
Santuario di Piedigrotta che sostituì, una volta cristianizzato il culto,
la più antica cappella pagana situata nella grotta.

Nella chiesa fu posta la statua della Vergine che, secondo la leggenda, fu
trovata seguendo le indicazioni date in sogno dalla Madonna stessa a tre
differenti persone, l´8 settembre del 1353.


E proprio quella statua divenne fulcro di un culto religioso molto sentito,
tanto dal popolo quanto dai regnanti delle diverse dinastie, che fecero di
quella chiesa ai piedi della grotta una meta costante di visite, cortei e
cavalcate,

A cominciare dagli Angioini e dagli Aragonesi per arrivare ai Borboni.

Proprio con i Borboni, la Piedigrotta raggiunge fulgore regale e
ufficialità, con l´inserimento della grande parata militare che ne fa festa
nazionale di Casa Borbone.

Resta comunque il Seicento il secolo d´avvio ufficiale della festa.

E´ in questo periodo che si sviluppa la pratica religiosa dei nove sabato
di Santa Maria di Piedigrotta. Gruppi di devoti arrivano in pellegrinaggio,
anche dalle zone limitrofe. Tanti a piedi scalzi, per chiedere un miracolo
o per grazia ricevuta: donne desiderose di trovare marito o restare
incinte, madri preoccupate per i propri figli lontani in mare, marinai
grati per pericoli scampati. Per i primi anni la festa si celebra nella
grotta, in seguito si allarga alla villa comunale. Si prega, si mangia, si
canta, si balla. E´ un inno alla vita, insomma, prima dell´arrivo
dell´inverno.

Nell´Ottocento, dopo la caduta dei Borbone, dalla festa scompaiono le
sfilate militari che per circa due secoli ne avevano disegnato il profilo
"civile".

La Piedigrotta va avanti con il pellegrinaggio religioso, i giochi
pirotecnici da terra e da mare, le luminarie, le bancarelle.

Per manifestazioni politiche patriottiche e per il pericolo di un´epidemia
di colera, le autorità ne decretano la sospensione. Naturalmente la Madonna
di Piedigrotta continua ad essere festeggiata, in maniera spontanea, da
lazzari, borghesi e nobili.

Nel 1835 prende forma la Piedigrotta canora che offre alla melodia
partenopea il suo trampolino di lancio.

Il ritornello della canzone "Io te voglio bbene assaje" diventa il must del
Regno, le note di "Fenesta vascia", "Michelemmà" insieme a tante altre,
salpano dal Golfo per approdare in America e in Australia.

"`O Sole mio" (Piedigrotta, 1898) diventa la colonna sonora di una intera
città, e da lì si diffonde, superando qualsiasi confine geografico e
temporale.

Negli anni Sessanta viene ideato il popolarissimo Festival della canzone
napoletana.

Di lì a poco sarebbe iniziato il declino di una tradizione popolare che ha
attraversato i secoli. In principio fu la Crypta Neapolitana. Un´oscura
galleria, che la leggenda vuole scavata da Virgilio il mago in una sola
notte, ad unire la città ai Campi Flegrei. Costruita in epoca romana per
favorire il trasferimento dei legionari dalla spiaggia di Mergellina a
Pozzuoli, la grotta divenne meta di continui pellegrinaggi. Lì i napoletani
antichi onoravano ogni anno, quando calava la sera del 7 settembre, la
carnale potenza di Priapo.

Poi venne Gesù. E nei luoghi del dio pagano i cristiani eressero un´edicola
a Santa Maria dell´Idria, anch´essa simbolo della fertilità. Nel corso del
tempo, il verde della collina di Posillipo a fare da aureola, la cellula
iniziale della costruzione sacra di Santa Maria "de pedi grotta" dovette
subire numerose trasformazioni ma non ci sono testimonianze che
l´attestino. La prima notizia documentata, di una chiesa organizzata a
Piedigrotta, risale agli inizi del XIII secolo.

Di certo il Santuario, come lo conosciamo oggi, fu eretto dopo le
apparizioni, in sogno, della Vergine Maria a due uomini ed una donna tra
Chiaia, Piedigrotta e Castel dell´Ovo. Correva l´anno 1353, era la notte
che precede l´otto settembre, celebrazione della nascita della Madre di
Dio. Nelle visioni, Maria, aveva parlato di un luogo, inondato da continue
piogge, che nascondeva sotto il fango una sua immagine. Aveva richiesto che
lì fosse edificato un luogo di culto. Non passò molto tempo e l´edificio fu
innalzato. I fedeli avevano fatto a gara nel donare offerte, una volta
saputo del miracoloso sogno in contemporanea. Le fondamenta sorsero proprio
dove, effettivamente, fu rinvenuta una statua lignea raffigurante una
Madonna seduta.

Per i pescatori, il posto riprese a rappresentare una specie di elemento
propulsivo. Fu come accendere una luce e anche il popolo cominciò ad
arrivare dal centro della città. In massa. Nel 1358 Petrarca, in soggiorno
a Napoli, ne descrive l´incredibile via vai quotidiano di persone, non solo
gente di mare. Più o meno da qui prende vita la festa della Madonna di
Piedigrotta, in sostituzione degli antichi riti pagani e delle celebrazioni
in memoria del poeta latino Virgilio, sepolto nelle vicinanze. La grotta è
nota anche con il nome di grotta di Virgilio o di Posillipo. Quando si
parla di Piedigrotta non si può far a meno di pensare alla canzone
napoletana.

Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, E.A. Mario sono soltanto alcuni dei
nomi più famosi legati alla festa settembrina.

L´inizio della parabola della canzone piedigrottesca è datato 1839, anno di
nascita di Te voglio bene assaje. Luigi Settembrini, nel carcere di Santa
Maria Apparente, ascoltò la canzone di Raffele Sacco e scrisse: "Ogni anno
la festa di Piedigrotta.il popolo napoletano va nella grotta di Pozzuoli e
lì l´uno sfida l´altro a cantare improvviso, e la canzone giudicata la più
bella si ripete da tutti, è la canzone dell´anno; questa fu tra le
bellissime ed io non posso ancora dimenticarla. Tre cose belle furono in
quell´anno: la ferrovia, l´illuminazione a gas e Te voglio bene assaje".

Anche se la collocazione del celeberrimo capolavoro nello scenario di
Piedigrotta non è del tutto certa, che si cantasse è sicuro. Ma una vera e
propria gara non c´era. Le raccolte di canzoni erano destinata alla crema
di quel dieci per cento della popolazione napoletana che sapeva leggere e
scrivere e ai viaggiatori del Gran tour.

L´unità d´Italia, con il perduto ruolo di capitale, alimentò la nostalgia
partenopea e il rifugiarsi nella lingua degli avi. In questi anni nacque la
canzone classica napoletana. E Piedigrotta diventò davvero un
moltiplicatore di successo e forse persino il luogo di un confronto fra gli
ultimi depositari della vena popolare e il nuovo multiforme ceto di
canzonieri.

Del 1876 è il primo documento sul concorso musicale. Siamo ancora alla
preistoria.

Piedigrotta conosce la sua prima canzone di universale successo nel 1880.
In quell´anno nacque Funiculì funiculà.

Da quel momento Piedigrotta divenne, in dimensione vistose, il luogo del
successo: di Funiculì funiculà venne stampato in un anno un milione di
copie.

Neppure il colera, nel 1884, impedì la gara.

Nel 1889 le canzoni di Piedigrotta erano più di tremila. Il fenomeno canoro
divenne un discreto affare per tutti i settori della cultura napoletana,
con famosi illustratori chiamati a "disegnare" i fascicoli piedigrotteschi
e grandi firme come Croce e Matilde Serao a definire i contenuti.

Il declino di Piedigrotta cominciò dopo la Prima Guerra Mondiale e si
accentuò negli anni dell´ascesa di Mussolini.

Il duce, nel 1942, pretese una triste festa settembrina nel cortile del
Maschio Angioino.

Piedigrotta tornò ufficialmente nel 1946, con una edizione povera e,
nonostante i tentativi di restituire senso e dignità alla festa, l´avvento
della televisione rese inutile e patetica una rassegna da strada. Il
concorso si trascinò fino agli anni 80 per poi cadere nell´oblio. La Napoli
di Piedigrotta è anche la Napoli di ceramisti, ebanisti e mobilieri,
fabbri, pittori, decoratori. Ne sono testimonianza le tante opere artigiane
che l´hanno immortalata, come fotografia, in stampe, piatti, accessori di
diverso utilizzo.

Man mano che si accresceva la complessità della festa e la sua
articolazione, aumentarono la specializzazione, la divisione del lavoro, la
gerarchizzazione degli apparati e delle organizzazioni che presiedevano
alla sua preparazione. E aumentò l'importanza economica della festa stessa,
e non solo per i visitatori che essa portava a Napoli, o perché a partire
dalla Piedigrotta gli editori musicali prendevano il via per "esportare" le
loro canzoni anche nel resto d'ltalia e del mondo. Carri, fuochi
pirotecnici, sfilate, fiaccolate, palchi, pedane, chioschi, recinti
nascevano dal lavoro di ideatori, organizzatori, finanziatori, architetti,
scenografi, impresari, ma anche da quello di sarti, fuochisti, carpentieri,
artigiani, decoratori; le canzoni erano il frutto della creatività di
autori, musicisti, illustratori, dello spirito imprenditoriale degli
editori, ma richiedevano l'impiego di compositori, tipografi, piegatori,
spedizionieri: Piedigrotta era una grande occasione di lavoro - e
richiedeva un'alta qualità di lavoro - per molte persone. I carri
allegorici sono un´altra delle grandi tradizioni della Piedigrotta.

[.....]

Cronache e memorie di varia origine ed estrazione narrano del legame
indissolubile tra la festa di Piedigrotta ed i fuochi d´artificio. In
particolare quel "fuoco a´ mmare" che nel 1657, neppure un anno dopo una
terribile pestilenza, fu "l´evento" di Piedigrotta in forma di gara tra
pirotecnici della regione. Oppure, di altre declinazioni partenopee dello
spettacolo pirotecnico barocco, via via tramandato nei secoli: la
simulazione della guerra e naturalmente di battaglie navali; l´incendio di
campanili e precisamente di Castel dell´Ovo; macchine pirotecniche barocche
d´ispirazione locale, raffiguranti il Vesuvio - "grande pirotecnico" - o
personaggi della commedia dell´arte come Pulcinella.

[.....]


III articolo)

da una vecchia sottopagina di
www.inaples.it
La Festa settembrina in onore della Vergine - anche se oggi non c'è più il
calore, l'allegria e l'entusiasmo della Piedigrotta di un tempo - è uno
degli avvenimenti che meglio descrivono l'anima della città di Napoli: una
festa pittoresca, variopinta e rumorosa in cui confluiscono motivi
orgiastici e sacrali della civiltà mediterranea. Le prime notizie che si
hanno del culto della Madonna di Piedigrotta ci riportano alla leggenda
dell'arrivo
a Napoli dell'Apostolo Pietro. Si narra che il Primo Pontefice della Chiesa,
venuto a conoscenza dello svolgimento di attività orgiastiche pagane, volle
ergere ai piedi della Grotta di Priapo - dove diavoli e satanassi avevano
disturbato la quiete degli abitanti del luogo - le basi di una cappella in
onore della Madonna. Da allora la celebrazione della statua della Vergine
sita nella cappella, non fu abbandonata. Tuttavia, la cappella era troppo
piccola per contenere il gran numero di fedeli e così le messe erano
celebrate al tramonto su due altari che si ergevano all'esterno della
chiesa. Dopo la celebrazione la vicina grotta, illuminata dai falò, diveniva
una vera e propria sala da ballo e i più giovani passavano allegramente la
notte danzando al suono delle arpe, ebbri del vino appena vendemmiato. Di
sicuro, già nel 1330, nella medioevale chiesetta si venerava la Vergine, e
pare che la cappella fosse destinata in origine a S. Maria dell'Idra o del
Serpente (la Vergine classicamente raffigurata mentre schiaccia il diavolo
con le sembianze di serpente). Nel 1490, sotto Alfonso D'Aragona la chiesa
fu affidata ai prelati appartenenti alla migliore aristocrazia napoletana,
che da subito cominciarono ad abbellirla a proprie spese, secondo i gusti
rinascimentali dell'epoca. Fu così che nel corso dei secoli gli stucchi, i
capitelli, le pavimentazioni in marmo e gli affreschi della volta, furono
ripetutamente rinnovati e restaurati. Solo nella metà del XVI secolo, la
festa diventò una manifestazione popolare. Molti storici, riferiscono che il
popolo organizzava la festa con luminarie, fiaccole, suoni e balli per
festeggiare e ringraziare la Vergine dei miracoli che dispensava. Durante la
dominazione spagnola, i Viceré stabilirono ufficialmente i festeggiamenti
per la nascita della Vergine l'8 settembre ed introdussero una vera e
propria parata con le loro milizie che al loro passaggio abbassavano le armi
in segno di saluto. La sfarzosa parata spagnola che contribuiva a dare
vivacità e colore alle strade (come testimoniano alcune interessanti tele
che si possono ammirare al Museo di S. Martino), partiva dalla chiesa di S.
Maria della Vittoria e terminava nella chiesa ai piedi della Grotta. Alla
festa cominciarono così a partecipare sia i nobili, sui loro cavalli e con
le loro carrozze, illuminate con torce ed adornate di bandierine colorate,
sia gente di tutte le risme che per i tre giorni di festeggiamenti giungeva
a Napoli da tutta la provincia. Sotto il dominio francese, la Festa di
Piedigrotta venne sospesa, per essere ripresa dopo circa dieci anni, con
maggior fasto e con colorati carri allegorici che rappresentavano scene di
vita popolare. Con l'arrivo di Ferdinando IV di Borbone, profondamente
devoto alla Vergine, le parate delle truppe con le loro uniformi variopinte,
contribuirono nuovamente alla splendida coreografia realizzata dai palazzi
addobbati a festa con arazzi e stendardi in onore dei reali e dai balconi
affollati, lungo il tragitto del corteo, dai quali gli spettatori lanciavano
coriandoli e stelle filanti sui passanti (alcuni balconi dai quali si poteva
ammirare la sfilata dei carri, venivano addirittura affittati per
l'occasione).
Nel 1861 vi fu per l'ultima volta la parata delle milizie, i nobili
cominciarono a disertare la festa e ad assistere dai balconi la massa di
gente che si riversava lungo la strada; da allora, la festa cominciò ad
essere solo una festa del popolo che cantava le classiche canzoni,
(Cicerenella, Guarracino) e ballava la tarantella sui variopinti carri
allegorici. Già dal 7 settembre tutta la città di Napoli era pronta, con i
negozi ed i balconi adornati, le luminarie, le trombette, i
"triccaballacchi", i "putipù" e gli "scetavaiasse". Tra le attrazioni della
festa, oltre ai carri allegorici, vi erano - e, per fortuna, vi sono, ancora
oggi - i fuochi a mare: l'incendio di Castel dell'Ovo ed i fuochi
pirotecnici lungo la costa di via Caracciolo, ideati da uno dei Viceré che
indisse per la festa di Piedigrotta un concorso tra i migliori fuochisti del
Regno. Ancora oggi lo spettacolo - più ridimensionato - si ripete. Per i
veri napoletani, la festa Piedigrotta è una la festa radicata nel cuore e
nella memoria; per i turisti, sicuramente, una bella occasione per ammirare
quel poco di folklore rimasto: la tarantella, il ballo tipico del popolo
napoletano che veniva ballato dai numerosi naviganti che approdavano per i
festeggiamenti della Vergine sulla spiaggia di Chiaja, sotto la luna che si
specchiava nel calmo mare di Posillipo.

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