L'oro nero di Napoli: come nasce il culto del caffè partenopeo

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Gino Di Ruberto [GMAIL]

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Jul 20, 2022, 3:59:32 AM7/20/22
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https://www.napolitoday.it/cultura/caffe-come-nasce-culto-napoli.html

L'oro nero di Napoli: come nasce il culto del caffè partenopeo

La prima città ad apprezzare questa bevanda, originaria dell'Etiopia, fu
Vienna. A Napoli si diffuse solo successivamente, grazie a Maria Carolina D’Asburgo,
che dopo aver sposato Ferdinando IV di Borbone nel 1768, volle introdurre a
corte l'usanza del caffè

Per apprezzare il suo gusto, il profumo intenso e l’aspetto cremoso va
bevuto “rigorosamente” in una tazzina di ceramica bianca, spessa e senza
decori interni. Stiamo parlando del rinomato caffè. Per i napoletani non è
una semplice bevanda da consumare a prima mattina, dopo pranzo o al bar in
compagnia. Il caffè a Napoli è un rituale, rappresenta un vero e proprio
culto. E rifiutarlo, se offerto, equivale quasi a un’offesa. Ma com’è nata
la tradizione del caffè a Napoli? E come è diventato così famoso in tutto il
mondo? Partiamo dall’etimologia della parola: caffè deriva dall’arabo qahwa
(eccitante), poi divenuto kahve in Turchia, terra dalla quale è arrivato poi
in Europa. La pianta, originaria dell’Etiopia, si è diffusa prima in Arabia
e poi in Turchia. Ma fu una città europea, Vienna, ad apprezzare questa
bevanda dal colore nero tanto da dedicarle alla fine del XVII secolo i
Kaffeehaus (i raffinati caffè viennesi). Nella città partenopea il caffè si
diffuse grazie a Maria Carolina D’Asburgo, figlia di Maria Teresa, che sposò
re Ferdinando IV di Borbone nel 1768. La giovanissima regina volle
introdurre a corte usi e costumi viennesi esaltando l’uso del caffè. La
bevanda, portata dai mercanti veneziani, era già conosciuta da tempo a
Napoli, ma a causa del suo colore nero si pensava portasse male (la Chiesa
la riteneva addirittura la bevanda del diavolo), per questo motivo non si
diffuse. Si racconta che nel 1771, nella Reggia di Caserta, fu organizzato
un ballo dove il caffè venne servito da quelli che, probabilmente, furono i
primi baristi, vestiti con giubba e cappellino bianco: nacque il primo Caffè
del Regno di Napoli. Insieme a questa bevanda dal colore nero, Maria
Carolina portò nella città partenopea anche il kipferl (il cornetto): la
fortunata accoppiata caffè-croissant le fu consigliata dalla sorella Maria
Antonietta di Francia. Da questo momento fu Napoli ad eccellere nella
preparazione del caffè grazie all’utilizzo di una particolare tostatura dei
chicchi che conferiva alla bevanda un gusto ricco. Si dice che il caffè
nostrano venga cotto “al punto giusto”. Tale tostatura particolare, dopo
qualche giorno di riposo, esalta, infatti, gli oli essenziali e contribuisce
ad una migliore estrazione degli aromi.

Successivamente arrivò, nelle case dei napoletani, la cocumella (la
caffettiera napoletana inventata dal francese Morize nel 1819), che
introdusse la bevanda anche nella cultura popolare. La cocumella alternava
il metodo di preparazione per decozione alla turca al metodo di infusione
alla veneziana, con un sistema a doppio filtro. Nel 1900, poi, si passò all’adozione
della “macchina per espresso” che era molto difficile da maneggiare, ma di
cui i napoletani divennero subito abili maestri: nacque l'espresso
napoletano. Con il tempo i kaffeaus di Napoli divennero centri culturali di
rilievo per gli intellettuali e raggiunsero la massima diffusionenel 1800,
secolo che vide l’apertura di numerosissimi bar lungo via Toledo: nel 1860
aprì il Gran Caffè, il più bello ed importante di tutti, detto anche “Caffè
delle Sette Porte”, nel piano terra del palazzo della Foresteria in piazza
San Ferdinando.

Questa, appena raccontata, è solo una delle tante storie che spiegherebbero
come sia arrivato il caffè a Napoli e perché sia diventano un culto. Un’altra
vede, invece, come protagonista il musicologo Pietro Della Valle, romano di
origine ma napoletano d’adozione. Secondo la leggenda, nel 1614, Della Valle
abbandonò la Città Eterna per una delusione amorosa e si stabilì a Napoli.
Da qui decise di partire alla volta della Terra Santa dove, innamoratosi di
una donna, vi rimase per dodici anni. In questi anni rimase in contatto
epistolare con alcuni suoi amici napoletani. In una delle sue lettere, il
musicologo raccontava di una specialissima bevanda detta “kahve”: “un
liquido profumato che veniva fuori da bricchi posti sul fuoco, e versato in
piccole scodelle di porcellana, continuamente svuotate (e riempite) durante
le conversazioni che seguivano il pasto”. Si racconta che, al suo ritorno,
il giovane porto' il kahve (caffè) a Napoli. Secondo un'altra leggenda il
caffè era già presente in Campania intorno al 1450, quando nella città
partenopea regnavano gli Aragonesi. Alfonso D’Aragona era allora a capo di
un grande impero formato dall’Aragona, la Catalogna, Valencia, Maiorca, la
Sardegna e la Sicilia. Le sue navi solcavano il mar Mediterraneo, e da qui
raggiungevano i porti del Levante riportando tutti i prodotti orientali all’epoca
commerciabili, tra cui il caffè.

Che sia vera la prima, la seconda o a terza storia non c’è dato sapere. La
cosa certa è che a Napoli si iniziò ad apprezzare l’amara bevanda solo agli
inizi dell”800. Fu allora che i vicoli di Napoli si arricchirono delle grida
dei caffettieri ambulanti che percorrevano la città in lungo e in largo
muniti di un recipiente di caffè e uno di latte, e di un cesto con tazze e
zucchero, per offrire una colazione veloce ai napoletani più affrettati.
Oggi quei carrettini ambulanti non ci sono più, ma il caffè, come due secoli
fa, rimane un rito "sacro" per tutti i napoletani. Eduardo De Filippo
diceva: “Io, per esempio, a tutto rinuncerei tranne a questa tazzina di
caffè, presa tranquillamente qua, fuori al balcone, dopo quell’oretta di
sonno che uno si è fatta dopo mangiato. E me la devo fare io stesso, con
mani”.

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