La condanna dell’Onu: tre milioni di caregiver, ma non hanno tutele

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Pier Paolo Zaccagnini

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Nov 15, 2022, 5:57:11 PM11/15/22
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La condanna dell’Onu: tre milioni di caregiver, ma non hanno tutele
di Francesco Giambertone

Italia condannata dall’Onu a inizio ottobre: chi assiste un familiare è senza tutele: «La Convenzione per i diritti delle persone con disabilità non è applicata». Sono soprattutto donne e spesso per assistere un parente perdono il lavoro


«Sono tre anni che non esco di casa. Non lavoro ma faccio molti lavori: mi occupo 24 ore al giorno di mio figlio Raffaello, che ha 8 anni e una malattia neurodegenerativa gravissima. Di fatto copro tre turni continui di un infermiere specializzato, ma senza ferie, giorni festivi o riposi». Francesca Bianco ha 40 anni, vive in provincia di Matera ed è una caregiver familiare: una persona che si prende cura a tempo pieno di un parente convivente non autosufficiente per disabilità o malattia. Il suo terzo figlio ha una tetraparesi posturale dalla nascita, non parla, non ha controllo degli arti e dei suoi movimenti. Francesca ama molto Raffaello: da 8 anni si dedica completamente a lui e da tre, complice il Covid, è barricata dentro le mura di casa, con i rumori della pompa di alimentazione e del respiratore del bambino: «Ora è troppo fragile per ammalarsi, quindi io non esco. Dalla pandemia è diventato tutto al limite dell’insostenibile. Reggo grazie a lui: assisterlo è l’unica cosa che posso fare e quindi lo faccio. Non solo per lui ma per la società intera: e questo mi fa più rabbia».

Le richieste
Perché i diritti umani dei caregiver familiari come Francesca, in Italia, sono inesistenti da anni. L’ha stabilito a inizio ottobre persino l’Onu: il Comitato per i diritti delle persone con disabilità delle Nazioni Unite, giudicando il caso presentato da una donna che aveva un marito e una figlia non autosufficienti, ha deciso di condannare l’Italia per non aver mai istituito un sistema che garantisse qualche tutela ai caregiver familiari, e l’ha invitata a rimediare al più presto. Le associazioni - tra cui Confad, il comitato che riunisce le famiglie con disabilità - chiedono da anni una legge che preveda contributi previdenziali, coperture assicurative, sostegni economici, la possibilità di andare in pensione in anticipo, il diritto al riposo, alle cure, alle ferie. «Moltissimi Paesi si sono attrezzati: spesso i caregiver familiari sono stati equiparati a lavoratori del Servizio sanitario nazionale. Noi invece siamo il fanalino di coda in Europa», ha spiegato il presidente di Confad Alessandro Chiarini in una puntata del podcast Corriere Daily: «Qui è come se la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità firmata nel 2006 non fosse mai stata applicata davvero».

Nel 2009 la biologa australiana Elizabeth Blackburn vinse il Nobel per la Medicina dimostrando che i caregiver familiari (circa 7 su 10 sono donne) vivono dai 9 ai 17 anni in meno della media: il risultato di danni fisici, di burnout e gravi depressioni cui sono portati. In Italia si stima che i caregiver familiari siano da alcune centinaia di migliaia fino a 3 milioni, ma non esistono numeri ufficiali ed è difficile quantificare il fenomeno. L’ultima indagine dell’Istat è del 2015 e teneva conto di tutti i caregiver: cioè anche di chi si occupa di un parente anziano una volta alla settimana. Qui però si parla di tutt’altro impegno: di chi ha un parente in casa, spesso minorenne, cui dare da mangiare e da bere, cui somministrare con attenzione le medicine, che deve lavare, spostare, accudire, ogni giorno e ogni notte, spesso perdendo per strada amici, lavoro (il 60% è costretto a lasciarlo) e anche il diritto di esistere come individuo.

«È come assistere per sempre un neonato che però cresce solo fisicamente ma non evolve e non comunica. E tu - spiega Simone Abate, 43 anni, padre di un bimbo di 13 con una grave paralisi cerebrale che vive a Bolzano - devi provare a interpretare i suoi pochi segnali. Non sai se è dolore, fame, sete, se ha fastidio. E questo ti stressa moltissimo. Io e mia moglie Lorenza non stacchiamo mai, siamo insostituibili, e questo ci logora. Chi non ci è dentro non riesce a capire la problematica. Purtroppo nemmeno i nostri amici e parenti più stretti. Né finora le istituzioni».

I progetti arenati
L’amore di Simone e Lorenza per il piccolo Alessandro, come quello di Francesca per il suo Raffaello, è sconfinato. Ma l’impegno dei caregiver familiari non è volontariato. «Si tratta di un vero lavoro e di un atto di responsabilità che lo Stato dovrebbe riconoscere, invece che abbandonare i caregiver familiari a sé stessi, di fatto facendo pagare a loro qualcosa che riguarda l’intera collettività», sostiene Chiarini di Confad. I disegni di legge finora si sono sempre arenati in Parlamento. Tra il 2018 e il 2021 il governo ha introdotto due fondi, uno dei quali per «la copertura degli interventi legislativi per il riconoscimento dell’attività non professionale del prestatore di cure familiare»: insieme valgono circa 105 milioni all’anno. È qualcosa, ma non abbastanza. Entro sei mesi l’Italia dovrà spiegare per iscritto al Comitato Onu come intende rimediare alle sue mancanze. In più dovrà risarcire la famiglia che ha presentato quel ricorso. «Se non si farà una legge - avverte ancora Chiarini - c’è il rischio che i ricorsi all’Onu diventino migliaia, con costi esorbitanti per le casse dello Stato». Al quale, forse, intervenire conviene per ragioni che vanno oltre la giustizia.

8 novembre 2022 (modifica il 8 novembre 2022 | 17:47)

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