- Basta così! Ferma, immobile. Tieni addosso le calze e la biancheria.
– la voce autoritaria
dell’uomo bloccò Sara nel preciso istante in cui stava iniziando a sfilare,
con malizia, le autoreggienti.
Lei lo guardò interrogativa nel tentativo di anticipare cosa volesse da lei.
- Siediti su quella seggiola. Quella vicina al camino. – ordinò lui
mentre si alzava dal divano da cui
aveva assistito, impassibile, allo spettacolo di spogliarello imbastito da
lei solo per lui.
- Metti le mani dietro lo schienale … così! – aggiunse.
Sara sentì una forte presa sui polsi, quasi dolorosa nella sua intensità.
Dilatò le pupille mentre le
braccia erano costrette con forza ad incrociarsi dietro lo schienale della
sedia.
Non protesto quando percepì chiaramente una corda correre sui suoi polsi e
girare intorno ad essi per
avvinghiarsi a loro in modo inestricabile.
Provo a muovere le mani, sfilare i polsi da sotto le spire della corda,
tutto inutile, l’aveva legata per
bene!
Sentiva d’essere completamente in balia della sua volontà, bloccata in quel
modo. Le piaceva ed era
venuta a cercare proprio quello!
Il senso d’impotenza si rafforzò nell’attimo in cui lui le legò anche le
caviglie alle gambe della sedia,
con la stessa corda, con la stessa forza; tirando i legacci al limite del
dolore.
- Cosa sei? – le domandò lui con la voce alterata da una finta rabbia
- Dimmelo tu! – rispose flebile Sara.
Afferrandole la mascella in modo da costringerla ad alzare lo sguardo verso
i suoi occhi le disse:
- Sei la prima e l’ultima, sei la puttana e la santa, la mia donna e
la donna di tutti, la mia schiava e
anche la mia vittima; sarai tutto quello che vorrò che tu sia.
- Come vuoi, come mi vuoi … io sarò! – ammise lei abbassando lo
sguardo.
- Vedo che capisci, bene!
Cosa ti aspetti ora?
- Non mi aspetto niente, non posso aspettarmi niente!
Sono tua, a tua disposizione. Disponi di me e del mio corpo come meglio
credi.
- Non basta! – Disse lui.
- Cos’altro vuoi da me?
- La tua mente!
- Quella è già tua!
- Puttana! Non è vero e lo sai!
- E’ così e lo sai!
- Vuoi godere?
- Solo se vorrai vedermi godere. Goderò!
- Ti stai vendendo, stai cercando d’illudermi … Puttana! – urlo lui
mentre lasciava partire un
ceffone all’indirizzo della sua guancia. Un colpo tanto delicato da sembrare
un tenero buffetto, infatti,
dopo una violenta rincorsa del braccio all’indietro, rallentò
improvvisamente a pochi centimetri dal suo
volto, appoggiando la mano delicatamente sulla guancia per poi spingerla di
lato con finta violenza.
Indietreggiò guardandola con disprezzo. Con studiata calma iniziò a
slacciare la patta dei pantaloni.
Tolse la cintura, arrotolandola sulla mano destra, lasciandole intendere di
volerla colpire in quel modo.
Si avvicino a lei minaccioso, sprizzando odio dagli occhi.
- Succhia! – disse nell’attimo che estratto il pene gonfio lo puntava
verso la sua bocca. – Succhia e
ingoia, da troia quale sei.
Sara aprì la bocca, pronta a prendere quel membro enfiato delle stessa
prepotenza del suo proprietario.
Un pene che già grondava umori, con la cappella tanto gonfia e calda da
annunciare l’orgasmo.
Lo sentì appoggiarsi alle labbra, ne percepì il sapore ed il calore.
Lentamente lo ingoiò, seguendone il
contorno con le labbra. Una volta accolto sino in gola aspirò forte e
ritrasse la faccia, lasciandolo uscire
un poco, quel tanto che bastava per consentire alla sua lingua di spazzare
all’impazzata sulla dura e
infuocata sommità.
Tanta violenza, tanta tracotanza, tanta superbia però non corrispondevano a
tanta durata.
Bastarono poche mosse della sua abile bocca per far sentire a Sara un forte
getto, nemmeno troppo
denso e abbondante, dentro la sua bocca. Percepì quel liquido colare giù
dalla gola mentre il silenzio
era rotto dai rochi ansimi dall’uomo.
Ingoiò tutto come le era stato richiesto, sino all’ultima goccia e
aspirando quello che ancora rimaneva
dentro quel membro che già iniziava ad afflosciarsi.
Lui si allontanò in fretta da lei, barcollando leggermente mentre si
sistemava le intimità nei pantaloni.
- Bene, vedo che ci sai fare. Sei proprio la puttana che sembri.
Adesso, vediamo quanto sai esserlo veramente!
Aggirò la sua sedia e si portò dietro di lei. La prese per le spalle
salendo poi ad accarezzarle il collo e
le guance.
Lei si stava chiedendo come poteva dimostrare tanta sicurezza di sé quando
non era riuscito a reggere
più di un minuto le sue labbra.
Forse aveva commesso un errore a credere a tutte quelle promesse che lui le
aveva fatto. Sino ad ora la
sua millantata superiorità, la sua ipotetica capacità di dominatore si era
manifestata solo a livello
verbale: con due insulti, nemmeno troppo originali e qualche metro di corda.
Comunque non doveva permettere all’incipiente delusione di rovinare
l’eccitazione che si era già
impadronita di lei.
All’improvviso vide una sciarpa nera presentarsi davanti ai suoi occhi, la
sentì appoggiarsi sul suo viso
e stringersi dietro la nuca. Privandola in questo modo della vista.
Forse era in arrivo qualche altra sorpresa, forse non si era sbagliata su
di lui. Molto probabilmente lui
aveva solo voluto sfogare una sua voglia improvvisa con quella richiesta di
una prestazione orale e il
conseguente immediato orgasmo.
Forse ….
I suoi pensieri furono interrotti da un nuovo stimolo. L’udito reso più
sensibile dalla mancanza della
vista riconobbe altri passi nella stanza, il suono prodotto da più piedi.
Forse quattro, sei. Non riusciva a
contarli.
C’erano, evidentemente almeno altri due uomini vicino a lei.
N’ebbe conferma nell’istante in cui avvertì il tocco delicato di quattro
mani.
Le sentì scorrere sulla pelle, esplorare ogni centimetro del suo corpo,
indugiare sui bordi della
biancheria, intrufolarsi al di sotto di essa e cercare prima i capezzoli e
poi le labbra della sua vagina.
Stava iniziando ad eccitarsi sul serio, ma non voleva darlo a vedere. Il
suo ruolo quella sera non
prevedeva che lei si eccitasse o provasse piacere, se non espressamente
richiesto. Tentava in tutti i
modi di stare al gioco ma il calore che sentiva salire da suo pube era stato
certamente notato dall’uomo
che le aveva infilato la mano sotto gli slip.
Senti appoggiarsi sul ventre un oggetto gelido. Percepì una piccola puntura
sulla pelle e qualcosa che
la graffiava salendo lentamente verso il seno.
Il reggiseno premeva sui bordi delle mammelle, tirato in avanti con forza.
Poi esplose, rimbalzando
all’indietro contro lo schienale della sedia. Allora capì cos’era
quell’oggetto freddo e appuntito, era un
coltello, una lama che scorrendo lentamente il suo corpo ne portava a nudo
tutte le sue zone più intime.
Violando con la sua metallica valenza fallica le ultime difese poste a
baluardo della sua femminilità.
Volarono via anche gli slip, tagliati sui brodi le furono sfilati con
malvagità: tirati verso l’altro
s’infilarono tre le sue labbra, seviziandole mentre le scorrevano contro.
Questo le provocò un fortissimo impulso di piacere che la fece gemere, un
suono rauco dettato anche
dalla sorpresa. Un ansimo che fu inteso dagli astanti come dettato dal
dolore, illudendoli della loro
forza.
Sara respirava piano, gonfiando ritmicamente il seno. Con le labbra
leggermente dischiuse stava in
attesa degli eventi. Non sentiva più alcun suono intorno a lei e cercava
d’immaginare cosa stessero
macchinando gli uomini, se erano tutti uomini!
Un rumore, due passi, qualcosa che s’appoggiava a terra, poi nuovamente due
passi. Lei tentava di
localizzare nello spazio la posizione dei suoi aguzzini.
All’improvviso sentì sussurrare un “O.K., va bene!”; quindi qualcosa di
caldo le fu appoggiato sulle
spalle. Stava ancora tentando di capire cosa fosse quando sentì un liquido
tiepido e denso iniziare a
colarle giù da quell’oggetto, attraversare il solco tra i seni ed espandersi
sul bacino. Lento ed
inesorabile incanalarsi nell’inguine, accarezzandola in modo estremamente
voluttuoso. Le piaceva
quella sensazione. Nessun odore particolare riusciva a darle qualche
indizio, non riusciva ad
identificare la natura di quella sostanza, ma non se ne preoccupava. Il
piacere che le stava dando era
sufficientemente intenso da convincerla del fatto che niente di male ne
sarebbe derivato.
Si stava godendo quel dolce languore, lasciandosi permeare da esso quando,
all’improvviso, una
cascata d’acqua gelida la investi, lavando via il denso e caldo liquido da
lei; riportandola, in questo
modo, alla realtà.
Il contrasto tra caldo e freddo, tra il languore e la realtà, tra il
piacere ed il freddo, quel senso di
leggero dolore dovuto al repentino distacco da una situazione gradevole, in
realtà, la faceva godere.
Allo stesso modo di come la faceva godere il tocco della lama d’acciaio del
coltello, delle corde strette
sui polsi che iniziavano senz’altro a lasciare il segno, la biancheria
strappatale di dosso e quant’altro
ancora le avrebbero fatto nel tentativo di procurarle dolore, umiliazione e
senso di sconfitta.
Il tintinnio della fibbia di una cintura, l’inequivocabile suono di una
lampo che veniva abbassata, il
sospiro di un uomo molto vicino a lei le lasciarono intuire il seguito.
Un tocco tiepido e umido, l’odore di maschio.
Aprì la bocca ruotando il viso verso la fonte e subito fu riempita da un
membro di generose
dimensioni.
Sapeva cosa voleva da lei ed iniziò a succhiarlo con entusiasmo,
scorrendolo in tutta la sua lunghezza,
seguendone la forma con le labbra chiuse forte contro di lui e lasciandosi
impregnare dal suo sapore.
Concentrata nel cogliere dalle brevi e leggere pulsioni di quel membro il
piacere che stava donando
all’uomo non ebbe sentore della presenza di un altro al suo fianco, dal lato
opposto al primo, anche lui
con la verga denudata e vicinissima alla sua faccia.
Un tocco leggero, quasi un delicato bussare, sulla sua guancia; poi sempre
più insistente sino a
divenire una vera e propria percossa, ritmica e violenta al tempo stesso.
Non capiva e continuava a succhiare il primo.
L’altro insisteva a sbatterle il pene sulla guancia seguendo fedelmente il
ritmo del suo andirivieni sul
membro del primo.
Nessun ordine le veniva impartito e quindi non si lasciò più distrarre da
quei colpi insistenti.
Conosceva il suo compito: doveva continuare a succhiare freneticamente
quello che aveva in bocca,
doveva farlo godere e accettare il succo del suo piacere in ogni luogo del
suo corpo lui avesse voluto
spargerlo.
Con la lingua ne seguiva il contorno, si tratteneva sul glande, lo seguiva
fedele mentre ritraeva la testa
sino a trattenerlo sospeso quando era completamente fuori. In seguito lo
ingoiava tutto sino a sentirlo
spingere contro la gola, togliendole il respiro, sino a sentire i testicoli
sulle labbra e allora aspirava
succhiando forte.
Percepiva sempre più abbondanti i suoi umori, le sue pulsioni divenivano
più intense e ravvicinate.
All’improvviso lui sottrasse il pene dalla sua bocca e immediatamente Sara
ricevette il primo getto di
sperma sul viso.
Aprì la bocca invitante.
Un secondo getto la investì sul naso per terminare sul mento.
Estrasse la lingua aprendola a cucchiaio, invitante e vogliosa.
Fu soddisfatta, lui appoggiò la punta sul suo improvvisato ricettacolo
colmandolo del suo seme.
Lei lo trangugiò, prima di dedicarsi ad un’accurata aspirazione di quello
che ancora rimaneva dentro
l’uomo.
Ritornò ad essere colpita ritmicamente da una cosa dura e allo stesso tempo
morbida e calda.
Si voltò verso la fonte e un altro pene prese a colpire deciso e rimato le
sue labbra. Lei aprì di più la
bocca, invitandolo dentro, ma lui insisteva a colpirla.
Sara calcolò bene il tempo e al momento giusto tirò fuori la lingua
inseguendo il pene. Continuò in
questo modo, ricevendo i colpi sulle labbra e restituendoli con la lingua.
Un gemito, un rantolo di piacere e fu nuovamente investita da un getto di
sperma. Come prima lo
raccolse per poi ingoiarlo.
Soddisfatti i due si allontanarono da lei, lasciandola con il viso
ricoperto della prova del loro piacere.
Sara sentiva colare quel liquido denso giù per il collo, dal mento qualche
goccia filosa raggiungeva
sporadicamente il seno per allargarsi sulla mammella.
Le sarebbe piaciuto vedersi ad uno specchio, ammirare il suo viso pieno di
lattiginoso seme, guardarlo
colare lento e deliziarsi al pensiero di quanto fosse stata brava a spremere
quei due; ma era bendata e
legata alla sedia nel mezzo di quella sala, senza sapere quanti uomini
c’erano intorno a lei e quanti
ancora aspettavano di trarre il piacere che desideravano dal suo corpo.
Perché lei era, in quel momento, solo un corpo e niente di più. Un oggetto
fatto di carne schiavo
dell’immaginazione del suo padrone. Lei aveva annullato la sua volontà, i
suoi desideri, le sue voglie
lasciandosi guidare dall’uomo a cui si era data senza nulla chiedere.
Era sua e lui poteva disporre del suo corpo come meglio credeva.
Questa consapevolezza si andava formando nella sua mente mentre era
immobile in attesa degli eventi.
La cosa le piaceva, l’aveva cercata da tempo. Una fantasia che era nata
nella sua mente tanto tempo
prima e mai soddisfatta sino ad ora.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce rotta per l’eccitazione del
suo padrone, il primo uomo,
l’unico che sino ad ora avesse visto in faccia.
- Ti è piaciuto? – disse lui.
- Solo se è piaciuto a te! – rispose lei interpretando bene la sua
parte.
- Voglio sapere se ti è piaciuto … dimmi cosa hai provato tu, mentre
ti lasciavi ricoprire dallo
sperma di sue sconosciuti.
Ti è piaciuto?
- Si!
- Ne vuoi ancora?
- Se tu vorrai, io ne riceverò ancora.
- E … non vuoi niente qui? – disse lui mentre pingeva violentemente
il dito medio nella sua
vagina.
La posizione di Sara, seduta in quel modo, non era delle migliori per
essere penetrata anche solo da un
minuscolo dito. L’improvvisa ed inaspettata presenza genero in lei dapprima
un vago dolore che
lentamente si tramutò in sottile piacere.
- Ma guarda quanto sei bagnata, sei completamente dilatata.
Allora ti piace veramente quello che ti abbiamo fatto sinora! – disse lui
più rivolto agli astanti che a
lei. – Però conciata così sei uno schifo, dimostri solo quanto sei troia e
niente più .. dovremo ripulirti
per bene prima.
Un altro getto d’acqua, questa volta abbastanza tiepida da risultare
piacevole, la investì con violenza
sciacquandole di dosso tutti i segni della sua splendida prestazione di poco
prima.
- Asciugatela per bene! – fu l’ordine impartito dal suo aguzzino agli
altri uomini.
Grondante e bagnata sin nelle pieghe più intime del suo corpo, Sara, sentì
che i lacci che stringevano i
polsi le venivano allentati e quindi sciolti. La stessa cosa accadeva alle
caviglie.
Nuovamente libera stiracchiò i muscoli da troppo tempo ormai vincolati nei
movimenti, nel farlo
assunse involontariamente delle pose molto sensuali rese ancora più efficaci
dal suo corpo contratto.
- Alzati, svergognata. E’ inutile che ti metti in mostra, tanto
sappiamo benissimo quello che sei e
come sei.
- Ma io … - tentò di giustificarsi lei.
- Taci.
Non è previsto che tu parli.
Devi solo aprire le gambe … anche perché è l’unica cosa che sai fare. Non
ci aspettiamo molto di più
da te. Devi solo seguire la tua natura ed aprire il tuo corpo all’essere che
la creazione ha posto sopra di
te, come tuo dominatore e padrone. – Inveì contro di lei il maestro.
– Asciugatela dunque, in modo che il frutto della sua scelleratezza
non infanghi il talamo ove verrà
condotta per essere finalmente impalata dalle nostre verghe. – terminò
rivolto agli altri.
Sara trattenne a stento un sorriso, meglio sarebbe dire un ghigno, si
chiedeva dove le avesse trovate
quelle frasi così ridicole e pompose. Se ci rimuginava sopra non riusciva a
trattenere la sua ilarità, ma
doveva farlo a tutti i costi pena, la rottura dell’incantesimo del gioco.
Si alzò in piedi, prestando attenzione a come si muoveva, non potendo
vedere lo spazio intorno a sé
rischiava d’inciampare rendendosi ridicola e comica invece che erotica.
Con le gambe unite e le braccia distese sui fianchi, per nulla imbarazzata
dalla sua nudità, restò in
attesa. Si sentì avvolgere da un ruvido tessuto e quindi strofinare da una
moltitudine di mani che non
riusciva a contare. L’asciugarono con vigore, sfregando con energia il
tessuto di lino grezzo sulla sua
pelle irritandola, procurandole un lieve senso di dolore che non le
dispiaceva per niente.
Al termine, due uomini, la persero per mano conducendola verso quello che
lei immaginava sarebbe
stato il luogo ove si sarebbe accoppiata con loro. Dove finalmente avrebbe
potuto accogliere qualcosa
di più soddisfacente di un misero dito nel suo interno, dove avrebbe infine
trovato il piacere che
anelava e che l’aveva sedotta ad accettare quel gioco.
No! Quei pensieri non andavano bene, mentre realizzava queste cosa con la
mente capiva che erano
nocive e pericolose per lo stesso piacere. Doveva abbandonare il suo solito
modo di pensare e agire. In
quell’occasione lei era solo la schiava, colei che dava piacere senza
richiederlo. Lei si donava senza
nulla reclamare, desiderava rappresentare la quinta essenza della
femminilità.
Almeno questi erano i suoi intendimenti, quello che l’aveva guidata lì; ma
non riusciva ad entrare
completamente nella parte, la sua vera natura di donna emergeva sempre
facendole vedere, in questo
caso specifico immaginare, ridicoli gli uomini che tentavano inutilmente di
apparire superiori a lei.
Bastava osservare che ad affrontarla erano in tre o quattro uomini per
realizzare quanto lei, in realtà,
fosse più forte.
Si sentì prendere per le spalle e ruotare nella direzione opposta al
cammino di prima, spingere indietro
di qualche passo e inciampò nel bordo del letto cadendoci seduta sopra. Una
mano s’appoggiò sulla sua
fronte e, imperativamente, la spinse costringendola a sdraiarsi.
“Bene, un po’ di violenza, finalmente!” pensò Sara mentre la prendevano per
i polsi costringendo le
sue braccia a distendersi completamente sopra la sua testa, dove venivano
trattenute da uno degli
uomini.
Due mani afferrarono le sue ginocchia, che stavano appena oltre il bordo
del letto, tirandole verso
l’esterno, costringendola a spalancare le gambe e ad assumere una posa
estremamente lasciva. Il seno,
messo in meravigliosa evidenza dalla curvatura che il suo busto era
costretto ad assumere a causa della
posizione delle braccia, tracciava delle immaginarie sinusoidi con i
capezzoli al ritmo del suo lento
respiro.
Il ventre completamente incavato nello sforzo di mantenere alto il sedere
che si trovava
pericolosamente in bilico sul bordo del letto sembrava invitare al suo
interno un qualcosa in grado di
colmare il vuoto di cui soffriva.
I fianchi, sottolineati dalla vita stretta. Con la loro curvatura simbolo
stesso della forma femminile per
eccellenza.
Le cosce, toniche e stupendamente delineate dai muscoli tesi nel tentativo
di opporre un minimo di
resistenza alla trazione che le veniva esercitata sulle ginocchia,
sembravano due guide, due sponde, su
cui lasciar scivolare i fianchi mentre la mano ti guida il pene verso la
vagina.
Ed infine lei: la vulva, la vagina, la tana sublime, il caldo ricettacolo,
la fossa in cui sprofonda e si
perde la razionalità maschile, l’antro che prima ci ha accolti, nei primi
mesi della nostra vita, e poi
rifiutati e proprio per questo sempre più ambito. Le sue labbra semi aperte
mettevano in oscena
evidenza il piccolo ma elastico buchino, i peli ancora fradici dalla recente
doccia non lasciavano
intendere il suo reale stato d’eccitazione; ma le vibrazioni trasmesse dal
respiro si ripercuotevano anche
su di loro.
Tutto questo per dire che, in quella posizione, Sara era molto invitante.
E lei lo sapeva.
Iniziò un pigro movimento del pube, una danza dettata dalle contrazioni dei
muscoli interni. Si alzava
e abbassava, tra le labbra si poteva notare il buco che si apriva e
richiudeva stringendo al suo interno un
immaginario pene.
Stufa d’aspettare stava cercando il piacere da sola.
Se gli uomini intorno a lei ed il loro istruttore lo capirono non fecero
niente per impedirglielo, rapiti
dallo spettacolo di quel corpo, che seppur prigioniero e limitato nei
movimenti, si dava il piacere che
desiderava anche senza il loro aiuto.
La mente vagava tra le fantasie erotiche che più la eccitavano, le piaceva
sentire gli occhi degli uomini
addosso, le piaceva essere al centro della loro attenzione e godeva del
fatto che gli stava eccitando.
Anche la loro inattività era per lei fonte di soddisfazione, sapeva che li
aveva bloccati con lo spettacolo
offerto dal suo corpo.
Uno spostamento di una mano dal suo ginocchio, quello destro.
Un lieve rumore, la percezione di un tenue calore tra le cosce. Qualcosa
stava cambiando.
La pelle che sfiora la sua all’’interno delle gambe, la sensazione che
qualcuno si stia inginocchiando
davanti a lei, tra le cosce.
All’improvviso la mano abbandona il ginocchio e si unisce all’altra sul suo
bacino. Tutte e due
l’accarezzano, scivolano sui fianchi, sulla vita e raggiungono il seno. Vi
si aprono sopra, caldissime, e
lo afferrano con forza ma senza farle male. Le dita scorrono, palpeggiano,
si uniscono sul capezzolo
che sino a quel momento aveva goduto della rugosità della mano. Loro, i
capezzoli, s’inturgidiscono
ancora di più tra quelle dita, vogliono esplodere; fanno male tanto sono
riempiti di sangue.
Poi le mani scivolano giù, lente e morbide, calde e sensuali raggiungono
l’inguine. Si estendono sul
bacino mentre i pollici cercano le labbra della vagina. Le dilatano,
mettendo allo scoperto e allargando
allo stesso momento l’ingresso al suo corpo.
Sara avvertì qualcosa di una fantastica consistenza appoggiarsi e spingere
sulla sua vulva, sentì il suo
corpo aprirsi per inghiottire senza incertezze quell’oggetto di calda carne.
Lui, chiunque fosse, spinse con costanza il pene dentro di lei, non
trovando nessuna resistenza lo fece
molto lentamente, in modo da darle il tempo di assaporare ogni singolo
centimetro, conquistando il suo
ventre che piano, piano si apriva a lui. Si fermò solo quando i suoi
testicoli trovarono il naturale fine
corsa, sino a quando sentì il suo corpo perfettamente aderente al suo
bacino.
Finalmente piena di tanta grazia, Sara, sospirò: un gemito lungo quanto il
membro che accoglieva.
Si rilassò, ora nessuno più poteva toglierle da dentro quello che aveva
sospirato fino a quel punto;
tornò a muovere il pube in modo provocante ed efficace per chi stava in lei,
invitandolo in quel modo a
muoversi per farle gustare a fondo la nuova situazione.
Finalmente lui si mosse, uscendo da lei sino al limite facendo emergere il
membro da lei per poi
rientrare, riaprendosi la strada con sommo piacere di tutti e due. Andò
avanti in quel modo a lungo,
sino a raggiungere il limite della propria resistenza e dell’autocontrollo;
allora si fermo dentro di lei
dopo essersi spinto fino in fondo, la prese per la vita, sollevandola un
po’, e la lasciò fare.
Sara continuò imperterrita la sua danza pubica di contrazioni e rilasci.
Piena di quel membro le sue
sensazioni erano acuite al massimo, sentiva nel dettaglio la sua forma
dentro di se e quando contraeva
godeva della sua presenza e della sua pressione sui punti erogeni interni.
Ormai presagiva l’orgasmo vicino, il calore che saliva dalla vagina al
ventre e da lì al cervello lasciava
dietro di se un forte languore che serviva solo a renderla più sensibile e
desiderosa di provare
l’esplosione del piacere.
Ansimò forte quando capì che non mancavano che poche contrazioni, pochi
sforzi e poi il suo corpo
avrebbe reagito istintivamente alle ondate di piacere, voleva le mani libere
per stringere a se l’uomo
che aveva in mezzo alle gambe nell’ultimo istante, bramava la libertà di
avvolgere le gambe intorno
alla sua vita per poterlo trattenere meglio e per angolare il pube nel
migliore dei modi, ma era trattenuta
con forza dagli altri uomini.
Gli unici movimenti che le erano concessi, a parte l’inarcare la schiena,
erano quelli del bacino e
appunto lì concentrava tutta la sua passione.
Le mani aperte sul suo bacino le inviavano un calore, che unito al suo, si
diffondeva piacevolmente
nella zona sottostante, i suoi pollici stimolavano instancabili il clitoride
alternandosi su di lui.
Non aveva più il controllo delle sue azioni, stava agendo seguendo il suo
istinto e sperava che lui, ora,
tornasse a muoversi come prima. S’illuse di essere soddisfatta, di essere
furiosamente sbattuta dal suo
membro guidato da energici colpi di reni, s’immaginava i suoi glutei
tratteggiati dai muscoli contratti
nel ritmico sforzo di sfondarla.
Però lo sentì irrigidirsi, inarcare il busto e spingere ancora più forte il
pene dentro di lei. Poi lo sentì
emettere un rantolo liberatorio e percepì il primo impulso del suo pene.
- Mi sta venendo dentro! Ohh…. – fu il pensiero di Sara.
Lui esplose.
Lei sentì i ritmici e veloci impulsi del suo piacere, ad ogni pulsione
immaginava il suo seme che
invadeva il suo utero. Era troppo eccitata, bagnata e dilatata per
apprezzare a pieno il suo getto denso e
caldo ma le piaceva. Aveva perso la concentrazione a causa dello stupore
derivato dal fatto che lui la
stesse inseminando, conscio o non conscio delle precauzioni che lei aveva
preso in vista di
quell’incontro, quindi si era allontanata dall’orgasmo. Si predispose
nuovamente ad esso nel tentativo
di venire stimolata dalle forti pulsioni che sentiva al suo interno ma
proprio quando era nuovamente
pronta, lui uscì strappandole un gemito di disapprovazione.
Calda, vogliosa, ad un passo dall’orgasmo era nuovamente abbandonata a se
stessa, ora non le bastava
più contrarsi per venire, voleva qualcosa dentro.
Non dovette attendere, il tempo materialmente necessario per permettere
all’uomo di scansarsi che
subito un altro prese il suo posto.
Questo nuovo membro, gonfio d’eccitazione per la scena alla quale aveva
appena assistito ma fresco e
riposato, entro in lei veloce e deciso a colmare il vuoto che sentiva.
Sara percepiva il nuovo maschio meglio di quello precedente, il suo pene
asciutto, non ancora
lubrificato dalle sue abbondanti secrezioni, sfregò sulle pareti interne
annunciando prepotentemente la
sua presenza.
Lei ricominciò la sua danza, decisa a raggiungere il piacere nel minor
tempo possibile, non volendo
nuovamente rischiare di rimare sola nel momento buono.
Lui seguì il suo pube abilmente, entrava quando lei si apriva e rimaneva
dentro quando contraeva per
uscire lento, in modo da darle il massimo stimolo. Teneva le mani sui suoi
fianchi, trattenendola forte
ogni volta che la penetrava.
- Questo ci sa fare! Eccome! – pensò Sara.
Voleva gridarlo quel pensiero, urlarlo a tutti i presenti in modo che
capissero quanto stava godendo.
Un grido d’incitamento all’uomo che lo invogliasse a muoversi sempre più
veloce e in profondità,
amava sentire il suo bacino scontrarsi con forza contro il pube, le piaceva
avvertire i sobbalzi del suo
seno sotto l’impulso di quelle spinte.
Questo non le stimolava il clitoride, meglio così!
Avrebbe raggiunto l’orgasmo più lentamente, gustandolo a pieno in tutta la
sua estensione, in ogni
singola sfumatura.
Ritrovò il punto in cui era stata lasciata dal primo, ma questa volta
l’uomo che aveva dentro era ancora
ben lontano dall’esplodere. Rassicurata da questa consapevolezza si lasciò
guidare nuovamente
dall’istinto.
Lui riconobbe il suo stato da come aveva iniziato a muoversi, da quelle
lievi e quasi impercettibili
dilatazioni interne della vagina che si predisponeva all’orgasmo, rafforzò
il suo controllo su di lei, la
seguì in ogni singolo istante guidandola verso il piacere.
Rallentò leggermente il suo ritmo quando sentì tra le sue mani i muscoli
irrigidirsi di colpo, spinse con
forza il pene attraverso le pareti vaginali chiuse nell’ultima e convulsa
contrazione, poi la sentì aprirsi a
lui e allora inizio a sbatterla con forza, sempre più velocemente.
Lei inarcò, per quanto poteva, la schiena abbandonandosi completamente a
lui. Non riusciva a gridare
il suo piacere, il respiro affannato le consentiva solo di ansimare.
Lui la seguì in quegli istanti convulsi per poi rallentare sino a quasi
fermarsi, accompagnando con la
penetrazione le ondate di piacere più lente che seguirono la prima
esplosione. Entrando in lei quando,
dal suo respiro, capiva che ne stava arrivando una e uscendo quando anche
l’impulso l’abbandonava.
Sara era ormai sfatta, fisicamente distrutta dal magnifico orgasmo e stava
iniziando a rilassare tutti i
muscoli per apprezzare meglio il languore che sentiva nascere dentro di se;
ma lui non accennava a
fermarsi, continuava a muoversi lento dentro di lei. Capì quello che voleva
e tentò di accontentarlo,
sapeva che al suo interno il piacere aveva lasciato una tale dilatazione e
lubrificazione da impedire al
suo stupendo e sconosciuto amante di godere a pieno del suo corpo. Lo
ringraziò per quello che aveva
appena avuto, contraendo ancora una volta a lungo la vagina, premendo le
pareti contro il suo membro
che cercava il giusto piacere.
Lui sembrò apprezzare molto questa sua gentilezza e prese a muoversi con
studiata lentezza,
chiaramente stava appezzando con la cappella ogni minimo anfratto o
curvatura in grado di stimolarlo.
Anche lui, in breve tempo una volta lasciato il controllo, s’irrigidì per
poi pulsare con forza dentro di
lei, traendola a se dai fianchi come per non permetterle di sfuggire al suo
sperma che stava per
iniettarle dentro. Non sapeva che era proprio lì che Sara lo voleva.
All’ultimo istante, però, cambiò idea. Uscì precipitosamente da lei per
appoggiarle il membro sul
ventre, premendolo contro con la mano.
Sara lo sentì pulsare attraverso la pelle, delle vibrazioni forti al punto
da consentirle di percepire il
fiotto di sperma che correva lungo il pene verso l’uscita. Quindi lo avvertì
spandersi sulla sua pelle,
caldo e denso, una sostanza colloidale che lentamente si allargava a
chiazza. Lo ascoltò venire
ricevendo tutto quello che lui emetteva, tentando d’immaginare lo spettacolo
del suo corpo ricoperto di
quel liquido lattiginoso.
Al termine del suo orgasmo, l’uomo, spalmò il frutto del suo piacere sulla
pelle di Sara. Con
movimenti ampi e lascivi portava il liquido sia verso il seno sia verso il
pube, utilizzandolo come una
crema cosmetica destinata ad ammorbidire la sua pelle.
Lei si godette a fondo quel massaggio, più dell’azione meccanica in se le
piaceva sapere che cosa
rendeva così scivolose quelle mani. Le sembrava che la pelle assorbisse
quella crema nutriente, la
sentiva entrare nei pori per insinuarsi, attraverso di essi, nel suo corpo.
Credeva di aver soddisfatto tutti i presenti, di aver terminato il gioco.
Lei aveva goduto, loro avevano
goduto; non restava più niente da fare se non una bella doccia e rivestirsi.
N’ebbe conferma, o meglio pensò che quella fosse la conferma, quando l’uomo
che le imprigionava i
polsi la lasciò libera di muovere la braccia.
Lei ne approfittò subito per riattivare la circolazione nelle membra troppo
a lungo relegate in una
posizione quasi innaturale, massaggiandosi il ventre leggermente indolenzito
dopo tutto quello che
aveva provato.
Si alzò a sedere sul bordo del letto, avvicinò una mano alla benda che
ancora teneva sugli occhi per
toglierla, ma una mano perentoria la fermò. Si sentì, quindi, prendere per
le ascelle e sollevare in piedi,
ruotare su se stessa e spingere nuovamente verso il letto. Ancora malferma
sulle gambe perse
l’equilibrio cadendo carponi sulle coperte.
Stupita ma compiaciuta da quella nuova pretesa strisciò verso quello che
credeva il centro del letto,
mettendosi in ginocchio con il busto eretto.
Capì dalle vibrazioni del materasso che un uomo la stava raggiungendo da
dietro, un altro era salito sul
letto dalla sua sinistra e stava strisciando verso di lei.
Non capiva le loro intenzioni e decise di attendere gli eventi senza
prendere iniziative.
Intuì la presenza di un uomo al suo fianco, sentì le sue mani guidarla su
di lui. Sollevò la gamba
sinistra e gli montò a cavallo cercando automaticamente con il pube, il
membro che avevano deciso
dovesse prendere ora.
Lo trovò, pronto e magnificamente eretto. Lasciò che fosse lui a guidarlo
dentro il suo corpo e quindi
scese facendosi nuovamente penetrare. Allargò le gambe in modo da lasciarlo
affondare in profondità.
Non pensava di provare ancora un piacere tanto forte, evidentemente
l’eccitazione che quella situazione
aveva generato in lei non era ancora stata soddisfatta a sufficienza.
Ritrovò il piacere di muoversi
liberamente su di un uomo dopo che era stata costretta a soddisfare le loro
voglie bloccata e aperta a
turno da quelli che guardavano.
Questa volta voleva dimostrargli che cosa sapeva fare e com’era in grado di
muoversi. Iniziò un gioco
di anche che portava il bacino ad ondeggiare eroticamente, guidando al
contempo il pube nel tracciare
una serie d’assurde figure geometriche.
Assurde ma molto efficaci sia per lei sia per l’uomo che le stava sotto.
Capiva da come spingeva in alto il pene quanto gradisse le sue mosse e
s’impegno ad inventarsene di
sempre più bizzarre.
Finalmente lui prese parte ancora più attiva a quell’accoppiamento, lasciò
scivolare le mani dalle
gambe di Sara sui suoi glutei. Lei immaginava facilmente il seguito: dopo
aver stretto le natiche a
lungo avrebbe tentato di raggiungere la vagina per stimolarla oltre al
lecito.
Lo volle facilitare nel suo compito e si lasciò cadere verso di lui,
esponendo in questo modo le terga a
quello che stava dietro, ma non poteva saperlo.
L’uomo che stava montando le afferrò le natiche, come previsto, e le dilatò
all’inverosimile, questo
Sara non l’aveva previsto, poi dopo un’affannata ricerca si dedicò a
stuzzicarle l’ano.
Sara amava in modo particolare le stimolazioni dell’ano mentre era riempita
da un generoso membro
nella via ordinaria, ansimò di piacere e gemette forte nella speranza di
dare le giuste indicazioni a lui.
Il dito che stava scorrendo sulla superficie esterna dall’ano lentamente
iniziò a spingere in modo
deciso sul buchino, sino a farlo dilatare dall’eccitazione.
Sara, rapita da quella nuova stimolazione, si fermò quasi del tutto
spingendo in basso il pube in modo
da prendere dentro la maggior porzione possibile del pene che cavalcava, poi
si lasciò toccare,
stimolare e lentamente violare dal suo dito.
Lo sentì entrare nell’ano e urlò. Venne profanata più volte e sempre
dimostro il suo gradimento.
L’uomo che era sin dall’inizio dietro di lei si mosse, appoggiò le mani sul
suo sedere scacciando quelle
dell’altro e quindi appoggiò il suo membro sull’ano di Sara.
Lei non riusciva a credere a quello che aveva ormai intuito delle loro
intenzioni. Non le era mai
capitato di essere presa in quel modo da due uomini insieme.
Temeva il dolore.
Era incerta sulla disponibilità del suo corpo ad accettare tutta quella
carne dentro, ma non ebbe il
tempo d’esternare il suo dubbio.
Quello che stava dietro di lei iniziò a spingere con costante intensità,
sfondando le sue ultime difese.
Lo sentì entrare dentro le sue viscere, farsi spazio e andare premere contro
il membro che gia la
riempiva per la via ordinaria. Lei sistemò al meglio l’angolazione del
sedere e s’abbandonò totalmente
al volere dell’uomo che la stava sodomizzando.
Era piacevolmente stupita dal godimento che stava provando così come dal
fatto di non provare
assolutamente dolore.
Quello dietro si muoveva piano, con lunghe penetrazioni e senza forzare,
mentre quello di sotto
rimaneva fermo, limitandosi a delle leggerissime spinte verso l’alto. Sara
pensò che oramai si era
adattata a quelle presenze ed iniziò a muoversi con molta attenzione avanti
e indietro con il bacino. La
faceva impazzire la sensazione che provava quando spingeva il corpo verso i
due uomini: sentiva i loro
peni entrare, scorrere nel suo interno, sfiorarsi quasi separati solo da una
sottile membrana, molto
sensibile per la verità. Tentò di contrarre i muscoli giusti per aumentare
la sua sensibilità nei punti
giusti ma la doppia presenza trasformava questa mossa abituale in una fonte
di dolore. S’accontentò
quindi di muoversi contro di loro. Non pensava di raggiungere facilmente
l’orgasmo in quel modo ma
la forte eccitazione che provava faceva passare l’apice del piacere in
secondo piano, voleva gustarsi il
più a lungo possibile quella situazione condita dalla consapevolezza di
essere, in quel momento una
vera e propria troia.
Fu, quindi, con sorpresa che colse i primi sintomi dell’orgasmo dopo pochi
attimi che si trovava in
quella posizione. Sin dagli esordi capì che non si trattava della solita e
comune esplosione. Il piacere
nasceva dal ventre in due punti ben distinti: oltre al solito sentiva
formarsi un punto caldo più
all’interno del primo che saliva al ventre per unirsi a quello vaginale, da
lì saliva veloce verso il
cervello ma solo dopo aver scosso il resto del corpo.
Si accorse di ansimare sempre più forte e di aver aumentato il ritmo quando
un forte tremito scosse il
corpo dell’uomo che l’impalava da dietro, immediatamente lo sentì
irrigidirsi e capì che ormai lui era al
capolinea. Infatti, lo percepì pulsare dentro le viscere.
Sara, che in quel momento aveva la testa completamente reclinata
all’indietro, nello sforzo di non
perdere nessun istante di quel grande piacere, si lasciò sfuggire un urlo
liberatorio. L’orgasmo
dell’uomo aveva generato il suo.
Godeva seguendo con le contrazioni del bacino le ondate di piacere che
scorrevano il suo corpo, senza
più curarsi di quello che aveva sotto di lei; il pene che spingeva il suo
seme nelle viscere carpiva tutti i
suoi pensieri. Fu per questo che s’accorse solo all’ultimo dell’orgasmo
dell’altro dentro il suo ventre.
La consapevolezza di aver ricevuto il seme di due uomini dentro di lei,
quasi contemporaneamente, il
pensiero che era stato il suo corpo, la sua femminilità e la sua sensualità
a generare il loro piacere la
fecero quasi venire nuovamente.
Con estremo disappunto sentì l’uomo estrarre il membro dalle sue terga,
allora, accettò la fine di quel
stupendo accoppiamento sollevandosi quel tanto che bastava per consentire al
primo di scivolare via da
lei. Si lasciò, quindi, cadere supina sul letto cercando un ipotetico
cuscino su cui appoggiare la testa.
Stanca ma profondamente soddisfatta da quella serata stava distesa con le
gambe larghe abbracciando il
cuscino. Non si era nemmeno preoccupata di sciogliersi la benda che teneva
ancora sugli occhi e non
lasciava che i rumori intorno a lei la distogliessero dall’apprezzare a
fondo il languore che sentiva
diffondersi ancora per il corpo.
Le parve di sentire dei grati saluti, qualche carezza sui polpacci, sul
sedere o sulla nuca. Una porta che
si apriva, un delicato vociare, e quindi richiudersi. Lei restava in attesa
d’ulteriori ordini dal suo
padrone, ma non sapeva che per lui il gioco era finito.
Colse le sue mani sulla schiena che lente salivano verso le spalle
accarezzandola, poi le sentì
armeggiare sulla nuca con il nodo della sciarpa di seta.
Lui le sfilò via la benda con dolcezza poi con grazia la invitò a girarsi
verso di lui. La osservo mentre
ruotava, studiò soddisfatto il suo corpo ancora sudato per il recente
sforzo, quindi lasciò indugiare lo
sguardo sulla zona genitale di lei dove la vagina macchiata di sperma
denunciava tutto quello che lei
aveva appena fatto.
- Vatti a fare una doccia. – disse lui senza riuscire a mascherare
l’emozione nella sua voce.
- Subito! – sottomessa lei obbedì.
Sara restò a lungo sotto il getto caldo. Si sentiva spossata ma
soddisfatta, a tratti spregiudicata ma
anche sporca, macchiata dalla trasgressione a cui si era concessa con tutta
la sua mente e tutto il suo
corpo.
Pensava ai dettagli di quella serata e si ripeteva che non aveva fatto
nulla di male, aveva solo eseguito
le istruzioni del suo maestro, nulla di più. Sì, aveva tratto un forte
piacere da quello, ma lo scopo di lui,
lo sapeva, era proprio quello.
In fondo non c’era niente di strano ad accettare le attenzioni di tutti
quegli uomini, di prendere i loro
membri in ogni parte del corpo e saziarsi con il loro seme se questo faceva
piacere a lui.
- Come ti senti? – le domandò lui quando, rivestita, uscì dal bagno.
- Benissimo. Stanca ma pienamente soddisfatta!
E tu?
- Sei stata magnifica, eccitante come non mai!
- Grazie, caro!
- Andiamo a casa, amore!
- Si, ti prego. Domani devo accompagnare i bimbi dal pediatra!
- Ok. Dopo di te! – disse lui aprendo la porta dell’appartamento a
sua moglie.
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Strane fantasie.
Ad Eleonora dolevano le braccia.
Costretta dalle corde che le legavano i polsi in quella posizione da ore al
centro della piccola camera
che fungeva da sala e cucina, nella baita isolata che lei e Giorgio avevano
affittato per la settimana di
ferragosto, aspettava il ritorno del suo uomo. La corda che la imprigionava
passava sopra un trave obbligandola a stare in piedi con le braccia
sollevate,
coperta solo da un leggero vestito di cotone soffriva terribilmente il caldo
nonostante si trovasse oltre i
1300 m d’altezza. Aveva sete, molta sete, ma la brocca d’acqua presa dalla
fonte vicina si trovava sul
tavolo, a fianco del bicchiere, fuori della sua portata. Desiderava
quell’acqua, voleva dissetarsi, non
riusciva a pensare ad altro che al contenuto della brocca e al modo di
raggiungerlo, ma le corde
tiravano sui polsi. Ad ogni sforzo la chiazza di sudore sul suo vestito si
allargava, peggiorando la
situazione, respirava sempre più veloce aumentando l’ossigenazione del
sangue con il conseguente
giramento di testa. Tutto questo l’aveva portata in uno stato allucinata
disperazione, era disposta a tutto
pur di dissetarsi.
Giorgio aveva calcolato bene i tempi, la conosceva da anni e sapeva i tempi
di reazione del suo
organismo: entrò nel preciso istante in cui lei stava per iniziare ad urlare
dalla disperazione. Si avvicinò
a lei fissandola nel vacuo dei suoi occhi.
- Bere! Fammi bere … ti prego! – sussurrò Eleonora con la voce
impastata.
Lui le girò intorno due, tre, volte osservandola, studiando con attenzione
il suo corpo: gli piaceva come
le si gonfiava il seno in quella posizione. Allungò una mano e l’appoggiò
sul quel seno, il tessuto
bagnato dal sudore aderiva a lei come una seconda pelle, lo strinse
spingendolo verso l’alto e continuò
a palpeggiarlo sino o a quando non percepì il capezzolo inturgidirsi sotto
il palmo. Soddisfatto la
raggiunse anche con l’altra mano ripetendo l’operazione, quindi passò ad
accarezzarla per tutto il resto
del corpo, dai fianchi alle spalle, senza disdegnare le sode natiche.
- Ho sete! … non resisto più, dami da bere. Ti prego! – ansimò lei.
Giorgio staccò le mani da lei e si portò verso il punto in cui era legata
la corda, ne sciolse il nodo e
consentì ad Eleonora di abbassare le braccia, ma misurò con cura la sua
libertà in modo che non
potesse ancora raggiungere la brocca sul tavolo. Infatti, come sentì le
braccia più libere, Eleonora corse
quasi verso l’acqua, inutilmente. Un rantolo di disperazione uscì dalla sua
bocca nell’attimo che
comprese che i suoi sforzi erano inutili e crollò in ginocchio abbandonando
la testa sul seno.
Lui gli si avvicinò e, prendendola per i capelli, ne sollevò il viso. Gli
occhi d’Eleonora imploravano
ma non vedevano la mano di Giorgio che lavorava sulla patta dei suoi
pantaloni.
- Hai sete?
Questo è l’unico liquido che avrai, se sarai abbastanza abile da estrarlo!-
disse lui mentre le
appoggiava il membro alle labbra.
Eleonora abbassò lo sguardo come per misurare quello che le veniva offerto,
quindi lo alzò verso
quello di Giorgio e aprì la bocca. Lo ingoiò mentre lo fissava negli occhi
e, subito, iniziò a succhiare
forte come se fosse una cannuccia da cui sorbire la bevanda tanto sospirata.
Eleonora faticava nel
portare avanti la sua opera, la quasi totale mancanza di salivazione rendeva
l’interno della sua bocca
ruvido e poco incline ad aprirsi del tutto. Non capiva come il contatto con
la sua lingua ispessita
potesse piacere a lui, ma a giudicare da quello che vedeva e sentiva lui la
trovava estremamente
piacevole. Si muoveva lasciando uscire completamente il pene dalla sua bocca
per poi ingoiarlo sino in
fondo, stuzzicandone il glande con la lingua in continuazione, mantenne il
suo ritmo anche quando lui
iniziò a spingere con le reni verso di lei a tempo. Con la mani legate non
poteva né brandire il membro
né afferrare Giorgio per le natiche come piaceva a lei, ma in ogni caso lo
stato confusionale che la
disidratazione le aveva procurato non le consentiva di sentirne la mancanza.
Seguiva unicamente
l’istinto e succhiava. Non si accorse che lui stava per venire e ricevette
il primo fiotto di seme sulla
lingua nello stesso istante in cui lui urlava dal piacere, distratta dal suo
unico fine, che era quello di
trovare del liquido da trangugiare, continuò la sua opera esattamente come
l’aveva iniziata. Solo
quando il seme iniziò a colarle giù dalla gola capì cosa era successo e
rallentò progressivamente sino a
fermarsi. Giorgio, soddisfatto, si ritrasse da lei riponendo il membro e
sistemandosi gli abiti si
allontanò di qualche passo seguito dallo sguardo d’Eleonora.
- Bere! – riuscì solo a dire lei.
Giorgio si diresse, allora, verso il frigorifero non visto da Eleonora che
aveva lo sguardo focalizzato
sulla brocca d’acqua. Tornò da lei con una lattina di birra freschissima, la
pose tra le mani legate di lei
e l’aprì. Eleonora guardò incredula l’oggetto che stringeva, poi lo portò
alle labbra, rabbrividendo al
contato con il metallo freddo, e leccò languidamente le gocce di condensa.
Lentamente, ieraticamente,
alzò la lattina per iniziare bere; come le prime gocce toccarono la lingua,
Eleonora, emise un mugolio
di piacere e ne svuotò di un fiato il contenuto. Lasciò cadere il
contenitore respirando a fatica tra un
singhiozzo e l’altro.
- Un’altra! – ordinò.
Giorgio ne prese un'altra dal frigorifero e la sistemò nuovamente tra le
sue mani, aperta. Lei bevve,
questa volta più con calma, gustandone il sapore e la sensazione
d’incredibile che quella birra le dava.
Dopo aver tanto desiderato qualcosa da bere stava ora quasi godendo, il
liquido leggermente alcolico
che le scendeva nello stomaco la stava riportando alla realtà. Ebbe allora
la piena consapevolezza della
sua situazione e ricordò quello che aveva appena vissuto. Sentì
l’eccitazione montare, crescere in lei,
ricordando quello che era appena successo tra loro due a causa del loro
nuovo gioco. Non riuscì a
terminare di bere, però, Giorgio la strattonò con la corda costringendola a
sollevare nuovamente le
braccia, ma non tirò tanto da costringerla ad alzarsi in piedi. Eleonora
rimase così in ginocchio con le
braccia sopra la testa, la testa appoggiata al destro e le gambe leggermente
aperte.
Pareva distratta, nuovamente estraniata dalla realtà e in attesa degli
eventi come se questi non la
toccassero; in realtà era concentrata nell’assaporare a fondo le sensazioni
che provava nella loro
pienezza, grazie ai ricordi. Mentre lui le girava intorno, apparentemente
indeciso sul da farsi, Eleonora
lo osservava assente e riviveva la serata precedente: quella del loro arrivo
nella baita, quando era
iniziato questo gioco che ora la vedeva ai piedi del suo uomo.
Durante il viaggio avevano ripeso un vecchio discorso iniziato tempo prima:
- Ma dai! Non puoi sostenere questo….- disse Giorgio mentre, senza
staccare gli occhi dalla strada,
portava alle labbra una sigaretta.
- Invece si, pensaci! – insisteva Eleonora – Il dolore non è poi così
diverso dal piacere, sono due
sensazioni forti, intense al punto da provocarti una contrazione istintiva
dei muscoli, da farti lacrimare,
urlare, gemere e ti lasciano spossato alla fine.
- Si … ma continuo a pensare che la differenza ci sia e grande. –
ribadì lui.
- Pensa e ricorda cosa provi appena dopo l’orgasmo, se io insisto a
stuzzicarti il glande con la
lingua tu t’irrigidisci tutto, se solo ti tocco più intensamente mi sfuggi.
Come se provassi dolore, ma in
realtà godi.
- No ..è diverso, in quel momento la pelle è molto sensibile e ogni
minimo tocco viene amplificato
al massimo….non è doloroso, è solo troppo intenso .. ecco! – si giustificò
Giorgio.
- Sarà! Ma quando io ti sono sopra e tu mi stringi forte le natiche,
con tutte e due le mani, mi fai
male… si male, ma mi ecciti ancora di più. Così come mi fai male se mi
stringi intensamente i
capezzoli o li mordicchi, non un dolore lancinante ma nemmeno leggero.
Eppure mi piace, quella
sensazione mi da l’esatta dimensione del mio corpo, amplificandone la
sensibilità, e mi consente di
apprezzare meglio il piacere che mi dai grazie al contrasto con esso. –
disse Eleonora.
- Scusa …non sapevo di farti tanto male, non ti sei mai lamentata! Ci
starò più attento, giuro! –
disse lui, leggermente preoccupato da quella notizia.
- Capisci! Il dolore, se calibrato, mi rende più sensibile al
piacere, lo apprezzo di più. – continuò lei
senza apparentemente dimostrare di aver sentito le sue parole. – Al limite,
il dolore mi eccita, in quanto
è una sensazione forte come il piacere. Attenzione, però, un dolore
calibrato, blando, quasi inesistente,
il minimo necessario per attivare i recettori del mio cervello….. è come
quando hai tanta sete e trovi da
bere! La sensazione della sete esalta il piacere di bere!
- Hai ragione, ma io sarei disposto a gradire meno la bevanda pur di
non dover soffrire la sete!
Però capisco quello che intendi, anche se non ho una grand’affinità con il
dolore, in nessuna sua
forma.
- A me basta che a tua affinità sia sufficiente a farmelo provare! –
sussurrò Eleonora, tra sé e sé.
- Cosa? – domandò lui dopo aver captato solo la parte terminale della
frase.
- C’è ancora un aspetto da tener presente in questo discorso-
continuò lei senza badare alla
domanda di Giorgio – quando mi stringi forte a te sino a farmi mancare il
fiato oppure se mi sollevi di
peso per portarmi a letto …mi prendi! Io mi sento in tua totale balia,
schiava dei tuoi desideri … una
“cosa” tua. Pensa alla penetrazione dal punto di vista femminile: io ti
offro il mio corpo che violi
entrando in lui. La penetrazione del tuo affarino lì…. dai non fare quella
faccia offesa, è un modo di
dire … Ok ..diciamo del tuo enorme membro lì, è una vera e propria
violazione del mio corpo, tu
affondi la tua carne in me, mi trafiggi, mi prendi e poi inizi a muoverti
come un forsennato spingendo
sempre più a fondo. Se noti bene c’è un leggero sottofondo di violenza in
questo.
- Si … ma mica sono stato io a decidere come si fa, gli organi
genitali sono sempre stati così …
prenditela con il progettista! – si giustificò lui con aria scherzosa.
- E questa forma di violenza a me piace – Eleonora continuava a non
ascoltare Giorgio – mi fa
godere sia dal punto di vista fisico che da quello mentale, per tutti i
significati intrinseci che ha. Quindi
vedi bene che per me accettare una leggera forma di violenza, finalizzata al
piacere, è normale. Com’è
normale per te essere violento ai fini del piacere. A me piace sentirmi
presa da te e in tua balia, mi
piace se mi spingi ad essere quella che normalmente non sono e godo nel
sentirmi tua. Attenzione,
però, a non confondere il concetto di violenza ai fini del piacere con la
violenza fine a se stessa. Se tu
adesso mi molli una sberla …io ti prendo a cazzotti le palline sino a che
non diventi viola …. Ma se tu
mi molli una delicata sberla mentre stiamo facendo l’amore, aggiungendo le
frasi giuste al tuo gesto,
magari la cosa mi eccita ancora di più …. Capisci quello che intendo?
- Temo di si …..
- Temi?
- No, meglio sarebbe dire che ho avuto delle preoccupanti visioni
mentre t’ascoltavo…
- Quali visoni?
- Di te legata sul letto a mia completa disposizione ….
- Siiiii!!! – rantolo Eleonora. – Continua.
- Niente di particolare, pensavo solo a quello!
- Mi pensavi legata e a tua disposizione … e basta? Nessun’altra
fantasia?
Dimmi cosa faresti in un’occasione simile!
- Eleonora! Sto guidando, ti prego! Non ….. – disse lui con un finto
tono esasperato.
- Ok …. Ne parleremo dopo! – concluse maliziosamente lei.
Dopo, però, non ne parlarono.
Per tutto il resto del viaggio, Giorgio era rimasto in silenzio, senza più
badare ai tentativi fatti da lei
d’introdurre un argomento qualsiasi. Eleonora pensava di aver esagerato, di
essere stata troppo brutale
nel descrivere i suoi ultimi sogni e desideri in campo erotico. Temeva di
aver calcato troppo la mano e
di aver parlato troppo chiaramente, forse Giorgio non era pronto per quel
tipo di confessioni e tanto
meno pronto a giocare in quel modo con lei. Decise che, una volta raggiunta
la loro meta, si sarebbe
preoccupata di smitizzare le parole dette in macchina in modo da rassicurare
il suo uomo; in fondo, se
lui non era attratto dal tipo di giochi, non poteva certo forzarlo; ci sono
cose che nascono spontanee in
una coppia per unirla ancora di più e cose che se imposte la disgregano.
Eleonora sapeva che il
concetto d’intercambiabilità tra piacere e dolore non era facilmente
assimilabile da un maschio come
Giorgio.
Dovette ricredersi appena entrata in baita, l’ambiente più accogliente del
previsto la mise subito di
buon umore facendole dimenticare le apprensioni di prima. Scaricati i
bagagli decise di farsi subito una
doccia per lavare via la stanchezza dovuta al caldo sofferto durante il
viaggio. Giorgio si dichiarò
disposto a terminare il lavoro di sistemazione delle provviste e la incitò a
rinfrescarsi, ricordandole che
era finalmente in ferie. Eleonora scovò il bagno proprio dove si aspettava
che fosse, rimase stupita dalla
pulizia e dalla modernità di quella stanza, evidentemente la baita era tale
solo nell’aspetto esterno. Si
spogliò lasciando i vestiti sul pavimento, quindi aprì l’acqua regolandola
ad una temperatura che lei
definiva “estiva”: né troppo calda né troppo fredda. Lasciò scorrere a lungo
l’acqua sul suo corpo in
modo lasciandosi massaggiare dal getto diretto sulle spalle e sul petto;
aveva gli occhi chiusi per la
concentrazione e non si accorse della mano di Giorgio che, furtiva,
s’intrufolava tra la tenda e il muro.
All’improvviso il suo stato d’assoluto godimento fu interrotto dal repentino
crollo della temperatura, un
getto freddissimo la investì sul seno per allargarsi sul ventre e gelare
tutta la parte frontale del suo
corpo. Eleonora cercò a tentoni la manopola di regolazione, ma prima di
riuscire a raggiungerla l’acqua
divenne caldissima. Con una reazione violenta si sottrasse al getto e aprì
gli occhi: Giorgio era lì, tra la
tenda e la parete, che la guardava con un’espressione strana sul viso, a
metà tra il divertito e l’eccitato.
- Non eri tu a sostenere che una piccola dose di dolore può essere
piacevole e stimolare i sensi? –
disse lui con un tono più vicino all’affermazione che alla domanda.
Eleonora lo guardò stupita, tutti i suoi timori sullo stato d’animo di
Giorgio svanirono in quell’istante.
Dolcemente si riavvicinò al getto d’acqua fissandolo negli occhi, quindi
prese la sua mano e la pose
sopra la manopola di regolazione della temperatura.
- Fammi quello che vuoi! – disse, a questo punto, lei con una voce
caldissima.
Giorgio allungò la mano verso il suo seno e lo sfiorò salendo verso la
doccia, estrasse la lancia dal suo
supporto e diresse il getto sulla sua schiena. Alzò la temperatura sino ad
un livello molto alto ma non
insopportabile, lasciò che l’acqua le scaldasse per bene la schiena e i
glutei, usava il getto come
un’estensione delle sue mani, dirigendolo laddove sapeva che lei gradiva di
più le carezze. La
massaggiò a lungo in questo modo studiando allo stesso tempo la sua
espressione. Quando la vide
completamente concentrata nell’assaporare quella carezza spostò il getto sul
ventre, regolando al
contempo la temperatura al minimo. Eleonora sentì il gelo prendere possesso
del suo corpo e si ritrasse
istintivamente contro l’angolo della parete precludendosi ogni via di fuga.
Un improvvisa pressione dell’abito sulla schiena e il rumore della stoffa
lacerata la riportarono alla
realtà, lì in quella saletta, in ginocchio e legata al trave che aveva sopra
la testa. Giorgio le stava
aprendo il leggero vestito con una violenza inusuale per lui sempre così
tenero e formale anche a letto.
Eleonora aprì gli occhi per studiare l’espressione del suo uomo e quello che
vide la preoccupò: lui
fissava unicamente il suo corpo nei dettagli senza mai alzare lo sguardo
verso il suo, come se ad
interessarlo fosse solo quello e non la donna che ci stava dentro. Eleonora
pensò di aver liberato un
aspetto nascosto di lui con i suoi discorsi, vedeva di fronte a se un uomo
che stentava a riconoscere; ma
soprattutto vedeva il coltello da cucina che teneva in mano e questo la
inquietava sul serio. Giorgio si
era sempre tenuto a distanza dai coltelli anche quando l’aiutava in cucina
adducendo la sua scarsa
manualità come motivazione: temeva di ferirsi a causa di un uso maldestro.
Ora, però, stava
impugnando quella lama con una sicurezza e una spavalderia quasi irreale.
- Cosa vuoi fare … con quel coltello? – domandò lei allarmata.
- Ora lo vedrai! – rispose enigmatico Giorgio.
Dopo di che si portò alle sue spalle ed iniziò a tagliare le spalline del
vestito in modo da spogliarla del
tutto. Finì la sua opera con calma e metodo, tagliando ogni lembo di stoffa
che legava il vestito a lei.
Quando ebbe terminato iniziò ad accarezzarle la schiena, lentamente e con
una dolcezza in netto
contrasto con la violenza di prima e questo la rassicurò sulle sue
intenzioni. Più tranquilla si lasciò
prendere da quelle coccole e si abbandonò ai loro silenziosi ordini. Le mani
di lui scendevano dalle
spalle sino al limite dettato dalle natiche e, senza mai superarlo,
risalivano verso il collo con leggere
deviazioni verso il seno. Giorgio continuò in questo modo, scendendo ogni
volta un po’ più verso il
basso sino a quando si trovò a sfiorare il pube di Eleonora. Lei si apriva
alle sue mani divaricando le
gambe per quanto le era possibile; le mani legate in alto non le
consentivano di scendere più di tanto
con il resto del corpo. Quella situazione la stava eccitando come non mai,
lui l’aveva legata in modo da
bloccare la maggior parte dei suoi movimenti ma non tanto da impedirle di
aprirsi a lui. Il dolore che
sentiva provenire dalle spalle e da polsi non disturbavano la sua
eccitazione, anzi per quanto possibile
l’acuivano grazie al valore simbolico di quella situazione. Si sentiva
completamente in sua balia,
schiavizzata dalla libidine del suo uomo, disponibile ad essere usata da
lui; si sentiva, in poche parole,
sua.
Giorgio si spingeva sempre più vicino alle zone sensibili di Eleonora con
le sue carezze, sfiorando il
pube ne percepì l’umido calore segno di quanto fosse ormai eccitata, ma ebbe
una sorpresa.
- Ma …! Ti sei depilata! – affermò lui, stupito.
- Si, pensavo di piacerti di più così, ho sbagliato? – rispose lei
con la voce impastata dal piacere e
dal dolore.
- Certo che mi piaci, ma volevo farlo io adesso … ma quando lo hai
fatto?
- Subito dopo la doccia, mi avevi lasciato troppo eccitata con i tuoi
giochetti d’acqua e …..sono
quasi venuta mentre mi radevo lì!
- Appena fatto? Allora la pelle è ancora molto sensibile, immagino! –
domandò lui malizioso.
- Si ... brucia anche un po’! – ammise Eleonora.
- Sei stata cattiva a farlo da sola … i hai negato il piacere di
essere io il tuo “barbiere”…..!
- Scusami … non pensavo che la cosa ti attirasse! – si giustificò lei
con la testa bassa.
Eleonora perse di vista Giorgio. Le sue mani erano sparite e non percepiva
più la sua presenza dietro di
lei. Rimase in attesa con la testa bassa, timorosa di aver contribuito a
rompere l’incanto che si era
creato tra di loro. All’improvviso fiutò il profumo del suo uomo e capì che
lui era tornato, stava per
ripetere le sue scuse quando percepì un tocco delicato sulla vagina, come se
lui ne stesse seguendo il
contorno con le dita della mano. Un dolore bruciante esplose improvviso
sulla parte di pelle appena
depilata, Giorgio la stava sfiorando con le mani imbevute del suo dopobarba;
non trattenne l’urlo
dovuto più alla sorpresa che al reale dolore. Eleonora sentiva la necessità
di appoggiare una sua mano
sulla parte infuocata o quanto meno desiderava bagnarla in modo da trarre
sollievo, ma era legata.
Nello stato i cui si trovava quasi non capì le parole di lui che la
incitavano ad urlare, a sfogare in quel
modo il dolore, tanto non poteva fare altro. Il bruciore invece che
diminuire si espandeva su una zona
sempre più ampia. Pensava d’impazzire per il dolore, non tanto per la sua
intensità ma per la sua
costante presenza, quando l’acqua della brocca versata sul suo ventre colò
lentamente sulla zona
genitale concedendole sollievo. La brusca fine del dolore fu recepita da
Eleonora come un piacere
intenso, tanto forte da farla gemere. Stava ancora ansimando quando sentì
nuovamente le mani di
Giorgio scorrere sul suo corpo, un massaggio delicato, del tutto in
contrasto con la situazione del
momento ma in grado di portare la sua eccitazione oltre ogni limite mai
raggiunto. Eleonora aprì
ancora di più le gambe come per invitarlo a stimolarla lì dove voleva lei.
Da quando avevano iniziato
quel gioco non aveva ancora avuto il piacere di godere di un orgasmo,
Giorgio l’aveva sempre
accarezzata nei punti giusti, facendola impazzire dal desiderio, ma si era
rifiutato di prenderla
nonostante i suoi silenziosi inviti.
Lui fece scivolare una mano da dietro le natiche di Eleonora raggiungendo
la vagina, ne separò le
labbra e scorrendo tra di loro per stimolarla ne valutò anche l’eccitazione,
soddisfatto da quello che
sentiva allungò l’altra mano verso il secchiello del ghiaccio che aveva
preparato precedentemente.
Rovistò al suo interno, attento a non generare dei rumori tali da consentire
a lei di capire cosa stesse
facendo, e n’estrasse il porta sigari d’alluminio che lei stessa gli aveva
regalato per il suo compleanno.
Stimolandola la costringeva ad aprire sempre di più le gambe e mentre le sue
dita scorrevano sul
clitoride spingeva il pollice dentro di lei. Eleonora ansimava ad ogni
intrusione e si apriva come poteva
a quella mano, voleva dimostrargli che poteva entrare qualcosa di più
importante di un pollice nel suo
ventre, nella speranza che lui si decidesse a testare quanto lei,
silenziosamente, affermava. Giorgio
spostò la mano in modo da spingere il medio, subito affiancato dall’indice
all’interno di Eleonora,
strappandole un forte sospiro di piacere seguito da un lunghissimo gemito,
quindi le estrasse di colpo
facendola sobbalzare e grugnire dal disappunto. Prestando molta attenzione a
non toccarla in
nessun’altra parte del corpo avvicinò il cilindro d’alluminio all’ingresso,
divaricò ancora di più le
labbra per spingerlo in lei. Eleonora si sentì penetrare da un oggetto più
consistente delle due dita di
prima ma gelato. Il netto contrasto tra il calore interno e il freddo
metallo acuiva la sua percezione
spingendola a ritenere enorme l’oggetto che stava entrando. Contrasse di
riflesso i muscoli del bacino
portando le pareti interne della vagina a stretto contatto con l’oggetto
mentre Giorgio spingeva, si
sentiva aprire da una cosa talmente estranea e sconosciuta da generare in
lei un piacere più mentale che
fisico.
La fantasia correva, quella non le era mai mancata. Non poteva vedere
Giorgio alle sue spalle e tutto
quello che riusciva a scorgere erano il trave di legno annerito dal tempo a
cui era legata. Il camino con i
resti bruciacchiati di un antico focolare, il pavimento di pietra grezza la
portavano indietro nel tempo.
In un tempo in cui era facile essere sottoposti a delle sevizie indirizzate
a strappare la verità. Un raggio
di luce proveniente dalla finestra colpì il grosso Crocefisso in legno, di
semplice fattura, appeso proprio
sopra il caminetto, la stessa luce che si tingeva di porpora grazie alle
spesse tende; allora capì dov’era e
chi era. Nella sua mente si formò l’immagine di un antico tribunale
inquisitorio, di tre frati che compiti
e dallo sguardo sicuro e impietoso la stavano osservando al di là del tavolo
della cucina,
improvvisamente diventato pieno di antichi e polverosi libri dove in un
angolo, il notaio con la faccia di
suo marito stava prendendo nota delle sue confessioni. La tortura continuava
e l’irritazione dovuta al
dopobarba sulla pelle appena rasata diveniva una bruciatura da ferro
rovente, lo stesso ferro con cui ora
il boia la stava penetrando. Rivide mentalmente il sabba lascivo a cui aveva
partecipato la notte
precedente, le danze intorno al fuoco nuda come le sue colleghe streghe.
Sentiva perfettamente il
contatto dei piedi sull’erba umida di rugiada e il calore del fuoco sulla
pelle. Nelle sue orecchie
risuonavano le invocazioni, a lungo ripetute, a favore del maligno e fremeva
al ricordo di quello che era
seguito al rito: la grande orgia con le sue compagne, un incoerente insieme
di corpi femminili
intrecciati tra di loro, risentiva le mani, le lingue, gli oggetti che, a
vicenda, si spingevano nel ventre.
Ora era lì, alla completa merce di quei tipi che tentavano di strapparle una
confessione ed un
conseguente pentimento, e la torturavano invano non sapendo che lei amava
quel tipo di dolore, che lei
godeva della sofferenza. Più il boia spingeva dentro di lei il ferro, lo
strumento di tortura, più lei
godeva.
Un urlo interruppe il suo sogno ad occhi aperti riportandola alla realtà,
le ci volle un attimo per capire
che era lei ad urlare di piacere, quindi si lasciò andare completamente
all’orgasmo. Mentre sognava
Giorgio non aveva smesso un istante di penetrarla con il portasigari e di
stimolarle il clitoride con
l’altra mano. Eleonora era giunta all’apice del piacere senza rendersene
conto, si lasciò cadere
rimanendo appesa per i polsi mente l’orgasmo scemava.
Pesava che tutto fosse finito lì, che ora lui l’avrebbe slegata e portata
nel letto a riposare, invece sentì
qualcosa tra le gambe e abbassando lo sguardo vide i piedi di suo marito che
avanzavano sotto di lei.
Non capiva le sue intenzioni e si domandava cosa volesse ancora, solo quando
vide la peluria dei
testicoli affacciarsi sotto il pube intuì le sue intenzioni. La conferma
arrivò nell’attimo che sentì
chiaramente il membro, durissimo e caldo dall’eccitazione, di Giorgio
iniziare a farsi strada in lei.
Quella nuova presenza anatomicamente perfetta, più importante del
portasigari e decisamente più
calda, le generò dei nuovi brividi di piacere. Nella posizione in cui le
corde la costringevano non
poteva scendere sino a contatto con il bacino di suo marito, quindi la
penetrazione era limita e
governata dalle spinte di lui. Eleonora si predispose come poteva per
accoglierlo al meglio delle sue
possibilità e restò praticamente ferma in attesa. Giorgio si era bloccato
per un lungo istante, rapito
dall’inconsueto spettacolo dei glutei di sua moglie: le braccia trattenute
dalla corda in alto plasmavano
la schiena e la vita portandole ad assumere una forma tendente alla
perfezione, i glutei sollevati a pochi
centimetri dal suo bacino, ma con i muscoli rilassati non tesi per mantenere
sollevato il corpo di
Eleonora, si modellavano in quel modo unico che lui non aveva mai potuto
osservare per più di qualche
brevissimo istante. Le piaceva il corpo di sua moglie e per tutto il tempo
passato a stuzzicarla con
quelle leggere torture l’aveva studiato e ammirato nei suoi dettagli,
eccitandosi ogni volta che lo
sfiorava e pregustandosi il finale che già dall’inizio aveva in mente.
Sapeva che lei avrebbe tentato di
tutto per riuscire a farlo affondare nel suo ventre sino ai testicoli, per
quello l’aveva legata in modo che
ciò le fosse impossibile.
Un repentino movimento d’anche di Eleonora lo risvegliò dal suo torpore,
lei stava chiedendo di più e
lui era lì per quello. Spinse in alto il bacino penetrandola a fondo, poi
ridiscese lentamente
accompagnato dai gemiti di lei. Continuò in quel modo sino a quando i
movimenti accondiscendenti di
sua moglie divennero scoordinati, segno evidente del crescente piacere di
lei, nuovamente pronta a
godere di un orgasmo esplosivo. A questo punto Giorgio rimase fermo,
mantenendo il pene per metà
dentro e lasciò a lei il compito di cercare il reciproco piacere. In quella
posizione le mosse di Eleonora
risultavano micidiali. Lei era insoddisfatta, lo voleva tutto dentro ma non
riusciva a scendere di più. Si
sforzava, stringeva le natiche, allargava al massimo le gambe, contraeva il
bacino e muoveva le anche
per invogliarlo a spingere. Tutti questi movimenti la facevano al contempo
godere; pur mancando la
sensazione di essere piena il desiderio si sentirlo in fondo la eccitava e
faceva montare il suo piacere.
Non le ci volle molto per raggiungere nuovamente l’orgasmo. Al suo urlo
liberatorio, Giorgio riprese a
spingere in alto il membro, sapeva quanto le piacesse sentirlo tutto mentre
veniva. Eleonora, finalmente
lo sentì sino in fondo. Quella soddisfazione cercata per buona parte del
rapporto incremento il suo
piacere, non si preoccupò di seguire le sue spinte ma si mosse guidata dalle
lunge e lente ondate del suo
orgasmo. Ad un certo punto sentì Giorgio irrigidirsi e scendere giù, capì
che era il suo momento, allora
rallentò il ritmo per cercare di allungargli il piacere. Quando lo percepì
pulsare si mosse ancora più
lenta, contraendo ancora di più i muscoli pubici, generando all’interno
della vagina un leggero
risucchio che fece finalmente urlare anche lui.
Quando lui uscì da lei con grande circospezione, Eleonora si abbandonò di
peso sulla corda, era
distrutta e non riusciva più a reggere quella posizione. Giorgio la slegò
accompagnando le sue braccia
sin giù, poiché lei non aveva più la forza di trattenere la loro caduta; le
liberò anche i polsi e notò che la
sottile striscia di cuoio interposta tra la corda e la pelle aveva evitato
il formarsi degli ematomi.
Eleonora rimase in ginocchio, troppo stanca per alzarsi, allora lui la prese
di peso per depositarla sul
piccolo divano, quindi, dopo essersi sistemato al suo fianco, la coprì con
una coperta.
Rimasero abbracciati sino a tarda ora, semi addormentati e languidi. Quando
Eleonora aprì gli occhi
vide quelli di suo marito che la fissavano con un aria dolcissima. Quasi non
riusciva a credere che lui
fosse stato in grado di giocare in quel modo con lei, lo credeva un po’
bigotto, legato agli aspetti più
classici del sesso e privo di certe fantasie. Era, invece, bastato
stuzzicarlo, dargli il via, dimostragli di
gradire certe attenzioni per vederlo trasformarsi in un perfetto amante.
Quello che l’aveva stupita di più
era stato il profondo rispetto che sentiva in lui nei suoi confronti anche
mentre la torturava e usava
come meglio credeva il suo corpo, lui aveva sempre e comunque cercato il suo
piacere prima del
proprio. Eleonora era in uno stato euforico dovuto al grande piacere provato
e alla scoperta di un
complice erotico in suo marito, si sentiva ilare e aveva voglia di ridere.
Non riuscì a trattenersi e mentre
lui la stava fissando stupito eruppe in una sonora risata.
- Ma che hai ora. – domandò lui.
- Niente, niente …ti amo! – disse Eleonora ridendo.
L’espressione interrogativa di lui la costrinse a dare delle spiegazioni,
lo informò allora dei suoi ultimi
pensieri e della scoperta che aveva generato la sua felicità.
- Per questo sei così felice? E ti stupisci che io abbia preso così
bene le tue proposte? Mi
ritenevi un po’ bigotto?
Strano … era quello che io pensavo di te, sai quelle fantasie … le tue
intendo … non mi sono così
estranee come pensi tu, anzi più di una volta ho provato l’irresistibile
impulso di legarti ..solo che non
sapevo come avresti reagito …ti credevo un po’ bigotta! – disse lui
terminando la frase con un sorriso.
- Bigotta io? Ma ….. forse avremmo dovuto parlarci prima! –disse lei.
- Vero! Nell’ultimo periodo siamo stati un po’ troppo taciturni,
davamo tutto per scontato!
Ma ora che abbiamo rotto il ghiaccio … penso che ti parlerò delle altre mie
fantasie!
- Davvero? E ne hai tante? – chiese lei con un aria tra l’innocente e
il sornione.
- Si .. ad esempio … mi piacerebbe farti indossare ………..
Continuarono a parlare a lungo, sino a vedere i primi raggi del sole
illuminare le vette intorno a loro.
Un discorso tra il divertito e il malizioso, accompagnato da carezze sempre
più particolari e intime man
mano che la stanchezza passava.
Sotto la doccia Eleonora pensava a tutto quello che aveva sentito e a
quello che aveva scoperto su suo
marito, si diede della stupida più volte solo per aver pensato in passato
che lui non era in grado di
soddisfare a pieno tutte le sue perverse voglie. Quelle rare volte che,
negli anni di matrimonio, aveva
pensato di trovare in altri la soddisfazione che cercava aveva resistito
alla tentazione più per
convinzione nel matrimonio che per altro, si era ormai quasi rassegnata a
non avere tutto nel campo
sessuale. Ora, però, aveva scoperto che bastava chiederlo … doveva
recuperare il tempo perso.
Si! Sarebbe stata una lunga e piacevole vacanza: loro due soli tra i monti
e tante fantasie da scoprire
insieme.
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Slegami
- Slegami!
Il mio sorriso malizioso lascia intuire che non ho alcun’intenzione di
ascoltare la sua preghiera. Mi
allontano da lei qualche passo e resto a guardarla.
- Dai! Slegami!
Lascio i miei occhi correre sul suo bel corpo disteso sul letto e legato,
mani e piedi, in modo da
formare una croce di S. Andrea.
- Ti prego! Iniziano a dolermi i polsi ed è tardi!
Fisso le gocce biancastre del mio seme che lente colano dalla vagina, più
lei si agita tirando sulle corde
e contraendo gli addominali più ne escono.
Stanno macchiando il lenzuolo.
- Slegami!
Ma che intenzioni hai?
Guardo la sua pelle che aderisce perfettamente ai muscoli tesi, le sue
curve che si accentuano quando si dimena, i capelli sparsi in parte sul
cuscino ed in parte sul viso. Mi
piace osservarla!
Sento il membro tornare in vita al pensiero di come ci siamo accoppiati
pochi minuti fa ed al ricordo di
come questo gioco è iniziato. Si è lasciata legare mentre mi guardava negli
occhi con aria di sfida,
pareva che dicesse: “Legami. Legami pure, tanto sai già che non sarai in
grado di resistermi!”
Aveva ragione!
In quella posizione era così invitante che sono entrato in lei ed ho
iniziato a muovermi senza badare ad
altro che alle mie sensazioni. Per una volta ho posto il mio piacere innanzi
al suo, è stata un’esperienza
unica, incrementata ed avvalorata dalle corde che la legavano.
In quel momento ai miei occhi ha cessato d’essere la mia compagna ed è
divenuta oggetto di puro
piacere, un corpo entro il quale sfogare i miei istinti di maschio. Ho
penetrato un corpo caldo e umido,
mi sono mosso dentro di esso e sono venuto il tutto in pochi istanti tanto
ero eccitato.
Quello che mi ha sconvolto è stato il suo orgasmo!
Lei è venuta prima di me, non me lo aspettavo. Solitamente le piace
giocare, anche quando è molto
eccitata trattiene l’orgasmo pur di sentire il più a lungo possibile un
membro dentro il suo ventre.
Questa volta si è lasciata andare esattamente come ho fatto io, pur legata
ha invertito i ruoli facendo di
me l’oggetto del suo piacere, si è data all’amplesso badando unicamente al
suo piacere ed ha raggiunto
lo scopo prima di me. Incredibile questa nostra intesa.
Non avevamo combinato niente, nessun progetto, alcun accordo; le corde sono
uscite per caso durante
i preliminari, i miei pensieri e la mia eccitazione è nata mentre la legavo.
Ho deciso di usarla in quel
momento, lo stesso in cui le ha deciso di usare me.
La guardo ora e penso che è una donna fantastica.
- Uffa! Slegami dai!!!
La sua pelle inizia a dare segni del freddo che prova: leggeri brividi la
percorrono ed i capezzoli
tornano ad inturgidirsi dopo il languido rilassamento del dopo orgasmo.
Sorrido ancora, so quanto ama
il caldo dopo il piacere. Provo un senso di vaga eccitazione nel torturarla
così.
Devo vincere la tentazione di avvicinarmi a lei per sfiorarla con le mie
mani, il suo corpo mi attrae
troppo.
- Un bel gioco dura poco!
Slegami che stanno per arrivare Sonia e Marco… devo prepararmi.
- Perché?
- Ma lo fai apposta?
Te l’ho detto, devo prepararmi!
- Io ti vedo già pronta!
I suoi occhi s’illuminano di comprensione, finalmente ha capito
l’estensione del mio gioco.
- Sei un …
La frase le viene stroncata in gola dal campanello. La lascio sul letto e
vado ad aprire.
I soliti saluti, abbracci e baci; sulle labbra nel caso di Sonia.
- Dov’è? – chiedono quasi all’unisono.
- Di la! – dico indicando la camera.
Sonia mi guarda, dai miei occhi ha già capito. Li accompagno in camera e
lascio loro il tempo di
comprendere.
- Nessun preliminare questa sera? – domanda Sonia con un tono che è
più di affermazione.
- Direi di no! – affermo laconico
- Che progetti avete? – domanda Marco d’indole pratica
- Falle cosa vuoi, io e la tua donna andiamo di la!
Claudia mi guarda dal letto, nei suoi occhi vedo un profondo sentimento di
gratitudine per la
situazione che ho creato ed una crescente eccitazione, poi sposta lo sguardo
su Marco e si concentra su
di lui. Sonia ed io lasciamo la camera, abbiamo molte cose da dirci e da
fare.
Sonia ama lasciarsi eccitare con calma, siamo ancora sul divano quando
sentiamo un gemito soffocato
di piacere emesso da Claudia, ci guardiamo negli occhi poi Sonia si alza ed
inizia spogliarsi.
Il nostro amplesso è quasi regolato dai suoni che provengono dalla camera,
rumori e gemiti che
c’eccitano unendosi ai nostri.
A fine serata accompagno gli amici alla porta, non ho ancora visto Claudia
e non ho idea di dove sia.
Saluto i nostri complici erotici poi torno in camera, lei è ancora legata al
letto.
- Adesso mi sleghi?
- Adesso sì!
Cordiali saluti
Cioffi cavalier Michele
E-mail
cioffi....@gsmboy.it