la tutrice [primi 6 capitoli]

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cioffi cavalier michele

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Dec 21, 2006, 1:36:15 AM12/21/06
to incensurati yahoogoogle

Capitolo I - Madame Foisson

Marie Foisson sollevò per qualche istante lo sguardo dalle carte che ormai
conosceva a memoria
per
gettare un’occhiata alla vecchia pendola, l’oggetto più prezioso
dell’elegante arredamento vittoriano
del suo ufficio. Erano le quattro e mezza del pomeriggio. Tra meno di
mezz’ora Jennifer Larson
sarebbe entrata in quella stanza e lei avrebbe dato via a un piano sul quale
aveva fantasticato per
anni.
Era troppo tardi per dei ripensamenti.

A soli 37 anni Marie era la figura più influente nella prestigiosa
scuola

femminile di Harper’s Hill. Il doppio ruolo di insegnante di francese e di
vicedirettrice era già
notevole
per una donna della sua età però il suo vero potere derivava dal fatto di
essere figlia e unica erede
dei
due fondatori dell’istituto. Sua madre si era trasferita dalla nativa
Francia negli Stati Uniti molti
anni
prima in qualità di insegnante madrelingua. Aveva poi sposato un
franco-canadese e la coppia
aveva
insieme fondato la scuola. I primi anni erano stati difficili. Le idee non
proprio progressiste dei due
coniugi mal si conciliavano con il clima politico degli anni sessanta. Fu
necessario attendere gli
anni
’80 e la riscossa del neo-puritanesimo perché la scuola iniziasse realmente
a prosperare. Sembrava
che
l’intera aristocrazia dello Stato non desiderasse altro che di poter spedire
le proprie figlie in un
collegio
che desse loro una bella ‘raddrizzata’. Marie Foisson non era però una
semplice raccomandata di
ferro.
Era completamente dedita al suo lavoro e era stata la sua abile regia che
aveva dato alla scuola la
filosofia grazie alla quale era ormai tra le più rinomate di tutti gli
States. La Harper’s Hill si era
sempre
distinta per una disciplina particolarmente severa e un po’ ottusa, frutto
delle inclinazioni dei suoi
fondatori più che di un’idea didattica o commerciale. Marie aveva cambiato
tutto questo. La
disciplina
era divenuta ancor più maniacale ma a ciò corrispondeva a una precisa
strategia. La scuola si era
specializzata nella educazione delle più scapestrate tra le ricche e viziate
figlie dell’alta borghesia
del
paese. Il punto di forza dell’istituto era che le ragazze turbolente anziché
essere espulse, come nelle
altre scuole, venivano invece ‘rieducate’ fino a farne delle perfette
debuttanti. Le iscrizioni e le rette
conobbero un’impennata impressionante, trasformando la Harper’s Hill in una
vera miniera d’oro.
Alla
luce dei suoi successi Marie avrebbe potuto pretendere di assumere la
direzione dell’istituto ora che
i
suo padre era morto e sua madre si era trasferita in Francia. Se non lo
aveva fatto non era però per
modestia ma perché il suo ruolo di vicedirettrice che la rendeva
responsabile per le questioni
disciplinari era per lei fonte di insospettate soddisfazioni. Non voleva
certo rinunciarvi proprio ora
che
per una sentenza della Corte Suprema aveva ufficialmente permesso la
reintroduzione delle
punizioni
corporali che peraltro non erano mai andate in disuso nella scuola.

Sino da bambina Marie era stata molto disciplinata e giudiziosa. Non aveva
mai dovuto assaggiare
i
trattamenti che sua madre dispensava così largamente alle sue allieve. Fu
solo molti anni dopo,
quando
dopo essersi laureata, accettò a malincuore di fare alcune supplenze nella
scuola dei suoi genitori,
che
scoprì la sua particolare vocazione. La prima volta che le capitò di
assistere ad una sessione
disciplinare, solo cinque nerbate sul posteriore ben tornito di una
sedicenne, non ne fu folgorata ma
la
cosa comunque suscitò il suo interesse. Quando qualche tempo dopo sua madre
le chiese di
sostituirla
in una di queste sessioni a causa un attacco di artrite, ne fu lieta. La
madre la istruì adeguatamente e
le
fece fare pratica su un cuscino. Il gran giorno venne. La ragazza aveva 15
anni, una espressione
impertinente e lunghi capelli biondi. Venne fatta entrare nella stanza in
cui si trovavano solo Marie
e
sua madre. Le fu spiegato che sarebbe stata Marie ad amministrare la
punizione e fu fatta mettere in
posizione. La ragazza si chinò sulla pesante scrivania in legno di quercia e
sollevò la gonna sulla
schiena lasciando esposte le terga, ricoperte da vezzose mutandine rosa.
Furono necessari tre colpi
di
verga prima che Marie, vincendo il proprio timore da neofita, riuscisse a
imprimere allo strumento
una
forza adeguata. Il quarto colpo fu perfetto e Marie poté così concentrarsi
sull’effetto dei suoi colpi.
Dopo aver sopportato in silenzio l’inizio della propria punizione la ragazza
iniziò a perdere la sua
baldanza ed ad emettere sordi gemiti ogni volta che il crudele attrezzo la
sfiorava. Marie osservava
estasiata i fianchi della sua vittima che oscillavano sotto i suoi colpi,
gli sforzi della ragazza per
mantenere la corretta posizione, le mani che stringevano con forza il lato
distante della scrivania. I
lamenti soffocati a stento le parevano dolci come i sospiri degli amanti
durante l’amplesso. Solo
all’ultimo momento la donna si rese conto del suo stato di eccitazione e che
in preda allo stesso
aveva
eccessivamente aumentato il ritmo e la potenza della battuta. Ci volle un
grande sforzo di volontà
per
riuscire a riacquistare il controllo di sé e a non assestare colpi extra
alla malcapitata allieva. Marie
getto
uno sguardo di sfuggita alla madre e con sollievo la vide intenta a
massaggiarsi il polso dolorante.
Non
si era accorta di nulla.

Marie non diede troppo peso al fatto di essersi sessualmente eccitata
durante la sessione
disciplinare.
Era successo e basta. Non avrebbe certo cambiato la sua vita! Si sbagliava.
Il momento della verità
venne qualche tempo dopo, quasi al termine del suo periodo di supplenza. La
madre le chiese
ancora
una volta di sostituirla nell’amministrare una punizione ma questa volta non
si fermò ad assistere
alla
somministrazione. La ragazza da punire aveva 16 anni, copiosi riccioli
rossi, seni molto sviluppati e
qualche chilo di troppo. Non era comunque sgradevole. Non appena le due si
trovarono sole nella
stanza, chiusa a chiave come da prassi, Marie sentì un forte brivido di
eccitazione al solo pensiero
di
avere l’altra alla propria mercé. Marie lesse alla studentessa i motivi
della punizione e impugnò lo
strumento designato.

“Sembra proprio che tu non sappia tenere la lingua a freno. Vedremo se 30
colpi con questa canna
ti
insegneranno un po’ di disciplina!” aggiunse con un ghigno crudele.

La ragazza deglutì. La punizione era piuttosto severa per una infrazione di
poco conto come la sua
ma
sapeva che essere recidiva comportava un aumento della pena. Senza dire una
parola si mise in
posizione e si sollevò la gonna dell’uniforme. Marie si spostò a sinistra
della sua vittima e iniziò a
colpire. I colpi erano netti e decisi. Ormai non era più presente alcuna
cautela reverenziale. Quasi
subito la ragazza prese a gemere e a contorcersi dopo ogni sferzata. Anche
se la punizione non era
eccezionalmente dura, per gli standard della Harper’s Hill, la sua capacità
di sopportare il dolore
non
era mai stata molta. Dopo il decimo colpo non poté fare a meno di sollevarsi
e di portare una mano
verso il suo tormentato fondoschiena.

“La prego non ce la faccio più!” piagnucolò.

“Silenzio!” replicò Marie. “Sai benissimo di non potere né muoverti né
parlare

durante la punizione. Per ogni infrazione sono previsti 5 colpi aggiuntivi.
Quindi ancora 30 colpi!”

Resasi conto del guaio in cui si era cacciata la ragazza divenne quasi
isterica.

“La prego” disse “so che devo essere punita. Non voglio sconti, solo ...
solo vorrei che mi
concedesse
qualche minuto di tregua tra una serie di colpi e un’altra.”

“Ah sì? E quanto di grazia?” replicò ironica la donna.

“Credo ... credo che ... 5 minuti ogni 5 colpi ... riuscirei a sopportarli
...

i colpi voglio dire ...” sussurrò con un filo di voce la ragazza impaurita.

“Non posso mica perdere tutto il pomeriggio con te!” rispose seccamente
Marie. Stava per
riprendere la battuta quando improvvisamente ebbe un’ispirazione. Si voltò
ostentatamente verso la
grande finestra fingendo di meditare sul da farsi ma in realtà per
nascondere l’espressione luciferina
che sentiva essersi dipinta sul suo volto. Attese qualche istante, poi con
tono calmo prese a parlare.

“So che in fondo sei una brava ragazza quindi ti farò una concessione.
Potrai scegliere tra due
alternative. La prima è di avere 30 colpi, come quelli che di ho già dato,
con 3 minuti di intervallo
ogni
10 colpi. La seconda è di ricevere 15 colpi. 10 con questa sottile striscia
di cuoio e dopo 5 minuti di
intervallo, 5 colpi con questa canna che è più leggera di quella che ho
usato fino ad ora.”

Mentre faceva la sua offerta, Marie indicò gli attrezzi designati, appesi
insieme a molti altri in una
rastrelliera in fondo alla stanza. La ragazza aveva una espressione stupita.
La seconda offerta
sembrava
fin troppo favorevole. La metà dei colpi, un intervallo più lungo e
strumenti più leggeri,
sicuramente
meno dolorosi.

“Naturalmente” aggiunse la donna con voluta nonchalance “nel secondo caso
non ti sarà concessa
la
protezione delle mutandine. Hai 5 minuti per decidere.”

Il viso della ragazza divenne rosso dall’imbarazzo. Sapeva che punizioni
del genere venivano
occasionalmente comminate ma lei non ne aveva mai subito una. Che fare?
Sapeva che non avrebbe
potuto sopportare i 30 colpi in modo disciplinato e che pertanto la
punizione sarebbe stata di nuovo
aumentata. I 15 colpi sulla pelle nuda sarebbero stati sicuramente più
imbarazzanti ma
probabilmente
non più dolorosi. Almeno così sperava.

“Scelgo i 15 colpi, signorina” disse quasi balbettando. “Cosa ... cosa
debbo fare?”

“Mettiti davanti alla scrivania, abbassati le mutandine e assumi la solita
posizione” rispose Marie.
La
ragazza, con le mani tremanti, abbassò le mutandine quanto bastava per
lasciare interamente
scoperti i
candidi glutei e iniziò a chinarsi in avanti. Marie, in piedi dietro di lei,
la fermò immediatamente.
“Così
non va bene! Le mutandine devono essere abbassate fino alle ginocchia”
disse. “E vedi di non farle
cadere sul pavimento durante la punizione altrimenti sarà peggio per te!”

Lentamente la giovane abbassò le mutandine fino alle ginocchia e si sdraiò
sulla scrivania. Per
evitare
che le scivolassero più giù dovette divaricare leggermente le gambe
regalando a Marie la fugace
visione del suo sesso e della sua fitta peluria rossastra. La donna era
intenzionata a sfruttare al
massimo
la situazione. Sferrò cinque colpi violenti in rapida successione per
mettere la sua vittima nel giusto
stato d’animo. Prese poi qualche secondo di pausa per permettere alla
ragazza di assaporare il
crescente
dolore e tornò a colpire. Questa volta i colpi erano ben distanziati l’uno
dall’altro e Marie poteva
gustarne pienamente l’effetto. Ogni volta che la lingua di cuoio colpiva si
avvolgeva sinuosamente
alle
bianche rotondità dei glutei e dei fianchi della malcapitata che riusciva a
stento a conservare la
posizione richiesta. Al termine dei primi 10 colpi le natiche della
studentessa erano solcate da
numerose linee color rosso fuoco che risaltavano fiere sulla carnagione
pallida delle altre aree. La
ragazza piangeva e singhiozzava. Marie, ansimante di piacere, osservava la
scena compiaciuta.
Ordinò
alla ragazza di attendere in un angolo, faccia al muro, che trascorressero i
5 minuti di intervallo,
sempre
con le mutandine abbassate e la gonna sollevata. Lei nel frattempo, sorpresa
dal suo stesso grado di
eccitazione, si era seduta dietro la scrivania, si era cautamente sfilata le
mutandine e aveva iniziato
ad
accarezzarsi fra le cosce. Maledizione … non c’era abbastanza tempo per
questo! Bisognava
riprendere
la punizione. Rimessa in posizione la sua vittima, Marie riprese a colpire
con tutta la sua forza per
fare
in modo che la leggera canna utilizzata potesse comunque farsi temibile.
Bastarono un paio di
sferzate
a riempire nuovamente di lacrime in viso della ragazza. Marie, ogni volta
che contraeva le cosce per
accompagnare il colpo, sentiva un’onda di piacere divamparle dentro. Decise
di indirizzare il quarto
colpo non sui glutei ma sulla parte posteriore delle cosce. Il colpo colse
completamente di sorpresa
la
vittima che lanciò un alto guaito. Le ginocchia le si piegarono e se non si
fosse aggrappata con tutte
le
sue forze alla scrivania sarebbe sicuramente caduta carponi. Senza attendere
che la poveretta
riprendesse posizione Marie le assestò il quinto colpo che le strappò un
altro urlo. Resasi conto
dopo
qualche istante che la punizione era finita la giovane si lasciò andare
accasciandosi sul pavimento,
ai
piedi di Marie, piangendo a dirotto e coprendosi il viso con le mani.

“Rivestiti e vattene se non vuoi una razione supplementare” disse Marie con
voce tremante.

La ragazza faticosamente si rialzò, ricompose i suoi vestiti e uscì con
andatura traballante. Era
troppo
presa dai suoi guai per accorgersi della espressione assente della sua
persecutrice e che questa, per
reggersi in piedi, aveva dovuto appoggiarsi con entrambe le mani alla
scrivania. L’orgasmo aveva
colto
Marie di sorpresa. Il fatto di essere eccitata dal corpo di un’altra femmina
non era una novità per lei.
Gli uomini non le erano mai piaciuti e durante il college aveva avuto modo
di sperimentare l’amore
fra
donne. Aveva però sempre avuto difficoltà a giungere all’apice del piacere
ed aveva finito per
pensare
che il sesso non faceva per lei. Tutto ciò che si concedeva consisteva in
qualche carezza durante la
doccia dopo un’oretta di jogging. Ora invece il piacere l’aveva vinta mentre
non si stava neppure
sfiorando!

Da quel giorno la vita di Marie cambiò. Rinunciò al suo sogno di fare
l’interprete e di girare il
mondo
e accettò invece un posto stabile alla Harper’s Hill. Divenne ben presto la
più temuta tra le
insegnanti.
Per rafforzare il terrore delle alunne nei suoi confronti iniziò a coprire
il suo splendido corpo
d’atleta
con lugubri abiti neri che le fruttarono il soprannome di ‘Morticia’, ben
presto sostituito da altri più
adeguati come ‘La frusta’ o ‘La puttana nera’. Prese anche a raccogliere
dietro la nuca i lunghi e
bellissimi capelli corvini e a portare frivoli occhialini anni ’50. Il tutto
contribuiva a darle l’aspetto
di
una vecchia megera, acida e cattiva. Esattamente il ruolo che voleva
recitare. La signorina Marie
ormai
non esisteva più. Al suo posto c’era adesso la terribile Madame Foisson.


Capitolo II - Jennifer

Knock! Knock! Il bussare ridestò Marie dai suoi pensieri.

“Avanti!”

“Buongiorno, Madame.”

“Buongiorno, Jennifer.”

Marie studiò la giovane mentre questa richiudeva la porta dietro di sé e si
avvicinava alla scrivania.
Jennifer Larson era quanto di più lontano vi fosse dalla tipica studentessa
della Harper’s Hill High
School. Non che il suo aspetto fosse diverso da quello delle altre. Era la
sua storia a renderla un
caso
unico. Lei non era la spocchiosa erede di una qualche importante dinastia
famigliare ma bensì la
figlia
di una ragazza-madre morta di overdose due anni prima. Da allora Jennifer
era stata affidata alle
poco
entusiaste cure del patrigno. Era cresciuta senza nessuno che si occupasse
realmente di lei ed era un
piccolo miracolo che nonostante le cattive compagnie non fosse caduta nella
stessa schiavitù della
madre. Né questa né il patrigno avrebbero avuto i soldi o la volontà di
mandarla a una scuola come
la
Harper’s Hill. Né d’altro canto una ragazza con la sua storia sarebbe stata
ammessa. Il motivo per
cui
Jennifer si trovava lì era che una sua zia, l’unica parente rimastale,
morendo le aveva lasciato un
fondo
per l’iscrizione all’istituto e una lettera di presentazione per la
fondatrice della scuola della quale
era
una vecchia amica. Con riluttanza, Marie aveva dovuto cedere alle pressioni
della madre ed
ammettere
la giovane nella scuola.

Purtroppo la carriera scolastica di Jennifer era stata un vero disastro.
Incapace di autodisciplina,
non in
grado di stringere amicizie con le altre studentesse, troppo diverse da lei,
aveva finito per diventare
una
ospite fissa dello studio di Madame Foisson con il solo risultato apparente
di sviluppare una
spiccata
resistenza al dolore. La vice direttrice se da un lato era lieta di poter
somministrare a Jennifer le sue
durissime punizioni dall’altro era indispettita dal fatto che queste non
producessero alcun positivo
effetto sul suo rendimento. Aveva così finito per fare del recupero di
Jennifer un caso personale. Si
era
dedicata ore a studiare il suo comportamento, i suoi voti, la sua storia
personale e familiare. Aveva
analizzato attentamente i test psicologici e di intelligenza a cui era stata
sottoposta. Alla fine poteva
dire di conoscere Jennifer Larson meglio di qualsiasi altra persona al mondo
ed era giunta a una
conclusione. Jennifer era una ragazza estremamente intelligente ma
terribilmente bisognosa di
qualcuno che si occupasse di lei. Le esperienze passate avevano
profondamente intaccato la sua
autostima. Se Jennifer non si impegnava a fondo degli studi non era perché
non si rendesse conto
della
loro importanza. Era perfettamente cosciente che solo con una borsa di
studio che andasse ad
aggiungersi alla sua piccola eredità avrebbe potuto frequentare un college e
sfuggire alla vita
miserevole che la attendeva fuori dalla scuola. Semplicemente Jennifer non
credeva nelle sue
possibilità e finiva per arrendersi senza nemmeno provarci. Qualche
occasionale punizione non
poteva
costringerla ad impegnarsi per più di qualche giorno. Aveva preso troppi
calci dalla vita per avere
realmente paura di un castigo che per quanto severo veniva solo una volta
ogni tanto. Aveva
bisogno di
attenzioni più costanti. Marie aveva perciò escogitato un piano che avrebbe
dovuto soddisfare le
esigenze della ragazza e allo stesso tempo le proprie inclinazioni. Per
funzionare aveva però
bisogno
della collaborazione della stessa Jennifer. Ed era venuto il momento di
chiederla.

“Accomodati pure” disse Marie indicando la sedia davanti alla sua
scrivania. Jennifer si mise dietro
lo
schienale della sedia. Sollevò la gonna e si chinò in avanti afferrando
saldamente i braccioli.
“Intendevo dire di metterti a sedere. Non sei qui per essere punita” precisò
Marie sorridendo
divertita.
Jennifer si sedette perplessa. Era uscita dalla scuola senza permesso ed era
rientrata ben oltre il
coprifuoco. Si aspettava una punizione molto dura. “Jennifer” iniziò la
donna con fare
inconsuetamente
familiare, alzandosi in piedi e poi sedendosi sul bordo della scrivania a
poca distanza dalla giovane.
“Tu sai che la nostra scuola si è sempre fatta un vanto di non espellere le
ragazze difficili ma di
rimetterle sulla giusta via, vero?”

“Sì, ma ...” interloquì Jennifer che iniziava a temere di essere cacciata.

“Lasciami finire d’accordo?” disse Madame Foisson con tono molto dolce.
“Non

puoi negare che a te sono state inflitte più punizioni che a qualunque
altra studentessa e che queste
non
hanno avuto alcun effetto sul tuo comportamento e sul tuo rendimento negli
studi.”

Jennifer deglutì e fece un timido cenno di assenso.

“Siamo arrivati al punto che il consiglio scolastico ha dovuto riconoscere
che la scuola con te ha
fallito. E per evitare che il tuo esempio possa contagiare le altre
studentesse ha votato la tua
espulsione.” Per Jennifer queste parole erano come una condanna a morte.
Peggio, a una vita
disperata
e infelice come quella di sua madre. La Harper’s Hill era stata la sua unica
possibilità di combinare
qualcosa di buono e lei l’aveva sciupata. Abbassò la testa. Sentiva gli
occhi che si riempivano di
lacrime. Iniziò a piangere in silenzio. Ciò che non era riuscito alle
centinaia di vergate subite era
successo ad opera di poche parole pronunciate con voce compassionevole.

“Mi spiace ... ho rovinato tutto!” singhiozzò la ragazza. All’improvviso
sentì una mano gentile
poggiarsi sulla sua spalla. Sollevò lo sguardo e vide la donna più temuta
della scuola che le
sorrideva
amorevolmente. Ne fu talmente sorpresa che rimase letteralmente a bocca
aperta.

“Ascolta Jennifer” iniziò Marie “conosco bene la tua situazione familiare.
So che se ti cacciamo
non
avrai un posto dove andare. Il tuo patrigno sta lavorando su una piattaforma
petrolifera e non può
certo
occuparsi di te, ammesso che mai lo abbia fatto!” Fece una breve pausa.
“Credo anche che tu abbia
buone possibilità di fare bene, a scuola come nella vita, ma che ti serva
una guida costante che ti
faccia
da stimolo.”

Jennifer guardò la donna con aria interrogativa. Non riusciva a capire
quale fosse lo scopo di quelle
parole.

“Purtroppo però non c’è nessuno che si occupi di te, mia cara” continuò
Marie. “A me però è
venuta
un’idea. Ne ho già parlato con il consiglio scolastico e con il tuo
patrigno. Ne ho discusso anche con
un
amica dei servizi sociali. Sono tutti d’accordo. In sostanza si tratta di
questo. Io assumerei la tua
tutela
legale e mi occuperei di te non solo in qualità di insegnante ma anche come
... be’ ... diciamo come
se
tu fossi un membro della mia famiglia. Naturalmente, visto che non sono una
tua parente, sarai tu ad
avere l’ultima parola sulla faccenda.”

“Io … scusi Madame ma non credo di capire …” disse Jennifer.

“Cosa, mia cara?”

“Cosa succederà se accetto? Potrò rimanere a scuola? E poi ... ecco ... non

capisco perché fa tutto questo per me ...”

“Lo faccio perché credo che con il mio aiuto tu possa cambiare la tua vita.
Venire qui è stata una
grande opportunità per te. Sarebbe un peccato se tu la sprecassi. Sono
sicura che anche tu la pensi
così,
non è vero?”

“Sì, Madame.”

“Quanto al resto è presto detto. Il provvedimento di espulsione sarà
sospeso a

condizione che tu sia promossa al termine dell’anno. Nel frattempo
ovviamente potrai continuare a
frequentare la scuola. Io sosterrò le spese per la tua retta e il per il tuo
mantenimento. Mi impegno
inoltre a sostenere le spese per farti frequentare un buon college sempre
che tu riesca a diplomarti
con
una media che ti faccia accettare.”

Jennifer era sbigottita.

“Attenta però!” aggiunse la donna. “Non pensare di ricevere alcun
trattamento di favore da parte
degli
altri insegnanti. Anzi chiederò loro personalmente che siano con te più
esigenti che con le altre
ragazze.
Inoltre ci dovranno essere dei cambiamenti. Non sarai più alloggiata in
dormitorio con le altre ma
verrai a vivere nella mia casa insieme a me. A scuola verrai solo per
frequentare le lezioni. Anche lo
studio verrà svolto a casa dove ti potrò tenere sempre sott’occhio.”

“Devi poi capire la cosa più importante” disse infine “I nostri rapporti
cambieranno. Come
insegnante
ci sono precisi limiti che devo rispettare nel rapporto con le mie allieve.
Come tutore legale però io,
di
fatto, sarei equiparata a un genitore. Avrò molto più potere su di te. Così
ad esempio, la qualità e la
quantità delle punizioni a cui saresti soggetta sarebbe molto maggiore e se
vogliamo più arbitraria.
C’è
bisogno che tu abbia piena fiducia in me perché un simile rapporto possa
dare i sui frutti. Mi rendo
conto che una decisione del genere non è facile da prendere perciò hai tutto
il resto della settimana
per
farlo. Domenica preparerai le valigie e lunedì mattina prima dell’inizio
delle lezioni verrai nel mio
ufficio e mi dirai cosa hai deciso di fare. Se accetti la mia proposta il
pomeriggio stesso potrai
trasferirti
da me altrimenti ti farò accompagnare alla stazione dove potrai prendere il
treno per tornare ad
Atlanta.”

Marie accompagnò la ragazza alla porta e le due si congedarono senza dire
altro. Rimasta sola la
donna rifletté sulle sue parole. Aveva esagerato ad accennare a Jennifer del
duro regime che
l’avrebbe
attesa a casa Foisson? No! A lei non bastava avere su Jennifer il potere
derivante dalla legge o dalla
forza bruta. Voleva che Jennifer stessa lo desiderasse, che si offrisse
spontaneamente in olocausto a
lei. Solamente così avrebbe avuto pieno dominio. Solo così avrebbe potuto
appagarsi su di lei e al
tempo stesso aiutarla realmente a migliorarsi. Ora tutto era nelle mani
della ragazza.

Jennifer passò tutte le notti di quella settimana pensando alla decisione
che doveva prendere.
Abbandonare la scuola avrebbe significato finire sulla strada. Nonostante
ciò l’alternativa di finire
sotto
le grinfie della Foisson era a dir poco inquietante. E sarebbe poi servito a
qualcosa? Lunedì mattina
Jennifer si presentò puntualmente nell’ufficio della vicedirettrice. Marie
non perse tempo e le chiese
subito quale era la sua decisione.

“Vede Madame ... apprezzo la sua offerta ... ma io non credo ...” iniziò
Jennifer.

“Non vuoi accettare, capisco” disse seccamente la Foisson. Era arrabbiata e
delusa.

“Il fatto è che ... anche se accettassi ... non riuscirei a farcela. Mi
conosco ... non riuscirei mai a
recuperare ... a essere promossa ... mi creda la deluderei. Io … io sono
un’incapace!” concluse
singhiozzando.

C’era ancora qualche possibilità. Marie era decisa a non lasciarsela
sfuggire.

“Sei una sciocca!” disse. “Non hai ascoltato quello che ti ho detto giorni
fa? So benissimo che non
puoi cavartela da sola! Non ti ho chiesto di assumerti l’impegno di
diventare una buona studentessa!
Sarò io a renderti tale. Non avrai alcuna possibilità di scelta a questo
riguardo. La mia volontà
basterà
anche per te.”

La donna cercò di assumere un tono più calmo e continuò.

“Quella che voglio è un’altra cosa. Voglio che tu accetti la mia assoluta
autorità su di te. Ciò che
devi
accettare non è di seguire le mie regole ma è il mio diritto a stabilirle.
Penserò io a fartele
rispettare!”

Jennifer era confusa. Non aveva pienamente compreso ciò che l’altra le
aveva detto. Ne era però
rimasta colpita. Lo sfogo della donna sembrava dettato da ... affetto per
lei?! Nessuno mai se la era
mai
presa con la ragazza per qualcosa che riguardava solo il suo bene. Il suo
patrigno non voleva che si
cacciasse nei guai solo perché era lui poi che doveva tirarcela fuori. I
ragazzi che aveva conosciuto
volevano solo portarsela a letto. Gli insegnanti la sgridavano e punivano
perché quello era il loro
lavoro. Solo sua madre, qualche volta, tra una crisi di astinenza e un
paradiso artificiale, le aveva
mostrato un po’ d’amore sincero. Ed ora questo. Possibile che nella più dura
e temuta insegnante
della
scuola ci fosse dell’affetto vero? Per lei?! Era impossibile. Eppure per
quale altro motivo avrebbe
dovuto assumersi la grana di occuparsi di una ragazza che non poteva che
causarle problemi e che
certo
non aveva fatto nulla per meritarsi il suo aiuto?

“Madame ... io non merito tutto questo ... so che la deluderò ... ma ... se
lei crede di ... di riuscire a
... io
...” i singhiozzi interruppero Jennifer. Mentre cercava di proseguire Marie
le si avvicinò e
ponendole
l’indice davanti alla bocca. Le sue parole erano poco più di un sussurro.

“Shhh! ... Devi solo dire che accetti la mia autorità su di te. Che accetti
il mio diritto a prendermi
cura
di te e a punirti come riterrò opportuno se non ti comporterai bene. Che ti
rendi conto che tutto
quello
che farò è per il tuo bene e nel tuo interesse. Che mi darai ubbidienza e
rispetto assoluti. Lo farai?”

“Io ... sì, Madame. Accetto. Io ... io ho bisogno del suo aiuto e prometto
che farò del mio meglio
per
non deluderla ...”

“Mi obbedirai? Sempre? Non ti ribellerai alle mie punizioni?”

“Farò tutto ciò che mi chiederà e ... accetterò ogni punizione, Madame”
rispose

meccanicamente Jennifer. Si sentiva come davanti a una belva feroce.
Terrorizzata ma stranamente
affascinata.

“Bene, bambina mia” disse la donna dandole un bacio sulla guancia. “Adesso
vai a lezione e dopo
lo
studio pomeridiano torna qui. Dovremo provvedere a trasferirti nella tua
nuova casa.”


Capitolo III - Nuova casa, nuova vita

La ‘nuova’ casa in realtà aveva almeno un secolo di vita alle spalle anche
se era tenuta
perfettamente.
Jennifer la conosceva bene perché sorgeva a poche centinaia di metri dagli
altri edifici della scuola,
del
cui complesso faceva parte integrante. Era una casa a due piani, piccola per
il suo genere ma fin
troppo
grande per Marie e per la sua giovane ospite. In assenza della madre della
donna, le due ne erano
infatti
le uniche abitanti. L’interno della casa, che Jennifer non aveva mai visto,
era in perfetta sintonia con
l’esterno. L’arredamento era rigorosamente costituito da pezzi d’epoca che
avrebbero fatto la
felicità di
un qualunque antiquario. Solo la presenza di qualche apparecchio elettrico
tradiva il secolo in cui ci
si
trovava.

Marie e Jennifer passarono il pomeriggio ad occuparsi della sistemazione
della nuova venuta. Le
cose
di Jennifer furono sistemate nella spaziosa camera da letto al secondo piano
che la donna le aveva
assegnato. Prima però Marie pretese di esaminarle dettagliatamente ‘per
accertare che non vi fosse
nulla poco adatto a una signorina come si deve’. L’ispezione fu per la
ragazza una specie di incubo.
Per
prima cosa venne sequestrato il suo stereo portatile perché giudicato ‘una
pericolosa fonte di
distrazione’. Se proprio voleva ascoltare della musica nel tempo libero
avrebbe potuto usare
l’ottimo
impianto hi-fi che era giù in salotto, ovviamente dopo averne chiesto il
permesso alla donna. Sotto
sequestro finirono anche i suoi cd e le sue cassette che, a detta della
tutrice non erano musica ma
solo
spazzatura. Stessa sorte subirono le sue riviste, ‘volgari e pornografiche’,
e i suoi cosmetici, visto
che
‘una brava ragazza non ha bisogno di impiastricciarsi la faccia come una
prostituta’. Furono scovate
anche le sue sigarette.

“Pensavo che tutte le punizioni prese per essere stata trovata a fumare ti
fossero bastate a perdere il
vizio! Vuol dire che di questo riparleremo stasera” fu il commento di Marie.

Anche gli abiti subirono una spietata ispezione. Furono destinate al macero
tutte le sue minigonne
‘roba da sgualdrine!’, le T-shirt ‘non ce n’è una che non abbia una scritta
oscena!’, le giacche
‘troppo
vistose e di cattivo gusto’, i jeans ‘non vorrai mica metterti a fare la
camionista, vero cara?’, le
scarpe
con i tacchi alti ‘alla tua età si possono portare solo con un vestito da
sera e non mi sembra che tu ne
abbia!’, quelle sportive ‘da quando in qua sei diventata un giocatore di
basket?’ e infine molta
biancheria intima ‘inadatta a una ragazza’. Alla fine della cernita a
Jennifer rimase poco altro che le
uniformi scolastiche e un po’ di capi intimi. Libri e quaderni furono
sistemati in un grande studio al
primo piano. “Sarà qui che studierai” disse Marie. “D’ora in avanti io
stessa svolgerò il mio lavoro
d’ufficio a casa così sarai costantemente sotto la mia sorveglianza.”

La sera cenarono in silenzio. Jennifer fu incaricata di sparecchiare e di
lavare i piatti. La donna le
spiegò che quello sarebbe stato l’unico lavoro domestico cui era tenuta. A
tutti gli altri avrebbe
continuato a provvedere il personale della scuola. Finite le faccende la
ragazza andò nel salone
principale dove trovò Marie che stava finendo di ascoltare il telegiornale
comodamente seduta sul
divano.

“Hai finito Jennifer?” le chiese spegnendo il televisore.

“Sì, Madame.”

“Bene allora avvicinati, dobbiamo chiarire un paio di cosette.”

“Sì, Madame” rispose la ragazza con qualche apprensione.

“Prima di iniziare la tua punizione vorrei chiarire che ...”

“Punizione?!” esclamò la ragazza stupita. “Mi scusi Madame ma perché vuole

punirmi? Io non ho fatto niente!”

“Non dirmi che pensavi di non essere punita per quello che hai combinato
lunedì scorso?” disse
Marie
con una punta di ironia. “Anche se ho fatto sospendere il provvedimento di
espulsione non vuol dire
che ciò che hai fatto debba essere dimenticato.”

Jennifer iniziò a preoccuparsi. Sapeva che sarebbe stata una punizione
pesante.

“Come se non bastasse hai addirittura portato delle sigarette in questa
casa! Questo ti costerà una
punizione supplementare” continuò la donna. “Quello che volevo dirti era
comunque un’altra cosa.
Te
ne avevo già accennato. Le punizioni che ti darò da oggi in avanti non
saranno date come
insegnante
ma come tutrice. Perciò saranno più lunghe, più dolorose e più umilianti di
quelle a cui sei abituata.
Mi
aspetto che tu ti ci sottometta senza fare storie. Sono stata chiara
Jennifer?”

“Sì, Madame” rispose la giovane che sapeva che questa era l’unica risposta
che l’altra avrebbe
accettato. Purtroppo in questo modo si era preclusa persino il diritto di
chiedere pietà.

“Bene, Jennifer” riprese la tutrice. “Togliti gonna e mutandine.”

Jennifer esitò. Non le era mai stato chiesto di togliersi la gonna prima di
essere punita. Bastò
un’occhiata di Marie a convincerla che non era il caso di perdere tempo. La
donna osservò la
giovane
mentre si spogliava. Indossava l’uniforme scolastica. Mocassini marroni,
lunghi calzettoni bianchi,
gonna blu lunga fino al ginocchio, camicetta bianca e un maglioncino azzurro
con lo stemma della
scuola. Mentre Jennifer ripiegava con molta cura su una sedia gli indumenti
che si era sfilata, in un
istintivo tentativo di procrastinare l’inevitabile, l’attenzione della
tutrice si concentrò sul corpo della
ragazza. Indubbiamente l’aspetto di Jennifer era cambiato. La prima volta
che l’aveva punita era
rimasta molto delusa dalla magrezza delle gambe della ragazza. L’educazione
fisica, molto curata
alla
Harper’s Hill, aveva fatto miracoli. Forse il fenicottero rachitico non si
era trasformato in un cigno
ma
quantomeno in una graziosa cicogna. Le lunghe gambe della ragazza avevano
adesso un perfetto
tono
muscolare ed erano giudicate dalla donna tra le più belle della scuola.
Anche il resto del corpo della
ragazza era piacevolmente tonico. L’unica pecca era che nonostante i suoi 15
anni, il corpo della
giovane continuava ad avere qualcosa di infantile. I suoi fianchi erano
rimasti stretti, come quelli di
un
ragazzo, ed il seno non sembrava voler crescere. Il suo viso era magro ed
aguzzo ma con lineamenti
delicati e femminei. Gli occhi erano castani e chiari. I capelli, castani
anch’essi, erano leggermente
ondulati e le scendevano fino alle spalle. Nel complesso il suo volto aveva
qualcosa di infantile ed
etereo. Per il tipico teen-ager americano oltre che per la ragazza stessa,
Jennifer non era un
comunque
un granché. Per chi invece, come la tutrice, avesse avuto gusti un po’ più
raffinati essa
rappresentava in
realtà una magnifica preda.

Jennifer aveva terminato la sua cerimonia di svestizione e ora stava in
piedi davanti alla donna. La
camicetta purtroppo era lunga abbastanza da ricoprire abbondantemente il
sesso della giovane che
nonostante ciò aveva comunque un aspetto piacevolmente indifeso.

“Mettiti qui!” disse Marie battendo il palmo della mano sulle cosce. Poi,
vedendo Jennifer
dubbiosa su
cosa le venisse chiesto, fu più chiara. “Non mi dirai che non sei mai stata
sculacciata, vero?”

In effetti le sculacciate non facevano parte delle punizioni previste dal
regolamento della scuola ed
erano anni che la ragazza non ne riceveva una. Sapeva però che era meglio
non discutere. Si
avvicinò a
Marie e non senza qualche impaccio si sdraiò in grembo alla donna.
Immediatamente questa afferrò
i
lembi della camicetta della ragazza e li tirò fino a scoprire non solo i
bianchi glutei ma anche buona
parte della schiena. Il pube nudo di Jennifer premeva contro la coscia
dell’istitutrice, separato dalla
pelle di questa solo dalla stoffa della gonna della tutrice. Jennifer era in
qualche modo contenta
della
punizione. Anche se essere sculacciata era umiliante non poteva certo essere
peggio delle punizioni
che
riceveva a scuola. Nel giro di pochi minuti sarebbe finito tutto.

Smack!

Il primo colpo non fu doloroso. Non lo furono troppo nemmeno i successivi.

Superata la dozzina però, il dolore inizio a farsi sentire.

Smack! Smack! Smack!

I colpi continuavano a cadere imperterriti. A Jennifer sembrava che ognuno
fosse più forte del
precedente, sicuramente più doloroso. Non importa, pensò, è ovvio che un po’
di dolore debba
provarlo, ancora qualche istante e poi sarà tutto finito.

Smack! Smack! Smack!

La donna non sembrava però avere alcuna intenzione di fermarsi. A volte il
ritmo dei colpi calava e
la
donna si concentrava nel colpire con particolare forza. In questi momenti
Jennifer pensava che la
punizione stesse per finire. Pensava che la sua aguzzina stesse usando le
ultime forze a disposizione
per
rendere memorabile la sculacciata. Invece ogni volta, dopo qualche colpo
particolarmente malevolo,
la
battuta riprendeva il suo ritmo forsennato. Più e più volte si ripeté questo
ciclo. Alla fine Jennifer
aveva
smesso di sperare in una rapida soluzione. Adesso era concentrata solo sul
dolore. Abituata ai ben
più
dolorosi colpi della canna non era troppo difficile sopportare i colpi senza
gridare e senza fare
movimenti scomposti. Ma se ogni sculacciata non provocava un dolore così
acuto come quello della
canna l’effetto cumulato dei colpi era tale da non poter essere sopportato
senza conseguenze. Le
guance
della ragazza erano infatti bagnate dalle lacrime che avevano iniziato a
sgorgare abbondantemente
senza che lei nemmeno se ne accorgesse. All’improvviso i colpi cessarono.
Occorsero però diversi
secondi perché Jennifer, singhiozzante, se ne rendesse conto.

“Sei stata molto brava, bambina mia” disse Marie accarezzandole dolcemente
i capelli. “Ce la fai
ad
alzarti?”

Jennifer si sollevò lentamente asciugandosi il viso con il dorso delle
mani. Anche se il dolore non
era
cessato era felice. Adesso la tutrice l’avrebbe congedata e lei sarebbe
andata in camera sua. Una
buona
notte di sonno e si sarebbe rimessa in sesto. Peccato che la donna avesse
altri progetti.

“Jennifer, vedi quell’armadio laggiù?” disse facendo un cenno con la mano.

“Sì, Madame.”

“Ti dispiacerebbe andare ad aprirlo?”

“No, Madame” rispose Jennifer avviandosi.

Una volta aperte le ante dell’armadio un terrore sgomento percorse la
giovane. Dentro, appesa a
innumerevoli ganci contrassegnati da una sigla, stava un’infinità di
strumenti di disciplina delle più
svariate forme e dimensioni. Alcuni erano simili a quelli che la ragazza ben
conosceva. Altri le
erano
del tutto estranei. Cosa significa tutto questo? Perché la donna le aveva
mostrato il suo arsenale?
Solo
per spaventarla? Non poteva certo avere l’intenzione di punirla ancora!

“Jennifer!”

“Sì, Madame?” rispose la giovane, bruscamente riportata alla realtà dalla
voce

di Marie.

“Alla base del ripiano troverai in righello di legno. Prendilo e
portamelo.”

Jennifer eseguì l’ordine. Dopo avere ricevuto lo strumento la tutrice
indicò a Jennifer di prendere
nuovamente posizione sulle sue ginocchia. La ragazza esitò. Sapeva che il
righello le avrebbe
inflitto
molto più dolore della sola mano nuda. Però sapeva anche, per esperienza
personale, che contrastare
quella terribile donna nella esecuzione di una punizione era del tutto
controproducente. Non avendo
scelta fece ciò che le veniva richiesto. Il righello, egregiamente
maneggiato, si rivelò fin troppo
efficiente. Anche se il ritmo dei colpi era ora meno frenetico, la giovane
non poté fare a meno di
gemere sotto ogni botta. Le divenne impossibile rimanere composta. Dopo ogni
colpo si contorceva
sulle ginocchia della sua carnefice che ne era grandemente deliziata.
Jennifer dovette fare appello a
tutta la sua volontà per evitare di spostare le mani dietro di sé in un
disperato tentativo di
protezione. Buona parte dei colpi era diretta non contro i glutei ma contro
le sue cosce, fino ad
appena
sopra l’incavo del ginocchio. In questi casi al grido di dolore si
affiancava il mulinio delle gambe
che
scalciavano a vuoto, fendendo l’aria. In una di queste occasioni poco mancò
che la ragazza colpisse,
con un tallone, il volto della sua aguzzina. La conseguente minaccia di far
ripartire dall’inizio la
punizione riuscì a ridurre le reazioni della giovane, ovviamente senza
eliminarle del tutto.

Come per la precedente sculacciata, la punizione andò avanti per molto più
tempo e procurò molta
più
sofferenza di quanto Jennifer, pur disillusa, avesse previsto. Lo stesso
poteva dirsi anche per il
godimento procurato alla sua carnefice. Quando i colpi cessarono, la ragazza
non fu assolutamente
in
grado di muoversi o di dire una parola. Solo il pianto, abbondante e
rumoroso, e la respirazione
affannata dal continuo singhiozzare scuotevano il suo corpo altrimenti
immobile. Occorsero almeno
dieci minuti di carezze e di parole dolci da parte di Marie perché la
giovane riacquistasse un certo
controllo. Una volta fatta inginocchiare Jennifer davanti a sé, la donna le
asciugò con un fazzoletto
il
viso arrossato e bagnato di lacrime. Le chiese poi gentilmente di andare a
riporre il righello. La
ragazza
eseguì docilmente, troppo stremata persino per lasciarsi andare ad un
sospiro di sollievo. Jennifer
aveva
appena riposto lo strumento quando sentì una nuova richiesta della sua
persecutrice.

“Ah! Jennifer per favore portami la canna contrassegnata con il numero
tre.”

Sorprendentemente la ragazza obbedì senza timore. Dopo tutto quello che
aveva subito era
convinta
che la tutrice non avrebbe potuto punirla ulteriormente. Probabilmente
voleva solo intimorirla e
minacciarla di usare il nuovo strumento in caso di future trasgressioni.
Quando si voltò vide però
che la
donna si era alzata e che adesso era in piedi vicino alla scrivania. Non ci
potevano essere dubbi su
ciò
che stava per accadere. Jennifer sentì come se dentro di sé qualcosa si
fosse spezzato. Mentre
camminava lentamente verso la sua carnefice sentiva che non era la propria
volontà a farla muovere
ma
quella dell’altra. Sentiva di non essere più una persona dotata di una
identità propria ma solo una
sorta
di manichino. Un automa mosso dai comandi altrui. Era una sensazione
sconvolgente ma in un
qualche
strano modo anche rassicurante. Ecco, adesso non si doveva più preoccupare
di accettare la
punizione
senza protestare o di subirla senza reagire. Semplicemente non era
fisicamente in grado di fare
diversamente. Non era lei a muovere le proprie braccia e le proprie gambe.
Lei era solo un corpo
inerte.
Un ricettacolo di dolore e di sofferenza, privo di capacità di reazione.
Avrebbe subito la punizione.
E
quella successiva. E quella dopo ancora. Priva anche della sola volontà o
speranza di sfuggirvi.
Calma.
Tranquilla. Abbandonata al dolore con la stessa voluttà con cui ci si
abbandona, in spiaggia, al
caldo
sole estivo. Solo le lacrime, che avevano ripreso a solcarle il viso mentre
consegnava nelle mani
della
aguzzina lo strumento del suo supplizio, tradivano la sua capacità di
provare emozioni. Ma
anch’esse
erano silenziose, rassegnate. Ah! Se tutta la sua vita fosse stata così! Se
solo fosse stata in grado di
accettare i suoi doveri e le sue responsabilità con la stessa semplicità e
rassegnazione invece di
cercare
in continuazione di sfuggirgli!

Marie, accortasi che la ragazza stava piangendo, con un gesto delicato che
sorprese lei stessa, le
passò
le mani sul viso, asciugandolo.

“Coraggio, bambina mia. Ormai non manca molto alla fine” le disse poi,
sorridendo dolcemente.

“Sì, Madame” rispose Jennifer, grata.

Ad un cenno della donna, la giovane si chinò docilmente sulla scrivania.
Marie le sistemò la
camicetta
in modo da scoprirle i glutei che avevano da tempo perso il loro colorito
bianco per assumere una
tonalità di rosso acceso. Thwack! Un primo colpo si era abbattuto sulla
ragazza, preannunciato dal
sinistro sibilo della canna nell’aria. Già al secondo colpo Jennifer aveva
dovuto urlare dal dolore. Il
trattamento che aveva ricevuto in precedenza moltiplicava l’effetto di ogni
staffilata, rendendola
insopportabile. La battuta procedeva implacabile. Marie non si doveva
nemmeno preoccupare di
imprimere forza alla canna. Sapeva che nelle condizioni in cui Jennifer si
trovava il dolore sarebbe
comunque stato notevole. Il ritmo era costante e leggermente accelerato,
incalzante, senza accenno
di
pietà. I colpi erano equamente ripartiti tra i glutei e le cosce della
vittima. Il sibilo della canna,
l’impatto sulla pelle e l’urlo di dolore segnavano il passare dei minuti con
la precisione di un
metronomo. Finalmente la tutrice ritenne di non poter procedere troppo oltre
senza causare danni
alla
ragazza. Ma prima di porre termine alla punizione voleva vincere
completamente la sua vittima.
Iniziò
così a colpire con tutta la sua forza sulle cosce, sui polpacci e anche
sull’incavo del
ginocchio. Bastarono pochi colpi perché la giovane finisse accasciata sul
pavimento. I gemiti di
Jennifer coprivano l’ansimare di Marie. La donna sapeva che la ragazza non
era in grado muoversi.
Così fu lei stessa a riporre la canna nell’armadio e a richiuderlo. Aspettò
poi pazientemente che la
sua
vittima si riprendesse e si rivestisse per accompagnarla, sorreggendola,
nella sua camera. Lì le diede
ordine di prepararsi per la notte ed uscì. Quando dopo qualche minuto Marie
ritornò nella camera
trovò
Jennifer semiaddormentata sul letto, con le mutandine abbassate e la gonna
alzata nel tentativo di
alleviare la sofferenza i terribili bruciori che la tormentavano.

“Ma bene!” disse acida la donna sbattendo sonoramente la porta. Il rumore
destò completamente la
ragazza. “Ti sembra questa la tenuta per andare a dormire? Sei indecente! E
guarda come hai ridotto
la
tua uniforme! Pensare che ero venuta per spalmarti dell’unguento lenitivo!”

Jennifer si riassettò più in fretta che poté ma non riuscì comunque a
evitare di ricevere altre cinque
dure sculacciate che la fecero di nuovo piangere disperatamente. La tutrice
le ordinò quindi
nuovamente di prepararsi per la notte e questa volta rimase a sorvegliarla.
La ragazza era abituata a
dormire con una T-shirt ma visto che erano state tutte sequestrate decise di
indossare una camicetta
bianca. Per sua fortuna ebbe la presenza di spirito di chiederne prima il
permesso alla donna. Questa
accondiscese dicendosi compiaciuta del fatto che stesse imparando le buone
maniere e aggiungendo
che se avesse osato infilarsi quella poco ortodossa camicia da notte senza
la sua autorizzazione si
sarebbe resa necessaria un’altra sculacciata. A quel punto, nonostante la
irritassero molto, Jennifer
non
ebbe il coraggio di sfilarsi le mutandine. Si sdraiò a letto e Marie le
rimboccò le coperte
augurandole la
buonanotte con un bacio su una guancia prima di uscire. Un bacio freddo
abbastanza perché la
ragazza
capisse di doversi sentire ancora in colpa. In ogni caso, a dispetto dei
dolori, Jennifer era così
provata
che si addormentò quasi immediatamente.

Capitolo IV - Le regole di casa Foisson

L’indomani, prima di colazione, Jennifer ebbe due spiacevoli sorprese. La
prima fu una sculacciata
di
cinque minuti ricevuta sulla pelle nuda ed ancora sensibilmente irritata. La
seconda fu il rendersi
conto
che il trattamento ricevuto la sera prima era solo una parte della punizione
prevista per lei. La
tutrice
però non le disse cosa avrebbe dovuto aspettarsi ma solo che ne avrebbero
discusso dopopranzo. Le
ore
di lezione passarono abbastanza rapidamente nonostante il suo stato le
rendesse penoso lo stare
seduta
compostamente. Una volta tornata a casa e dopo aver pranzato e riassettato,
Jennifer fu fatta
accomodare alla scrivania che la donna le aveva destinato per lo studio.

“Bene, Jennifer. Prima che ti metta a studiare vorrei chiarire alcune cose
e spiegarti le … ‘regole
della
casa’, se così si può dire.”

“Sì, Madame.”

“Come di ho detto stamattina la punizione di ieri sera era solo una parte
di

quella che ti spetta. Prima avevo pensavo di punirti in quel modo tutti i
giorni per una settimana poi
però ho finito per convincermi che non saresti stata in grado di
sopportarlo. Così ho deciso di
punirti
severamente come ieri solo due volte la settimana, per una durata di un
mese. In ogni caso anche gli
altri giorni sarai sculacciata due volte, la mattina e la sera, per almeno
cinque minuti. Fin qui tutto
chiaro?”

“Sì, Madame” rispose con un filo di voce la ragazza.

“Terminate le due settimane continuerai a essere punita, tanto perché tu
abbia

sempre presente cose succede a chi non si comporta come si deve. Per questo
motivo ogni
settimana
riceverai due sculacciate leggere e una punizione più pesante.”

“Ma Madame …”

“Silenzio! Non devi interrompermi mentre ti sto parlando. È segno di

maleducazione. Non vorrai costringermi a darti subito una lezione di buone
maniere, vero?”

“No, Madame. Mi scusi.”

“Per questa volta lascerò stare ma non tollererò altre intemperanze. Sono
stata

chiara?”

“Sì, Madame. Grazie.”

“Quanto alla durezza di questa punizione ‘severa’ sappi che comunque sarà
più

lieve di quella che hai subito ieri. Era questo che ti preoccupava?”

“Sì, Madame.”

“Naturalmente riceverai punizioni specifiche per ogni violazione del

regolamento della scuola. Sarai punita anche se mi disobbedirai, sarai
scortese o non accetterai le
punizioni con la dovuta disciplina. Hai capito?”

“Sì, Madame.”

“Inoltre, d’ora in avanti, avrai il preciso dovere di chiedermi di essere

punita ogni volta che commetterai una qualsiasi violazione. Se non lo farai
avrai una punizione
supplementare. Ricordati che questa è una regola molto importante. Posso
tollerare un errore ma
non
che si cerchi di evitare un giusto castigo.”

“Sì, Madame.”

“C’è ancora un’altra regola. Sarai punita anche in base al tuo rendimento

scolastico. Ti concedo due settimane di franchigia per rimetterti in pari,
nel mese successivo a
questo
periodo sarai punita per ogni insufficienza. Dalla fine di quel mese sarai
punita per ogni voto
inferiore
ad una B e mi aspetto che a partire dall’ultimo trimestre almeno metà dei
tuoi voti siano delle A.
Ogni
voto al di sotto di tale media ti frutterà una punizione.”

Jennifer era sbigottita. Dubitava persino di poter essere promossa e la
tutrice pretendeva addirittura
una media elevata! Nonostante gli ammonimenti ricevuti non riuscì a
trattenersi.

“Madame, io non riuscirò mai a ottenere dei voti così alti.”

“Ascolta, Jennifer” replicò la donna. “Indipendentemente da quello che tu
possa

pensare di te stessa, io so che tu sei intelligente e che con lo studio e
la disciplina potresti ottenere
risultati anche superiori a quelli che ho fissato. In effetti l’anno
prossimo mi aspetto che tu abbia la
media della A ma per quest’anno, visto che devi recuperare tutto il tempo
che hai perso, ho deciso
di
accontentarmi di molto meno.”

“Io … farò del mio meglio, Madame.”

“Ed io mi assicurerò che sia così. Rimane solo da chiarire un’ultima cosa.
A

scuola è necessario assicurare a tutte le studentesse un pari trattamento.
Perciò vi sono norme
precise
che stabiliscono quando, come e in quale misura una ragazza debba essere
castigata. Visto però che
tu
sarai punita da me non come insegnante ma come tutrice, è sufficiente che tu
sappia quali siano i
comportamenti che ti guadagneranno una punizione. E questo è quello di cui
abbiamo parlato.
Invece le
modalità e la durata delle sessioni disciplinari non saranno prestabilite.
Ciò vuole dire che quando
sarai
punita non ti sarà dato di sapere né il numero di colpi che dovrai ricevere
né quali strumenti
utilizzerò.
Semplicemente ti punirò fino a che non mi sembrerà sufficiente e nei modi
che riterrò più
opportuni.
Hai compreso, mia cara?”

“Sì, Madame.”

“E accetterai queste punizioni senza fare storie?”

“No, Madame … voglio dire sì, Madame … cioè …”

“Calma, tesoro! Calma! Ho capito. Ti assicuro che non ti punirò per questa

risposta. Adesso però è ora di mettersi a studiare” disse ridendo la donna.
Prima di allontanarsi
dalla
giovane, Marie le accarezzò la testa muovendo velocemente la mano avanti e
indietro,
scompigliandole
volutamente i capelli e sorridendole scherzosa. Jennifer non si aspettava
certo un atteggiamento così
gioviale da una donna che aveva appena finito di elencarle regole tanto
severe. La sorpresa le fece
dimenticare la paura e finì per ritrovarsi a sorridere alla tutrice. Sentiva
di esserle grata anche se non
riusciva a capire per che cosa.

Le giornate seguenti furono più o meno tutte simili tra loro fino a che la
nuova routine non divenne
familiare ad entrambe. Ogni giorno dopo la prima colazione si recavano a
scuola. Al termine delle
lezioni tornavano a casa per il pranzo. Mentre mangiavano Jennifer informava
la tutrice su quello
che
era successo durante la mattinata e poi entrambe discutevano del lavoro che
la ragazza avrebbe
dovuto
svolgere nel pomeriggio. Al termine del pranzo facevano insieme una
passeggiata di una mezz’ora
nello splendido parco nel quale era immerso il complesso scolastico.
Jennifer era una tipica
cittadina.
Non era mai stata una entusiasta delle bellezze della natura e detestava
andare passeggio. Ciò non di
meno era questo uno dei pochi momenti della giornata in cui poteva uscire di
casa e smettere per un
po’
di preoccuparsi dello studio o delle punizioni. Così aveva finito per
apprezzare sinceramente queste
escursioni. Anche per Marie quello era un evento importante. Se le prime
volte le due si erano
limitate
a scambiare qualche parola sulla scuola, col passare del tempo i discorsi
avevano preso una piega
più
personale. Certo non vi erano state confidenze sconvolgenti ma questi
colloqui erano comunque una
importante fonte di informazione sui gusti e le idee della ragazza. Notizie
che non potevano
risultare
dai documenti scolastici. Per stimolare la loquacità della giovane, la donna
aveva fatto di quei
minuti
una specie di zona franca. Una parentesi nella quale a Jennifer era concesso
di esprimere
liberamente le
proprie opinioni e di dire cose che in un qualsiasi altro momento della
giornata avrebbero potuto
costarle caro. L’unica pretesa della tutrice era il rispetto della
grammatica e delle buone maniere ma
in
effetti la ragazza non subì mai alcun castigo per quanto detto o fatto
durante quelle passeggiate.
Quello
a cui Marie non aveva pensato, anche se in fondo non le dispiaceva, era che
in quel modo pure la
giovane finiva per scoprire lati inediti nella personalità dell’altra.
Jennifer si meravigliò spesso di
come
una persona che lei, come tutte le sue compagne, aveva sempre giudicata
stupida e bigotta potesse
invece rivelarsi brillante ed arguta. Quando in un’occasione si era lasciata
andare a qualche critica
nei
confronti dei valori morali cui si ispirava l’istituto la donna si era
addirittura messa a ridere dicendo
che
non aveva tutti i torti!

La passeggiata finiva verso le due e mezza quando tutrice e pupilla
tornavano a casa. Lì la donna
lavorava alla sua scrivania o leggeva mentre Jennifer, a poca distanza da
lei, si dedicava allo studio.
La
ragazza studiava fino alle sette con una breve pausa a metà pomeriggio
durante la quale Marie le
serviva tè e pasticcini. Dopo quell’ora la giovane veniva poi interrogata
per almeno mezz’ora da
Marie
che così si accertava del corretto svolgimento del lavoro. Poco prima delle
otto un’incaricata della
scuola portava la cena che, come il pranzo, era preparata dalla eccellente
mensa scolastica. Dopo
cena,
sempre che non dovesse essere punita con qualcosa di più serio di una bella
sculacciata, a Jennifer
era
concesso di guardare con la tutrice un film scelto dalla collezione di
cassette della donna. Anche se
in
genere si trattava di vecchi film, Marie era così entusiasta nel narrarne le
vicissitudini, svelando
retroscena e aneddoti, che la ragazza finiva per appassionarvicisi
realmente.

Spesso, soprattutto dopo una punizione, Jennifer, anziché stare seduta sul
sofà, si sdraiava su un
fianco
appoggiando la testa in grembo a Marie. Era stata la donna a offrirle la
prima volta questa
possibilità e
la ragazza era stata lieta di accettare per alleviare la sofferenza del suo
martoriato fondoschiena.
Aveva
però poi scoperto quanto fosse piacevole quella sensazione di intimità che
si veniva così a creare. Il
contatto con il calore di un altro corpo, le carezze gentili che ogni tanto
le sfioravano i capelli e le
spalle, erano cose che le sembrava di non aver conosciuto. Il confortevole
benessere che provava
era
tale che spesso finiva per addormentarsi in questa posizione e Marie doveva
svegliarla quando
giungeva l’ora di andare a letto.


Capitolo V - Una punizione rivelatrice

In ogni caso la vita in casa Foisson non era certo sempre così piacevole
per Jennifer. Il duro
impegno
dello studio non era nulla se raffrontato alle punizioni che doveva subire.
Come Marie aveva
previsto e
auspicato, le continue battute ricevute avevano finito per ridurre in
cattivo stato il posteriore della
giovane. La donna si era così vista ‘costretta’ a variare modi e strumenti
del supplizio. Già al
termine
della terza settimana infatti la tutrice, dopo avere a lungo contemplato i
glutei della ragazza già
pronti
all’iniziale sculacciata, informò Jennifer che non sarebbe stato opportuno
continuare con la
consueta
punizione. Ordinò quindi alla giovane di alzarsi e andò di persona a
prendere un nuovo attrezzo
dall’armadio. Tornò tenendo in mano un flagello costituito da una lunga
impugnatura dalla quale si
diramavano numerose strisce di cuoio sottile. Jennifer notò che ogni
striscia aveva alcuni piccoli
nodi
che sicuramente servivano ad aumentare l’efficacia dello strumento. Marie
ordinò alla ragazza, che
in
precedenza si era già privata di gonna e mutandine, di togliersi il
maglioncino che stava indossando.
Jennifer eseguì pur domandandosi cosa avesse in mente la donna e rimase
davanti a quest’ultima
con
addosso la sola camicetta d’ordinanza. La tutrice posò il flagello sulla
scrivania e le si avvicinò.
Iniziò
quindi a sbottonarle con calma la camicetta partendo però dai bottoni
situati appena sotto i seni e
scendendo verso il basso. Una volta che ebbe finito Marie prese a tirare con
decisione i lembi della
camicetta e sollevandoli, li annodò appena sotto la linea dei seni. La donna
indietreggiò poi di
alcuni
passi per osservare il lavoro compiuto. Davvero eccellente! Il drappeggio
lasciava completamente
esposto al suo sguardo il ventre e il sesso della ragazza. Anche la schiena,
al di sotto delle spalle era
totalmente esposta. L’aspetto complessivo era, agli occhi di Marie,
estremamente eccitante. Jennifer
nonostante fosse visibilmente imbarazzata aveva disciplinatamente tenuto le
braccia lungo i fianchi
rinunciando ad ogni tentativo di coprirsi. Le braccia, spalle e seni erano
ancora protetti dalla
camicetta
e ciò accresceva a dismisura la sensazione di nudità e vulnerabilità delle
altre zone del corpo prive
di
qualsiasi difesa. Marie cercò di fissare nella mente ogni particolare del
corpo della ragazza. Le
gambe
flessuose, il ventre piatto, il timido e delicato boschetto di peli castani
che le ricopriva il pube.
Erano
tutte immagini che quella notte avrebbe lasciato libere di tormentarla
piacevolmente fino a quando
non
avesse concesso alla sue agili dita di dare sollievo alla sua eccitazione.
Ma era presto per questo.
Adesso il suo appagamento sarebbe venuto direttamente dalle urla, dai gemiti
e dalle contorsioni
della
sua vittima.

“Alza le braccia e incrocia le mani sopra la testa” ordinò la donna. “Bene
così. Ora divarica un po’
le
gambe.”

Jennifer eseguì. Schwapp!Il flagello iniziò a colpire, inaspettato, il
ventre di Jennifer. I singoli colpi
non erano dolorosi come quelli della canna ma la ragazza sapeva bene che
anche colpi leggeri, se
prolungati, potevano divenire insopportabili. Anche la schiena si aggiunse
presto agli obiettivi dello
strumento. Seguirono poi le cosce, questa volta colpite nella parte
anteriore. Quando ciò accadeva le
spire del flagello proseguivano poi ne varco tra gli arti della ragazza
arrestandosi dolorosamente
contro
la delicata pelle all’interno dell’arto. Il peggio però doveva ancora
venire. Ad un certo punto Marie
cambiò l’angolo con cui portava i colpi contro le gambe della giovane,
imprimendo allo strumento
una
traiettoria verticale, dal basso verso l’alto, anziché una orizzontale. Con
la rapidità di un serpente le
molte lingue del flagello si incunearono facilmente tra le gambe divaricate
della loro sfortunata
preda e
si abbatterono sul suo sesso indifeso.

“Aaarghh!”

Il grido di Jennifer non era di semplice dolore ma di puro terrore. Mai
aveva immaginato che una
punizione potesse essere rivolta anche contro la parte più intima del suo
corpo. Certo durante le
sessioni che aveva subito capitava che qualche colpo impreciso finisse per
raggiungere quel
bersaglio.
Ma si trattava, almeno così aveva sempre pensato, di accidenti sfortunati,
di dolorose casualità.
Adesso
era diverso. Non potevano esserci dubbi. Il colpo era stato deliberato. Non
vi erano stati errori. La
ragazza era talmente sconvolta da non rendersi conto che immediatamente dopo
il colpo si era
piegata
in due, stringendo con ambo le mani la parte colpita e serrando le gambe.
Quando si riebbe alzando
lo
sguardo vide la tutrice che la fissava con espressione crucciata.

“Mi scusi, Madame” iniziò. “Non pensavo che mi colpisse anche ... voglio
dire ... mi ha preso di
sorpresa.”

“Ti dispiacerebbe rimetterti in posizione invece di farfugliare scuse?” fu
la risposta piccata.
Jennifer
infatti, come incapace di muoversi, era rimasta nella sua strana posa.

“Sì, Madame” rispose la giovane che nonostante ciò faticò non poco a
riassumere la posizione
eretta. Il
flagello riprese a colpire il ventre e le cosce della ragazza. Jennifer
sopportò stoicamente i colpi che
le
piovevano addosso in rapida successione. Quando però le lingue di cuoio
tornarono ad attaccarle
nuovamente il sesso, la giovane ripeté quanto fatto in precedenza.

“Jennifer! Non farmi perdere la pazienza! Sai benissimo che non devi
muoverti se non vuoi
peggiorare
la tua situazione” esplose Marie.

La tutrice era visibilmente contrariata. La ragazza, piangendo, si rimise
ancora in posizione. Questa
volta riuscì a sopportare alcuni dei crudeli colpi ma infine tornò piegarsi
in due. Poi, resasi conto di
ciò
che aveva fatto, si gettò ai piedi della tutrice.

“La prego non ce la faccio! È più forte di me. Farò qualsiasi cosa,
accetterò qualsiasi punizione ma
per
pietà non questa!” implorò quasi istericamente.

Non era certamente la prima studentessa a rivolgere questa supplica
all’infernale Madame Foisson.
Generalmente Marie era lieta di sentire queste preghiere dopo un severo
trattamento. Erano il segno
della sua vittoria e le aprivano la strada per imporre nuovi e più crudeli
supplizi. Questo caso era
tuttavia diverso. Si sentiva delusa e avvilita. In un angolo della sua mente
aveva osato sperare che
questa pratica potesse stabilire tra lei e la sua pupilla una sorta di
legame di sudditanza che
assumesse
anche un carattere erotico. Era evidente che ciò non era avvenuto. Sapeva
che Jennifer cercava in
ogni
modo di resistere alla carezza dello strumento. Però non vi riusciva. Ogni
ulteriore fallimento della
ragazza era fonte di frustrazione anche per la sua carnefice. Così non si
poteva andare
avanti. Naturalmente poteva legare Jennifer e di continuare a batterla
liberamente. Non le sembrava
comunque opportuno. Usare il flagello sul sesso della ragazza era
sicuramente troppo piacevole per
rinunciarvi in modo definitivo e legare la vittima per costringerla a
esporsi ai colpi poteva essere
eccitante. Ma la donna era altresì consapevole di stare giocando una
complessa partita a scacchi per
la
conquista del cuore e dello spirito della sua pupilla. C’erano altri fattori
da tenere in considerazione
che
non l’appagamento immediato delle proprie voglie. Era assolutamente
necessario che Jennifer
sentisse
di meritare tutto quello che le veniva inflitto. Il trauma che le avrebbe
procurato costringendola con
la
forza a subire la punizione rischiava di far sentire la ragazza come vittima
di un’ingiustizia e poteva
spezzare il tenue sentimento di affetto che, ne era sicura, si era già
stabilito tra loro. Presto, anche di
questo era sicura, Jennifer si sarebbe cacciata, suo malgrado, in qualche
pasticcio. In quel caso la
ragazza avrebbe sentito di aver violato non una semplice regola scolastica
ma soprattutto la fiducia
di
una persona che le voleva bene. Avrebbe perciò imputato solo a se stessa la
responsabilità di
trovarsi
legata ad un tavolo e flagellata brutalmente. La decisione era presa. Senza
dire una parola ma con
aria
volutamente inferocita Marie andò a riporre il flagello e ritornò con altri
due strumenti. Dopo
averne
posato uno sulla scrivania si posizionò a fianco di Jennifer. Teneva, tesa
fra le mani, una cinghia di
cuoio lunga una sessantina di centimetri.

“Mani sulla testa!” ordinò con tono impersonale. Appena la ragazza assunse
la posizione, la donna
iniziò a usare la cinghia sul ventre della giovane, poi sulla schiena e
sulle cosce. La punizione fu
abbastanza breve e non troppo soddisfacente per Marie. La seconda parte
sarebbe stata sicuramente
migliore. Andò a riporre la cinghia sulla scrivania e chiese a Jennifer, con
tono noncurante, di
spogliarsi completamente. La ragazza esitò un attimo, poi si tolse la
camicetta riponendola vicino al
resto dei suoi indumenti. Era rimasta con il solo reggiseno ed invece di
iniziare a slacciarlo si mise a
guardare la sua tutrice con aria implorante.

“Anche quello, Jennifer” replicò Marie, un po’ stupita degli ammiccamenti
della giovane. Con
l’aria di
stare per affrontare un chissà quale orrendo destino, Jennifer si slacciò il
reggiseno e lo posò
accanto
alle sue mutandine. La ragazza stava adesso in piedi, completamente nuda,
davanti alla tutrice. Il
braccio sinistro le penzolava sul fianco ma quello destro era ripiegato sul
petto in una estrema e
disperata difesa dei seni. Il viso, avvampato dall’emozione, era chinato in
avanti. Lo sguardo
timoroso
vagava inquieto tra il volto dell’istitutrice e la trama del tappeto. La
donna non poté fare a meno di
paragonare la posa di Jennifer a quella della venere di Botticelli. Una
venere acerba, del tutto
inconsapevole della carica di sensualità della sua postura. Ma anche una
venere stranamente
impaurita.
La mano destra aveva saldamente afferrato la spalla sinistra e la stringeva
con forza come ad
assicurarsi
che nessuna forza al mondo avrebbe potuto strappare dalla sua posizione il
braccio che le
proteggeva il
petto. Per la tensione anche la mano sinistra aveva preso a stringere la
coscia. Le unghie
affondavano
nella carne. Marie le si avvicinò sorridendole gentilmente. Poi, con gesto
delicato, le prese
l’estremità
del mento con una mano e lo sollevò lentamente.

“Non c’è ragione di vergognarsi” disse la donna quando i loro sguardi si
incrociarono. La mano di
Jennifer allentò la morsa sulla spalla e la tutrice, con cautela, le prese
il polso destro e iniziò ad
allontanarlo dalla sua posizione. Jennifer non oppose resistenza e in pochi
istanti i seni della ragazza
furono completamente esposti. Marie, arretrando leggermente, abbassò lo
sguardo per osservarli.
Improvvisamente si era insinuata in lei una certa inquietudine. La ritrosia
della ragazza non poteva
essere dettata dal solo pudore. Doveva esserci qualcosa d’altro. Forse
voleva nascondere una
qualche
imperfezione, un neo imbarazzante o un piercing! Un anellino al capezzolo
sarebbe stato forse
accettabile come segno di devozione verso di lei non certo per moda o
spirito di ribellione! In ogni
caso
sarebbe stato un peccato se la sua immatura bellezza fosse stata rovinata in
un particolare così
importante. Presa da questi timori la donna non si limitò alla prima
impressione ma continuò
studiare i
seni di Jennifer con attenzione fino quando non si convinse che non vi era
nulla fuori dall’ordinario.
Ma allora perché la ragazza era così nervosa? Perché anche adesso non
riusciva a reggere il suo
sguardo? Tornò a osservarle i seni. Non erano molto sviluppati. Il petto di
Jennifer, più che quello
di
una paffuta teen-ager, avrebbe potuto essere quello di una dodicenne i cui
seni avevano appena
iniziato
a gonfiarsi. Eppure erano magnifici. La pelle bianca e liscia sembrava
promettere infinita dolcezza.
I
delicati capezzoli risaltavano come boccioli di rosa sulla neve. Marie se ne
sentiva irresistibilmente
attratta. A stento si trattenne dal baciarli e dallo stringerli tra i denti.
Certo era vero che il corpo di
Jennifer, compresi i suoi seni, era quello di una bambina. Solo l’altezza,
la muscolatura e le
proporzioni
ben equilibrate tradivano una età superiore. Per Marie l’aspetto
fanciullesco della ragazza era
eccitante
ma si ricordava bene quanto fosse importante per una adolescente sentire di
stare diventando donna.

“Dimmi Jennifer, ti vergogni perché pensi di avere i seni troppo piccoli?”
domandò la donna nel
suo
tono più gentile. La ragazza non rispose. Allora la tutrice tornò a
sollevarle il viso fissandola negli
occhi. Jennifer non trovò nemmeno allora la forza di rispondere ma scosse la
testa in cenno
d’assenso,
rossa di vergogna. “Sei una sciocchina!” esclamò la donna afferrandole i
seni con entrambe le mani.
Jennifer, sorpresa, sobbalzò. Marie sentiva il cuore della ragazza battere
all’impazzata. “Guardali!”
disse ancora la donna sollevando i seni della giovane quasi a volerglieli
porgere. Quando Jennifer,
che
aveva sempre la testa bassa, aprì gli occhi, la donna allontanò le mani non
senza stringere per
qualche
attimo ogni capezzolo tra pollice e indice. Poi continuò. “Forse non sono
molto grandi ma sono
sicuramente molto belli e perfettamente proporzionati alla tua figura.”

La ragazza la guardava imbarazzata e dubbiosa. Marie le cinse le spalle con
un braccio e andò
avanti.
“Forse in questo paese di cow-boys pensate che tutte le donne debbano avere
fianchi larghi come
quelli
di una mucca e dei seni enormi. Ma questa non è la vera bellezza. Pensa alle
indossatrici. Sono
ritenute
le donne più belle del mondo eppure i loro seni sono a stento più grandi dei
tuoi!” Jennifer fece un
piccolo sorriso all’idea di quel singolare del paragone. La tutrice le
restituì un sorriso generoso. “Se
uno stilista dovesse organizzare una sfilata con le ragazze della scuola non
sceglierebbe certo quelle
compagne che ti sembrano così ‘dotate’. Gli parrebbero come ... come delle
vacche grasse!”
Dicendo
l’ultima frase, la donna aveva assunto un’espressione volutamente buffa.
Aveva infatti l’aria di chi
finge imbarazzo per essersi lasciato scappar detto qualcosa di sconveniente
ma che in realtà aveva
tutta
l’intenzione di dire. Jennifer scoppiò a ridere di cuore. Anche Marie rise,
felice dell’effetto delle sue
parole, poi seria continuò. “Però piccola mia, quello stesso stilista
sceglierebbe sicuramente te. Non
gli
sfuggirebbero la tua grazia, la tua dolcezza, il tuo visino da angelo
spaurito.” A quel punto Marie le
accarezzò il volto e poi mettendo la sua fronte quasi a contatto con quella
della ragazza prese a
sussurrarle piano. “Per questo non hai bisogno di metterti certi vestiti
provocanti. Quando qualcuno
vede una ragazza così carina vestita come una ... be’ ... capisce subito che
la ragazza non è sicura di

e ne approfitta. Se non impari tu ad amare te stessa non lo potranno fare
nemmeno gli altri.”

Le due erano una di fronte all’altra. Solo pochi centimetri separavano i
due corpi. Eppure una
barriera
invisibile sembrava impedire di avvicinarsi oltre. Una barriera che solo un
atto di coraggio avrebbe
potuto rompere. “In ogni caso Jennifer, devi sapere che ... io ti voglio
bene ... e che farò di tutto
perché
tu possa essere felice e serena.” Lo sforzo di pronunciare tali parole era
stato così forte da far quasi
balbettare persino l’imperturbabile Madame Foisson. Ma ne era valsa la pena.
Jennifer dopo
qualche
esitazione avvicinò il suo corpo a quello della donna fino a quando non si
toccarono. Gettò poi
un’occhiata timorosa verso Marie che le restituì un imbarazzato sorriso di
resa. Rassicurata si
abbandonò ad un profondo abbraccio, la testa chinata sulla spalla della
tutrice, le braccia fortemente
strette attorno alla vita dell’altra. Marie ricambiò l’abbraccio e prese a
carezzarle dolcemente la
nuca. Più tardi, a letto, la donna avrebbe a lungo ripensato a
quell’abbraccio. Jennifer si era stretta a
lei,
nuda e vulnerabile, forse non avrebbe accettato carezze troppo intime ma
sentiva che non si sarebbe
opposta a un lungo tenero bacio. Invece lei non aveva fatto nulla. E non per
calcolo. L’emozione
che
aveva provato quando Jennifer si era completamente abbandonata a lei era
stata così forte, così
completa, da non lasciare posto ad alcun pensiero sensuale. Aveva ricevuto
ciò che aveva dato e
non
aveva sentito la necessità di altro. Con sgomento si rese conto che non era
stata Madame Foisson
ma
Marie ad abbracciare Jennifer. Possibile che in quei pochi giorni passati
assieme la semplice
attrazione
fisica si fosse trasformata in qualcosa di più profondo? Doveva stare
attenta. La posta in gioco
rischiava di divenire pericolosamente alta.

Le due rimasero abbracciate, quasi immobili, per un tempo indefinito. Poi
simultaneamente e in
silenzio si separarono. La tutrice, con un certo imbarazzo, ricordò alla
ragazza che la punizione non
era
ancora terminata.

“Sì, Madame” fu la risposta.

“Non ti preoccupare non c’è ancora molto” la rassicurò la donna andando a

prendere il frustino posato sulla scrivania. “Ricordati solo di tenere le
braccia sempre dietro la
schiena.”

Il frustino era lungo circa sessanta centimetri ed era ovviamente destinato
ai seni della giovane. Il
primo colpo fu per il seno destro e prese in pieno il capezzolo. A Jennifer
mancò il fiato quando ne
sentì il morso ma riuscì a non muoversi. Il colpo successivo fu sul seno
sinistro e quello dopo riuscì
a
raggiungere entrambi i capezzoli, fortunatamente con minor forza dei
precedenti dato che in questo
caso era necessario sfruttare buona parte della lunghezza dello strumento a
scapito della potenza.
Seguirono molti altri colpi. Ora alternati tra i due seni, ora in lunghe
serie su un solo bersaglio. A
volte
i colpi erano portati in verticale, dall’alto verso il basso, anziché in
orizzontale e terminavano
inevitabilmente sui capezzoli già tormentati. Erano questi i colpi più forti
e dolorosi. Ogni volta le
strappavano un grido soffocato dalle sue stesse lacrime. Per sua disdetta,
il trattamento ebbe
l’effetto di
risvegliare l’eccitazione nella carnefice. Fu così che quando ritenne di
aver sufficientemente punito
i
seni della ragazza invece di porre fine alla sessione, la tutrice vibrò un
ulteriore colpo sul sesso della
sua protetta. Questa volta la reazione fu più composta che in precedenza.
Solo un gemito e un
accenno
di piegamento in avanti. Le mani erano invece rimaste al loro posto e la
posizione eretta subito
riconquistata. Jennifer guardò spaurita la sua persecutrice domandandosi
cosa le sarebbe capitato
adesso. Marie si prese cura di fugare i suoi dubbi.

“Jennifer, lo so che sei spaventata ma vorrei darti altri dieci colpi come
questo. Sono sicura che sei
in
grado di sopportarli. Te la senti di provare?” La richiesta era formulata
gentilmente ma la ragazza
sapeva di non avere scelta.

“Sì, Madame. Sono pronta” rispose la giovane divaricando le gambe per
offrire un migliore
accesso al
frustino.

“Brava!” disse la donna deliziata. “Ti farò una concessione. Sarai tu a
chiedere di ricevere ogni
colpo.
E dopo averlo ricevuto ringrazierai e chiederai il successivo. Naturalmente
dovrai indicarne anche il
numero esatto. In questo modo avrai abbastanza tempo fra un colpo ed un
altro per recuperare
perfettamente.” Difficilmente questo trattamento poteva essere visto come
una concessione ma
Jennifer
non se ne avvide affatto e fu sincera quando ringraziò la tutrice per la sua
gentilezza. La tortura
procedette solenne come una cerimonia religiosa. Il frustino sibilò
nell’aria. Poi lo schiaffo
dell’impatto
sui tenerissimi petali rosati, sovrastato da un gemito disperato. “Uno!
Grazie, Madame. Posso
averne
un altro?”, la devota preghiera della supplice prontamente esaudita dalla
sacerdotessa del sacrificio.
Per
dieci volte il cuoio si congiunse alle segrete carni della giovane. Ogni
volta aumentavano i gemiti e
gli
spasmi. L’ultimo colpo fu, come sempre, il più forte. Le lacrime e il dolore
impedirono alla ragazza
di
correttamente ringraziare la sua carnefice. Nonostante gli sforzi dalla sua
gola uscivano infatti solo
suoni disarticolati. Quando si accorse che la donna, notata la sua
difficoltà, le si stava avvicinando,
Jennifer fu presa dal panico. Sapeva che tutrice non avrebbe sprecato
quell’occasione di darle una
lezione supplementare per la sua pur involontaria omissione. Tentò ancora
disperatamente di parlare
ma non vi riuscì. Iniziò a tremare incontrollabilmente. Chiuse gli occhi
aspettando l’inevitabile ma
invece del morso infuocato del frustino sentì solo il calore dell’abbraccio
della donna e delle sue
parole. “Non ti preoccupare Jennifer. Va bene così! La punizione è finita.”
Per la seconda volta la
ragazza si abbandonò in lacrime tra le braccia dell’altra, esausta e
riconoscente.


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