Alfredo Quarchioni
unread,Jun 2, 2009, 9:37:12 AM6/2/09Sign in to reply to author
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to Giudici Tributari Umbria e Centro Italia
LA CORTE COSTITUZIONALE CI RIPENSA - ATTRIBUZIONE DELLA CIMP( Canone
Instalazione Mezzi Pubblicitari) ALLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA
SENTENZA 141/2009
La Corte Costituzionale ,partendo inizialmente da una prima posizione
critica sulle competenze della Giurisdizione Tributaria in base
all’Art.2 del Dlgs 545/92 , confluita in un diniego della competenza
della giurisdizione tributaria sulla TOSAP e COSAP , con la sentenza n
° 64/2008 , attualmente , la Consulta ci ha ripensato con la sentenza
Sentenza N. 141/ 2009 attribuendo alle competenze della
Giurisdizione Tributaria , la CIMP, canone per l'installazione dei
mezzi pubblicitari , che anche se costituisce aspetti di diritto
privato comune o speciale, costituisce una mera variante dell'imposta
comunale sulla pubblicità e conserva la qualifica di tributo propria
di quest'ultima.
Pertanto , secondo la Corte Costituzionale , con la SENTENZA N. 141,
del 2009 emessa l'8 maggio 2009, di seguito allegata , le
controversie aventi ad oggetto la debenza del CIMP, (canone per
l'installazione dei mezzi pubblicitari) sono di natura tributaria e
la loro attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie, ad
opera della disposizione denunciata, rispetta l'evocato parametro
costituzionale.
La rilevanza di tale pronuncia in materia di canone per
l'installazione dei mezzi pubblicitari risiede nel fatto che la
stessa, pur avendo ad oggetto una fattispecie analoga a quella
trattata dalla stessa Consulta nella sentenza 64/2008, giunge a
conclusioni esattamente opposte rispetto a quest'ultima. Spesso i
misteri ,come si sa , sono gloriosi.
ord. 377/2008
SENTENZA N. 141 ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2,
secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-
legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione
fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2
dicembre 2005, n. 248, promosso dalla Commissione tributaria
provinciale di Genova nel giudizio vertente tra Nicolò Patrone ed il
Comune di Genova, con ordinanza depositata il 4 agosto 2008, iscritta
al n. 377 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno
2008.
Udito nella camera di consiglio del 1° aprile 2009 il giudice relatore
Franco Gallo.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio riguardante l'impugnazione di una
ingiunzione di pagamento del canone per l'installazione di mezzi
pubblicitari nel Comune di Genova relativamente all'anno 2004, la
Commissione tributaria provinciale di Genova, con ordinanza depositata
il 4 agosto 2008, ha sollevato, in riferimento all'art. 102, secondo
comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 2, comma
2, secondo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) -
come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-
legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione
fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2
dicembre 2005, n. 248 -, nella parte in cui stabilisce che
«Appartengono alla giurisdizione tributaria [.] le controversie
attinenti [.] il canone comunale sulla pubblicità» previsto dall'art.
62 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.
2. - La Commissione tributaria rimettente premette, in punto di fatto,
che: a) il ricorrente nel giudizio principale ha dedotto, quale motivo
di impugnazione dell'ingiunzione di pagamento emessa dal Comune di
Genova, di non avere esercitato alcuna attività nell'àmbito di tale
Comune sin dal 2001, anno in cui aveva concesso in affitto la propria
azienda ed aveva presentato denuncia di cessazione dell'attività
d'impresa alla Camera di commercio ed all'Agenzia delle entrate
competenti; b) il resistente Comune ha eccepito che l'ingiunzione di
pagamento (preceduta, nella specie, da un non impugnato avviso di
pagamento) non rientra nell'elenco degli atti autonomamente
impugnabili davanti alle commissioni tributarie contenuto nell'art.
19, comma 3, del decreto legislativo n. 546 del 1992, con conseguente
inammissibilità del ricorso del contribuente.
3. - Il giudice rimettente premette altresí, in punto di diritto, che:
a) la controversia portata al suo esame ha ad oggetto non il pagamento
dell'imposta sulla pubblicità disciplinata dal capo I del decreto
legislativo 15 novembre 1993, n. 507, ma del canone per
l'installazione di mezzi pubblicitari introdotto dall'art. 62 del
d.lgs. n. 446 del 1997; b) in forza del comma 1 di quest'ultima
disposizione, i Comuni hanno la potestà regolamentare «di escludere
l'applicazione nel proprio territorio dell'imposta comunale sulla
pubblicità di cui al capo I del decreto legislativo 15 novembre 1993,
n. 507, sottoponendo le iniziative pubblicitarie che incidono
sull'arredo urbano o sull'ambiente ad un regime autorizzatorio e
assoggettandole al pagamento di un canone in base a tariffa»; c) la
regola dell'alternatività tra l'«imposta comunale sulla pubblicità» ed
il «canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari», posta da detta
disposizione, è spiegabile solo con la diversa natura -
rispettivamente, tributaria e patrimoniale - dei prelievi; d)
pertanto, il citato canone costituisce il corrispettivo, in base a
tariffa, dell'autorizzazione all'installazione del mezzo pubblicitario
e la controversia sul medesimo canone non ha natura tributaria; d) in
una analoga ipotesi di controversia non tributaria, la Corte
costituzionale, con sentenza n. 64 del 2008, ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale, per violazione del secondo comma
dell'art. 102 Cost., dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs.
n. 546 del 1992 - come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lettera
b), del decreto-legge n. 203 del 2005 -, nella parte in cui stabilisce
che «Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie
relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree
pubbliche previsto dall'articolo 63 del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni».
4. - Su tali premesse, il giudice a quo afferma, quanto alla non
manifesta infondatezza della questione, che la norma censurata -
nell'attribuire alla giurisdizione tributaria controversie aventi
natura non tributaria, quali quelle attinenti al canone comunale sulla
pubblicità - «fa venire meno il fondamento costituzionale della
giurisdizione del giudice tributario» e, pertanto, víola l'art. 102,
secondo comma, Cost.
5. - Quanto alla rilevanza, la Commissione tributaria osserva che la
decisione sulla controversia oggetto di ricorso «postula che la stessa
abbia natura tributaria» e che, pertanto, non sussista il difetto di
giurisdizione, rilevabile d'ufficio, derivante dall'accoglimento della
sollevata questione.
Considerato in diritto
1. - La Commissione tributaria provinciale di Genova dubita della
legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come modificato
dall'art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge 30 settembre
2005, n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n.
248, nella parte in cui dispone che «Appartengono alla giurisdizione
tributaria [.] le controversie attinenti [.] il canone comunale sulla
pubblicità», previsto dall'art. 62 del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446.
In particolare, la Commissione tributaria provinciale afferma che la
norma denunciata víola l'art. 102, secondo comma, della Costituzione,
perché, attribuendo espressamente alla cognizione delle commissioni
tributarie controversie non aventi ad oggetto un tributo, quali quelle
relative al canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP),
«fa venire meno il fondamento costituzionale della giurisdizione del
giudice tributario».
2. - La questione non è fondata, perché il CIMP ha natura tributaria.
2.1. - Per giungere all'affermazione dell'illegittimità costituzionale
della disposizione denunciata, il rimettente muove dalle seguenti due
premesse: a) in base all'evocato parametro costituzionale, la
giurisdizione tributaria è legittima solo se rimane circoscritta alle
controversie aventi ad oggetto prelievi di natura tributaria; b) il
predetto canone (CIMP), oggetto del giudizio principale, non ha questa
natura.
2.2. - La prima di tali premesse è corretta. Per costante
giurisprudenza di questa Corte, infatti, la giurisdizione del giudice
tributario «deve ritenersi imprescindibilmente collegata» alla «natura
tributaria del rapporto» (ordinanze n. 395 del 2007; n. 427, n. 94, n.
35 e n. 34 del 2006), con la conseguenza che l'attribuzione alla
giurisdizione tributaria di controversie non aventi tale natura
comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici
speciali posto dall'art. 102, secondo comma, Cost. (sentenze n. 130 e
n. 64 del 2008).
2.3. - Non è, invece, corretta la seconda delle suddette premesse del
giudice a quo, e cioè quella relativa all'asserita natura di prelievo
non fiscale del CIMP.
2.3.1. - In proposito va preliminarmente osservato che, in tema di
giurisdizione tributaria, il legislatore, con l'art. 12, comma 2,
della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (in vigore dal 1° gennaio 2002),
ha inteso abbandonare - almeno in linea di principio - il criterio
dell'enumerazione tassativa dei prelievi oggetto delle controversie
attribuite alla cognizione delle commissioni tributarie ed ha
preferito estendere detta giurisdizione «a tutte le controversie
aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie», nonché «le
sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque
irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio».
Tale tendenza legislativa al progressivo ampliamento dell'oggetto
della giurisdizione tributaria è stata successivamente confermata
dall'art. 3-bis, comma 1, lettere a) e b), del sopra citato decreto-
legge n. 203 del 2005, il quale, nel modificare i commi 1 e 2
dell'art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha precisato che appartengono
alla giurisdizione tributaria le controversie concernenti sia, in
generale, i tributi di ogni genere e specie «comunque
denominati» (lettera a); sia, in particolare, «la debenza del canone
per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63
del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive
modificazioni, e del canone per lo scarico e la depurazione delle
acque reflue per lo smaltimento dei rifiuti urbani, nonché le
controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità
e il diritto sulle pubbliche affissioni» (lettera b). Tuttavia, in
base alla sopra ricordata giurisprudenza di questa Corte, la
legittimità costituzionale dell'estensione della giurisdizione
tributaria alle controversie concernenti i prelievi specificamente
indicati nella lettera b) del comma 1 del citato art. 3-bis è
subordinata all'effettiva natura tributaria delle controversie
medesime e, quindi, dei prelievi che ne costituiscono l'oggetto. Non
ha alcun rilievo, al riguardo, la denominazione usata dal legislatore,
occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in
presenza di un tributo. Ciò vale, ovviamente, anche per tutti quei
prelievi la cui denominazione, a partire dalla metà degli anni novanta
dello scorso secolo, è stata dal legislatore mutata da «imposta»,
«tassa» o «tributo» in «canone», «tariffa» o simili, nel quadro di un
dichiarato intento di "defiscalizzazione".
2.3.2. - Per valutare se, in concreto, il CIMP sia o no un tributo
occorre, dunque, interpretarne la disciplina sostanziale alla luce dei
criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per qualificare
come tributarie alcune entrate: criteri che consistono nella
doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto
sinallagmatico tra parti, e nel collegamento di detta prestazione alla
pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante
(ex plurimis: sentenze n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006 e n.
73 del 2005). In mancanza di una giurisprudenza di legittimità sulla
natura del CIMP, questa Corte deve necessariamente procedere ad un
autonomo esame delle caratteristiche del prelievo, al fine di
individuarne la natura; e ciò diversamente da quanto fatto, con la
sentenza n. 64 del 2008, in relazione al canone per l'occupazione di
spazi ed aree pubbliche previsto dall'articolo 63 del d.lgs. n. 446
del 1997 (COSAP), sulla cui natura di corrispettivo privatistico si
era piú volte espressa la Corte di cassazione.
2.3.3. - È appena il caso di sottolineare, in via preliminare, che per
accertare la sussistenza di dette caratteristiche non rilevano né la
formale denominazione del prelievo - come sopra accennato - né la
regola dell'alternatività tra l'imposta comunale sulla pubblicità ed
il CIMP stabilita dal comma 1 dell'art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997
(«I comuni possono [.] escludere l'applicazione, nel proprio
territorio, dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al capo I
del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, sottoponendo le
iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o
sull'ambiente ad un regime autorizzatorio e assoggettandole al
pagamento di un canone in base a tariffa»).
Quanto al nomen iuris del prelievo, lo stesso comma 1 dell'art. 2 del
d.lgs. n. 546 del 1992, ponendosi nella medesima prospettiva della
giurisprudenza costituzionale (con le citate sentenze n. 335 e n. 64
del 2008, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005), precisa che appartengono
alla giurisdizione tributaria le controversie concernenti «i tributi
di ogni genere e specie comunque denominati». Ne discendono l'assoluta
ininfluenza, ai fini del giudizio di costituzionalità,
dell'autoqualificazione legislativa del prelievo e la conseguente
necessità di desumere la natura del prelievo stesso dalla sola
disciplina posta dal legislatore ordinario. Al riguardo, va
sottolineato che la specifica indicazione delle controversie sul CIMP
tra quelle di spettanza delle commissioni tributarie non ha un valore
interpretativo univoco, perché può indifferentemente ricondursi tanto
all'intento del legislatore di riaffermare il principio secondo cui la
giurisdizione tributaria riguarda solo prelievi fiscali, quanto, al
contrario, a quello di includere in tale giurisdizione tributaria
anche controversie concernenti prelievi non aventi tale natura. È
significativa in proposito la menzione, nello stesso comma 1, tra le
controversie specificamente attribuite alla cognizione delle
commissioni tributarie, di quelle relative alla «debenza» sia
dell'«imposta comunale sulla pubblicità», della cui natura tributaria
non si è mai dubitato, sia del CIMP.
Quanto, poi, all'assunto del rimettente, secondo cui
dall'alternatività tra imposta sulla pubblicità e CIMP deriverebbe
necessariamente la natura non fiscale di quest'ultimo, è sufficiente
osservare in contrario che nulla osta a che un prelievo tributario sia
sostituito da un prelievo della stessa natura, come dimostrato dai
numerosi esempi di tributi surrogatori esistenti nell'ordinamento.
2.3.4. - Passando all'esame della disciplina legislativa del CIMP,
occorre constatare l'evidente continuità tra detta disciplina e quella
dell'imposta che esso sostituisce quando il Comune opti per la sua
istituzione ai sensi del citato comma 1 dell'art. 62 del d.lgs. n. 446
del 1997.
Un primo elemento di sicura analogia attiene all'oggetto dei suddetti
due prelievi. Il presupposto dell'imposta è costituito dalla
«diffusione di messaggi pubblicitari» (cioè di messaggi diffusi
nell'esercizio di un'attività economica allo scopo di promuovere la
domanda di beni o servizi, ovvero di messaggi finalizzati a migliorare
l'immagine del soggetto pubblicizzato), effettuata «attraverso forme
di comunicazione visive od acustiche, diverse da quelle assoggettate
al diritto sulle pubbliche affissioni», in luoghi pubblici ovvero
aperti o esposti al pubblico (art. 5 del d.lgs. n. 507 del 1993).
Analogamente, il canone è dovuto per «l'installazione di mezzi
pubblicitari» (rubrica dell'art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997) o, piú
precisamente, per l'effettuazione di «iniziative pubblicitarie che
incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente» (testo del medesimo art.
62). Al riguardo, non può porsi in dubbio che la mera "incidenza"
dell'iniziativa pubblicitaria sull'arredo urbano o sull'ambiente,
richiesta per l'applicazione del canone, è del tutto omologa alla
diffusione di messaggi pubblicitari prevista per l'applicazione
dell'imposta comunale sulla pubblicità; con la significativa
conseguenza che non sono ipotizzabili attività pubblicitarie che
costituiscano presupposto solo di detta imposta e non anche del CIMP.
Al pari di ciò che avviene per l'imposta sulla pubblicità, l'obbligo
di pagare il CIMP nasce, dunque, direttamente in forza della legge,
per il solo fatto dell'installazione dei mezzi pubblicitari, con
l'unica differenza - rilevante ai soli fini procedimentali - che tale
installazione, per essere considerata legittima, deve essere
preceduta, per l'imposta sulla pubblicità, da un'apposita
dichiarazione del contribuente e, per il CIMP, dall'autorizzazione del
Comune.
Dal sopra individuato presupposto oggettivo dei due suddetti prelievi
discende, altresí, che essi sono dovuti indipendentemente dal fatto
dell'occupazione di beni pubblici e, quindi, dalla possibilità di
instaurare una correlazione tra tali prelievi e l'uso dei beni stessi.
In particolare, né l'imposta né il canone possono essere qualificati
come controprestazione dell'uso di aree pubbliche; uso, questo, che
costituisce, invece, la giustificazione del COSAP o, in alternativa,
il presupposto della TOSAP (tassa per l'occupazione di spazi e aree
pubbliche). Ciò è ancora piú evidente nel caso in cui il mezzo
pubblicitario sia installato in aree private. In tale caso, infatti,
la stessa natura privata del bene sul quale avviene l'installazione
esclude in radice la possibilità di configurare un nesso di
corrispettività contrattuale tra il CIMP e l'utilizzazione dell'area.
Un secondo elemento di analogia è rappresentato dal fatto che il
Comune, al fine di applicare sia l'imposta che il canone per la
pubblicità, deve adottare un apposito regolamento che ha
sostanzialmente lo stesso contenuto per ambedue i prelievi, quanto
agli elementi strutturali e procedimentali che li caratterizzano. In
particolare, ai fini dell'applicazione dell'imposta, detto regolamento
deve precisare, ai sensi degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 507 del 1993,
tra l'altro: a) «le modalità di effettuazione della pubblicità» (comma
2 dell'art. 3); b) «le modalità per ottenere il provvedimento per
l'installazione, nonché i criteri per la realizzazione del piano
generale degli impianti» (comma 3 dello stesso art. 3); c) la tariffa,
da determinarsi, per le affissioni di carattere commerciale, in
relazione alla facoltà per il Comune di suddividere il territorio in
due categorie, a seconda della loro importanza (art. 4), ed in
relazione alla presenza di «rilevanti flussi turistici desumibili da
oggettivi indici di ricettività» (comma 6 dell'art. 3). In modo
analogo, il regolamento per l'applicazione del canone, ai sensi
dell'art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997, deve precisare, tra l'altro:
a) la «tipologia dei mezzi di effettuazione della pubblicità
esterna» (comma 2, lettera a, dell'art. 3) e «le modalità di impiego
dei mezzi pubblicitari» (lettera c dello stesso comma); b) «le
procedure per il rilascio e per il rinnovo dell'autorizzazione» alle
iniziative pubblicitarie (lettera b dello stesso comma); c) la
tariffa, da determinarsi «con criteri di ragionevolezza e gradualità
tenendo conto della popolazione residente, della rilevanza dei flussi
turistici presenti nel comune e delle caratteristiche delle diverse
zone del territorio comunale e dell'impatto ambientale in modo che
detta tariffa [.] non ecceda di oltre il 25 per cento le tariffe
stabilite ai sensi del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507,
per l'imposta comunale sulla pubblicità [.]» (lettera d dello stesso
comma). Dal complesso di tali disposizioni, risulta evidente che il
legislatore ha fissato, per la redazione dei regolamenti dei due
prelievi, criteri affini, anche se non identici. Appare
particolarmente significativo, al riguardo, che la tariffa del CIMP
sia parametrata a quella dell'imposta, nel senso che la prima non può
superare di piú di un quarto la seconda. Ne deriva che l'importo del
canone, analogamente a quello dell'imposta, non è determinato in
funzione del criterio della copertura del costo di un eventuale
servizio prestato dal Comune a favore di chi installi il mezzo
pubblicitario. Ciò conferma l'impossibilità di configurare un rapporto
di corrispettività contrattuale.
Un altro motivo di analogia tra i prelievi è dato dal fatto che, per
la pubblicità assoggettata a canone, si applica un sistema di
controllo, accertamento e sanzioni amministrative degli abusi
sostanzialmente corrispondente a quello previsto per la pubblicità
assoggettata ad imposta. In relazione a quest'ultima, il d.lgs. n. 507
del 1993, prevede: a) l'applicazione dell'imposta anche nel caso di
pubblicità effettuata in difetto od in difformità dalla dichiarazione
che il soggetto passivo è tenuto a presentare preventivamente (art.
8); b) l'obbligo di vigilanza del Comune sulla corretta osservanza
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
pubblicità, alla violazione delle quali conseguono, a seconda dei
casi, sanzioni amministrative non tributarie e tributarie, con
rimozione degli impianti pubblicitari abusivi, loro sequestro (a
séguito di ordinanza sindacale) a garanzia del pagamento
dell'ammontare dell'imposta e degli accessori di questa nonché delle
spese di rimozione e di custodia, anche con immediata copertura della
pubblicità abusiva (art. 24, commi 1, 2, 3 e 4); c) l'adozione, da
parte del Comune, di un «piano specifico di repressione
dell'abusivismo, di recupero e riqualificazione con interventi di
arredo urbano», eventualmente prevedendo procedure agevolative dirette
a «favorire l'emersione volontaria dell'abusivismo», e ciò
all'evidente fine di ridurre l'impatto della pubblicità sull'arredo
urbano e sull'ambiente (art. 24, comma 5-bis). Analogamente, l'art. 62
del d.lgs. n. 446 del 1997 - proprio nel dichiarato intento di
consentire al Comune il controllo preventivo, mediante un adeguato
sistema di autorizzazioni, dell'impatto della pubblicità sull'arredo
urbano e sull'ambiente - stabilisce che il regolamento istitutivo del
CIMP debba prevedere: a) «l'equiparazione, ai soli fini del pagamento
del canone, dei mezzi pubblicitari installati senza la preventiva
autorizzazione a quelli autorizzati» (prima parte della lettera e del
comma 2); b) per l'installazione dei mezzi pubblicitari non
autorizzati, «sanzioni amministrative pecuniarie di importo non
inferiore all'importo della relativa tariffa, né superiore al doppio
della stessa tariffa» (seconda parte della medesima lettera e del
comma 2); c) «la rimozione dei mezzi pubblicitari privi della
prescritta autorizzazione, o installati in difformità della stessa, o
per i quali non sia stato effettuato il pagamento del canone», nonché
la «immediata copertura della pubblicità con essi effettuata» (comma
4).
In conclusione, i sottolineati forti tratti di continuità tra la
disciplina del CIMP e quella dell'imposta sulla pubblicità evidenziano
che il canone costituisce - seppure con diverso nomen iuris - un
prelievo della stessa natura dell'imposta e presenta, perciò, tutte le
caratteristiche del tributo, quali delineate dalla sopra richiamata
giurisprudenza di questa Corte. Si è visto, infatti, che, con riguardo
al CIMP, la disciplina degli elementi strutturali del prelievo e
quella dei poteri e degli obblighi attinenti al controllo,
all'accertamento e alle sanzioni degli abusi hanno la loro fonte nella
legge e nel regolamento comunale, senza che sia dato alcun rilievo
all'autonomia contrattuale delle parti.
2.3.5. - A tale conclusione non può opporsi che, nel caso di mezzo
pubblicitario installato su beni pubblici, il CIMP ha natura di
corrispettivo contrattuale, come risulterebbe dimostrato sia
dall'analogia di detto prelievo con il COSAP, già ritenuto di natura
non tributaria con la sentenza di questa Corte n. 64 del 2008, sia
dalla differenziata disciplina legislativa dell'ipotesi di concorso
della TOSAP e del COSAP, da un lato, con il CIMP e l'imposta sulla
pubblicità, dall'altro.
Al contrario, proprio l'interpretazione sistematica della disciplina
di tali prelievi conferma l'insussistenza di un rapporto
sinallagmatico, sia esso di diritto privato comune o speciale, tra il
soggetto tenuto al pagamento del canone per la pubblicità e il Comune.
2.3.5.1. - In primo luogo, va osservato, in proposito, che il CIMP,
contrariamente al COSAP ed alla TOSAP, è connesso a un regime non
concessorio - tale, cioè, da attribuire al concessionario diritti di
cui altrimenti non sarebbe titolare - ma autorizzatorio, in senso
proprio, delle iniziative pubblicitarie incidenti sull'arredo urbano o
sull'ambiente (comma 1 dell'art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997). La
previsione di un siffatto regime comporta che l'autore delle suddette
iniziative è già titolare del diritto a esercitarle e che la previa
autorizzazione, avendo la funzione di realizzare un controllo
preventivo, non costituisce una controprestazione del Comune rispetto
al pagamento del canone.
Una controprestazione rispetto al CIMP non potrebbe essere individuata
neppure nell'uso dell'«arredo urbano» o dell'«ambiente», perché il
Comune, nella specie, non è titolare di diritti propri su di essi,
idonei ad essere scambiati sul mercato con atti di autonomia privata,
ma è solo ente esponenziale dei relativi interessi pubblici e può
vantare diritti solo sui singoli beni che compongono l'«arredo urbano»
e l'«ambiente», in quanto tali beni appartengano al demanio o al
patrimonio indisponibile o disponibile del Comune stesso.
2.3.5.2.- In secondo luogo, quanto all'assimilazione prospettata dal
rimettente tra la disciplina del CIMP e quella del COSAP, va
riconosciuto che vi sono alcune indubbie somiglianze tra i due
prelievi. Infatti, anche il COSAP, in forza dell'art. 63 del d.lgs. n.
446 del 1997, al pari del CIMP, è sostitutivo di un precedente
tributo, cioè della TOSAP (comma 1), ed è istituito e disciplinato dal
Comune con regolamento, avendo riguardo all'individuazione dei
presupposti amministrativi dell'attività oggetto del prelievo, alla
determinazione della tariffa e ai controlli e sanzioni per l'attività
abusiva (commi 1 e 2). Tuttavia, tali somiglianze attengono solo ad
aspetti che non escludono la radicale diversità tra i due canoni.
Per quanto attiene al COSAP, infatti, il soggetto che occupa il bene
pubblico è tenuto a prestare un corrispettivo (se titolare di
concessione-contratto) o una indennità (se privo di tale concessione)
per remunerare l'uso di un bene del demanio o del patrimonio
indisponibile del Comune. Il pagamento del canone costituisce, cioè,
la controprestazione dell'uso, legittimo od abusivo, del bene comunale
e la natura non tributaria del COSAP non muta per il fatto che,
riguardo alla particolare ipotesi di occupazione abusiva di beni
comunali, la legge preveda l'obbligo per l'autore di tale illecito di
corrispondere al Comune, oltre alle sanzioni amministrative,
un'indennità predeterminata, commisurata al canone che sarebbe stato
fissato ove la concessione fosse stata rilasciata. Tale previsione
costituisce, infatti, una disposizione non di diritto tributario, ma
di diritto privato speciale, perché ha la funzione di fissare in modo
imperativo e forfetario l'entità del ristoro patrimoniale dovuto al
Comune dall'autore dell'illecita occupazione e non ha, pertanto, la
funzione distributiva che l'art. 53 Cost. assegna al tributo. Neppure
la previsione di sanzioni amministrative, in aggiunta alla suddetta
indennità di occupazione abusiva, esclude la natura privatistica del
COSAP, perché, mediante l'occupazione sine titulo, si realizza pur
sempre, oltre ad un illecito civile, la violazione - come tale
sanzionabile in via amministrativa - delle norme poste a tutela dei
beni pubblici soggetti a regime di concessione.
Per quanto attiene al CIMP, invece, al pagamento del canone non
corrisponde - come si è visto - alcuna controprestazione da parte del
Comune, perché né il consenso all'incidenza della pubblicità
sull'arredo urbano o sull'ambiente, né il rilascio di autorizzazioni
alle iniziative pubblicitarie possono qualificarsi come corrispettivi
contrattuali a carico del Comune.
2.3.5.3. - In terzo luogo, deve ritenersi non rilevante, ai fini della
qualificazione del CIMP, il fatto che la legge - nell'ipotesi di
occupazione di beni pubblici a fini pubblicitari - da un lato, non
escluda che la TOSAP o il COSAP si cumulino con l'imposta sulla
pubblicità (comma 7 dell'art. 9 del d.lgs. n. 507 del 1993; comma
modificato dal comma 55 dell'art. 145 della legge 23 dicembre 2000, n.
388) e, dall'altro, disponga che la tariffa del CIMP sia «comprensiva»
della TOSAP o del COSAP (comma 2, lettera d, dell'art. 62 del d.lgs.
n. 446 del 1997; lettera modificata dal comma 5, lettera b, dell'art.
10 della legge 28 dicembre 2001, n. 448).
Infatti, tale diversità di disciplina non incide sulla sopra rilevata
analogia tra il presupposto del CIMP e quello dell'imposta sulla
pubblicità, in quanto la "comprensione" in un prelievo di natura
tributaria, quale il CIMP, di un prelievo di natura privatistica come
il COSAP non muta la natura del tributo "comprendente" - che è l'unico
prelievo applicabile in tale fattispecie - e comunque non fa venir
meno la distinzione concettuale tra il fatto dell'installazione di
mezzi pubblicitari ed il fatto dell'occupazione di spazi ed aree
pubbliche.
2.4. - Le sopra indicate caratteristiche strutturali e funzionali del
CIMP, desumibili dalla sua complessiva disciplina, rendono evidente,
dunque, che tale prelievo non è inquadrabile tra le entrate non
tributarie, siano esse di diritto privato comune o speciale, ma
costituisce una mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità e
conserva la qualifica di tributo propria di quest'ultima. Le
controversie aventi ad oggetto la debenza del CIMP, pertanto, hanno
natura tributaria e la loro attribuzione alla cognizione delle
commissioni tributarie, ad opera della disposizione denunciata,
rispetta l'evocato parametro costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n. 413) - come modificato dall'art. 3-bis, comma 1,
lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di
contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia
tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 -, sollevata, in
riferimento all'art. 102, secondo comma, della Costituzione, dalla
Commissione tributaria provinciale di Genova, con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 4 maggio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 maggio 2009.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA