alessandro t
unread,Nov 4, 2009, 2:42:17 PM11/4/09Sign in to reply to author
Sign in to forward
You do not have permission to delete messages in this group
Either email addresses are anonymous for this group or you need the view member email addresses permission to view the original message
to Fuori le voci
2004: nella città di Grozny (Cecenia), distrutta dai bombardamenti,
assediata dall'esercito russo è tormentata dagli scontri nelle strade,
un gruppo di donne decidono di riaprire un vecchio negozio di
parrucchiere. E' una stanza molto semplice, con l'intonaco che cade a
pezzi dai muri, con una sola lampadina che illumina l'ambiente e con
pochissime attrezzature per il lavoro. Eppure queste donne sono
determinate e per nulle intimidite: con l'aiuto di qualche amica
riescono a recuperare altri strumenti di lavoro, qualce sedia, un
vecchio divano, uno specchio, qualche vecchia rivista per signora... e
ogni giorno aprono il negozio.
Verrebbe da chiedersi razionalmente perchè queste donne non si
preoccupano di qualcosa di più "necessario" come la ricostruzione
delle case, la coltivazione degli orti per procurarsi il cibo, la
mobilitazione politica per restituire il loro paese alla democrazia,
la cura dei figli, eccetera eccetera.... Ma osservando bene il loro
comportamento, i loro sguardi, il loro modo di stare insieme nel
negozio si scopre che in quell'attività le donne erano state in grado
di ricostruire un clima di cura di se stesse, delle loro relazioni,
riappropriandosi del senso della convivialità, del dialogo, della
relazione, della comunità. Proprio così: in quello spazio che ad uno
sguardo occidentale può sembrare triste, loro sono state capaci di
riappropriarsi della cosa più importante che la guerra aveva rubato
loro: la loro dignità di persone, la loro capacità di sentirsi
comunità, la possibilità di occuparsi di sé anche attraverso faccende
apparentemente superflue e superficiali.
Erano state protagoniste di un processo di "presa di potere": con le
loro forze, preoccupandosi di quello che potevano realmente fare e
uscendo dall'assedio psicologico della guerra, avevano ricominciato a
vivere e sperare.
Ecco cosa rappresenta per me il progetto Chance. Una brace che cova
sotto la cenere, una possibilità in una realtà che ha apparentemente
ha rinunciato alla speranza, al senso di comunità, alla fiducia che
l’educazione possa servire a ricostruire una città e le relazioni che
la animano.
Grazie