Veramente te l'avevo già copiaincollato nell'altro 3D. Forse non ti
ricordi che ha il numero 13.
E' quello per il quale tu avevi iniziato a farmi delle contestazioni,
alle quali io avevo risposto, dicendoti che anche non potendo verificare
le mie affermazioni, potevi accettarle "con beneficio d'inventario".
Comunque se tu avrai la pazienza di leggerlo e di chiedermi chiarimenti,
io avrò quella di darteli. Perché per me è molto importante scoprire
eventuali "errori" nella mia dimostrazione.
Ciao.
Dino Bruniera
13. REDSHIFT COSMOLOGICO
Mentre per la QSE il redshift cosmologico, qualunque sia il suo valore,
è sempre giustificato dalla velocità di allontanamento del luogo di
arrivo dei fotoni da quello della loro emissione, gli einsteinisti, man
mano che si osservavano dei suoi valori sempre più elevati che lo
rendevano incompatibile con le loro teorie, allo scopo di mantenerlo
compatibile hanno cambiato più volte versione sulla sua giustificazione.
Ma neanche una risulta accettabile.
Per dimostrare meglio questa mia affermazione, in questo capitolo
esporrò anche delle formule e dei calcoli, ma molto semplici.
STORIA DELLE GIUSTIFICAZIONI DEGLI EINSTEINISTI
Redshift cosmologico considerato come indicatore di velocità
Nella relatività ristretta Einstein ha affermato che ogni sistema di
riferimento, e quindi ogni oggetto celeste, considera se stesso a riposo
e tutti gli altri sistemi di riferimento in moto, non perché questo
corrisponda alla realtà, ma per una convenzione.
Ma quando l’astronomo Edwin Powell Hubble ha scoperto che le distanze
degli oggetti celesti sono proporzionali ai valori del redshift della
luce da essi ricevuta, per cui risulterebbe che quanto più lontani essi
sono tanto più velocemente si allontanano dalla Terra, ha applicato la
convenzione di Einstein alla realtà. Per cui le velocità degli oggetti
celesti sono state considerate rispetto alla Terra, causando notevoli
problemi all’astronomia. Infatti ha calcolato la loro velocità usando la
formula che vede l'osservatore fermo e l'emittente in moto, e cioè:
velocità emittente = z • c
dove z rappresenta il redshift cosmologico.
Poi ha calcolato la distanza degli oggetti celesti con la seguente
formula, basata sulla legge di Hubble:
D = velocità emittente : H
dove H rappresenta una costante di velocità, che in base alle ultime
osservazioni vale circa 70 km/s per ogni megaparsec, ciascuno dei quali
equivale a 3,26 milioni di anni luce, e D rappresenta la distanza
dell’emittente espressa in megaparsec.
Per far comprendere meglio di cosa si tratta, riporto l’esempio dei
fotoni di un oggetto celeste con un redshift di 0,01.
Velocità emittente = 0,01 • 300.000 = 3.000 km/s
distanza emittente = 3.000 : 70 = 43 megaparsec
che moltiplicato per 3,26 milioni dà circa 140 milioni di anni luce di
distanza.
Il che negli anni delle osservazioni di Hubble, dalle quali risultavano
valori di redshift su quell’ordine, poteva essere plausibile.
Redshift cosmologico considerato come indicatore dell’espansione dello
spazio
Ma negli anni successivi a quelli di Hubble, grazie a telescopi sempre
più performanti, sono stati osservati redshift con valori molto più
elevati, per i quali la velocità di allontanamento dell’emittente
risultava molto più elevata, fino a superare quella della luce, cosa che
per la relatività ristretta è impossibile.
Pertanto gli einsteinisti hanno deciso che i redshift cosmologici più
elevati fossero dovuti all'espansione dello spazio. Per cui la velocità
di allontanamento poteva superare quella della luce senza essere
incompatibile con la relatività ristretta, perché era dovuta
all'espansione dello spazio.
Per esempio con un redshift di 2, ecco cosa risulta dall'applicazione
delle formule basate sulla legge di Hubble.
distanza emittente = (2 • 300.000) : 70 = 8.571
che moltiplicato per 3,26 milioni dà circa 28 miliardi di anni luce di
distanza.
Redshift cosmologico considerato come fattore di scala
Ma nel 1964 è stata scoperta la radiazione di fondo, che ha un redshift
cosmologico di circa 1.100, per cui ecco cosa risulta applicando la
formula basata sulla legge di Hubble:
distanza emittente = (1.100 • 300.000) : 70 = 4.714.285
che moltiplicato per 3,26 milioni dà 15.368 miliardi di anni luce.
Distanza almeno irrealistica.
Allora gli einsteinisti hanno deciso di considerare il redshift
cosmologico come un fattore di scala e cioè come un indicatore di quante
volte si è espanso l’Universo dalla partenza dei fotoni. Quindi mentre
col precedente metodo l’espansione dello spazio era calcolata in base
alla legge di Hubble, ora è direttamente proporzionale al redshift
cosmologico. Per cui ipotizzando una distanza di 40 milioni di anni luce
alla partenza della radiazione di fondo, si ottiene una distanza di
circa 46 miliardi di anni luce all’arrivo (circa 40 milioni x circa
1.100 di redshift cosmologico della radiazione di fondo), quindi
moltissimi di meno rispetto ai più di 15.000 miliardi risultanti
applicando la legge di Hubble.
Redshift cosmologico considerato come indicatore della velocità di
allontanamento della sorgente nel momento in cui i fotoni sono stati emessi
Ma circa 20 anni fa, come ho già riportato, sono stati osservati degli
oggetti celesti ad alto redshift con una luminosità apparente inferiore
rispetto a quella che avrebbe dovuto essere in base al loro redshift
cosmologico. Il che, secondo gli einsteinisti, significherebbe che negli
ultimi 4,5 miliardi di anni l'Universo si è espanso ad una velocità
superiore a quella attesa (che risultava in decelerazione) e che,
pertanto, l'espansione dell'Universo risulterebbe in accelerazione da
4,5 miliardi di anni.
In ogni caso ciò dimostra che il redshift cosmologico non indica
l’espansione dello spazio avvenuta da quando i fotoni sono stati emessi
a quando sono arrivati, neanche come fattore di scala. Come dimostrerò
nei prossimi paragrafi e come ha affermato anche il fisico Matteo Billi
nella sua tesi di laurea del 2015, che riguarda la luminosità apparente
degli oggetti celesti con un elevato redshift.
Infatti a pagina 30, tra l’altro, è scritto: “il redshift che si misura
da una sorgente lontana dipende solo dalla velocità di regressione nel
momento in cui la luce che si osserva è stata emessa, invece la distanza
di luminosità dipende da come l’Universo si è espanso fino a quel
particolare momento”.
Questa giustificazione non precisa in che modo il redshift dei fotoni
dipende dalla velocità di regressione dell’emittente, ma la ritengo
comunque molto importante perché almeno ammette che tale redshift non
indica l’espansione dello spazio avvenuta dal momento dell’emissione dei
fotoni fino al loro arrivo e, quindi, che non indica il fattore di scala
dell’espansione dell’Universo.
Ma se il redshift dipende da una velocità, quando esso assume valori
molto elevati, tale velocità continuerebbe a risultare inferiore a
quella della luce e, quindi, compatibile con la relatività ristretta?
In conclusione, quindi, credo di aver dimostrato che nessuna delle
giustificazioni degli einsteinisti risulti accettabile, come ho
affermato all’inizio del capitolo.
DIMOSTRAZIONE CHE IL REDSHIFT COSMOLOGICO NON INDICA UN’ESPANSIONE
Nonostante l’ammissione di Matteo Billi riportata nel paragrafo
precedente, ritengo ugualmente importante dimostrare che il redshift
cosmologico non indica l’espansione dello spazio, perché in tutti i
libri di astrofisica che ho letto, è riportato che invece lo indica.
Per dimostrare che il redshift cosmologico rilevato non indica
l’espansione dello spazio, uso i dati relativi al viaggio dei fotoni di
un ipotetico oggetto celeste con un elevato redshift (che ho ricavato da
un articolo di Vincenzo Zappalà e che ho usato anche per la simulazione
del viaggio dei fotoni di una galassia molto lontana), per i quali il
redshift cosmologico viene considerato come un fattore di scala
dell’espansione dello spazio, e cioè:
Distanza iniziale (alla partenza fotoni) = 5,46 miliardi di anni luce;
Distanza attuale (all’arrivo dei fotoni) = 8,68 miliardi di anni luce;
z (redshift cosmologico) = 0,59.
Per far meglio comprendere di cosa si tratta, espongo qui di seguito la
formula degli einsteinisti ed il relativo calcolo, per trovare la
distanza attuale conoscendo quella iniziale ed il redshift cosmologico.
Distanza attuale = Distanza iniziale • (1 + z)
Distanza attuale = 5,46 • (1 + 0,59) = 8,68
Che in pratica significa che moltiplicando la distanza dell’oggetto
celeste alla partenza dei fotoni, per l’espansione dello spazio avvenuta
durante il loro viaggio, si ottiene la distanza all’arrivo dei fotoni.
Il risultato corrisponde al valore indicato nell’articolo di Zappalà ed
esposto sopra, relativo alla distanza attuale dell’ipotetico oggetto
celeste. Quindi si tratta di un calcolo corretto, almeno secondo gli
einsteinisti.
Però dalle osservazioni risulta che la distanza attuale osservata
(naturalmente ciò che viene osservato è la luminosità apparente, che
costituisce un indicatore di distanza) è superiore a quella attesa e
cioè a 8,68 miliardi di anni luce.
Qui di seguito espongo alcuni ragionamenti che dimostrano che la
luminosità apparente superiore a quella attesa, dimostra che il redshift
cosmologico non può essere considerato come un indicatore
dell’espansione dello spazio.
Se la distanza attuale osservata è maggiore di quella attesa, significa
che l'espansione dello spazio è stata maggiore di quella risultante
utilizzando il fattore (1 + z), in quanto la distanza attuale osservata
dipende proprio dall’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio
dei fotoni.
Ma se il fattore (1 + z) indicasse veramente l’espansione dello spazio,
anche il redshift dei fotoni, e quindi il fattore (1 + z) stesso,
sarebbe stato maggiore di quello considerato, perché la maggiore
espansione dello spazio si sarebbe riflessa anche sulla lunghezza d'onda
dei fotoni e, quindi, sul fattore (1 + z).
E quindi la distanza attuale attesa sarebbe risultata uguale a quella
osservata.
Per cui se la distanza attuale osservata risulta maggiore di quella
attesa, può solo significare che il fattore (1 + z) non rappresenta
l’espansione dello spazio avvenuta durante il viaggio dei fotoni.
Ma se il redshift cosmologico non rappresenta l'espansione dello spazio,
allora può rappresentare una velocità di allontanamento, come ho
dimostrato con la QSE.
Ma se rappresenta una velocità di allontanamento, non può essere
compatibile con le teorie della relatività di Einstein, in quanto
applicando la formula compatibile con la relatività ristretta, e cioè:
velocità allontanamento = redshift cosmologico • velocità della luce
con i redshift cosmologici con valori superiori ad 1, essa supera la
velocità della luce, cosa impossibile per la relatività ristretta, come
ho già dimostrato nel paragrafo precedente.
D’altronde detta formula considera la Terra immobile e tutti gli oggetti
celesti in moto rispetto ad essa, che è un principio Tolemaico e quindi
irrealistico sull’Universo.