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La Passione del Signore descritta da un medico

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Mar 25, 2016, 2:55:23 PM3/25/16
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Fw: La Passione del Signore descritta da un medico


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La Passione del Signore descritta da un medico


Alcuni anni fa un dottore francese, Barbet, si trovava in Vaticano insieme
con un suo amico, il dottor Pasteau. Nel circolo di ascoltatori c'era anche
il cardinal Pacelli (futuro Pio XII). Pasteau raccontava che, in seguito
alle ricerche del dottor Barbet, si poteva ormai essere certi che la morte
di Gesų in croce era avvenuta per contrazione tetanica di tutti i muscoli e
per asfissia.


Il cardinal Pacelli impallidė. Poi mormorō piano:- Noi non ne sapevamo
nulla; nessuno ce ne aveva fatto parola.


In seguito a quella osservazione Barbet stese per iscritto una
ricostruzione, dal punto di vista medico, della passione di Gesų. Premise
un'avvertenza:
ŦIo sono soprattutto un chirurgo; ho insegnato a lungo. Per 13 anni sono
vissuto in compagnia di cadaveri; durante la mia carriera ho studiato a
fondo l'anatomia. Posso dunque scrivere senza presunzione ŧ.


ŦGesų entrato in agonia nell'orto del Getsemani - scrive l'evangelista
Luca - pregava pių intensamente. E diede in un sudore come di gocce di
sangue che cadevano fino a terra ŧ. Il solo evangelista che riporta il fatto
č un medico, Luca. E lo fa con la precisione di un clinico. Il sudar sangue,
o ematoidrōsi, č un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni
eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da
una scossa morale violenta, causata da una profonda emozione, da una grande
paura. Il terrore, lo spavento, l'angoscia terribile di sentirsi carico di
tutti i peccati degli uomini devono aver schiac­ciato Gesų.
Questa tensione estrema produce la rottura delle finis­sime vene capillari
che stanno sotto le ghiandole sudori­pare. Il sangue si mescola al sudore e
si raccoglie sulla pelle; poi cola per tutto il corpo fino a terra.


Conosciamo la farsa di processo imbastito dal Sine­drio ebraico, l'invio di
Gesų a Pilato e il ballottaggio della vittima fra il procuratore romano ed
Erode. Pilato cede e ordina la flagellazione di Gesų. I soldati spogliano
Gesų e lo legano per i polsi a una colonna dell'atrio. La flagel­lazione si
effettua con delle strisce di cuoio multiplo su cui sono fissate due palle
di piombo o degli ossicini. Le tracce sulla Sindone di Torino sono
innumerevoli; la maggior parte delle sferzate č sulle spalle, sulla schiena,
sulla re­gione lombare e anche sul petto.


I carnefici devono essere stati due, uno da ciascun lato, di ineguale
corporatura. Colpiscono a staffilate la pelle, giā alterata da milioni di
microscopiche emorragie del sudor di sangue. La pelle si lacera e si spacca;
il sangue zampilla. A ogni colpo il corpo di Gesų trasale in un sopras­salto
di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte,
la testa gli gira in una verti­gine di nausea, brividi gli corrono lungo la
schiena. Se non fosse legato molto in alto per i polsi, crollerebbe in una
pozza di sangue.


Poi lo scherno dell'incoronazione. Con lunghe spine, pių dure di quelle
dell'acacia,
gli aguzzini intrecciano una specie di casco e glielo applicano sul capo.
Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno san­guinare (i chirurghi
sanno quanto sanguina il cuoio ca­pelluto).


Dalla Sindone si rileva che un forte colpo di bastone dato obliquamente,
lasciō sulla guancia destra di Gesų una orribile piaga contusa; il naso č
deformato da una frattura dell'ala cartilaginea.
Pilato, dopo aver mostrato quello straccio d'uomo alla folla inferocita,
glielo consegna per la crocifissione.


Caricano sulle spalle di Gesų il grosso braccio orizzon­tale della croce;
pesa una cinquantina di chili. Il palo verti­cale č giā piantato sul
Calvario. Gesų cammina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare
cosparso di cottoli. I soldati lo tirano con le corde. Il percorso,
fortunatamente, non č molto lungo, circa 600 metri. Gesų a fatica mette un
piede dopo l'altro; spesso cade sulle ginocchia.
E sempre quella trave sulla spalla. Ma la spalla di Gesų č coperta di
piaghe. Quando cade a terra la trave gli sfugge e gli scortica il dorso.


Sul Calvario ha inizio la crocifissione. I carnefici spo­gliano il
condannato; ma la sua tunica č incollata alle piaghe e il toglierla č
semplicemente atroce. Non avete mai staccato la garza di medicazione da una
larga piaga contusa? Non avete sofferto voi stessi questa prova che richiede
talvolta l'anestesia generale? Potete allora rendervi conto di che si
tratta.


Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva; a levare la
tunica, si lacerano le terminazioni nervose messe allo scoperto nelle
piaghe. I carnefici dānno uno strappo violento. Come mai quel dolore atroce
non provoca una sincope?


Il sangue riprende a scorrere; Gesų viene steso sul dorso. Le sue piaghe
s'incrostano
di polvere e di ghiaietta. Lo distendono sul braccio orizzontale della
croce. Gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per
facilitare la penetrazione dei chiodi e l'orribile supplizio ha inizio. Il
carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito e quadrato), lo
appoggia sul polso di Gesų; con un colpo netto di martello glielo pianta e
lo ribatte saldamente sul legno.


Gesų deve avere spaventosamente contratto il viso. Nello stesso istante il
suo pollice, con un movimento vio­lento, si č messo in opposizione nel palmo
della mano: il nervo mediano č stato leso. Si puō immaginare ciō che Gesų
deve aver provato: un dolore lancinante, acutissimo che si č diffuso nelle
sue dita, č zampillato, come una lingua di fuoco, nella spalla, gli ha
folgorato il cervello il dolore pių insopportabile che un uomo possa
provare, quel­lo dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Di solito
provoca una sincope e fa perdere la conoscenza. In Gesų no. Almeno il nervo
fosse stato tagliato netto! Invece (lo si constata spesso sperimentalmente)
il nervo č stato di­strutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso
rimane in contatto col chiodo: quando il corpo di Gesų sarā sospeso sulla
croce, il nervo si tenderā fortemente come una corda di violino tesa sul
ponticello. A ogni scossa, a ogni movimento, vibrerā risvegliando il dolore
straziante. Un supplizio che durerā tre ore.


Anche per l'altro braccio si ripetono gli stessi gesti, gli stessi dolori.
Il carnefice e il suo aiutante impugnano le estremitā della trave; sollevano
Gesų mettendolo prima seduto e poi in piedi; quindi facendolo camminare
all'indietro,
lo addos­sano al palo verticale. Poi rapidamente incastrano il brac­cio
orizzontale della croce sul palo verticale.


Le spalle di Gesų hanno strisciato dolorosamente sul legno ruvido. Le punte
taglienti della grande corona di spine hanno lacerato il cranio. La povera
testa di Gesų č inclinata in avanti, poiché lo spessore del casco di spine
le impedisce di riposare sul legno. Ogni volta che Gesų sol­leva la testa,
riprendono le fitte acutissime.

Gli inchiodano i piedi.


Č mezzogiorno. Gesų ha sete. Non ha bevuto nulla né mangiato dalla sera
precedente. I lineamenti sono tirati, il volto č una maschera di sangue. La
bocca č semiaperta e il labbro inferiore giā comincia a pendere. La gola č
secca e gli brucia, ma Gesų non puō deglutire. Ha sete. Un soldato gli
tende, sulla punta di una canna, una spugna imbevuta di una bevanda acidula
in uso tra i militari.


Ma questo non č che l'inizio di una tortura atroce. Uno strano fenomeno si
produce nel corpo di Gesų. I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una
contrazione che va accentuandosi: i deltoidi, i bicipiti sono tesi e
rilevati, le dita si incurvano. Si tratta di crampi. Alle cosce e alle gambe
gli stessi mostruosi rilievi rigidi; le dita dei piedi si incurvano. Si
direbbe un ferito colpito da tetano, in preda a quelle orribili crisi che
non si possono dimenti­care. Č ciō che i medici chiamano tetanėa, quando i
crampi si generalizzano: i muscoli dell'addome si irrigidiscono in onde
immobili; poi quelli intercostali, quelli del collo e quelli respiratori. Il
respiro si č fatto a poco a poco pių
corto. L'aria entra con un sibilo ma non riesce quasi pių a uscire. Gesų
respira con l'apice dei polmoni. Ila sete di aria: come un asmatico in piena
crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, poi trascolora nel
violetto purpureo e infine nel cianotico.


Gesų, colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d'arėa non possono pių
svuotarsi. La fronte č imperlata di sudore, gli occhi gli escono fuori
dall'orbita.
Che dolori atroci devono aver martellato il suo cranio!


Ma cosa avviene? Lentamente, con uno sforzo sovru­mano, Gesų ha preso un
punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccoli colpi, si
tira su, allegge­rendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si
distendono. La respirazione diventa pių ampia e profonda, i polmoni si
svuotano e il viso riprende il pallore primitivo.


Perché tutto questo sforzo? Perché Gesų vuole par­lare: Ŧ Padre, perdona
loro: non sanno quello che fanno ŧ. Dopo un istante il corpo ricomincia ad
afflosciarsi e l'asfissia riprende. Sono state tramandate sette frasi di
Gesų dette in croce: ogni volta che vuol parlare, Gesų dovrā sollevarsi
tenendosi ritto sui chiodi dei piedi. Inimma­ginabile!


Uno sciame di mosche (grosse mosche verdi e blu come se ne vedono nei
mattatoi e nei carnai), ronza attorno al suo corpo; gli si accaniscono sul
viso, ma egli non puo scacciarle. Fortunatamente, dopo un po', il cielo si
oscura, il sole si nasconde: d'un tratto la temperatura si abbassa. Fra poco
saranno le tre del pomeriggio. Gesų lotta sempre; di quando in quando si
risolleva per respirare. Č l'asfissia periodica dell'infelice che viene
strozzato e a cui si lascia riprendere fiato per soffocarlo pių volte. Una
tor­tura che dura tre ore.


Tutti i suoi dolori, la sete, i crampi, l'asfissia, le vibra­zioni dei nervi
mediani, non gli hanno strappato un lamento. Ma il Padre (ed é l'ultima
prova) sembra averlo abbandonato: ŦDio mio, Dio mio, perché mi hai
abban­donato?ŧ.


Ai piedi della croce stava la madre di Gesų. Potete immaginare lo strazio di
quella donna?

Gesų dā un grido: Ŧ Č finito (compiuto) ŧ.
E a gran voce dice ancora: ŦPadre, nelle tue mani raccomando il mio
spiritoŧ.
E muore (lanciando un alto grido).


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