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XII

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solania

unread,
Oct 9, 2012, 10:37:24 AM10/9/12
to
Allan provò a pensare come sarebbe stata la sua vita se non avesse
creduto in nulla come il professore. Si sforzò di mettersi nei suoi
panni cercando di entrare completamente nella parte di una persona che,
sinceramente, fosse convinta che con la morte finisse tutto.
Provò anche ad immaginare di essere povero ed essere costretto ad un
duro lavoro per poter mangiare. Cercò di vuotare la sua mente per poter
ascoltare le sue emozioni. Soprattutto voleva riuscire a provare,
sentire l'invidia per chi aveva tutto. Bellezza, denaro, donne. Cercò di
dimenticare tutti i libri che aveva letto e in cui aveva trovato tante
risposte ma che, se fosse stato veramente povero, non avrebbe avuto il
tempo ne la voglia di guardare. Cercò di immaginarsi così a vent'anni.
Era facile immaginarsi non istruito, come pure sufficientemente facile
immaginarsi povero. Quello che gli riusciva difficile era immaginarsi
solo, senza amici e senza storie d'amore con ragazze che, in fondo, gli
pareva fosse l'unica cosa che contasse veramente nella vita. L'unica
cosa di cui poteva immaginare di essere invidioso era di qualcuno più
fortunato di lui con una bellissima ragazza. Ma neppure li. Quando era
successo, aveva provato invidia ma una tranquilla rassegnazione.
Tutte le volte
A parte una.
Ma che ancor ora non si sapeva spiegare.

Fu una sera d'estate. Era a Long Island con alcuni amici seduti davanti
ad un bungalow sulla spiaggia a chiacchierare e prendere il fresco.
Arrivò un amico di uno di quelli con cui stava parlando con una ragazza
stupenda su di un auto altrettanto stupenda. Cominciarono a parlare tra
loro quattro con enfasi ed allegria, e lui si sentì completamente
ignorato ed escluso. Proprio come un paria.
Gli avessero rivolto la parola o prestato un minimo di attenzione forse
sarebbe stato diverso. E forse proprio di lì nacque la sua rabbia. Si,
perché tutto iniziò per la superbia di quel ragazzo ed il modo sfacciato
con cui faceva pesare quel suo stato di superiorità di quel momento.
Economica e sentimentale. E pure quella ragazza contribuiva non poco
assecondandolo in modo adulatorio come per contribuire a creare la loro
unicità e superiorità al mondo intero.
E in quel momento lo erano veramente, per Allan, che era reduce da una
delusione amorosa e che non poteva far altro che invidiare la loro
assoluta felicità e unione.

Ricordò l'invidia che provava per quell'uomo e come non avrebbe voluto
vederlo lì, così sfacciatamente felice. Desiderò che qualcosa gli
andasse storto e che tutta quella gioia crollasse miseramente. Sentiva
ingiusta quella superiorità, fastidiosissima, insopportabile.
Quel paradiso accentuava il suo inferno e lo rendeva doloroso. Odiava
quell'uomo, che non sentiva per nulla più meritorio di lui per
quell'amore che quella bellissima ragazza pareva donargli con tutta se
stessa.
Certo, era una condizione di povertà di fronte ad una di ricchezza.
E lui era invidioso, sicuramente molto invidioso, per la prima ed unica
volta nella sua vita in un modo così intenso e lacerante.

E' forse questa la condizione di vita costante di chi non ha nulla ?
Se quella coppia invece di una fugace sera si fosse trattenuta per
giorni, sarebbe sempre rimasta tale ? E immaginando che così fosse
stato che rimedio poteva esserci, trovare ?
Certo, si fossero almeno rivolti gentilmente a lui non sarebbe andata
così. Tutto avrebbe preso un altro aspetto. Quello che lo feriva non era
tanto quella felicità che loro possedevano e lui invece no, ma che ne
facessero un motivo di vanto.
Era come si pavoneggiavano , e non tanto la realtà, quello che lo
disturbava.
Era, possiamo dire, la “rappresentazione” esagerata che ne facevano, non
la cosa in sé.
Una rappresentazione perfetta e senza ombre. Come fosse stata
irraggiungibile dai comuni mortali.
Ovviamente c'era qualcosa di falso in tutto questo, ma Allan non
riusciva a cogliere cosa fosse.
Loro erano più belli e più ricchi di tutti quanti.
Era questo che trasmettevano.
E lo erano veramente.
Ma ce ne sono tantissimi di più belli e più ricchi di chiunque di noi.
Perché allora loro suscitavano invidia e gli altri no ?
Qual'è il vero meccanismo di fondo dell'invidia ?
Essere al posto di lui ?
Essere Allan quello amato ?
Ma perché proprio di lui e non dei mille altri come lui ?
Cosa aveva lui più di me, si chiedeva ?
La maggior ricchezza ?
Anche gli altri
Sarà banale ma l'unica cosa che vedeva diversa in lui da tutti gli altri
era l'alterigia, la superbia.
Non era quello che aveva ma quello che era.
Semplicemente una persona superba.
Ma forse perché anche Allan lo era ?
Possibile, ma restava comunque l'indizio più concreto.
La faceva da padrone. Non faceva nulla per attenuare la sua superiorità,
anzi, parevano d'accordo, lui e quella ragazza, a rappresentare
perfettamente e senza la minima incrinatura attraverso cui potesse
infilarsi un dubbio sulla loro perfezione, autonoma e irraggiungibile.

Ma cos'era, allora l'invidia ?
Una superiorità altrui o una debolezza propria ?
Non c'era forse una pusillanimità nel non controbattere a tanta superbia
con altrettanto orgoglio ?
Non c'era forse, complice la debolezza del momento, uno scoraggiamento
ad ottenere altrettanto dalla vita?
Non tradiva quell'invidia solo la mancanza di coraggio di lottare per
ottenere altrettanto ?
Il rimpianto non è solo il vano pascolo di uno spirito disoccupato ?
Non c'era innanzitutto una sottovalutazione di sé, una debolezza in sé
prima del supposto strapotere altrui ?
Un ripiegamento dello spirito a nuove sensazioni e nuove immaginazioni ?
Certo, quella persona era sicuramente orgogliosa e presuntuosa, ma un
Essere, seppur fittizio e sempre meglio di una assoluta mancanza d'Essere.
Mancanza d'essere sinonimo poi della vigliaccheria di chi, per pigrizia,
mancanza di coraggio o altro, si dà per vinto senza neppure accettare la
sfida. Ritirarsi prima di combattere. Restare chiusi invece di aprirsi
alla lotta e alla competizione.

Forse, la vera ragione di quell'unico episodio di invidia, non fu un
caso se avvenne contemporaneamente ad un breve periodo in cui pensò di
attenuare il dolore ricorrendo alla droga.
Furono entrambi un unico episodio nella sua vita
E sicuramente la debolezza provocata da quest'ultima ebbe una influenza
decisiva in quell'episodio.

L'invidia, quindi, come sintomatico di una debolezza interiore, prima di
tutto !
Di quella mancanza nella realizzazione di se stessi nella vita che te la
fa invidiare in chi ti pare di vederla. Giusto o sbagliato che sia.
Ma se allora le cose stanno solo così non c'è nessuna giustificazione.
Non ha senso abbassare chi ha voglia di lottare e di vincere per
assecondare l'infingardaggine degli invidiosi. Di chi ritiene sempre gli
altri, quelli più potenti la causa dei propri guai.
Meglio farebbero a guardarsi dentro che star sempre lì a pontificare sui
soprusi veri o supposti altrui

“Buongiorno”
“Buongiorno professore” rispose Allan accorgendosi solo ora della sua
presenza.
“Era molto preso dai suoi pensieri, mi pare”
“Beh, sì,in fonda stavo pensando ad una variazione sul tema del suo “sì
alla vita”
“Ma lei è cristiano. Cosa le importa di dire sì alla vita, tanto, la
vera vita, per lei è quell'altra, non questa”
“Sarebbe giusto se non fosse anche vero che Dio è morto”
“Appunto, e allora cosa le rimane ?”
“Il potenziamento della propria vita, esattamente come lei dice bene
pure qui, ma con un unica differenza. Io credo che Cristo sia il miglior
modello da imitare per raggiungere il massimo di questo potenziamento, a
differenza di lei che lo considera, viceversa, il minimo”
“Lo considero il minimo perché è un “si alla vita” verso tutti, deboli
compresi. Quando invece la vita vuole la guerra, la spada, la selezione
del più forte”
“Ma non ha mai letto quello che dice Cristo ?“Io sono venuto a portare
la guerra, e non la pace” . “La spada” dice. Le sembra un linguaggio
tanto remissivo e pusillanime ?”
Il professore restò in silenzio.
“Sa cosa credo ? Che io e lei la pensiamo allo stesso modo. Più la
conosco e più lei mi sta simpatico. Lei mi piace molto. Mi piace molto
il suo modo coraggioso di ragionare. Pensare col “martello”. E'
stupendo. Mi ci riconosco completamente. Ci piacciono ad entrambi gli
uomini forti e coraggiosi, nobili e aristocratici...e magari pur anche
orgogliosi. Certo ad entrambi non piacciono i deboli, i vigliacchi, i
rancorosi, i lamentosi perché quelli sono i veri superbi, quelli che la
nascondono la loro superbia dietro un manto da agnello, quelli che sono
talmente orgogliosi da restare chiusi alla vita stessa, in una rinuncia
alla vita che nasconde tutto il loro narcisismo, la loro rabbia verso la
vita degli altri, i vincenti”
“Ma questo è il cristianesimo !” osservò il professore.
“Direi proprio di no ! O comunque, quantomeno, un cristianesimo male
inteso, frainteso, completamente stravolto. Il vero cristianesimo è ben
di più per uomini forti, molto forti, talmente forti da superare
l'orrore anche per questo genere di uomini e superando ulteriormente se
stessi dicono si alla vita anche quando fa schifo, è sporca, è cattiva.
E' una accettazione di tutta la vita e non limitata solo a quella della
perfezione. Al sì alla vita non dato solo ai belli e invincibili ma a
tutti, proprio tutti, anche agli orribili e perdenti assoluti. Anche
loro fanno parte della vita. Non solo alle regali pantere e leoni, ma
anche agli scarafaggi e alle zecche. Ci vuol ben più coraggio ad
accettare gli ultimi che i primi. Bisogna fare lealmente, apertamente,
l'apprendistato di una libertà nuova, di una difficilissima libertà.
Bisogna superare anche l'orrore per essere autentici superuomini perché
sennò si è solo degli snob e non degli aristocratici veri. Lei è un po'
snob, professore !” concluse provocatoriamente con un largo sorriso di
affetto che bene mostrava i suoi reali sentimenti verso quell'uomo.
“Forse ha ragione, forse sono solo uno snob” rispose con un analogo
sorriso ma venato di malinconia.
“Forse, non saprei, ma di certo lei ha visto bene il moralismo che
infanga il cristianesimo e le schiere di ipocriti che lo ammorbano. Lei
ha anche compreso appieno l'enorme importanza del prestare più
attenzione alla interiorità dell'uomo, alla sua psiche, alle battaglie
che deve compiere con la meschinità contenuta in ognuno di noi. Alla
battaglia con la propria “Ombra” in un epoca dove gli uomini si illudono
che la “luce della ragione” sia tutto e possa tutto. Lei ha capito
l'attenzione che merita ciò che supera di gran lunga la ragione. Quello
che lei chiama “potenza” ed io Desiderio.
“Lei è ben strano come cristiano. Non ne avevo mai conosciuto uno che
parlasse così”
“Forse ha ragione, professore, questo è anche il mio cruccio. Io credo
fermamente che il cristianesimo abbia bisogno di un nuovo linguaggio,
più aderente alla sua evoluzione e potenzialità...ecco, vede, ho usato
la sua parola preferita, “potenzialità”. La “potenza” del cristianesimo
è ancora tutta da scoprire, deve ancora venire in luce, è ricoperta da
incrostazioni di “frasi fatte”, formulette moraleggianti e robaccia simile.

Il cristianesimo non è una religione, è una antropologia.

Il Superuomo, l'Uomo nuovo non è là davanti, in un epoca futura, ma qua
di dietro. E' già nato ma nessuno lo riconosce. E' nato duemila anni fa.
E cosa dicono avesse scritto sulla sua culla ? “Pace in terra agli
uomini di buona volontà” ! Vede, proprio come diciamo noi. Non parlava
di intelligenza o bontà, come San Tommaso, ma di “volontà”, come
Sant'Agostino e proprio come pure noi due. La volontà è tutto !”
Si accese una sigaretta e proseguì :
“E per “buona” possiamo poi sicuramente intendere quella di
autorealizzazione come uomini autentici e coraggiosi, che non credo
proprio che Cristo avrebbe nulla da obiettare, anche se poi, a dire il
vero l'autorealizzazione e sempre e solo una etero realizzazione, in
verità, una realizzazione nel fare il bene del “prossimo”, il
prendersene “cura”, perché il “Tu” è costitutivo del'”Io”. Ma lasciamo
perdere che ora non ho voglia di parlare di questo. Vede comunque che i
conti tornano ? “
“Cioè ?”
“Sì, ”Buona volontà”, “Volontà di potenza” “Desiderio” sono tre modi
diversi di declinare lo stesso concetto. Né nel comandare e neppure nel
servire ma nel realizzare se stessi nella vita, e io credo anche nella
Verità.
Perché la Verità esiste.”
Disse, scrollando la sigaretta nella tazzina del caffè.
“Non è più Dio, come lo abbiamo frainteso e infangato per secoli e
secoli, e quel Dio è giustamente morto. Ma ora abbiamo la strada per
vedere quello vero.
Ma non più astrattamente proiettandoci sopra tutti i nostri sogni e i
nostri incubi.
Ma quello vero.
In una Verità che ha il suo reinizio proprio dal Figlio per salire al
Padre e non viceversa.”

“Dove pensa che avrei sbagliato io nei miei ragionamenti ?” chiese
sorridendogli il professore
“Nel confondere cristianesimo e cristianità – rispose prontamente Allan
- Ne ha fatto un unica cosa. Quasi che la seconda fosse la perfetta
estrinsecazione della prima, del messaggio del Cristo, quando invece
quel messaggio è così mastodontico ed ancora tutto da realizzare.
Quel messaggio è “già” nostro ma “non ancora” realizzato, se non
microscopicamente. Confondere questo “già” con il “non ancora”, quasi
che questo secondo passaggio non esistesse ma fosse già incarnato dai
suoi rappresentanti è stato un grosso errore.
Lei, in parole semplici, ha buttato via “l'acqua sporca”, e ce n'era
tanta che ha fatto benissimo a gettarla, ma non si è accorto che c'era
anche un nucleo vivo, ancora piccolo, tutto ancora da sviluppare, quel
“col bambino”, come dice il proverbio, che lei non si è accorto che
c'era in mezzo a tutto quel marciume e quegli errori. Errori di uomini,
non di Cristo !!
Inoltre, non dimentichiamo poi che coloro che sfuggono dalla Chiesa per
l'ipocrisia, l'imperfezione delle persone religiose, e si scordano che,
se la Chiesa fosse perfetta nel senso da loro reclamato, non ci sarebbe
in essa posto per loro” disse ridendo.

Poi alzandosi e andando distrattamente verso la finestra prosegui :

“E ancora, conseguentemente a questo, in quella idea erronea del
“risentimento” da lei visto solo ed esclusivamente in queste persone Il
risentimento, emozione che secondo lei colpisce solo i cristiani
quando invece avrebbe dovuto coglierne l'aspetto universale, in realtà .
L'”Universalizzazione” del risentimento !!
Questo avrebbe dovuto cogliere!
Il vero e proprio scacco del desiderio da cui tutti possiamo essere
infettati perché è il frutto della perenne lotta per vincere, per
“appropriarsi” di ciò che riteniamo desiderabile ed è sempre ostacolato
da qualcun altro che lo desidera al pari di noi , lo vuole come noi. Ma
c'è sempre solo uno che vince. L'altro può guardare avanti e rimettersi
a lottare senza scoraggiarsi o, viceversa, farsi prendere da questo
scoraggiamento e, guardando oramai solo indietro, farsi sopraffare dal
risentimento verso chi lo ha battuto.
Nella sconfitta, poi, la malafede di attribuirne la colpa sempre e
solo al' altro che ci supera o alla società esterna, ma mai a sé stessi
e ai propri limiti. Questa è l'essenza del risentimento : vedere fuori
di se le proprie colpe, attribuirle ad altri.
In questo modo non ci sarà mai un vero progresso dell'uomo.
Ma le persone hanno completamente perso il senso dei propri limiti e
pretendono solo riconoscimenti senza meriti in questo narcisismo di
massa e sempre più straripante .
Vedere questo significherebbe rinunciare a fare altre vittime, a favore
di una maggiore comprensione della natura umana nella sua completezza
interrelazionale.”
Poi, guardandolo in volto, sebbene con la reverenza dovuta ai vecchi,
aggiunse:
“Invece lei, come ho già detto tante volte, sempre a causa di quel
desiderio romanticamente inteso, desiderio “duale”, Io-Tu, quando è
invece “triangolare”, Io-Tu-Modello, e il risentimento è proprio la
prova più evidente di questa “triangolarità” del desiderio, dove quel
terzo lato è più evidente, evidentissimo nella sua inconfutabile realtà
di ostacolo, nemico.”
Gettò il mozzicone ormai spento nella tazzina e la allontano da sotto il
loro naso.
“Lei, dicevo, si illude invece di essere indipendente dallo sguardo
degli altri e di poter così riuscire, da solo, a costruire i suoi
valori. Di essere in grado, da solo, di conferire valore a ciò che
desidera. E così anche lei resta vittima della vecchia illusione
romantica e libertaria di un desiderio necessariamente buono, pacifico,
liberatorio, che procurerebbe infallibilmente agli esseri umani la
felicità se non ci fosse, ad ostacolarlo, una cospirazione universale
delle persone deboli, unicamente preoccupate di perpetuare la tradizione
repressiva dell'Occidente ebraico-cristiano.
Ma così facendo lei ricade per primo in quella attribuzione a qualcosa
di esterno a lei della causa delle sue sconfitte. Quel “Potere” che
genera vittimismo, rancore e infine guerre.
D’altro canto, lei ritiene che siano solo i cristiani le persone deboli;
quelle incapaci di distaccarsi dallo sguardo della superiorità altri e
che quindi si ammalino di risentimento solo loro, e solo loro siano
vittime del rancore, della invidia livorosa, la vendetta immaginaria e
sublimata di cui deve accontentarsi chi non riesce a vendicarsi sul
serio dei torti subiti. A lungo andare, il risentimento sfocerebbe nella
violenza e nell’odio solo di questi.
Una banale divisione del mondo in “buoni e cattivi”, dove noi, noi siamo
sempre i buoni e loro, sempre i cattivi.
Il “nodo” di tutte le violenze e le guerre che così non termineranno mai !

E invece ci dovremmo meravigliare se mai incontrassimo qualcuno privo di
risentimento, privo di invidia, che viceversa, in questa epoca
cosiddetta figlia del'”Illuminismo” ma che , in realtà, più
“oscurantista” di così non è mai stata, in questa notte del desiderio,
appunto, l'invidia e il risentimento sono la norma, non certo
l'eccezione di solo alcuni !!

Ognuno di noi quando smette di guardare avanti nella direzione del
proprio desiderio e si ripiega, sconfitto, nell'odio verso i fantasmi
solo mentali che suppone lo ostacolino cade inevitabilmente preda di
quel rancore, di quel risentimento che è solo il marcio frutto mentale
del proprio delirio di onnipotenza.
Risentimento e violenza da un lato e volontà di autorealizzazione
dall'altro, sono l'Ombra e la Luce di quello stesso e unico desiderio.

L' errore poi di non comprendere ciò porta all'ulteriore sciocchezza
della eliminazione di qualunque “Divieto”, figlio sempre e solo di
quell'immaginario “Potere”, per sua natura sempre persecutorio nella
mente degli stolti che, lungi dall'attenuare la portata di detto
risentimento, non fa', viceversa, che aumentarlo a dismisura poiché la
constatazione che nonostante ciò le differenze permangono, genererà
solamente il suo aumento all'ennesima potenza e non la sua estinzione a
causa del contemporaneo misconoscimento collettivo dei propri limiti
conseguente al narcisismo dilagante.

I “Divieti” non sono il frutto di un Potere repressivo ma solo strumenti
efficaci per arginare la violenza che in ogni momento rischia di
travalicare.
In altri termini , all'errore di vedere fuori di sé gli ostacoli si
aggiunge quello conseguente di volerli eliminare. Questo ha come
risultato l'avvitarsi sempre più pericolosamente in una lotta senza fine.
Come di una barca disalberata che vaga nell'oceano.
Ma la gente ignora tutto questo come ignora le sue cause profonde.
Ignora che c'è un forza chiamata Desiderio che può svilupparsi in senso
positivo o negativo.
Ignora che quello negativo può avvilupparsi dapprima in quel
risentimento che poi genera l'odio che infine sfocia nella violenza. E
questa è una legge universale.
E l'unico modo di controllare tutto ciò sono quei Riti che mimano la
sequenza risentimento-odio-guerra che combinati coi Divieti e con
l'insieme del religioso costituisco l'unica e autentica profilassi nei
confronti di questa conflittualità distruttiva.
Come, infine, è altrettanto universale il suo unico antidoto. Quel
Cristo che è la più radicale soluzione dell'odio e della guerra, al fine
di lasciar vivere solo l'amore e la pace. Perché l'unico modo di
sfuggire a questa ambivalenza del desiderio che ora ama e un attimo dopo
odia è la rinuncia, una volta per tutte, a qualsiasi desiderio di
possesso, per lasciare unicamente spazio al dono, come Lui ha dimostrato
radicalmente donando la propria vita per noi.

Poi, dopo un attimo di pausa, indicando la finestra alla quale era
rimasto appoggiato da quando si era alzato:

“Che questo sia ignorato da tutta quella gente la fuori – disse – non mi
meraviglia per nulla.
Quello che mi meraviglia è che sia lei a non coglierlo!
Lei tutto questo lo sfiora ma non lo coglie.
Ci è vicinissimo come nessun altro, eppure se lo lascia sfuggire.
Peccato! Non riesco a capirne la ragione ”.

Passarono alcuni minuti dove entrambi rimasero in silenzio. Allan
riordinando distrattamente e il professore assorto nei suoi pensieri.

“Mi scusi se cambio discorso – interruppe il professore il silenzio – ma
mi è venuta in mente una cosa che volevo dirle già da alcuni giorni “
“Si figuri. Mi dica “
“Lei è un caro ragazzo e rifletterò molto volentieri su quello che mi ha
detto, ma mi sono ricordato di questa cosa, appunto, e glene volevo
parlare “
“Certo”.
“E' un argomento delicato e non vorrei essere frainteso o che lei la
prendesse come una indebita ingerenza nella sua vita privata”.
“Non si preoccupi, comincio a conoscerla assai bene e so quanto lei sia
riservato”.
“Si, ma tenga solo presente che se mi permetto di dirle quello che sto
per dirle è solo per la mia età che potrebbe essere quella di un padre
per lei e che quindi è dettata solo da una preoccupazione”.
“La ringrazio della sua premura, ma mi dica, che mi ha fatto diventare
curioso”
“Ecco, non so' come iniziare ma...mi pare...insomma...che a lei quella
ragazza, Sabine, le piaccia molto”.
“Sì , mi piace molto”.
“Ecco, è qui che volevo arrivare.... Non si fidi di quella ragazza. La
sta solo usando”.
“Perché pensa questo ?”
“Non è per niente facile per me spiegarglielo..ma...vorrei solo che lei
tenesse a mente quello che le ho detto. Non mi chieda perché.”
“Va bene, sarà uno dei tanti misteri che la circondano” assentì
sorridendogli.

Fuori, aveva ricominciato a nevicare abbondantemente e una ventata di
gelo gli era arrivata sino al cuore.
















XIII

solania

unread,
Oct 11, 2012, 8:58:29 AM10/11/12
to

>
> Accidenti poi anche a quel “afflitto Arthur”, “il falso asceta Arthur Schopenhauer”, che con il suo esempio di aridità emotiva gli aveva fatto credere il disprezzo della vita come insensata. Come volontà di vita cieca. Quando cieco era stato solo lui a non vederne l'incoerenza di questo suo maestro. Il fallimento anche della sua sterile vita.
La vita non era solo “volontà di vita cieca”.
La vita era anche un Dono, se solo qualcuno gli avesse insegnato ad
accorgersene, a vederlo.
Quel “Dono” espresso nella “Cura”
Ma prima bisogna incontrare qualcuno che ti ami per poterlo comprendere.
Non è un arido ragionamento. E' un sentimento. Ma lui, questo
sentimento, non lo aveva mai incontrato.
E questa consapevolezza la aveva sempre più smarrita a causa di tutte
quelle idiozie cervellotiche senza “corpo”. Con un “corpo” vissuto solo
intellettualmente e non veramente, se non nell'alienazione di un
bordello come Arthur stesso.
Perché, forse, solo un figlio glielo avrebbe potuto dare quel senso alla
vita .
E chi se ne frega se era solo “volontà di vita” !!
Bisogna viverla fino in fondo questa volontà perché altrimenti sì che si
rischia solo di essere preti bigotti e frustrati di una religione atea
ma alienante come tutte le religioni male intese.
Una vita da castrati !!
Solo questa era stata, in fondo, la sua tristissima vita.

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