PROTEGGERE I SISTEMI TECNOLOGICI COMPLESSI - di Roberto Vacca - 21/4/2006,
Nòva IlSole24Ore
Dal 1995 al 2000 ci fu nel mondo un incidente aereo ogni 1,25 milioni di
voli. Dal 2001 al 2005 solo uno ogni due milioni di voli. Quando i rischi
sono così bassi, è difficile percepirli in modo sensato. E' ancora più arduo
progettare aumenti di sicurezza in grandi sistemi che coinvolgono numeri
enormi di utenti, operatori, macchine, canali di comunicazione, computer.
Nei grandi sistemi tecnologici i rischi sono corsi da milioni di persone,
non solo dai passeggeri di un aereo. Le città con molti milioni di abitanti
sopravvivono solo se dispongono di trasporti veloci, energia e
comunicazioni. Dopo il grande blackout che nel 1965 lasciò senza elettricità
decine di milioni di americani e canadesi e fino ai blackout recenti in USA
e in Europa, il pubblico percepisce in modo vago la complessità di un
sistema che si può bloccare senza esplosioni, nè ragioni ovvie. Pochi
comprendono la complessità di strutture disperse sul territorio e prese per
garantite: finora funzionano quasi sempre.
I grandi sistemi tecnologici - ma anche stato, strutture sociali, aziende)
sono minacciati da tre fattori: disastri naturali, violenze (guerra,
terrorismo, vandalismo) e fragilità intrinseca dovuta a difetti di progetto,
organizzazione, gestione. Per evitare i primi due non si può ricorrere a
risorse tecniche. Terremoti, tsunami, eruzioni sono poco prevedibili. Anche
la violenza è imprevedibile se non si è evitata con azioni preventive
sociali, politiche, negoziali. Occorre - dopo il fatto - gestire le
emergenze, ricostruire, ricuperare lo status quo. In linea teorica la
fragilità intrinseca si può evitare con interventi progettuali e
tecnologici. In pratica la complessità enorme e crescente rende difficile
progettare la sicurezza nei sistemi prevedendo ogni possibile condizione
futura di funzionamento. La sfida tecnica e teorica è appassionante. Sarebbe
vitale accettarla e vincerla, ma non abbiamo soluzioni da manuale: occorre
inventarle.
L'ENEA ha raccolto centinaia di esperti internazionali a due giornate di
discussione (28-29 Marzo) sulla Protezione di reti e infrastrutture
complesse. Abbiamo convenuto su vari punti vitali. Vanno integrati i
progetti dei vari sistemi valutando i rischi di ciascuno e la loro
trasmissione tra aree fisiche e settori. Vanno addestrati utenti e operatori
a riconoscere emergenze impreviste e a reagire adeguatamente. Vanno
ottimizzate le comunicazioni per ottenere monitoraggio e controllo
intersistemico; e reso trasparente il software di controllo in modo da
distinguere se i guasti hanno origine nello hardware, nei canali di
comunicazione o nello stesso software. A tal fine va analizzata la storia di
tutti i blackout, le crisi sistemiche, le emergenze dovute ad atti
terroristici e vandalici. Su questa base vanno formulati scenari
quantitativi dettagliati. Vanno sviluppati, analizzati criticamente e
validati modelli matematici dell'interdipendenza fra sistemi e della
proliferazione di guasti, emergenze e interruzioni dei servizi. E' compito
arduo e critico: alcune variabili non sono note o si presentano in modo
casuale e con segnali forti. I meccanismi possono essere arguiti, non
calcolati.
Questi problemi si presentano in modi simili in Europa, America e Asia. Sono
diversi, però, molti fattori essenziali che influenzano i processi. Fra
questi: tradizioni tecniche, convenzioni sociali, strutture legali,
competenze e procedure decisionali. Nessuno dei grandi centri di analisi e
di ricerca tecnologica e sistemica ha sviluppato teorie complete atte a
fornire soluzioni valide in generale. E' opportuno, dunque, creare una rete
internazionale di esperti che cooperino integrando competenze e approcci per
accelerare il progresso sulla via della sicurezza e della resilienza dei
sistemi e delle infrastrutture. Questa organizzazione si appoggerà alle
tante iniziative esistenti di cooperazione scientifica, ma è bene che abbia
carattere informale. Non serve una sede: università, ricercatori,
scienziati, aziende ad alta tecnologia, manager lavoreranno in rete. Il
modello ricalca gli "invisible colleges" come D. deSolla Price chiamava le
comunità di scienziati attivi nella stessa branca speciale di eccellenza e
connessi oltre confini e barriere istituzionali.
Proteggere i sistemi e le infrastrutture complesse è vitale per dare
sicurezza alle aree più attive del mondo. L'obiettivo va perseguito nelle
direzioni citate e anche in altre da inventare. Vanno realizzate sinergie e
fertilizzazioni incrociate fra varie discipline nel quadro di un programma
comune di ricerca e sviluppo cui partecipino Stati Uniti, Europa e le
comunità scientifiche e tecniche che fioriscono in Oriente.
Sono questioni che vanno dibattute anche in sedi non specialistiche. Occorre
che si formi un'opinione pubblica capace di ispirare comportamenti
costruttivi del pubblico e di esigere interventi illuminati e competenti da
parte dei decisori pubblici e privati. Perché questo accada, è necessaria
una grande impresa per innalzare, in tutti i Paesi del mondo, i livelli medi
di cultura. Questi sono inadeguati rispetto alle sfide del mondo attuale
sempre più complesso tanto da indurre pubblico e pubblicisti a temere rischi
piccoli o inesistenti, non capendo affatto quelli gravi e forse imminenti.
Questi interventi sono più urgenti n Italia: i nostri investimenti pubblici
e privati in ricerca e sviluppo sono cronicamente minimi.
Vanno messi a fuoco gli aspetti umani e politici. Studi, ricerche,
sperimentazioni, campagne di informazione su sicurezza e protezione devono
essere considerate risorse da utilizzare per prevenire il rischio più grave
di tutti. E' quello di una guerra nucleare scatenata da terroristi, da stati
canaglia o da potenze che ricorrano a rappresaglie irresponsabili in seguito
a falsi allarmi o a falsi dossier prodotti da servizi segreti incompetenti.
Ciao
http://www.federazionepagana.it
http://www.federazionepagana.com/radiopagana/radio-pagana.htm
Da http://it.groups.yahoo.com/group/paganesimo/
Franco Santin