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Fw: Lettera Napoletana - Luglio 2013

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Rafminimi

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Aug 3, 2013, 7:25:12 PM8/3/13
to
Fw: Lettera Napoletana - Luglio 2013

---Messaggio originale----
Da: in...@editorialeilgiglio.it
Data: 30/07/2013 8.10
A: "Editoriale Il Giglio"<in...@editorialeilgiglio.it>
Ogg: Lettera Napoletana - Luglio 2013


N. 66 - Luglio 2013
DUE SICILIE: "BORBONIA FELIX", LA STORIOGRAFIA AUTOREFERENZIALE
(Lettera Napoletana) Il titolo vuole essere derisorio. "Borbonia" fa il
verso a Padania ed il "felix" ironizza sulla rappresentazione positiva che
del Regno delle Due Sicilie fanno la storiografia non accademica ed una
ormai diffusa pubblicistica. Il bersaglio principale della professoressa
Renata Di Lorenzo, docente di Storia Contemporanea all'Università Federico
II nel suo Borbonia Felix (Salerno Editore, 2013) sono loro: gli studiosi di
estrazione non universitaria che, grazie ad una piccola editoria di
battaglia ed a numerosi Blog e siti Web, hanno avviato la revisione dei
giudizi sul periodo borbonico, sul "Risorgimento" e sulle conseguenze
dell'unificazione
sull'attuale Sud dell'Italia. Nelle 230 pagine del suo libro, però, la De
Lorenzo non ne cita nessuno. Sarebbe troppo per il sussiego accademico,
replicare ai saggi di Angela Pellicciari, Gennaro De Crescenzo o Antonella
Grippo, che pure degli archivi hanno una conoscenza migliore di quella di
tanti docenti universitari. L'insofferenza per questi studiosi, che mettono
in discussione una storiografia accademica, boriosa quanto autoreferenziale,
è così forte da estendersi alle "discusse tesi" sull'inesistente divario
Nord-Sud nel 1861 degli economisti Daniele e Malanima, e perfino a storici
di formazione accademica come Eugenio Di Rienzo, che nel suo Il Regno delle
Due Sicilie e le potenze europee 1830-1861 (Rubbettino 2012) con il supporto
di nuove fonti della diplomazia, ha aperto alla tesi del "complotto
internazionale" contro il Regno borbonico. Per la Di Lorenzo si tratta di
"uno dei temi prediletti dalle tesi 'revisioniste', sostenuto sui siti
neo-borbonici". In realtà la teoria del complotto settario, ordito con la
complicità dei governi di Inghilterra e Francia, è il tema centrale di
Giacinto de' Sivo nella sua "Storia delle Due Sicilie dal 1847-1861", ma la
prof. Di Lorenzo, che dal 2011 è anche presidente della Società Napoletana
di Storia Patria, bunker (per la verità dissestato) della storiografia
crociana, ed è componente della presidenza dell'Istituto per la Storia del
Risorgimento, non se ne è accorta. I suoi strali di custode dell'ortodossia
storiografica risorgimentale sono rivolti comunque a quella che definisce
"la controstoria", che ha polemizzato con "accenti revisionisti" con le
celebrazioni per i 150 anni dell'unificazione dell'Italia. È il "mito dei
primati perduti", una delle tesi più intollerabili per la docente di Storia
Contemporanea, che prova quindi a smontarne qualcuno. Le industrie c'erano,
ed erano di avanguardia ? "É lo Stato a farsi carico della nascita della
maggior parte delle imprese, e l'iniziativa privata vede una larga
prevalenza di stranieri". Ma lo Stato borbonico non massacrava con le tasse
le famiglie e la nascita di nuove imprese era progettata nell'ambito di uno
"sviluppo sostenibile", come si direbbe oggi. Quanto ai capitali privati
qualunque Paese farebbe oggi carte false per attirarli. Se nel Regno c'erano
le condizioni per investire si può considerare un demerito dei Borbone ?
In occasione dei 150 anni dell'unificazione - scrive la Di Lorenzo - "si è
prodotto molto nel campo opposto", con un risultato, però, "rilevante solo
dal punto di vista quantitativo". La definizione di "campo opposto"
sintetizza, da sola, la concezione della storia dell'autrice di Borbonia
Felix, come scontro ideologico.
Nonostante i massicci finanziamenti al Comitato per le celebrazioni, e le
direttive fatte pervenire perfino alle Prefetture, in un'atmosfera di
regime, invece, gli storici accademici non hanno prodotto nulla di serio.
Nessun contributo di rilievo è venuto ad approfondire il cosiddetto
Risorgimento. E non c'è da meravigliarsene. Se si scrosta il velo della
mitologia dell' "eroe dei due mondi" e dell' "impresa dei Mille", infatti si
trovano i documenti della storia non scritta de I Panni sporchi dei Mille
(Pellicciari) ed il Garibaldi in frantumi di Gennaro De Crescenzo (Contro
Garibaldi). Come mai nessuno storico "professionista" si è preoccupato di
esaminare il processo di legittimazione dell'Italia unificata? Perché i
plebisciti di adesione furono una farsa vergognosa, con i soldati piemontesi
ed i bersaglieri che votavano travestiti da elettori, non solo a Napoli ma
in tutti gli Stati pre-unitari, come hanno dimostrato Antonella Grippo
(1861) ed Elena Bianchini Braglia (La verità sugli uomini e sulle cose del
Regno d'Italia) pubblicando i rapporti dell'agente segreto piemontese
Filippo Curletti. Ma l'autrice di Borbonia Felix non è interessata a
rispondere a domande come questa. I suoi referenti sono altri. Al convegno
ufficiale della Massoneria italiana per celebrare l'unificazione (Napoli,
Teatro di Corte di Palazzo Reale 8.10.2011) la Di Lorenzo era uno dei
relatori, ed il suo Murat (2011) è stato presentato dal Servizio Biblioteca
del Grande Oriente d'Italia (Villa Il Vascello, Roma, 8.7.2011).
Il libro della De Lorenzo raccoglie articoli e relazioni a Convegni.
L'autrice
aggiunge un capitolo sulla eroica difesa della Cittadella di Messina,
utilizzando il diario, disponibile on-line, del Brigadiere Generale
borbonico Nicola Di Martino di Montegiordano, che fu deportato dai
piemontesi dopo la capitolazione a Genova. Della sua testimonianza la Di
Lorenzo valorizza qualunque dettaglio che possa servire ad appannare
l'immagine
gloriosa della piazzaforte napoletana, che resisteva contro ogni speranza;
dalle diserzioni, un dato fisiologico in un assedio, che avvenivano,
peraltro, anche in campo piemontese, alla pesca praticata nei fossati dal
Generale Gennaro Fergola, fino alla presenza, tra la spie dei difensori del
"famigerato camorrista Puddo Picciulitto". Forse voleva dire mafioso. I
camorristi, infatti, erano tutti a Napoli. A preparare l'ingresso trionfale
di Garibaldi, a lavorare per l' "Italia una", ed a mettere il proprio
sigillo indelebile sulla nascita del Regno d'Italia. Che cosa aggiunge
Borbonia Felix alla storiografia sul Risorgimento? Poco o niente. Nelle
pagine della Di Lorenzo riappare il noto "l'avevamo già detto" a proposito
di verità ormai innegabili sui Borbone di Napoli ed in realtà al massimo
accennate in qualche nota a piè di pagina. O meglio, "l'avevano già detto".
«Il multiforme fronte antirisorgimentale, nel suo argomentare giustizialista
(sic) alla ricerca di colpevoli e di complotti ha la presunzione di scrivere
ciò che gli storici di professione (corsivo nostro) non avrebbero mai
scritto, o avrebbero volutamente occultato. Le critiche al processo di
unificazione sono presentate come novità, laddove precocemente e con
continuità intellettuali di diversa e opposta matrice (Fortunato, Oriani,
Sturzo, Cusin, Salvemini, Gobetti, Gramsci) hanno offerto una riflessione in
merito che fa parte del patrimonio nazionale». Si tratta di un elenco di
"pentiti" del "Risorgimento" o di suoi parziali critici, nessuno dei quali
ha però messo radicalmente in discussione i fondamenti ideologici
dell'unificazione
o - nel caso di Gramsci - lo ha fatto in base ad una visione ideologica
altrettanto errata di quella del liberalismo. Quanto al "patrimonio dello
Stato nazionale", contenente le critiche all'unificazione, non si capisce
dove sarebbe custodito. In ogni caso, la selezione di autori e contenuti che
ne farebbero parte è affidata ai soliti noti. "La storia siamo noi", ritiene
la professoressa Renata Di Lorenzo, custode delle verità antiche ed
accettate della storiografia risorgimentale. Ma questo, ormai, è sempre meno
vero. (LN66/13).
[...]
TRADIZIONE: DALLA MESSA ALLA LINGUA PARLATA, IL RITORNO DEL LATINO
(LETTERA NAPOLETANA) Abolito in gran parte delle scuole e perfino nei
Seminari, il latino mostra segni di insospettata vitalità. Dalla Messa
tridentina, che attira fedeli di tutte le Nazioni indipendentemente dalla
loro comprensione letterale della formule, che non è necessaria per la
partecipazione al rito, a programmi radio, ai "social network". Se ne è
accorto il settimanale inglese dell'alta finanza The Economist ("Resurrexit
Vere. A dead language is alive and kicking online and on the airwaves",
24.7.2013). Il settimanale ricorda lo scoop della vaticanista dell'Ansa
Giovanna Chirri, sola a conoscere il latino tra i giornalista presenti nella
Sala stampa vaticana l' 11 febbraio scorso, ed a comprendere quindi che Papa
Benedetto XVI stava clamorosamente annunciando ai Cardinali in Concistoro le
proprie dimissioni. "È stato un segnale inaspettato della capacità del
latino di funzionare ancora come lingua viva", scrive il giornale. Ed in
latino, d'altronde seguono l'account su Twitter del Pontefice, inaugurato da
Papa Benedetto XVI nel dicembre 2012, oltre 235 mila followers. "I 140
caratteri dei brevi messaggi di Twitter sono l'ideale per il latino -
afferma il latinista David Butterfield, dell'Università di Cambridge -
lingua in cui cinque parole possono dire molto di più di dieci in inglese" .
La " lingua morta" riesce ad adattarsi alla realtà odierna con ingegnosi
neologismi per designare le tecnologie moderne e regge in questo modo sulle
onde FM e sul Web. La radio tedesca "Radio Bremen" trasmette dal 2001 un
notiziario settimanale in latino ("Nuntii Latini Septimanales"), così come
la radio finlandese "YLE Radio 1", che ha ascoltatori in 80 Paesi. Nel 2008
a Londra è stato fondato su Internet "Schola", social network in lingua
latina nel quale si ritrovano le funzioni disponibili su Facebook. Dal 2004,
invece, è attivo il quotidiano on-line Ephemeris
(http://ephemeris.alcuinus.net/), fondato dal giornalista polacco Stanislaw
Tekieli, con collaboratori in Italia, Germania, Belgio, Colombia, Cile ed
Usa. Dall'aprile 2009 ha totalizzato oltre 615mila contatti, ad una media di
alcune centinaia al giorno. Esistono poi diversi Portali Internet e siti in
lingua latina, alcuni dei quali offrono anche corsi di lingua on-line.
Il latino torna, dunque. Come lingua universale della Chiesa e come lingua
franca, idioma scelto per comunicare tra persone di nazionalità diverse.
Quello che sorprende di più è che ad accorgersene sia l'organo del grande
capitalismo liberale, piuttosto che tanti uomini di Chiesa. (LN66/13)
Leggi l'articolo di The Economist
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Maurizio Pistone

unread,
Aug 4, 2013, 3:12:41 AM8/4/13
to
Rafminimi <rafm...@infinito.it> wrote:

> Il settimanale ricorda lo scoop della vaticanista dell'Ansa
> Giovanna Chirri, sola a conoscere il latino tra i giornalista presenti nella
> Sala stampa vaticana l' 11 febbraio scorso, ed a comprendere quindi che Papa
> Benedetto XVI stava clamorosamente annunciando ai Cardinali in Concistoro le
> proprie dimissioni. "� stato un segnale inaspettato della capacit� del
> latino di funzionare ancora come lingua viva", scrive il giornale.

"... Ieri, durante la consueta udienza generale, ricordando la
ricorrenza di Sant'Eusebio, patrono del Piemonte, il Papa ad un certo
punto, sopraffatto dalla commozione, ha mormorato alcune brevi frasi in
piemontese, la lingua materna della sua famiglia... Solo la
corrispondente della Gazzetta d'Asti ha acceso precipitosamente il
telefonino e fra lo stupore degli astanti ha comunicato alla sua
redazione che il Papa aveva appena preannunciato le sue dimissioni per
il giorno del suo 85� compleanno. "� stato un segnale inaspettato della
capacit� del piemontese di funzionare ancora come lingua viva", scrive
il giornale astigiano nell'edizione straordinaria di oggi... "

Ansa, 3 agosto 2021


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Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
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