http://www.corrieredicomo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=37789:guido-gieri-lla-garanzia-per-il-como-siamo-un-gruppo-di-persone-che-non-mollano-mair-&catid=33:sport&Itemid=31
Originario di Ravenna, 64 anni, a capo di un’azienda impegnata in prima linea in vari settori. E presidente della S3c, la società che controlla il Calcio Como e papà di due ragazzi protagonisti, come atleti e tecnici, nel nuoto. Suo suocero era Fiorenzo Gaffuri, che tra il 1939 e il 1944 giocò proprio nella società lariana, all’epoca in serie C. In sintesi, questo è il ritratto di Guido Gieri, esponente della nuova proprietà del club lariano, uno dei più “convinti” quando è stato il momento di portare avanti e poi chiudere la trattativa di acquisizione del club. Al “Corriere di Como” Gieri si racconta e racconta il “suo” Como.
«Una battuta che abbiamo fatto spesso - racconta Gieri - era che, entrando nel Como, dovevamo “spostare una macchina”. Poi ci siamo accorti che questa macchina non ha le ruote e quindi è un po’ più difficile da spostare. Ma siamo ottimisti perché la base del nostro progetto è buona: una multiproprietà con imprenditori disposti a investire e a mettere tempo, conoscenze e denaro per portare avanti un modello di gestione unico, che dà garanzie sotto ogni profilo».
Un progetto positivo e ambizioso, imperniato sul futuro. Poi, però, vi siete scontrati con la realtà di una squadra che lottava per i playoff e che ora si deve guardare alle spalle.
«Effettivamente è successo di tutto e adesso c’è un Como che rischia di finire nei playout. E le riflessioni sul futuro hanno subito un rallentamento perché è stato giusto concentrarsi sulla situazione attuale della squadra. Ma sono convinto che ne usciremo anche perché il nostro consigliere delegato Pietro Porro si sta muovendo bene».
Su cosa puntare, quali valori devono emergere in questi momenti?
«Noi siamo un gruppo di persone che credono profondamente in quello che fanno, che non mollano mai. Principi che mai come in questo momento devono valere per tutti».
Lei, tra l’altro è stato descritto come uno “convinto”. Oggi che guida la società che controlla il Como, ma anche quando le trattative per l’acquisizione si erano fermate. Lei e Porro foste i due a dare la spinta per riaprire tutto.
«È vero, io sono un “convinto” in tutte le cose che faccio. È giusto essere così anche se magari qualche volta può capitare di sbagliare. Ma posso dire che è un tratto del mio carattere: credo in quello che faccio con le mie aziende e ovviamente credo profondamente nel progetto che stiamo portando avanti con il Calcio Como».
E nella sua esperienza nella società lariana come si sta trovando?
«È giusto dire che io sono fuori dalla gestione diretta della società, e che sono a fianco delle persone che se ne occupano, con grande entusiasmo e la voglia di superare i problemi e gli ostacoli che inevitabilmente troviamo sul cammino. Io sono molto fiducioso su ogni fronte, anche se alla fine il nostro lavoro e quello che stiamo facendo potrà essere giudicato soltanto alla fine della prossima stagione, visto che ora siamo arrivati a campionato in corso su un progetto che è stato disegnato da altre persone».
Lei si sente addosso gli occhi della città? Se sì, questa responsabilità la spaventa?
«Rispondo di no e spiego il perché. Noi tutti pensiamo che la città debba reimpadronirsi del Calcio Como. Una città che quindi non deve guardare noi, ma che deve essere con noi. Quando vedrò, ad esempio, mille ragazzi nel nostro vivaio, potremo dire che avremo “buttato via” i nostri soldi nel migliore dei modo. O quando vedrò uno stadio vivibile sette giorni su sette».
Visto che lei lo ha anticipato allora parliamo dello stadio. Qual è il Sinigaglia dei suoi sogni?
«Beh, prima di tutto sogno uno stadio pieno, con il Como in una categoria superiore...».
Solo questo?
«Non è un mistero che noi vorremmo uno stadio Sinigaglia da utilizzare sette giorni su sette, con uno showroom, un cinema, il terreno rialzato e un parcheggio sotterraneo. Uno stadio che rientri in una zona completamente pedonalizzata, tra le più belle della città, che serva non solo per due ore alla domenica alla prima squadra, ma anche ai giovani o a quella squadra femminile, che fa parte a pieno titolo del nostro progetto».
Come sappiamo, la sua è una famiglia molto sportiva, nel calcio e non solo. Ma, nello specifico, il Guido Gieri tifoso che formazione ha?
«Io sono arrivato da Ravenna quando avevo 10 anni e mi considero comasco a tutti gli effetti. Da giovane seguivo il Como, andavo allo stadio e ho fatto molte trasferte. Poi, dopo i 30 anni, mi sono dedicato alla famiglia, anche se non ho mai smesso di seguire gli azzurri».
Ci sono giocatori nella storia del Como che ha apprezzato particolarmente?
«Il primo nome che mi sento di fare è quello di Giuseppe “Pepp” Cattaneo, rovellaschese, che poi ha giocato anche nel Napoli. Ma ricordo volentieri, prima di tutto come persone, anche Celestino Meroni, il fratello del compianto Gigi, o Emiliano Mascetti, che poi è diventato uno stimato direttore sportivo».
La partita che ricorda più volentieri?
«Indimenticabile il successo per 0-2 a San Siro contro il Milan nel gennaio del 1985, quando, sotto la neve, il Como riuscì ad avere la meglio con le scarpe con i tacchetti in gomma».
Un allenatore che ha stimato nel passato?
«Rino Marchesi».
Un allenatore di oggi che stima?
«Roberto Mancini».
La sua squadra del cuore, a parte il Como?
«Il Milan. Mio nipote Massimiliano Sala è peraltro stato per anni medico sociale dei rossoneri, come pure il mio amico Rodolfo Tavana».
Il suo modello di società ideale?
«Ovviamente il nostro Calcio Como».