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Il cretinismo anarchico reloaded

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luigi_c...@yahoo.it

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Jun 26, 2007, 12:17:33 PM6/26/07
to
Il cretinismo anarchico. Aggiornamenti.

(ovvero perché non sono anarco-capitalista; perché gli anarco-
capitalisti, spesso, non sono anarchici; perché gli anarchici,
talvolta, sono fascisti)


di Luigi Corvaglia

Le volpi sanno molte cose,

ma il riccio ne sa una grande.


Archiloco


Le malelingue del villaggio globale


Confesso che ho molto peccato. Ovunque una ortodossia si sia palesata
pretendendo indiscutibilità, ho discusso. Confesso di aver peccato in
tutti i modi canonici: in pensieri, parole, opere ed omissioni. Ho
peccato contro la Chiesa, lo Stato e la Democrazia. E mica ho finito.
Ho peccato contro le religioni e le ideologie e perfino contro
l'ideologia anti-ideologica che ci ostiniamo a chiamare anarchismo. I
miei ventisette lettori ora si chiederanno il perché di un outing così
suggestivamente pregno di spirito congregazionale, da confessione
pubblica di setta riformata. A chi interessa? Beh, intanto a me. A
nessuno piace l'idea di essere trovato cadavere in una posizione poco
dignitosa. Nessuno gradisce la sconveniente condizione di essere
oggetto delle malelingue che pettegolano ad libitum confortate dalle
supposte imbarazzanti situazioni in cui si sarebbe stati colti. Ogni
"deviazione" o "relazione incongrua" secondo il catechismo vigente
risulta utile alle allegre comari e facile bersaglio per il bigottume
corredato di quelle madri sempre prone all'inseminazione e sempre
degne di attenzione eugenetica. Pertanto, vorrei evitare, nel caso il
mondo restasse improvvisamente "orbo di tanto spiro", di fornire
occasione per il chiacchiericcio che già talvolta produce un
fastidioso brusio nelle sacrestie dell' anarchismo "de noantri".
Bisogna fare chiarezza per non dare adito a pettegolezzi che superino
la reale entità dell'infrazione. Quindi lo dico: si. Ho avuto
relazioni contro natura con il pensiero altrui! E mi è piaciuto. Ho
perfino cercato di trovare quanto di buono potesse esserci. E l'ho
trovato! Per esempio, ho letto Rothbard e Friedman, anche qualche
altro membro della casta di intoccabili (da parte dell'elite dei
comunisti sedicenti anarchici) stupidamente definita "anarco-
capitalista"; talvolta, non pentito, mi intrattengo ancora con alcuni
di questi paria. Chi tocca un intoccabile diventa intoccabile
anch'egli, per un fenomeno simile a quello che, in una stramba
liturgia, tramuta il vino in sangue, anche per chi emana olezzo di
vespasiano. Infatti, ci sono dei signori che, pur non avendo la minima
idea di ciò che gli altrettanto bislacchi anarco-capitalisti
propagandano, ritengono intellettualmente degno pontificare e emanare
scomuniche contro questi supposti fautori del capitalismo da rapina,
protettori dello status quo di sfruttamento e contro "chi non glielo
dice" (come si esprimono a Roma). Ora, rientrando il sottoscritto
nella seconda categoria (quelli che, secondo loro, non glielo dicono
e, anzi, fraternizzano), per spiegare il reale motivo di uno scritto
altrimenti autoreferenziale, vorrei far notare un paio di cosette,
tre. Quattro al massimo. Innanzitutto, vorrei spiegare perché parlare
di sushi con un giapponese in giapponese non mi rende giapponese, né
mi fa abiurare alla carbonara. Di certo, però, mi permette di
aumentare la lista di possibili opzioni per la cena e di parlare di
pesce con maggior competenza di chi del pesce sa solo che puzza. In
secondo luogo, ci tengo a sottolineare che il rifiutare di conoscere
il giapponese (o il sushi) non fa più italiano (o più buongustaio), ma
solo più limitato. Poi vorrei rispettare il sottotitolo di questo
scritto e spiegare i motivi per cui i vari pontefici dell' ecclesia
anarchica prendono una cantonata quando mi accostano al "libertarismo"
rothbardiano. Spiegherò, insomma, perché non sono anarco-capitalista.
Facciano attenzione le malelingue del club della canasta socialista.
Per finire, last but not least - anzi, principale motivo di questo
lavoro -, intendo mostrare ai miei ventisette lettori quali siano le
vere "relazioni pericolose" di chi si professa partigiano della
libertà. Insomma, quella di premunirsi dall'essere colto in castagna a
rigor mortis sopraggiunto era solo un pretesto. E' che mi preme
piuttosto sottolineare che sicuramente meno comprensibili di quelle
con gli epigoni del pensiero liberale che ha prodotto la modernità
sono le relazioni che i moralisti duri e puri dell'inquisizione
anarcoide riescono a tenere - i ventisette si tengano forte - con la
destra più estrema! Non la (supposta) destra "liberale" che fa loro
storcere la bocca, ma quella nazi-fascista che fa loro tornare il
sorriso ed il colore sulle livide gote. Loro però no. Loro non si
vergognano e non si confessano. C'è, però, una scusante. E' che, in
molti casi, non se ne rendono proprio conto. Ma procediamo con
ordine.


Le affinità elettive e le relazioni pericolose


Mi appresto, con insolita pazienza, e col pensiero rivolto a ciò che
Berneri definiva il "cretinismo anarchico", a spiegare che non esiste
concezione libertaria che non contempli la libertà. Dato
l'anarcocretinismo imperante, la cosa non è così scontata come
potrebbe apparire.

Cominciamo dai miei sulfurei rende vouz col demonio capitalista.
Intanto, vorrei cominciare con alcune precisazioni. Innanzitutto,
scindiamo liberalismo da "capitalismo". Le mie simpatie vanno al
primo, non al secondo. Ulteriore messa a fuoco: a cosa mi riferisco
quando parlo di "liberalismo"? Forse allo zarismo monopolistico e
mediatico col quale abbiamo dimestichezza? Niente affatto. In buona
compagnia di personaggi che ai preti dell'ordine radical-chic non
dovrebbero dispiacere (Merlino, Chomsky, Goodman, Ward, ecc.), mi
riferisco con questa etichetta allo spirito di autodeterminazione
dell'individuo, alla lotta contro ogni totalità, ogni assolutismo,
politico come religioso, all'ethos che ha sovvertito la staticità pre-
moderna fondata sul dato immutabile, sulla gerarchia, sul privilegio
per rivendicare autonomia e libera scelta. Insomma, a tutto ciò che
funse da motore per le rivoluzioni liberali che hanno portato
l'occidente nella modernità (e la cui mancanza ha lasciato parte del
mondo al medioevo della teocrazia). Ovvio che un libertario non può
considerarsi soddisfatto dalla libertà che abbiamo, però, se non si
riconosce che la relazione fra il liberalismo e le istanze di cui i
cosiddetti anarchici si fanno portavoce è una relazione incestuosa,
tutta compiuta all'interno delle medesime mura domestiche, vuol dire
che si appartiene ad un'altra famiglia. A quale famiglia e quale ne
sia l'albero genealogico lo si vedrà più in là.

In soldoni, se indice relativo di libertà è la scelta (di oggetti,
stili di vita, di condotte sessuali, di sistemi economici, di
riferimenti morali, di servizi, di organizzazioni sociali e così via),
è chiaro che l'esistenza di un ente centrale e monopolistico di
produzione di norme e/o di beni comporta una forte riduzione della
libertà. Allora tutto ciò che va nella direzione opposta a questa è
liberatorio, ergo "libertario". Cosa va in direzione contraria al
monopolio e all'assolutismo centralista? Il decentramento, il
federalismo, il confronto, la libera sperimentazione. Ora, tutto ciò è
possibile solo se la proposta alternativa non è un altro monopolio
confezionato in un pacchetto "all inclusive", tipo l'abolizione della
proprietà e, faccio per dire, il lavoro a rotazione o l'abolizione del
lavoro stesso. E' vero che, se, utopisticamente, tutti gli abitanti
del pianeta fossero concordi, quella sarebbe realmente una condizione
"anarchica", perché anarchismo, alla fine della fiera, è socialismo
liberamente scelto; ma, oltre a prevedere un mutamento antropologico
dell'uomo, questa concezione non ci spiega come si gestirebbe
l'eventuale ribelle che decidesse di abbandonare la società anarchica
e proponesse ad altri dodici congiurati di diffondere il vangelo della
produzione e dello scambio. Una volta, un noto rivoluzionario di
professione (di professione intellettuale, perché di mestiere fa il
ragioniere) mi rispose citando la soluzione prospettata dal "magnifico
Bakunin": "cappio, veleno e coltello". Insomma si è tutti liberi di
scegliere quello che l'avanguardia anarchica ha scelto per voi
(" Una nuova vita vi attende nelle colonie Extra-Mondo. L' occasione
per ricominciare in un Eldorado di buone occasioni e avventure, un
nuovo clima, divertimenti ricreativi..." recitava un cartello
pubblicitario nel film "distopico" Blade Runner). Non sembri strano,
però, perché ciò è tipico di ogni concezione "democratica", cioè di
quella che il massone Constant (quello di "impiccheremo l'ultimo re
alle budella dell'ultimo prete") definiva la "libertà degli antichi",
ossia quella della polis ateniese, poi ripresa dai giacobini, in cui
le libertà non preesistono alla organizzazione sociale ma sono
prodotte di questa, pertanto, chi si trova fuori dalle mura della
polis è escluso dal godimento di questo diritto calante dall'alto.

Che fine ha fatto la libera sperimentazione con la quale ci si
sciacquava la bocca negli "spazi occupati"? Fabbri e Gori? Berneri e
Merlino? Proudhon e Goodman? Spooner e Tucker? A ballare il twist nei
rispettivi sacelli, immagino. Perfino Malatesta non avrebbe apprezzato
(si leggano i passi sulla libera sperimentazione) , ma è meglio non
dirlo per non scatenare crisi d'identità in molti nichilisti di
professione (sempre intellettuale, of course). Ecco perché, come
altrove ho avuto modo di esprimere, concordo con Ibanez, che è un
anarchico, mica un portavoce del ministro degli Interni, quando dice
che quella anarchica, se male intesa, è una concezione totalitaria,
perché idea "che non tollera altra da sé". Nulla da stupirsi, quindi,
se questi signori, nell'unica occasione fornitagli dalla storia di
gestire qualcosa di più della propria camera, cioè durante la
rivoluzione spagnola del '36, hanno prodotto ben quattro ministri,
vari tribunali che sarebbero stati apprezzati dagli anarco-capitalisti
più conservatori e si siano distinti anche per la persecuzione degli
omosessuali.

Vediamo, invece, un'altra situazione. In una condizione in cui gli
uomini non si propongono in esibizioni intellettuali che distinguano
libertà "civili", da salvaguardare, e libertà "economiche", da abolire
sulla base di un moralismo tutt'altro che laico, è possibile
immaginare vari gruppi umani che si organizzano in base alla
convergenza di preferenze, "gruppi di affinità" ( per usare
un'espressione in voga fra certi "compagni"), e si danno a modalità
concordate di conduzione delle interazioni e delle proprie esistenze,
sperimentando e riservandosi l'opzione di spingere per modificare gli
equilibri sistemici di cui sono elementi, come di uscirne e entrarvi a
piacimento. In questo caso ci troviamo in una condizione di libera
sperimentazione, di confronto e concorrenza fra diverse opzioni.
Insomma, in una situazione "liberale", in cui non esiste una unica
Verità, totale, grande, stabile e immutabile, bensì minuscole verità
individuali e temporanee. Il primo caso ha gli stigmi della religione,
il secondo, della laicità. Questa situazione non è democratica e,
sempre secondo il Constant, ha a che vedere con la "libertà dei
moderni". E' tenendo conto di tale differenza che un grande pensatore
anarchico del passato, Rudolf Rocker, mica un ragazzino di un centro
sociale, ha potuto pronunciare la famosa frase "molte strade portano
alla dittatura dalla democrazia, nessuna dal liberalismo". Tale quadro
può essere definito Mercato, laddove quello precedente può essere
definito Monopolio.
Ma abbracciare una concezione "liberale" significa contemplare
l'aberrazione della proprietà privata, sbotterà qualcuno dei
ventisette. Si. Come abbracciare la concezione di restare in vita
contempla l'aberrazione del defecare. Per forza. L'unica alternativa
ad un sistema centralizzato di allocazione delle risorse, che
ripropone l'istanza centrale e totalitaria, è il libero gioco di
interazioni, di reciproche scelte, l'autopoietico equilibrio di
relazioni, pretese ed aspettative fra individui e fra comunità. Però
c'è una bella differenza fra il fare una apologia del capitalismo e
limitarsi a notare il fatto sotto gli occhi di tutti che può anche
darsi capitalismo senza libertà, come nel Cile di Pinochet, ma mai
libertà, per quanto relativa, senza il capitalismo. Che l'esistenza
del mercato sia condizione tutt'altro che sufficiente, ma sicuramente
necessaria, per la libertà è concetto espresso recentemente, per
esempio, da un noto intellettuale anarchico, nonché docente
universitario, senza che il "politburo" libertario gli revocasse la
patente di anarchico (credo che gli abbiano solo tolto una decina di
punti) , probabilmente per il prestigio di cui gode il professore. Del
resto, lo stesso signore che ebbe a dire che "la proprietà è un
furto", cioè Proudhon - che non è certo un Carneade per gli anarchici
-, affermò anche che questo furto era comunque "uno strumento di
garanzia, di libertà, di giustizia, di ordine". Cosa spetta, allora,
ai libertari? Sfruttare e mantenere le potenzialità liberatorie e
impedire quelle autoritarie implicite in ogni forzatura
dell'esistente, in ogni atto di violenza, quale appunto la proprietà
è. Come disse Goodman, fare in modo che le libertà passate non si
tramutino nelle schiavitù di oggi.

Immaginiamo, ancora, che, nella condizione pluralistica descritta, un
più o meno vasto gruppo di individui condivida l'idea di vivere fuori
dalla logica dello scambio, in una condizione di socialismo
liberamente scelta e sempre rivedibile. Bene, come si era detto, non è
forse l'anarchismo il socialismo consensuale in assenza di autorità
centrale? Dov'è, allora, la differenza con la situazione
precedentemente considerata? Non ci sarebbe differenza nella
situazione in cui l'opzione anarco-socialista fosse accolta da tutti.
Enorme differenza nel più probabile caso in cui non tutti fossero
entusiasti sostenitori del mutuo appoggio e della messa in comune del
mondo. Nell'anarchismo "tradizionale", a carattere religioso, non
esiste spazio per opzioni appena meno libere della libertà totale, al
punto da vietare la schiavitù liberamente scelta (extra ecclesiam
nulla salus); nella società "liberale", laica e "di mercato", ognuno
sceglie ciò che vuole. Basti pensare che nella società di mercato è
possibile vivere senza mercato, mentre nella comunità anti-mercato è
impossibile vivere producendo e scambiando per capire quale delle due
opzioni sia la più "libertaria". Lo scambio contiene il non scambio,
ad esempio. Che il "più" contenga il "meno" dovrebbe essere
acquisizione ovvia per chiunque abbia visto una matrioska. Molti
gesuiti della "A cerchiata" non l'hanno mai vista. Il pluralismo è
base della libertà. Il grande liberale Isaiah Berlin, autore della
celeberrima distinzione fra "libertà di" (democratica) e "libertà
da" (liberale), proponeva un parallelismo fra il monismo delle
concezioni democratiche, inclusa quella pseudo-anarchica
precedentemente considerata, e l'agorafobia, cioè fra la ricerca di
una unità compatta, sicura e includente e la ricerca nevrotica di un
luogo chiuso e rassicurante. Il pluralismo è figlio di una
irrefrenabile claustrofobia.

Ortodossia, ovvero affinità e divergenze fra me e il compagno Rothbard
sulla linea dell'anti-partito


Tutto quanto detto fa di me un anarco-capitalista? Assolutamente no.
Infatti, esempi lampanti di logica e consequenzialità ce li avevano
dati, molti anni prima dei cosiddetti anarcocapitalisti, gli
intelletti più svegliati dell'anarchismo, diciamo così, "storico". Si
pensi a Emile Armand ed alle sue associazioni di refrattari in cui "di
qua i socialisti, di là i sostenitori del mercato" o, più
appropriatamente, al già citato Proudhon che considera il
"possesso" (e il libero confronto) quale "unica condizione della vita
sociale", fino a Luigi Fabbri, Camillo Berneri e Francesco Saverio
Merlino. Con quest'ultimo, senza cogliere alcuna contraddizione,
arriviamo alla totale congiunzione fra socialismo e mercato, una
socializzazione - ancora una volta proudhoniana, se vogliamo - della
produzione, dello scambio e del consumo. Volendo, possiamo citare
anche il socialismo di mercato di Bruno Rizzi. Ma congiunzione di
mercato e socialismo la si può trovare anche fuori dall'ambito
propriamente anarchico, ad esempio, si pensi al comunismo liberista di
Enrico Leone. Per non parlare dell'anarchismo individualista americano
dei vari Warren, Spooner o Tucker nelle cui visioni sono in primissimo
piano tanto l'identità fra autonomia individuale e libero mercato,
quanto la compatibilità fra questo e il "socialismo", che col mercato
libero da ogni condizionamento statale e concentrazione di potere,
frutto appunto dell'intervento statale, finisce col coincidere. Allora
perché ho utilizzato a lungo il paradigma anarco-capitalista nella mia
opera da avvocato del diavolo dell'anarchismo? Semplicemente perché
gli autori "libertarians" operano e scrivono, per lo più da economisti
e con rigore anglosassone, in un'epoca posteriore alla "rivoluzione
marginalista" della scuola economia austriaca. Insomma, sono più
precisi e meno naif nelle analisi di quanto talvolta possano risultare
molti degli autori precedentemente citati. In definitiva, l'indubbio
merito del pensiero "libertarian" americano è stato quello di avere
sviluppato ed attualizzato la tradizione del free market anarchism che
affonda le radici nel già citato anarchismo yankee ottocentesco e
nelle concezioni del liberalismo francese di Gustave de Molinari
(teorico della affidabilità al mercato di ogni servizio, inclusa la
protezione e la produzione del diritto), Paul Emile de Puydt (teorico
della "panarchia") e Frédéric Bastiat. Detto questo, però, ritengo
che, nelle mani degli anarco-capitalisti, questo promettente materiale
sia stato disinnescato nella sua carica rivoluzionaria e liberatoria e
abbia prodotto degli stenti ma perigliosi aborti, non di rado
illibertari e conservatori. Vediamo, dunque, i miei motivi di dissenso
con l'anarco-capitalismo:


Non credo nei "diritti naturali". Non è un ostacolo da poco per
trovarsi in sintonia con chi crede che esista un "diritto naturale"
alla proprietà di se stessi ed ai prodotti del proprio lavoro. C'è un
che di mistico nel processo di transustanziazione della terra che,
mescolandosi lockianamente al mio lavoro, diviene mia. Essendo
naturale, questo diritto è sacro. La proprietà è, quindi, sacra. Non
concordo affatto. Premesso che per gli ana-cap tutti i diritti sono
diritti di proprietà, un diritto è semplicemente una sorta di
salvaguardia messa in atto affinchè un valido titolo di proprietà non
ci venga arbitrariamente contestato. Ma la "salvaguardia" altro non è
se non il riconoscimento da parte degli altri del fatto che quel
titolo è, appunto, "valido". Altrimenti non basterebbe alcuna
"salvaguardia" morale, fisica o armata. Un diritto è una aspettativa
circa l'altrui comportamento nei nostri confronti che ha una alta
probabilità di essere confermata dai fatti. In altri termini, non
esiste diritto se non riconosciuto. Come diceva Stirner, la proprietà,
più che un furto è "un dono", perché è l'acquiescenza degli altri che
ci permette di continuare a possedere. E' allora ovvio che tutti
partecipano, attivamente o passivamente, a definire i diritti vigenti
in un dato momento e luogo; ma questo continuo ridisegnamento del
mondo esce dall'ambito della sacralità per entrare in quello
dell'utilità. La proprietà non è sacra, è, al più, utile. Le ricadute
pratiche di due punti di partenza così diversi sono notevoli. Gli
anarco-capitalisti, con il loro giusnaturalismo (escludendo dal novero
l'ottimo Friedman) possono, sulla base di indimostrabili assiomi sulla
sacralità di taluni diritti calati dal cielo, costruire dei sillogismi
le cui conclusioni pretendono la stessa indiscutibile sacralità,
grazie al potere mistico dell'originario tocco metafisico, e perfino
la stessa carica di "libertarismo", indipendentemente dalle ricadute
illibertarie e autoritarie che ne dovessero derivare. Si tratta di una
assurda "etica dei principi", parlando weberianamente, in cui principi
e procedure contano più dei risultati. Insomma, si è nella categoria
di "l'operazione è perfettamente riuscita ma il paziente è deceduto".
E, infatti, il paziente decede. Fra gli esiti più grotteschi e
paradossali di una logica simile c'è il fatto che, se un individuo
riuscisse, con sistemi validi, a divenire proprietario di un intero
paese in cui imponesse leggi liberticide e razziste e chiudesse anche
le frontiere agli immigrati, essendo il diritto di proprietà anche
quello di disporne a piacimento, tale situazione potrebbe dirsi
libertaria, mentre l'eventuale resistenza armata contro tale
situazione, andando a ledere un diritto "sacro", sarebbe un grave
crimine. Ora, una logica "anarchica" di tal fatta è ridicola. Si ha,
insomma, la netta sensazione che, più che tutelare il dinamico ed
autopoietico mercato, si finisca per difendere la statica proprietà,
più che valutare gli aspetti aggregativi del primo, si voglia
sottolineare quelli di esclusione della seconda. Io, invece, credo che
gli abitanti del paese che non gradissero essere considerati
pertinenze della proprietà rivedrebbero la loro acquiescenza alle
aspettative del proprietario, ritirerebbero il "dono", essendo venuto
meno l'elemento di utilità sociale dello stesso o la mancanza di danno
per loro stessi. Questo è mercato, cioè un continuo rivedere le
proprie posizioni dando luogo, tramite le mutevoli posizioni di tutti,
ad equilibri sempre nuovi. Insomma, se tutto viene dal mercato, anche
la proprietà è un prodotto del mercato. Non gli preesiste e soggiace
alle stesse leggi. Niente prescinde dalla volontà degli individui.
Credo che la difesa di diritti naturali non possa fare a meno dello
stato. Ulteriore conseguenza della supposta sacralità dei diritti
proprietari è che è alquanto improbabile che una tale aprioristica
inviolabilità potrebbe mantenersi in barba alle volontà dei singoli
facendo a meno della protezione statale. Nel nostro esempio
precedente, ad esempio, il proprietario avrebbe potuto mantenere il
suo ruolo di dittatore, solo facendo intervenire la soldataglia del
paese a massacrare gli insorti, definiti banditi (esattamente ciò che
fecero i colonizzatori piemontesi con i "briganti"). Si pensi ai "sem
terra" brasiliani che espropriano i latifondi. Se eliminiamo lo stato,
beh, stanno dando voce al loro diritto di voto nel mercato e il
mercato ha deciso che la terra non è più del proprietario riconosciuto
fino ad un attimo prima dell'esproprio. Viva il mercato.
Credo che lo sfruttamento esista. Secondo gli anarco-capitalisti il
concetto di sfruttamento non ha senso. Infatti, secondo la logica
delle "preferenze dimostrate", un operaio che accetta una paga misera
preferisce, dimostrandolo con atto concludente, tale paga a nessuna
paga. Certo. La cosa non tiene conto che, oltre all'offerente ed
all'accettante, esiste un terzo elemento, definito bisogno, che fa si
da rendere preferibile e dimostrata la scelta accettante, ma il
bisogno non è stato, a sua volta interrogato. Il più delle volte,
però, i bravi "offerenti" si impegnano a mantenere ben pasciuto il
comodo terzo incomodo per poterlo poi sempre ospitare quale convitato
di pietra alle loro trattative. Beh, io lo chiamo sfruttamento.
La predominante cultura anarco-capitalista è conservatrice.
Soprattutto in Italia, domina la corrente "paleo-libertarian" che
unisce a questi elementi di conservatorismo economico in grado di
affossare la carica progressista dell'idea del free market anarchism,
una filosofia reazionaria che nulla ha a che vedere con i presupposti
libertari. Non si capisce per quale motivo, quasi a voler epater les
boroises, questi autori si lanciano in, per me inammissibili, tirate
filo-cattoliche preconciliari, anti-evoluzionistiche, teo-con e
contrarie ad ogni forma di laicità. Il tutto basato, probabilmente,
sulla balzana teoria che la Chiesa sia sempre stata un contrappeso nei
confronti dello Stato, mentre io credo che questa concorrenza derivi
solo dal desiderio della Chiesa, totalità altrettanto pregna di
capacità di soffocamento del singolo, di farsi Stato.
Il secessionismo non mi basta (e, un po', mi spaventa). E' vero che il
federalismo è da sempre uno dei cavalli di battaglia dell'anarchismo,
a cominciare da Proudhon (meu amado), ma, soprattutto nella versione
italiota, l'anarco-capitalismo ha preso la fissa del secessionismo.
Ciò sulla base del contraddittorio (rispetto a tutta la sua produzione
individualistica precedente) ultimo Rothbard, autore di un testo
intitolato "Nazioni per consenso". Cioè, ci associamo sulla base del
consenso e decidiamo i confini, fisici, normativi, etici e spirituali
della "nazione". Del resto, i proprietari di un territorio non sono
forse quelli che pagano le tasse? I nostri legaioli padanisti ci sono
andati a nozze grazie anche, io credo, alla possibilità di nobilitare
un certo razzismo a cui Cattaneo non bastava. Essere insieme beceri e
anarchici è la quadratura del cerchio. Sennonché, io vorrei
puntualizzare tre cose. Niente in contrario al federalismo, anzi, io
arriverei fino alla federazione dei condomini. Ma attenzione. Sembra
che per gli anarco-capitalisti sia più libertaria una piccola patria
in cui viga la discriminazione nei confronti degli immigrati, dei gay,
dei tossicodipendenti di una più larga istituzione, non privata,
gestita in modo più liberale. Insomma, non sono i modi più o meno
totalitari a rendere più o meno libertaria una situazione, ma il fatto
se tali atti totalitari uno se li può permettere o no. Se è il
proprietario valido e riconosciuto se li può permettere e la
condizione è libertaria! Eppure Bruno Leoni, a cui le migliori teste
d'uovo del movimento hanno dedicato un istituto di studi, ricordava
che il padrone più vicino non è necessariamente meglio di quello
lontano.
Quello che è però maggiormente da mettere in rilievo è che questa
asfittica visione del free market anarchism non riesce a cogliere le
potenzialità insite nel proprio stesso paradigma. E' proprio
l'abbracciare il mercato che permetterebbe di superare il problema
irrisolvibile dell'anarchismo "classico", quello delle "scelte
collettive". Cioè, per quanto in unità piccole e decentrate, si arriva
sempre, anche in condizioni di "democrazia diretta", a produrre
maggioranze e minoranze che alle prime devono soggiacere. L'idea
mercatale di una concorrenzialità fra differenti sistemi normativi
insistenti sul medesimo territorio, permessa dalla situazione anarco-
capitalista, risolve il problema. L'idea "panarchica" non è nuova (si
invitano i miei ventisette lettori a darsi una scorsa all'anarchico
"socialista" Nettlau o a de Puydt) e il libertarianism è la cornice di
riferimento più adeguata per tale concezione. Conclusione: l'anarco-
capitalismo è meglio degli anarco-capitalisti.


Abuso di sentenze stupefacenti e sostanze inesistenti


Probabilmente non basta la precedente disquisizione per convincere un
credente - non importa se porti in tasca il santino di Rothbard o di
Bakunin - che non si è infedeli a ragionare in modo relativistico e
tollerante, laico, in una parola, liberale. E' un discorso che sa
troppo di innovazione post-conciliare. Però è utile che i credenti
riflettano su alcuni esiti e a quali convergenze conducano discorsi
prodotti dall'infallibilità papale. Pur nella preponderante esplosione
di scritti pamphlettistici colmi di retorica pantaclastica, ma
assolutamente privi della benché minima sostanza, infatti, sempre più
spesso si possono leggere alcune sentenze stupefacenti che, a non
conoscere gli autori, si potrebbero dire frutto della malata mente di
un naziskin dell'ex-DDR. Una volta individuati, come il mainstream
anarchico contemporaneo fa, i nemici nel mercato, nella
globalizzazione, nell'imperialismo americano, nel tecnicismo moderno,
nel sionismo o quant'altro, è facile trovarsi in compagnia dei fautori
per antonomasia dell'anti-individualismo, dei critici della volgare
società mercantile, degli anti-modernisti, degli antisemiti. Sto
parlando dei fascisti. Ci sono personaggi, quali, per esempio, un
giornalista di estrema destra (che ha il cognome di un leader delle
destra "presentabile") creatore di un movimento anti-modernista, in
grado di stimolare imbarazzanti voluttà nel lettore medio di cose
pseudo-anarchiche, e un altro paio di suoi sodali che vengono spesso
rimbalzati dai newsgroups "anarchici". Uno di questi autori, molto
vezzeggiato dall'aristocrazia punkabbestia, si è espresso in
affermazioni ecumeniche del seguente tenore:

"non ci trovo proprio niente di strano, che vi sono persone e
militanti che provengono da esperienze trascorse di estrema destra e
che aderiscono a piattaforme anti-imperialiste senza che sia
necessario "contrattare" nessun compromesso " oppure " Dal momento che
oggi l'equivalente storico e simbolico del fascismo è l'impero
americano massacratore e torturatore, non conosco nessuno di più
fascista di Emma Bonino e di meno fascista di Marco Tarchi (noto
fascista, N.d.R.). "

Insomma, ormai la destra radicale alligna ovunque, come i baccelli
dell' "invasione degli
ultracorpi"; questo da quando ha come modello un "nazionalcomunismo"
che gli fa stoltamente accostare alcuni ferrivecchi concettuali del
fascismo, quali il razzismo spiritualista e anarco-cavalleresco di
Julius Evola a personaggi classicamente "sinistri" come Noam Chomsky,
così come Zjuganov e Che Guevara, improbabili sodali della lotta anti-
imperialista. Ciò spiega le strampalate affermazione dello stramboide
di cui sopra. "Le piattaforme anti-imperialistiche" su cui no-global
ed anti-mondialisti concordano senza "nessun compromesso",
bisognerebbe però spiegare a molti dei miei invasati critici, vedono
quale base concettuale, per questi ultimi, l' archefuturismo di Faye
(un mix di arcaismo primitivista, futurismo e volontà di potenza a go-
go), il populismo etnonazionalista dei partiti xenofobi delle piccole
heimat europee, il razzismo differenzialista di Taguieff (un trialismo
reazionario che baratta la razza con la cultura senza torcere un
capello alla sostanza del razzismo meno ipocrita) , l' etnopluralismo
di De Benoist, la più raffinata versione della difesa della cultura
occidentale, intesa però esclusivamente come cultura europea, che
quella attualmente dominante non è cultura occidentale, essendo
inquinata dall'ideologia egualitaria tipica della cultura anglosassone
(che, evidentemente, non è occidentale..).

Pur nelle loro differenze, queste anime della nuova destra concordano
su una visione "comunitarista", la riproposizione della gemeinshaft,
cioè della comunità naturale dell'arcadia pre-moderna, e sulla critica
al sistema liberale quale luogo del trionfo dell'individuo razionale
che si associa liberamente agli altri per il conseguimento dei propri
obiettivi. Ne criticano, in fondo, l'aspetto "libertario". Questo vuol
dire che, mentre la destra ha ben chiaro cosa sia l'individualismo
liberale, gli anarchici che cinguettano col comunitarsmo fascista
sembra non abbiano capito una benemerita.

I comunitaristi vogliono sostituire a questa aberrazione
"americana" (la libertà individuale) una nuova antropologia per la
quale nessun individuo è separato e nessuno, avulso dal contesto, è
"razionale" e bastante a sé. Altro che "individualismo metodologico",
follia da liberali. Altro che riconquista dell'individuo contro il
totale. E poi, attenzione, che il contesto dal quale nessuno è
separato è soprattutto contesto storico, culturale, etnico. La
comunità è più spirituale che materiale. Lotta alla globalizzazione,
quindi, come difesa della differenza spiritual-etnica dei popoli
contro il totalitarismo subdolo della società dell'assimilazione.
Ognuno con la propria identità, quindi, ma a casa propria, mi
raccomando. Del resto è questa la heimet, la piccola patria cara al
nazismo. Sangue, terra e spirito. Alla fine, non siamo così distanti
dal federalismo un po' fetente degli anarco-capitalisti che anarchici
e no-global affermano di avversare. Da qui nasce il concetto di
"glocalismo" caro agli intellettuali della nuova destra della quale il
"non fascista" Tarchi è parte integrante ed organica. Sul suo "Diorama
Letterario", il fascista più "in" nei circoli anarco-chic disquisisce
forbitamente intorno alla difesa delle identità locali e rimbotta la
sinistra perchè questa si limita a lagnarsi della globalizzazione
economica ma poi, incongruentemente, desidera la globalizzazione dei
diritti, il meticciato culturale, la libera migrazione, ecc.

Ecco, questa gente acquista sempre più rispettabilità in certi
ambienti "radicali". Dimmi con chi vai.. Però guai a parlare con
liberali ed anarco-capitalisti, mi raccomando. Rothbard mai, Evola e
De Benoist si. Bah.


Il crepuscolo degli idioti: esoterismo libertario


Il simpatico guazzabuglio di nietzchismo, archeofuturismo e
romanticismo che, al contempo, turba e riempie l'altrimenti vuoto
contenitore posto sul collo di tanti "anarchici" di cui abbiamo la
sventura di essere contemporanei non finisce mica qui di palesarsi in
tutta la sua ridicolaggine. In tale manifestazione sono coadiuvati
dall'essere in una condizione di sintonia sociale. Cioè, esiste nella
dominante "media cultura" (la più grande iattura dei giorni nostri è
che pochi sono i colti e gli ignoranti e quasi tutti i "medio colti")
che, si sa, si basa sui luoghi comuni caduti dal terrazzo di quelli di
sopra (i colti). Oggi domina nel popolo "progressista", per esempio,
una malintesa idea di relativismo culturale. Ma quando il già citato
leader del movimento anti-modernista destroide dice che i "popoli" che
preferiscono sistemi autoritari hanno diritto di darsi sistemi
autoritari si rifà esattamente a questa concezione. Evidentemente è
una concezione che non tiene in alcun conto i diritti del singolo
dissenziente, che può essere calpestato (financo infibulato) dalla
maggioranza dominante. Nella logica del relativismo culturale, noi
dobbiamo rispettare quelle culture in cui la maggioranza decide della
vita e della morte del singolo: diversamente sarebbero i liberali che
vogliono mettere il becco i veri "totalitari". C'è sicuramente, in
questa rousseiana "volontà popolare" in cui la minoranza soggiace -
non solo in quanto minoranza ma perchè, proprio in quanto tale, è
ovviamente "in errore" -, il nucleo del comunitarismo, questa
espressione molto in voga negli scritti della nouvelle vague fascista
con tanta nostalgia di "Gemeinshaft" e che lotta contro il
"mondialismo" per la salvaguardia delle culture locali. E' proprio
nella esaltazione delle culture "locali", nella premessa di questo
"relativismo culturalista" che sembra tanto libertario, che alligna la
mala pianta del razzismo e dell'autoritarismo. Siamo nuovamente
piombati nella libertà degli antichi, quella della polis.

Si rischia, insomma, che un anti-individualismo supposto
"progressista" si saldi e si coaguli in un blob immondo con le istanze
più regressive e razziste. Questo anti-individualismo "di sinistra"
affonda le sue origini in una serie di miti assurti a dogmi di fede
(antibiologismo e sociologismo in testa) e arriva a stendere il suo
sudario fino all'emergere di quel decostruzionismo post-moderno e neo-
tribale che tanto fortuna ha avuto nella cosiddetta "media cultura".
Gli effetti perversi di questa "logica" "egualitarista" ed "anti-
autoritaria" sono assolutamente totalitari e razzistici. Da un parte,
infatti, nel relativismo culturalista "politically correct" così in
voga oggi, il presupposto per cui non esistono società migliori o
peggiori e quindi tutte le norme e i costumi meritano rispetto
(infibulazione, lapidazione, ecc. incluse), è solo apparentemente
egualitario, infatti, in Sudafrica, costituì un argomento centrale per
giustificare l'Apartheid.

Pierre-Andrè Taguieff nota che, nell'assumere come un elemento
assoluto la differenza culturale si verifica un passaggio "dalla
'razza' alla 'cultura'" che lascia assolutamente inalterata la logica
del pregiudizio. Così, la rinuncia alla diffusione del fatal morbo
dell'individualismo nel "rispetto" delle culture "organiche" nasconde
l'idea ( razzista ) che questi organismi siano psicologicamente
diversi - quando lo sono solo storicamente - da essere incompatibili e
immunizzati al virus della soggettività. Sarebbe come dire che si
rinuncia a diffondere l'idea libertaria perchè la cultura statalista è
troppo diversa e comunque merita il nostro rispetto.

In secondo luogo, questa crisi della soggettività che monta, portata
in groppa dal destriero dello scetticismo post-moderno e sponsorizzata
anche da tante teste pensanti dell' "anarchismo" (vedi Bey e, per
certi versi, Zerzan), finisce col raggiungere una sorta di esoterismo
che degrada le conoscenze esatte - meglio, "verosimili", direbbe
Popper - a miti condivisi, mentre - con un percorso inverso - i miti
sono rivalutati come forme di conoscenza universale. In altri termini,
i nostri "progressisti" hanno spesso un atteggiamento anti-scientista
per cui ritengono che tutto ciò che è prodotto della modernità sia
empio e funzionale allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo (ma anche
dell'uomo sull'animale, come insegnano gli "anti-specisti"). Da qui
una rincorsa alle temibili "società organiche" e il ritorno alla
primitività caro ai fascismi nordici. In tale logica si può affermare
che l'astronomia è un ambito tribale produttore di tradizioni, miti e
riti di pari dignità con tutte le altre forme di sapere tradizionale,
astrologia e malocchio incluso. Gli anarchici, che sono più
progressisti di tutti, non ne sono esenti. Ne conosco uno, ovviamente
rivoluzionario di professione (ma di mestiere fa il cantante - leggo
dal suo sito - "di arie religiose", oltre che operistiche) che
congiunge astrologia, veganesimo ed antisemitismo con scioltezza
invidiabile e successo mediatico. E' facile trovare in rete vari
esempi di immondizia mediatica che spara a zero su ogni forma di
sapere esatto. Ciò, senza riuscire a distinguere fra quella temibile
"anonima esperti" di chomskiana memoria e il lavoro di progressivo
disvelamento del reale da parte dell'uomo. Quella logica
"relativistica", per intenderci, quella logica "egualitaria",
aggiungerei, quella logica, per concludere, "anti-autoritaria", di chi
avendo letto Feyrabend solo sulle parole crociate, regala ad ogni
"opinione" la stessa possibilità e forza. A chi fa notare che alcune
teorie sono più verosimili di altre, viene contrapposta l'obiezione :
"chi lo decide?", cioè, provocatoriamente, "quale autorità". Ma è
chiaro che la domanda giusta sarebbe "quali fatti?". A questo punto si
potrebbe anche chiedersi: " chi decide che l'idea libertaria sia
migliore di quella statalista?"
Qual è la ricaduta grottesca di questa seraficità new age? E' ovvio
che il dibattito, rifiutando il valore della logica "occidentale",
delle prove e dei controlli, sia affidato alle emozioni,
all'immaginazione, alla nobiltà di tutte le idee. E allora accade che,
in barba all' egualitarismo anti-individualista professato da tutti i
profeti del comunitarismo, qualcuno risulti, inevitabilmente, dotato
di maggior carisma e finisca per essere più ascoltato. In definitiva,
quindi, non è vero che tutti i pareri siano ugualmente autorevoli: a
qualche individuo più che ad altri viene attribuita una dose insolita
di saggezza. In questo modo, rifiutando gli "esperti" (a cui Goodman
attribuiva non poche responsabilità negative, ma su cui riversava
altrettante speranze) ci si ritrova fra le braccia dei santoni.

L'antiautoritarismo anti-individualista, anti-mondialista e anti-
moderno dei vari Fini e De Benoist, quindi, avendo fra i suoi
ingredienti fondanti, la comunità organica e i santoni, appare post-
moderno in quanto pre-moderno, nell'accezione meno piacevole, meno
arcadica e più terribilmente a rischio di autoritarismo che sia
possibile immaginare. Da queste radici, salendo per li rami, venne
fuori il comunitarismo del santone-imbianchino austriaco che
rallegrava le birrerie di Monaco. Noto vegetariano esoterista, tra
l'altro.


Conclusione: Dietro ogni scemo (totale) c'è un villaggio (globale)


I miei ventisette preferiti avranno notato come questo aggiornamento
del berneriano "cretinismo anarchico" sia ben più lungo
dell'originale. Segno dei tempi. In definitiva, scopo di questo lavoro
è dimostrare come molti sedicenti libertari ragionino (poco) mediante
elementari categorie (poche) di pensiero. La principale cosa da
mettere in rilievo è il mancato rispetto di ciò che Rawls definisce l'
"ordinamento lessicale" dei principi. Esistono, cioè, principi
sovraordinati ed altri sotto-ordinati che non scattano se non a
soddisfacimento di quelli posti in alto. Ritengo, personalmente, che
il principio sovraordinato per un anarchico debba essere la libertà,
poi viene l'eguaglianza. Così, nell'ambito della ricerca di libertà,
la lotta all'autorità e allo stato dovrebbe essere sovraordinata a
quella, pur importantissima, alle sperequazioni economiche. Invece,
l'anarchismo si è dato ormai un ordinamento inverso che produce esiti
paradossali. Fra questi ultimi, le dichiarazioni, finalizzate all'anti-
capitalismo, di esponenti di prestigio del pensiero anarchico che
manifestano sentimenti filo-statalisti. Ma Berneri lo aveva detto: "in
economia gli anarchici sono possibilisti, in politica assolutisti". I
cretini, invece, sono assolutisti in economia e possibilisti in
politica. Per tale motivo ritengono di potersi permettere, dall'alto
della loro ascetica purezza socialista, la sufficienza nei confronti
dei "falsi" anarchici che hanno la faccia tosta di parlare di mercato.
Avendo a mente il falso mercato del capitalismo di stato non si
avvedono che la parola cane non morde ma descrive. Basta non tapparsi
le orecchie. Ma "lo fatal morbo" - come direbbe un Brancaleone
difficile da non evocare parlando di certi compagni anarchici -,
alligna anche fra i supposti liberali, di cui ho messo in luce aporie
e paradossi. Riprendendo, anzi, la dicotomia di Berlin fra agorafobia
(legata alla ricerca del luogo chiuso e monolitico) e claustrofobia
(legata al pluralismo liberale) un amico mi faceva notare che, alla
sua prima uscita italiana, quando il vessillo libertarian era tenuto
da un simpatico e geniale comune amico ora dimenticato dai più, la
rivista che lo propagandava si chiamava, appunto, "Claustrofobia".
Ora, invece, il giornale che raccoglie gli scritti del think tank
padano-paleo-libertario si chiama "Enclave".....
Però, se relazioni incongrue veramente esistono per chiunque si voglia
fare paladino di libertà e fratellanza senza mostrare solo cipiglio da
matamoros per poi cavalcare un ronzino in compagnia di una corte di
mentecatti, beh, queste sono quelle con il pensiero autoritario, lo
dice la parola stessa. I componenti dell'armata si guardino, allora,
dal manifestarsi "a lo infedele" recitando con arroganza il loro "voi
sapete chi io sia?", perchè qualcuno potrebbe rispondere. Alla ricerca
di immaginarie pagliuzze nell'occhio altrui, in molti non si avvedono
della trave uncinata che, trapassato l'occhio, gli parassita il
cervello. Più cretini di così....

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