Rapporto quotidiano per Club azzurro la clessidra & friends (2 di 2)

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May 31, 2007, 6:43:36 AM5/31/07
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Rapporto quotidiano dei messaggi in Club azzurro la clessidra & friends

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Nuovi messaggi di oggi
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Massimo Introvigne: La Ue ci obbliga a tenere l’imam

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
La sinistra radicale sta quasi riuscendo a far credere all'opinione pubblica che gli imam accusati di fiancheggiare il terrorismo come Abu Imad, della moschea milanese di viale Jenner, e Abdelmajid Zergout, ex-imam di una moschea di Varese, sono stati dichiarati innocenti dai tribunali che li hanno processati. Il fatto che Zergout sia stato espulso dal ministro Amato - dopo che la Casa delle libertà aveva protestato perché le espulsioni di predicatori si erano fatte meno numerose con il governo Prodi - è stato bollato dal suo avvocato come un tentativo di delegittimare con una «giustizia parallela» la magistratura. È caduta nella trappola anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, peraltro non nuova a questo «buonismo» verso l'ultra-fondamentalismo islamico, che ha sospeso l'espulsione di Zergout.
Si tratta di un grande inganno. Abu Imad e Zergout non sono stati riconosciuti innocenti. Abu Imad secondo i giudici del Tribunale di Milano - non proprio una longa manus della Casa delle libertà - è «coinvolto direttamente nelle attività di: falsificazione, finanziamento all'estero, contatti con i gruppi esteri (in particolare l'Austria) e smistamento dei combattenti». Perché, dunque, Abu Imad se l'è cavata? Per la solita questione dei tempi biblici della giustizia italiana. La sentenza di Milano a rigore non è di assoluzione ma di prescrizione. Quando l'imam milanese falsificava documenti, finanziava e «smistava» terroristi le norme più severe in tema di terrorismo introdotte dal governo Berlusconi non erano ancora in vigore. Ha pertanto potuto beneficiare dei vecchi termini di prescrizione: mentre con le nuove norme sarebbe stato condannato.
Si tratta del caso tipico previsto nel 2005 dal decreto Pisanu per le espulsioni: chi se la cava per la prescrizione ma è riconosciuto dai giudici come responsabile di fatti gravissimi va espulso, perché è pericoloso per l'ordine e per la sicurezza dei cittadini italiani. Il ministro Amato, come ha fatto per l'imam Zergout di Varese, prenda il coraggio a due mani ed espella anche Abu Imad, che è più noto e protetto di Zergout ma proprio per questo è anche più pericoloso.
Quanto a Zergout, se l'è cavata non per la prescrizione ma per un cavillo giuridico: la rinuncia a due rogatorie, peraltro giustificata dalla Corte d'assise di Milano con la circostanza che - se si fosse dato corso a tali rogatorie all'estero - i tempi del processo si sarebbero allungati a dismisura. Il pubblico ministero ha chiesto l'assoluzione di Zergout e dei suoi complici «non perché io non sia convinto di avere in mano elementi in grado di provare la responsabilità degli imputati - ha detto - ma solo perchè la prova non si è formata in dibattimento» attraverso le rogatorie, come prescriverebbe la più recente giurisprudenza della Cassazione. Dunque anche nel caso di Zergout la «responsabilità degli imputati» è provata, ed essi sfuggono alla condanna solo per una ragione tecnica. E pure qui, per colpire chi sfugge alla legge non perché innocente, ma per qualche marchingegno poco comprensibile ai non giuristi, è del tutto giustificato il provvedimento di espulsione.
Ora che sul tema della sicurezza gli elettori del Nord hanno suonato la sveglia, c'è da augurarsi che il governo voglia procedere senza paura con le espulsioni, anche quando i fiancheggiatori del terrorismo non fanno i muratori ma i predicatori. E che i soloni delle istituzioni europee, per malinteso garantismo, non mettano ulteriormente i bastoni fra le r

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Mario Sechi: Eutanasia di un partito

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Il progetto già in rovina

Il Partito democratico figlio di Prodi è morto nella culla, soffocato dal suo stesso padre con le «lenzuolate» ricamate da Visco e Bersani. Il livello di allerta per Ds e Margherita passa da arancione a rosso e le soluzioni per tornare al verde prevedono una sola mossa: il commissariamento di Prodi.
Nessuno nella maggioranza avrà il coraggio di dirlo ma il doppio ruolo del Professore si è trasformato in una doppia sconfitta: del governo e del Partito democratico. Cancellando la propria identità e mettendo Prodi al volante della macchina organizzativa, i Ds si ritrovano di fronte a un rebus: non possono tornare indietro sul Pd e non possono neppure andare avanti in questo modo. Il paradosso della Quercia è che deve liberarsi di Prodi, ma non può farne a meno perché è l'unico punto di sintesi tra i postcomunisti e l’ex sinistra dc.
La Margherita ha più spazi di manovra perché non ha rinunciato alla sua identità, per quanto flebile, e fa il gioco dell'Opa sulla leadership del Pd. Perciò Rutelli leva una voce critica sul prodismo. Ma lo scenario è quello di un incartamento generale, un pasticcio frutto di un'operazione oligarchica che gli elettori non digeriscono. Dopo il voto il Pd è un ectoplasma: rispetto alle politiche, alle amministrative perde un voto su tre. La sua nascita è stata salutata ingenuamente come la semplificazione del quadro politico, ma in realtà ha prodotto scissioni, dispersione di voti e nessuna soluzione praticabile sul campo dell’arte di governo.
Si è evocata la crisi della politica laddove la crisi era ed è quella della maggioranza. Per la prima volta nella storia elettorale l'astensione ha colpito e affondato il centrosinistra. Ds, Margherita e la sinistra radicale non riescono a catturare né il voto in fuga degli elettori moderati né quello della classe operaia.
Gli italiani hanno di fronte un esecutivo che tende al dispotismo: blocca il Parlamento, governa per decreto, si fa dettare l'agenda dai sindacati (che rappresentano la minoranza dei lavoratori attivi), cerca di blandire Confindustria (che non rappresenta la maggioranza delle imprese), scavalca il potere legislativo con poteri oligarchici e irresponsabili (le Authority) e usa la leva finanziaria (le banche) per forzare le leggi del mercato.
Di fronte a questa rovina fumante, il centrodestra ha raccolto più voti di quanti potesse immaginare, riconquistato il suo elettorato, egemonizzato il Nord, posto una seria base per tornare a governare. Berlusconi si conferma leader carismatico e insostituibile e sull’onda di questo successo non c’è spazio e tempo per discussioni sull’eredità. È un capitale da non disperdere, il centrodestra infatti con questi risultati oggi avrebbe al Senato dai 15 ai 20 seggi in più. Di sicuro, in queste ore Forza Italia si interroga su come stringere i tempi, in ogni caso il punto debole del governo è il Senato e Prodi non cadrà in piazza, ma per la seconda e ultima volta a Palazzo Madama.

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L’Irak dei misteriosi Yazudi ultima religione pagana

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
L’assassinio di una loro ragazza compiuto alcuni giorni fa dagli Yezidi nell’alto Irak, le cui foto sono comparse sulla stampa quotidiana, hanno sollevato la domanda: come mai una giovane è stata linciata solo perché si era fidanzata, o qualcosa di simile, con un musulmano dato che non era né cristiana né ebrea, notizia che avrebbe accompagnato l’accaduto? Il fatto è che gli Yezidi sono una delle ultime, forse l’ultima religione pagana a cavallo della frontiera dell’Irak, la Turchia, l’Iran e l’Armenia, un popolo che non ha mai accettato, e sono passati due millenni, né il Cristianesimo né l’Islam.
Le loro origini sono un vero mistero scientifico e, a parte qualche studioso musulmano che ne ha fatto con superficialità una setta dell’Islam, hanno dato e danno filo da torcere a tutti gli specialisti che vi sono addentrati. In modo particolare ha quasi sempre deviato gli studiosi il soprannome corrente di «adoratori del Diavolo». La religione degli Yezidi è monoteistica anche se conosce un certo numero di esseri semidivini o addirittura divini che sono qualcosa di intermedio tra il Dio supremo e l’uomo - simili ad angeli o inviati di Dio - che le conferiscono un certo carattere politeistico. Essi adorano quell’essere che nelle credenze dei Cristiani e dei Musulmani è il Diavolo, ma che non è tale quale noi siamo abituati a vederlo. L’essere che essi adorano è da loro chiamato Melek Ta’us, vale a dire «Re», o meglio, «Angelo Pavone» che corrisponde al Diavolo dei Cristiani e dei Musulmani. Nella loro dottrina esso è il supremo degli angeli, il quale dopo la sua caduta e il suo pentimento, è stato rimesso da Dio nel suo grado primitivo e preminente.
Melek Ta’us è un Dio buono. È in un certo senso il loro vero Dio, il Dio attivo ed efficiente, mentre il Dio supremo è inattivo e non si cura del mondo. È quindi del tutto falso che essi adorino il Diavolo quale principio del male tanto è vero che non hanno neppure l’inferno. L’adorazione dell’angelo sotto forma di pavone è probabilmente legata ad un’antica leggenda nella quale il pavone fu l’intermediario tra il serpente seduttore ed il Diavolo stesso. Oggi sono ridotti a qualche decine di migliaia, una calata di numero in gran parte dovuta alle persecuzioni subite prima dal Cristianesimo e poi, per un millennio e mezzo, dai governatori musulmani della regione. Il loro rapporto con il Diavolo li rende temibili agli occhi del popolo.
Ricordo il racconto fattomi da un Vescovo caldeo nel quale egli narrava di aver visto alcuni suoi seminaristi, incuranti dei suoi avvertimenti, gettare per disprezzo delle monetine nella fonte dell’acqua santa degli Yezidi e poi - così mi disse - li aveva visti morire ad uno ad uno in circostanze misteriose nel giro di un anno! Gli Yezidi parlano il curdo con un vocabolario zeppo di parole persiane e posseggono una scrittura critica nella quale sono i loro due libri sacri: il «Libro della Rivelazione» e il «Libro nero» e poi preghiere e un catechismo. In questo leggiamo che «gli Yezidi devono servire Dio secondo le regole stabilite. In caso diverso li colpirà la maledizione di Dio» e che essi sono divisi in categorie e che ognuno deve scegliersi la moglie dalla propria classe. Infine duramente: «È proibito severamente agli Yezidi d’entrare in relazione con appartenenti ad altri popoli. In caso diverso si espongono alla maledizione di Dio». È facile qui inquadrare, con tutto l’orrore che suscita, la scena dell’assassinio della ragazza.

SERGIO NOJA NOS

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Alla faccia di gufi e gufetti prezzolati

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Eora, secondo le migliori (e più squallide) tradizioni italiche, allez, tutti sul carro dei vincitori. Un fiorire di “...io l’avevo detto...”, “... il vento era cambiato...” e via con altre sciocchezze e amenità. La realtà è che la Lega è stata nel mirino sino all’ultimo e che nessuno, proprio nessuno, avrebbe mai pensato ad un risultato bul- garo di tale portata. Mi vien... ...da ridere a pensare che solo pochi giorni fa ho sentito dire, in tv, “... il consiglio che darei a Bossi è di sciogliere la Lega”. Oppure leggere su un giornale dell’incazzatura “feroce” di Berlusconi nei confronti del Segretario e, contemporaneamente, su un altro, in una intervista esclusiva, il Cavaliere esprimere affetto, stima e amicizia verso il Senatur. La verità è che gufi e gufetti antiCarroccio in servizio permanente, tutti liberi di sparare cazzate, sono rimasti spiazzati completamente dalla tornata delle amministrative. E questo perché, con tv e media compiacenti, non si erano mai accorti - convinti di conoscere la Lega in profondità - che il panorama era mutato.
Come? Lo scenario, anzitutto. Scenario, cioè territorio. Riconquistato dopo essere stato trascurato troppo a lungo, colpevolmente. Ma quello è la nostra ricchezza, quello la miniera dalla quale estrarre diamanti e oro. Memorizzato l’errore, la nuova strategia è stata, se vogliamo, vecchia: battere metro dopo metro la nostra terra, ritornare in mezzo alla gente, incitarla, galvanizzarla, far esplodere nuovamente dal cuore e dalla pancia l’orgoglio di una rinnovata padanità. In questo, occorre sottolinearlo, è stato maestro il Segretario che si è sottoposto ad un tour de force pazzesco. Ma i frutti di questo sforzo sono stati copiosi.
Con un simile esempio, è stato tutto il Movimento a galoppare fiero, forte delle idee e dei messaggi leghisti che sempre più attecchivano, da Ovest a Est. Idee e battaglie portate avanti negli anni che, finalmente, stavano germogliando grazie ai tempi venuti a maturazione. E la nostra gente - “fratelli” secondo una felice definizione di Bossi - avida di sentirsi dire la verità con il consueto linguaggio, forte e schietto, tipicamente padano, leghista. Penso a battaglie come quelle sul Federalismo (un sostantivo con cui tutti si riempiono oggi la bocca...) sul Tfr, la famiglia, l’immigrazione/sicurezza delle quali la Lega ha fatto bandiere.
E in questo rinnovato spirito, anche la Padania ha fatto la propria parte, efficace. Da mesi è ritornata sul territorio, interessandosi dei problemi quotidiani del suo popolo, cinghia di trasmissione del Movimento e in sintonia con la strategia del Segretario. Un lavoro enorme e difficile perché riseminare e coltivare un terreno arido e incolto è una fatica tremenda e dà frutti solo nel tempo. Anche se qualcuno crede che seminando il lunedì si possa avere il raccolto giorno dopo giorno. Di astio ne abbiamo combattuto, quasi quotidianamente, ma il gran lavoro fatto ovunque nel territorio padano ha certamente prodotto effetti benefici.
Non importa, oggi la soddisfazione è enorme. La Lega ha ricominciato a lievitare, le parole del nostro Segretario sono come gocce che dissetano, che spazzano via la siccità di una politica chiusa in se stessa, che non pensa alla sua gente, ai suoi problemi, alla sua vita.
Incombe Pontida, cari lettori, e da là giungerà l’incitamento ad una nuova e più intensa sfida. Una sfida, ora più che mai, che deve tradursi in fatti concreti per il Nord, stanco di aspettare, stanco di aver poca vo

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E ADESSO IL NORD BATTE CASSA

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Sicurezza, immigrazione, Federalismo, autonomia fiscale, tasse: il voto del popolo è un messaggio chiaro perché il tempo delle riforme promesse è scaduto. Chiunque governi deve trattare con la Padania

Dalle urne è arrivata l’attesa bastonata contro il Governo e contro i palazzi romani, sordi di fronte alle richieste dei popoli del Nord.
Umberto Bossi, Segretario Federale della Lega Nord, nel suo lungo e faticoso tour elettorale delle ultime settimane nelle piazze della Padania era stato chiaro: «Andate in cabina con il bastone. Votate Lega e date una bastonata a Roma».
Lo ha ripetuto ovunque: in Liguria, in Emilia, in Piemonte, in Veneto e in Lombardia.
E la gente lo ha preso in parola: e la bastonata è arrivata.
E che bastonata! Fortissima, con un tonfo impossibile da non sentire anche a Roma, anche nel chiuso dei blindatissimi palazzi del potere.
Verona, Monza, Domodossola, Como, Varese, Vicenza e via dicendo: il Nord con il suo voto ha confermato di identificarsi con la Lega Nord e ha rimesso prepotentemente sul tavolo della politica la questione settentrionale.
Da affrontare senza alcun ritardo. Un messaggio chiarissimo per questo Governo che, invece, in questo suo primo tormentato anno di attività ha sistematicamente ignorato, il Nord e le sue richieste di maggiore sicurezza, di controlli più rigidi sull’immigrazione, di difesa della propria identità, di autonomia fiscale e amministrativa, di infrastrutture per le sue imprese e per le sue fiere.
Tutto inutile: nessun ministro a Roma ha dato ascolto al Nord e così i cittadini, per farsi sentire, hanno seguito l’indicazione di Bossi e si sono presentati alle urne con il bastone.
Come ha riconosciuto anche il Segretario Federale.
«È stata una legnata pesantissima al Governo», ha spiegato il leader del Carroccio nella tarda notte di lunedì sera uscendo da Villa San Martino, la residenza di Silvio Berlusconi ad Arcore, dove si era recato intorno alle 21.30, quando ormai i risultati che arrivavano dai seggi erano pressoché definitivi, per la consueta cena del lunedì e analizzare, insieme al presidente di Forza Italia i risultati elettorali. Ad accompagnarlo una piccola delegazione leghista, formata da Rosi Mauro, Roberto Calderoli, Roberto Castelli e dai veronesi Federico Bricolo e Francesca Martini.
Scontato il buon umore tra i commensali visto l’esito del voto.
Un esito felice, anzi felicissimo, per la Lega Nord, che ha mantenuto le province dove era uscente un suo presidente e ha visto aumentare notevolmente il numero dei suoi sindaci, aggiungendone molti primi cittadini a quelli confermati in questa tornata elettorale.
Una vittoria pesante per la Lega, sia in termini numerici, sia per quanto riguarda i rapporti interni alla Casa delle Libertà, trascinata alla vittoria in quasi tutti gli enti locali del Nord grazie al traino dei voti del Carroccio. Per la maggioranza di centrosinistra che sostiene il Governo, invece, il verdetto uscito dalle urne è suonato tanto come una bocciatura sonora.
Tra oggi e domani si capirà come potrà snodarsi questa fase post elettorale, anche alla luce delle forti tensioni che stanno dividendo l’Unione.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Intanto Bossi fa notare: «Chi cerca di nascondersi dietro all'antipolitica sbaglia. La gente invece è andata a votare e ha votato contro il Governo dandogli una stangata».
Per il momento, quindi, la Casa delle Libertà mantiene un atteggiamento cauto, in attesa di vedere come il centrosinistra reagirà a questa sconfitta. E Roberto Calderoli osserva: «Il buon senso consiglierebbe il voto anticipato, ma al voto non si andrà, per lo meno non subito: i Governi vanno a casa quando il premier si dimette o viene sfiduciato o non esiste più la possibilità di una maggioranza in Parlamento. Ieri il popolo, con il suo voto, ha sfiduciato questo Governo, ma i parlamentari di questa maggioranza si guarderanno bene dall’ascoltare la voce del popolo e si chiuderanno nel bunker dei loro palazzi per salvare l’amata “cadrega”».
D’accordo con questa analisi anche il Segretario Nazionale lombardo, Giancarlo Giorgetti, che sottolinea: «Prodi non è legittimato a governare come sta facendo, considerando i risultati delle Politiche dell'anno scorso. La realtà è che noi usciamo fortissimi da questo risultato. E’ chiaro che il Nord ha mandato un segnale inequivocabile».
Un segnale fortissimo, anzi una vera e propria bastonata, quella che Bossi nei suoi tanti comizi delle ultime settimane aveva chiesto al popolo del Nord, e che puntualmente i cittadini padani hanno dato appena entrati nelle cabine elettorali.
Fabrizio Carcano

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Grimoldi: Roma si è presa una bella bastonata

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
«Il risultato della Lega Nord e della Cdl in Lombardia, in Veneto e in Piemonte parla chiaro: i cittadini hanno dato una bella legnata a Roma e ora vogliono libertà e federalismo. Un grazie di cuore al sindaco di Roma che ci ha aiutato a vincere queste elezioni»: Paolo Grimoldi, deputato della Lega Nord e coordinatore federale del Movimento Giovani Padani, punta il dito contro Walter Veltroni, secondo alcuni futuro leader del Partito Democratico. «Da tutto il Nord, è partito un chiaro messaggio a Roma - aggiunge -. Non a caso ovunque sia andato il sindaco Walter Veltroni la sinistra ha preso una sonora bastonata: a Rho come a Monza, il primo cittadino della capitale più sprecona del Mondo ha portato via voti alla sinistra contribuendo alla sconfitta della sua coalizione». «I cittadini del Nord, ogni volta che lo vedevano nelle nostre città, pensavano al decreto spalmadebiti di 3 miliardi di euro per risanare i buchi nei conti della sanità del Lazio e della Campania, pensavano ai 230 euro a testa che ogni padano dovrà pagare per i prossimi dieci anni per coprire gli sprechi romani e napoletani, si ricordavano - conclude Grimoldi - che lo stesso antibiotico qui costa 10 euro e a Roma 0,62 euro. Che i palazzi di Roma ne tengano conto, prima che sia troppo tardi».


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«Dalle urne elettorali riemerge la Questione settentrionale»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
«Un trionfo per il centrodestra e della Lega in particolare. E un monito alla politica: il Paese vuole le riforme». Ha la voce soddisfatta Massimo Zanello, assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia, davanti ai dati definitivi di questa tornata elettorale . E non potrebbe essere diversamente. «Dove la Lega si presentava con un proprio candidato ha stravinto. E ovunque ha alzato le proprie percentuali rispetto alle elezioni precedenti».
E anche nella sua città, a Monza, finalmente arriva un sindaco leghista. Meglio di così, non è vero Zanello?
«Un grandissimo successo. Credo che Monza, insieme a Verona, rappresentino più di altre realtà in cui si è votato il sentimento di un Nord stanco della politica dei palazzi»
Molti definiscono i risultati di queste elezioni come un voto contro il Governo Prodi non tanto un attestato di stima alla Cdl.
«Mi sembra un’analisi riduttiva. Quello che emerge con chiarezza da questo tornata elettorale è il malcontento di un parte del Paese, quella più avanzata e laboriosa, nei confronti di uno Stato centralista e burocrate. Per uscire da questa situazione, il Nord ha votato ancora una volta per noi. Ha chiesto soprattutto aiuto alla Lega che ha nel proprio dna il cambiamento».
Insomma, la risposta sono quelle riforme da sempre chieste dalla Lega?
«Compito della Lega è riformare lo Stato. La soluzione ha un nome ben preciso. Si chiama federalismo e significa maggiore responsabilità e trasparenza in chi guida il Paese e un determinato territorio. Altre strade non ne vedo».
Subito dopo i primi dati, lei è tornato a parlare di questione settentrionale. Che cosa voleva dire?
«Semplicemente che i risultati usciti dalle urne fanno riemergere con forza la questione settentrionale. Una questione che non ha confini geografici o etnici quanto socio-economici».
In che senso, mi scusi?
«Qualcuno la dipinge soltanto come uno scontro tra Nord e Sud. Invece è la ribellione del popolo contro la “casta”».
Quella dei politici?
«Non solo. C’è anche la Fiat che vive di finanziamenti pubblici. C’è la casta dei sindacati, dei dipendenti pubblici, di certi banchieri. Dei falsi invalidi, dei lavoratori socialmente utili Allora il voto emerso da queste elezioni ci parla di gente stanca di alzarsi la mattina alle sei per mantenere i privilegi degli altri. Così non c’è più la libertà…».
I numeri fotografano un Paese spaccato a metà: al Sud vince la sinistra. Al Nord il centrodestra. La lega non voleva la secessione…
«Quello che non è riuscito a fare la politica, lo fa il voto della gente. Qui si torna alla riflessione di prima. E cioè che la parte più avanzata del Paese, quella che mantiene il carrozzone, vuole le riforme. E chiede sostegno alla Lega».
E’ questo il vero messaggio delle elezioni appena concluse?
«Io dico di sì. Il tempo delle promesse è finito. Ora bisogna fare le riforme. Il voto dei cittadini è chiaro: la strada è il federalismo».


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Formigoni: «Il Governo prenda atto del risultato e si dimetta subito»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
«Non spetta a me chiedere le dimissione del Governo – riflette Roberto Formigoni - ma il segnale è chiaro: il Governo può dimettersi con una fortissima assunzione di responsabilità o può restare, perchè anche questa è una decisione costituzionalmente motivata. Certamente non può fare finta di nulla». Il giorno dopo il voto amministrativo i toni della Casa delle Libertà sono soffusi ma determinati, sembra quasi non si voglia fare troppo male a chi ha già subito un colpo durissimo. Il voto, che ha visto la Cdl conquistare al primo turno in Lombardia Como, Monza, Melegnano, Rho, Magenta, Crema, Legnano, la provincia di Varese e di Como, rafforza «di molto» il governo regionale lombardo e rappresenta «un riconoscimento del buon lavoro fatto dalle nost3re giunte e un atto di fiducia nei confronti della attuale maggioranza in Lombardia».
Questa l’analisi politica dei risultati elettorali fatta dal presidente della Regione Lombardia, secondo il quale «la netta vittoria della Cdl in tutta Italia, tranne qualche eccezione, diventa clamorosa al Nord e dimostra quanti italiani si sono ormai resi conto di avere sbagliato a votare il centrosinistra alle politiche». Non sta meglio neppure il Partito Democratico in faticosa gestazione: «Tenendo conto della composizione del Comitato per il Pd, dove il Nord è assente, del fatto che il Governo ha disatteso le aspettative del Nord Italia, dei risultati elettorali, si capisce che il Pd al Nord è già in condizioni disperate. Con Prodi - ha concluso il governatore - la sinistra lombarda è tornata all’età della pietra e per il centrodestra si aprono delle “praterie elettorali”». Praterie in cui la Lega vuole inserirsi: «In Lombardia è stato un trionfo – commenta il capogruppo in Regione Stefano Galli -, adesso l’agenda politica al Nord la detta la Lega. Si deve accelerare sul Senato delle Regioni e sul federalismo fiscale». A partire da oggi, con la Prima Commissione del Consiglio che inizia la discussione del Progetto di legge al Parlamento sul federalismo fiscale presentato da Rosy Mauro.
MASSIMO VILLA

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Attilio Schneck: «È giunta l’ora del Federalismo»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
«Riposarmi? Non posso, devo continuare a fare il sindaco ancora per qualche giorno». Attilio Schneck, eletto con una schiacciante maggioranza alla presidenza della Provincia di Vicenza, in continuità con l’ottimo operato di Manuela Dal Lago, non ci pensa proprio a rallentare il ritmo.
Ieri, oltre al “normale” lavoro da primo cittadino di Thiene che guida da 10 anni, doveva rispondere alle mille domande dei cronisti, anche le più stupide. «Mi hanno chiesto, ad esempio, se nominando due assessori in meno faremmo un risparmio della spesa pubblica». Come se i cittadini fossero preoccupati più dal numero di assessori che dal buon governo dell’Ente Provincia, o della questione di Asiago (l’altopiano che vuole “secedere” in favore del Trentino, ndr)».
«Asiago è solo la punta di diamante del Veneto e in particolare della provincia di Vicenza - sottolinea il neo presidente della provincia berica - Le zone montane soffrono, ma soffrono anche le zone di pianura, per la viabilità mancante, con la qualità di vita che ci viene a mancare nonostante la grande ricchezza che produciamo. Non dico che potremmo mangiare tutti i giorni champagne e caviale, ma certo i nostri cittadini, con quello che producono, si meriterebbero di viaggiare su strade meno caotiche e intasate come sono, di avere servizi adeguati, trasporti gratuiti per i nostri ragazzi, per non pagare i ticket alle visite mediche».
«Oggi noi non abbiamo nulla di tutto questo pur pagando una montagna di soldi attraverso il prelievo fiscale. Dovremmo mangiare pane bianco e fresco e invece ogni giorno ci troviamo pane secco e ammuffito. Perchè non c’è il Federalismo fiscale. Siamo sempre stati terra di produzione e di prelievo e mai considerati asse portante di tutto il sistema di bilancio pubblico di questo stato». Da qualche tempo però è terra di riscossa. «Qui la Lega è in ripresa con il centrodestra che su questi problemi batte ogni giorno - conclude Schneck - E poi si chiedono come mai il centrosinistra non prende voti. L’autonomia è l’argomento fondamentale da queste parti. Il Nord continua a chiedere quello che gli spetta».


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In Emilia il centrosinistra è in caduta libera

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Dal Nord, e in particolare dall’Emilia il messaggio degli elettori si può definire univoco: il Paese non ne può più della sinistra e del Governo Prodi. Lo dimostrano, appunto, il ballottaggio dei capoluoghi di provincia Piacenza e Parma: nella prima il candidato della Cdl Dario Squeri ha ottenuto il 44,3 per cento, mentre nella seconda la Lega non si è schierata con Pietro Vignali che non è riuscito a battere il rosso Alfredo Peri. Quest’ultimo, in particolare, ha portato a casa un modestissimo 37,59 per cento.
Anche l’Emilia - quella che un tempo era rossa - non ne può più della sinistra. La gente - fa notare il presidente federale della Lega Nord Angelo Alessandri - «non è più disposta a dare fiducia incondizionata alla sinistra. In tutta l’Emilia, infatti, si è registrata una flessione del centrosinistra». E la Lega sta già lavorando per il ballottaggio di Piacenza e Parma: «Non sono battaglie facili e, proprio per questo, ci impegneremo fino in fondo. Nel capoluogo piacentino abbiamo di fronte Roberto Reggi che è una vera e propria macchina da guerra. A Parma la sinistra ha candidato la sua figura migliore, Alfredo Peri. Il nostro obiettivo è di portare a casa sia Piacenza che Parma: sarebbe un risultato davvero importante».
Scuote la testa il il presidente del comitato di presidenza di Forza Italia, Claudio Scajola: «Nell’Italia settentrionale la sinistra non è stata sconfitta: è stata spazzata via dalla scena politica. Più ancora del numero, già clamoroso, delle città e delle province conquistate da noi, sono le percentuali che danno la misura del nostro successo. In tutte le province del nord nelle quali si è votato la sinistra è sotto il 30 per cento. Nei comuni capoluogo, tranne Cuneo, raggiungono a stento il 40 per cento». Ma non basta: «Nelle regioni rosse, Emilia e Toscana, tutti i capoluoghi sono andati al ballottaggio, persino la rossa Pistoia. La migliore dimostrazione della loro disfatta è proprio che sono costretti a vantare come successi il fatto di aver tenuto a fatica con il 51 per cento una roccaforte come Genova, dove la Cdl ha guadagnato più di dieci punti, costringendoli al ballottaggio in provincia».
Un voto, quello del 10 e 11 giugno, per mettere la parola fine al malgoverno rosso. È di ieri il rapporto della Caritas che ha denunciato come in Emilia Romagna aumentino l’emarginazione e la povertà. «L’Osservatorio delle povertà - spiega Gian Piero Franceschini - rivela che accanto alla tradizionale definizione di povertà si è fatta strada, anche nella nostra regione, la riflessione su “esclusione” e “vulnerabilità sociale”».


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Cota: «Il nostro prossimo obiettivo sarà Torino»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Anche in Piemonte è ricominciato a soffiare davvero forte quel vento del Nord che in tutta la Padania ha portato ad una secca sconfitta del centro sinistra e, di contro, una significativa affermazione del Carroccio.
La Lega Nord Piemont continua il trend positivo conseguito nella consultazioni elettorali degli ultimi anni. I dati più clamorosi per la Lega sono l’elezione al primo turno del candidato sindaco leghista al Comune di Domodossola, Michele Marinello, e l’aver triplicato i voti nella Provincia di Vercelli. Nel capoluogo ossolano, la lista della Lega è inoltre passata dal 4,7 per cento al 10,8 per cento, più che raddoppiando i consensi e affermandosi come secondo partito cittadino. Ottima l’affermazione anche a Omegna, capoluogo del Cusio, dove la lista del Carroccio compie un nuovo balzo in avanti, dal 4,5 per cento al 7,7 per cento e contribuisce alla clamorosa affermazione del candidato sindaco della Cdl che ora è in pole position per il ballottaggio con il centrosinistra, schieramento da sempre al governo cittadino e mai così in crisi come oggi.
In Val Sesia, la Lega viaggia invece ormai intorno al 40%. A Varallo Sesia viene riconfermato con una sorta di plebiscito il sindaco uscente Buonanno. Importanti novità sono arrivate anche dal resto del Piemonte, dove il buon risultato del Carroccio aiuta la Cdl a conquistare due importanti centri in mano la sinistra come Asti ed Alessandria. Ad Asti (71276 abitanti), dove storicamente i sindaci uscenti vengono mandati a casa, il sindaco uscente Vittorio Voglino abbandona al primo turno, con un magro 32,84 per cento, la poltrona di primo cittadino allo sfidante sostenuto da Fi, An e Lega Nord Giorgio Galvagno, che ha conseguito il 56,18 per cento dei suffragi. Altra importante sfida vinta per Lega Nord e Cdl ad Alessandria (85349 abitanti), dove il candidato Pier Carlo Fabbio scalza al primo turno l’attuale sindaco di centro sinistra Mara Scagni, che non ha certo brillato come amministratore della città soprattutto in tema di sicurezza, e che viene mandata a casa con un inglorioso 33,6 per cento. Nel cuneese, infine, soprattutto nei piccoli centri, la Lega Nord riscuote ottimi risultati attraverso le locali liste civiche.
«Il risultato in Piemonte è davvero ottimo - commenta il segretario nazionale piemontese della Lega Nord Roberto Cota e il nostro Movimento sta avanzando elezione dopo elezione. La Lega nel Piemonte orientale è molto forte: pensiamo al 20,6 che abbiamo ottenuto a Novara, al 18,6 della Provincia di Vercelli, alla vittoria di Domodossola, con un sindaco che farà da catalizzatore di tutte le varie ossolane. Ancora buono il dato di Omegna, con la crescita del 3,2 per cento. Poi abbiamo un buon risultato ad Alessandria città e nel cuneese, con le liste civiche di ispirazione leghista. Tutto questo mi fa ben sperare per la strategia di attacco nei confronti di Torino. Ho sintetizzato questa strategia in una battuta: le rivoluzioni partono sempre dalle campagne. Ora dovremo concentrarci per il nostro prossimo obiettivo: sferrare l’attacco elettorale a Torino».
A questo proposito, il segretario provinciale torinese del Carroccio, Stefano Allasia ha affermato che ci si possa «ritenere sicuramente soddisfatti del risultato elettorale». «I meriti della politica della Lega Nord - continua Allasia - sono legati al mantenimento dei capisaldi, dei valori etici che il Carroccio persegue da sempre. Dai risultati finali risulta, soprattutto dove ha corso con il proprio c

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Vercelli, parla Buonanno

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Alle elezioni provinciali di Vercelli la Lega Nord vola e si afferma come secondo partito del territorio. Il Carroccio, qui trascinato dalla carismatica figura del sindaco di Varallo Sesia Gianluca Buonanno, è diventato un vero e proprio fenomeno politico. In Val Sesia, la Lega viaggia ormai intorno al 40% e, a Varallo Sesia, Buonanno viene riconfermato con una sorta di plebiscito l’80,86 per cento degli elettori ha votato il candidato leghista.
Sindaco Buonanno, qual è il segreto di un successo di questa portata?
«La campagna elettorale non si fa solo negli ultimi due mesi. Occorre lavorare per tutta la legislatura cercando di mantenere un buon rapporto con la gente e cercando di fare cose concrete. A parole ormai tutti fanno programmi magnifici. Poi però bisogna realizzarli e noi abbiamo fatto più di quello che avevamo promesso, riuscendo oltretutto a diminuire le tasse».
Varallo ha avuto una lunga tradizione di amministrazioni di sinistra. L’ideologia fine a se stessa non conta più nulla?
«Sì, tranne che per una piccola parte dell’elettorato. Credo che ormai sia risaputo che la gente vota per i risultati e per chi fa cose concrete».
Parliamo delle provinciali. Per la Lega risultati davvero sorprendenti...
«Direi che dal 4,6 per cento al 18,6 la differenza sia abissale. Siamo il secondo partito in assoluto nel territorio e il primo in Valsesia, che è il motore economico di tutta la Provincia, sia per quanto riguarda il turismo che l’industria. Io poi sono in Provincia da dodici anni e faccio il sindaco da quattordici: se mi votano, evidentemente, è perché abbiamo sempre fatto una politica che ha soddisfatto i cittadini. Sulla sicurezza, per esempio, anche se il governo centrale ci ostacola, abbiamo sempre fatto tutto il possibile per garantire i nostri cittadini».


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Liguria: importanti brecce nelle roccheforti della sinistra

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Bruzzone: «Il nostro segreto è stato una Cdl compatta ovunque»

Dopo il ciclone delle ultime amministrative le roccheforti del centrosinistra sul litorale ligure accusano il colpo e mostrano nelle loro mura le prime brecce. La Lega Nord ha saputo dare alla Cdl locale un prezioso contributo, candidando inoltre fra i consiglieri comunali e provinciali molti giovani sui 30 anni.
Se la corsa per la provincia di La Spezia l’ha vinta la sinistra, in quella di Genova la Cdl insidia il primato avversario mandando al ballottaggio il candidato Renata Oliveri col 46 per cento dei consensi. La sola Lega Nord, nell’ambito della coalizione, ha contribuito con un robusto 4,8 per cento. Quanto ai comuni, se nel capoluogo ligure la sinistra si conferma dal primo turno, la Lega conquista un seggio in consiglio comunale col 3,6 per cento. Stesso risultato anche a La Spezia, dove l’Unione ha vinto per il rotto della cuffia col fiato corto. Ma vari comuni assistono al trionfo del centrodestra. A Bordighera e Giovanni Bosio a vincere col 58 per cento per una lista unica Cdl che ottiene 13 consiglieri. A Ventimiglia vince Gaetano Sculino con un 52 per cento di cui un sostanziale 5 per cento è dovuto al Carroccio, che conquista un consigliere. A Rapallo si va invece al ballottaggio con la Cdl nettamente in testa con un 46 per cento. I buoni risultati premiano il duro lavoro dei militanti liguri, cehe spesso affrontano situazioni non facili. Sentiamo il bilancio politico tracciato dal segretario nazionale della Lega Nord Liguria, Francesco Bruzzone.
«Il nostro segreto - ci dice - è stato partire con una Casa delle Libertà compatta ovunque. Il dato complessivo indica veramente una martellata, una bastonata come dice Umberto Bossi, data al centrosinistra». E spiega: «Una bastonata che in alcuni casi è andata a compimento. Ovvio che siamo in una realtà di sinistra, ma considerato che i sondaggi davano agli avversari una vittoria sul 60 per cento, poi hanno vinto, come a Genova e La Spezia, per poco, per un 51 per cento circa. É chiaro che hanno perso molti voti. E fra l’altro ricordo che per la provincia di Genova andiamo al ballottaggio». Bruzzone sottolinea inoltre come l’elezione a consiglieri di uomini della Lega sia preziosa e passa poi in esame alcuni esempi virtuosi: «Prendiamo per esempio Ventimiglia. Comune storicamente di sinistra dove la Cdl ha vinto e dove la Lega ha raddoppiato i suoi voti. Non solo avrà un proprio consigliere, ma anche un assessore in giunta. A Bordighera, dove essendo sotto i 15.000 abitanti si è presentata una lista unica di coalizione, abbiamo preso un altro consigliere. Buona la situazione anche ad Altare e Arenzano, dove entra il nostro primo consigliere dal 1993». Il giudizio del segretario è decisamente positivo circa i risultati raccolti dai suoi militanti. «Non c’è dubbio - dice - rispetto agli anni scorsi la Lega in Liguria sia nel complesso aumentata in modo molto significativo. Si pensi che dal 1993 la Lega non aveva più a La Spezia eletti negli enti. Stavolta ne abbiamo uno in comune e uno in Provincia». Approfondendo l’attenzione sul caso di Rapallo, ecco emergere poi una doppia sconfitta per il centro sinistra: «Nel caso di questa bella città costiera, il centrodestra va al ballottaggio, ma con una lista civica che non è affatto di sinistra. In tal caso l’unione è proprio out». Molti risultati vanno poi letti anche a livello di area locale, perchè anche in Liguria si evidenzia la tendenza della Lega a racc

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Domodossola: «Siamo credibili»

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Anche sui pendii della Val D’Ossola la vittoria del candidato sindaco leghista Michele Marinello ha il sapore del plebiscito. Di quel notevole 60 % di voti raccolti a Domodossola dalla coalizione della Cdl, la Lega Nord da sola ha contribuito con oltre l’11 %, vale a dire il doppio dei consensi rispetto alle precedenti elezioni.
Il giovane Marinello, che ha 34 anni, ci spiega come è nato questo successo.
«Anzitutto - spiega - abbiamo proposto persone credibili. Persone che da anni si danno da fare sul territorio e lavorano in mezzo alla gente. Inoltre la Lega è tornata a fare la Lega, cioè torna a parlare dei temi delle origini». Il neo-sindaco, deciso ed energico, approfondisce i retroscena politici della vittoria: «É stato fondamentale battere sui temi come la sicurezza, l’immigrazione e le radici, che da sempre ci contraddistinguono. Ma c’è anche da considerare che il nostro principale avversario, la sinistra, si è in pratica disgregato. Sono allo sbando, questa provincia è amministrata da gente che no sa da che parte girarsi. La regione poi si è dimenticata di noi, non sa nemmeno dov’è la Val d’Ossola».
La nuova giunta, pur scaturita da una coalizione, sarà improntata ai valori della Lega, dato il ruolo preminente del nostro movimento nel legare le liste che hanno sostenuto il neo-sindaco. Così Marinello ci tratteggia il quadro dell’alleanza: «Siamo una coalizione di otto liste, cioè tutta la Casa della Libertà, più un movimento che si chiama ’Per l’autonomia dell’Ossola’, che riprende alcuni valori della Lega e anche della storica Uopa. E per finire due liste civiche, una di giovani, una di cattolici».
Marinello è succeduto a un sindaco di Forza Italia, nella cui giunta il giovane leghista era presidente del Consiglio comunale. Ora guiderà il paese all’insegna del Carroccio. «Avendo tre consiglieri leghisti, oltre al sindaco, potremo veramente porre i nostri temi al centro dell’attenzione, per il bene di questa magnifica valle».
Mirko Molteni

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Sarkozy sbarra la porta alla Turchia

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La Francia conferma il suo «no» all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, anche se il presidente Nicolas Sarkozy cerca per il momento di evitare una brusca frattura con Ankara inviando un proprio emissario ad Ankara. Lo ha rivelato ieri il quotidiano «Le Figaro», secondo cui il consigliere diplomatico di Sarkozy, nonchè ex ambasciatore a Washington, Jean-David Levitte, è volato domenica nella capitale turca per cercare di salvaguardare le relazioni tra i due Paesi. Noto come fine diplomatico, Levitte avrebbe spiegato che la Francia non intende porre il veto all’apertura, fissata per il 26 giugno, di tre nuovi capitoli negoziali tra l’Ue e la Turchia.
Tuttavia, al Consiglio europeo di dicembre, una volta conclusa la presidenza portoghese dell’Unione, Sarkozy sarebbe intenzionato a ridiscutere seriamente il dilemma dei confini dell’Europa. Pare che il capo dell’Eliseo intenda la creazione di un gruppo di lavoro incaricato di definire le frontiere dell’Ue. Il presidente francese vorrebbe rilanciare quindi una «profonda riflessione» sulla cosiddetta «politica di vicinato». Un modo per prendere alla larga quello che è il problema fondamentale. Cioè che la Turchia è da sempre Asia e non potrà mai essere veramente Europa.
É vero comunque che il neoinsediato Sarkozy fa di tutto per non agitare le acque. Tanto che lo scorso 24 maggio ha telefonato al premier turco Recep Tayyip Erdogan, per poi mandare l’ambasciatore Levitte in missione. Il quotidiano francese riporta a tal proposito le indiscrezioni dell’Eliseo: «Si tratta di trovare un percorso che non spezzi l’Europa in due, nè i rapporti franco-turchi. Noi siamo alla ricerca di questo percorso». Stando a «Le Figaro», la cautela del presidente - che pure ha fatto del no all’ingresso della Turchia in Europa uno dei pilastri della sua campagna elettorale- è dovuta al fatto che vuole evitare uno scontro con gli altri Paesi mentre tenta di arrivare a un compromesso su un nuovo Trattato che renda efficiente e funzionale l’Europa a 27. Nella fattispecie, dall’Eliseo fanno sapere: «Il Trattato semplificato è la priorità. Non si può mescolare la questione delle frontiere con quella del Trattato semplificato».


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A ciò si aggiunge il problema delle elezioni anticipate in Turchia, fissate per il prossimo 22 luglio. Se arrivasse ora un veto francese ai negoziati con Ankara, lo si potrebbe interpretare come un’ingerenza potenzialmente destabilizzante nel dibattito interno in Turchia.
Il nodo dell’adesione di Ankara all’Unione Europea, d’altra parte, divide Sarkozy dal premier italiano Romano Prodi, col quale il presidente francese si è incontrato l’altroieri. I due leader si sono visti a Parigi discutendo di numerose questioni in vista del vertice del G8 di Heiligendamm, in Germania, previsto fra il 6 e l’8 giugno. Hanno parlato, fra l’altro, del problema delle valute asiatiche sottovalutate, del dollaro debole e dell'euro forte, tantopiù che pare che il G8 si occuperà poco o per nulla di questi temi. Italia e Francia hanno obiettivi comuni per riformare le istituzioni comunitarie, salvando dalla vecchia bozza di Costituzione Ue i punti fondamentali, e per unire intorno a un tavolo i Paesi europei del Mediterraneo. In occasione del vertice bilaterale è stata anche annunciata la determinazione italo-francese a portare a casa un accordo sul trattato semplificato, in concomitanza col Consiglio europeo di giugno.
Sul discorso della Turchia, Sarkozy ha ribadito: «Non si tratta di ostracismo, ma del fatto che l'Europa debba definire i propri confini. Ed è un problema, quello dei confini, di ciò che vogliamo sia l'Europa, che si porrà anche nei confronti dell'Ucraina».
Opinioni diverse da quelle di Prodi. Ma di fatto Roma e Parigi sembrano in sintonia sulla volontà di riformare l’Ue. Ad esempio creando un ministro degli Esteri europeo e superando la votazione all'unanimità sulle questioni importanti, per evitare effetti paralizzanti del diritto di veto. Date le difficoltà della costituzione europea riprende quota l’idea di «mini-trattato», poi ribattezzato «trattato semplificato». L’apparente sintonia italo-francese non si ferma ai confini europei. L'idea prevalente che pare accomunare l’Eliseo e Palazzo Chigi è di creare un nucleo di Paesi Ue, sulla sponda Nord del Mediterraneo, che poi sia in grado di instaurare un dialogo strutturato con i Paesi della sponda meridionale. Fatti salvi i confini dell’Unione cari a Sarkozy.
Mirko Molteni

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AN canta vittoria

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Persino uno storaciano come Carmelo Briguglio esulta: «Il successo dei sindaci di An a Latina e Rieti e l'affermazione plebiscitaria di Scopelliti a Reggio Calabria sono un indicatore significativo: la destra italiana possiede la cultura di governo e le risorse umane per rendere sempre più competitiva e al passo con i tempi la proposta politica del centrodestra». Gli fa eco, soddisfattissimo, Ignazio La Russa: «Il successo di Alleanza Nazionale e della Cdl va al di là di ogni più rosea aspettativa. A Monza e a Varese, a Como e a Verona, a Vicenza e a Vercelli, ma anche i centri più piccoli come Melegnano, e la stessa Crema che veniva da due mandati sotto il centrosinistra, sono conquistati dal centrodestra». E il presidente dei deputati di An aggiunge: «Ovunque l'onda della Cdl travolge l'antica consuetudine di votare a sinistra. La valenza politica di questo voto oltre che nell'alto numero degli elettori chiamati a votare sta proprio nell'eccezionalità dei risultati. Prodi non può far finta di non vedere. Dal Nord, ma non solo, arriva un inequivocabile segnale di sfiducia al suo governo». E si canta vittoria anche in provincia di Roma, esulta il presidente della Federazione dei circoli di Alleanza Nazionale proprio della provincia di Roma, Francesco Lollobrigida per la vittoria a Civitavecchia: «Vince il buongoverno, vince Gianni Moscherini. È la dimostrazione che la politica delle cose concrete è apprezzata dai cittadini. Il centrodestra lo scelse quale presidente dell'Autorità portuale e il suo lavoro nei cinque anni di presidenza ha permesso al porto di Civitavecchia di ottenere risultati strepitosi. La città lo ha capito e lo ha premiato con una schiacciante vittoria». E aggiunge: «A solo un anno di distanza dalla vittoria alle elezioni amministrative del centrosinistra Civitavecchia boccia inesorabilmente quella coalizione, nonostante i tentativi di Gasbarra, Marrazzo e Prodi di condizionare il voto con nomine dell’ultima ora». Uguale euforia a Sud: «Tornata elettorale estremamente positiva per Alleanza Nazionale in provincia di Palermo - dice Giampiero Cannella, il presidente provinciale di An - Con il contributo che abbiamo dato alla vittoria di Diego Cammarata e con una tenuta del partito in corrispondenza di un numero record delle liste. Ottimi risultati - aggiunge Cannella - raggiunti anche in provincia, dove An conquista quattro sindaci. Oltre a Campofelice di Fitalia, con Maurizio Cutaia, e a Mezzojuso con Giuseppe Cannizzaro, registriamo oggi anche la vittoria in due comuni diventati simbolo della lotta alla mafia come Villabate, con Gaetano Di Chiara, e Corleone con Nino Iannazzo. Questi risultati - conclude Cannella - sono il sintomo di un partito in salute, che promuove una classe dirigente giovane, capace di interpretare i tempi e con idee chiare». E le somme le tira il vicepresidente dei senatori di An, Domenico Nania: «Chi nella sinistra parla di pareggio fa sorridere e dimostra tutta la disperazione che lo pervade. Il trend dei voti che vanno al centrodestra in questa tornata di amministrative fa ritenere che se oggi si fosse votato per le politiche il centrodestra avrebbe vinto con un risultato vicino al 60%. Questa è la pura verità che i cittadini debbo conoscere per evitare che qualcuno provi a ingannarli».

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Ad Avezzano trionfa il centrodestra

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Antonio Floris raddoppia. Il centrodestra compatto si conferma alla guida dell’amministrazione comunale di Avezzano con un risultato eclatante (oltre il 62%), che vede il sindaco uscente trionfare con le sue dieci liste sullo sfidante Gino Milano, sostenuto dall’Unione con sei liste. La capitale della Marsica, dunque, si mantiene roccaforte della Casa delle Libertà, aumentando i consensi (nelle consultazioni del 2002 Floris aveva vinto al primo turno con il 53%) e riconoscendo nuovamente a Forza Italia il ruolo di partito-guida della coalizione. Un dato politico sicuramente significativo, che la dice lunga sulle enormi possibilità di successo di una Cdl unita e compatta in tutte le sue componenti, che ad Avezzano vedeva schierate insieme le squadre di Fi, An, Udc con Patto liberaldemocratici, Lega, Liberàl Abruzzo, Dc per le Autonomie, Alternativa per l’Abruzzo con Alessandra Mussolini, la civica Partecipazione e sviluppo. Senza tralasciare l’appoggio dell’Italia di Mezzo, che ad Avezzano è scesa in campo a sostegno della Cdl. Grande soddisfazione per il sindaco riconfermato. «Sono felice — esordisce Antonio Floris — perché gli avezzanesi hanno voluto premiare il progetto politico del centrodestra e il lavoro svolto in questi cinque anni, riconoscendosi pienamente nelle scelte dell’amministrazione comunale. Ripartiremo subito dal programma, già in parte attuato nel precedente mandato e arricchito con nuove proposte e suggerimenti di ciascun gruppo, per dare ulteriori risposte alle esigenze dei cittadini e ripagarli della fiducia che hanno voluto accordarci». In lizza con una civica, come aspirante primo cittadino, anche Vito Taccone, noto campione di ciclismo. «Il camoscio d’Abruzzo» ha accettato sportivamente la sconfitta. Grande savoir faire di Gino Milano, che in serata si è recato in Municipio per augurare personalmente buon lavoro a Floris.
STEFANIA MARINI

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Rieti, il centrodestra trionfa con Emili

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IL CENTRODESTRA si riconferma alla guida del Comune di Rieti. Lo fa con Giuseppe Emili che avrebbe raggiunto (dati delle 22 di ieri) un risultato simile a quello che lo incoronò successore di Antonio Cicchetti nel 2002. Un 53% dei voti circa che spazza via dubbi, tensioni e che, ancora una volta come successe cinque anni fa, sembra aver già innescato la «resa dei conti» dentro l'Unione dove i primi a finire sul banco degli imputati per mano degli stessi alleati sono i futuri coinquilini del Partito Democratico, Ds e Margherita. Neanche Gaetano Papalia, imprenditore e proprietario dell'amatissima Sebastiani squadra di basket locale, è riuscito nell'impresa di condurre alla vittoria quel centrosinistra reatino afflitto ormai da almeno un decennio dall'incapacità cronica di costruire un'alternativa credibile alla Cdl. Giuseppe Emili si è dimostrato più forte, più convincente e forse più «normale» di quel Gaetano Papalia ricco e vincente che all'indomani della vittoria alle primarie sullo sfidante ex presidente della Provincia Giosuè Calabrese era stato celebrato come l'uomo nuovo che avrebbe portato alla riscossa il centrosinistra. Giuseppe Emili che sin dai primi giorni di campagna elettorale si era detto certo della vittoria al primo turno, ha avuto ragione. Non si è fatto intimorire neanche da quel terzo polo guidato dall'ex Sindaco Paolo Tigli, autore di una campagna elettorale giocata diversamente degli altri, impostata sul basso profilo e su toni pacati, che alla fine però gli ha portato in dote niente di più di quello che ci si attendeva. Un 2% circa che non fa gridare all'exploit e che, a questo punto, non servirà neanche per svolgere il ruolo di «ago della bilancia» in un ipotetico ballottaggio. Rivince il candidato di An e del centrodestra Giuseppe Emili che spesso e volentieri nei comizi si è scagliato contro l'Unione per le «promesse non mantenute» negli ultimi anni. Giuseppe Emili non ha promesso la luna, ma ha raccontato ai suoi concittadini l'orgoglio di aver svolto un'ottima ordinaria amministrazione, utile anche quella per il futuro. E i cittadini, a quanto pare, hanno apprezzato il lavoro degli ultimi anni e, forse ancora di più, non hanno creduto alla rivoluzione promessa dall'Unione.
MARCO FUGGETTA

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Latina, si riconferma Zaccheo

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SOLO contro tutti. Vincenzo Zaccheo, sindaco uscente di una città ex giovane, si conferma al governo di Latina con la Casa delle Libertà malgrado il progetto di chi puntava a detronizzarlo. Zaccheo infatti vince contro il centrosinistra che aveva schierato il candidato Maurizio Mansutti, già sindaco e vincitore delle primarie dell’Unione, ma anche contro i dissidenti del centrodestra, Fabrizio Cirilli, ex di An, sceso in campo come «L’altra faccia della politica» e Nando Cappelletti con la civica «Latina Sociale». A completare la rosa altri quattro concorrenti: Alessandro Catani, con la «Lista per Latina», architetto, ex democristiano, fermato nella sua brillante carriera politica da inchieste giudiziarie; Ruggero Mantovani, già consigliere comunale in corsa con la lista «Alternativa Comunista», Antonio Flamini per la Democrazia Cristiana, il generale Carmine Bennato, candidato per la lista «Italiani nel mondo». Quando sono stati scrutinati i voti di 18 sezioni su 115 la percentuale a favore di Zaccheo è del 52,1% contro il 20,8% di Mansutti e il 20,4% di Cirilli. Anche l’affluenza alle urne sembra in controtendenza rispetto al resto d’Italia: a Latina, secondo quanto riportato dal Viminale, l’affluenza è stata pari all'82.393% degli aventi diritto contro l’81.733% nelle precedenti amministrative. Probabilmente non si arriverà alle percentuali bulgare della scorsa tornata quando Zaccheo venne eletto sindaco al primo turno con 48.653 voti su un totale di 74.883. «È presto, bisogna aspettare ancora - dice con la massima cautela il commissario di An Silvano Moffa - ma il dato che arriva in questo momento sembra escludere il rischio ballottaggio, proprio la situazione a cui aspiravano gli altri candidati». Lo stesso leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, lo scorso mercoledì nell’affollato palazzetto dello sport, aveva lanciato Zaccheo assicurandogli, tra gli applausi, che «né i personalismi né qualche schizzo di fango gratuito ti impedirà di continuare a governare questa città». I personalismi, erano riferiti a Cirilli, in giunta fino a pochi mesi fa, uscito in aperta polemica con il suo partito che accusa di scarso coinvolgimento della base, fortemente sostenuto in questa campagna elettorale dall’ex sindaco Ajmone Finestra, vice-presidente anziano della Unione Combattenti della RSI. Insomma, la Casa delle Libertà sembra riconfermarsi alla guida della città, grazie a cinque anni di consiliatura che ha visto la programmazione di progetti, iniziative e grandi opere destinate a confermare Latina come la città più importante del Lazio dopo Roma. I cittadini di Latina non hanno ascoltato i leader dell’Unione, da Fassino a Rutelli, scesi in campo per sostenere il loro candidato, né l’appello finale degli altri sette candidati che sulla tv nazionale descrivevano Latina come una città «degradata, abbandonata, terra di interessi tutti contro la gente». È stato invece il programma che ha convinto i cittadini a ridare fiducia al sindaco: un nuovo piano, le infrastrutture, con il porto, la metropolitana leggera e l’aeroporto, il terzo aeroporto civile del Lazio che dovrebbe allegerire Ciampino di alcune tratte low coast. E poi il rilancio della Marina, sono 14 i chilometri di costa della città ex giovane, il potenziamento dell'Università, le politiche ambientali, la cultura, il turismo e i servizi con particolare attenzione ai giovani, alla terza età e alle categorie produttive. L’obiettivo di Zaccheo è uno solo: rendere Latina, capoluogo vast

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Borse/ Il crollo della piazza cinese mette paura all’Europa

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“Visto che non lo capiscono con le buone, passiamo alle misure forti”: è più o meno questo il ragionamento che hanno fatto le autorità governative cinesi, pensando agli investitori locali e internazionali che continuano a pompare i listini di Shangai di nuova liquidità trascinando le quotazioni in boom senza fine (+200% nell’ultimo biennio, +60% nei primi quattro mesi del 2007).

Così, nel corso di una sola notte, il ministro delle finanze cinese ha triplicato la tassa di bollo sugli scambi azionari dallo 0,1% allo 0,3%. Shangai ha chiuso la seduta in calo del 7,02%, trascinando al ribasso tutte le altre piazze dell’area Asia/Pacifico. Le autorità cinesi temono la formazione di una bolla sull’azionario e soprattutto i rischi che uno sgonfiamento improvviso potrebbe generare sull’economia locale.

Il crollo dei listini asiatici ha influenzato le borse europee: da Milano a Londra, a Parigi, tutti i listini hanno aperto la seduta in calo frazionale, nonostante lo scatto finale che ha contraddistinto ieri i listini americani.

>>Da: andreavisconti
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A Piazza Affari, il Mibtel apre lasciando sul terreno lo 0,47% a 33.441. Stessa sorte per l'S Mib che parte in flessione dello 0,53% a quota 42.740. E in Europa i valori sono più o meno gli stessi: dopo i primi scambi, Amsterdam cede lo 0,65%, Zurigo lo 0,71%, rancoforte lo 0,89%, Madrid lo 0,53% e Parigi lo 0,74%. Non va meglio a Londra, dove il FTSE cede lo 0,46%.

Gli analisti non si mostrano particolarmente preoccupati. “Il calo di oggi non è paragonabile allo scivolone del mercato cinese di febbraio”, ha affermato Kim Joong-hyun, analista di Goodmorning Shinah Securities di Seoul. I mercati stanno mostrando che l’impatto della Cina non sarà di lunga durata”.

Diversa l’opinione di Alan Greenspan: l’ex-presidente della Federal Reserve da settimane caratterizza tutti i suoi interventi pubblici con accurati appelli alla prudenza sulla Cina. L’uomo più considerato dagli analisti internazionali vede concreti rischi di “una brusca frenata” e teme una conseguente fase recessiva per tutte le economie mondiali.

Luigi dell'Olio

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Il Partito democratico s’aggrappa a Genova, il nord tutto alla Cdl

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Nell’Unione allarme padano. Per la sinistra radicale all’Aquila e a Taranto si vince con candidati non moderati

Duole il nord, al centrosinistra. La spallata non c’è stata, anche perché, come con fortunata definizione ha detto Renato Schifani, risultati alla mano, “sono l’inizio di una spallata”, una finta insomma. Ma nonostante la destrezza fisico-politica del capogruppo forzista al Senato, nella maggioranza non hanno granché da festeggiare. Sì, lo scampato pericolo di Genova (ma con una riconquista più faticosa del previsto), ma in ogni altra landa nordista si segnalano o fatica o sconfitta, quasi nessuna soddisfazione. Il nord era difficile per il centrosinistra, adesso è diventato difficilissimo. Perciò, ogni commento dalla maggioranza al voto di ieri era così formulato: a) la spallata non c’è stata, b) però laggiù al nord… Anzi, alcuni più allarmati saltano direttamente il primo punto. I rappresentanti del centrodestra, come Roberto Formigoni parlano ovviamente di “vittoria travolgente della Cdl”, ma pure il segretario lombardo di Rifondazione, Alfio Nicotra, è perentorio: “L’Unione cambi strada”. E ammette che “l’astensionismo questa volta ha una chiara impronta di sinistra”. E il Prc appare il partito più preoccupato, al momento, dell’esito elettorale. Per molte ore Franco Giordano è stato l’unico leader della maggioranza a spendere pubblicamente qualche parola sui risultati: “C’è un problema serio al nord e secondo me questo problema si chiama operai e lavoro dipendente”. Renzo Lusetti, della Margherita: “Esiste un deficit di consensi al nord per cui è opportuno che il centrosinistra affronti con forza il problema”. Solo il ministro diessino Vannino Chiti prova a usare una maggiore cautela, a sfumare la questione: “Ci sono delle città importanti in cui si indica per il centrosinistra un problema che sussiste al nord…”. Ma alcuni dati sono impressionanti, consensi ai partiti dell’opposizione spesso sopra il 60 per cento, e non solo in zone dove da tempo la sinistra è minoranza, ma anche, per esempio, ad Alessandria, che ha alle spalle tutta un’altra storia politica. E se al comune di Genova è andata, non è successo lo stesso in provincia, dove il candidato del centrosinistra sarà costretto a un inaspettato ballottaggio. In sintonia con Chiti, a riprova che i Ds tra tutti i partiti che sostengono Prodi sono quelli meno propensi a rimarcare il dato politico di maggior difficoltà, Silvana Amati, responsabile Enti locali di via Nazionale: “Dove il centrodestra si presenta unito, noi perdiamo”. Non che manchi qualche soddisfazione, come ad esempio a Parma, dove praticamente sono finiti in pareggio i due candidati (quello di centrodestra era favorito), e in fondo anche la perdita di Verona era considerata abbastanza possibile, anche se la sconfitta per il centrosinistra, che ha governato in questi anni, ha avuto proporzioni inattese. Ammette il capogruppo dell’Idv, Massimo Donadi, “il calo del consenso al nord, in particolare a favore della Lega”. I prodiani, invece, fanno sfoggio di particolare entusiasmo. Franco Monaco, per replicare all’opposizione, preferisce, diciamo, la saggezza popolare: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Vertice ad Arcore
Ma c’è un altro fronte, più interno alla stessa maggioranza, persino sui risultati decisamente positivi di città come L’Aquila e Taranto. Una questione che ieri si faceva notare in certi commenti e che, c’è da scommettere, riproporrà la solita polemica tra riformisti e radicali. Perché l’ala sinistra – dai verdi agli scissionisti diessini – si sono affrettati a mettere il cappello su questi risultati. Il sottosegrario Paolo Cento sottolinea che “alcune candidature della sinistra alternativa volute dai partiti a sinistra del Pd hanno avuto uno straordinario successo”, e quindi, è una “bugia che le elezioni si vincono con i candidati moderati”. E pure la capogruppo a Montecitorio della Sinistra democratica mussiana, Titti Di Salvo, si affretta a elogiare i “candidati ‘di sinistra’, con un profilo politico chiaro” che riscuotono più successo degli altri del centrosinistra. Tutta un’esultanza alla quale, appunto, non si associa né Rifondazione né Fausto Bertinotti, anzi il presidente della Camera è molto cauto: “Serve un’analisi approfondita per capire le ragioni ed evitare giudizi troppo uniformi”.
Sul versante del centrodestra – dove i giudizi sul risultato vanno ben oltre la cautela di Schifani – c’è da registrare il vertice ieri sera ad Arcore tra il Cav. e il gruppo dirigente della Lega, particolarmente entusiasta. Entusiasmo che, maliziosamente, non tutti riconoscono all’Udc. Dopo il caso Agrigento – l’ex segretario del partito di Casini candidato del centrosinistra che vince a man bassa – già s’intravedono le prime (rinnovate polemiche). Ieri Mario Baccini, in diretta tv con Sandro Bondi, dati alla mano, ha rilanciato la nota polemica: “Non confonderei il leader di un’intera area politica vasta con il candidato premier…”.
IL FOGLIO

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Chi finanzia la Tav

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Perché non c’è bisogno di deroghe al tetto deficit/pil per le infrastrutture


Entro il 20 di luglio l’Italia dovrà comunicare a Bruxelles se e come intende finanziare il tunnel in val Susa per Lione, e il resto della tratta italiana della Tav da Lisbona a Kiev, a cui la comunità europea contribuisce per il 30 per cento. Sommando a quest’opera gli altri progetti europei di infrastrutture in cui l’Italia è interessata, come quello del Brennero, si arriva a 43 miliardi di euro in 13 anni. Paolo Costa presidente della commissione dei trasporti del Parlamento europeo ha chiesto che questi costi siano esclusi dal tetto del tre per cento nel rapporto deficit-pil stabilito dal trattato di Maastricht. Bruxelles dirà di no. Ma il tunnel in val Susa costa sei-sette miliardi di euro. Tolto il 30 per cento a carico dell’Europa, si tratta di cinque miliardi. I 43 miliardi di progetti europei in 13 anni comportano un onere annuo di 3,3 miliardi: importi sostenibilissimi dal bilancio italiano. Ma non è questo il punto. Originariamente i progetti Tav dovevano essere attuati con il project financing, da operatori privati e Infrastrutture spa della Cassa depositi e prestiti al di fuori del bilancio statale. Il ministro Antonio Di Pietro ha annullato retroattivamente i contratti Tav con i privati bloccando i cantieri e Infrastrutture spa è stata sciolta, mentre il tesoro si è addossato i suoi finanziamenti alle Ferrovie. Ma nel frattempo, per il finanziamento delle infrastrutture si sono fatte avanti le grandi banche, direttamente e tramite il Fondo F2i cui partecipano assieme a fondazioni bancarie, fondi di investimento e la Cassa depositi e prestiti. Dunque a questo punto per le grandi opere esistono una tale quantità di strumenti che non serve ricorrere al debito pubblico.

IL FOGLIO

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Il signor Napolitano

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Se il capo dello stato telefona ai sindaci per convincerli, lo stato non c’è più


L’atto di generosità e di umiltà personale col quale il presidente della Repubblica ha cercato di porre riparo alla catastrofe ambientale della Campania è senza dubbio degno di rispetto e persino di ammirazione. Giorgio Napolitano ha messo in campo il rispetto dovuto alla sua persona più che alla sua carica, nell’estremo tentativo di riaffermare che anche ad Acerra lo stato deve esistere e farsi ascoltare. Secondo la definizione costituzionale il capo dello stato è “irresponsabile”, non porta cioè la responsabilità personale della politica che conducono i governi e i ministri, nonostante ne controfirmi gli atti e ne promulghi le leggi. E’ stato dunque il cittadino Giorgio Napolitano a sentire la responsabilità di dover fare e dire qualcosa per opporsi al degrado ambientale, ma anche politico e civile, della sua regione di origine. Questo fatto straordinario mette in evidenza che chi la responsabilità, formalmente e concretamente, dovrebbe averla, non la esercita o addirittura, com’è nel caso del ministro “responsabile” dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, la usa per soffiare sul fuoco dei cassonetti incendiati dagli irresponsabili. La paradossale polemica tra il ministro e il presidente della regione, Antonio Bassolino, sugli inceneritori, se non fosse che si svolge in una situazione tragica, sarebbe ridicola. I principali colpevoli della resa dello stato ai rifiuti non hanno titoli per accusare, dovrebbero solo tacere e se avessero un po’ di senso del pudore, dimettersi da cariche che occupano senza efficacia.

IL FOGLIO

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Vittorugo Mangiavillani: Se Di Pietro ritira la fiducia a Visco

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
La decisione di Antonio Di Pietro di far presentare questa mattina al Senato dall'Italia dei valori una mozione con la quale si impegna il governo a ritirare la delega al viceministro Vincenzo Visco sulla Guardia di finanza, potrebbe aiutare la navigazione ormai a vista di Romano Prodi in questa vicenda che appare sempre più grave e che dopo le prime anticipazioni di oltre una settimana fa del Giornale, si arrichisce ogni giorno di più di particolari inediti e ancora più imbarazzanti per Visco e per il governo. L'ipotesi di imporre una tregua fra il viceministro delle Finanze e il comandante generale delle Fiamme gialle Roberto Speciale era già stata ventilata da esponenti di primo piano della maggioranza al premier: avrebbe permesso da subito di raffreddare il clima e togliere dall'impaccio il governo in attesa che la procura della Repubblica di Roma e la procura militare decidano che nessun reato fu compiuto dal viceministro - così si augurano - in linea con quanto già è avvenuto a Milano che ha chiuso l'anno scorso, dopo pochi mesi, le indagini. Anche l'opposizione, come aveva sostenuto per primo il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, avrebbe accettato una soluzione in tal senso. Ma Visco non ha mai accettato fino a ora di rinunciare, almeno formalmente, ad una delle deleghe affidategli da Tommaso Padoa-Schioppa. Il ministro dell'Economia e della Finanze l'anno scorso gli consegnò "il potere di direttiva (...) nei confronti della Guardia di finanza", ma nello stesso atto si spiegava che Visco "esercita tutti i poteri delegati ai sensi del comma 2". Un comma nel quale si dettagliano i confini della delega: "L'Esercizio di tuti i poteri inclusa la firma di atti e provvedimenti, l'attribuzione e la revoca di nomine ed incarichi previsti dalle disposizioni vigenti in ordine al Dipartimento per le politiche fiscali, alle agenzie fiscali, alla Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, al Secit, alla Scuola superiore dell'Economia e delle finanze". Nessuna previsione, quindi, del potere di nomina o trasferimento nella Gdf.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
L'iniziativa dipietrista riapre la questione, si aggiunge alla mozione quasi identica già presentata dalla Cdl ed appare, appunto, come una delle vie d'uscita che ha il governo fino al 6 giugno prossimo, data in cui al Senato verrà discussa e, forse, votata. Un dibattito in Aula, comunque, è una ipotesi che molti nell'Unione vorrebbero scongiurare: troppe lettere, troppi atti e documenti, troppi testimoni per ritenere che, comunque si esprimano i senatori, la vicenda possa essere chiusa. Si lavora allora a un atto di "responsabilità" del viceministro che in fin dei conti dovrebbe rinunciare "soltanto" al comma tre della delega, ben poca cosa rispetto ai guasti di uno scontro politico sempre più aspro fra maggioranza e opposzione e, purtroppo per il viceminsitro, anche all'interno del centrosinistra. Il braccio di ferro, fra l'altro, sta rendendo la posizione del comandante delle Fiamme gialle sempre più forte. Se da un lato almeno due generali di corpo d'armata, Gianni Botondi e Mauro Del Vecchio, aspirano a sostituirlo, dall'altro nell'esercito e nei corpi di Polizia speciale ha visto aumentare il proprio carisma. E ogni ipotesi di sostituzione o avvicendamento potrebbe apparire come una vera e propria ritorsione.

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Shimon Peres candidato alla presidenza di Israele

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Shimon Peres è candidato alla presidenza dello stato di Israele per quello che, ha affermato, sarà forse il suo ultimo contributo al servizio del paese. Il vice primo ministro israeliano, e premio Nobel della pace, 83 anni, ha annunciato la sua decisione stamani, durante una riunione del gruppo parlamentare Kadima, il partito centrista del premier Ehud Olmert, di cui è membro. Peres ha precisato di avere con la sua scelta aderito "alla domanda di numerosi israeliani, tra i quali il primo ministro, deputati e gente del popolo". Il voto in Parlamento per l'elezione del nuovo presidente è previsto tra due settimane. Il mandato del capo dello stato uscente, Moshe Katzav - che nell'elezione del 2000 si era imposto proprio su Peres - terminerà il prossimo mese di luglio. Ma già dalla fine di gennaio Katsav è stato sospeso, su propria richiesta, dalle sue funzioni, peraltro principalmente protocollari e di rappresentanza, in seguito alla vicenda di presunte molestie sessuali nella quale sarebbe coinvolto. Finora hanno annunciato di volersi candidare alla presidenza dello stato altri due deputati: Reuven Rivlin, del Likud, e la laburista Colette Avital.

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Piero Ostellino: Berlusconi, il voto e la democrazia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
La forza dei numeri

Questa tornata di elezioni amministrative e il successo del centrodestra sgombrano definitivamente il campo da tutte le illazioni che, negli ultimi tempi, erano emerse intorno ai Palazzi della politica e sulla natura delle inquietudini della società civile. L'intervista di Massimo D'Alema al Corriere, nella quale il vice- presidente del Consiglio e ministro degli Esteri aveva parlato di «crisi della politica», era stata interpretata come un tentativo non solo di stornare l'attenzione dalle difficoltà del governo, ma soprattutto come una sorta di auto-candidatura alla successione di Romano Prodi alla guida del Paese.
La sconfitta del centrosinistra fa ora apparire intempestivi, per non dire incauti, quei giudizi sulle intenzioni attribuite al presidente dei Ds. Analogamente, il discorso del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, era stato accolto, oltre che come un’anticipazione della sua personale «discesa in campo» analoga a quella di Berlusconi nel 1993-94, anche come una obliqua congiura del mondo economico-finanziario nella prospettiva di un governo «tecnocratico » e neo-centrista che, in qualche modo, facesse giustizia di politici inefficienti e di un sistema bipolare male in arnese. Il successo del centrodestra e la sconfitta del centrosinistra ripristinano il principio dell'alternanza che presiede anche a un bipolarismo come il nostro.
I media avevano riferito dell'una, dell'altro e delle interpretazioni che ne erano seguite, finendo essi stessi col diventare oggetto di una maliziosa curiosità che trascendeva la loro funzione istituzionale — che è quella, appunto, di dare le notizie — e attribuiva loro poteri e disegni di natura politica che non potrebbero coltivare, e tanto meno manifestare, anche se lo volessero, senza cadere nel ridicolo. La puntuale registrazione, da parte di tutti i media, dell'esito elettorale e i giudizi da essi pressoché unanimemente espressi cancellano ogni dubbio. La verità è che, con il successo del centrodestra, ha vinto la democrazia, esattamente come avrebbe vinto la democrazia se a vincere fosse stato il centrosinistra. Gli interpreti dei Palazzi della politica, quelli del mondo economico-finanziario e degli stessi media, nell'ipotesi che essi si avventurassero su un terreno che non è loro proprio, possono dire quello che vogliono e abbandonarsi alle più spericolate speculazioni, ma resta il fatto che, alla resa dello spoglio delle schede elettorali, in democrazia, contano i numeri, i voti.
Conta, per usare, un’espressione abusata, ma corretta, «la gente».
Che piaccia o no, Silvio Berlusconi è nuovamente e saldamente in sella dopo essere stato sconfitto solo un anno fa alle elezioni politiche semplicemente perché la maggioranza della «gente», nei comuni e nelle province dove si è votato, non solo al Nord, ma anche in larga parte del Sud, ha eletto i candidati del centrodestra. Si dice che, nei regimi illiberali e antidemocratici, l'autocrate che non piace al popolo si ingegna di cambiare il popolo, magari chiudendolo in un lager. In democrazia non è fortunatamente possibile. Suscita, perciò, qualche legittima perplessità anche il dibattito che di tanto in tanto affiora dentro il centrodestra sulla futura leadership della coalizione. Mentre sarebbe piuttosto interessante che, invece di pestare l'acqua nel mortaio della leadership, il centrodestra, con Berlusconi in testa, provasse a elaborare, e farci conoscere, una «certa idea dell'Ital

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Prova

>>Da: GORGON
Messaggio 7 della discussione
E'0 da ieri che non riesco ad entrare in com. Riprovo anche oggi.

>>Da: GORGON
Messaggio 2 della discussione
Ok.

>>Da: Leo
Messaggio 3 della discussione
Idem. Ma trovo difficoltà anche oggi.

>>Da: katia978
Messaggio 4 della discussione
Anche io ho avuto problemi di accesso da ieri.
Oggi, per entrare ho dovuto farlo tramite google.
K.

>>Da: paoloris
Messaggio 5 della discussione
Ormai ci ho fatto l'abitudine, non mi stupisco più.

>>Da: lasilfide
Messaggio 6 della discussione
Ieri ho provato diverse volte. Riuscivo ad entrare in comm., ma non riuscivo ad inserire messaggi. Oggi non riuscivo neanche ad entrare.
Per farlo ho dovuto fare un giro diverso, cercando la comm. su un motore di ricerca.

>>Da: John
Messaggio 7 della discussione
Idem.
J.

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Disastro elettorale: Prodi prova a fare la voce grossa, mentre cresce il ma

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Nella notte convulso vertice sul Pd: accordo sul segretario.
Intanto Veltroni prepara il blitz. E Mastella annuncia la crisi di governo
Roma - Il Partito democratico avrà (pare, forse) un segretario. Probabilmente ad ottobre, su indicazione di Prodi e con ratifica da parte dell’Assemblea costituente del Pd. E per raggiungere a tarda sera questa sorta di claudicante compromesso, Prodi e i capi dell’Ulivo hanno passato circa quarantotto ore a litigare, mediare, minacciare crisi di governo e abbandoni del campo. Il topolino è stato partorito dopo quattro ore di convulsa riunione (la prima) del comitato dei 45, allo stato l’unico organismo del Pd. Presenti Prodi, Fassino, Rutelli, Veltroni, ministri e capigruppo ulivisti e la piccola truppa di gastronomi e focolarine chiamata a rappresentare la «società civile» nel comitato, che seguivano ad occhi sgranati la surreale diatriba in corso. Rutelli chiedeva l’elezione diretta di un «leader vero», che separasse nettamente le sorti del governo e il ruolo del premier dalla conduzione politica del Partito democratico. Prodi non ne voleva sentir parlare, e minacciava: «Se volete un voto diretto, mi candido anch’io». Fassino tentava di mediare. A metà pomeriggio in casa ds c’era il panico: «Qui rischia di saltare tutto», il Pd ma anche il governo.
L’intervista di Romano Prodi a Repubblica ha irritato tutti, nella coalizione, per i toni ultimativi e minacciosi del premier: «Adesso basta. D’ora in poi cambia la musica. O si fa come dico io, o prendere o lasciare». Il segretario della Quercia Piero Fassino aveva ottenuto da Prodi l’apertura (contenuta nell’intervista) alla nomina di uno «speaker» del Partito democratico, a patto che non metta in ombra la sua leadership. Ma neppure Fassino si aspettava un’intervista di quel tenore: «Così si rischia di far precipitare la situazione», si è lamentato con i suoi. Ma il premier non ha certo abbassato i toni, convinto che battere i pugni sul tavolo accusando i partiti di rovinare il lavoro del governo sia l’unico modo per uscire dall’angolo: «Quell’intervista non era fatta per rasserenare gli animi, ma per dire quello che penso», ha spiegato.
Nella riunione del Comitato promotore del Pd si rischiava lo scontro frontale, tanto che Fassino ha cercato di convincere il premier a far saltare il vertice, ritardando il rientro da Varsavia. Senza riuscirci: «Io ci vado regolarmente, all’ora prevista», gli ha replicato Prodi via agenzie.
Dopo aver consultato il luogotenente prodiano a Roma, il ministro Santagata, Fassino ha sottoposto a Rutelli l’unica mediazione che aveva un mezzo assenso di Prodi: la nomina di un «portavoce» del Pd. Il leader della Margherita l’ha seccamente respinta. «Una proposta ridicola, a che serve?», l’ha liquidata con i suoi. Spalleggiato in questo dal resto del partito, da Franco Marini a Dario Franceschini, il capogruppo dei deputati dell'Ulivo cui i Ds hanno offerto la candidatura. «Ci vuole un leader vero, non un portavoce o portapalle: non può essere la stessa persona a guidare il governo e il partito, questo deve essere chiaro», è stato il ragionamento di Franceschini. Davanti al niet della Margherita, i Ds hanno convocato d’urgenza il loro ufficio politico, assenti D’Alema e Veltroni. «Rutelli vuol far saltare il banco, governo e

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Berlusconi e Fini concordano le mosse per far cadere Prodi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
L’ex premier: "È una situazione di cui si deve occupare Napolitano". Forza Italia: "Dopo il ciclone che si è abbattuto sul governo il Professore deve dimettersi"
Roma - «Temporeggiare» e «cercare l’affondo ai ballottaggi». Ma mettendo nero su bianco che il voto amministrativo «è un segnale di sfiducia verso Romano Prodi» al quale - recita un documento di Forza Italia - «chiediamo di dimettersi». A tre giorni dal voto Silvio Berlusconi continua ufficialmente a tacere. E se con gli alleati ragiona delle prossime mosse per cercare di monetizzare il successo elettorale, per bocca del partito formalizza a futura memoria quella richiesta di dimissioni che in più d’una occasione ha accarezzato l’idea di presentare direttamente al presidente della Repubblica. Il voto, si legge nel documento buttato giù dai vertici di Forza Italia dopo una riunione fiume a Palazzo Grazioli insieme al Cavaliere, «è un ciclone che si è abbattuto sul governo» il cui responso è «inequivocabile» e «non può restare senza conseguenze politiche». E in serata, al termine di una cena, lo dice chiaro: «È una situazione che deve essere modificata e risolta dal presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio».
Ma sugli sviluppi futuri l’ex premier non ha però alcuna certezza, se a pranzo lui e Gianfranco Fini concordavano sul fatto che «nonostante tutto il pallino del gioco è in mano alla maggioranza». Così, davanti alle prime crepe che si stanno aprendo in queste ore tra Prodi e i leader dei partiti dell’Unione, i due decidono che «al momento la via migliore è quella di prendere tempo». Anche perché, confida l’ex premier a un dirigente azzurro, «non dobbiamo far passare l’idea che vogliamo a tutti i costi accelerare cercando il muro contro muro altrimenti non otterremo niente». Insomma, l’ipotesi di salire al Quirinale per chiedere nuove elezioni al momento non sembra essere più in agenda come pure la ventilata manifestazione di piazza. Sulla quale, si dicono Berlusconi e Fini, «è meglio aggiornarci a dopo i ballottaggi». Anche perché «sarebbe tecnicamente impossibile organizzarla di qui a metà giugno».
Con la maggioranza che sta iniziando a digerire la debacle elettorale e pare lentamente avviata verso un vero e proprio redde rationem («ormai - confida ai suoi il Cavaliere - è questione se non di giorni, di mesi...»), l’obiettivo è quello di cercare di assestare altri affondi. Ma senza urlare. Il primo potrebbe arrivare già il 6 giugno, quando il Senato dovrebbe discutere la mozione di revoca delle deleghe al viceministro Vincenzo Visco. Ma la strategia, concordano Berlusconi e Fini, «deve essere d’ampio raggio». Così, «non possiamo non puntare sui ballottaggi, Genova primo fra tutti». Alla presidenza della Provincia, infatti, l’uscente Alessandro Repetto si è fermato sì al 49%, ma la candidata del centrodestra Renata Olivieri è arrivata al 46,3. Insomma, «neanche tre punti». Tant’è che sia Berlusconi che Fini non mancheranno di tornare a Genova per chiudere la campagna elettorale, magari insieme a Umberto Bossi che dai microfoni di Radio Padania ieri è tornato a ventilare l’ipotesi di «salire al Quirinale per mettere le carte in tavola». Sulla quale, però, il più scettico di tutti è stato Fini. «Ma che gli andiamo a dire? Non vorrei - obietta il leader di An durante il faccia a faccia con il Cavaliere - che riscrivessimo lo stesso copione di febbraio». L’attenzione, dunque, è focalizzata soprattutto su Genova pe

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Lugovoi accusa: "Litvinenko e Berezovski spie inglesi"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
L'ex agente del Kgb, per cui la Gran Bretagna ha chiesto l'estradizione, fa le sue rivelazioni sull'ex spia russa uccisa a Londra e sull'oligarca in esilio Oltremanica

Mosca - In una conferenza stampa alla sede dell’agenzia russa Interfax, l’ex agente del Kgb Andrei Lugovoi, di cui Londra chiede l’estradizione, ha dichiarato oggi che i servizi segreti britannici avevano reclutato l’ex agente russo Alexander Litvinenko, morto avvelenato a Londra, e l’oligarca in esilio a Londra Boris Berezovski. "Prima è stato arruolato Litvinenko il quale, successivamente, su consiglio di Berezovski ha consegnato ai servizi segreti britannici alcuni documenti sull’attività del Consiglio di sicurezza (russo), diventando così anch’egli un agente del MI6", ha dichiarato davanti ai giornalisti l’ex agente del Kgb. Lugovoi si è presentato alla sede di Interfax affermando: "Oggi sono pronto a fare dichiarazioni che faranno luce su quella storia politica oscura nella quale sono i servizi segreti britannici a svolgere il ruolo principale insieme al loro agente Berezovski".

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Abu Omar, la Procura accusa Prodi: "Il segreto di Stato è illegittimo"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Secondo i magistrati di Milano il premier ha "inopinatamente mutato linea politico-istituzionale rispetto a Berlusconi"

Milano - Centosette pagine che accendono il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. È un duro attacco al governo Prodi, la memoria presentata dalla procura di Milano alla Corte costituzionale in relazione al sequestro di Abu Omar. Perché - secondo i magistrati - la presidenza del Consiglio, nel rivendicare il segreto di Stato sugli atti, avrebbe «menomato gravemente le attribuzioni costituzionali della procura di Milano» con un atto «illegittimo sotto vari profili», mostrando un «inopinato mutamento di linea politico-istituzionale» rispetto a quella tenuta dall’ex premier Berlusconi. E, accanto alla procura, si schiera l’ufficio dei gip milanese, per il quale «il presidente del Consiglio non può secretare notizie e documenti dopo che gli stessi siano già stati acquisiti dai magistrati». La richiesta è che la Consulta ordini a Prodi di «esibire ogni atto con cui il segreto in questione sarebbe stato apposto».

Secondo il documento depositato dalla procura, redatto dal costituzionalista Alessandro Pace, il segreto di Stato non venne opposto ai tempi dell’esecutivo Berlusconi, né dal Sismi prima del 15 luglio 2006, quando Pollari, ascoltato dai magistrati, si avvalse della facoltà di non rispondere, sostenendo che si sarebbe potuto difendere solo producendo una serie di carte coperte dal segreto. Il 26 luglio del 2006 - è la ricostruzione dei pm -, Prodi rispose a una lettera del procuratore di Milano Manlio Minale (che chiedeva la trasmissione dei documenti relativi alle cosiddette «extraordinary renditions»), comunicando la sussistenza del segreto di Stato su tutti i «fatti concernenti il sequestro di Abu Omar» e «su tutte le vicende descritte che lo hanno preceduto». Ma così facendo c’è stato un «inopinato mutamento di linea politico istituzionale», visto che l’ex premier Berlusconi, con una lettera dell’11 novembre 2005, aveva assicurato che «il governo e il Sismi sono del tutto e sotto ogni profilo estranei a qualsivoglia risvolto riconducibile al sequestro» di Abu Omar, senza fare alcun accenno all’esistenza del segreto di Stato. E quella comunicazione di Berlusconi «sollevava la procura di Milano dall’onere di richiedere, di volta in volta, se ci fossero o meno fatti o documenti coperti dal segreto di Stato». I magistrati ritengono che la lettera di Prodi sia un «atto illegittimo» - di cui ora si chiede alla Corte costituzionale l’annullamento - perché «viziato per eccesso di potere» ed erroneo «nei presupposti», perché «il presidente Prodi afferma un fatto» che «non risponde a verità» (e cioè che sul rapimento Abu Omar, Berlusconi avesse opposto il segreto senza indicare quando questo sarebbe avvenuto), e perché «diversamente dal comportamento tenuto dal suo predecessore, finisce per coprire con il segreto di Stato fatti eversivi dell’ordinamento costituzionale».

IL GIORNALE

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Oggi scioperano i tassisti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Fermo nazionale, fallito anche l'ultimo tentativo di mediazione. Stop per 30mila auto bianche. Manifestazione per le strade di Roma.
Anche i benzinai confermano il blocco dal 6 all'8 giugno

Milano - Tornano a fermarsi le auto bianche. Le organizzazioni dei tassisti hanno infatti confermato il fermo nazionale per oggi e annunciato una manifestazione a Roma. Proclamato una decina di giorni fa, lo stop è il secondo nel giro di poche settimane, visto che già l’8 maggio la categoria aveva incrociato le braccia. Al centro delle proteste, che renderanno difficile la circolazione nelle città, ci sono le norme sul cosiddetto «trasporto innovativo» contenute nel disegno di legge sulle liberalizzazioni, che hanno nuovamente messo in allarme il settore, a meno di un anno dalle dure proteste della scorsa estate.

I sindacati si attendono un’alta adesione. In base alle stime di Taxi Italiano il fermo di oggi riguarderà «circa 30.000 auto pubbliche e tassisti aderenti sia a Taxi Italiano, sia a tutte le organizzazioni di rappresentanza unite per la prima volta in piazza». Un corteo sarà organizzato a Roma, dove, secondo Uritaxi, convergeranno almeno 10mila tassisti.

«Lasceremo i taxi al Circo Massimo - spiega Loreno Bittarelli, presidente di Unitaxi -. Alle 10 partirà un corteo da piazza Esedra, che poi attraverserà via Cavour e via dei Fori Imperiali per far tappa a piazza Santi Apostoli, dove è prevista un’assemblea». «Questo fermo - aggiunge Maurizio Longo, Coordinatore di Taxi Italiano poteva essere evitato dialogando e ascoltando la categoria. Ciò non è avvenuto per un atteggiamento irresponsabile del governo che ora dovrà farsi carico anche di un inevitabile inasprimento del confronto». Il blocco nazionale è stato deciso per protestare contro il disegno di legge sulle liberalizzazioni, attualmente al voto della Camera, che introduce nuove regole sul cosiddetto «trasporto innovativo». La norma è pensata per venire incontro alle esigenze di particolari categorie, come i disabili, e per favorire il trasporto multiplo ed ecologico. Ma i tassisti temono conseguenze pesanti per la categoria.

Intanto si è concluso con un nulla di fatto l’incontro tra il ministero dello Sviluppo Economico ed i benzinai. «Il tentativo di scongiurare lo sciopero dal 6 all’8 giugno - si legge in una nota della Faib-Confesercenti - si è infatti subito arenato. Si procede a testa bassa contro la categoria e contro i cittadini mentre si evita di colpire i poteri forti, i petrolieri che dettano regole e prezzi. Le liberalizzazioni e la concorrenza sono sempre più un miraggio con buona pace dei cittadini consumatori. Lo sciopero è stato quindi confermato».

IL GIORNALE

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Sarkozy: "Nessuna austerità per i francesi"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il presidente ribadisce che manterrà tutte le promesse della campagna elettorale, a cominciare dalla riduzione delle tasse, anche a scapito dei "diktat" di Bruxelles. E oggi il nuovo capo dell’Eliseo sarà a Madrid per rilanciare il progetto di un’Unione Mediterranea che risolva i problemi dell’immigrazione

«Io sono stato eletto sulla base di un programma preciso e non ho la minima intenzione di modificarlo», dice seccamente Nicolas Sarkozy a proposito della questione del taglio fiscale. La riduzione delle tasse verrà effettuata nei tempi e nei modi previsti, malgrado la gaffe del ministro del Bilancio Eric Woerth, che - appena assunte le proprie funzioni - ha dato nei giorni scorsi la sensazione di voler ridimensionare la fondamentale promessa fatta da Sarkozy durante la recente campagna elettorale per l’Eliseo: appunto il taglio delle tasse. Adesso i francesi si preparano a tornare alle urne, visto che il 10 e il 17 giugno ci sarà la consultazione per il rinnovo dei 577 seggi che compongono l’Assemblea nazionale. In questo clima Sarkozy potrebbe pagare a caro prezzo un’eventuale sensazione dell’opinione pubblica a proposito dell’incoerenza del suo programma. Eccolo reagire con fermezza alla dichiarazione del ministro del Bilancio e ribadire che gli interessi sui mutui, contratti per finanziare l’acquisto della prima casa, saranno effettivamente deducibili dalla dichiarazione dei redditi. Oggi tali interessi possono essere dedotti soltanto per le prime due dichiarazioni fiscali dopo la firma del contratto d’acquisto. Il ministro Woerth ha ipotizzato la loro deducibilità sine die, ma solo nel caso dei mutui firmati dopo l’elezione di Sarkozy. Adesso il capo dello Stato precisa che la promessa fatta in campagna elettorale vale per la totalità dei mutui relativi alla prima casa.


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Caso Hariri, Europa e Usa impongono un tribunale

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
New York. Con uno schiaffo alla Siria e a dispetto dell’opposizione della Russia e della Cina, gli Stati Uniti e i paesi europei hanno fatto approvare dal Consiglio di Sicurezza una risoluzione vincolante per la istituzione di un tribunale internazionale sull’assassinio dell’ex premier libanese Rafik Hariri.

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«Quartetto» avvia contatti con israeliani e palestinesi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Berlino. Il cosiddetto «Quartetto» sul Medio Oriente (Usa, Russia, Onu e Ue) ha annunciato a Berlino una nuova iniziativa di pace basata su contatti diretti con israeliani e palestinesi. Il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha detto che già in giugno saranno avviati nella Regione i contatti con le parti in conflitto.

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D’Alema a Karzai: «Hanefi colpevole? Dateci subito le prove o scarceratelo»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Al summit dei ministri degli Esteri in primo piano le divergenze tra occidentali e Russia sia sul Kosovo che sul Darfur

Più che una riunione dei ministri degli Esteri, sembra la valvola di sfogo di tutte le tensioni internazionali. L’incontro dei ministri degli esteri del G8 a Potsdam invece di preparare il clima in vista del summit del 6-8 giugno a Heiligendamm, rischia di arroventarlo. Su ogni discussione - dal Darfur, al Medio Oriente al Kosovo - aleggia lo scontro tra la Russia da una parte e gli Stati Uniti e i Paesi occidentali dall’altra. Il presidente statunitense George W. Bush chiede sanzioni contro il Sudan per il Darfur e la Russia traccheggia sicura di poter contare sul “no” della Cina al Consiglio di Sicurezza. Sul Kosovo quasi scontato l’appoggio a Belgrado della “grande madre” russa per bloccare l’indipendenza del Kosovo. La questione nucleare iraniana potrebbe, invece, dividere anche l’Occidente. Soprattutto se il responsabile della politica estera dell’Unione, lo spagnolo Javier Solana, riterrà - dopo l’incontro di oggi a Madrid con il negoziatore iraniano Alì Larijani - di aver trovato i margini per un compromesso e chiederà agli Stati Uniti il rinvio di nuove sanzioni.
Per Massimo D’Alema il vertice è l’occasione per riaprire con l’Afghanistan del presidente Hamid Karzai la questione di Rahmatullah Hanefi, il coordinatore afghano di Emergency accusato di aver giocato un ruolo poco chiaro nel sequestro di Daniele Mastrogiacomo, l’inviato di Repubblica. «Se ci sono prove della validità dell’arresto gli afghani devono esibirle nelle prossime ore, oppure dovrà essere scarcerato», ha detto il ministro dopo un incontro con l’omologo afghano Rangin Dafaor Spanta.
Intervenendo sul Kosovo D’Alema difende la necessità di aprire ai serbi e di evitare scontri al Consiglio di Sicurezza. «Occorre dare una prospettiva non solo ai kosovari, ma anche ai serbi... Occorre costruire una soluzione in grado di parlare ai due popoli».
Le posizioni di D’Alema sulla costituzione di un tribunale internazionale per giudicare i colpevoli dell’assassinio dell’ex premier libanese Rafik Hariri e lo scontro israelo-palestinese appaiono, invece, assai fuori linea rispetto a quelle del blocco occidentale. Sulla Corte internazionale per l’omicidio Hariri il ministro degli Esteri suggerisce una soluzione negoziata con la Siria. Esattamente l’opposto di quanto pretendono Washington, Londra e Parigi pronte a presentare al Consiglio di Sicurezza una mozione per la costituzione del tribunale anche senza la ratifica del Parlamento libanese, presieduto e controllato dal filosiriano Nabih Berri.
Sul fronte israelo-palestinese, D’Alema rilancia l’idea dell’invio a Gaza di una forza di pace internazionale, sotto l’egida dell’Onu. La proposta, oltre a dover fare i conti con l’opposizione d’Israele, deve fronteggiare l’ostilità dell’Amministrazione statunitense orientata su tutt’altre proposte negoziali. Ma D’Alema difende il proprio «irrealismo» politico citando il «successo» della missione Unifil in Libano. Proprio quel successo riconosciuto, a suo dire, anche dai ministri del G8, farebbe apparire «meno irrealistica» l’idea di una missione di pace per Gaza.

Gian Micalessin


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Geminello Alvi: Banca d’Italia, un palazzo ormai vuoto

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Le ultime vicende bancarie completano il conclusivo centrarsi a Milano del nostro sistema bancario. Già regnante Fazio il salvataggio delle banche del Sud richiese di inglobarle in quelle settentrionali; la nuova Unicredito estende a Roma di fatto la stessa annessione. E perciò a guardarlo adesso Palazzo Koch dov'è Banca Italia pare ancora più strano. Grevissimo, fatto di cancelli troppo erti e pietre giganti, se ne sta lì, antiquario residuo di una Roma ch'è sempre più Bisanzio. E di una banca centrale sempre più ministeriale, senza vero daffare. Non c'è più la lira, e circolano ormai quegli euri così freddi, senza un'immagine vera su di essi, e che sembrano tagliandi da fiera, ma governati appunto in un grattacielo di Francoforte. Che si tratti di tesoreria, di uffici studi o vigilanza, è faticoso trovare ancora al palazzone un senso.
Ma l'Italia a Roma è tutta sempre più Bisanzio e fa finta di niente: gli impiegati resistono nei loro cerimoniali e nei loro privilegi. Mentre la nazione seguita a dimenticare a memoria che pure Banca d'Italia potrebbe privatizzarsi, almeno essere snellita del suo troppo personale. Giacché quel palazzo e i suoi abitanti sono ora dei ministeriali senza più aristocrazia, come tanti. E neppure il cervello di Draghi, così nervoso, preciso e discreto può farci molto, contraddire il movimento reale delle cose.
In effetti deve tra l'altro lui pure guardarsi da una Italia nel marasma senile e venefico della sua eterna decadenza romana: tra gli intrighi di banchieri vegliardi e i riflessi lenti di Prodi. Tutta gente che recita in ritardo rimedi che erano già dubbi negli anni Settanta. Tasse, campioni nazionali d'imprese anche bancarie, ma rendite garantite per almeno una metà del reddito nazionale, ch'è quanto conta la spesa pubblica. Siano banchieri o più plebei dirigenti delle Coop, stiano a Palazzo Chigi o in qualche procura o in Confindustria è tutta gente con cui usare cautela. Perciò non c'era proprio da crederci alla notizia che il governatore Draghi avesse chiamato «grande» lo sfogo di Montezemolo. Ed ecco ancora perché oggi il suo discorso dal pulpito all'assemblea sarà verosimilmente un capolavoro di chirurgici distinguo dal governo, però fatti parere il meno possibile tali. La fine del predicatore precedente ammonirebbe del resto chiunque a riguardo.
E tuttavia ci sono alcune cose che Draghi sereno non potrà eludere. Già il tesoretto è un abuso letterario, un nome troppo nobile per conti mal fatti ad arte dai politicanti. Ma il fabbisogno del settore statale fino ad aprile 2007 è stato addirittura superiore a quello dei primi quattro mesi del 2006. Comunque implica almeno la riforma delle pensioni, inoltre altri contenimenti delle spese, contraddetti invece dal contratto degli statali. Un altro punto non eludibile: le tasse. Il prelievo netto proprio non giova ai redditi disponibili delle famiglie consumatrici e la ripresa dei tedeschi separa ancor più il settentrione d'Italia da Roma. La quale al modo di Bisanzio seguita come niente fosse a ridistribuire lei una spesa che nel 2006 è arrivata al 50,1% del Pil. Certo invece, dovrà dire da notaio, pertanto tacere, ogni vera questione circa la Banca Centrale di Francoforte. E non ci spiegherà il perché di una politica dei tassi che troppo a lungo ha lasciato inflazionare i patrimoni, e svalutare il valore relativo del lavoro. Ma a chi nei cerimoniali di Palazzo Koch potrebbe chiedersi di più? Draghi insiste in una solerzia attenta, onesta benché

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Michele Brambilla: E ora la sinistra vuole Spaccino testimonial

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Roberto Spaccino arrestato per l’omicidio di sua moglie incinta: ecco qui la prova regina per dimostrare che la famiglia tradizionale è tutt’altro che un’istituzione naturale, e che è piuttosto un inferno, un’opprimente gabbia clerico-fascista, una polveriera sempre a rischio esplosione. «Visto? In famiglia ci si ammazza», hanno scritto ieri i nostri intellettuali engagé. Quando si dice la superiorità culturale.
Cominciamo dal manifesto. Volano alto, quelli del «quotidiano comunista». Non sono mica grossolani come quei poveretti che sono andati in piazza San Giovanni con i pullman parrocchiali. Scrivono, nel loro editoriale intitolato «Tutto in famiglia»: «Molte sono le amene località italiane che vorrebbero ospitare il prossimo Family Day. Forte - sull’onda dell’emozione - la candidatura del ridente borgo di Marsciano (Umbria): moglie incinta ammazzata di botte, fermato il marito». Però, che battutona. Sull’onda di un’irresistibile vis comica, l’editorialista così prosegue: «Anche Belluno ha le carte in regola per ospitare la sagra della famiglia tradizionale: moglie strangolata dal marito. (...) Quanto all’emergenza criminalità e alla voglia di sicurezza, la destra che ha trionfato al Nord al grido di “tolleranza zero” dovrebbe valutare alcune opzioni operative, come ad esempio le telecamere nelle sale da pranzo e le ronde notturne nelle camere da letto».
I soliti estremisti del manifesto? Ma no. Ci sono pure i moderati del centrosinistra, a volare alto. Su Europa, che è il quotidiano della Margherita, cioè di quelli che dovrebbero essere i cattolici del futuro Partito democratico, sempre ieri in prima pagina c’era un «Robin» (cioè un corsivetto graffiante, l’equivalente di quello che fu il «Controcorrente» di Montanelli: e Iddio salvi i fuoriclasse dai loro imitatori) intitolato «Family». Poche righe, in perfetta sintonia con i compagni del manifesto: «Sarà anche la storia umbra una conseguenza della crisi dei valori. O una tragedia estemporanea. Ma a noi poveri di spirito pare che, oltre a difendere la famiglia, qui tocchi spesso difendersi “dalla” famiglia».


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Filippo Facci: Quanto (mi) fa male smettere di fumare

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Anzitutto oggi è il 31 maggio, Giornata mondiale senza tabacco a cura dell'Organizzazione mondiale della sanità: il tema quest'anno è «Il tabacco è nocivo sotto qualsiasi forma o maschera». Tra i libri più venduti d'Italia, seconda notizia, c'è il longseller di Allen Carr È facile smettere di fumare, agile volumetto che in tutto il mondo ha venduto otto milioni di copie. L'autore, Carr, fumava sino a cento sigarette al giorno ma poi ha inventato un metodo per smettere, come ha fatto da trent'anni, anche perché, si legge a pagina 16, «ero certo che il fumo mi avrebbe ucciso». La terza notizia, purtroppo, nel libro di Carr non c'è: è che Carr è stato ucciso da un cancro ai polmoni nonostante non fumasse da 30 anni. Ne aveva 72. La quarta eccezionale notizia è che l'autore di questo articolo, l'11 maggio scorso, ha detto addio al suo ultimo pacchetto di sigarette, e questo dopo aver scritto sul Giornale decine di articoli contro le crociate salutiste. L'ultima notizia, infine, è che sempre l'autore di questo articolo, insomma io, adesso scrocco sigarette al prossimo e fumo pochi sigari toscani: ma dal punto di vista del beneficio salutare, dopo esser passato da 50 sigarette al giorno a due o tre al massimo (tutte scroccate) il risultato è che all'apparenza sto per finire al Creatore.
Vedrò di spiegarmi meglio. Anzitutto non si è cambiato idea su niente, ed ecco quanto già apparve su questo giornale: «Fumare è meraviglioso ma il più delle volte diviene un vizio e una dipendenza, e se potessimo tornare indietro probabilmente non inizieremmo a farlo. Fumare è meraviglioso in particolare per chi si fermi ai sigari e alla pipa, o appartenga alla cerchia dei fortunati capaci di non oltrepassare le dieci sigarette il giorno. Fa male? In questa misura, sia scientificamente che statisticamente, no, o lo fa in misura risibile per sé e soprattutto per gli altri. Il vizio del fumo tuttavia non vale la candela se non in proporzioni che siano moderate quanto sostanzialmente innocue per sé e per gli altri, e tuttavia assai difficili a ottenersi. Tutto sommato, calcolando le probabilità che il tabacco divenga un vizio e non solo un piacere, forse non varrebbe la pena neppure di iniziare». Detto e riletto questo, smettere di fumare per un vero tabagista è tra i peggiori inferni possibili: un rimpianto eterno che non sparisce mai, perché la voglia di fumare è per sempre, non c’è sincero ex fumatore che non l’ammetta, senza contare il dissesto fisiologico che ne consegue, dunque l’aumento di peso che non sempre si riassorbe, l’ansia, l’insonnia, il rincitrullimento, la difficoltà di concentrazione, irritabilità, la bramosia irrefrenabile, le spaventose depressioni, tutte cose che non spariscono in una settimana né in due.


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Alessandro Corneli: La soluzione spetta agli elettori

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Romano Prodi ha cercato di giocare d'anticipo con una chilometrica intervista pubblicata ieri su La Repubblica. Ma era una trappola e c'è caduto. Perché la sua impavida auto-celebrazione e il suo ricatto «o si fa come dico io o mi cacciate» (con variante: «o me ne vado»), condito da reiterate accuse agli alleati di andare ciascuno per proprio conto, ha posto questi di fronte all’alternativa di piegarsi - e quindi di lasciarlo a Palazzo Chigi regalandogli inoltre il comando del futuro Partito democratico - o di spedirlo a casa perché sta facendo inabissare l'Unione e sta mandando all'aria lo stesso progetto del Pd.
Nella girandola di accuse reciproche per una sconfitta che, soprattutto nel calo assoluto dei voti, ha assunto proporzioni allarmanti per tutta la sinistra, anche se gli avversari del Partito democratico sono soddisfatti per i risultati da loro ottenuti, i quattro cavalieri del «nuovo soggetto politico» - cioè Prodi, Fassino, Rutelli e D'Alema - sono arrivati allo scontro finale: non per scegliere quale rotta indicare al Governo e quindi come rispondere alla rivolta degli elettori, rilanciando l'alleanza, ma per decidere chi deve prendere il controllo del nuovo partito che Prodi stesso, dando un preoccupante sintomo di distacco dalla realtà, ha prefigurato come l'arma finale e salvifica di tutti i problemi.
Un'arma che solo lui afferma, con incomprensibile sicumera, di sapere maneggiare, chiedendo di essere giudicato al termine di cinque anni. Ma Piero Fassino lo ha bloccato: «Il governo si giudica ogni anno». Che sembra un invito a Prodi a dimettersi, e soprattutto a rinunziare alla pretesa di guidare il Partito democratico. È il prezzo che Fassino, avendo perso prima un pezzo di partito e poi le elezioni, è costretto a pagare a Francesco Rutelli e a Massimo D'Alema per ottenere almeno il ruolo di speaker del nuovo soggetto politico. Ma il primo cerca di agguantare in extremis la leadership del futuro Pd, spostandolo verso il centro (riduzione dell'Ici) e sperando che i popolari di Marini si accontentino; il secondo punta a farsi «invocare» come successore di Prodi al governo per ridare credibilità a quella politica che egli stesso ha certificato essere in coma. E tutti insieme per evitare che Walter Veltroni, battezzato e cresimato pochi giorni fa da Giulio Andreotti, faccia cappotto, laici-laicisti della sinistra permettendo.


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Maurizio Belpietro: Lotta continua contro la verità

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La storia piegata alle esigenze di Sofri

Fino a ieri la storia ce l’hanno raccontata gli assassini. Ora che hanno cominciato a scriverla le vittime, narrandoci il dolore di crescere senza padre, di diventare adulti sentendo gli insulti contro chi ti ha generato, ora chi armò gli assassini, anziché ammettere le colpe e tacere, preferisce cercar scuse per sé e per i suoi complici.
Adriano Sofri, il professorino che insegnò la lotta continua a centinaia di ragazzi, in questo è tuttora un maestro. L’altro ieri sul Foglio ha scritto un’intera pagina a commento del libro di Mario Calabresi, il figlio del commissario assassinato da un commando di Lc. Un delitto per cui lo stesso Sofri è stato condannato a 22 anni di carcere. Più di 500 righe per autoassolversi, per dire che quei giovani che sognavano la rivoluzione non erano i migliori, ma neanche i peggiori. Un lenzuolo per sventolare ancora una volta la teoria dell’innocenza perduta per colpa dello Stato, ovviamente scritto in minuscolo. «Nel periodo in cui lo stato faceva male, e noi ci vendicavamo col rincaro delle parole», scrive l’ex capo di Lotta continua, «avemmo per la prima volta davanti agli occhi una vedova, due orfane». Una paginata per spiegare che sì, lui seminò odio, altri sangue, ma lo fecero per la vedova Pinelli e per le sue figlie. Lo fecero perché c’erano tutti quei morti «di stato», nella banca, nella questura. Quello Stato di cui era un «fedele servitore» il commissario Calabresi. Insomma, Sofri e i suoi compagni odiarono e agirono per colpa dello Stato. Persero l’innocenza, inneggiarono al fucile, diventarono terroristi, ma per reazione. Anzi, per difendersi: «Ce n’era abbastanza per agitare le notti dei paladini di vedove e orfani. E un delitto commesso dallo stato è peggio di uno privato».
Uno straordinario esempio di storia piegata alle proprie esigenze, un piccolo capolavoro di ipocrisia e di rimozione. Per Sofri tutto comincia il 12 dicembre del 1969, il giorno dell’attentato di piazza Fontana, una strage di Stato, ovviamente. Per sostenere la sua tesi dimentica la data di fondazione delle Br, che è antecedente all’attentato. Scorda la nascita del primo gruppo che scelse la lotta armata e l’omicidio, la banda XXII Ottobre. Cancella la morte dell’agente Antonio Annarumma, ucciso a Milano durante una manifestazione un mese prima della bomba alla Banca dell’Agricoltura. Rimuove gli attentati contro varie sedi di polizia e carabinieri che accompagnarono il ’69. Ha un’amnesia sugli appelli alla rivoluzione che Potere operaio lanciava alla piazza, al punto che il direttore della rivista fu condannato per istigazione alla rivolta contro lo Stato, resistenza alla forza pubblica, sequestro di persona e danneggiamento.


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Gianni Baget Bozzo: Il golpe bianco che serve alla sinistra

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Un elemento di violenza è entrato nella politica italiana. È stato il golpe bianco della magistratura a cacciare dalla politica tutti i partiti di governo della democrazia italiana. L’intervento di Berlusconi, nel ’94, fu la risposta democratica al golpe bianco e inventò la soluzione democratica della crisi con il bipolarismo. Su questo piano egli ottenne la collaborazione del Pds di Massimo D’Alema che, per la sua storia comunista, era ben certo che il compromesso fosse l’unica soluzione alla crisi della democrazia che si era aperta dopo il grande vuoto al centro e al centrosinistra. Su quest’asse Berlusconi-D'Alema si è gestita la legittimità democratica in Italia in chiave bipolare.
Ma la crisi si è di nuovo riaperta quando a sinistra si è venuta a creare una concentrazione politica che delegittimava la destra di Berlusconi come antidemocratica, «populista», costruendo contro di essa una sorta di comitato di liberazione nazionale come quello che era sorto contro il fascismo. La base dell’accordo del blocco di partiti che costituisce l’Unione è pensabile solo come unione metapolitica, di là delle differenze ideologiche e culturali. E da ciò nasce la descrizione di Berlusconi e della Casa delle libertà come populismo e semifascismo, la contestazione non del contenuto politico ma della legittimità politica che si reintroduceva la questione che si era aperta con le elezioni del ’94.
Legittimati i partiti storici come corrotti, veniva ora la risposta dell’Unione, che designava Berlusconi come illegittimo, un pericolo per la democrazia. Per la seconda volta, la sinistra poneva un problema di legittimità e metteva in discussione la risposta democratica analizzata da Berlusconi come democraticamente illegittima, populista, semifascista. Al vertice di questa condanna di Berlusconi, i cattolici democratici della Margherita a cui si affiancavano le sinistre antagoniste di varia natura. Rifondazione e le altre forze comuniste non erano forze del sistema democratico ma gruppi che potevano vivere solo ponendosi oltre il limite del sistema.
La crisi della democrazia era stata percepita dai postcomunisti dei Ds, non dalle altre forze. Ne venne che la coalizione antiberlusconiana nel 2005 e nel 2006 fu gestita formalmente nei termini offerti da Berlusconi del bipolarismo ma, d’altro lato, fu una lotta antifascista contro il berlusconismo, cioè contro una soluzione estranea al sistema democratico. Berlusconi era il principio della legittimità democratica della destra e, con questo, della legittimità democratica del bipolarismo. Ma se il conflitto contro Berlusconi poteva giustificarsi solo con una coalizione così politicamente varia, questo voleva dire cancellare Berlusconi come illegittimo e quindi negare la qualità politica della coalizione del centrodestra.


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Franco Battaglia: Tra Rubbia e Veronesi scoppia una guerra nucleare

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Su Repubblica di ieri è stato pubblicato un dialogo tra Umberto Veronesi e Carlo Rubbia. Tema: energia e ambiente. Veronesi: «Non dobbiamo entrare nella spirale d’ansia da inquinamento. Basta con il panico da primitivi spaventati dal fuoco: l’Italia ha bisogno di 10 centrali nucleari entro i prossimi 10 anni». Rubbia: «Il vero incubo del pianeta è il cambiamento climatico. L’Ue chiede una riduzione delle emissioni di CO2 del 20% entro il 2020, cosa che non può farsi col nucleare».
Veronesi è uno scienziato ed un cittadino responsabile: è stato ministro del centrosinistra, ma non ha venduto la sua anima di scienziato alla politica, visto che le sue affermazioni sono l’opposto esatto di ciò che sta scritto nel programma dell’Unione. Come ogni scienziato, egli è perfettamente consapevole che la politica non può comandare alla scienza; la quale non può essere riscritta né a Roma né a Bruxelles. E da cittadino responsabile non intende scendere a compromessi su questo punto: sa che ogni debolezza in merito rischia di portare il Paese al collasso.
A differenza di Veronesi, Rubbia ha invece scelto di accondiscendere alle stravaganti teorie di Pecoraro Scanio e costui lo ha così nominato proprio consulente. Rubbia ha tre volte torto. Una volta quando assume che un problema del pianeta sia quello dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane; un’altra quando, senza battere ciglio, ritiene che la scienza e la tecnologia possano essere comandate dai politici dell’Ue; la terza quando, senza neanche provare a sviluppare l’aritmetica, nega che il nucleare possa essere una risposta a quegli stravaganti comandi. Esploriamo solo l’ultima che ho detto e facciamo noi l’aritmetica. Se l’Italia volesse ridurre le proprie emissioni di CO2 del 20% rispetto ai livelli del 1990, potrebbe farlo solo se azzerasse tutta la produzione di energia elettrica da combustibili fossili (26 GW-anno, oggi). Volesse far ciò col nucleare, dovrebbe disporre di 20 reattori nucleari uguali a quelli che sono attualmente in costruzione in Finlandia o in Francia: cosa molto difficile che possa realizzarsi, visto che non c’è alcuna volontà politica che si realizzi, ma certamente non tecnicamente impossibile, visto che, come anche Veronesi ricorda, di reattori nucleari ce ne sono oggi 5 in Svizzera, 9 in Spagna, 11 in Svezia, 17 in Germania, 27 in Gran Bretagna, 51 in Giappone, 57 in Francia. Può l’Italia eseguire gli stravaganti comandi dell’Ue utilizzando l’energia dal sole? Impossibile. Anzi, fatemelo scrivere meglio: i-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e. Capisco che ogni scarafone è bello agli occhi di mamma e che Rubbia faccia il tifo per il suo Progetto Archimede, ma diciamolo forte e chiaro: il Progetto Archimede sarà un tanto colossale quanto annunciato fallimento. Non a caso è stato subito sposato da Pecoraro Scanio.

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Il «j’accuse» di Montezemolo irrita la stampa filo-Unione

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Non appena Romano Prodi, disperato com’era per lo stato già comatoso del suo governo, aggravatosi adesso con i risultati delle elezioni amministrative, ha lanciato l’allarme della «salita» di Luca Cordero di Montezemolo alla politica, i giornali che fiancheggiano ancora il presidente del Consiglio si sono messi all’opera per fronteggiare la sgradita incursione del presidente della Confindustria negli affari ch’egli considera la prima azienda italiana, rigorosamente pubblica. Ne farebbero parte i 180mila e rotti tra parlamentari, consiglieri regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e via dicendo, eletti o nominati, visto che a sceglierli sono più spesso i partiti che gli elettori, non per governare, legiferare, amministrare e controllare ma solo per costare alla collettività qualcosa come ottomila miliardi delle vecchie lire.
È subito partito dai sostenitori di Prodi un processo alle intenzioni dell’avversario di turno, anziché contestare il merito delle critiche di Montezemolo al governo o rimproverargli una certa complicità, come ha fatto invece Silvio Berlusconi rinfacciandogli giustamente il credito accordato all’Unione nelle elezioni politiche dell’anno scorso, poi nel referendum contro la riforma costituzionale del centrodestra e infine nel concepimento della legge finanziaria del 2007. Le reazioni dei prodiani hanno prodotto, fra l’altro, una rappresentazione caricaturale della presunta scalata di Montezemolo a Palazzo Chigi.
La solita Repubblica, per esempio, gli ha attribuito con l’altrettanto solito giochino del totoministri la capacità, la voglia, la tentazione - chiamatela come volete - di «prenotare» la carica di ministro dell’industria per l’amministratore delegato della sua Fiat. O di prenotare il Viminale per Gianni Letta come «garanzia di rapporti non ostili» con Berlusconi, insinuando così che il Cavaliere abbia problemi con polizia e dintorni. O di prenotare i trasporti per un altro uomo di provenienza confindustriale come Innocenzo Cipolletta «per aprire i grandi cantieri di LCdM», cioè delle società vecchie e nuove di Montezemolo. O di prenotare il posto di portavoce del governo per il direttore del Tg5 Carlo Rossella, «compagno di zingarate di Luca e Della Valle», spero non destinato alla mestizia e agli infortuni notturni di Silvio Sircana, portavoce del governo attuale.
Il discredito della politica è tanto, come ha appena scritto il buon Angelo Panebianco, deluso di tutti e di tutto, forse anche del suo Corriere, già sponsor elettorale di Prodi. Il discredito della magistratura non è inferiore, anche se molti faticano a dirlo per paura delle manette. Ma occorre riconoscere che è notevole anche il discredito di un certo giornalismo supponente e moralistico. Il cui appoggio comunque non basterà a Prodi per evitare la fine che merita.

Francesco Damato


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In aereo con la Tbc letale, allarme in Italia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
L’uomo era in viaggio di nozze: le autorità sanitarie Usa gli hanno ordinato di farsi mettere in isolamento a Roma, ma lui è fuggito mettendo a repentaglio decine di vite. Sarebbero residenti in Lazio e Lombardia le 15 persone che hanno viaggiato con il cittadino americano affetto dal terribile virus

Milano - Si potrebbe definire una perfetta coppia di incoscienti. Oppure di pazzi furibondi. Lui, è l’americano di 32 anni affetto da una forma di tubercolosi molto resistente alle cure, lei è la sua ex fidanzata, diventata moglie in Grecia, che ha assecondato gli spostamenti del malato contagioso per mezzo mondo restando sempre al suo fianco, incurante dei rischi che può comportare lo stare vicino a un uomo affetto da questa rara forma di Tbc, il ceppo Xdr-Tb, micidiale e molto resistente ai farmaci. Eppure entrambi se ne sono infischiati dei veti dei medici, dei rischi di contagio collettivo, del dispendio di soldi pubblici per l’allarme sanitario scattato in mezza Europa per ben due settimane. Nonostante la malattia di lui, la coppia americana è infatti sbarcata in Europa, si è spostata in Grecia e poi ha deciso di proseguire a tutti i costi per la luna di miele, con un’inevitabile tappa a Roma. Ma qui le autorità sanitarie americane hanno stanato il malato vietandogli di volare su aerei di linea e invitandolo a rivolgersi alle autorità italiane per essere messo in isolamento. Raccomandazione inutile. Anzi, dannosa. L’uomo, alla parola isolamento si è spaventato ed è sparito, con la complicità della moglie. I due sposini hanno scelto Praga per creare altro scompiglio internazionale e da lì si sono imbarcati tranquillamente su un aereo di linea per Montreal. Una volta a terra hanno attraversato il confine canadese. La grande fuga è finita a New York con la consegna spontanea del singolare paziente a cui è stata imposta la quarantena, provvedimento rarissimo (l’ultimo caso risale al 1963).
L’ammalato, attualmente ricoverato in Georgia, rilascia ora interviste come una star. E si scaglia contro i medici. «Mi avevano sconsigliato di partire ma non mi avevano proibito di volare», ha spiegato. E poi accampa scuse aggrappandosi alla malasanità italiana. Ha infatti raccontato di aver avuto paura che in Italia non sarebbe stato curato in modo adeguato e di aver quindi fatto di tutto per rientrare negli Usa.

La molla che lo ha fatto svanire nel nulla, però, è stata la telefonata del Cdc di Atlanta. L’agenzia federale che si occupa di epidemie lo ha contattato a Roma il 21 maggio e gli ha chiesto di cancellare i programmi di viaggio e rientrare. La coppia ha così annullato il giorno dopo la partenza da Roma per Firenze ed è rimasta in attesa in un albergo romano. Il giorno successivo, però, secondo il racconto, dagli Usa è stato ordinato all’uomo di consegnarsi immediatamente alle autorità italiane ed è iniziata la fuga che ha creato allarme in mezzo mondo e costretto le autorità sanitarie a cercare chiunque fosse venuto in contatto con l’uomo. In Italia sono state identificate 15 persone, tra Lazio e Lombardia, che hanno avuto a che fare con l’americano e che sono stati invitati a sottoporsi a controlli. Dal ministero della Salute arrivano comunque rassicurazioni: i contatti occasionali e di breve durata, viste le condizioni dell’uomo, renderebbero altamente improbabile un contagio.

Enza Cusmai


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Gli statali si mangiano il tesoretto e Prodi si rimangia il taglio dell’Ici

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
La Confedilizia: «Con la riforma del catasto l’imposta triplicherà»

Ridurre l’Ici? «Non posso abbassare le imposte se prima non abbatto il livello indecente di evasione fiscale». Romano Prodi, su Repubblica, risponde con un niet al «cavallo di battaglia» di Francesco Rutelli sull’utilizzo del «tesoretto». Anzi. Tommaso Padoa-Schioppa va anche oltre. Il ministro dell’Economia annuncia che, per colpa del rinnovo del contratto degli statali, il «tesoretto» verrà ridotto. Ed annuncia una manovra correttiva per trovare maggiori risorse per le infrastrutture.
Un’ipotesi che nemmeno il presidente del Consiglio se la sente di confermare. Così prova a confondere le acque: «Non ho niente da dire. Padoa-Schioppa parla di bilancio d’assestamento che può riportare delle variazioni. Una prassi comune che è nella normalità degli eventi».
Nell’intervista al Sole 24 Ore, il ministro dell’Economia accenna all’eventualità di una manovra correttiva da introdurre attraverso un decreto legge da presentare insieme al Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef). Ed aggiunge che con il bilancio d’assestamento sarà necessario modificare alcune norme della Finanziaria che tagliano le risorse ai ministeri.
Prodi, poi, prova a prendere tempo, ed annuncia per il 28 giugno il Bilancio d’assestamento. La settimana scorsa aveva annunciato per la stessa data il Dpef. Documento sul quale la maggioranza chiede un vertice politico con Padoa-Schioppa.
Ma è sull’Ici che Prodi gira il coltello nella ferita della Margherita. Per giustificare il suo «no» all’eliminazione dell’Ici sulla prima casa, come chiesto a gran voce da Rutelli, il presidente del Consiglio osserva: «Come si fa a distribuire risorse se non si fa un po’ di accumulazione?». E l’accumulazione - per Corrado Sforza Fogliani, presidente della Confedilizia - può arrivare proprio dalla riforma del catasto. «Farà triplicare la base imponibile dell’Ici», prevede. «Non crediamo - dice durante ad un incontro con i parlamentari - alla promessa dell’invarianza di gettito. Nella legge c’è questa indicazione, ma non c’è alcun parametro fisso».
La norma (della Finanziaria) prevede la riforma catastale da introdurre con un corrispettivo riduzione delle aliquote, così da lasciare il tributo invariato. «L’esperienza ci insegna - aggiunge Sforza Fogliani - che quando i Comuni hanno a disposizione una forchetta di aliquote, applicano sempre quelle più alte. Trovano sempre una ragione per farlo».
Alfiero Grandi, sottosegretario all’Economia, ripete che la riforma del catasto «sarà a saldo zero per le casse dello Stato». Insomma, i contribuenti non pagheranno un euro in più di tasse. E ribadisce che la «riduzione della tassazione sulla prima casa è un impegno che verrà mantenuto non appena ci saranno le risorse».
Piccolo particolare. L’introduzione della riforma catastale, a cui Prodi subordina la riduzione dell’Ici, entrerà in vigore (secondo uno studio del Sole 24 Ore) solo nel 2010. Vale a dire, l’anno che precede la fine della legislatura.
Fabrizio Ravoni

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L’Ocse conferma la frenata dell’economia italiana nel primo trimestre del 2007

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
In un contesto internazionale di lieve rallentamento. Nei Paesi più avanzati, nel periodo gennaio-marzo, la crescita del pil è stata pari allo 0,6%, contro lo 0,8% dell’ultimo trimestre 2006. Su base annua, si registra un +2,7% contro il 3,3% precedente. Da Chateau de la Muette, sede parigina dell’Organizzazione, arriva anche la conferma che l’Italia è il fanalino di coda fra i Paesi del G7, con una crescita del pil nel primo trimestre 2007 pari allo 0,2%. Lunedì prossimo a Roma, davanti al presidente del Consiglio Romano Prodi, l’Ocse presenterà il rapporto sull’Italia. Un documento in chiaroscuro, che evidenzierà i ritardi nelle riforme e le persistenti difficoltà sistemiche del Paese. La questione della scarsa crescita economica italiana sarà uno dei motivi centrali delle odierne considerazioni del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, all’assemblea dell’istituto.
La crescita internazionale comunque prosegue, nonostante il rallentamento degli Stati Uniti. Fra i paesi del Gruppo dei Sette, l’andamento più dinamico all’inizio dell’anno si è verificato nel Regno Unito, con un +0,7%. Su base tendenziale, invece, è la Germania a correre con il 3,6% seguita dalla Gran Bretagna. Dal lato opposto della classifica, oltre l’Italia, la Francia e il Giappone. Secondo l’Isae, la crescita dell’economia italiana nel 2007 dovrebbe comunque attestarsi sul 2%, intorno cioè al risultato dell’anno scorso, contro una media europea del 2,6%. Sempre secondo l’Istituto di analisi economica, il deficit 2007 dovrebbe ridursi al 2,2% del pil, mentre il rapporto debito-pil dovrebbe decrescere al 105,1%.
IL GIORNALE

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Storace lascia i vertici di An: «Cercherò una vera destra»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
«Non c’è più spazio per dibattere in un partito intriso solo di carrierismo e governato dalla paura»

«Caro presidente, a conclusione della tornata elettorale amministrativa e dopo un vero e proprio tour in moltissime regioni italiane, ti scrivo per rassegnare le mie dimissioni da membro dell’assemblea nazionale di Alleanza nazionale». Con una lunga lettera al coordinatore dell’assemblea di An Franco Servello, il senatore Francesco Storace lancia una sfida ai vertici del suo partito, dimettendosi dagli organismi dirigenti, perché intende «cercare la destra». E Destra dovrebbe chiamarsi il suo nuovo partito, per il quale già lavora trovando un primo alleato in Nello Musumeci, l’esponente siciliano di An che già due anni fa ha lasciato il partito. E rivolgendosi anche a Daniela Santanchè come «donna coraggiosa e controcorrente» e che dopo la lettera di Storace replica: «Ora Fini non può non fare niente».
Nella lettera a Servello, il senatore ribelle non denuncia solo l’arretramento elettorale del partito, malgrado la vittoria del Polo, ma soprattutto la gestione «monocratica» senza alcuna discussione interna nel «partito «intriso di carrierismo e governato dalla paura», la riduzione delle correnti «a bande per autotutela» e la mancata convocazione del congresso nazionale. E denuncia anche la scelta referendaria di Fini «per abrogare una riforma elettorale che soltanto un anno e mezzo fa era stata imposta ai parlamentari di An».
Lontani gli anni nei quali «epurator» occupava un posto da protagonista nel partito, adesso intende rimettere tutto in discussione, e accusa anche i suoi compagni di partito: «Non ha senso far finta di nulla, magari per mendicare la promessa di un seggio parlamentare in futuro. Lo avrei ottenuto standomene buono, buonino, come fanno quelli che in privato dicono “Hai ragione” e in pubblico scodinzolano attorno al leader maximo». E i colonnelli, risentiti da questa affermazione, giurano che Storace è «prontissimo a tornare sui suoi passi, altrimenti avrebbe dato dimissioni irrevocabili direttamente nelle mani di Fini».
Ma non sembra, malgrado a via della Scrofa si sussurri che Fini tenterà di ricucire, che le prime reazioni servano ad allentare la tensione. A cominciare dal presidente Servello che risponde con due righe secche alla lunga lettera di Storace. E questi ricambia con un ironico «Grazie dell’appassionata risposta». Aggiungendo: «Nemmeno al Poljtburo sovietico si rispondeva così ai dirigenti politici...». Prende le distanze dalla decisione di Storace il suo vecchio amico, il deputato Carmelo Briguglio che si augura un ripensamento, mentre per Teodoro Buontempo, il senatore Storace «si è fatto interprete di un sentimento diffuso e di conseguenza le sue posizioni non dovranno essere ignorate e neppure criminalizzate». E auspica un confronto franco perché «l’unità si difende con la chiarezza e ritirando alle correnti la delega in bianco che ha consentito loro di occupare, con spregiudicatezza, le strutture territoriali».
IL GIORNALE

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Donna sgozzata in casa, parenti sotto torchio

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
L’anziana trovata senza vita dal parroco. Le auto di quattro figli sotto sequestro

Interrogatori, perquisizioni e caccia all’arma del delitto in attesa dell’esito dell’autopsia. Gli investigatori hanno sentito a lungo i figli e il marito di Ada Tentori, 67 anni, sgozzata ieri nel suo appartamento a Sant’Angelo di Santa Maria di Sala. E quattro auto dei familiari della vittima sono state messe sotto sequestro. Il giorno dopo l’omicidio della donna, la squadra mobile di Venezia lavora su tutte le piste possibili, compresa la rapina degenerata in omicidio, raccogliendo informazioni soprattutto nella cerchia dei familiari, il marito Angelo Fernando Rettore e i cinque figli (uno però è negli Stati Uniti per lavoro), oltre ai tanti che la conoscevano.
Subito dopo il delitto sono state perquisite le vetture dei congiunti della donna, una Punto, una Bmw Az3, una Peugeot e una Mondeo, quindi sono scattati ulteriori controlli, gli interrogatori e la caccia al coltello utilizzato per colpirla alla gola fino a reciderle la giugulare. Quattro dei cinque figli della vittima, il marito e la sorella di quest’ultimo sono tornati insieme agli agenti della Mobile nell’appartamento, un sopralluogo durato tre ore nel corso del quale non è escluso che gli investigatori abbiano trovato nuovi elementi di riscontro alle numerose testimonianze raccolte durante le indagini coordinate dal Pm Francesco Saverio Pavone. Ada Tentori è stata trovata in un lago di sangue dal figlio più giovane, Davide, che ancora vive con i genitori, al suo rientro a casa nel pomeriggio. Tra i primi ad arrivare nell’appartamento del delitto, il parroco del paese don Lino Bertin, che parla di un omicidio efferato, compiuto con decisione, con la volontà precisa di uccidere: «Mi sono trovato di fronte a una scena orribile - racconta -. Il sangue era ovunque e chi ha ucciso ha infierito su Ada colpendola alla testa, forse facendola sbattere sul muro o sul pavimento dopo averla accoltellata». Don Lino le ha dato l’estrema unzione, anche se era già morta. Il parroco esclude l’ipotesi di una rapina degenerata e rafforza la propria tesi sottolineando i buoni rapporti esistenti tra i compaesani, stranieri compresi.
Di lei parla come di una persona buona, disponibile, generosa, solare, sempre pronta ad aiutare chi aveva bisogno e soprattutto a partecipare alle iniziative della parrocchia. Attorno all’anziana donna, secondo don Lino, una famiglia unita seppur con qualche problema, che però aveva sempre saputo superare con l’aiuto reciproco di tutti, Ada, il marito Angelo e i cinque figli. In paese e tra i vicini vige la regola del silenzio, ma lo sgomento e l’incredulità sono palpabili. «Abbiamo paura - dice la vicina di casa -. Una cosa così non l’avevamo mai vista e mai ci saremmo aspettati che accadesse». I pochi che parlano vogliono mantenere l’anonimato: «Abbiamo saputo e capito ciò che è accaduto solo quando abbiamo sentito le urla del figlio che chiedeva aiuto - racconta la vicina - e poi quando è arrivata la polizia e i primi soccorsi».


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Ustica, «Stato colpevole» Primi risarcimenti per i parenti delle vittime

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Il ministero della Difesa e quello dei Trasporti condannati a pagare 980mila euro a 4 famiglie

Ventisette anni senza una «vera» verità. Nonostante le inchieste, le commissioni parlamentari, le denunce, gli strani suicidi e le morti sospette. Ustica, uno dei tanti, ancora troppi, grandi misteri d’Italia: ottantuno morti, uomini, donne e bambini. Si trovavano sul Dc9 Itavia precipitato a largo dell’isola palermitana quella maledetta sera del 27 giugno 1980. Adesso, per questa strage di cui resta un mosaico incompleto fatto di omissioni, bugie e mezze ammissioni almeno qualcuno, almeno in parte, pagherà. Ieri la seconda sezione civile del tribunale di Palermo ha condannato i ministeri dei Trasporti e della Difesa al risarcimento, per complessivi 980 mila euro, di 15 familiari di quattro vittime. Un precedente, o meglio un segnale: ora anche i familiari delle altre vittime potrebbero intentare la via processuale nonostante la Suprema corte, nel gennaio scorso, avesse chiuso il processo penale.Respingendo il ricorso la Cassazione aveva precluso la possibilità di riaprire il processo per i risarcimenti ai familiari delle vittime. L’avvocato Vincenzo Fallica - uno dei legali che hanno ottenuto 17 anni dopo il primo atto di citazione in sede civile dei ministeri della Difesa e dei Trasporti, il risarcimento- spiega perché le cose non stanno così: «Anche se il procedimento penale ha consegnato alla storia un mistero - spiega Fallica -, ciò non significa che venga meno la responsabilità dello Stato. Anzi, se un ordigno è stato posto nell’aereo vuol dire che gli addetti aeroportuali non hanno effettuato gli opportuni controlli». E, dunque, secondo la tesi difensiva accolta dal Tribunale, «la responsabilità dello Stato appare in tutta evidenza e prescinde chiaramente dall’accertamento delle singole responsabilità personali».
In definitiva, secondo il legale la sentenza del Tribunale potrà aprire la strada alle richieste risarcitorie per gli altri familiari, «indipendentemente dal fatto che non siano stati individuati, per l’alone di mistero che avvolgeva la vicenda, tutti gli organi istituzionali coinvolti».

IL GIORNALE

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Farmaci di fascia C al supermarket, è scontro

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
I farmacisti insorgono contro l’emendamento voluto dalla maggioranza. Altolà anche dalla Turco: «Va cambiato in Senato»

La Camera approva l’emendamento che autorizza la vendita al supermercato dei farmaci con ricetta di fascia C, medicine con prescrizione, e si riapre la polemica. Alimentata non solo dai farmacisti, che già avevano dato battaglia contro lo sbarco al supermercato degli scaffali da banco, ma anche dal ministro della Salute, Livia Turco: «No - afferma il ministro in una nota inviata in tarda serata - alla vendita nei supermercati dei farmaci con ricetta. Chiederò al Senato - aggiunge - di correggere la decisione della Camera».
E ancora polemizzano le associazioni delle farmacie private e di quelle comunali. «Con un nuovo blitz, il Governo e la maggioranza fanno un altro regalo ai grandi gruppi commerciali (italiani come Coop, o multinazionali come Auchan e Carrefour, e le nascenti catene di parafarmacie)», commenta Federfarma che rappresenta i 16mila esercizi privati che hanno chiesto un incontro urgente al Ministro della salute e hanno convocato per domani, giovedì 31 maggio, un Consiglio Direttivo di Federfarma. La novità, spiega l’associazione, è arrivata «mentre è in corso al ministero della Salute un tavolo di confronto con gli operatori del settore per rendere il servizio farmaceutico sempre più rispondente ai bisogni dei cittadini».
Anche le farmacie comunali auspicano una bocciatura della norma al Senato, rilanciando la proposta di avere insieme più servizi per la salute in farmacia, nuove farmacie comunali nelle zone dove il servizio non è sufficiente, remunerazione del farmacista in base alla funzione professionale e rapporto con il servizio sanitario nazionale basato anche sulla qualità della farmacia, oltre a un adeguamento alle norme europee superando l’attuale legislazione sulla proprietà delle farmacie.
«I medicinali non sono beni di consumo - sostiene l’associazione Assofarm che le rappresenta - ed è necessario che il Governo adempia tempestivamente così come è stato rapidissimo a far aprire corner ad altri canali distributivi, a tutte le indicazioni della Comunità Europea». Per questo si chiede l’apertura di nuove farmacie comunali su tutto il territorio nazionale per rendere più competitivo il settore farmaceutico, anzichè favorire l’apertura di troppi punti vendita che farebbero aumentare i costi per la distribuzione banalizzando il servizio e la qualità ad esso connessa.
Favorevole invece il Movimento dei Consumatori: «Riteniamo la notizia positiva - commenta Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento Consumatori - e crediamo che questa novità non comporterebbe svantaggi per gli altri canali di distribuzione».
IL GIORNALE

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Parlamento a scarsa produttività Una legge ogni due settimane

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
La Camera fa festa. In tre mesi 44 riunioni su 90 giorni


IN tre mesi una media di una legge ogni due settimane. E con l'aggravante che quasi per il 90% si tratta di conversioni di decreti leggi. Un bilancio magrissimo quello che da marzo ad oggi riguarda l'attività di Camera e Senato. In totale sette leggi di cui ben cinque frutto dell'azione del Governo e soltanto una d'iniziativa parlamentare. Ma soprattutto molte riguardanti temi di secondo piano. Numeri che in modo ancora più impietoso, più di quanto non abbiano fatto già le polemiche e le dichiarazioni delle varie sponde politiche, inchiodano questa Legislatura al suo personale e triste record negativo di produttività. Se in un anno Montecitorio e Palazzo Madama sono riuscite a condurre in porto soltanto 37 leggi negli ultimi tre mesi i parlamentari non sono riusciti a toccare nemmeno quota dieci. Complici i tantissimi giorni di festa che hanno caratterizzato questi ultimi mesi di attività parlamentare. In tre mesi alla Camera ci si è riuniti soltanto 44 volte su 90 giorni disponibili. Mentre a Palazzo Madama si è fatto peggio arrivando a 39 sedute. Ma se evitiamo di considerare le sedute e facciamo riferimento solo ai giorni di effettive riunioni dell'Assemblea il computo scende a 28. Cifre incredibili soprattutto se comparate con i compensi che mensilmente senatori e deputati ricevono. E così la spiegazione della debacle di risultati in termini di numero di leggi approvate è di facile deduzione. Come detto sono solo sette i provvedimenti fino a questo momento varati. Nel mese di marzo solo una normativa su cui Camera e Senato hanno dato il loro voto definitivo. Era il 29 marzo. Si trattava della legge riguardante la partecipazione italiana alle missioni umanitarie ed internazionali. Un atto dovuto e necessario che dopo il grande spavento della crisi di Governo a fine febbraio è passato in Parlamento, e soprattutto al Senato, senza grossi patemi. Ad aprile più movimento, ma effimero, visto che si tratta soltanto di conversioni di decreti legge. Il 2 aprile la prima con voto di fiducia, il sedicesimo chiesto dal Governo, sul decreto Liberalizzazioni proposto dal ministro Bersani. La seconda conversione porta la data del 4 aprile e riguarda il decreto violenza negli stadi. Ed infine si arriva al 6 aprile con il decreto legge per l'attuazione degli obblighi internazionali e comunitari. Dopo due mesi quindi solo tre leggi e nessuna su iniziativa parlamentare. Per avere la prima, e l'unica, si deve aspettare maggio. E' il 4 maggio. Si tratta della normativa che istituisce il giorno della memoria per le vittime delle stragi e del terrorismo. A metà mese, invece, una nuova conversione di decreto legge, quello in materia di consigli giudiziari ed in particolare delle Corti d'Appello. Il 17 approvato il ripiano dei debiti delle strutture sanitarie locali.
DARIO CASELLI

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L’Udc archivia la questione leadership

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Non una parola su Berlusconi. Dai centristi soltanto frasi di circostanza contro il centrosinistra

L’UDC non canta più. Non più una parola su Berlusconi. Non un accenno alla leadership. Non una frase anti Berlusconi. Niente. Nulla di nulla. Casini è rimasto ammutolito dal risultato delle urne. E ha mandato avanti gli scudieri, Lorenzo Cesa e Francesco Pionati, a commentare le urne con frasi di circostanza: la sinistra ha perso, governo in crisi e bla, bla del genere. È l’unico risultato che l’Udc può vantare, la sconfitta del centrosinistra. Come fa Cesa. «Una sonora bocciatura del centrosinistra, del governo e del Partito democratico: una forte avanzata del centrodestra e dell'Udc: i dati consolidati confermano l'andamento di queste elezioni amministrative. Il centrosinistra deve riflettere e rispondere adeguatamente. Chiedo ai moderati della coalizione, Rutelli, Mastella e Di Pietro, di assumere l'iniziativa, guardare in faccia la realtà e aprire una nuova stagione di governo e una nuova fase nella politica italiana». Così commenta i risultati elettorali il segretario dell'Udc. Che aggiunge: «Illudersi di poter risolvere i problemi della maggioranza con qualche vertice è pura follia: l'incompatibilità tra le diverse anime della coalizione di centrosinistra è strutturale. E non potrà che continuare a paralizzare l'azione di governo, senza risolvere i problemi degli italiani». Di «schiaffo al governo e di de profundis del Partito democratico» parla il senatore Francesco Pionati. «È questo il doppio significato del voto amministrativo concentrato soprattutto al Nord - dice Pionati - Oltre a punire l'ingovernabilità del centrosinistra, l'elettorato ha mostrato di non avere alcun apprezzamento per l'avvio del Partito Democratico che pure, in questa prima fase, avrebbe dovuto suscitare i maggiori entusiasmi. Se occorreva una prova di quanto operazioni a tavolino non abbiano riscontri nell'elettorato, questa prova c'è stata. Ora per il centrosinistra si apre la fase più drammatica della legislatura». Il vicepresidente dei deputati dell’Udc, Maurizio Ronconi, invece, afferma: «Non una spallata ma certo uno sgambetto al governo Prodi. La spallata potrà essere data solo dal voto parlamentare e la debolezza del governo potrebbe consigliare la maggioranza ad una resistenza ad oltranza nel ridotto del Senato.Invece con lo sgambetto delle amministrative il centrosinistra può cadere nel vortice delle reciproche recriminazioni ed entrare presto in una crisi definitiva. Quindi meglio lo sgambetto di oggi che l'ipotetica spallata di domani». È il commento del vicepresidente dei deputati dell'Udc, Maurizio Ronconi, al risultato del voto amministrativo. Infine, il commento del deputato Udc Francesco Bosi: «Anche in Toscana la sinistra scricchiola. È un sistema di potere usato per la ricerca del consenso che premia gli amici e penalizza tutti gli altri: un sistema clientelare di massa che non può durare dove gli scontenti aumentano. Spetta adesso al centro-destra dimostrarsi una vera alternativa di governo a tutti i livelli».
IL TEMPO

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Niente semilibertà e benefici per l’ex brigatista Paolo Persichetti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
NIENTE permessi premio né semilibertà per l'ex Br Paolo Persichetti recluso nel carcere di Viterbo dove sta scontando una condanna per concorso nell'omicidio Giorgieri. Lo ha sancito la Cassazione che, con due sentenze della prima sezione penale, ha respinto i due ricorsi presentati dalla difesa. In particolare, piazza Cavour spiega che dalla consultazione del volume pubblicato dallo stesso Persichetti nel 2006 «Esilio e castigo» si evince «la mancanza di una compiuta autocritica del proprio vissuto e di una coerente adesione ai valori fondamentali del sistema democratico».
IL TEMPO

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Altro che tagli, le Province crescono

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione
In Parlamento richieste per istituirne altre 24. Mantenerle costerebbe come mezzo Tesoretto

Il presidente del Senato Franco Marini non aveva ancora pronunciato il suo discorso di insediamento quando un drappello di senatori di Forza Italia, guidato da Pasquale Giuliano, depositava un progetto di legge per istituire una nuova provincia: Aversa. Era il 28 aprile dell’anno passato, le urne erano ancora «calde», partiva l’ennesimo assalto alla diligenza. A distanza di poco più di un anno, depositate in Parlamento ci sono ben 43 proposte di legge che propongono 24 nuove province. In pratica in ogni regione d’Italia, dal Nord al Sud, isole comprese. Per pagarle tutte ci giocheremmo metà del tesoretto che Padoa-Schioppa ha reso disponibile per la spesa sociale: 1,2 miliardi. Una follia. Non a caso in questi giorni il ministro Amato sta pensando di rispolverare la norma stralciata dall’ultima Finanziaria che congelava tutti i fondi destinati ad istituire nuovi uffici periferici (prefetture, questure, ecc.) nelle nuove province non ancora decollate, come Monza, Fermo e Barletta-Andria-Trani.

Proposte bipartisan
L’ultimo «pdl» messo agli atti è datato 16 aprile, quando già da settimane infuriava la polemica sui costi della politica e le province campeggiavano in cima alla lista degli enti inutili: istituzione della provincia dell’Arcipelago toscano, capoluogo Porto Ferraio. La proposta è del Dc-Ps Lucio Barani che fa salire a 17 i progetti firmati da deputati e senatori di Nuova Dc e alleati, 12 arrivano da Forza Italia, 4 dall’Udc, 3 dai Verdi, 2 a testa da Ulivo e Lega Nord, mentre An, Rosa nel pugno e gruppo Misto ne siglano uno ciascuno. I recordman assoluti sono i dc Catone e Rotondi, con 8 nuove province, seguiti da Mario Pepe (deputato di Forza Italia eletto a Velletri) che ne propone 3. Tutte nella sua area di influenza: Castelli romani, Civitavecchia e Guidonia. Le province più sponsorizzate (con 4 pdl ciascuno) sono quelle di Melfi e della Venezia orientale. Consensi bipartisan e doppio capoluogo, a Portogruaro e San Donà di Piave. Aversa, Avezzano, Bassano del Grappa, Sibaritide Pollino e Sulmoma hanno tre nomination a testa, due Nola e la provincia «dei Marsi». Come Lanciano Vasto Ortona e Frentana, che è l’unica proposta dai Verdi. Che come altre forze di maggioranza gridano da tempo contro i costi della politica e poi coi senatori Marco Pecoraro Scanio (fratello del leader Alfonso) e Tommaso Pellegrino, a loro volta giocano a scassare la cassa. Luca Volontè dell’Udc appoggia la richiesta di Busto Arsizio, il leghista Roberto Cota vuole staccare Canavese e Valli del Lanzo da Torino, il senatore Malan (Fi) punta invece le sue carte su Pinerolo. Per il leghista Davide Caparini anche la Valcamonica merita il titolo di provincia. Il suo collega Paolo Grimoldi propone invece di allargare quella di Monza ai comuni di Busnago, Caponago, Cornate d'Adda e Roncello. Valter Zanetta di Forza Italia chiede l’assegnazione dello statuto speciale a Verbania Cusio Ossola e pure l’istituzione di una zona franca, il leghista Montani la vorrebbe invece trasformare in provincia autonoma. Progetto che altri deputati della Lega coltivano invece per Treviso, Bergamo e Belluno.


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Computer senza mouse

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Stavolta a sorprendere è stato Bill Gates, e non il suo avversario Steve Jobs. Alla conferenza D: All Things Digital organizzata dal Wall Street Journal, Microsoft ha presentato ieri Surface, un prototipo di computer funzionante senza tastiera e senza mouse. Niente comandi vocali, niente onde elettromagnetiche lette direttamente dal cervello, ma un tavolino vagamente simile a quei videogames che affollavano bar e sale giochi qualche decennio fa. Invece di Pacman, qui è però come essere catapultati nel futuro immaginato da Steven Spielberg in Minority Report. Basta un dito per spostare un'immagine, ruotarla, ingrandirla, o per scegliere la canzone da ascoltare, costruire scalette musicali personalizzate, dipingere, scrivere. Ma c'è di più: Surface è capace di riconoscere gli oggetti che vi vengono posati sopra. Se si tratta di un cellulare, ad esempio, aggiorna automaticamente la rubrica e l'agenda, se è una fotocamera scarica le immagini nuove e fa partire le diapositive, se invece è un lettore Mp3 carica i brani preferiti.

Il mondo a portata di dito
Surface integra tecnologie già esistenti da tempo, ma il risultato è rivoluzionario: un pc semplicissimo da usare, perfetto anche per bambini, anziani e disabili. Il miracolo avviene grazie ad uno schermo lcd disposto in orizzontale, sotto il quale cinque telecamere a raggi infrarossi identificano gli oggetti, mentre la parte superiore è sensibile al tocco. Non si tratta del consueto touch screen usato finora su palmari e telefonini, ma di una versione assai più avanzata, denominata multi touch. E' simile a quella adottata da Apple sull'iPhone, l'ibrido iPod-cellulare che dovrebbe essere sul mercato Usa fra un paio di settimane: non si usano pennini, ma solo le mani. Solo che, con i suoi trenta pollici di diagonale, Surface permette usi molto diversi: per disegnare, ad esempio, si intinge il dito nel colore, e poi via con la fantasia; volendo si può usare un pennello, e apparirà un tratto più spesso e più morbido.

Interfaccia rivoluzionaria
Surface dice addio alla tradizionale interfaccia del computer, inventata nei laboratori Xerox all'inizio degli Anni Ottanta e portata al successo prima da Apple e poi da Microsoft. Da oltre un quarto di secolo, tutti i pc adottano la metafora della scrivania, dei file e delle cartelle, perfezionandone costantemente l'estetica, ma introducendo pochissime novità di rilievo. Ora, dopo sei anni di ricerche, Redmond adotta la strategia dei concorrenti, e progetta hardware e software perfettamente integrati, con una serie di applicazioni pensate inizialmente per locali e pubblici esercizi. In un bar, ad esempio, sarà possibile ordinare un bicchiere di vino e il tavolo proporrà una lista di dolci e snack da abbinare; toccando quello desiderato partirà l'ordinazione, e per pagarla basterà passare la carta di credito su Surface. In un albergo, invece, sarà possibile usarlo come una mappa stradale interattiva, che suggerisce monumenti da vedere e manifestazioni da seguire.


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Crepuscolo veneziano / Un sindaco col cappello sempre in mano

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il sindaco Massimo Cacciari è sempre col cappello in mano: una volta chiede soldi per lo stadio, un’altra volta per il palazzo del cinema, un’altra ancora per il Carnevale, quindi per la Regata storica, infine (per il momento è questa l’ultima sortita) per rifare il ponte dell'Accademia che, qualora uno sponsor pagasse, potrebbe cambiare subito il nome: ponte Elton John o forse ponte Bill Gates...In questi giorni Cacciari, in qualità di presidente del teatro la Fenice, è angosciato e con le mani nei capelli: “Il teatro è destinato a chiudere - si lamenta il sindaco dalle pagine del Gazzettino diventato ormai il proprio portavoce –; non abbiamo soldi, lo Stato ci ha tolto sei milioni di euro, così la Fenice non ha futuro, a meno che non ci venga in soccorso uno sponsor”. Come accadde nel 1996, quando un tragico incendio distrusse in poche ore il teatro, la Fenice è di nuovo in crisi. Solo che allora il mondo intero, assistendo in diretta tv allo spettacolo delle fiamme che ridussero in cenere il teatro, si commosse e fece piovere generosissime offerte per la ricostruzione “com'era dov'era", come aveva promesso con le lacrime agli occhi il sindaco-filosofo. Mentre oggi tutti, ma proprio tutti, in primis gli industriali veneti, fanno orecchie da mercante. L'orchestra della Fenice sarà presto costretta a girare il mondo per ricordare a tutti che esiste. Una cosa pietosa. Intanto Cacciari non pensa di sostituire Giampaolo Vianello, l'attuale sovrintendente, ormai inviso a tutti, incapace persino, come ha dimostrato di recente, di gestire decentemente i rapporti coi sindacati che hanno danneggiato il teatro non solo economicamente, ma anche sul piano dell’immagine, facendo saltare la prima della Traviata.


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Magdi Allam ritrae Arafat: leader “doppio, ambiguo e funesto”

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione
“Gli mozzerò le mani con cui ha sottoscritto quegli accordi”. Così si esprimeva Yasser Arafat sull’accordo che il presidente egiziano Sadat siglò con Israele alla Casa Bianca. È solo una delle tanti affermazioni sinistre dell’ex rais palestinese che Magdi Allam riporta nel suo pamphlet Viva Israele, in uscita in questi giorni per Mondadori. “Ovunque passasse, Arafat seminava faziosità e odio, lasciando alle sue spalle conflitti e instabilità”. Doppio, ambiguo, funesto, così Magdi Allam tratteggia l’ex leader assoluto della questione palestinese. Come il rappresentante, dissimulato e incensato dall’opinione pubblica occidentale, di quella che chiama “ideologia della morte”, la stessa che costringe Allam a vivere e a muoversi con la scorta, prigioniero e vittima dell’accusa di “tradimento della fede” che l’islamismo rivolge ai nemici della cultura guerrasantiera. Allam racconta che nel 1979 Arafat patrocinò e fomentò l’espulsione dell’Egitto dalla Lega Araba capeggiando il cosiddetto “Fronte del rifiuto e della fermezza”. Ma dopo la cacciata dei suoi fedaiyin dal Libano nel 1982 a opera degli israeliani e tra l’inerzia dei siriani, e dopo la strage dei suoi fedelissimi per mano dei siriani con l’ausilio dei collaborazionisti Abu Moussa e Ahmed Jibril, Arafat cercò e ottenne la riconciliazione con l’Egitto di Mubarak. E fu soltanto quando si sentì abbandonato e allo stremo delle forze che si ritrovò costretto a convertirsi all’opzione negoziale.

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Colleghi distratti? Ci pensa un test

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Impiegati distratti? Ci pensa un test "spione" a scoprirlo. L'University College di Londra ha sperimentato una prova di valutazione che riesce ad identificare chi ha seri problemi di concentrazione sul posto di lavoro. Come? Il dipendente si mette davanti a un computer su cui vengono proiettate, con difficoltà crescente, sequenze di lettere che formano parole da ricostruire. Per ogni gruppo il computer calcola il tempo di risposta.

I ricercatori hanno scoperto che con le sequenze più difficili il tempo di risposta si manteneva costante, mentre invece con quelle più facili l'attenzione calava e i tempi si allungavano. Insomma con l'aumentare del tempo di risposta gli errori si facevano più frequenti. A confermare questi risultati, un questionario che rivelava la predisposizione alla "distrazione" degli impiegati.

"Le persone finiscono il nostro test pensando di averlo fatto bene quando invece...", dice il professor Nilli Lavie dell'University College. Dunque sono avvertite le persone che fanno lavori "a rischio"(in particolare piloti e autisti): il test potrebbe "fare la spia".

Claudia Nuzzarello

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Fatima

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Mostrata in tv per la prima volta la lettera con cui Suor Lucia racconta il Terzo Segreto

Un altro importante tassello dei misteri che circondano il terzo segreto di Fatima è caduto. E viene dal Vaticano quest'altro impulso. Il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, ha infatti mostrato per la prima volta, e in esclusiva mondiale televisiva, la lettera in cui suor Lucia Dos Santos aveva scritto il segreto. La rilevanza sta nel fatto che sinora si conosceva il testo del messaggio, mentre mai prima s'era vista la lettera su cui era riportato, lettera sempre custodita negli Arcivi segreti vaticani.

Una decisione, quella del card. Bertone, che ha avuto per teatro gli studi di 'Porta a Porta', mentre era in corso la registrazione del programma di Bruno Vespa e che andrà in onda su Raiuno. Il Segretario di Stato vaticano ha mostrato anche la serie di buste che - come forma ulteriore di tutela del segreto - contenevano la lettera della veggente portoghese divenuta poi suora, inizialmente appartenente alla Congregazione di Santa Dorotea e poi come carmelitana scalza nel Carmelo di San Giuseppe a Coimbra con il nome di suor Maria Lucia del Cuore Immacolato. Scelta di clausura approvata dal vescovo di Coimbra e da Papa Pio XII perché si voleva preservare la suora dal gran numero di visite, anche curiose, che la tormentavano per il fatto che - con i cugini Francesco e Giacinta - fosse stata una veggente della Vergine.

Sono ormai decenni che si discute in tutto il mondo di questo terzo segreto di Fatima e sinora il Vaticano non aveva mai mostrato al pubblico la busta, anzi a questo punto si scopre che era una serie di buste, né tantomento la lettera-messaggio, lasciando solo che si conoscesse il contenuto, ovvero rendendo noto quello che all'epoca era stato il messaggio della Vergine all'umanità. Era stato Giovanni Paolo II a disporre nel maggio del 2000, dopo la proclamazione a beati di Francesco e Giacinta, che venisse rivelato il terzo segreto, o la "terza parte" del segreto, affidando all'allora Segretario di Stato cardinale Angelo Sodano il compito di una comunicazione che anticipava i contenuti del testo autorizzando la Congregazione per la dottrina della fede, guidata dall'allora Prefetto cardinale Joseph Ratzinger, a redarre un opportuno commento teologico. Ma senza autorizzare il via libera a immagini o notizie relative a dove e come fosse riportato e custodito quello stesso segreto.

AFFARI ITALIANI

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Dopo Prodi, che cosa

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il capo della Margherita vuole separare le sorti del governo da quelle del Pd. Ds preoccupati

Se le parole del suo articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera Salvatore Vassallo le avesse affidate a una delle tante dichiarazioni anonime che riempiono i giornali, oggi sarebbe stato pressoché impossibile individuarne la fonte. “In questo quadro – scrive l’intellettuale ulivista – trovo che le stesse proposte da me avanzate nelle ultime settimane riguardo alla fase costituente siano viziate da un eccesso di cautela e formalismo”. Dinanzi a quello stesso quadro, un quadro che i risultati definitivi delle elezioni amministrative hanno reso assai più fosco di quanto si attendesse, in molti oggi potrebbero fare proprie le parole del professore. Alla direzione del suo partito, Francesco Rutelli si schiera al fianco di Dario Franceschini e dice che al voto del 14 ottobre non si dovrà eleggere soltanto l’assemblea costituente del Partito democratico, ma anche il suo leader. E in pochi, oggi, hanno voglia di dargli torto.
“Il 14 ottobre venga eletto anche il leader – scrive lo stesso Vassallo sul Corriere della Sera – non un ‘semi-leader’ o un ‘leader di riserva’”. Detto questo, s’intende, Prodi resta il “candidato naturale”, ed è con lui che dovrebbero competere gli eventuali aspiranti al trono. La conclusione dell’articolo suona dunque come un estremo appello: “Se Prodi intende rimanere in sella, dovrebbe raccogliere o lanciare lui stesso la sfida”. A differenza delle precedenti, però, queste parole non sono in molti a sottoscriverle, oggi. “La verità – dice un autorevole parlamentare ulivista – è che occorre separare il destino del Partito democratico da quello di Romano Prodi. Questo è il senso del discorso di Rutelli e io credo che abbia ragione”. Il presidente della Margherita però non parla soltanto di leadership – o forse invece parla proprio di questo, ma in un altro senso – e torna all’offensiva chiedendo decisioni rapide e nette, a cominciare dall’alta velocità e dall’abolizione dell’Ici.
I risultati delle amministrative hanno spinto molti a riconsiderare le proprie posizioni e ad ammettere, con Vassallo, l’eccesso di “cautela e formalismo” nell’immaginare la nascita del Partito democratico come un’operazione sicura e indolore, come un parto cesareo, da farsi in anestesia totale. Con le elezioni amministrative e i magri risultati raccolti dal Pd, il paziente si è risvegliato di colpo nel cuore della notte, ancora disteso sul tavolo operatorio e assai più debole di quanto si pensasse.


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Alla fine si muove George W. Bush contro il genocidio in Darfur

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Washington rafforza le sanzioni economiche contro le aziende del Sudan. Pechino è avvertita

L’America, al contrario delle Nazioni Unite, non esita a chiamare “genocidio” il massacro delle popolazioni nere del Darfur ad opera delle milizie arabe janjaweed sostenute dal governo islamista del Sudan. E ora, dopo aver dato un’ulteriore chance alla diplomazia dell’Onu, Washington ha deciso di cominciare a fare sul serio per fermare le stragi di civili (“450 mila morti” secondo il Washington Post, “almeno 200 mila” per il New York Times) e il flusso di profughi (2 milioni e mezzo) cominciate nel 2003 contro le etnie africane del Darfur che chiedono una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza nazionale gestita dal presidente islamista Omar Hassan al-Bashir.
Ieri mattina, alla Casa Bianca, George W. Bush ha delineato il suo piano d’azione per salvare il Darfur, andando incontro alle pressanti richieste di una strana alleanza tra i gruppi liberal impegnati nella difesa dei diritti umani e le organizzazioni cristiano-evangeliche. Bush ha deciso di rafforzare l’applicazione delle sanzioni economiche già adottate nei mesi scorsi contro un centinaio di aziende sudanesi controllate dal governo di Khartoum. Bush, inoltre, ha dato mandato al Dipartimento del tesoro di aggiungere alla lista altre trenta società sudanesi, in particolare aziende petrolifere e sospettate di comprare armi. Tutte queste società non potranno entrare nel sistema finanziario americano e diventerà reato per qualsiasi azienda o individuo americano averci a che fare. La Casa Bianca ha esteso le sanzioni imposte alle aziende anche a singoli cittadini sudanesi responsabili per i fatti di sangue. Bush, infine, ha annunciato che Condoleezza Rice è al lavoro con i colleghi britannici e gli altri alleati su una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che estenda il divieto di fare affari con le società governative sudanesi a tutti i paesi del mondo. Se ne discuterà al G-8 di inizio giugno, in modo che anche il club delle più grandi economie mondiali cominci l’opera di persuasione nei confronti di chi, come la Russia e soprattutto la Cina, non vuole saperne di un’ulteriore risoluzione Onu.
Il Sudan ha subito definito “ingiuste e intempestive” le misure annunciate da Washington e ha pubblicamente chiesto al resto del mondo di ignorarle. “Queste iniziative americane cadono in un momento in cui il Sudan sta discutendo la pace in Darfur e collaborando per una forza Onu-Unione africana, da dispiegare nella regione”, ha detto all’Associated Press il portavoce del ministero degli Esteri sudanese. In realtà è vero il contrario. Ad aprile, dopo l’iniziativa di pace promossa l’anno scorso dagli americani e dalle Nazioni Unite, il Sudan aveva accettato il dispiegamento di un primo contingente di tremila caschi blu Onu a sostegno dei settemila uomini della forza di pace dell’Unione africana già presenti sul territorio. Già il mese scorso, Bush aveva denunciato il governo di Khartoum proprio perché non consentiva il pieno dispiegamento delle truppe Onu, così come previsto dall’accordo di pace, ma anche perché continuavano i bombardamenti sui civili ordinati dal governo centrale. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon era fiducioso di poter convincere il presidente al-Bashir ad accettare l’arrivo dei caschi blu e, soprattutto, a fermare il genocidio. Bush gli ha concesso il tempo richiesto, ma un mese dopo non è cambiato nulla e non si è visto alcun segno

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Gli ergastolani scrivono a Napolitano: "Siamo stanchi. Condannateci a morte"

>>Da: baffo
Messaggio 1 della discussione
di ALBERTO CUSTODERO

ROMA - Meglio morire che restare a vita in carcere. Trecentodieci ergastolani si sono rivolti al capo dello Stato chiedendogli di essere condannati a morte. A Giorgio Napolitano quei 310 detenuti con sentenza "fine pena mai" hanno spedito altrettante lettere che si concludono con una richiesta che il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, ha definito "tragicamente paradossale, e tuttavia comprensibile". Eccola: "Signor presidente della Repubblica, siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni. Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena dell'ergastolo sia tramutata in pena di morte". Ecco come i condannati al carcere perpetuo hanno spiegato la loro provocazione. "L'ergastolo è l'invenzione di un non-dio di una malvagità che supera l'immaginazione. È una morte bevuta a sorsi. È una vittoria sulla morte perché è più forte della morte stessa".
Oltre alla lettera al presidente, i detenuti a vita hanno pure dedicato una "ballata dell'ergastolano" (sogni che iniziano dove finiscono/prigionieri per sempre/non ci uccidono, peggio: ci lasciano morire per sempre), a tutti i senatori che discuteranno il ddl per l'abolizione dell'ergastolo. Tra quei 310 detenuti rinchiusi per sempre in prigione ci sono persone che hanno ucciso, fatto parte di associazioni terroristiche come Prima Linea e criminali come mafia, camorra, 'ndrangheta e Sacra Corona. Ci sono i condannati per l'omicidio del giudice Livatino, del giornalista del Mattino Giancarlo Siani, i killer dello studente sedicenne Donato Cefola, boss che legano il loro nome ai clan che si arricchiscono talmente tanto con estorsioni e traffico di droga da comparire al primo posto nella classifica Eurispes sui patrimoni mafiosi.

Eppure, una volta che con un "mai" si indica la fine della pena a cui sono stati condannati, per loro inizia "una sofferenza infinita". Quelli che una volta erano boss temutissimi, malavitosi pericolosi, killer e assassini spietati, diventano - per usare le parole scritte nella loro lettera a Napolitano - "esseri non morti, ma neppure vivi". Perché, spiegano, "l'ergastolo trasforma la luce in ombra, ti fa morire dentro a poco a poco". La condanna perpetua "rende inutile la vita, fa sembrare il futuro uguale al passato". "Schiaccia il presente e toglie la speranza".

"All'ergastolano - raccontano al presidente della Repubblica - rimane solo la vita. Ma la vita senza futuro è meno di niente. È piatta ed eterna". E poi ancora, "l'ergastolo è una pena stupida perché non c'è persona che rimanga la stessa nel tempo".
Per la senatrice Maria Luisa Boccia, Prc, prima firmataria di un disegno di legge per l'abolizione dell'ergastolo, "il "tragico paradosso" è dovuto al contrasto fra la Costituzione, secondo cui la pena è finalizzata al reinserimento sociale, e l'ergastolo, che nega questa possibilità a chi sta in galera tutta la vita". "Ecco perché - ha aggiunto la senatrice - nel disegno di legge chiedo che il "fine pena mai" sia sostituito da una condanna a termine, ad esempio 30 anni". Sulla crudeltà della pena a vita, spiega la senatrice Boccia, "basti ricordare come il codice penale francese del 28 settembre 1791, pur prevedendo la pena di morte, avesse abolito l'ergastolo, ritenuto, molto più della pena capitale, disumano, illegittimo e inaccettabile nella misura in cui rende l'uomo schiavo in nome di una pretesa superiore ed inviolabile ragion di Stato".

È stato un ergastolano, Ca

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L’Udc archivia la questione leadership

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Non una parola su Berlusconi. Dai centristi soltanto frasi di circostanza contro il centrosinistra

L’UDC non canta più. Non più una parola su Berlusconi. Non un accenno alla leadership. Non una frase anti Berlusconi. Niente. Nulla di nulla. Casini è rimasto ammutolito dal risultato delle urne. E ha mandato avanti gli scudieri, Lorenzo Cesa e Francesco Pionati, a commentare le urne con frasi di circostanza: la sinistra ha perso, governo in crisi e bla, bla del genere. È l’unico risultato che l’Udc può vantare, la sconfitta del centrosinistra. Come fa Cesa. «Una sonora bocciatura del centrosinistra, del governo e del Partito democratico: una forte avanzata del centrodestra e dell'Udc: i dati consolidati confermano l'andamento di queste elezioni amministrative. Il centrosinistra deve riflettere e rispondere adeguatamente. Chiedo ai moderati della coalizione, Rutelli, Mastella e Di Pietro, di assumere l'iniziativa, guardare in faccia la realtà e aprire una nuova stagione di governo e una nuova fase nella politica italiana». Così commenta i risultati elettorali il segretario dell'Udc. Che aggiunge: «Illudersi di poter risolvere i problemi della maggioranza con qualche vertice è pura follia: l'incompatibilità tra le diverse anime della coalizione di centrosinistra è strutturale. E non potrà che continuare a paralizzare l'azione di governo, senza risolvere i problemi degli italiani». Di «schiaffo al governo e di de profundis del Partito democratico» parla il senatore Francesco Pionati. «È questo il doppio significato del voto amministrativo concentrato soprattutto al Nord - dice Pionati - Oltre a punire l'ingovernabilità del centrosinistra, l'elettorato ha mostrato di non avere alcun apprezzamento per l'avvio del Partito Democratico che pure, in questa prima fase, avrebbe dovuto suscitare i maggiori entusiasmi. Se occorreva una prova di quanto operazioni a tavolino non abbiano riscontri nell'elettorato, questa prova c'è stata. Ora per il centrosinistra si apre la fase più drammatica della legislatura». Il vicepresidente dei deputati dell’Udc, Maurizio Ronconi, invece, afferma: «Non una spallata ma certo uno sgambetto al governo Prodi. La spallata potrà essere data solo dal voto parlamentare e la debolezza del governo potrebbe consigliare la maggioranza ad una resistenza ad oltranza nel ridotto del Senato.Invece con lo sgambetto delle amministrative il centrosinistra può cadere nel vortice delle reciproche recriminazioni ed entrare presto in una crisi definitiva. Quindi meglio lo sgambetto di oggi che l'ipotetica spallata di domani». È il commento del vicepresidente dei deputati dell'Udc, Maurizio Ronconi, al risultato del voto amministrativo. Infine, il commento del deputato Udc Francesco Bosi: «Anche in Toscana la sinistra scricchiola. È un sistema di potere usato per la ricerca del consenso che premia gli amici e penalizza tutti gli altri: un sistema clientelare di massa che non può durare dove gli scontenti aumentano. Spetta adesso al centro-destra dimostrarsi una vera alternativa di governo a tutti i livelli».
IL TEMPO

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Niente semilibertà e benefici per l’ex brigatista Paolo Persichetti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
NIENTE permessi premio né semilibertà per l'ex Br Paolo Persichetti recluso nel carcere di Viterbo dove sta scontando una condanna per concorso nell'omicidio Giorgieri. Lo ha sancito la Cassazione che, con due sentenze della prima sezione penale, ha respinto i due ricorsi presentati dalla difesa. In particolare, piazza Cavour spiega che dalla consultazione del volume pubblicato dallo stesso Persichetti nel 2006 «Esilio e castigo» si evince «la mancanza di una compiuta autocritica del proprio vissuto e di una coerente adesione ai valori fondamentali del sistema democratico».
IL TEMPO

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Altro che tagli, le Province crescono

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione
In Parlamento richieste per istituirne altre 24. Mantenerle costerebbe come mezzo Tesoretto

Il presidente del Senato Franco Marini non aveva ancora pronunciato il suo discorso di insediamento quando un drappello di senatori di Forza Italia, guidato da Pasquale Giuliano, depositava un progetto di legge per istituire una nuova provincia: Aversa. Era il 28 aprile dell’anno passato, le urne erano ancora «calde», partiva l’ennesimo assalto alla diligenza. A distanza di poco più di un anno, depositate in Parlamento ci sono ben 43 proposte di legge che propongono 24 nuove province. In pratica in ogni regione d’Italia, dal Nord al Sud, isole comprese. Per pagarle tutte ci giocheremmo metà del tesoretto che Padoa-Schioppa ha reso disponibile per la spesa sociale: 1,2 miliardi. Una follia. Non a caso in questi giorni il ministro Amato sta pensando di rispolverare la norma stralciata dall’ultima Finanziaria che congelava tutti i fondi destinati ad istituire nuovi uffici periferici (prefetture, questure, ecc.) nelle nuove province non ancora decollate, come Monza, Fermo e Barletta-Andria-Trani.

Proposte bipartisan
L’ultimo «pdl» messo agli atti è datato 16 aprile, quando già da settimane infuriava la polemica sui costi della politica e le province campeggiavano in cima alla lista degli enti inutili: istituzione della provincia dell’Arcipelago toscano, capoluogo Porto Ferraio. La proposta è del Dc-Ps Lucio Barani che fa salire a 17 i progetti firmati da deputati e senatori di Nuova Dc e alleati, 12 arrivano da Forza Italia, 4 dall’Udc, 3 dai Verdi, 2 a testa da Ulivo e Lega Nord, mentre An, Rosa nel pugno e gruppo Misto ne siglano uno ciascuno. I recordman assoluti sono i dc Catone e Rotondi, con 8 nuove province, seguiti da Mario Pepe (deputato di Forza Italia eletto a Velletri) che ne propone 3. Tutte nella sua area di influenza: Castelli romani, Civitavecchia e Guidonia. Le province più sponsorizzate (con 4 pdl ciascuno) sono quelle di Melfi e della Venezia orientale. Consensi bipartisan e doppio capoluogo, a Portogruaro e San Donà di Piave. Aversa, Avezzano, Bassano del Grappa, Sibaritide Pollino e Sulmoma hanno tre nomination a testa, due Nola e la provincia «dei Marsi». Come Lanciano Vasto Ortona e Frentana, che è l’unica proposta dai Verdi. Che come altre forze di maggioranza gridano da tempo contro i costi della politica e poi coi senatori Marco Pecoraro Scanio (fratello del leader Alfonso) e Tommaso Pellegrino, a loro volta giocano a scassare la cassa. Luca Volontè dell’Udc appoggia la richiesta di Busto Arsizio, il leghista Roberto Cota vuole staccare Canavese e Valli del Lanzo da Torino, il senatore Malan (Fi) punta invece le sue carte su Pinerolo. Per il leghista Davide Caparini anche la Valcamonica merita il titolo di provincia. Il suo collega Paolo Grimoldi propone invece di allargare quella di Monza ai comuni di Busnago, Caponago, Cornate d'Adda e Roncello. Valter Zanetta di Forza Italia chiede l’assegnazione dello statuto speciale a Verbania Cusio Ossola e pure l’istituzione di una zona franca, il leghista Montani la vorrebbe invece trasformare in provincia autonoma. Progetto che altri deputati della Lega coltivano invece per Treviso, Bergamo e Belluno.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Governo contro
Tutte proposte destinate ad infrangersi. «Non va avanti nulla» protesta Rotondi. Il governo, infatti è contrario ad istituire nuove province, e contrari lo sono innanzitutto il ministro dell’Interno e quello degli Affari regionali. Anche l’Unione delle province si è messa da tempo di traverso. «La loro proliferazione non fa che indebolirci» spiega il presidente dell’Upi Fabio Melilli. Linda Lanzillotta ha già avviato il monitoraggio per verificare le dimensioni ottimali e a breve dovrebbe indicare «gli standard minimi» per la «buona provincia», preludio di un severo piano di aggregazioni. Nell’attesa il ministro della Margherita ha messo a punto un pacchetto di misure che sottoporrà oggi a Comuni, Province e Regioni. La prima mossa prevede un taglio «minimo» del 25% del numero dei consiglieri, per tutte e tre le tipologie degli enti. Con un risparmio che per i comuni potrebbe arrivare a 120 milioni di euro l’anno, mentre quello delle Province sarebbe di 27-28. Per le Regioni, che comunque dovranno recepire le nuove norme all’interno dei loro statuti, si pensa anche di riparametrare il numero dei consiglieri in base alla popolazione. Per fare un esempio: la Lombardia, una delle regioni più «virtuose», ne ha 81 su un totale di oltre 9 milioni (in pratica uno ogni 117 mila abitanti), il Friuli Venezia Giulia 1 ogni 20 mila, il Molise addirittura 1 ogni 10 mila.

Circoscrizioni addio
Per i consigli di circoscrizione si pensa di elevare in maniera considerevole i requisiti che rendono obbligatoria la loro costituzione, che oggi scatta quando una città ha più di 100 mila abitanti, mentre resta facoltativa tra i 30 mila ed i 100 mila. La proposta è quella di renderli obbligatori solo sopra i 500 mila abitanti, facoltativi (e quindi senza corresponsione dei gettoni di presenza) tra 100 mila e 500 mila abitanti e abolirle sotto quota 100 mila. In maniera tale da «ristabilire un principio importante: che la politica è impegno civile, non una professione retribuita». Infine i benefit: anche per auto blu, cellulari, collaboratori e consulenti si punta ad introdurre criteri uguali per tutti. Nel caso oggi arrivasse l’ok tutte queste misure potrebbero confluire nel disegno di legge sui costi della politica che il governo presenterà tra 15 giorni. Comuni e Regioni sono d’accordo a dalogare sui costi della politica, «ma in maniera razionale e non demagogica» chiede il presidente dell’Anci Leonardo Domenici che propone un «patto tra le istituzioni» che coinvolga anche governo e Parlamento.
PAOLO BARONI


>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Enti inutili e da abolire, ma c'è da modificare la Costituzione.
Credo che attualmente nessuno abbia il coraggio di farlo.
Andrea

>>Da: er Drago
Messaggio 4 della discussione
Mazzate sui denti ai propositori.

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Computer senza mouse

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Stavolta a sorprendere è stato Bill Gates, e non il suo avversario Steve Jobs. Alla conferenza D: All Things Digital organizzata dal Wall Street Journal, Microsoft ha presentato ieri Surface, un prototipo di computer funzionante senza tastiera e senza mouse. Niente comandi vocali, niente onde elettromagnetiche lette direttamente dal cervello, ma un tavolino vagamente simile a quei videogames che affollavano bar e sale giochi qualche decennio fa. Invece di Pacman, qui è però come essere catapultati nel futuro immaginato da Steven Spielberg in Minority Report. Basta un dito per spostare un'immagine, ruotarla, ingrandirla, o per scegliere la canzone da ascoltare, costruire scalette musicali personalizzate, dipingere, scrivere. Ma c'è di più: Surface è capace di riconoscere gli oggetti che vi vengono posati sopra. Se si tratta di un cellulare, ad esempio, aggiorna automaticamente la rubrica e l'agenda, se è una fotocamera scarica le immagini nuove e fa partire le diapositive, se invece è un lettore Mp3 carica i brani preferiti.

Il mondo a portata di dito
Surface integra tecnologie già esistenti da tempo, ma il risultato è rivoluzionario: un pc semplicissimo da usare, perfetto anche per bambini, anziani e disabili. Il miracolo avviene grazie ad uno schermo lcd disposto in orizzontale, sotto il quale cinque telecamere a raggi infrarossi identificano gli oggetti, mentre la parte superiore è sensibile al tocco. Non si tratta del consueto touch screen usato finora su palmari e telefonini, ma di una versione assai più avanzata, denominata multi touch. E' simile a quella adottata da Apple sull'iPhone, l'ibrido iPod-cellulare che dovrebbe essere sul mercato Usa fra un paio di settimane: non si usano pennini, ma solo le mani. Solo che, con i suoi trenta pollici di diagonale, Surface permette usi molto diversi: per disegnare, ad esempio, si intinge il dito nel colore, e poi via con la fantasia; volendo si può usare un pennello, e apparirà un tratto più spesso e più morbido.

Interfaccia rivoluzionaria
Surface dice addio alla tradizionale interfaccia del computer, inventata nei laboratori Xerox all'inizio degli Anni Ottanta e portata al successo prima da Apple e poi da Microsoft. Da oltre un quarto di secolo, tutti i pc adottano la metafora della scrivania, dei file e delle cartelle, perfezionandone costantemente l'estetica, ma introducendo pochissime novità di rilievo. Ora, dopo sei anni di ricerche, Redmond adotta la strategia dei concorrenti, e progetta hardware e software perfettamente integrati, con una serie di applicazioni pensate inizialmente per locali e pubblici esercizi. In un bar, ad esempio, sarà possibile ordinare un bicchiere di vino e il tavolo proporrà una lista di dolci e snack da abbinare; toccando quello desiderato partirà l'ordinazione, e per pagarla basterà passare la carta di credito su Surface. In un albergo, invece, sarà possibile usarlo come una mappa stradale interattiva, che suggerisce monumenti da vedere e manifestazioni da seguire.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Solo per pochi
La rivoluzione ha un prezzo, e non è basso: circa diecimila dollari. Per questo, i primi apparecchi saranno in funzione al Caesar's Palace di Las Vegas, negli hotel della catena Starwood e nei negozi americani dell'operatore telefonico T-Mobile. «Ma contiamo di distribuire Surface anche nel nostro Paese - spiega Pierpaolo Talento, responsabile Business & Marketing di Microsoft Italia -. Entro il 2008 per pubblici esercizi, poi, tra qualche anno, anche per i privati». Già, perché il computer mai visto prima adopera un normalissimo processore Pentium 4 da 3 GHz e 2 GB di memoria, e funziona con il sistema operativo Vista, l'ultima incarnazione dell'onnipresente Windows. Ma è davvero arrivato il momento di abbandonare tastiere, mouse e joypad? «No», prosegue Talento: «Credo che avremo a che fare con i personal computer ancora a lungo. Per ora rimane più facile inviare un'e-mail o navigare su Internet con un pc tradizionale».

Nel frattempo, l'unica possibilità per testare Surface in azione è un viaggio negli Usa, oppure il sito web di Microsoft. Su www.microsoft.com/surface ci sono tre filmati davvero impressionanti che ne illustrano alcune funzionalità, peccato solo che per vederli servano ancora tastiera e mouse. Sempre che il computer non si blocchi, il browser sia supportato, i plug-in installati correttamente, la connessione Internet funzioni senza problemi.

Bruno Ruffilli

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Crepuscolo veneziano / Un sindaco col cappello sempre in mano

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il sindaco Massimo Cacciari è sempre col cappello in mano: una volta chiede soldi per lo stadio, un’altra volta per il palazzo del cinema, un’altra ancora per il Carnevale, quindi per la Regata storica, infine (per il momento è questa l’ultima sortita) per rifare il ponte dell'Accademia che, qualora uno sponsor pagasse, potrebbe cambiare subito il nome: ponte Elton John o forse ponte Bill Gates...In questi giorni Cacciari, in qualità di presidente del teatro la Fenice, è angosciato e con le mani nei capelli: “Il teatro è destinato a chiudere - si lamenta il sindaco dalle pagine del Gazzettino diventato ormai il proprio portavoce –; non abbiamo soldi, lo Stato ci ha tolto sei milioni di euro, così la Fenice non ha futuro, a meno che non ci venga in soccorso uno sponsor”. Come accadde nel 1996, quando un tragico incendio distrusse in poche ore il teatro, la Fenice è di nuovo in crisi. Solo che allora il mondo intero, assistendo in diretta tv allo spettacolo delle fiamme che ridussero in cenere il teatro, si commosse e fece piovere generosissime offerte per la ricostruzione “com'era dov'era", come aveva promesso con le lacrime agli occhi il sindaco-filosofo. Mentre oggi tutti, ma proprio tutti, in primis gli industriali veneti, fanno orecchie da mercante. L'orchestra della Fenice sarà presto costretta a girare il mondo per ricordare a tutti che esiste. Una cosa pietosa. Intanto Cacciari non pensa di sostituire Giampaolo Vianello, l'attuale sovrintendente, ormai inviso a tutti, incapace persino, come ha dimostrato di recente, di gestire decentemente i rapporti coi sindacati che hanno danneggiato il teatro non solo economicamente, ma anche sul piano dell’immagine, facendo saltare la prima della Traviata.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ma Cacciari nasconde un'altra evidenza. La Fenice ha una palla al piede: il Malibran, il teatro di proprietà del comune, restaurato e bruttissimo, con le sue orride poltroncine che non si sa come utilizzare in una città che, isole comprese, raggiunge a mala pena 60mila abitanti. È da non credere che nel Seicento Venezia fosse, dopo Parigi e Napoli, la città più popolosa d'Europa. Anche per il Malibran, dunque, ci vorrebbe un generoso sponsor. Chiude intanto con un fallimento totale il bellissimo teatro Verde dell'isola di San Giorgio, di fronte a piazza San Marco. E dire che Venezia, considerata un tempo città di mercanti per eccellenza, solo tre o quattro secoli fa poteva vantare altri due gloriosi primati, essendo contemporaneamente il maggior centro musicale d'Europa e la città principe dell'editoria. Esistevano ben sedici teatri, tutti funzionanti, che ospitarono a ruota Monteverdi, Cavalli, Albinoni, Galuppi, Vivaldi e aprirono le porte anche alla musica napoletana di Scarlatti, Cimarosa e Paisiello. La Fenice, proprio come il mitico uccello che risorge dalle ceneri, venne edificata nel 1792 dopo l'incendio del vicino teatro di San Veneto. In un primo tempo con un progetto un po' megalomane di Bianchi che prevedeva una grande galleria coperta che avrebbe dovuto congiungere l’entrata e il meraviglioso antistante campiello San Fantin. Poi venne scelto il progetto più modesto di Selva, con l'attuale, brutta facciata in marmo bianco. Nei meravigliosi settecenteschi palchi del teatro si mangiava, si giocava a carte e naturalmente (in una città ben nota per la licenziosità dei costumi) si faceva l'amore. Nella platea, allora priva di poltrone, si ballava tutta la notte. Il doge vi entrava mascherato, essendogli proibito farsi vedere dai cittadini, se non in cerimonie pubbliche. Poi, nel 1836, un incendio senza cause accertate distrusse in una notte il teatro che comunque risorse un anno dopo più bello di prima con un palco reale. Successivamente si ebbero altri tre incendi, per fortuna non drammatici, che fecero pensare a una maledizione incombente sulla Fenice. Per ultimo, il rogo del 1996 dal quale si salvò solamente la facciata in marmo.
Margherita Smeraldi


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Magdi Allam ritrae Arafat: leader “doppio, ambiguo e funesto”

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione
“Gli mozzerò le mani con cui ha sottoscritto quegli accordi”. Così si esprimeva Yasser Arafat sull’accordo che il presidente egiziano Sadat siglò con Israele alla Casa Bianca. È solo una delle tanti affermazioni sinistre dell’ex rais palestinese che Magdi Allam riporta nel suo pamphlet Viva Israele, in uscita in questi giorni per Mondadori. “Ovunque passasse, Arafat seminava faziosità e odio, lasciando alle sue spalle conflitti e instabilità”. Doppio, ambiguo, funesto, così Magdi Allam tratteggia l’ex leader assoluto della questione palestinese. Come il rappresentante, dissimulato e incensato dall’opinione pubblica occidentale, di quella che chiama “ideologia della morte”, la stessa che costringe Allam a vivere e a muoversi con la scorta, prigioniero e vittima dell’accusa di “tradimento della fede” che l’islamismo rivolge ai nemici della cultura guerrasantiera. Allam racconta che nel 1979 Arafat patrocinò e fomentò l’espulsione dell’Egitto dalla Lega Araba capeggiando il cosiddetto “Fronte del rifiuto e della fermezza”. Ma dopo la cacciata dei suoi fedaiyin dal Libano nel 1982 a opera degli israeliani e tra l’inerzia dei siriani, e dopo la strage dei suoi fedelissimi per mano dei siriani con l’ausilio dei collaborazionisti Abu Moussa e Ahmed Jibril, Arafat cercò e ottenne la riconciliazione con l’Egitto di Mubarak. E fu soltanto quando si sentì abbandonato e allo stremo delle forze che si ritrovò costretto a convertirsi all’opzione negoziale.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il passo più significativo fu il riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza pronunciato nel dicembre del 1988 davanti all’Assemblea generale dell’Onu riunita ad hoc a Ginevra, anche se lo compì in modo tutt’altro che chiaro e inequivocabile. Eppure Arafat tornò ad allearsi con Saddam Hussein all’indomani dell’occupazione del Kuwait nel 1990, mettendosi contro la legalità internazionale, spalleggiando uno sponsor del terrorismo palestinese laico e islamico, un apologeta della distruzione di Israele che, lanciando i suoi missili contro le città israeliane, gli promise: “Entreremo a Gerusalemme in sella a un cavallo bianco”. Secondo Allam l’ipocrisia di Arafat emerse anche quando, dopo aver sottoscritto gli accordi di Oslo e stretto la mano a Rabin, conquistando per questo gesto un immeritato Premio Nobel per la pace, egli sostenne in una moschea in Sudafrica che quella pace aveva la stessa valenza del trattato di Hudaibiya, ovvero la hudna, la “tregua” sottoscritta da Maometto nel febbraio del 628 con i suoi nemici meccani quando, da una posizione di inferiorità, constatando l’impossibilità di conquistare la sua città natale, s’impegnò a non farvi ritorno per dieci anni. Invece due anni dopo, nel gennaio del 630, Maometto conquistò la Mecca e la trasformò nella città santa dell’Islam. Quindi per Arafat l’accordo con Israele era né più né meno che uno stratagemma per ottenere una tregua, da ripudiare non appena i rapporti di forza glielo avrebbero permesso. L’idea di tregua è riemersa nei mesi scorsi con la leadership di Hamas.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

“Questo brusco voltafaccia conferma che Arafat è stato un funambolo del potere e un giocoliere della politica che si è fatto beffe della vita dei palestinesi e degli israeliani. Ha fatto tutto e il contrario di tutto pur di salvaguardare il proprio potere. Ha giocato a più tavoli per strumentalizzare la politica, la guerriglia e il terrorismo, senza tuttavia assumersi l’onere del ruolo di statista”. Allam scrive che il bilancio della vita di Arafat è tragico. “Egli è soprattutto responsabile di aver fomentato, consolidato e radicato l’ideologia della morte tra i palestinesi”. Ufficialmente Arafat non ha mai voluto rompere del tutto i rapporti con le organizzazioni palestinesi apertamente terroristiche, persino con il gruppo di Abu Nidal. Allam era presente il 19 aprile 1987 ad Algeri all’inaugurazione dei lavori della diciottesima sessione del Consiglio nazionale palestinese, il Parlamento in esilio dell’Olp. Le sette organizzazioni che parteciparono al fianco di Al Fatah, presieduta dallo stesso Arafat, erano tutte dedite al terrorismo: il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) di George Habbash; il Fronte democratico di liberazione della Palestina (Fdlp) di Nayef Hawatmeh; il Fronte di liberazione arabo (Fla) di Ahmed Abderrehim; il Fronte di lotta popolare di Samir Goshe; il Fronte di liberazione della Palestina (Flp, che si ripartisce in una branca filoirachena capeggiata da Abu Abbas e in una branca filosiriana guidata da Talaat Yacoub); il Partito comunista palestinese (Pcp) rappresentato dal membro dell’Ufficio politico Souleiman Najab; Al Fatah-Consiglio rivoluzionario di Abu Nidal.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Quest’ultimo è responsabile, tra i tanti crimini perpetrati, dell’uccisione del piccolo Stefano Gay Tachè in un attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982, delle stragi all’aeroporto di Roma (13 morti) e Vienna (3 morti) il 27 dicembre 1985. “Dopo aver infierito e assassinato gli israeliani, gli ebrei, gli americani, gli occidentali, dopo aver combattuto ed essere stati uccisi dagli arabi ‘traditori’, dopo aver regolato i conti con i palestinesi ‘traditori’, i fanatici palestinesi sono precipitati nel baratro del nichilismo finendo per massacrarsi a vicenda”. Come dimostrano le ultime settimane di guerra aperta tra Hamas e Fatah. “Grazie alla mia personale conoscenza di Arafat, mi sono potuto liberare dei pregiudizi su Israele e ho avuto la conferma del valore insopprimibile della sacralità della vita”.
Giulio Meotti

Claudia Nuzzarello

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Fatima

AFFARI ITALIANI

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ribaltato il sacro principio
E così il sacro principio della coincidenza tra leadership e premiership si è capovolto nel suo contrario. “E’ proprio per salvaguardare il governo – spiegano ora nella Margherita – che occorre separare il più possibile la guida del nuovo partito dalla guida dell’esecutivo”. E’ una tesi che trova sempre maggiori consensi anche nei Ds. Il primo ad affacciare l’ipotesi era stato del resto proprio Piero Fassino, nel giorno in cui si apriva l’ultimo congresso del suo partito, con un’intervista al Corriere in cui citava il caso della Spd e della divisione dei ruoli tra Gerhard Schröder e Oskar Lafontaine. Poi era venuta l’intervista di Massimo D’Alema alla Stampa, con la proposta di eleggere un semplice coordinatore del Pd, giudicata dagli alleati come un’investitura di Fassino e come tale prontamente affossata. Il resto è storia di questi giorni. Ma in questi giorni, a quanto pare, Fassino non è affatto convinto della piega presa dal dibattito. In una riunione a via Nazionale, ieri sera, lo ha detto chiaramente: se non si trova subito un accordo sulla distinzione tra guida del governo e guida del partito, non resta che affidare la questione alla costituente. Si tornerebbe così al punto di partenza, prima che Franceschini, con tanti altri, riaprisse le danze. Secondo alcuni, invece, la questione è già chiusa: si tratta solo di decidere se eleggere il leader assieme alla costituente, dunque con il voto di tutti i cittadini, o se farlo eleggere dagli stessi rappresentanti dell’assemblea. Ma è facile prevedere che anche questa seconda ipotesi, come quella di eleggere un semplice coordinatore (o un “semi-leader”), sarà facilmente travolta dalla naturale dinamica dei fatti e delle parole. Altri scommettono che l’accordo si troverà “sulla governance che fino a poco tempo fa caratterizzava i Ds”, con Prodi presidente del partito e un altro – Franceschini, Bersani, Finocchiaro – alla segreteria. Anche questo, in fondo, rispecchierebbe il modello dell’Spd di Schröder e Lafontaine.
Nel frattempo, commentando l’esito del voto, Clemente Mastella e la sinistra radicale attaccano Prodi e il Partito democratico, confermando così la tesi di chi, nel Pd, vuole separare subito le loro sorti. Nessuno, comunque, sembra più disposto a ripetere che il leader c’è già e siede a Palazzo Chigi. Nessuno, soprattutto, sembra disponibile a farlo al posto del diretto interessato. Oggi, con la riunione del comitato promotore del Pd, è probabilmente l’ultimo giorno utile. Da domani, le iscrizioni alla leadership del Pd saranno ufficialmente aperte. E da domani in poi, verosimilmente, chiuderle sarà tutto un altro paio di maniche.
IL FOGLIO

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Alla fine si muove George W. Bush contro il genocidio in Darfur

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Washington rafforza le sanzioni economiche contro le aziende del Sudan. Pechino è avvertita

L’America, al contrario delle Nazioni Unite, non esita a chiamare “genocidio” il massacro delle popolazioni nere del Darfur ad opera delle milizie arabe janjaweed sostenute dal governo islamista del Sudan. E ora, dopo aver dato un’ulteriore chance alla diplomazia dell’Onu, Washington ha deciso di cominciare a fare sul serio per fermare le stragi di civili (“450 mila morti” secondo il Washington Post, “almeno 200 mila” per il New York Times) e il flusso di profughi (2 milioni e mezzo) cominciate nel 2003 contro le etnie africane del Darfur che chiedono una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza nazionale gestita dal presidente islamista Omar Hassan al-Bashir.
Ieri mattina, alla Casa Bianca, George W. Bush ha delineato il suo piano d’azione per salvare il Darfur, andando incontro alle pressanti richieste di una strana alleanza tra i gruppi liberal impegnati nella difesa dei diritti umani e le organizzazioni cristiano-evangeliche. Bush ha deciso di rafforzare l’applicazione delle sanzioni economiche già adottate nei mesi scorsi contro un centinaio di aziende sudanesi controllate dal governo di Khartoum. Bush, inoltre, ha dato mandato al Dipartimento del tesoro di aggiungere alla lista altre trenta società sudanesi, in particolare aziende petrolifere e sospettate di comprare armi. Tutte queste società non potranno entrare nel sistema finanziario americano e diventerà reato per qualsiasi azienda o individuo americano averci a che fare. La Casa Bianca ha esteso le sanzioni imposte alle aziende anche a singoli cittadini sudanesi responsabili per i fatti di sangue. Bush, infine, ha annunciato che Condoleezza Rice è al lavoro con i colleghi britannici e gli altri alleati su una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che estenda il divieto di fare affari con le società governative sudanesi a tutti i paesi del mondo. Se ne discuterà al G-8 di inizio giugno, in modo che anche il club delle più grandi economie mondiali cominci l’opera di persuasione nei confronti di chi, come la Russia e soprattutto la Cina, non vuole saperne di un’ulteriore risoluzione Onu.
Il Sudan ha subito definito “ingiuste e intempestive” le misure annunciate da Washington e ha pubblicamente chiesto al resto del mondo di ignorarle. “Queste iniziative americane cadono in un momento in cui il Sudan sta discutendo la pace in Darfur e collaborando per una forza Onu-Unione africana, da dispiegare nella regione”, ha detto all’Associated Press il portavoce del ministero degli Esteri sudanese. In realtà è vero il contrario. Ad aprile, dopo l’iniziativa di pace promossa l’anno scorso dagli americani e dalle Nazioni Unite, il Sudan aveva accettato il dispiegamento di un primo contingente di tremila caschi blu Onu a sostegno dei settemila uomini della forza di pace dell’Unione africana già presenti sul territorio. Già il mese scorso, Bush aveva denunciato il governo di Khartoum proprio perché non consentiva il pieno dispiegamento delle truppe Onu, così come previsto dall’accordo di pace, ma anche perché continuavano i bombardamenti sui civili ordinati dal governo centrale. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon era fiducioso di poter convincere il presidente al-Bashir ad accettare l’arrivo dei caschi blu e, soprattutto, a fermare il genocidio. Bush gli ha concesso il tempo richiesto, ma un mese dopo non è cambiato nulla e non si è visto alcun segno

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Le armi dei cinesi in cambio di petrolio
Il mondo occidentale questa volta non è diviso sulla necessità di intervenire per fermare un dittatore islamista che massacra all’interno del suo stesso paese i membri di altre etnie e religioni. Il problema diplomatico è soprattutto con la Cina, sebbene ultimamente sembri più disponibile perlomeno a far accettare al Sudan la presenza di caschi blu e truppe africane più adeguatamente attrezzate a condurre il compito di peace-keeping. Quanto a nuove risoluzioni Onu e a possibili embarghi economici, la Cina minaccia il veto al Consiglio di Sicurezza. Pechino è da sempre contraria a interventi della comunità internazionale negli affari interni di un paese sovrano, per l’evidente ragione che prima o poi potrebbe toccare alla Cina essere messa sotto scacco. Ma in questo caso specifico del Sudan ha anche altri interessi economici e geopolitici. Oggi Pechino è il principale partner commerciale di Khartoum, comprando i due terzi della produzione petrolifera sudanese e pagandoli, in parte, almeno secondo Amnesty International, con forniture di armi che poi il governo sudanese usa contro i civili del Darfur.
IL FOGLIO

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Gli ergastolani scrivono a Napolitano: "Siamo stanchi. Condannateci a morte"

>>Da: baffo
Messaggio 10 della discussione
di ALBERTO CUSTODERO

ROMA - Meglio morire che restare a vita in carcere. Trecentodieci ergastolani si sono rivolti al capo dello Stato chiedendogli di essere condannati a morte. A Giorgio Napolitano quei 310 detenuti con sentenza "fine pena mai" hanno spedito altrettante lettere che si concludono con una richiesta che il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, ha definito "tragicamente paradossale, e tuttavia comprensibile". Eccola: "Signor presidente della Repubblica, siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni. Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena dell'ergastolo sia tramutata in pena di morte". Ecco come i condannati al carcere perpetuo hanno spiegato la loro provocazione. "L'ergastolo è l'invenzione di un non-dio di una malvagità che supera l'immaginazione. È una morte bevuta a sorsi. È una vittoria sulla morte perché è più forte della morte stessa".
Oltre alla lettera al presidente, i detenuti a vita hanno pure dedicato una "ballata dell'ergastolano" (sogni che iniziano dove finiscono/prigionieri per sempre/non ci uccidono, peggio: ci lasciano morire per sempre), a tutti i senatori che discuteranno il ddl per l'abolizione dell'ergastolo. Tra quei 310 detenuti rinchiusi per sempre in prigione ci sono persone che hanno ucciso, fatto parte di associazioni terroristiche come Prima Linea e criminali come mafia, camorra, 'ndrangheta e Sacra Corona. Ci sono i condannati per l'omicidio del giudice Livatino, del giornalista del Mattino Giancarlo Siani, i killer dello studente sedicenne Donato Cefola, boss che legano il loro nome ai clan che si arricchiscono talmente tanto con estorsioni e traffico di droga da comparire al primo posto nella classifica Eurispes sui patrimoni mafiosi.

Eppure, una volta che con un "mai" si indica la fine della pena a cui sono stati condannati, per loro inizia "una sofferenza infinita". Quelli che una volta erano boss temutissimi, malavitosi pericolosi, killer e assassini spietati, diventano - per usare le parole scritte nella loro lettera a Napolitano - "esseri non morti, ma neppure vivi". Perché, spiegano, "l'ergastolo trasforma la luce in ombra, ti fa morire dentro a poco a poco". La condanna perpetua "rende inutile la vita, fa sembrare il futuro uguale al passato". "Schiaccia il presente e toglie la speranza".

"All'ergastolano - raccontano al presidente della Repubblica - rimane solo la vita. Ma la vita senza futuro è meno di niente. È piatta ed eterna". E poi ancora, "l'ergastolo è una pena stupida perché non c'è persona che rimanga la stessa nel tempo".
Per la senatrice Maria Luisa Boccia, Prc, prima firmataria di un disegno di legge per l'abolizione dell'ergastolo, "il "tragico paradosso" è dovuto al contrasto fra la Costituzione, secondo cui la pena è finalizzata al reinserimento sociale, e l'ergastolo, che nega questa possibilità a chi sta in galera tutta la vita". "Ecco perché - ha aggiunto la senatrice - nel disegno di legge chiedo che il "fine pena mai" sia sostituito da una condanna a termine, ad esempio 30 anni". Sulla crudeltà della pena a vita, spiega la senatrice Boccia, "basti ricordare come il codice penale francese del 28 settembre 1791, pur prevedendo la pena di morte, avesse abolito l'ergastolo, ritenuto, molto più della pena capitale, disumano, illegittimo e inaccettabile nella misura in cui rende l'uomo schiavo in nome di una pretesa superiore ed inviolabile ragion di Stato".

È stato un ergastolano, Ca

>>Da: Fabiano
Messaggio 2 della discussione
Io sapevo che in Italia l'ergastolo equivale a 30 anni e non più a carcere a vita, ma forse ricordo male.

>>Da: ruggero
Messaggio 3 della discussione
Conviene accontentarli al più presto, prima che rifondazione dia loro una speranza di vita migliore o li riversi in strada.

>>Da: ilcorsaro
Messaggio 4 della discussione
In pratica il carcere a vita non esiste più.

Da Wikipedia

La pena dell'ergastolo è perpetua (art. 22 c.p.). Tuttavia, il carattere di perpetuità di tale pena è mitigato dalla possibilità concessa al condannato di essere ammesso alla libertà condizionale dopo avere scontato 26 anni, qualora ne venga ritenuto attendibilmente provato il ravvedimento. Tale limite è ulteriormente eroso dalle riduzioni previste per la buona condotta del reo, grazie alle quali vengono eliminati 45 giorni ogni sei mesi di reclusione subiti. D'altro canto la riforma penitenziaria del 1986, attraverso le previsioni degli artt. 30 ter co. 4 lett. d) e 50 co. 5 ord. penit., ha contribuito a rimodellare i contenuti dell'ergastolo anche al di là dei profili che attengono alla liberazione condizionale: ha consentito infatti che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso,dopo l'espiazione di almeno 10 anni di pena ai permessi premio, nonché, dopo 20 anni, alla semilibertà.

>>Da: buonalanutella
Messaggio 5 della discussione
Deve essere terribile vivere tra quattro mura e fare le stesse cose sempre ogni giorno.
Ma tanto più terribili devono essere stati i loro crimini quindi credo che la loro giusta fine sia restare in carcere.


>>Da: ERcontemauro
Messaggio 6 della discussione
L'ideale sarebbe una bella isola artificiale in mezzo all'oceano e circondata da squali affamati.....e questa brava gente tutta li.....ad arrangiarsi!!!!

>>Da: melograno
Messaggio 7 della discussione
Problema risolto.


ROMA, 31 MAG- L'ergastolo viene abolito nel progetto di riforma del codice penale elaborato dalla Commissione di esperti presieduta da Pisapia.La parte generale del progetto e' stata consegnata al ministro della Giustizia Mastella dalla stessa Commissione. La bozza -si apprende- prevede che l'ergastolo sia sostituito da una detenzione di lunga durata, ossia una reclusione che potrebbe arrivare fino a 34 anni e da una riduzione delle possibilita' di accesso alla liberazione condizionale.

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«Liberazione» scopre che Cuba è un inferno.

>>Da: ruggero
Messaggio 8 della discussione
Contrordine compagni! Cuba, il paradiso caraibico dei lavoratori è un inferno. Se n’è accorta perfino Liberazione, quotidiano del partito della Rifondazione comunista. Che ieri, sotto il titolo «Cuba, si salvi chi può...i giovani sognano la fuga» ha pubblicato un reportage dall’Avana talmente severo sulle miserie morali e materiali dell’isola di Fidel da far venire una crisi di nervi ai trinariciuti (ce ne sono ancora molti, anche in Rifondazione che pure ostenta di voler superare i miti della tradizione comunista) di tutta Italia. Nell’articolo dell’inviata Angela Nocioni Cuba appare finalmente per quello che chiunque l’abbia visitata senza essere accecato dai fumi dell’ideologia ben conosce: un poverissimo Stato di polizia dove è vietato tutto ciò che potrebbe aprire gli occhi ai sudditi, dai media liberi (vietati quelli cubani, oscurati quelli esteri) ai contatti con gli stranieri (perfino all’asilo sono accettati solo bimbi cubani), fino a internet, sostituita da una versione locale ipercensurata. Ed è il Paese da cui chi ha meno di quarant’anni vuol fuggire a ogni costo, al punto che al cimitero dell’Avana sugli ex voto lasciati sulla frequentatissima tomba di una donna che «fa miracoli» si può leggere «grazie per il visto». Una lettura sorprendente e istruttiva. Peccato per quel classico ritardo di qualche decennio...

>>Da: ilcorsaro
Messaggio 2 della discussione
Ma in tutte le cose prima o poi ci arrivano anche loro, non bisogna disperare..

>>Da: lazanzaradispettosa
Messaggio 3 della discussione
Non penso che prima o poi lo capiscono, perchè se lo capisci non ci ricaschi ogni volta come fanno loro, andando dietro regolarmente a ogni nuova ideologia dittatoriale che si affaccia.

>>Da: buonalanutella
Messaggio 4 della discussione
I comunisti come minimo capiscono le cose con 20 anni di ritardo, in questo caso 50.

>>Da: micia
Messaggio 5 della discussione
Stai a vedere che tra un po' Liberazione spiegherà a noi che Cuba è un Lager, e che eravamo noi a non aver capito un tubo.

>>Da: melograno
Messaggio 6 della discussione
Ma Bertinotti ancora no lo sa, anzi manda grandi auguri al dittatore in nome suo e del popolo italiano.

>>Da: Mirko
Messaggio 7 della discussione
Persino la figlia di Castro è fuggita da Cuba.
Mirko

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Allarme da una ricerca del Cnr: "Nell'aria di Roma c'è cocaina"

>>Da: buonalanutella
Messaggio 7 della discussione
Presentato lo studio comparato, compiuto anche su Taranto e Algeri
Nella capitale la massima concentrazione di droghe c'è nell'area della Sapienza
Allarme da una ricerca del Cnr


ROMA - Nell'atmosfera di Roma c'è della cocaina in sospensione: non si tratta dell'ennesima leggenda metropolitana, ma di un serissimo allarme lanciato dal Consiglio nazionale delle ricerche. Ad appestare l'aria della capitale non ci sono dunque solo i gas elle auto e delle industrie, ma anche le droghe. Lo rivela uno studio condotto proprio dal Cnr, presentato oggi: il primo di questo tipo realizzato al mondo.

La ricerca si inquadra in una valutazione più ampia dei composti tossici presenti nelle polveri sottili che inquinano l'amosfera ed è stata condotta in due aree urbane italiane, Roma e Taranto, e ad Algeri. I risultati hanno evidenziato, oltre alla presenza di cocaina e di sostanze tossiche conosciute come il benzopirene (un idrocarburo cancerogeno presente nel fumo di sigaretta e negli scarichi degli autoveicoli), quella di cannabinolo (il principale componente attivo della marijuana), hashish e altre droghe, anche se meno dannose, come nicotina e caffeina.

Le concentrazioni più elevate di cocaina sono state riscontrate al centro di Roma, in particolare nell'area dell'università La Sapienza. Su questo, però, gli autori dello studio invitano alla prudenza: "A causa del limitato numero di misure eseguite - spiega il ricercatore responsabile, Angelo Cecinato - non si può dire con certezza che il quartiere universitario sia quello più inquinato da cocaina. Né possiamo affermare tout court che vi siano più diffusi il consumo e lo smercio di droghe: le cause di questa concentrazione sono tutte da indagare".

Da quanto emerge dalla ricerca, comunque, tracce di varie sostanze stupefacenti, cocaina e cannabinolo, sono state osservate anche in aree extraurbane e nei parchi cittadini, dove sembrano più alte che nelle strade di traffico. La cocaina appare in concentrazioni molto più basse nella città di Taranto, mentre risulta assente ad Algeri. Al contrario, nicotina e caffeina risultano presenti in tutte le aree studiate, "dimostrando l'estrema diffusione del consumo di queste sostanze e la loro permanenza nell'area", spiega ancora Cecinato.

L'analisi dell'evoluzione stagionale della cocaina in aria indica infine che le concentrazioni massime (a Roma, circa 0,1 nanogrammi per metro cubo) si raggiungono nei mesi invernali. "Probabilmente - conclude Cecinato - per la più frequente e intensa stabilità atmosferica, ossia a causa dell'inversione termica al suolo che 'blocca' le emissioni inquinanti negli stadi più bassi dell'atmosfera, impedendone la dispersione".

Nella zona Montecitorio che risulta?

>>Da: micia
Messaggio 2 della discussione
A Montecitorio ci saranno tempeste di polvere.

>>Da: Nando179764
Messaggio 3 della discussione
ora quando piove, ai drogati basterà alzare il naso in aria per aspirare cocaina

>>Da: ERcontemauro
Messaggio 4 della discussione
A me........mi pare na str.......ta

>>Da: melograno
Messaggio 5 della discussione
Vedrete che tra un po' tutte le località turistiche si doteranno di questi speciali studi del CNR...

>>Da: Mirko
Messaggio 6 della discussione
Ecco a cosa si riferivano Bennato e Brizzi quando cantavano notte di mezza estate!

C'è nell'aria, c'è stasera,
c'è qualcosa che non sai cos'è
ma sai che c'è nell'aria e c'è stasera,
c'è qualcosa di speciale in questo cielo blu, dipinto di blues.

Mirko

>>Da: GORGON
Messaggio 7 della discussione

Le concentrazioni più elevate di cocaina sono state riscontrate nell'area dell'università La Sapienza.


Tralasciando questo punto che mi ha fatto sorridere.. il resto, boh, mi lascia perplesso, molto perplesso.... vero è che probabilmente sono quantità talmente miscroscopiche che appunto è solo appurato in studio, e noi non ce ne accorgiamo, ma dire che la cocaina è presente nell'aria....

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100 miliardi di euro dello stato alla mafia

>>Da: Nando179764
Messaggio 2 della discussione
Inchiesta del Secolo XIX Videopoker, 100 miliardi finiti alla Mafia Introiti non riscossi dai Monopoli hanno arricchito la criminalità organizzata. La denuncia da un gruppo di superesperti ROMA - Un tesoro da quasi cento miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso, nel mega business dei videopoker e dei giochi. Una cifra che farebbe impallidire il tanto citato “tesoretto” (che dovrebbe aggirarsi attorno ai 10-12 miliardi) e che equivale a tre robuste Finanziarie. Un tesoro che poteva essere incassato dallo Stato se solo fossero state applicate le regole in vigore. La rivelazione arriva dalle pagine del Secolo XIX. In un’inchiesta del quotidiano ligure, firmata da Marco Menduni e Ferruccio Sansa, si parla di una relazione messa a punto da una supercommissione di esperti, guidata dal sottosegretario all’Economia, Alfiero Grandi, e dal generale della Finanza, Castore Palmerini. Una relazione imbarazzante finita sul tavolo del viceministro Vincenzo Visco.

MAFIA - L’aspetto più allarmante della vicenda, secondo quanto scrive il Secolo XIX, è che parte di questa immensa quantità di denaro sarebbe finita nelle tasche della criminalità organizzata. Il Gruppo antifrodi tecnologiche della Guardia di Finanza indica anche i beneficiari di tanta manna: Cosa Nostra e soprattutto la cosca di Nitto Santapaola. Sullo scandalo indagano ora Fiamme Gialle, procura della Corte dei Conti a Roma e diverse procure in tutta Italia (Venezia, Bologna e Roma). 31 maggio 2007

>>Da: Mirko
Messaggio 2 della discussione
Ho trovato l'articolo completo:

Marco Menduni e Ferruccio Sansa per Il Secolo XIX


Altro che tesoretto. C’è un tesoro da quasi cento miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso, nel mega business delle macchinette videopoker e dei giochi. Tre Finanziarie. Lacrime e sangue che potevano essere risparmiati agli italiani solo garantendo il rispetto delle regole. È scritto nero su bianco nella relazione di una supercommissione di esperti, guidata dal sottosegretario all’Economia Alfiero Grandi e dal generale della Finanza Castore Palmerini, finita sul tavolo del viceministro Vincenzo Visco.

Ma l’aspetto più allarmante è che, secondo il Gruppo antifrodi tecnologiche della Guardia di Finanza, parte di questo denaro è finito dritto dritto nelle tasche della criminalità organizzata. Di Cosa Nostra, soprattutto della cosca di Nitto Santapaola. Sotto il naso di chi avrebbe dovuto controllare: i Monopoli di Stato. E ora su questo scandalo indagano gli uomini migliori delle Fiamme Gialle, la procura della Corte dei Conti a Roma, diverse procure in tutta Italia (Venezia, Bologna e Roma). Un mosaico che si sta ricomponendo.

Un’inchiesta che si riferisce soprattutto agli anni 2004 e 2005, ma la situazione non è cambiata: «È da segnalare a tutt’oggi - scrive la Commissione - il permanere di una percentuale (anche questa “testimoniata”) di apparecchiature che dovrebbero essere in rete e che invece non vengono rilevate». Un’inchiesta svolta non senza pericoli, lasciano intendere i finanzieri. Ma alla fine la tradizionale conferenza stampa non si fa. Bloccata «per ordini superiori» all’ultimo istante.

Tutto è rimasto - almeno per adesso - sotto silenzio. E uno dei commissari rivela al Secolo XIX: «Pensavamo che questa relazione fosse un’autentica scossa. Invece se n’è parlato pochissimo e la parte relativa alla criminalità organizzata è praticamente “scomparsa”».

MACCHINETTE SOTTO ACCUSA
Secondo la relazione della Commissione di Indagine (chiusa il 23 marzo scorso) il fiume di denaro esce dagli apparecchi che, per la legge, dovrebbero essere collegati via modem con il cervellone della Sogei (la Società Generale di Informatica che si occupa di controlli sul pagamento delle imposte): una rete di controllo.

Così dovrebbe essere possibile verificare l’ammontare delle entrate e chiedere il pagamento delle imposte. In teoria. In realtà il business, secondo la Commissione, nasconderebbe una delle più grandi evasioni d’imposta e di sanzioni non pagate della storia della Repubblica. Scrivono gli esperti: «Per il 2006, secondo i dati dei Monopoli, a fronte di un volume di affari (ovvero la “raccolta di gioco”) pari a circa 15,4 miliardi di euro (di cui la quasi totalità derivante da apparecchi con vincite di denaro), vi è stato un gettito fiscale pari a 2 miliardi e 72 milioni di euro con circa 200mila apparecchi attivati».

Tutto a posto? Neanche per idea: «L’effettiva raccolta di gioco sarebbe di molto superiore alla cifra citata. Secondo stime della Finanza (in sostanziale accordo con le testimonianze di vari operatori del settore), la predetta raccolta di gioco ammonterebbe a 43,5 miliardi di euro». Come dire: il trecento per cento della somma “ufficiale”. Possibile? Sì, perché i due terzi delle macchinette non sono collegate alla rete di controllo, assicurano gli investigatori della Finanza, il Gat guidato dal colonnello Umberto Rapetto.

LA “MONTAGNA” DEI VIDEOPOKER”
L’esempio

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Sadr: velo islamico per donne cristiane

>>Da: paoloris
Messaggio 2 della discussione
Le donne cristiane in Iraq dovranno portare il velo islamico, stando almeno alle intenzioni di Moqtada al Sadr, riportate dall'agenzia Aina e dal Sir. Il leader radicale sciita definisce le donne non velate "adultere che sfidano Allah,negando la religione", suggerisce che siano segregate in casa e avverte che "sono stati creati comitati speciali per seguire la vicenda".

Beh... io sono un tipo molto liberale, ma questo Moqtada al Sadr lo farei comunque penzolare da qualche pilone dell'alta tensione.
D'altro canto questo è il livello medio di questi guru, auto-programmati per l'odio verso tutto e verso tutti.

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Draghi: "In Italia tasse troppo alte e pensioni da rivedere subito"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione
Il governatore della Banca d'Italia: "La pressione fiscale salirà ancora nel 2007", raggiungendo un livello più alto della media europea "prossimo ai massimi degli ultimi decenni"
Roma - «Dobbiamo porre mano con maggiore determinazione alle debolezze strutturali della nostra economia». Nelle sue seconde considerazioni finali, Mario Draghi avrebbe potuto compiacersi con se stesso, ricordando i successi nelle grandi aggregazioni bancarie dell’ultimo anno, e compiacere il governo applaudendo la ripresa economica e il miglioramento della finanza pubblica. Non è stato così. Né ha voluto parlare di tesoretto. La nuova copertina verde petrolio delle considerazioni, che dopo decenni ha sostituito il tradizionale cartoncino blu savoia, è solo l’avviso dei nuovi messaggi che il governatore di Bankitalia ha voluto indirizzare al mondo politico, finanziario, imprenditoriale. Perchè la crescita economica italiana si rafforzi occorre agire rapidamente, su molti fronti: ridurre le tasse, tagliare le spese, affrontare una volta per tutte il nodo delle pensioni, rilanciare i consumi delle famiglie (che per spendere intaccano i risparmi e si indebitano, 50 miliardi di euro in più in un anno), investire in infrastrutture.
Tasse record e pensioni. «Il miglioramento dei conti pubblici è dovuto al forte aumento delle entrate», conferma il governatore. La pressione salirà ancora nel 2007, «prossimo ai massimi degli ultimi decenni», raggiungendo un livello più alto della media europea. Elevata anche l’evasione. «È solo riducendo la spesa corrente - aggiunge Draghi - che si può comprimere il disavanzo senza aggravare ancora il carico fiscale». È dunque necessario «cambiare i meccanismi di spesa», esistono margini di risparmio in tutte la grandi voci di bilancio, a incominciare dalle pensioni. «Un riequilibrio duraturo richiede un intervento sul sistema previdenziale», dice con forza Draghi. Bisogna accrescere l’età media di pensionamento, anche per mantenere un «livello adeguato» dei trattamenti. Per il governatore è necessaria una «applicazione rigorosa e tempestiva» delle riforme previdenziali già approvate. Senza «scalone» e modifica dei coefficienti, fra quarant’anni, il debito pubblico esploderà, aumentando del 40%. Draghi propone si destinare alle pensioni complementari, su base volontaria, una piccola quota dei contributi che oggi vanno alla previdenza pubblica .


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Rignano, aumentano le denunce

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Sono salite a 22 le denunce per presunti episodi di pedofilia di cui sarebbero stati vittime altrettanti bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. Le ultime, in ordine di tempo, sono state presentate nei giorni scorsi dall’avvocato Carlo Taormina, che ha assunto la difesa di alcune famiglie i cui figli avrebbero subito abusi. In particolare, le denunce dell’avvocato Taormina sono scaturite dai referti emessi dal servizio di neuropsichiatria infantile dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, secondo i quali, altri 5 alunni della materna di Rignano Flaminio, di età compresa tra i 4 e i 5 anni, presentano stati di malessere, in almeno 2 casi definiti gravi, scaturiti da situazioni extrafamiliari. I referti non parlano esplicitamente di abusi sessuali. Tuttavia, secondo i genitori, i disturbi del comportamento sarebbero insorti alla fine dello scorso anno scolastico e sarebbero simili a quelli riferiti da altri alunni della stessa scuola i cui genitori, tra il 9 luglio e il settembre 2006, si erano già rivolti tra alla magistratura. Gli altri 2 bambini esaminati al Bambino Gesù sono rappresentati da un altro legale che dovrebbe presentare analoghe denunce nei prossimi giorni, portando a 25 il numero dei minori coinvolti nei presunti episodi di pedofilia.
Intanto, il gip del tribunale di Tivoli Elvira Tamburelli, la stessa che firmò le sei ordinanze di custodia cautelare poi revocate dai giudici del riesame di Roma, ha incaricato oggi un collegio di periti di sottoporre ad esame psicologico i 19 bambini ritenuti vittime di abusi affinchè si stabilisca se siano in grado o meno di comparire come testimoni, tramite incidente probatorio, davanti allo stesso gip per riferire i fatti dei quali sarebbero stati, loro malgrado, protagonisti. Il 6 giugno prossimo cominceranno gli accertamenti nell’istituto di neuropsichiatria dell’università «La Sapienza» di Roma e riguarderanno un primo gruppo di quattro bambini. Il 24 luglio è prevista la consegna dei risultati e se da questi emergesse una idoneità dei piccoli, già a partire dal giorno successivo potrebbero essere ascoltati dal magistrato e le loro dichiarazioni assumerebbero il valore di prova (come previsto dall’istituto dell’incidente probatorio), nell’eventualità di un processo. Successivamente, sempre a gruppi di quattro-cinque, saranno esaminati gli altri minori dalla neuropsichiatra infantile Angela Gigante e dalle psicologhe Marilena Mazzolini e Antonella Di Silverio. Allo stesso tempo il pm Tamburelli ha incaricato un gruppo di biologi di esaminare alcune tracce (capelli, impronte digitali, saliva ed altro) trovate nelle abitazioni e nelle auto di alcuni dei sette attuali indagati per stabilire se appartengano ai minori. Gli accertamenti, affidati al biologo Carlo Giovanni Romano, comandante della sezione di biologia Ris di Messina, ai marescialli Salvatore Spitalieri e Ignazio Ciuna, biologi, nonchè al maresciallo Giuseppe Polimeni, dattiloscopista, prenderanno il via l’8 giugno prossimo.

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Lite sull'eredità Agnelli

>>Da: andreavisconti
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Margherita ricorre ai giudici
di Marcello Zacche' La figlia dell'Avvocato cita in giudizio Gabetti e Grande Stevens. Chiede la nullità dell'accordo del 2004 con cui era uscita dalla casa automobilistica. Elkann: "Stupito e addolorato come figlio". Montezemolo: "Nessuna conseguenza per Fiat". Quella donna silenziosa dominata dal padre

Ginevra - Poco più di un anno fa, su indicazione di Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, secondo quanto risulta al Giornale, a Margherita Agnelli de Pahlen è stata offerta una nuova transazione, prevalentemente in titoli, a integrazione dell’eredità del padre Gianni pattuita nell’accordo del 18 febbraio 2004. Ma Margherita ha respinto l’offerta: non sono i soldi che chiede l’unica figlia dell’Avvocato Agnelli. Quello che pretende è trasparenza sulla consistenza del patrimonio di suo papà e chiarezza ulla gestione adottata dai due mandatari: Gabetti, presidente della Giovanni Agnelli & C, accomandita per azioni, e della Ifil, e Grande Stevens, legale storico della famiglia.
Chiarezza e trasparenza che Margherita ritiene le siano sempre state negate, fin dal 24 gennaio del 2003, giorno della scomparsa del padre. Per questo, e per tutta una serie di conti che non tornano, da quasi due anni Margherita ha ripreso in mano il dossier sul patrimonio Agnelli, chiedendo e richiedendo a Torino spiegazioni che, a suo dire, non le sono mai state date. Un’iniziativa che arriva ora in Tribunale, con l’atto di citazione presentato l’altro ieri a Torino contro Grande Stevens, Gabetti e Siegfried Maron (gestore di Zurigo), nonché nei confronti della madre Donna Marella Caracciolo (indicata giocoforza per questioni procedurali, essendo necessaria la citazione degli altri eredi). Nelle dieci pagine dell’atto e nei 24 allegati di cui il Giornale è venuto in possesso, preparati al numero 14 di Cours des Bastions a Ginevra dall'avvocato Charles Poncet dello studio Ziegler, Poncet, Grumbach, Carradrd, Luscher, e presentato in Italia dai legali dello studio milanese di Girolamo Abbatescianni, si ripercorrono i motivi della diatriba. Che da ieri è di nuovo aperta. Il punto fondamentale è il numero 20 dell’atto, nel quale si legge che «...le rinunce in base all’accordo del 18 febbraio 2004... sono nulle perché contrarie a norme imperative». Il riferimento è all’intesa con la quale Margherita rinunciava ai suoi diritti sulla Fiat (tramite una quota nella Dicembre società semplice, a cui fa capo il 33% della Giovanni Agnelli & C, primo azionista di Ifi e, a cascata, Ifil e Lingotto) in cambio di attivi mobiliari e immobiliari ritenuti di valore equivalente. Un accordo che consegnava il gruppo industriale nelle mani dei tre figli di primo letto di Margherita, Lapo, Ginevra e soprattutto John Elkann, delfino dell’Avvocato. Lasciando alla madre e, in prospettiva, ai 5 figli avuti da Serge de Pahlen, altri beni. L’intesa, dice ora l’avvocato Poncet, è nulla perché la legge italiana vieta i patti successori: un’eredità non può essere pattuita, è un diritto reale.
E Margherita Agnelli vuole sapere in cosa consiste: «Non avendo avuto una completa rappresentazione dell’asse ereditario nonostante solleciti recentemente rinnovati - si legge al punto 15 - l’erede n

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Parmalat, il Tribunale dice no alla richiesta di patteggiamenti

>>Da: andreavisconti
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Niente patteggiamenti, a Milano, per la vicenda del crac Parmalat A dieci giorni dalla richiesta avanzata da Calisto Tanzi e da altri nove imputati (questi con il consenso dei Pm, mentre l’ex patron di Collecchio no) il Tribunale, presieduto da Luisa Ponti, ha decretato «l’inammissibilità» del rito speciale disponendo, invece, la prosecuzione del giudizio, la cui prossima udienza è fissata al 19 di giugno. A spingere i magistrati verso il diniego ai patteggiamenti - una «decisione tecnica» basata su pronunce della Corte di Cassazione e su cui «non si può dire nulla» secondo il Pm, Francesco Greco - la mancanza di nuove circostanze di reato capaci di modificare, in maniera sostanziale, il quadro originario di accusa e, quindi, di permettere un ricorso a riti speciali per altro già esperibili nel corso delle fasi preliminari al dibattimento.
«Nell’ipotesi di contestazione, sia pur tardiva, di aggravanti - si legge infatti nell’ordinanza del Tribunale - l’imputato non ha ragione di svolgere nuove valutazioni in ordine all’obiettiva sussistenza del reato contestato, giacchè questo rimane il medesimo». Pertanto, viene osservato ancora dai giudici, nessuna delle aggravanti «giustifica, anche in astratto, una riponderazione del complessivo quadro accusatorio da parte degli imputati in termini di convenienza o meno dell’accesso al rito speciale rispetto a quanto, i medesimi, già avevano potuto fare in sede di udienza preliminare». Parole che hanno fatto rotolare una pietra sopra alle richieste degli imputati - persino «l’argomento della ragionevole durata del processo, oggi assunta a rango costituzionale, non pare decisivo» al riguardo - e strappato entusiasmo ai difensori di parte civile e alle associazioni a difesa dei consumatori presenti sin dalla prima mattinata, in alcune decine, fuori dal palazzo di giustizia milanese.
Con la pronuncia del Tribunale, ha osservato Renato Palmieri, legale della Camera di commercio di Milano, «ci siamo risparmiati una brutta figura a livello internazionale. La nostra finanza - ha aggiunto - viene vista poco seria all’estero: questo processo vuole evidenziare che le regole ci sono e vanno rispettate». A giudizio di Carlo Federico Grosso, avvocato di 32mila possessori di bond, invece, «si tratta di un’ importante decisione di legalità e di giustizia che evita l’irrisione di pene ridicole inflitte agli imputati del più grave scandalo finanziario italiano». Mentre per i piccoli risparmiatori, ha osservato Giacinto Brighenti, presidente di Federconsumatori Lombardia, ora serve un procedimento «risarcitorio».

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Video choc della Bbc sui preti pedofili, autogol di Santoro

>>Da: andreavisconti
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Trasmesso su Raidue il documentario "scandalo" realizzato dalla Bbc. Monsignor Fisichella smonta la tesi del giornalista: "La Chiesa non ha mai imposto il silenzio sulle violenze ma solo sui processi canonici" Piccolo appunto a Michele Santoro: ieri sera nella sua trasmissione c'era un errore. Due lettere erano sbagliate. Non doveva chiamare il programma «Annozero», ma «alzo zero», come i tiri ad altezza d'uomo, anzi di Papa. Alzo zero, fuoco sulla Chiesa cattolica accusata di ogni nefandezza; colpi non dimostrativi ma per fare male. Monsignor Rino Fisichella, rettore dell'Università Lateranense, chiamato come difensore dell'operato del Vaticano e delle Curie locali dove sono accaduti gli episodi di pedofilia, si è battuto con grinta. E alla fine è parso lui il vincitore, il Davide in tonaca contro il Golia mediatico, che ha rintuzzato punto su punto le contestazioni dell'agguerrita formazione di accusatori. E il grande «battage» che ha preceduto e pubblicizzato la trasmissione si è rivelato per Michele Santoro un clamoroso boomerang.
«Mi auguro che questa sera non l'abbiano fatta grossa». L'aveva detto il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Fioroni nel tardo pomeriggio, quando la puntata di «Anno zero» non era ancora andata in onda; il contestato dossier della tv inglese Bbc sulla pedofilia tra i preti non era ancora stato trasmesso dagli schermi della tv di Stato; ma il ministro della Margherita, già dalla parte del Family Day, aveva annusato che le cose non sarebbero finite bene. Michele Santoro ha giocato la serata da abile condottiero dell'ascolto: ha cercato di tenere alta l'aspettativa. Ha dato inizio al programma annunciando che l'inchiesta tanto attesa (che però chi ha un minimo di dimestichezza con il computer può tranquillamente scaricare da internet) sarebbe andata in onda più tardi, «quando i bambini saranno andati a letto». «Passerà anche un avviso un paio di volte, perché i genitori possano fare una scelta consapevole», ha avvertito l'ex parlamentare europeo diessino. Chissà quanti hanno resistito.
Così si è cominciato a discutere sul nulla, o meglio su quello che gli ospiti in studio hanno visto e i telespettatori non ancora. E si è capito subito che i sospetti della vigilia di una trasmissione poco serena erano destinati a trovare conferma. La trasmissione di Raidue si è rivelata un attacco frontale di cui l'inchiesta della Bbc dal titolo «Sex, crimes and the Vatican» (Sesso, crimini e il Vaticano) è stata sostanzialmente un pretesto.


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Ucraina, spunta il giallo di un altro avvelenamento

>>Da: andreavisconti
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Dopo la diossina che sfigurò il presidente Yushcenko, sospetto di attentato per l’infarto d’un ministro
È durata lo spazio di pochi giorni la ritrovata concordia tra gli opposti schieramenti politici in Ucraina, dopo che la scorsa settimana era stata necessaria una maratona negoziale tra il presidente filoccidentale Yushcenko e il premier filorusso Yanukovich per trovare un compromesso sulla data delle elezioni anticipate. Si era alla fine trovato un accordo per il 30 settembre, ma anche questo sembra di nuovo sul punto di saltare e Yushcenko torna a minacciare un decreto per votare entro due mesi.
E intanto, come se ce ne fosse bisogno in un Paese che sembra incapace di ritrovare il filo della normalità democratica, spunta un nuovo giallo a base di veleno, che se confermato attribuirebbe all’Ucraina una nomea sinistra. L’avvocatessa del ministro dell’Interno Vasyl Tsushko, fedelissimo di Yanukovich, rimasto vittima domenica scorsa di un malore cardiaco che lo ha costretto al ricovero in ospedale, va denunciando che il suo assistito, che versa in gravi condizioni, sarebbe stato avvelenato. «Tsushko aveva avuto un forte attacco cardiaco domenica, causato da un avvelenamento con una sostanza non identificata - ha detto la signora Tatiana Montian -. Ora è in condizioni critiche. Lui sa chi lo ha avvelenato e perché, e io renderò pubblica questa tesi se lui non dovesse sopravvivere».
Da parte delle istituzioni ucraine è giunta una secca smentita sul possibile avvelenamento di Tsushko. «Le notizie che vogliono il ministro Tsushko vittima di un avvelenamento, sono da considerarsi infondate», ha dichiarato il capo dell’Ufficio stampa degli Interni, Stohniy.
Tsushko, fedelissimo del premier filo russo Viktor Yanukovich, è stato protagonista di un duro braccio di ferro con il presidente Viktor Yushcenko la settimana scorsa, a causa delle dimissioni del Procuratore generale volute dal Capo dello Stato. Tale episodio per un momento aveva fatto ipotizzare ad una deriva violenta della crisi politica in Ucraina, che tiene bloccato il Paese da ormai quasi due mesi. Il ministro degli interni, infatti, si era visto togliere il comando delle truppe il 25 maggio dal presidente Yushcenko, che il giorno dopo aveva deciso di inviare un contingente di 3500 soldati verso la capitale. I militari erano poi stati fermati dalla polizia stradale, controllata dal governo.
Con l’accordo tra i “due Viktor“ ucraini sulla data delle elezioni antcipate il rischio di una soluzione violenta della crisi pareva scongiurato, ma da ieri non pare più così. Yushcenko pretendeva infatti che il Parlamento ratificasse la data del 30 settembre entro ieri, ma ciò non è accaduto. Così stando le cose, ha detto, «le elezioni si terranno entro 60 giorni a norma di Costituzione».
Roberto Fabbri

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Linea comune di Fini e Casini: «Questo governo deve cadere»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il menù è stato lo scenario che potrebbe aprirsi in caso di caduta del governo Prodi. Nella colazione che Pier Ferdinando Casini, accompagnato da Lorenzo Cesa, ha avuto ieri con Gianfranco Fini in un ristorante dei Parioli è stata così ritrovata la sintonia. «Mai completamente persa», chiosa il leader di An.
Chi li ha visti, al termine della «cordiale» colazione, li descrive soddisfatti dopo aver compiuto un’analisi della situazione politica, all’indomani del voto delle amministrative, sulla quale evidentemente i tre leader si sono trovati d’accordo. La situazione si sta facendo insostenibile, sarebbe stato il loro ragionamento, e uno scenario del dopo-Prodi potrebbe concretizzarsi presto, soprattutto se a Genova l’Unione dovesse perdere il governo della città («a quel punto sarebbe un cappotto»). La maggioranza, alle prese con appuntamenti delicati in Parlamento, potrebbe vivere ore difficili, il primo banco di prova è costituito dal «caso Visco» sul quale il centrosinistra appare sempre più diviso.
Il governo potrebbe quindi cadere in Parlamento, sarebbe stata l’analisi dei leader di An e Udc. Perché, come Fini ha detto mercoledì scorso a Silvio Berlusconi, se fosse possibile mandare a casa l’esecutivo con una manifestazione di piazza «ne faremmo dieci».
È dunque nelle aule parlamentari che si deve attendere al varco la maggioranza in crisi numerica alle prese con un «regolamento di conti interno», e il successivo sbocco potrebbe essere un governo istituzionale che consenta di fare le riforme, a partire da quella della legge elettorale.
Realisticamente infatti, secondo i leader di An e Udc, appare difficile la possibilità di tornare alle urne in anticipo, anche se Berlusconi e Fini potrebbero chiederlo salendo al Quirinale. Ma la strada che si potrebbe imboccare sarebbe quella di un governo di larghe intese, tecnico o istituzionale, che consentisse al Paese di ripartire con le riforme necessarie.


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Cinquecento in coda per entrare nell’ospedale che cura i maniaci

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Nel 2006, secondo le statistiche del Bka, la polizia criminale tedesca, sono stati quasi ventimila i bambini che solo in Germania hanno subito abusi sessuali da parte di adulti. Ma il numero reale sarebbe di gran lunga superiore perché molto spesso i bambini non hanno la possibilità di denunciare chi commette violenze nei loro confronti e i pedofili, secondo chi ha studiato il fenomeno, hanno un dono particolare nel trasformare le loro vittime in complici conquistandone le simpatie e a volte l'affetto.
«I casi di cui si viene a conoscenza - dice Klaus Michael Beier docente di medicina sessuale all'università di Berlino - sono quasi sempre i più clamorosi, quelli che finiscono tragicamente ma questi casi sono solo la punta di un iceberg dietro il quale si nasconde una piaga molto più diffusa di quanto si pensi». Il professor Beier è forse la massima autorità in materia di studi e terapie di questo triste fenomeno. Insieme ad un team di medici ha fondato presso l'ospedale Charité di Berlino un reparto specializzato nella cura dei pedofili. Un'iniziativa unica in Europa finanziata dalla Volkswagen e sponsorizzata dall'associazione Hänsel und Gretel che si batte per la protezione dell'infanzia (Hänsel e Gretel sono i due bambini che nella celebre favola dei fratelli Grimm cercano di sfuggire all'orco che li vuole divorare). Per ovvie ragioni il reparto del professor Beier agisce nella massima segretezza e solo ora, dopo due anni di attività, ha pubblicato un rapporto sui risultati di cure e ricerche. Ciò che più colpisce nel rapporto è il numero di persone che hanno chiesto di sottoporsi alle terapie. Solo nelle prime settimane di attività sono giunte 498 domande in gran parte provenienti da soggetti che per loro ammissione avevano avuto rapporti sessuali con minori ma anche da persone che non avevano commesso abusi ma provavano una forte attrazione sessuale per bambini e bambine. Dei quasi cinquecento aspiranti a uscire dall'inferno della pedofilia solo novanta hanno potuto sottoporsi alla terapia poiché le capienze del reparto, ancora in fase sperimentale, sono limitate. E le cure sono lunghe e complesse poiché la pedofilia è un fenomeno che secondo il rapporto va affrontato sotto vari aspetti, psicologico ma anche fisiologico e ormonale. E infatti il team guidato dal professor Beier è composto oltre che da psicanalisti, da endocrinologi e sessuologi. Risultati? Venti dei pazienti in cura, secondo il rapporto, non costituiscono più un pericolo per la società, altri venti hanno abbandonato la terapia e il resto ha deciso di continuare la cura. Un bilancio che il professor Beier ha definito agrodolce poiché non c'è la certezza di guarire i pedofili ma c'è solo la possibilità di portarli a un punto in cui sono in grado di dominare i loro istinti. Insomma la pedofilia sarebbe una tara non guaribile ma controllabile. E la prova viene dai pazienti che dopo le cure sono stati giudicati non più pericolosi. Molti di loro, infatti, ammettono di essere ancora attratti sessualmente dai minori ma al tempo stesso hanno sviluppato la capacità di non cedere ai loro impulsi.
Secondo il rapporto in molti dei pazienti che hanno chiesto di essere curati è stato registrato un cattivo funzionamento dell'apparato ormonale che agirebbe come elemento moltiplicatore degli stimoli deviati. Tuttavia nelle cure la maggiore attenzione è rivolta al profilo psichico del paziente.
«La premessa perché le cure abbiano successo - dice Bei

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Magistrato sconfessa Amato: liberi l’imam e il suo aiutante

>>Da: andreavisconti
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L’ex imam di Varese, Abdel Majid Zergout, e il suo collaboratore Abdellilah El Kaflaoui, sono liberi e nelle loro case a Varese.
I due marocchini, assolti dall’accusa di terrorismo internazionale, non possono essere trattenuti in un Centro di permanenza temporanea, perché non solo la loro espulsione decisa dal ministro dell’Interno Giuliano Amato è stata bloccata dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo, ma anche perché non può bastare il semplice sospetto per privare una persona della propria libertà.
Parola del giudice di Pace di Milano che ieri non ha convalidato il loro trattenimento nel Cpt, appunto con queste motivazioni. E il sospetto, ha aggiunto il loro avvocato, Luca Bauccio, è anche stato «smentito da una Corte d’Assise italiana», con la sentenza con cui il 24 maggio scorso Zergout, El Kaflaoui e un terzo imputato sono stati assolti dall’accusa di terrorismo internazionale (270 bis C.P.) con la formula più ampia, «per non aver commesso il fatto».
Il giudice di Pace ha anche annullato il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno emesso dal questore di Varese, perché, a detta del legale, è «generico e carente in motivazioni».
«Il trattenimento non è legittimo - ha aggiunto Bauccio - perché priva della libertà due persone a fronte di una decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha sospeso la loro espulsione, e non possono considerarsi pericolose due persone assolte da una Corte d’Assise italiana».
Per l’avvocato, «ora giustizia è fatta: tre organi giudicanti nel giro di sette giorni hanno affermato che bisogna tenere giù le mani» da Zergout ed El Kaflaoui.
«Chiedo alla società civile e al Parlamento - è stato il suo appello - che vigilino affinché non si verifichino ulteriori atti di negazione dei diritti fondamentali», perché i suoi assistiti «sono innocenti e meritano di essere trattati come tali».


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Olanda. Ai festini gay iniettavano il loro sangue infetto

>>Da: andreavisconti
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Invitavano gli omosessuali ai loro party, li drogavano e gli inoculavano il virus Hiv
Drogati, violentati e infettati con il virus dell’Hiv: questa la sorte riservata a diversi gay olandesi che hanno raccolto l’invito, lanciato sul web, a partecipare a piccanti festini privati. Teatro della vicenda la città universitaria di Groningen nel nord del paese, un centro di meno di 200 mila abitanti, al confine con la Germania.
La polizia era stata allertata genericamente già circa un anno fa, nel giugno 2006, ma allora si era limitata ad avvertimenti pubblici per evitare che gli omosessuali raccogliessero inviti per droga-party. Poi l’impennata del numero degli ammalati di Aids, raddoppiati in città nel giro di un anno, e le prime denunce fino all’arresto di quattro uomini, tre considerati gli ideatori delle orge ed uno per aver fornito la droga.
Nel febbraio scorso quattro omosessuali, di età compresa tra i 25 e i 50 anni, hanno trovato il coraggio di raccontare alla polizia le violenze e i maltrattamenti. Dopo la diffusione della notizia, se ne sono aggiunti già altri otto che hanno detto di aver subito lo stesso trattamento. Molti altri, secondo i media olandesi, potrebbero ancora temere di manifestarsi, magari perchè hanno anche legami e affetti eterosessuali.
I tre finiti in carcere sono una coppia di omosessuali di 48 anni, tra cui un infermiere, ed un altro gay di 33 anni, tutti sieropositivi. Messi alle strette, hanno confessato che anch’essi si sono iniettati a vicenda il loro sangue contaminato, che tutto questo li eccitava e che solo così, infettando i loro partner, potevano, durante i festini, avere dei rapporto sessuali considerati «puri». «Più il cerchio dei sieropositivi era largo, più c’era la possibilità di avere rapporti non protetti, questa era la logica che animava il terzetto», ha spiegato il capo della polizia ai giornalisti in una conferenza stampa. Con i tre omosessuali, il 13 maggio scorso, è stata arrestata anche una quarta persona accusata di aver fornito la droga per i festini.

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Uccide la figlioletta con cinque coltellate

>>Da: andreavisconti
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Solo la psichiatria potrà forse dare una spiegazione alla tragedia che si è consumata ieri mattina in una palazzina di Mezzolombardo, vicino a Trento, dove una madre di 44 anni, Sara Bolner, ha ucciso a coltellate la figlioletta di sei anni, Maria Lisa. La mamma viene descritta dai vicini come riservata, ma anche molto affettuosa con la bambina, e nel complesso si parla di una famiglia serena. Ieri mattina verso le 8 un urlo straziante ha sconvolto il quartiere di nuova costruzione alle porte del paese. Da quel momento le fasi sono concitate: Sara Bolner chiama il marito, Elio Concadoro, 46 anni, che è già al lavoro nella fabbrica di serramenti metallici di Lavis, a una decina di chilometri di distanza, e gli dice che la bimba non sta bene. L’uomo intuisce dalla voce della donna che qualcosa di grave è accaduto e si precipita verso casa. Alle 8.35 è davanti al portoncino e incontra il medico che abita di fronte, Giuseppe Brescia, appena uscito di casa per andare al lavoro. Gli chiede di salire con lui per vedere che cos’ha la bambina e agli occhi dei due si presenta una scena allucinante: la piccola a terra in un lago di sangue e la mamma vicina che dice semplicemente «Eccola qui. Sembra morta».
Il medico tenta di rianimarla, anche se capisce che ha perso troppo sangue. Chiede anche alla mamma di aiutarlo ad alzare le gambine della piccola, mentre il papà chiama il 118. Arriva poco dopo l’elicottero e arrivano anche i carabinieri. Mentre la bambina viene portata all’ospedale Santa Chiara di Trento, i militari capiscono subito che cosa è accaduto. Un coltellino da cucina, con la lama seghettata, sporco di sangue, è sul tavolo in sala.Tutto l’appartamento è intriso di sangue. «Forse se i soccorsi fossero stati chiamati in tempo la bambina si poteva salvare» dice il dottor Giuseppe Brescia. Almeno cinque le coltellate inferte alla piccola, di cui due sulla mano destra, segno che Maria Lisa si è difesa disperatamente. I genitori sono stati accompagnati nella caserma dei carabinieri di Trento. Prima è stato sentito il papà, poi la mamma, la quale alla fine ha confessato che in preda a una crisi depressiva aveva deciso di mettere fine al suo senso di inadeguatezza materna. Il suo avvocato, Vasco Chilovi, parla di una donna incapace di intendere e di volere, che ancora in serata non si era resa conto di quello che aveva fatto.

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Patente, per rifarsela basta un salto a Malta

>>Da: andreavisconti
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Tra telecamere, macchine fotografiche, laser e infrarossi, salvare la patente al volante o in sella diventa sempre più difficile. Anche perché, con il passare del tempo, molte delle apparecchiature impiegate sono state perfezionate fino a rendere impossibile ogni contestazione. Tuttavia, qualche scappatoia per chi non può vivere senza patente esiste ancora. La più curiosa, ma anche la più legale, è senza dubbio la soluzione di una doppia autorizzazione alla guida: una italiana e una rilasciata da un Paese straniero. Ma attenzione, il secondo documento non deve essere rilasciato da una nazione membro della Comunità Europea, poiché il trattato di reciprocità tra i 25 Paesi trasformerebbe l'operazione in una conversione senza vantaggi pratici.
Patenti in viaggio È quindi sufficiente un viaggio a Malta o in Albania per avere diritto a un titolo valido a tutti gli effetti, che non mette al sicuro dalla sospensione, ma che permette comunque di continuare a muoversi, visto che la seconda patente resta sempre utilizzabile. Allora il fenomeno è cominciato: chi può permetterselo, si arma di bagagli e parte per una vacanza con patente. Soggiorno nel paese dove si vuole prendere la licenza di guida e full immersion per prendere un secondo titolo di viabilità. «È vero - assicura l'avvocato Goffredo Jacobino, consulente del settimanale Auto oggi in materia di norme sulla viabilità - ma dobbiamo tenere presente che il documento straniero vale in Italia solo se esiste un accordo di reciprocità con quel Paese, o se la patente è stata riconosciuta dalla motorizzazione in Italia. In assenza di una forma di riconoscimento, è possibile la sanzione per guida senza patente o patente non valida».
Ciò significa che per essere realmente in regola, una volta rientrati a casa con il secondo permesso di guida, si dovrebbe passare in Prefettura per regolarizzare la posizione. In questa fase non viene di norma chiesto se quella presentata è l'unica patente. Si tratta di uno stratagemma ancora poco diffuso tra gli italiani, ma decisamente noto ai molti extracomunitari, asiatici e nordafricani in particolare, che circolano sulle nostre strade. Una volta ottenuto un lavoro e in regola con il permesso di soggiorno, richiedono il permesso di guida italiano, senza rinunciare al loro.
Automobilisti in sonno All'apparenza più semplice, ma più rischiosa poiché illegale, è la soluzione di rispondere alla richiesta di segnalazione del nominativo della persona alla guida al momento dell'infrazione, indicando le generalità di un automobilista con la patente "in sonno". Di solito una nonna o una vecchia zia, che permettono di non pagare la sanzione maggiorata e allo stesso tempo non soffrono per la decurtazione dei punti.
Tuttavia, nonostante le strumentazioni sofisticate, spesso le procedure seguite dalle pattuglie, in particolare dalle Polizie Locali, non sono del tutto ortodosse.
L'ingordigia di fare cassa può portare a preparare verbali prestampati o a saltare alcune tarature indispensabili per la regolarità dei rilevamenti. Per questo motivo, in caso di sanzioni pesanti e di forti decurtazioni di punti, vale sempre la pena di fare ricorso entro 60 giorni dalla notifica e ricordando di non buttare la busta contenente il verbale, che certifica la data di consegna. Le possibilità di successo, se la difesa è architettata bene e se le argomentazioni sono plausibili, sono piuttosto buone. Se poi il ricorso dove

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Filippo Facci: Rinnovarsi o Pannella

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Non ci crederete, ma i radicali sono al governo. Non la sinistra radicale che ha perlomeno il merito di farsi sovente nominare: dico i radicali del fu Marco Pannella, il leader che può sopravvivere a tutto fuorché a se stesso. I radicali sono rientrati in Parlamento dopo dieci anni, e sono al governo per la prima volta dopo trenta: ma non lo sa nessuno. Pannella ha deciso che affidabilità verso Prodi significhi paresi politica, subalternità a un governo che dei diritti civili se ne sbatte altamente. Ai radicali, per farsi notare, è restato da farsi pestare in Russia o da parlare per voce di Daniele Capezzone, tra i pochi che non faccia sembrare i radicalicome una reliquia, l'unico radicale che a sinistra abbia criticato la politica economica, un ragazzo che avrebbe votato Sarkozy e che l'ha pure detto, insomma uno bravo come tutti sappiamo. Ecco perché Pannella sta cercando in tutti i modi di farlo fuori: non perché Capezzone voglia o possa fargli le scarpe, figurarsi, ma perché Capezzone è la persona che il destino ha incaricato, suo malgrado, di far finalmente riuscire a Pannella l'agognato e perfetto emai totalmente riuscito suicidio politico. Ci siamo quasi, Marco.


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Bruno Fasani: I cattolici hanno suonato la sveglia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Fino a non molto tempo fa, era il Veneto ad essere identificato come la Regione bianca. Anzi, la mosca bianca. Una terra tutta lavoro, fede e Democrazia cristiana. I detrattori ne sottolineavano il bigottismo e l’ignoranza. Non c’era film che non avesse, come comparsa o come protagonista, qualche servetta dalla cantilena rigorosamente veneta.
Per il resto, la gran parte del Nord esprimeva l’idea di progresso identificandosi col rosso della Sinistra, dell’operaismo, del sindacalismo. Dal Piemonte alla Bassa lombarda, dalla Liguria all’Emilia Romagna e poi giù, in Toscana piuttosto che in Umbria, il cuore duro del comunismo sembrava esente da qualsiasi possibile fibrillazione.
Anche il mondo cattolico s’era piegato a questa logica. Non erano forse i compagni i veri amici dei poveri e degli operai? Non erano loro i liberatori dal potere tiranno dei padroni, pronti a sfruttare la gente per impinguarsi grazie alle fatiche dei più umili?
Sembrava che a questa logica fosse impossibile sottrarsi. Dalla gerarchia come dalla massa, il ripudio del capitalismo, non aveva ancora imparato a prendere in considerazione l’economia di mercato, come sorgente di benessere per tutti. Il cattolico Vanoni aveva spiegato la differenza tra le due realtà, ma nelle coscienze era come se si fosse sedimentato un tabù insuperabile: il vangelo può andare soltanto a Sinistra.
Sarebbe interessante partire da questa premessa, per leggere l’esito delle ultime elezioni amministrative che consegnano il Nord Italia, con percentuali bulgare, alla Casa delle Libertà. Fine dei cattolici o loro riposizionamento in politica? Città come Verona, la cattolica Verona, che accredita un sessanta e passa per cento al leghista Tosi, mandando a casa l’iper cattolico Zanotto, sta ad indicare la fine del ruolo della chiesa o esprime piuttosto un suo ripensamento in merito alle aspettative politiche?
È chiaro che oggi l’economia di mercato è entrata come un dato di fatto nella cultura contemporanea e nessuno, tanto meno il mondo dei credenti, si sogna di demonizzare la produzione di benessere e di ricchezza. Tanto più che le leggi del mercato ormai sono globali e tendono a omologare i governi di Destra come quelli di Sinistra. L’Europa guarda ai bilanci, non certo al colore politico di chi li produce.


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La gente vuole legge e ordine e vota i «sindaci-sceriffo»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Sono ormai diverse settimane che indichiamo la politica dell’immigrazione come uno dei temi che la Casa delle Libertà può sfruttare per dare scacco matto al governo Prodi. La maggioranza degli italiani non vuole saperne di allargare le maglie degli ingressi, come si propone di fare non solo il Ddl Amato-Ferrero, ma addirittura quello dei Dico, che prevede la possibilità per i clandestini di regolarizzare quasi di soppiatto (art. 6) la loro posizione attraverso i patti di convivenza. Non vuole saperne di concedere il diritto di voto amministrativo a milioni di extracomunitari, che altererebbero gli equilibri politici in molti comuni e province. Collega, (talvolta a torto ma quasi sempre a ragione) l’aumento della criminalità e la perdita di sicurezza con la presenza di una popolazione straniera che, contando anche i clandestini, si aggira ormai tra il 5 e il 6 per cento del totale ma riempie un terzo delle prigioni. Infine, a mano a mano che prende coscienza del problema, non perdona al governo di centrosinistra di non avere chiesto all’Unione Europea, come avrebbe avuto il diritto di fare prima del fatidico 31 dicembre, una «moratoria» sul libero ingresso in Italia dei cittadini romeni, e in particolare dei circa 800mila zingari con passaporto di quel Paese che aspettavano solo il suo ingresso nella Ue per trasferirsi da noi e stanno già arrivando in massa.
A contribuire al trionfo della Casa delle Libertà nelle elezioni amministrative sono stati diversi elementi. Ma in almeno tre casi il fattore immigrazione ha avuto una parte, se non determinante, certamente molto significativa, perché ha messo in luce un fenomeno relativamente nuovo: la voglia di un «sindaco sceriffo», che getti a mare le politiche buoniste della sinistra nei confronti degli immigrati e riporti ordine e pulizia in città. Si tratta, in ordine alfabetico, di Alessandria, di Rho e di Verona.
Alessandria è per tradizione una città orientata a sinistra. La colpa della candidata sconfitta (il sindaco uscente Mara Scagni) è stata anche la sua politica di apertura nei confronti degli extracomunitari, legali e illegali, che stavano trasformando la città piemontese in una Babele insicura e invivibile.
Anche Rho, periferia «popolare» di Milano, è da sempre una roccaforte rossa. Ma il sindaco uscente, la signora Pessina, aveva in materia di immigrazione le stesse idee di Mara Scagni, e dopo lunghe polemiche ha deciso di aprire anche ai rom. Come era da aspettarsi, sono aumentati i furti, l’accattonaggio e tutti gli altri problemi legati alla presenza di un numero eccessivo di nomadi. La popolazione non ha gradito, rovesciando una tradizione semisecolare.
Il caso di Verona è diverso, nel senso che la città ha un Dna «moderato» e solo per i litigi della Cdl nel 2002 aveva eletto una amministrazione di sinistra. Un suo ritorno all’ovile era nelle previsioni. Sorprendente, tuttavia, è stato il modo in cui la Cdl è tornata al successo: compattandosi intorno a un leghista «ruspante» come il giovane Flavio Tosi, che ha pubblicamente e ripetutamente eletto a suo modello il sindaco-sceriffo per eccellenza, quel Gentilini che ha acquistato fama nazionale per avere riportato l’ordine in una città difficile come Treviso.

Livio Caputo

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Il Senato farà crollare il castello di carta di Visco

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

La torbida vicenda che vede coinvolto il viceministro dell'Economia, Vincenzo Visco, la prossima settimana arriverà dunque in Parlamento. Non poteva essere altrimenti, vista la gravità delle accuse rivolte all'ispiratore della vessatoria politica fiscale del governo, il quale sarebbe arrivato a minacciare il comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, se non avesse provveduto ad azzerare i vertici delle Fiamme gialle in Lombardia, «colpevoli» di aver indagato sul caso Unipol. Ho detto arriverà, ma sarebbe stato giusto dire «tornerà» in Parlamento, perché il caso vi era già arrivato lo scorso luglio, sulla scia delle interrogazioni presentate da vari deputati. Prodi, allora alla Camera, ritenne di cavarsela raccontando un sacco di bugie, ma stavolta non sarà possibile.
Il signor Visco avrebbe dovuto dimettersi subito, avrebbe dovuto chiarire bene tutto e solo allora Prodi avrebbe potuto forse richiamarlo, per tornare a svolgere la sua opera di «sanguisuga» ai danni degli italiani. Così, invece, Prodi e Visco mostrano un'arroganza senza precedenti.
Del resto, basta leggere ciò che disse Prodi in Parlamento lo scorso 26 luglio 2006, per comprendere che questi signori hanno davvero la faccia di bronzo. Incalzato dal deputato Ciccoli, che chiedeva lumi sul trasferimento d'ufficio dei vertici della Guardia di finanza in Lombardia, Prodi rispose che «il viceministro Visco, titolare della delega relativa alle politiche fiscali della Guardia di finanza, assumendo l'incarico, ha svolto, come è prassi, una serie di consultazioni con tutti i responsabili di sua competenza, dalle agenzie fiscali ai vari settori dell'amministrazione e alla stessa Guardia di finanza. Da tali colloqui è emersa l'opportunità di provvedere ad avvicendamenti che sono abituali in questi casi».
A parte il fatto che la delega di Visco riguarda le politiche fiscali delle Fiamme gialle e non la loro organizzazione interna, Prodi parlò di «normali avvicendamenti». Evidentemente, non lo avevano informato che quelli di Milano pretesi da Visco non potevano configurarsi come normali avvicendamenti all'interno della Guardia di finanza. I cambiamenti, all'interno delle Fiamme gialle, vengono studiati e programmati e comunicati con largo anticipo, come ha spiegato proprio il Cocer della Guardia di finanza, in un comunicato.
Il presidente del Consiglio, insomma, disse una bugia, così come aveva fatto in precedenza il suo viceministro. Ma ora i nodi vengono al pettine. E la prossima settimana sarà molto difficile per Vincenzo Visco riuscire a mantenersi incollato alla poltrona: ormai anche l'Unione sembra averlo mollato, così come gli italiani hanno mollato il suo capo, Romano Prodi.
La verità è che, insieme a Prodi e Visco, sta crollando il castello che era stato artificiosamente costruito prima delle elezioni politiche del 2006, per battere Berlusconi. Un castello fatto di carta: la tanta carta del fantasioso programma elettorale dell'Unione. Presto, però, tutto questo sarà solo un brutto ricordo: dopo la spallata degli italiani al governo, col voto delle Amministrative, il 6 giugno ci sarà la «sfiducia» del Senato per Visco. A quel punto, a Prodi non resterà che imboccare la strada del Quirinale, per rassegnare le dimissioni. E l'Italia potrà voltare pagina.


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Michele Brambilla: Forza signor Fisco, continui così

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Forza Visco, tenga duro. Non si dimetta. Non si lasci convincere da quei suoi alleati di maggioranza - sempre più numerosi - che la invitano a rinunciare alle deleghe sulla Guardia di Finanza. Resti al suo posto, signor viceministro.
Il lettore non pensi che siamo impazziti. Al contrario, una logica c’è, e tra poco ve la sveleremo. Prima però, è necessario un riepilogo di quanto è successo ieri.
Dunque. Al «question time» di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti, rispondendo a un’interrogazione di An, ha difeso Visco giurando che il governo gli garantisce la fiducia assoluta. Intendiamoci: da Chiti non potevamo certo aspettarci un benservito al suo collega. Sono tuttavia degne di un piccolo approfondimento le motivazioni che Chiti ha utilizzato per scagionare il viceministro. «Visco - ha detto testualmente Chiti - non ha costretto nessuno a fare alcunché: non ne avrebbe avuto né la possibilità né i mezzi, né glielo avrebbe consentito la sua formazione culturale e la sua correttezza istituzionale».
Abbiamo messo in corsivo l’ultima parte dell’appassionata arringa dell’«avvocato» Chiti perché raramente abbiamo ascoltato una motivazione più formidabile. Capite? C’è il comandante generale delle Fiamme Gialle che mette nero su bianco, davanti a un magistrato, le sue accuse contro Visco; ci sono altri tre generali che le confermano; ci sono dei testimoni, ci sono delle lettere, ma nulla di tutto ciò va preso in considerazione perché «la formazione culturale e la correttezza istituzionale» di Visco sono tali che mai e poi mai il viceministro avrebbe potuto commettere irregolarità.
Insomma il governo dice: il processo contro Visco non va neppure cominciato, perché l’imputato è innocente a prescindere. È puro e immacolato nel suo Dna. A voi pare uno Stato di diritto questo? A noi pare una Repubblica delle banane. A noi pare che, a fronte di accuse così circostanziate, un’indagine seria vada fatta: poi, può anche risultare che Visco è innocente. Ma che tutto debba essere insabbiato prima ancora di accertare i fatti, è roba dell’altro mondo.
E non siamo i soli a pensarla così. Anche nella maggioranza cresce il «partito» di coloro che ritengono che Visco debba come minimo rinunciare alla delega sulla Guardia di Finanza. E siccome questo «partito» cresce, ecco che il governo rischia seriamente di andare in minoranza il prossimo 6 giugno, quando al Senato si discuterà della questione.
Ecco perché speriamo che Visco tenga duro. Perché restando incollato alla sua poltrona con argomentazioni tanto bislacche, rischia di mandare a casa non soltanto la sua augusta persona, ma anche Prodi e il resto dell’esecutivo. Il che sarebbe molto più bello, e molto più utile al Paese di un semplice avvicendamento della delega sulla Guardia di Finanza.

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Mette i ministri in toilette, multato

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Voleva fare lo spiritoso, il pizzaiolo di Sesto San Giovanni. Credeva di non vivere più nella Stalingrado d'Italia. Pensava che la sinistra, ricca di intellettuali di grande apertura mentale, non si accigliasse davanti alla goliardia. Ed era convinto che la legge fosse uguale per tutti. Se Piero Ricca può dare del buffone a Silvio Berlusconi in diretta tv (Tg3) e uscirne immacolato, forse il fornaio della «Bottega della pizza» poteva anche appiccicare nei bagni del suo locale la faccia di qualche ministro. La Cassazione ha sentenziato che l'espressione ricchiana «buffone, fatti processare» è semplicemente «una forte critica», «una vibrata e accorata censura», «una riflessione sul tema della legalità esternata in un luogo particolarmente idoneo», cioè i corridoi del palazzo di giustizia: e le toilette, ha detto tra sé il pizzaiolo, non sono il posto giusto per i graffiti mordaci, lo scherno irridente, la satira scurrile?
Si sbagliava. Se insulti il Cavaliere la Cassazione si congratula, se te la prendi con il Professore ti piomba addosso la polizia. Chi tocca Prodi muore. Il proprietario della «Bottega della pizza», via Buozzi 102, Sesto San Giovanni, aveva appiccicato il volto del premier sopra il copriasse del wc, mentre sull'asse facevano corona il viso sorridente di Giovanna Melandri, quello avido di Vincenzo Visco e quello rassegnato di Piero Fassino. Se Dante ha sbattuto tre papi all'inferno, il pizzaiolo pazzo poteva pure rinchiudere il governo al gabinetto. Che per una volta non era quello ministeriale.
La trovata aveva fatto il giro di Sesto. Ci sono locali dove si balla sui tavoli, dove chi entra viene preso a parolacce, dove a fine serata si lancia il cibo avanzato sui tavoli. E c'è anche quello che sbeffeggia il governo, ognuno ha i suoi gusti. Ma a un cliente della «Bottega» la cosa non è piaciuta e l'ha denunciata al commissariato di polizia che si trova a poca distanza dalla pizzeria. Gli agenti hanno aperto il codice penale, articolo 342, «Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario». Per chiunque ne «offende l'onore o il prestigio» è prevista la reclusione da uno a tre mesi. Chi diede del buffone a Berlusconi era stato condannato a un'ammenda di 500 euro che gli è stata cancellata. Il gestore della pizzeria, che se l'è presa con quattro del centrosinistra, di euro ne dovrà pagare 1.660. Farà ricorso, sperando di trovare lo stesso giudice che ha ripulito la fedina penale di Ricca.
I clienti del pizzaiolo sono indignati. «Non si può più scherzare». «E le scritte contro il centrodestra sui muri vicino all'ex area Falck?». «E gli slogan di via Adua che inneggiano alla morte dei poliziotti?». A qualcuno è tornata in mente la Fattoria degli animali: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri». Attenzione però, Orwell parlava di maiali. Qualcuno potrebbe offendersi ancora.
Stefano Filippi
(ha collaborato Silvia Villani)


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Paolo Del Debbio: Minacciati dall’alluvione ma Prodi sa solo parlare

>>Da: andreavisconti
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Meno tasse, più investimenti, meno spese, riforme radicali per dare più soldi alle famiglie perché consumino di più, fare la riforma delle pensioni. Non è la sintesi di un articolo del Giornale, sono alcune delle indicazioni che, ieri, ha dato il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nelle sue tradizionali Considerazioni finali. 22 pagine: poche (considerando il numero delle relazioni precedenti), dense, scritte in italiano e non in banchitaliese. Anche la forma, in questo caso, conta. Indica uno svecchiamento ormai necessario.
Vediamo alcuni dei punti più salienti.
La ripresa dell'economia. Secondo Draghi l'economia italiana è «uscita dal ristagno» e dalla metà del 2005 è «in ripresa». Anche se lo fa lentamente rispetto agli altri Paesi europei. Dunque è definitivamente sbugiardata la tesi della coppiòla Prodi-Visco che aveva sparato che dipendeva dal nuovo clima di fiducia (e chi l'ha visto?) che loro due avrebbero infuso nell'economia reale. La ripresa c'è da metà 2005. Mettiamo pure che non sia merito del governo Berlusconi. Certamente non è merito loro. E anche Padoa-Schioppa dovrebbe rivedere il suo giudizio dell'anno passato, appena poste le terga sulla poltrona ministeriale, quando disse che l'economia italiana era nelle condizioni (disastrose) del '29, il crollo di Wall Street. Non c'aveva proprio preso.
Meno tasse e meno spese. Qui sarà difficile per Visco inventare qualche risposta o, ancor meno, addolcire il pillolone gentilmente offerto da Bankitalia. Una volta tanto il drago non lo può fare lui allungando i canini aguzzi sui redditi dei cittadini. Il Draghi originale non ha detto un po' meno. Non ha detto neanche non aumentare. Ha detto diminuire. Tasse e spese. E ha specificato anche che questo è l'unico modo giusto di ridurre anche il debito senza, appunto, aumentare le tasse. L'esatto contrario di quanto ha fatto il governo Prodi. L'opposto. Il giorno e la notte. Quello che proprio non si deve fare.
I consumi delle famiglie. Il consumo, questa entità fondamentale della società, è «frenato dall'incertezza sull'esito di riforme che toccano in profondità la loro vita».
Anche qui la chiarezza è assoluta. I consumi legati alle famiglie sono fondamentali per la ripresa. Questo governo ha tassato le famiglie e, in certi casi (molti) le ha proprio azzoppate, caricandole di pesi ulteriori e, certamente, causando in loro un sentimento di sfiducia nel loro futuro e anche, quindi, sulla propensione a consumare.
Pensioni. Non riformarle significa in modo definitivo un costo «in termini di mancata crescita, minori consumi». Sono soldi trattenuti dal sistema pensionistico a scapito dell'economia reale. Altro che scalone e scalini. Senza riforma si finisce nel sottoscala e, dopo, sarebbe magra per tutti. Soprattutto i più indigenti.
La risposta di membri del governo è stata del seguente tono: ci stiamo pensando e abbiamo organizzato una riunione. Come se coloro che si accorsero del Vajont si fossero messi a discuterne ai piedi della diga. Chi ha gridato all'alluvione è Draghi. L'altra allegra comitiva è il governo. Nella valle ci siamo noi.


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Libano, assedio a Nahr al-Bared

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Decine di carri armati e mezzi blindati dell’esercito libanese si sono posizionati stamane attorno al campo profughi di Nahr el-Bared, nei pressi di Tripoli, nel nord del Libano, pronti a sferrare un nuovo attacco contro i miliziani del gruppo estremista palestinese Fatah al Islam barricati al suo interno.

Coperti dal fuoco dell’artiglieria, una cinquantina di blindati hanno preso posizione sul lato nord del campo. Non è tuttavia chiaro se l’attacco sia stato già lanciato. Da 13 giorni i miliziani del gruppo estremista sono assediati all’interno del campo. Sparatorie sporadiche sono proseguite anche dopo la tregua che ha posto fine ai tre giorni di violenti scontri scoppiati il 20 maggio. Ieri un soldato libanese è stato ucciso da un cecchino. Sono 32 i soldati uccisi finora. Sono morti anche 20 civili e circa 60 miliziani.

Il governo libanese è intenzionato a smantellare il gruppo palestinese, che ha promesso a sua volta di resistere fino alla fine. Intanto migliaia di profughi palestinesi hanno abbandonato il campo, ma numerosi sono ancora quelli che si trovano al suo interno insieme ai miliziani.
LA STAMPA

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Castelli: «Vogliono salvarsi con un Esecutivo tecnico»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Presidente Castelli, dopo la batosta elettorale, Prodi è passato al contrattacco dicendo che questo risultato è dovuto alle liti interne al suo Governo. Condivide?
«Fatte le debite proporzioni, Prodi mi ricorda Hitler nel bunker di Berlino, quando manovrava divisioni che non c’erano più e i russi ormai camminavano sul suo soffitto. È chiaro che Prodi è completamente staccato dalla realtà, vive un suo delirio personale. Nulla questio, se non fosse il nostro presidente del Consiglio. Sarebbe bene che scendesse a terra, capisse il disastro che ha combinato, non solo in termini di consenso, ma anche di sconquasso della società italiana».
A cosa si riferisce?
«I provvedimenti più devastanti per la nostra società, come la Amato-Ferrero sull’immigrazione, o il testo sui Dico non sono ancora legge, bisognerebbe che si fermassero qui e che Prodi passasse la mano. Ormai non lo segue più nessuno».
Alcuni grandi giornali ipotizzano un nuovo Governo, magari guidato dal Presidente del Senato Franco Marini.
«C’è da sorridere. Ostellino, che io stimo, scrive sul Corriere che sarebbe ridicolo se il suo giornale prendesse posizione su questo o sull’altro schieramento. Evidentemente si è scordato cosa fece l’anno scorso il suo direttore. In ogni caso, i poteri forti, di cui Paolo Mieli e il Corrierone sono la punta di lancia mediatica, capiscono che Prodi sarebbe andato incontro al disastro e quindi inventano questa grandissima bufala (che va continuamente denunciata) secondo cui la politica ormai è un costo insostenibile per l’Italia e bisogna cacciare i politici».
Non vanno cacciati?
«Vanno cacciati i politici di sinistra. Quando io, i nostri leader, o altri miei colleghi, andiamo in giro fra la gente riceviamo applausi. Lo dimostrano i risultati delle elezioni. Però loro si sono inventati questa bufala: siccome capiscono che Prodi non è più sostenibile vogliono sostituirlo direttamente loro stessi».


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Il qualunquismo ora abita a sinistra

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Per anni la sinistra italiana ha sempre sottolineato che il qualunquismo fosse tratto qualificante di una parte dell’elettorato di destra: da Guglielmo Giannini in poi l’elettore di destra oscillava tra l’oscurantismo clerical-fascista e la rozza protesta antipartitica e antitasse e, appunto, il peggior qualunquismo. E i qualunquisti, si sa, se possono non vanno a votare esprimendo così la loro protesta. Oggi il qualunquismo non è più di destra, almeno nel Nord Italia: a fuggire dalle cabine elettorali non è stato l’elettore di destra, moderato, bensì l’elettore di sinistra, quel cittadino che non può riconoscersi in Prodi, nell’ingovernabilità, nel walzer delle bugie. Un elettore che, secondo coscienza, sentiva forte il richiamo delle politiche nazionali di centro-destra, coalizione alla quale, in sede locale, bisogna riconoscere indubbie doti di buona amministrazione, buon governo e buon senso. Non ha fallito Prodi, quanto ha fallito la politica di centro sinistra, un centro sinistra che non è stato capace di rinnovarsi, che non ha mantenuto le proprie promesse elettorali, ma soprattutto che non ha saputo comprendere le istanze del popolo. Il voto ha detto basta all’immagine stereotipata del settentrionale egoista, che non vuole pagare le tasse, scarsamente acculturato, che odia gli extracomunitari e via discorrendo. C’è un popolo fatto da donne, uomini, anziani, giovani, che chiede certezze: non è un popolo (come sussurra la sinistra) che non vuole lo Stato e che crede nel dio-mercato; c’è un popolo che vuole uno Stato giusto, meno invadente, meno burocratico, ma soprattutto equo. C’è un popolo che non sa che farsene di una sinistra che sa sempre tutto, che ha la verità in tasca, che guarda dall’alto in basso il popolino bue. Il popolino bue s’è stancato. Il popolino bue, che, tutto sommato, crede nella democrazia e che non è così qualunquista come si vorrebbe far credere, va a votare e ha scelto il centro destra, magari bocciando anche sindaci di centro sinistra uscenti, come è accaduto a Verona come a Villaverla, Marano Vicentino. Questo popolino non crede nella politica che costa troppo, ma sa che il problema non è l’alto costo della politica, ma il pagare troppo dilettanti della politica, gente che non sa ascoltare il popolo, che non ne capisce i bisogni, ma che pretende di dare lezioni ogni giorno. Questa volta la lezione l’hanno data le urne. Lezione qualunquista? No. Il qualunquismo non abita più qui: cercatelo dall’altra parte. A sinistra.
Roberto Ciambetti
Consigliere regionale veneto Lega Nord

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Mauro: Federalismo fiscale, siamo alla svolta storica Ci teniamo le nostre tasse

>>Da: andreavisconti
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Il Nord batte cassa, non ha più tempo per chi sbiascica a parole il Federalismo. Veniamo subito alla resa dei conti: la Lombardia e chi la vuol seguire, potrà trattenere il 15 per cento dell’Irpef, l’80 per cento dell’Iva e tutte le accise sulla benzina, oltre che l’imposta sui tabacchi e sui giochi.
La vita cambia. Per le imprese, le famiglie, i lavoratori. È la risposta di chi, della Questione Settentrionale, ne fa davvero una questione di vita o di morte. Tanto che ieri è iniziato l’iter istituzionale per l’approvazione del progetto di legge al Parlamento firmato Lega Nord. È partito da lì, dal cuore del problema, i daneè, aprendo le sonanti danze nella prima Commissione Bilancio del Pirellone. Rosi Mauro, presidente schiacciasassi, apre la borsa e dà uno schiaffo al tavolo: «Eccolo qua - dice, mostrando sulla carta spiegazzata dal troppo lavoro questo gioiello legislativo - tutti parlano di Nord, se ne riempiono la bocca. E tutti, tranne la Lega e gli alleati fidati, dimostrano di non averlo capito. Qualcuno in buona fede, magari, altri, per i soliti interessi assistenziali».
Presidente Mauro, entriamo nel concreto. Perché questa vostra iniziativa potrà cambiarci la vita, aiutare le imprese e le famiglie?
«Dobbiamo agire su tre leve, non ci son santi. Alle Regioni devono essere attribuite: primo, una quota corposa dell’Irpef, ovvero almeno, ALMENO - tuona il presidente - in misura del 15 per cento. Secondo, compartecipazione elevata, ELEVATA - scandisce - al gettito Iva».
Quanto elevata, Mauro?
«Non meno dell’80 per cento, chiaro, no?».
Terzo?
«Tutto il gettito su accise, tabacchi, giochi. In più prevediamo la possibilità di tassare autonomamente i redditi fondiari».
Per un totale di...?
«La bellezza di 10 miliardi di euro di entrate aggiuntive dall’Iva e altri 4 e mezzo dall’Irpef. Vuol dire risolvere buona parte dei problemi di una regione competitiva, solidale, generosa che tira il carretto-Italia ma che paga per coprire i deficit di altre Regioni, come il Lazio, che chiedono l’aiuto dello Stato-mamma per uscire dai guai, uno Stato che divide i cittadini in serie A e B, che ammette disparità di trattamento. Noi paghiamo, ma “morire” se da Roma arrivano risorse per lo sviluppo della nostra comunità, delle nostre eccellenze!».
La vicenda del salvadebiti sanitario non l’ha digerito...
«Ci chiedono di essere virtuosi per chi spreca. Il Nord è stanco, lo sa, vero? E allora basta! Bi-a-esse-ti-a: basta!».
La via d’uscita è l’articolo 119 della Costituzione?
«Guardi qui, la via d’uscita è questo disegno di legge che dà attuazione al 119 in materia di federalismo fiscale. Se vogliamo trasferire competenze, da qualche parte, prima o poi, dobbiamo trasferire anche risorse e questo è possibile se le Regioni possono attingere a quanto viene generato sul territorio. Non si toglie niente a nessuno, si orientano diversamente i soldi. Che qui devono iniziare a restare».
Si parte dalla Lombardia.
«L’auspicio è che ogni Regione conquisti autonomia finanziaria, va attivato il meccanismo virtuoso delle tasse pagate per avere dei servizi, non per mantenere un meccanismo di perequazione, come l’attuale fondo interregionale. Quest’ultimp deve essere modificato: vanno premiate le scelte finanziarie trasparenti, sane, dove dare e avere creano progetti, non fondi a perdere».
Giustizia fiscale e distributiva, Mauro?
«Il lombardo dà più di altri e riceve meno. Produce un quinto del Pil. Scommettiamo che qu

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Bersani sull’energia, idee poche e confuse

>>Da: andreavisconti
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Il nucleare? Lo adotta l’intera Europa, ma noi “non possiamo permettercelo”. L’Ue punisce l’Italia per la mancata riduzione dei gas serra? Ci facciamo su una bella conferenza. Vodafone lo accusa di avere causato forti perdite all’azienda con il decreto sulla liberalizzazione delle ricariche? Risposta: “Non ci credo”.
La linea del Governo in materia energetica resta campata per aria, nessuno sa come e cosa. Forse non lo sa neanche Bersani. Ieri, a margine di un convegno sulle liberalizzazioni alla Luiss, l’oncologo Umberto Veronesi ha invitato il Governo a costruire dieci centrali nucleari nei prossimi dieci anni, ma alle richieste provenuienti dalla stessa maggioranza di riconsiderale l’uso dell’energia nucleare, il ministro dell’Industria non trova di meglio da dire che «costa troppo». Invece «è meglio mettere le nostre risorse nella ricerca sul nucleare di nuova generazione, in modo che se ci dovrà essere una ripartenza sia allineata con gli altri Paesi con tecnologie più gestibili e costi più abbordabili».
Resta il problema: come affrontare il fabbisogno crescente di energia, specie adesso, in un periodo di grande uso qual è l’estate? Dopo il rifiuto del Piano italiano per le emissioni da parte dell’Ue, Bersani ha già firmato il decreto per la convocazione della Conferenza energetica nazionale, che sarà controfirmato dal ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Nelle intenzioni c’è «la realizzazione di un piano nazionale per ridurre la dipendenza dell’Italia dal gas e dal petrolio importati dall’estero, per diversificare le fonti di approvvigionamento e migliorare l’impatto ambientale». Già, ma come procedere senza il nucleare?, con la bacchetta magica? La Conferenza sarà un gran bla bla fra ministero, rappresentanti delle Regioni, del mondo universitario, dei sindacati, dei cittadini ed esperti del settore. Il sottosegretario all’Ambiente, Laura Marchetti: afferma candidamente: «Concordiamo sul lavorare ad un piano energetico nazionale perché delle imprese private non possono prendere decisioni sull'energia, che è un bene della Repubblica. Quindi, discuteremo su quale sarà il modello energetico del nostro Paese». Ergo, ora come ora non ne hanno idea. Intanto, Vodafone ha annunciato di avere chiuso il bilancio 2006-2007 con un aumento del 13,8% rispetto al marzo 2006. Ma, secondo Vodafone, il decreto Bersani ha inciso significativamente sul valore dell’azienda e ha portato il gruppo Vodafone "a svalutare la sua partecipazione nell’azienda italiana per un importo di circa 5,1mld di euro". Accusa ovviamente respinta da Bersani come “assurda”. «Il decreto si è solo occupato di ricariche telefoniche«, afferma in una nota il ministro.


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Prostituzione, sgominata gang cinese

>>Da: andreavisconti
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Diciassette persone arrestate e fermate, una decina di appartamenti perquisiti, di cui tre sequestrati, tra Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Emilia, Liguria e Puglia. È il bilancio di un’operazione dei Carabinieri del Comando Provinciale di Savona contro lo sfruttamento della prostituzione cinese.
Gli uomini dell’arma hanno sgominato una banda di cinesi e italiani che avevano messo in atto un vasto giro di prostituzione con base operativa in via Paolo Sarpi, nella "China Town" milanese, dove sono stati arrestati i capi dell’organizzazione.
Secondo le ricostruzioni, le ragazze potevano guadagnare anche 400 euro al giorno. In manette sono finiti Wuang Jun, 54 anni, residente a Milano, Zhang Hang, 34 anni e Bruno De Fazio, 47 anni, residenti a Ponte Lambro nel Milanese. Quest’ultimo gestiva una casa di appuntamento a Varazze, insieme alla convivente Zhang Hang. In manette anche Zhang Ziping, 43 anni, residente ad Alba, Mohammed El Hafnawy, egiziano, 36 anni, di Milano, imbianchino, Francesco Lo Iacono, di Cesano Boscone, nel Milanese, Zhang Yiangli, 34 anni, residente a Milano, Davide Calbini, cuoco,28 anni, residente a Savona, che gestiva una delle due case di appuntamento di Albisola, insieme ad un'altra cinese arrestata, Min Yuhun, 41 anni, Gaetano Rapisarda. loanese, 49 anni, panettiere, che gestiva un’ altra casa ad Albisola, con un'altra cinese non ancora identificata, Ren Xiuyn, 41 anni, residente a Milano, Li Ping, 39 anni, residente a Novara e Gu Xi Uyun, 44 anni, residente a Milano, ma con attività a Tortona. Per loro l'accusa è di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione. Indiziati di reato sono invece Li Yuan, 24 anni, Xie Yuhua, 36 anni, residente a Milano, Xing Shuai, 33 anni, e Tao Lixiang, 43 anni, tutti residenti a Milano.


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Gli ritirano l’ottava patente Se l’era fatta fare a Praga

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Non si è fermato neanche davanti al settimo ritiro della patente. Un 51enne della Val Gardena, ben noto ai carabinieri di Ortisei, è arrivato addirittura fino a Praga per ottenerne un’altra. Ma a nulla gli è servito questo escamotage: i carabinieri gli hanno tolto anche l’ottava.
L’uomo era stato fermato per l’ennesimo controllo il 29 settembre scorso: quel giorno gli avevano ritirato la patente per guida in stato di ebrezza, come era accaduto, del resto, tutte le altre sei volte. Quella di settembre era la sua settima patente ritirata, nonchè l’ultima consentita per la legge italiana. Ma E.J. non voleva rassegnarsi a non poter più guidare. La soluzione era andato a cercarla all’estero. Si era trasferito a Praga per un certo periodo, aveva preso la residenza e aveva finto di aver perso la sua patente. Così era riuscito a farsene inviare una dalla Repubblica Ceca. In Italia però c’è tornato subito e, ovviamente, in macchina.
Ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio: l’uomo non ha cambiato le sue abitudini ed è stato beccato dopo pochi giorni. I carabinieri di Ortisei infatti, lo hanno fermato alle 10 del mattino, ubriaco e al volante. Per lui niente più patente, tanto c’era già abituato. Ma questa volta dovrà anche pagare una multa che oscillerà tra i 3 mila e 10 mila euro.


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Anche le mucche avranno il gps

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Mucche come berline e utilitarie: anche loro, infatti, avranno il loro gps e saranno controllate dallo spazio, via satellite, in ogni spostamento. Sotto lente d’ingrandimento dai campi alla tavola: per pranzi e cene con il cuore più sereno. Coldiretti spiega che la sperimentazione del consorzio qualità carne della sezione di Milano e Lodi è già partita su 300 capi allevati allo stato brado dall’Università de La Plata in Argentina e un progetto analogo è allo studio in collaborazione con il dipartimento di bioingegneria della facoltà di Veterinaria della Statale di Milano. «L’applicazione del gps a ogni animale - spiega Ernesto Beretta, direttore del Consorzio qualità della carne bovina - sarebbe particolarmente utile in montagna per il controllo degli spostamenti delle mandrie e quindi per la verifica dei pascoli e di quello che gli animali mangiano. Infatti il foraggio è uno degli elementi fondamentali per la garanzia di qualità delle produzioni, in particolare quelle tipiche». Ma ecco le tappe temporali: a novembre, innanzitutto, decolleranno i primi test su una decina di capi in Lombardia: il gps sarà abbinato persino al microchip a lettura radio Rfid, una tecnologia che la Coldiretti di Milano e Lodi sta sviluppando ormai da cinque anni sulla base di un progetto in collaborazione con la Camera di commercio di Milano.
«L’obiettivo finale - spiega il direttore della Coldiretti interprovinciale, Roberto Maddè - è di facilitare il lavoro agli allevatori e di aumentare la sicurezza e la tracciabilità del prodotto per i consumatori. Anche perché dalla garanzia di una maggiore qualità deriva poi un preciso riscontro economico».
Flavia Mazza

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Da Imola a Venezia a piedi. Di corsa

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione



È partita da una scommessa: a piedi da Imola a Venezia. E sta riscuotendo sempre più successo e attenzione. È l'avventura di un ragazzo romano, Gianluca, 25 anni, studente di psicologia che racconta così da dove è cominciata la sua impresa: "tutti sostenevano che quest'anno, a differenza delle edizioni passate, l'Heineken Jammin' Festival si sarebbe tenuto a Venezia mentre io ero fermamente convinto che fosse ad Imola come negli anni precedenti. Ho quindi giurato che se mi fossi sbagliato avrei fatto una follia: da Imola a Venezia a piedi!". Risultato? Perde la scommessa. Così zaino in spalla e 250 euro in tasca prende il treno da Roma fino ad Imola e il 21 maggio inizia a camminare, anzi a correre.

Il suo obiettivo? Arrivare a Venezia per il 14 giugno, in tempo per l'inizio della decima edizione dell'Heineken Jammin'. Ben 270 chilometri da percorrere in tappe da 15-20 chilometri al giorno tra città e paesi dell'Emilia e del Veneto. Gianluca ha aperto pure un blog, (http://blog.libero.it/Giastar/), il suo diario di viaggio in cui con testi e filmati descrive la sua esperienza "on the road" fatta, come dice lui, di pranzi e cene "a scrocco". L'idea è piaciuta a tanti navigatori, al punto che in pochi giorni il blog ha fatto ben 7.000 visitatori. Non da meno l'attenzione che gli stanno riservando le radio che lo cercano per intervistarlo (Radio Dj, Planet Fm, Radio Mia sono solo alcune) e l'altro ieri è approdato su Mtv, intervenendo nella nota trasmissione TRL ( Total Request Live). E domani? Rovigo lo attende, mentre la Heineken lo ha contattato. Che la sua avventura si stia trasformando in qualcosa di più?

Claudia Nuzzarello

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Storie dal gran consiglio dell’ulivismo

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il premier prova a tenere duro: il Pd è mio e lo comando io. Serve lo speaker? “Lo nomino io”

Nella riunione serale del comitato promotore del Pd, Romano Prodi esordisce con un aut aut se possibile ancora più duro di quello dato con l’intervista a Repubblica di ieri: semmai, il coordinatore lo nomino io. La posizione di Prodi era nota da tempo: il Pd nasce per dare stabilità al governo. Il suo leader, pertanto, non può non coincidere con il capo dell’esecutivo. Un concetto ripetuto con forza nell’intervista, durissima con gli alleati (“La mia cura è quella giusta, basta liti o me ne vado”). Un concetto che è però anche l’esatto opposto della posizione assunta da Francesco Rutelli e da gran parte della Margherita, a cominciare dai popolari guidati da Dario Franceschini. L’intervista del premier non era fatta “per rasserenare il clima” nella maggioranza, come ha spiegato ieri lo stesso Prodi, ma “per chiarire” la sua posizione, nel giorno della prima solenne riunione del comitato del Partito democratico.
“Mi sembra che l’aut aut di Prodi sia rivolto innanzitutto a Fassino e Rutelli”, commenta il segretario dello Sdi, Enrico Boselli, dando voce a una convinzione diffusa. E cioè che il premier non riesca a imporsi proprio perché indebolito dalla guerra di successione in corso sulla leadership del Pd. “Un premier che nel giro di cinque mesi ripete due volte la frase ‘o si fa come dico io o me ne vado’ si rende ridicolo”, dichiara Nicola Rossi, parlamentare dell’Ulivo e animatore del gruppo dei Volenterosi. “Se il problema è che non possiamo eleggere un leader perché c’è già il premier – aggiungono molti suoi colleghi – questo problema lo ha già risolto Antonio Di Pietro”. Sottinteso: provocando la prossima caduta del premier e dell’intero governo.


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Storie dal gran consiglio dell’ulivismo

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Sulla scrivania del presidente c’è un appunto: “Dario a Santi Apostoli, Walter a Palazzo Chigi”

Sulla scrivania di Franco Marini c’è un appunto: “Dario a Santi Apostoli, Walter a Palazzo Chigi”. E’ uno schema che avrebbe potuto o potrà prendere forma, almeno in parte, eccedendo la volontà di Massimo D’Alema e con l’incognita prodiana sullo sfondo. Lo schema prevede che Dario Franceschini, capogruppo ulivista alla Camera e leader dei Popolari della Margherita, diventi il capo del Partito democratico a luglio, molto prima della Costituente fissata al 14 ottobre. Coordinatore o presidente o segretario, la formula si troverà. L’essenziale è che il dirigente ferrarese, sempre gradito a D’Alema e ai suoi, venga eletto da un’assemblea semicostituente (magari dagli eletti più un poco di società civile) in nome di quella accelerazione non più rinviabile di cui hanno finalmente parlato anche i diessini. E’ stato Antonello Soro, coordinatore dl ed espressione dell’amicizia politica tra Marini e Franceschini, a lanciare ieri l’attacco contro le pretese prodiane d’incarnare a un tempo leadership e premiership del nascituro partito: “Pensiamo che la scelta di un leader renda la funzione di Prodi più efficace perché lo alleggerisce dal peso di leader di partito che crea fibrillazioni nell’Unione”. Perfino il ministro Giuseppe Fioroni ha giudicato impensabile l’aut aut prodiano.
Capire se e quanto potrà cedere Prodi, a questo punto, è un esercizio mortificato dalla sua dissimulazione pomeridiana: “Nulla in contrario ad accelerare, ma la data del 14 ottobre serve per avere più liste, è un obiettivo che rimane”. Prodi non cede, cerca un compromesso. A ridosso, dopo un colloquio con il prodiano Santagata e prima di una seconda chiacchierata con Rutelli, è arrivato Piero Fassino a certificare la parvenza di un accordo: il leader politico coincide col capo del governo, tutt’al più si fa un coordinatore o segretario generale. E Franceschini? Se una seconda fila dovrà essere, i Ds oppongono i nomi di Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro (più credibile per un ruolo minore). Si conosce la controargomentazione di Marini e dei Ds (non tutti) all’aut aut prodiano: “Se ne ha voglia, il presidente del Consiglio provi a spiegare al capo dello stato che ha deciso di farsi da parte perché non gli consentiamo di nominare uno speaker, un suo usciere di fiducia alla guida del Pd. Provi, Romano, a giustificare la ragione per la quale non accetta un capo che non parli soltanto, ma pensi pure e lo faccia attraverso una regolare investitura dal basso”. O quasi, perché di primarie si preferisce non parlare. Per il poco tempo a disposizione da qui alla metà di luglio e perché, in presenza di elezioni primarie, la pratica dovrebbe essere rinviata a ottobre e allora il progetto rischierebbe di saltare per la sopraggiunta candidatura di Rutelli e Fassino. Se non anche di Prodi. D’Alema – si ragiona nella Margherita – potrebbe pure accettare Franceschini ma i Ds non reggono al sospetto che dietro di lui si nasconda l’ambizione rutelliana. Se così fosse, il nome di Fassino verrebbe inevitabilmente disseppellito. Sicché tutti i giochi sembrano scorrere lungo la linea d’una fretta non più invisibile. I popolari e i teodem subalterni a Marini, volenti o no, sanno che sul nome di Franceschini s’infrangerebbero le velleità rutelliane. Come potrebbe il vicepremier ostacolare un uomo forte del proprio partito, ora, e con l’inconveniente di dover lasciare il governo?
IL FOG

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La battaglia antioligarchica nel Pd ci riguarda tutti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Alla questione della leadership è appesa la possibilità di lavorare per un paese più serio e per una politica forte


Prodi ieri ha ecceduto, per usare un blando eufemismo. A Massimo Giannini di Repubblica ha detto con tono arrogante e nervoso, dopo una sconfitta elettorale del suo governo e mentre i sondaggi danno chiunque dieci volte più popolare di lui nel popolo del centrosinistra, che non solo governa lui, ma comanda lui anche nel Partito democratico e non vuole noie fino al 2011. C’è stata una reazione, ci sono stati vari tentativi di mediazione politica, e in tarda serata è cominciato il confronto il cui esito ancora non conosciamo nei dettagli, al momento di andare in stampa. In linea generale uno potrebbe dire “chissenefrega” di come si sistema la leadership del Partito democratico. Ma è un modo stupido di ragionare. C’è infatti una sola possibilità di migliorare almeno un poco la sinistra e la destra in Italia, sottraendo il paese a una lunga fase di nevrosi degenerativa e di sotterranee rese dei conti trasversali dalla quale usciremmo tutti peggiori di prima, con economia e istituzioni e cultura politica in pezzi, sempre che poteri supplenti non si incarichino di devastare di nuovo tutto con i soliti mezzi brutali e menzogneri che si conoscono da quindici anni. Bisogna cioè che il Partito democratico si prenda sul serio e sia preso sul serio, e corrisponda alla propria ambizione: creare una nuova area riformista di centrosinistra, che rompe con la logica dell’unionismo litigioso e del prodismo governativo pragmatico ma bolso, e apre un nuovo orizzonte possibile di confronto e di competizione bipolare con il partito di maggioranza relativa del paese, quello di Berlusconi, e con i suoi alleati. Prodi ha deciso chiaramente di lavorare per un incanaglimento generico della lotta politica, puntando sulla nomina di un coordinatore del Pd che badi alla disciplina delle truppe senza ambizioni di guida del paese e di strategia politica per il futuro, perché il suo obiettivo è durare, inasprire lo scontro con Berlusconi, personalizzarlo ulteriormente, e vivere di rendita sul peggio del passato puntando poi, la fortuna aiutando, al ruolo emerito di presidente della Repubblica. Ambizioni scandalosamente modeste e immodeste insieme. Chi rifiuta questo schema di gioco francamente indecente, una replica in peggio della legislatura 1996-2001, e ne vede il limite autocorrosivo, deve puntare invece, da destra e da sinistra, su un leader vero dei democratici, eletto con tutti i crismi e una robusta legittimazione, che sia in grado di impostare una dura competizione di idee e di visione con la leadership carismatica ed elettorale del Cav., utile a schiarire l’aria per tutti, per consenso o per contrasto, e a trattare i cittadini italiani da adulti.


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Riappare in video reporter Bbc rapito a Gaza

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

GAZA CITY (Striscia di Gaza) - Dopo un lungo silenzio è stato diffuso un video di Alan Johnston, il reporter della Bbc rapito a Gaza lo scorso 12 marzo. Il video è stato diffuso dal gruppo «Esercito dell'Islam».

RASSICURAZIONI - «Prima di tutto, i miei sequestratori mi trattano molto bene», assicura il giornalista scozzese nel filmato, realizzato da un gruppo estremistico auto-proclamatosi Esercito dell'Islam, lo stesso che ne aveva rivendicato la cattura.

LE RICHIESTE - Per il rilascio dell'ostaggio, nella registrazione i rapitori rinnovano alle autorità di Londra la richiesta di scarcerare i musulmani detenuti nel Regno Unito, e in particolare il religioso fondamentalista Abu Qatada.


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Nuovo documento sull'esistenza del mostro di Loch Ness

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Dopo un lungo silenzio mediatico. L'autore: «Pensavo fosse una grossa anguilla»

EDIMBURGO - Dopo una lunga estinzione mediatica, Nessie è tornato a galla: un nuovo video filmato sabato fornisce le migliori immagini mai riprese del mostro di Loch Ness, emerso per una salutare nuotatina e di nuovo approdato agli onori della cronaca. «Non credevo ai mei occhi quando ho visto questo animale di colore nero, lungo circa 15 metri, che si muoveva piuttosto rapidamente», racconta l’autore del video, il 55enne Gordon Holmes, secondo il quale la bestia procedeva a circa sei nodi: «All'inizio pensavo potesse essere una grossa anguilla, hanno caratteristiche morfologiche simili ai serpenti e potrebbero spiegare molti degli avvistamenti fatti negli ultimi anni». In attesa del verdetto degli esperti che hanno preso in esame il filmato, le teorie alternative non mancano: l’ultima riteneva Nessie il frutto dell’idea pubblicitaria del padrone di un circo, che aveva visto uno degli elefanti fare il bagno nel lago.

PROBOSCIDE? - Avanzata da Neil Clark, paleontologo dell’Unterial Museum dell’Università di Glasgow, la teoria si basa non solo su una reinterpretazione della famosa foto che ritrae Nessie mentre incrocia maestosa le placide acque del lago (o la proboscide dell’elefante che emerge dalle medesime acque, secondo le opinioni) ma anche sul fatto che subito dopo il primo avvistamento moderno (risalente al 1933) un impresario avesse offerto la principesca somma di 20 mila sterline dell’epoca a chi avesse catturato il mostro. Una somma tale da ammettere come unica spiegazione il fatto che l’uomo sapesse benissimo di avere il mostro già nel suo circo, che avrebbe beneficiato della pubblicità generata dalla caccia a Nessie. Come accertato da Clark, dopo l’apertura negli anni Trenta della strada A82, che passa non lontano dalla sponda occidentale del lago, numerosi circhi itineranti si erano spinti nella zona di Inverness e il lago Loch Ness veniva utilizzato come un luogo di sosta per far riposare gli animali.
SAN COLOMBANO - L’unica falla della teoria è che non spiega gli avvistamenti anteriori al XX secolo: il primo avvistamento documentato risale al 690 d. C. e ne è protagonista il monaco irlandese San Colombano: il quale, poco propenso a soddisfare una naturale curiosità scientifica vista la mole e l’appetito dell’animale, scacciò la povera bestia a forza di preghiere. Stando alla «Vita Sancti Columbae», il Santo si era recato nella regione dei Picti, sul fiume Nes, quando vide un gruppo barbari impegnati nella poco piacevole attività di seppellire un compagno. Il motivo della triste cerimonia gli fu presto spiegato: il poveretto stava pacificamente nuotando nel lago quando «fu catturato da una selvaggia bestia marina». A queste parole San Colombano ordinò a uno di loro di raggiungere a nuoto l’altra riva e portargli la barca che vi si trovava ancorata. Ma la vicenda finì male: il mostro lo vide e gli si precipitò incontro «con le fauci spalancate».


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Compagni altro che canne per tutti...

>>Da: -cerberus
Messaggio 3 della discussione
Non si finisce mai di ridere con questi personaggi.

Turco: vietiamo sigarette a minori di 18 anni
ROMA - Una proposta che farà discutere. Quella di vietare la vendita delle sigarette ai minori di 18 anni. «Una misura opportuna e giusta, che ritengo sia nostro dovere adottare quanto prima». È quanto sottolinea il ministro della Salute, Livia Turco, a proposito del recepimento da parte dell'Italia della Convenzione dell'Oms sul controllo del tabacco che prevede per l'appunto il divieto di vendere sigarette ai minori di 18 anni.

MSN Gruppi

unread,
Jun 2, 2007, 6:42:54 AM6/2/07
to Club azzurro la clessidra & friends
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Rapporto quotidiano dei messaggi in Club azzurro la clessidra & friends

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Nuovi messaggi di oggi
Se vuoi rispondere, visita la bacheca del gruppo.
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Da Imola a Venezia a piedi. Di corsa

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione



È partita da una scommessa: a piedi da Imola a Venezia. E sta riscuotendo sempre più successo e attenzione. È l'avventura di un ragazzo romano, Gianluca, 25 anni, studente di psicologia che racconta così da dove è cominciata la sua impresa: "tutti sostenevano che quest'anno, a differenza delle edizioni passate, l'Heineken Jammin' Festival si sarebbe tenuto a Venezia mentre io ero fermamente convinto che fosse ad Imola come negli anni precedenti. Ho quindi giurato che se mi fossi sbagliato avrei fatto una follia: da Imola a Venezia a piedi!". Risultato? Perde la scommessa. Così zaino in spalla e 250 euro in tasca prende il treno da Roma fino ad Imola e il 21 maggio inizia a camminare, anzi a correre.

Il suo obiettivo? Arrivare a Venezia per il 14 giugno, in tempo per l'inizio della decima edizione dell'Heineken Jammin'. Ben 270 chilometri da percorrere in tappe da 15-20 chilometri al giorno tra città e paesi dell'Emilia e del Veneto. Gianluca ha aperto pure un blog, (http://blog.libero.it/Giastar/), il suo diario di viaggio in cui con testi e filmati descrive la sua esperienza "on the road" fatta, come dice lui, di pranzi e cene "a scrocco". L'idea è piaciuta a tanti navigatori, al punto che in pochi giorni il blog ha fatto ben 7.000 visitatori. Non da meno l'attenzione che gli stanno riservando le radio che lo cercano per intervistarlo (Radio Dj, Planet Fm, Radio Mia sono solo alcune) e l'altro ieri è approdato su Mtv, intervenendo nella nota trasmissione TRL ( Total Request Live). E domani? Rovigo lo attende, mentre la Heineken lo ha contattato. Che la sua avventura si stia trasformando in qualcosa di più?

Claudia Nuzzarello

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Storie dal gran consiglio dell’ulivismo

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il premier prova a tenere duro: il Pd è mio e lo comando io. Serve lo speaker? “Lo nomino io”

Nella riunione serale del comitato promotore del Pd, Romano Prodi esordisce con un aut aut se possibile ancora più duro di quello dato con l’intervista a Repubblica di ieri: semmai, il coordinatore lo nomino io. La posizione di Prodi era nota da tempo: il Pd nasce per dare stabilità al governo. Il suo leader, pertanto, non può non coincidere con il capo dell’esecutivo. Un concetto ripetuto con forza nell’intervista, durissima con gli alleati (“La mia cura è quella giusta, basta liti o me ne vado”). Un concetto che è però anche l’esatto opposto della posizione assunta da Francesco Rutelli e da gran parte della Margherita, a cominciare dai popolari guidati da Dario Franceschini. L’intervista del premier non era fatta “per rasserenare il clima” nella maggioranza, come ha spiegato ieri lo stesso Prodi, ma “per chiarire” la sua posizione, nel giorno della prima solenne riunione del comitato del Partito democratico.
“Mi sembra che l’aut aut di Prodi sia rivolto innanzitutto a Fassino e Rutelli”, commenta il segretario dello Sdi, Enrico Boselli, dando voce a una convinzione diffusa. E cioè che il premier non riesca a imporsi proprio perché indebolito dalla guerra di successione in corso sulla leadership del Pd. “Un premier che nel giro di cinque mesi ripete due volte la frase ‘o si fa come dico io o me ne vado’ si rende ridicolo”, dichiara Nicola Rossi, parlamentare dell’Ulivo e animatore del gruppo dei Volenterosi. “Se il problema è che non possiamo eleggere un leader perché c’è già il premier – aggiungono molti suoi colleghi – questo problema lo ha già risolto Antonio Di Pietro”. Sottinteso: provocando la prossima caduta del premier e dell’intero governo.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ds pronti a “ritirare le deleghe a Di Pietro”
Mentre infuriavano le discussioni su assetti del Pd e della coalizione, infatti, l’Italia dei valori ha annunciato una mozione per chiedere a Vincenzo Visco di rimettere “spontaneamente” le deleghe sulla Guardia di finanza, dopo le accuse del generale Roberto Speciale e nonostante la ferma difesa del viceministro da parte di Prodi. Una posizione che ha suscitato l’indignazione dei Ds e che ha messo il governo in una posizione difficilissima, visti i numeri in Senato. Piuttosto che “scaricare” Visco, infatti, i Ds si dicono pronti a votare una mozione per “ritirare le deleghe a Di Pietro”.
La decisione dell’Italia dei valori è però solo l’ultimo passo di quella che per i partiti della maggioranza si annuncia come una discesa all’inferno, lastricata di cattive intenzioni e di accuse reciproche: il 6 giugno la mozione di sfiducia su Visco della Cdl; il 9 giugno la visita di Bush, accolta dalle manifestazioni di protesta degli antagonisti e della sinistra radicale; il 12 l’arrivo alla Camera delle intercettazioni del caso Antonveneta. Nel frattempo, oggi, le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia. “E se Mario Draghi attaccherà sulla mancata riduzione delle tasse – ragionano nella Margherita – a nessuno sfuggirà la dissonanza con l’intervista di ieri”, in cui Prodi ha ribadito che prima di abbassare le tasse occorre sconfiggere l’evasione.
In questo quadro e in questo clima, dunque, tra le otto e mezza e le nove di ieri sera si riunisce il “comitato 14 ottobre” chiamato a organizzare il percorso verso l’Assemblea costituente del Partito democratico.
IL FOGLIO

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Storie dal gran consiglio dell’ulivismo

>>Da: andreavisconti
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Sulla scrivania del presidente c’è un appunto: “Dario a Santi Apostoli, Walter a Palazzo Chigi”

Sulla scrivania di Franco Marini c’è un appunto: “Dario a Santi Apostoli, Walter a Palazzo Chigi”. E’ uno schema che avrebbe potuto o potrà prendere forma, almeno in parte, eccedendo la volontà di Massimo D’Alema e con l’incognita prodiana sullo sfondo. Lo schema prevede che Dario Franceschini, capogruppo ulivista alla Camera e leader dei Popolari della Margherita, diventi il capo del Partito democratico a luglio, molto prima della Costituente fissata al 14 ottobre. Coordinatore o presidente o segretario, la formula si troverà. L’essenziale è che il dirigente ferrarese, sempre gradito a D’Alema e ai suoi, venga eletto da un’assemblea semicostituente (magari dagli eletti più un poco di società civile) in nome di quella accelerazione non più rinviabile di cui hanno finalmente parlato anche i diessini. E’ stato Antonello Soro, coordinatore dl ed espressione dell’amicizia politica tra Marini e Franceschini, a lanciare ieri l’attacco contro le pretese prodiane d’incarnare a un tempo leadership e premiership del nascituro partito: “Pensiamo che la scelta di un leader renda la funzione di Prodi più efficace perché lo alleggerisce dal peso di leader di partito che crea fibrillazioni nell’Unione”. Perfino il ministro Giuseppe Fioroni ha giudicato impensabile l’aut aut prodiano.
Capire se e quanto potrà cedere Prodi, a questo punto, è un esercizio mortificato dalla sua dissimulazione pomeridiana: “Nulla in contrario ad accelerare, ma la data del 14 ottobre serve per avere più liste, è un obiettivo che rimane”. Prodi non cede, cerca un compromesso. A ridosso, dopo un colloquio con il prodiano Santagata e prima di una seconda chiacchierata con Rutelli, è arrivato Piero Fassino a certificare la parvenza di un accordo: il leader politico coincide col capo del governo, tutt’al più si fa un coordinatore o segretario generale. E Franceschini? Se una seconda fila dovrà essere, i Ds oppongono i nomi di Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro (più credibile per un ruolo minore). Si conosce la controargomentazione di Marini e dei Ds (non tutti) all’aut aut prodiano: “Se ne ha voglia, il presidente del Consiglio provi a spiegare al capo dello stato che ha deciso di farsi da parte perché non gli consentiamo di nominare uno speaker, un suo usciere di fiducia alla guida del Pd. Provi, Romano, a giustificare la ragione per la quale non accetta un capo che non parli soltanto, ma pensi pure e lo faccia attraverso una regolare investitura dal basso”. O quasi, perché di primarie si preferisce non parlare. Per il poco tempo a disposizione da qui alla metà di luglio e perché, in presenza di elezioni primarie, la pratica dovrebbe essere rinviata a ottobre e allora il progetto rischierebbe di saltare per la sopraggiunta candidatura di Rutelli e Fassino. Se non anche di Prodi. D’Alema – si ragiona nella Margherita – potrebbe pure accettare Franceschini ma i Ds non reggono al sospetto che dietro di lui si nasconda l’ambizione rutelliana. Se così fosse, il nome di Fassino verrebbe inevitabilmente disseppellito. Sicché tutti i giochi sembrano scorrere lungo la linea d’una fretta non più invisibile. I popolari e i teodem subalterni a Marini, volenti o no, sanno che sul nome di Franceschini s’infrangerebbero le velleità rutelliane. Come potrebbe il vicepremier ostacolare un uomo forte del proprio partito, ora, e con l’inconveniente di dover lasciare il governo?
IL FOG

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La battaglia antioligarchica nel Pd ci riguarda tutti

>>Da: andreavisconti
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Alla questione della leadership è appesa la possibilità di lavorare per un paese più serio e per una politica forte


Prodi ieri ha ecceduto, per usare un blando eufemismo. A Massimo Giannini di Repubblica ha detto con tono arrogante e nervoso, dopo una sconfitta elettorale del suo governo e mentre i sondaggi danno chiunque dieci volte più popolare di lui nel popolo del centrosinistra, che non solo governa lui, ma comanda lui anche nel Partito democratico e non vuole noie fino al 2011. C’è stata una reazione, ci sono stati vari tentativi di mediazione politica, e in tarda serata è cominciato il confronto il cui esito ancora non conosciamo nei dettagli, al momento di andare in stampa. In linea generale uno potrebbe dire “chissenefrega” di come si sistema la leadership del Partito democratico. Ma è un modo stupido di ragionare. C’è infatti una sola possibilità di migliorare almeno un poco la sinistra e la destra in Italia, sottraendo il paese a una lunga fase di nevrosi degenerativa e di sotterranee rese dei conti trasversali dalla quale usciremmo tutti peggiori di prima, con economia e istituzioni e cultura politica in pezzi, sempre che poteri supplenti non si incarichino di devastare di nuovo tutto con i soliti mezzi brutali e menzogneri che si conoscono da quindici anni. Bisogna cioè che il Partito democratico si prenda sul serio e sia preso sul serio, e corrisponda alla propria ambizione: creare una nuova area riformista di centrosinistra, che rompe con la logica dell’unionismo litigioso e del prodismo governativo pragmatico ma bolso, e apre un nuovo orizzonte possibile di confronto e di competizione bipolare con il partito di maggioranza relativa del paese, quello di Berlusconi, e con i suoi alleati. Prodi ha deciso chiaramente di lavorare per un incanaglimento generico della lotta politica, puntando sulla nomina di un coordinatore del Pd che badi alla disciplina delle truppe senza ambizioni di guida del paese e di strategia politica per il futuro, perché il suo obiettivo è durare, inasprire lo scontro con Berlusconi, personalizzarlo ulteriormente, e vivere di rendita sul peggio del passato puntando poi, la fortuna aiutando, al ruolo emerito di presidente della Repubblica. Ambizioni scandalosamente modeste e immodeste insieme. Chi rifiuta questo schema di gioco francamente indecente, una replica in peggio della legislatura 1996-2001, e ne vede il limite autocorrosivo, deve puntare invece, da destra e da sinistra, su un leader vero dei democratici, eletto con tutti i crismi e una robusta legittimazione, che sia in grado di impostare una dura competizione di idee e di visione con la leadership carismatica ed elettorale del Cav., utile a schiarire l’aria per tutti, per consenso o per contrasto, e a trattare i cittadini italiani da adulti.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Prodi non controlla più nemmeno i minimalia di un potere serio. C’è il risultato elettorale, ci sono i sondaggi spietati, c’è il caso Visco, sono in arrivo le intercettazioni Unipol, è in arrivo con Bush un nuovo rischio giottino con personale di governo mischiato ai black bloc, c’è l’irrequietezza dei poteri neutri e forti, la diffidenza verso il compromesso al ribasso nella politica economica di un Mario Draghi, una sfiducia dilagante che i demagoghi si apprestano a sfruttare con la loro facile ambiguità e abilità. E c’è l’incredibile pavidità dei leader del centrosinistra, eccettuati quelli che fino a tardi ieri resistevano alle incredibili pretese prodiane di anestetizzazione del paese, e della loro constituency intellettuale e sociale, che salvo deroghe personali non trova ancora una voce collettiva per imporre una svolta. Tutti sanno che la consunzione accelerata del governo dipende non solo dal pareggio elettorale ma dalla scarsa presa politica del suo premier, dalla sua spesso ottusa ingenuità come guida del paese, e tutti sanno che un confronto duro ma leale tra diverse visioni e persone per la guida di una nuova formazione riformista, che è il cardine di questa governabilità, produrrebbe comunque, con Prodi o con un governo Marini di transizione e di riforma o con qualunque altro mezzo, un nuovo clima capace di arrestare gli elementi di logoramento della politica e della sua credibilità nel profondo nord e nel resto della Repubblica. Tutti lo sanno, come lo sappiamo noi, ma nessuno ha fino ad ora il coraggio di dirlo ad alta voce, con parole irrecusabili, e di correre il rischio di definire un’altra rotta.
IL FOGLIO

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Riappare in video reporter Bbc rapito a Gaza

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
GAZA CITY (Striscia di Gaza) - Dopo un lungo silenzio è stato diffuso un video di Alan Johnston, il reporter della Bbc rapito a Gaza lo scorso 12 marzo. Il video è stato diffuso dal gruppo «Esercito dell'Islam».

RASSICURAZIONI - «Prima di tutto, i miei sequestratori mi trattano molto bene», assicura il giornalista scozzese nel filmato, realizzato da un gruppo estremistico auto-proclamatosi Esercito dell'Islam, lo stesso che ne aveva rivendicato la cattura.

LE RICHIESTE - Per il rilascio dell'ostaggio, nella registrazione i rapitori rinnovano alle autorità di Londra la richiesta di scarcerare i musulmani detenuti nel Regno Unito, e in particolare il religioso fondamentalista Abu Qatada.


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Nuovo documento sull'esistenza del mostro di Loch Ness

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Dopo un lungo silenzio mediatico. L'autore: «Pensavo fosse una grossa anguilla»

EDIMBURGO - Dopo una lunga estinzione mediatica, Nessie è tornato a galla: un nuovo video filmato sabato fornisce le migliori immagini mai riprese del mostro di Loch Ness, emerso per una salutare nuotatina e di nuovo approdato agli onori della cronaca. «Non credevo ai mei occhi quando ho visto questo animale di colore nero, lungo circa 15 metri, che si muoveva piuttosto rapidamente», racconta l’autore del video, il 55enne Gordon Holmes, secondo il quale la bestia procedeva a circa sei nodi: «All'inizio pensavo potesse essere una grossa anguilla, hanno caratteristiche morfologiche simili ai serpenti e potrebbero spiegare molti degli avvistamenti fatti negli ultimi anni». In attesa del verdetto degli esperti che hanno preso in esame il filmato, le teorie alternative non mancano: l’ultima riteneva Nessie il frutto dell’idea pubblicitaria del padrone di un circo, che aveva visto uno degli elefanti fare il bagno nel lago.

PROBOSCIDE? - Avanzata da Neil Clark, paleontologo dell’Unterial Museum dell’Università di Glasgow, la teoria si basa non solo su una reinterpretazione della famosa foto che ritrae Nessie mentre incrocia maestosa le placide acque del lago (o la proboscide dell’elefante che emerge dalle medesime acque, secondo le opinioni) ma anche sul fatto che subito dopo il primo avvistamento moderno (risalente al 1933) un impresario avesse offerto la principesca somma di 20 mila sterline dell’epoca a chi avesse catturato il mostro. Una somma tale da ammettere come unica spiegazione il fatto che l’uomo sapesse benissimo di avere il mostro già nel suo circo, che avrebbe beneficiato della pubblicità generata dalla caccia a Nessie. Come accertato da Clark, dopo l’apertura negli anni Trenta della strada A82, che passa non lontano dalla sponda occidentale del lago, numerosi circhi itineranti si erano spinti nella zona di Inverness e il lago Loch Ness veniva utilizzato come un luogo di sosta per far riposare gli animali.
SAN COLOMBANO - L’unica falla della teoria è che non spiega gli avvistamenti anteriori al XX secolo: il primo avvistamento documentato risale al 690 d. C. e ne è protagonista il monaco irlandese San Colombano: il quale, poco propenso a soddisfare una naturale curiosità scientifica vista la mole e l’appetito dell’animale, scacciò la povera bestia a forza di preghiere. Stando alla «Vita Sancti Columbae», il Santo si era recato nella regione dei Picti, sul fiume Nes, quando vide un gruppo barbari impegnati nella poco piacevole attività di seppellire un compagno. Il motivo della triste cerimonia gli fu presto spiegato: il poveretto stava pacificamente nuotando nel lago quando «fu catturato da una selvaggia bestia marina». A queste parole San Colombano ordinò a uno di loro di raggiungere a nuoto l’altra riva e portargli la barca che vi si trovava ancorata. Ma la vicenda finì male: il mostro lo vide e gli si precipitò incontro «con le fauci spalancate».


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Compagni altro che canne per tutti...

>>Da: -cerberus
Messaggio 11 della discussione


Non si finisce mai di ridere con questi personaggi.

Turco: vietiamo sigarette a minori di 18 anni
ROMA - Una proposta che farà discutere. Quella di vietare la vendita delle sigarette ai minori di 18 anni. «Una misura opportuna e giusta, che ritengo sia nostro dovere adottare quanto prima». È quanto sottolinea il ministro della Salute, Livia Turco, a proposito del recepimento da parte dell'Italia della Convenzione dell'Oms sul controllo del tabacco che prevede per l'appunto il divieto di vendere sigarette ai minori di 18 anni.


>>Da: firefox65
Messaggio 2 della discussione
Da ricovero urgente.

>>Da: aquilanera
Messaggio 3 della discussione
Sempre più confusa la ministra...ma lei ci metterà del tabacco in quello che si fuma??


>>Da: Adolfo
Messaggio 4 della discussione
E dopo chi glielo da il tabacco da mettere nelle canne?

>>Da: Lory
Messaggio 5 della discussione
Ma la droga è limitata per la quantità individuale, mentre invece la sigaretta è proprio vietata ?

>>Da: baffo
Messaggio 6 della discussione
1) è una legge illiberale;

2) in ogni caso non la faranno.... la Turco è abituata a parlare solo per dare aria...visto il rapporto cose.fatte/cose.dette...

Sono tipici personaggi della sinistra, scoppia un caso nazionale e giù a cercare consensi (senza riuscirci ovviamente) senza fregarsene che il mese prima magari ha detto il contrario.
Un pò come vedere Bassolino festeggiare il suo compleanno al palapartenope in gran pubblico, con la Campania che affoga nella cacca.
Questa è la sinistra.

>>Da: Elios8943
Messaggio 7 della discussione
Ma come, prima comunica che funare le canne è una cosa positiva, poi scappa il morto è dice che manda i cani nelle scuole, ma come prima incentiva l'uso delle canne poi manda i cani. E oggi dice che adirittura vuole vietare l'uso delle sigarette per i minori????
Crrdo la Turco fumi troppa coca....è proprio crackata di testa.

>>Da: ilgrifo
Messaggio 8 della discussione
Perfettamente inutile, già non controlla nessuno i 16enni, figuriamoci i 18enni.


>>Da: barbarella
Messaggio 9 della discussione
Questo governo sta raggiungendo il ridicolo.
Tutto viene solo annunciato ....battage pubblicitario e basta, perchè qualsiasi decisione non verrà mai presa sul serio per via del veto delle ali estreme della "compagine", per cui la Turco può permettersi dapprima disostenere gli spinelli, aumentando la dose
consentita.
Poi dopo l'increscioso fatto di cronaca, vorrebbe
togliere di mezzo perfino le sigarette.
Ambedue le cose per il benessere dei giovani...
ANDATE A CASA.

>>Da: Il Moro
Messaggio 10 della discussione
Mi pare una proposta alquanto campata per aria.
Inattuabile ed inutile.


>>Da: santana
Messaggio 11 della discussione
La proposta è semplicemente assurda.
Poi non era la Turco ad aver aumentato la quantità di cannabis ad uso personale!
E poi diciamocela tutta, se la sigaretta fa veramente male, la canna fa bene?
Veramente ridicolo come le scritte che mettono sui pacchetti.
Se il fumo uccide, tu stato perchè lo vendi?


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Evvai!!!!!!!!!!!!!

>>Da: Graffio
Messaggio 6 della discussione
Finalmente un successo per D'Alema!!!!!
Fa il 18° a Valencia su Luna Rossa.
Li' buono in un angolo zitto e muto senza rompere il c*** a chi lavora sul serio.
Finite le regate, mandiamo Prodi a fare il 18° vita natural durante, su luna rossa ormeggiata in porto.

>>Da: ilgattomammone
Messaggio 2 della discussione
Veramente seguirà le regate da un canotto.
Speriamo non si buchi......

>>Da: ilgiovaneardito
Messaggio 3 della discussione
Mai mettere freni alla provvidenza.
A proposito, ci sono squali e orche asassine da quelle parti?

>>Da: santana
Messaggio 4 della discussione
No ma possiamo mettere in acqua le esche.... Sircana in primis....

>>Da: er Drago
Messaggio 5 della discussione
E porta pure jella.

>>Da: boleropersempre
Messaggio 6 della discussione
Vero, drago. Luna Rossa ha perso la prima regata con New Zeland.

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Allarme Brambilla a IL GIORNALE

>>Da: grillo_pensante
Messaggio 2 della discussione
Meno male che qualcuno serio ogni tanto solleva la testa dal fiero pasto.

Ma chi l'ha eletta la Brambilla? Solo Berlusconi? E in cambio di che?


>>Da: grillo_pensante
Messaggio 2 della discussione
TU quoque Silvus...

AL GIORNALE IL CDR HA DECISO DI INCROCIARE I POLPASTRELLI PUR DI BOICOTTARE LA PRIMA USCITA DELL'ORGANO DEI CIRCOLI
OCCHIO RAGAZZI, DI QUESTI TEMPI BOICOTTARE LA BRAMBILLA È PEGGIO CHE USCIRE A CENA CON TRAVAGLIO E SANTORO
(01/06/2007) - Una brutta notizia s'aggiunge alle molte che inquietano l'Italia. Il primo settimanale politico fatto in salsa glamour Il Giornale della Libertà, è bloccato da uno sciopero dei giornalisti: la crisi di idee non ha sgonfiato anche quelle redazioni in prima linea nel raccontare i fatti. Al Giornale di Maurizio Belpietro il Cdr ha deciso di incrociare i polpastrelli pur di boicottare la prima uscita dell'organo dei Circoli guidati da Michela Vittoria Brambilla. E non dite che è una mossa suggerita da Fini e Casini contro l'intraprendente imprenditrice indicata da Berlusconi quale possibile suo successore. La prima reazione è istintiva: non possiamo crederci che nella fossa dei leoni del Berlusca si faccia il tifo per il nemico. Perché di questi tempi boicottare la Brambilla è peggio che uscire a cena con Travaglio e Santoro. Il Cdr del quotidiano che fu di Montanelli si è assunto una bella responsabilità e ha aggredito le nostre ultime certezze. E' come se qualcuno decidesse di togliere le veline nei salotti televisivi, le gnocche nei reality e il pallone stile Moggi alla domenica. E' un pugno all'ortodossia berlusconiana, è innegabilmente il primo arretramento della truppa di fronte all'emozioni estreme e incandescenti che hanno accompagnato la sfilata sui trampoli da vamp della rossa lariana. Ma al tempo stesso questo sciopero rappresenta un sollievo per chi nella vita è brutto e povero e dunque vince raramente. Al Giornale di via Negri gli uomini non guardano le curve della Brambilla ma la sua testa. E allora come sorprendersi se di fronte all'evidenza e alla pochezza del contenuto hanno preferito incrociare le dita. Piaccia o non piaccia al Cavaliere che probabilmente nella bella Michela Vittoria vede ben altro.

IMGPress

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Bce

>>Da: santana
Messaggio 4 della discussione
In Ultimi Due Mesi Vendute 37 Tonnellate Oro

(ANSA) - ROMA, 1 GIU - Nel corso degli ultimi due mesi la Banca Centrale Europea ha venduto 37 tonnellate di oro. Lo rende noto la Bce, precisando che la cessione è "pienamente conforme all'accordo sull'oro fra le banche centrali siglato il 27 settembre 2004, e di cui la Bce è una delle firmatarie".
L'accordo del settembre 2004 sulle vendite di oro è stato sottoscritto dalle banche centrali dell'Eurosistema e dagli istituti del Regno Unito, della Svezia e della Svizzera. In base a questa intesa è previsto che le banche centrali limitino le vendite complessive di oro entro i 500 milioni di tonnellate all'anno fino al 2009.
Insieme alle vendite di 23 tonnellate d'oro completate lo scorso 30 novembre 2006. "la Bce ha quindi venduto 60 tonnellate d'oro nel terzo anno dell'accordo, che è iniziato il 27 settembre 2006 e finirà il 26 settembre prossimo", si legge nella nota, in cui si sottolinea che "non è intenzione della Bce di vendere altro oro nel corrente anno dell'accordo".(ANSA).

Ma cosa ci hanno comprato broccoletti di Bruxelles?? ????

>>Da: er Drago
Messaggio 2 della discussione
Piu' che altro sarebbe interessante sapere a chi le hanno vendute e a quanto.
Comunque se la notizia e' uscita possiamo esser sicuri che i giochi sono praticamente fatti.


>>Da: boleropersempre
Messaggio 3 della discussione
Direi che l'euro ha finito di correre, se questi hanno comprato dollaroni.
Ma qualcosa mi dice che hanno comprato franchi svizzeri.

>>Da: socialdemocratico
Messaggio 4 della discussione
Contro cosa ? Beh, ricordate in che valuta è quotato l'oro ? Vi siete dati la risposta. Franky®

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Anche il fato è contro i sinistri

>>Da: santana
Messaggio 3 della discussione
MADRID, 1 giugno (Reuters) - Dopo un pareggio perfetto alle elezioni, i due candidati sindaci di un villaggio spagnolo si sono giocati la vittoria con il lancio di una monetina.
"E' testa, sono io il nuovo sindaco", ha esclamato Salvador Rodriguez, candidato per i conservatori del Partito popolare spagnolo, subito dopo il lancio.
Rodriguez, che prima del lancio si era detto pessimista sulle sue possibilità di vittoria, ha aggiunto: "Non sono stato molto fortunato ultimamente".

Il neo sindaco aveva ottenuto esattamente lo stesso numero di voti - 66 - del suo rivale socialista nelle elezioni comunali tenutesi domenica nel villaggio di montagna di Carataunas, nel sud della Spagna.
Il lancio della moneta è un opzione prevista dalla legge spagnola in questi casi, ma raramente viene effettivamente applicata.

>>Da: er Drago
Messaggio 2 della discussione
Poveretti. Non gliene va una buona, manco con la monetina.

>>Da: boleropersempre
Messaggio 3 della discussione
Che destino infame!!

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Cacciano il generale per salvare Visco. I leader della Cdl: è un golpe

>>Da: andreavisconti
Messaggio 15 della discussione
L'alto ufficiale rifiuta di dimettersi e viene rimosso. Il viceministro rimette le deleghe sulla Guardia di Finanza affidate per il momento a Padoa-Schioppa. Speciale dice: "Sono un soldato, ho detto i no che dovevo dire". La Casa della Libertà insorge e denuncia: "C’è un’emergenza democratica" . Prodi sorride e alza le spalle:"Perché è successo qualcosa?"

Roma - Il governo Prodi prova ad essere salomonico. Vincenzo Visco perde la sua delega alla Guardia di finanza e Roberto Speciale il comando generale delle Fiamme gialle.
Due provvedimenti «contestuali», presi da un Consiglio dei ministri straordinario, che vogliono disinnescare il rischio di crisi dell’esecutivo, sempre più concreto con il dibattito in Senato sul caso Gdf-Unipol fissato per mercoledì, l’Italia dei valori che insisteva sul suo pericoloso ordine del giorno e la Cdl sul piede di battaglia con le sue mozioni.
Due provvedimenti «equilibrati e di buon senso per risolvere una situazione diventata insostenibile», riferisce il sottosegretario alla Presidenza Enrico Letta. Ma che servono anche a non scegliere tra le due versioni inconciliabili di Visco e Speciale sulla vicenda delle pressioni del viceministro, denunciate dal generale, per i trasferimenti degli ufficiali lombardi che lavoravano su Bnl-Unipol.
Dopo il vertice di maggioranza di prima mattina, in cui Antonio Di Pietro insiste sulla revoca della delega al numero due dell’Economia, Romano Prodi convoca la riunione di governo per il pomeriggio. Si è alla vigilia della parata militare del 2 giugno e i due protagonisti della storia, Visco e Speciale, avrebbero dovuto essere fianco a fianco sullo stesso palco ai Fori Imperiali. E invece no. Ci sarà il viceministro per l’Economia, che con una lettera a Tommaso Padoa-Schioppa e al premier ha «spontaneamente» rimesso la sua delega sulla Guardia di finanza nelle mani del ministro. Ma non ci sarà Speciale, sostituito in un battibaleno dall’attuale sottocapo di Stato maggiore della Difesa Cosimo D’Arrigo e destinato a entrare presto come consigliere nella Corte dei conti.
Quel termine pronunciato da Letta di fronte ai giornalisti, «spontaneamente», fa sorridere molti nella sala stampa di Palazzo Chigi. Si sa, infatti, che fino a poche ore prima il viceministro insisteva nel non voler fare assolutamente il passo indietro, aggrappandosi al suo dossier difensivo. E il termine non calza certo al generale Speciale che, secondo le indiscrezioni, fino all’ultimo ha rifiutato le dimissioni.
Ma il Consiglio dei ministri, taglia corto Letta, ha preso una decisione che «può dare serenità e operatività rapida rispetto al blocco di questi giorni» e che garantirà anche «maggior vigore al contrasto dell’evasione fiscale».
Che il primo obiettivo sia salvare il governo e ricompattare una maggioranza disgregata il sottosegretario lo conferma dicendo che Prodi ha ringraziato Visco «per questo gesto che sicuramente rasserena il clima in vista del dibattito parlamentare della prossima settimana al Senato». Ma sarà temporanea la revoca della delega al viceministro? Qui Letta non si sbilancia. Dice che la decisione è legata a «come si svilupperanno gli avve

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Unipol, sequestrati 55 milioni. Indagato un "socio" di Consorte

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Al centro dell’inchiesta l’acquisto di 133 immobili comprati e rivenduti realizzando enormi plusvalenze La galassia di interessi che ruota attorno a Unipol vive l’ennesimo strascico giudiziario. Ieri, il Nucleo valutario della Guardia di finanza ha sequestrato 55 milioni di euro in titoli, quote societarie e partecipazioni immobiliari a Vittorio Casale, ultima tappa dell’inchiesta che nel gennaio scorso portò al sequestro di una plusvalenza di 9,5 milioni di euro riconducibili all’ex numero uno di via Stalingrado, Giovanni Consorte, e al suo vice Ivano Sacchetti, frutto di una sospetta operazione di compravendita immobiliare. I tre sono indagati per appropriazione indebita e false attestazioni sociali.
Al centro dell’indagine della Procura di Roma, dunque, torna la dismissione di 133 immobili di proprietà di Unipol che - tra il 2004 e il 2005 - passarono alla «Glenbrooker Operae» di Casale - storicamente legato a Consorte - per circa 250 milioni di euro. Quegli stessi immobili, in un secondo momento, vennero venduti da «Glenbrooker» a «Pirelli real estate» (società estranea alla vicenda giudiziaria), fruttando la plusvalenza di 55 milioni, oggetto dell’operazione portata a termine ieri dalle Fiamme gialle. Nello specifico, i finanzieri hanno sequestrato 15 milioni in contanti e 40 in immobili, azioni e titoli.
Secondo gli inquirenti, dei 133 immobili che facevano originariamente parte del piano di dismissione, ne vennero ceduti soltanto 130. I tre immobili restanti, il cui valore era fissato intorno ai 55,5 milioni, restarono fuori dall’operazione, consentendo in un secondo momento la realizzazione della plusvalenza di 9,5 milioni sequestrata in gennaio (sequestro confermato il 19 aprile scorso dal Tribunale del riesame di Roma). Denaro che, per i pubblici ministeri Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli, il duo Consorte-Sacchetti avrebbe ricevuto da Casale quale corrispettivo della cessione a prezzo di favore del patrimonio immobiliare di Unipol, mentre la plusvalenza che via Stalingrado avrebbe potuto realizzare da quella stessa cessione sarebbe stata di gran lungo superiore alla somma ottenuta.


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Napolitano: tagliare le spese per riconquistare i cittadini

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Sì, certo, servono ancora tagli, perché «la macchina istituzionale e burocratica resta pesante e costosa e bisogna alleggerirla»: il Quirinale, cancellando il concerto per il 2 giugno e sforbiciando gli inviti alla festa, ha già dato il buon esempio. Servono pure riforme, perché la politica è in crisi e può «riacquistare credibilità e prestigio tra i cittadini solo affrontando i cambiamenti necessari». Ma soprattutto, dice Giorgio Napolitano, servono intese «di ampio respiro»: maggioranza e opposizione, «senza confondere i ruoli», devono trovare un accordo per progetti di interesse generale, visto che «in gioco c’è il nostro comune futuro». Quello che invece proprio non serve è l’antipolitica: «Nulla - avverte - può sostituire le scelte che deve fare il Parlamento».
La mano appoggiata sulla ringhiera, i giardini sullo sfondo, nuvole minacciose sulla testa, il vento che gli muove la giacca. All’ora di pranzo il presidente esce dal suo studio nella Palazzina del Fuga e si ferma in terrazzo per tracciare un breve bilancio a un anno dall’elezione e per dare «uno sguardo sereno al futuro». Niente voti, premette, a Palazzo Chigi: «Non spetta a me dare giudizi sull’azione di governo, non interferisco nel dibattito tra gli opposti schieramenti politici». E se le cifre del bilancio vanno un po’ meglio, allora occorre ringraziare quanti «imprenditori, lavoratori, contribuenti sensibili al dovere civico, hanno reso possibile la ripresa dell’economia che è tornata a crescere e il miglioramento dei conti pubblici». Ma non basta. Tesoretto o non tesoretto, i passi avanti «debbono andare al di là dei risultati raggiunti». Napolitano chiede «sforzi e innovazione», con un occhio alla possibilità di creare nuovi posti di lavoro.
Ognuno faccia la sua parte. «Bisogna rendere più razionale ed efficace la macchina, diminuirne i costi. Si impone perciò sobrietà e rigore nei bilanci». E anche, aggiunge, «nei comportamenti». I cambiamenti «sono necessari per riavere credibilità», però «non si può continuare a parlarne senza giungere a conclusioni». E attenti alle parole. «Bisogna avere il senso del limite e della responsabilità nel denunciare quel che non va. Se si fa di tutta l’erba un fascio si semina ulteriore sfiducia, non si aiuta la definizione di obiettivi precisi di rinnovamento». Ciascuno resti al suo posto: ce l’ha con Montezemolo? Con qualche volenteroso?
Quello che è certo è che non ci sono scorciatoie. «Si deve sapere - scandisce Napolitano - che per rinnovare la politica e le sue regole, i meccanismi elettorali e le istituzioni non c’è altra strada che il confronto e l’accordo fra le forze presenti in Parlamento e in altre assemblee elettive». Piazze, tavoli, referendum, società civili e parterres de roi possono pure attendere. «Importanti sono le sollecitazioni dell’opinione pubblica, delle forze sociali e culturali e della maggiore partecipazione dei cittadini - conclude il capo dello Stato -, ma nulla può sostituire la scelta di soluzioni largamente condivise in Parlamento, specie per riforme di ampio respiro che ormai si impongono nell’interesse generale». Maggioranza e opposizione, «senza attenuare la gara per il governo del Paese», si diano da fare. Massimiliano Scafi

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Pensioni, Prodi accelera ma non sa dove andare

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Manca meno di un mese alla presentazione del Dpef, che secondo l’impegno preso dal ministro Padoa-Schioppa dovrebbe essere pronto per il 28 giugno. Così, la maggioranza - riunita in vertice a Palazzo Chigi con Romano Prodi - decide di «accelerare su alcuni progetti di riforma, relativi alle pensioni, alle leggi sul lavoro e sulla competitività, valorizzando il principio della collegialità». Questa è la nota, tanto breve quanto generica, che conclude la riunione convocata dal premier «in vista dei provvedimenti da prendere sulla distribuzione del surplus fiscale (il vituperato tesoretto), le riforme istituzionali e dello stato sociale».
Accelerare, dunque, è la parola d’ordine. Ma - soprattutto per quanto riguarda le pensioni - verso quale esito, quale soluzione? Non certo quella indicata dal governatore di Bankitalia Mario Draghi, favorevole ad attuare compiutamente le riforme Dini e Maroni. Il governo, di fatto, non ha ancora una proposta unitaria da presentare ai sindacati. La sostituzione dello «scalone» Maroni con una serie di «scalini», confermata dal ministro del Lavoro Cesare Damiano nell’intervista di ieri al Giornale, non trova consensi unanimi: sia la sinistra radicale che importanti settori del sindacato, in particolare i metalmeccanici, sono contrari e chiedono l’abolizione tout court dello scalone, che dal 1° gennaio prossimo sposta da 57 a 60 anni l’età per il pensionamento d’anzianità con 35 anni di contributi. «Vale il programma - ricorda il capogruppo del Pdci alla Camera, Pino Sgobio -: abolizione dello scalone Maroni, aumento delle pensioni basse. Ogni altra ipotesi, a incominciare dalla revisione dei coefficienti, è fuori dalle cose da realizzare». Di avviso analogo il ministro rifondatore della Solidarietà, Paolo Ferrero. E il richiamo alla collegialità, inserito nel comunicato di Palazzo Chigi, pare proprio imposto dalla sinistra radicale per evitare fughe in avanti.


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"In Cina moriranno anche le Olimpiadi"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Lu Decheng: "Scandaloso che un antico simbolo di pace come i Giochi abbia luogo nel più repressivo Paese del mondo. Ci guadagneranno solo gli aguzzini del mio Paese". È stato condannato a 16 anni per la rivolta di Tienanmen, fuggito in Canada, è diventato paladino della resistenza. E attacca il regime
Lu Decheng aveva 26 anni e si avviò al martirio assieme ai due impronunciabili amici Yu Xhijing e Yu Dungyae. Era il 23 maggio 1989 e il loro fu un gesto preparato, deliberato: presero delle uova, le siringarono di vernice e le scagliarono contro lo storico ritratto di Mao Zedong di Piazza Tienanmen, là dove dieci giorni dopo sarebbero stati massacrati dai 2600 a 3000 studenti nella più clamorosa rivolta per la democrazia mai organizzata prima e soprattutto mai trasmessa in mondovisione. Fecero da miccia: tirarono le uova e poi restarono ad attendere il loro destino, serafici. È per questo che verranno soprannominati The gentlemen.
Lu Decheng fu condannato a 16 anni e i due amici, rispettivamente, a 20 anni e all'ergastolo. Ma dal 1998 al 2006 in un modo o nell'altro sono stati rilasciati tutti. Lu Decheng però è riuscito a scappare, si rifugiò prima in Thailandia e poi a Calgary, in Canada, dove ha creato una fondazione. Ora è di passaggio in Italia.
Lu, come si viveva in Cina nel 1989?
«Studenti, operai e contadini non ce la facevano più: è per questo che accorrevano in massa a Tienanmen, la piazza delle cerimonie ufficiali. Tutti discutevano, attaccavano manifesti, invocavano la democrazia: allora il governo, il 20 maggio, impose la legge marziale, ma il popolo bloccò l’entrata dei carri armati. Anche nel Partito c'erano segretari come Zhao Ziyang che simpatizzavano per noi, e anche una parte dell’esercito strizzava l'occhio alla rivolta. Almeno all’inizio».
E lei che cosa decise di fare?
«Io ero autotrasportatore. Dissi a mia moglie che andavo a Pechino a sostenere gli studenti, e lo stesso fecero decine di migliaia di lavoratori e contadini dalle province. Il resto lo sapete. Con Yu Dungyae e Yue Zhijing, il 23 maggio, gettai uova piene di vernice sul ritratto ufficiale di Mao, poi aspettammo la polizia per essere arrestati. Da qui il soprannome “Gentlemen”, perché i gentiluomini non scappano».
Dunque lei non vide il massacro del 4 giugno, in Piazza.
«Ero già stato arrestato, ma so che carri armati, mitragliatrici ed esercito attaccarono i manifestanti verso le 22 e 30 del 3 giugno: furono principalmente le armate 26ª e 27ª che attaccarono. La 27ª fece il lavoro sporco, e alle 5 e 30 del 4 giugno il massacro era compiuto. Altre repressioni continuarono in altre città».
Che accusa rivolsero a lei e ai suoi amici?
«Distruzione controrivoluzionaria e incitamento alla rivolta».


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Israele si sta preparando ad affrontare un'altra guerra

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Per la prima volta dal 1948 affiora la sindrome da accerchiamento. Il Mossad: Damasco si riarma. Campagna per sensibilizzare i cittadini: come comportarsi in caso di conflitto con Siria, Iran o hezbollah


«Miscalculation», errore di calcolo, da qualche mese la parola inglese è la più pronunciata, la più ripetuta nei comandi israeliani. Una «miscalculation» può far scoppiare la guerra. Il rischio di una «miscalculation » rende impossibile un’offensiva su vasta scala controHamas a Gaza. La paura di una «miscalculation» consiglia una campagna di sensibilizzazione per spiegare all’opinione pubblica come comportarsi in caso di guerra con Siria, Iran ed Hezbollah. Ma dietro le diverse declinazioni di «miscalculation» si nascondono soprattutto le incertezze e le paure lasciate in eredità dai 34 giorni di guerra della scorsa estate.
Quella guerra, tutti lo sanno, non è veramente finita, si è solo interrotta, può riaccendersi da un momento all’altro. Quel che è peggio può riprendere senza che nessuno in Siria, Libano o Israele lo voglia veramente. Basta una scaramuccia di frontiera, bastano alcuni colpi sparati per errore a un reparto siriano, basta un aereo intercettato per sbaglio da un nuovo missile di Damasco. Nell’attuale stato di allerta e progressivo riarmo dei tre confini un’imponderabile quanto trascurabile «miscalculation» rischia, insomma, di far saltare in aria l’instabile polveriera. Gabi Ashkenazi, il nuovo capo di stato maggiore israeliano, è il primo a saperlo, il primo a preoccuparsene. Durante esercitazioni e addestramenti il suo unico cruccio è il fronte del Nord. Lì, ricorda a ogni piè sospinto ai suoi generali, Tsahal deve essere pronto a entrare in azione in ogni momento. Lì soldati e ufficiali devono esser capaci di fronteggiare ogni minaccia, ogni «miscalculation ».
Non a caso uno scenario importante di “Avnei Esh 10”, la più cruciale esercitazione strategica degli ultimi mesi, prevedeva la ripresa delle ostilità a causa di un’imprevista e casuale bagatella di confine. Non a caso da settimane l’intelligence militare e gli analisti di Tsahal consigliano al premier Ehud Olmert di evitare in tutti i modi un’offensiva su vasta scala nella Striscia di Gaza. Quell’offensiva, viste le accresciute capacità militari di Hamas e le vaste quantità di esplosivi, mortai e micidiali armi anticarro transitate dal Sinai fino agli arsenali fondamentalisti, costringerebbe Israele a impiegare una quantità così ampia di numeri e mezzi da lasciare sguarnito il fronte siriano e libanese. Per la prima volta dalla guerra del 1948 Israele torna, insomma, a soffrire una sindrome da inadeguatezza, a temere l’accerchiamento dei nemici.


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Ancora scontri in Libano: 14 morti e 18 feriti

>>Da: andreavisconti
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Almeno 14 persone hanno perso la vita e altre 18 sono rimaste ferite ieri nei nuovi combattimenti attorno al campo profughi palestinesi di Nahr al Bared, alla periferia di Tripoli, nel Libano settentrionale. Ne danno notizia fonti dei servizi di sicurezza di Beirut, secondo cui sono stati uccisi due soldati libanesi. Per quanto riguarda gli altri 12 morti non è ancora chiaro se si tratti di civili o militanti di Fatah al Islam, il gruppo vicino ad Al Qaida, che da tredici giorni sono asserragliati a Nahr al Bared. Anche ieri l’esercito ha chiesto ai guerriglieri di arrendersi. Inutilmente.


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Giallo sui rapiti italiani «Ma oggi li libereremo»

>>Da: andreavisconti
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Il forfait di un elicottero prolunga il sequestro Ma c’è chi non si fida della parola dei ribelli

Giallo sulla sorte dei sei ostaggi, quattro dei quali italiani, che avrebbero dovuto essere liberati mercoledì dai guerriglieri del Delta del Niger. Il ritardo sarebbe dovuto al mancato arrivo di un elicottero richiesto alla Chevron, il colosso petrolifero americano per il quale i rapiti lavorano, che doveva prelevarli nelle paludi. Il portavoce dei ribelli, Jomo Gbomo, ha assicurato via posta elettronica che gli intoppi sono solo di carattere logistico e che gli ostaggi «verranno liberati domani (oggi per chi legge nda)». Il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend) ha rapito i sei lavoratori della Chevron il primo maggio prendendo d’assalto una nave-piattaforma della società petrolifera americana. Subito dopo il sequestro avevano dichiarato con un comunicato che gli ostaggi sarebbero stati rilasciati a fine mese, ma qualcosa è andato storto. Le famiglie dei rapiti italiani Raffaele Pascariello, Alfonso Franza, Luca Ignazio Gugliotta e Mario Celentano vivono ore d’ansia. Martedì imperversava il maltempo nel tratto di mare di fronte al Delta del Niger. Le condizioni atmosferiche possono rallentare la liberazione ed inoltre non è semplice «estrarre» gli ostaggi dalle paludi di mangrovie dove vengono nascosti in profondità per evitare eventuali blitz militari. «Volevamo che un elicottero venisse a prendere gli ostaggi, ma al momento la nostra richiesta è stata respinta. Forse la Chevron temeva che avessimo rapito i piloti» ha spiegato Gbomo via posta elettronica.
I ribelli volevano compiere un atto dimostrativo e mandare un segnale al neo presidente nigeriano, Umaru Yar’Adua, che si è insediato il 29 maggio, liberando i rapiti il giorno dopo. Il maltempo ed i problemi logistici, compresa la richiesta dell’elicottero, però, potrebbero essere solo una scusa. Non si può escludere che il Mend sia diviso sulla sorte degli ostaggi. Gbomo, che si presenta come capo del movimento e non combatte nelle paludi, dev’essere il punto di riferimento della fazione più moderata e «politica» del movimento. Altri, invece, in prima linea nella boscaglia, sono più estremisti o semplicemente vorrebbero incassare qualcosa dal sequestro. In gran parte dei casi di rapimenti di stranieri le compagnie hanno pagato un riscatto, ma il Mend, o meglio Gbomo, voleva compiere il bel gesto per dimostrare la valenza politica del sequestro.
Il problema è che nell’ultima settimana lo stesso Gbomo aveva accusato i sequestratori di quattro tecnici americani di agire su mandato di politici corrotti della regione del Delta. Gli ostaggi Usa sono stati consegnati martedì alle autorità grazie alla mediazione di un magistrato locale.
Ieri un commando di uomini armati di mitra, granate e dinamite ha preso d’assalto la residenza di una ditta indonesiana a Port Harcourt, capoluogo del Delta, prendendo in ostaggio almeno tre dirigenti asiatici. Secondo l’agenzia Misna i rapiti, nel compound della società, che gestisce uno stabilimento petrolchimico, sarebbero addirittura 10, comprese donne e bambini.

Fausto Biloslavo


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Indipendenza del Kosovo: un altro no russo

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La Russia ha confermato ieri che boccerà anche il testo riveduto e corretto della bozza di risoluzione sull’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, presentata giovedì al Consiglio di Sicurezza dell’Onu da Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Slovacchia e Stati Uniti. Autore del piano è l’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari. Il «niet» è stato ribadito all’agenzia di stampa indipendente «Interfax» dal portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Mikhail Kamynin, il quale ha detto: «La nuova versione della bozza di risoluzione non ci soddisfa ancora».


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Mario Sechi: Così si rischia di travolgere le istituzioni

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La storia ci ricorda che quando i poteri sono confusi e perfino i militari finiscono nel tritacarne dello spoil system, i governi diventano dispotici. Il caso Visco è un esempio di «dispotismo» che rischia di travolgere le istituzioni perché i contrappesi della democrazia, il bilanciamento tra i poteri, sembrano essere saltati. Il governo Prodi ne approfitta in maniera spavalda e, a questo punto, il lavoro parlamentare dell’opposizione è fondamentale per ristabilire un corretto rapporto tra i poteri.
La vicenda infatti non può considerarsi chiusa con il putsch di Palazzo Chigi sulla Guardia di Finanza e la temporanea revoca della delega di Visco sulle Fiamme Gialle. Il caso è più che mai aperto, è di estrema gravità perché altera in maniera sostanziale il rapporto tra governo e Parlamento, Autorità politica e Forze Armate. Non si cambia il vertice della Guardia di Finanza di punto in bianco senza consultare l’opposizione, il corpo militare delle Fiamme Gialle in questo frangente non può avere alle spalle l’ombra della longa manus della politica. Di fronte a un governo che fa lotta di classe con il fisco, di fronte allo scenario cupo del caso Unipol, i militari in divisa grigia devono essere tutelati da una politica bipartisan e non con scelte che alimentano il pesante sospetto della ritorsione o, peggio, dell’interesse privato. La Guardia di Finanza, è bene ricordarlo, dipende direttamente dal ministro dell’Economia e ha un ordinamento particolare perché svolge compiti delicatissimi di polizia giudiziaria, polizia tributaria e pubblica sicurezza legati all’ambito economico e finanziario, ha una forza organica di circa 65mila militari, comandi regionali e provinciali, reparti speciali. Non è solo lotta all’evasione fiscale, è anche tutela dei mercati finanziari, polizia valutaria, funzione pubblica e privacy, tutela dalle frodi telematiche, lotta al traffico di stupefacenti, le Fiamme Gialle costituiscono un apparato che ha mezzi sofisticati, alta tecnologia e, grazie alle «lenzuolate» Bersani-Visco, ha accesso ai dati privati di tutti i cittadini, basta spingere un pulsante. È un organismo potentissimo e delicato nello stesso tempo. Una vicenda del genere ne incrina l’immagine di indipendenza, ne mina l’autorevolezza, ne mette a rischio la percezione da parte dei cittadini.


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Maurizio Belpietro: Ministro al di sotto di ogni sospetto

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La vittima è stata rimossa, il colpevole resta. Il governo Prodi caccia il comandante della Guardia di finanza «reo» d’aver denunciato le pressioni di Vincenzo Visco e lascia al suo posto il viceministro che esercitò illecitamente il suo potere. Un colpo di mano che è anche un avvertimento arrogante e mafioso a chiunque dentro le istituzioni osi opporsi al nuovo corso. Impipandosene delle inchieste giudiziarie ancora aperte e ancor più dell’opinione pubblica, la sinistra si tiene l’uomo che prometteva di dare la caccia agli evasori e intanto la dava ai vertici delle Fiamme gialle che indagavano su Unipol. Mostrando un alto disprezzo per la verità, il governo ha deciso di ignorare le testimonianze e le lettere che Il Giornale ha pubblicato a conferma della versione del capo della Gdf e ora acquisite dalla Procura. Quei documenti dimostrano senza ombra di dubbio che il viceministro dell’Economia ha tentato di rimuovere i vertici milanesi della Finanza. Una decisione che cercò di imporre con ostinazione al comandante, senza che vi fosse alcuna esigenza di servizio: semmai inconfessati interessi. Altro che «vergognoso linciaggio mediatico e manovra elettorale di cui non si sentirà più parlare dopo il voto», come ebbe a dire Piero Fassino una settimana fa. Altro che «scientifica campagna di disinformazione», come con impudenza ha scritto ieri lo stesso Visco nella sua lettera a Prodi.
Ormai è chiaro a tutti, persino alla stessa maggioranza, che il generale non mentiva. Se qualcuno avesse avuto ancora dubbi, l’offerta fatta all’alto ufficiale dal ministro Tommaso Padoa-Schioppa di un incarico di prestigio, in cambio delle sue dimissioni, è la prova che Speciale ha detto il vero quando dieci mesi fa denunciò, di fronte ai magistrati, le pressioni del viceministro. Se fosse stato un bugiardo non gli sarebbe stato offerto alcunché. Se fosse stato uno spergiuro, Visco non sarebbe stato costretto, seppur temporaneamente, a rimettere le deleghe sulla Gdf.


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Energia, da luglio bollette più salate

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La completa liberalizzazione delle vendite dell'elettricità, che partirà il primo luglio prossimo consentendo anche alle famiglie di scegliere liberamente il proprio fornitore, «potrebbe produrre un innalzamento dei prezzi».
A lanciare l'allarme è la Relazione Annuale di Bankitalia che punta il dito sul «perdurare di assetti non concorrenziali del mercato» e sulla «mancanza della legge che dovrebbe definire i nuovi strumenti di tutela dei consumatori». Bankitalia rileva infatti che «a dieci anni dal suo avvio, la liberalizzazione del settore energetico è ancora incompleta nel mercato elettrico e molto in ritardo in quello del gas». E pone l'accento sul potere degli ex monopolisti. Nel gas «l'Eni mantiene una posizione dominante in tutte le attività della filiera» e «dato il controllo esercitato sulle importazioni e sulle infrastrutture, non sembrano emergere spazi per il dispiegamento di un effettivo gioco concorrenziale» precisa il documento citando i pareri dell'Authority per l'energia. Nel medio termine potrebbe così «svolgere un ruolo positivo per l'accesso di nuovi concorrenti l'apertura di impianti di rigassificazione». Per quanto riguarda invece il mercato elettrico Bankitalia riconosce una «progressiva riduzione del grado di concentrazione nella produzione» con la quota detenuta dall'ex monopolista Enel scesa dal 71% del '99 al 40% nel 2005, ma - aggiunge - «nonostante tale riduzione, l'Enel manteneva nel 2004 un elevato potere di mercato». «I pezzi si mantengono in Italia su livelli sensibilmente superiori alla media europea». Parlando più in generale sul processo di liberalizzazione nei servizi di pubblica utilità, il Governatore della Banca d’Italia rileva invece come nel settore delle telecomunicazioni l'apertura del mercato è ad uno stadio più avanzatò».

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Famiglie, debiti cresciuti di 50 miliardi

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Le famiglie italiane sono sempre più indebitate. In un'epoca in cui il credito al consumo è entrato ormai nella quotidianità delle case degli italiani, i prestiti ed i mutui a medio-lungo termine sono cresciuti in un anno di oltre 50 miliardi di euro, pari a circa il 12,5%: 378.745 milioni di euro nel 2005 contro i 425.649 milioni del 2006 si legge nella Relazione annuale di Bankitalia. Una fotografia che vede gli italiani alle prese con i debiti, ma anche con un portafoglio di investimenti più ricco. A cominciare dai titoli pubblici, ma a breve termine. Complice probabilmente l'andamento dei tassi, per i titoli a breve termine si registra, nel 2006, un vero e proprio boom: un incremento di oltre il 440% che ha visto salire dai 2,5 miliardi del'anno prima a oltre 14,2 miliardi gli investimenti delle famiglie. E mentre si conferma in calo il ricorso ai fondi comuni (scesi dai 334 miliardi del 2005 ai 306 del'anno scorso) torna anche la voglia di Borsa: gli investimenti in azioni e altre partecipazioni hanno registrato una crescita di circa il 5,5%, passando da 786 miliardi di euro 2005 a 830 miliardi del 2006. Famiglie sempre più indebitate: i debiti degli italiani sono saliti, tra mutui e credito al consumo, ad oltre 425,649 miliardi di euro, contro i 378,745 miliardi del 2005. L'incremento è stato di quasi 50 miliardi, pari al 12,5%. Si investe di più in azioni: i risparmi investiti in azioni e altre partecipazioni ammontavano nel 2005 a 786 miliardi di euro, il 5,5% in meno rispetto agli 830 dell'anno passato. Titoli stato, è boom per breve termine: I titoli a breve termine, stanno tornando nel portafoglio delle famiglie italiane. Con un ritmo di crescita, dopo gli anni dell'abbandono che ha visto milioni di ex-bot people preferire altre forme di investimento, che solo in un anno registra un tasso del 440%. Il monte-titoli a breve è salito da 2,5 miliardi el 2005 ad oltre 14 del 2006. Aumentano cash e depositi: in aumento anche i soldi sotto il materasso ed i depositi. L'anno scorso le consistenze in biglietti, monete e depositi a vista delle famiglie italiane hanno sfiorato i 600 miliardi di euro contro i 555 dell'anno precedente.

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Verona, fuggi-fuggi dall’Ulivo

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L'esito del voto delle amministrative di Verona ha causato i primi ripensamenti da parte del centrosinistra. Nella città scaligera, paradosso del centrosinistra in rotta con le direttive romane, all'indomani della vittoria del leghista, Flavio Tosi, due neoeletti consiglieri della Margherita, Marco Giorlo e Marisa Brunelli, sono in procinto di passare dall'altra parte.
Lo comunica Il Corriere del Veneto. La diellina Brunelli ha fatto sapere al dorso veneto de Il Corriere della Sera, che prenderà una decisione la prossima settimana. Il collega dell'Ulivo per Verona, Marco Giorlo ha deciso di lasciare la Margherita.


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Maroni: «L’Unione non è capace di dare risposte»

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«C'è ancora la targa del Pci!». Quando il leghista Roberto Maroni arriva davanti alla sezione Centro storico dei Ds, in via dei Giubbonari a Roma, il suo sguardo si posa meravigliato sull’incisione posta all’ingresso. «C'è ancora la targa del Pci. Mi riporta a quando ero tanto più giovane» ripete l'ex ministro del Carroccio e qualcuno gli chiede: nostalgia? «Della giovinezza, certo». Maroni si è recato nella storica sede della Quercia per parlare di federalismo, ma nel suo intervento va oltre e si sofferma anche sulla crisi della sinistra.
«È giusto che un leghista si confronti con il popolo di Roma», premette il segretario della sezione dei Ds Fabio Nicolucci, che nel presentare Maroni non esita a definirlo «una delle menti più innovative della Lega». E l'ex ministro non delude i militanti diessini che lo accolgono con un applauso.
«Quello che è successo al Nord è un segnale d’allarme molto forte per la sinistra. A Varese si è verificata una cosa che non succedeva neanche ai tempi della Dc. Il candidato del centrodestra, un leghista, ha ottenuto quasi il 70 per cento dei voti, staccando di oltre 40 punti lo sfidante di centrosinistra. Questo significa che, almeno in quelle zone, la sinistra ha perso le sue radici e che viene percepita come una coalizione che non è capace di dare risposte su temi come la sicurezza o la pressione fiscale. La sinistra - aggiunge - deve tornare a dare risposte perché a noi interessa un rapporto politico più equilibrato».
Esiste - ha precisato Maroni - «ancora un pregiudizio ideologico nei confronti della Lega e del federalismo. La sinistra, fin da quando c’è la Lega, e cioè metà degli anni Ottanta, ci vede antagonisti e, quindi, ha sempre attaccato il nostro progetto politico. Questo ha ritardato moltissimo i tempi della realizzazione del federalismo».
Maroni guarda in faccia la realtà e alla platea dichiara: «Se le cose le fa Gentilini, vi ricordate quando tolse le panchine?, tutti gli vanno addosso. Ma quando è un sindaco di sinistra a fare le stesse cose, tipo la costruzione di un muro per separare i cittadini dagli immigrati, allora nessuno della sinistra dice una parola o protesta».


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Confedilizia: la riforma del catasto farà aumentare l’Ici

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Per Corrado Sforza Fogliani è una manovra che ha l’unico scopo di fare cassa

Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia, non usa mezzi termini e attacca il Governo: «La riforma del catasto farà triplicare la base imponibile dell’Ici ed è una manovra che ha l’unico scopo di fare cassa».
Sforza Fogliani ha replicato al sottosegretario Alfiero Grandi rilevando: «Come possa affermare che anche Confedilizia riconosce che, con la riforma degli estimi proposta dal Governo, non ci saranno nuove entrate dagli immobili è un mistero di cui non ci sappiamo capacitare»
La riforma del catasto è una manovra che «ha il solo e chiaro proposito di fare cassa».
E anche se il Governo ha promesso che le novità previste saranno a saldo zero, quindi che non è un’operazione per fare cassa, «all’orizzonte di profila a carico di condomini e proprietari di casa una manovra a tenaglia». Per il presidente di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani, non serve una riforma come quella che si sta profilando. Il paese, invece, deve «dotarsi di un catasto probatorio». Insieme a Confedilizia alcune organizzazioni, (Fiaip, Appc, Unioncasa, Aspesi, Ampic, Cnr casa, Anbba, Asages, Confcasalinghe, Cites, Alac, Assindatacolf, Coram, Fimpe, Assotrusts e Gesticond) hanno quindi rivolto un appello al parlamento e al Governo per chiedere che al catasto «venga conservata una sua funzione oggettiva».
La promessa di una invarianza di gettito, in seguito alle modifiche che saranno introdotte con le norme contenute nel ddl all’esame della Camera, secondo le organizzazioni, è una «semplice chimera». Perché l’Ici «si troverebbe ad avere una nuova base imponibile e la stessa cosa avverrebbe per tutte le altre imposte commisurate al valore catastale degli immobili».


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Strage di occidentali in Afghanistan

>>Da: andreavisconti
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Precipita un elicottero: morti 5 militari Usa, un canadese e un britannico

Strage di militari occidentali in Afghanistan dove i talebani rivendicano di aver abbattuto l’elicottero della Nato precipitato mercoledì notte nella provincia meridionale di Helmand uccidendo sette soldati.
La rivendicazione è giunta ieri dopo che l’Isaf, la forza militare multinazionale presente nel Paese asiatico, ha reso noto con un comunicato che i cinque membri dell’equipaggio e due altri militari che erano a bordo dell’elicottero sono morti. Le vittime sono cinque americani, un canadese e un britannico. Gli ultimi due militari erano passeggeri a bordo del Chinook.
L’Isaf ha specificato che si sta indagando sulle cause dell’incidente, aggiungendo però che una squadra che era stata inviata sul luogo, nei pressi della cittadina di Kajaki, è rimasta vittima di un agguato.
Qari Mohammad Yousif Ahmadi, che si presenta come un portavoce dei talebani, ha affermato che sono state le milizie musulmane integraliste ad abbattere il velivolo con un razzo di contraerea ed ha sostenuto che i militari uccisi sarebbero 35. Ahmadi ha poi detto che le forze di talebani hanno attaccato le truppe che cercavano di raggiungere via terra il luogo dove è precipitato il velivolo, ma non ha fornito altri dettagli sulla battaglia e sull’eventuale numero delle vittime. Dopo l’agguato, ha aggiunto Ahmadi, le forze Nato hanno bombardato l’area, ma «le nostre forze si erano ritirate già in un luogo sicuro».
Gli attacchi contro elicotteri sono rari in Afghanistan. Lo scorso febbraio un Chinook statunitense è precipitato nella provincia di Zabul, uccidendo otto militari americani. Anche allora i talebani affermarono di averlo abbattuto, ma gli americani esclusero che si fosse trattato di un attacco nemico. È stato invece un missile Rpg a provocare l’abbattimento di un altro elicottero americano nella provincia orientale di Kunar nel 2005, con 16 soldati Usa rimasti uccisi.
Intanto aumenta la preoccupazione per il contingente italiano in Afghanistan. Al riguardo è intervenuto ieri il generale di Brigata Antonio Satta, comandante del Regional Command West-Isaf, che ha sottolineato come «la situazione sia relativamente stabile nella regione Ovest, ma teniamo alta la guardia».
«C’è stato un conflitto a fuoco di unità di insorgenti contro le truppe della coalizione e un armamento controcarro ha colpito un elicottero che stava dando assistenza alle truppe di terra», ha spiegato Satta a proposito dell’elicottero della Nato caduto nella provincia meridionale afghana di Helmand.


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Agguato di camorra, video choc su internet

>>Da: andreavisconti
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Napoli, in duemila hanno già visto il filmato “Killing Scampia”

Napoli - Una moto con due persone a bordo si avvicina a un gruppo di giovani che stanno chiacchierando ai bordi di un parchetto, neanche il tempo di capire cosa stia succedendo che il passeggero della moto estrae una pistola e spara. Un copione noto nelle zone periferiche di Napoli, dove le guerra di camorra fanno almeno una vittima al giorno, ma che raramente si è visto su uno schermo così, “nudo e crudo”. E invece su Youtube, il sito che raccoglie video amatoriali da tutto il mondo, questo copione è diventato visibile a tutti.
Basta digitare nella casella di ricerca “Killing Scampia” è la sequenza choc appare. Si tratta di un’esecuzione in uno dei quartieri più duri di Napoli, Scampia appunto, ed è visibile sul sito dal 28 maggio scorso. La notizia è stata riportata ieri dal quotidiano napoletano Roma che ha spiegato che in soli tre giorni le immagini sono state viste da oltre 2mila persone. Il film dura 43 secondi e inizia con le immagini di uno scooter che sfreccia tra le “Vele”, l’immensa costruzione simbolo del degrado di Scampia. Due killer con casco integrale si preparano alla spedizione di morte mentre le “sentinelle” avvertono troppo tardi la vittima. Le scene raccapriccianti proseguono con un avvertimento a «Tonino» (la vittima») e poi con una serie di spari.
Come spiega lo stesso quotidiano e come emerge dai numerosi commenti lasciati dai visitatori, sul filmato ci sono però dubbi di veridicità. Innanzitutto non si è ancora riusciti a risalire all’episodio in questione. Nessuno dei luoghi in cui sono state uccise delle persone di nome Antonio, dal 2003 fino a oggi, corrisponde a quello del video. A questo però si potrebbe obiettare che, se non risultano omicidi così, quello ripreso potrebbe in realtà essere un ferimento. L’altro dubbio: come faceva il “regista” a conoscere esattamente luogo, modalità e orario dell’agguato? La risposta più probabile qui è una sola: chi ha ripreso la scena è un complice dei killer e cioè, nel linguaggio della camorra, uno “specchiettista”, colui che tiene d’occhio la vittima e avvisa i sicari dei suoi spostamenti. Per questo non è escluso che, nelle prossime ore, le forze dell’ordine possano acquisire il video su richiesta della magistratura e poter risalire così alla persona che lo inserito sul sito.
Mentre ieri si discuteva del filmato choc, a Secondigliano, sempre nella periferia di Napoli, veniva ammazzata la 52ª persona dall’inizio dell’anno: Antonio Silvestri, 22 anni, ritenuto affiliato al clan Di Lauro, è stato raggiunto dai sicari mentre era bordo del suo motorino.


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Piacenza, truffa a 100 ragazze

>>Da: andreavisconti
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Sei molto carina, per noi vai bene: ti proponiamo un corso il cui costo lo sosterrai con un finanziamento e, intanto, consegnaci la caparra. Ma il successo, per te, è dietro l'angolo». Era più o meno di questo tenore l'allettante messaggio che un'organizzazione piacentina aveva studiato nei particolari per irretire quante più aspiranti fotomodelle possibile, come scoperto dalla compagnia carabinieri di Bobbio. Ed è così che quasi 100 famiglie di Piacenza e provincia e decine di ragazze tra i 16 e i 22 anni sono state coinvolte in una mega-truffa tra le più spiacevoli: perché illude giovani piene di speranze per derubarle degli averi che hanno lasciandole a sogni infranti e portafogli piangente. «Uno dei malfattori - ha spiegato ieri il comandante dell'Arma Fabio Longhi - contattava le famiglie attingendo i numeri telefonici dalle pagine bianche, chiedeva se avessero una figlia dell'età giusta, e poi chiedeva se avesse intenzione di entrare nel mondo dello spettacolo».
A risposta affermativa il gioco era fatto. Si spiegava che proprio in quei giorni si sarebbe tenuta una selezione in un hotel di Piacenza. Poi arrivava il giorno della selezione. Accolte in una sala da una donna nella maniera più professionale immaginabile, le giovani arrivate venivano invitate a compilare questionari, a farsi fare foto, a sfilare.
Poi si diceva di aspettare qualche giorno per i risultati di questa selezione. E, l'attesa, naturalmente, ingigantiva sogni e speranze. Poi, per molte, arrivava la fatidica telefonata con la notizia di essere state scelte per un corso a Perugia che le avrebbe lanciate.
Da dove non si sa, visto che molte di loro sono state convinte a sottoscrivere un finanziamento per 5.000 euro più 300 euro versate immediatamente per un corso di modelle a Perugia, poi rivelatosi inesistente. Sei mesi di indagini e i carabinieri hanno, per lo meno, denunciato sei persone: cinque uomini e una donna. E attendono nuove eventuali denunce di altre miss truffate in modo da completare il quadro accusatorio.
Flavia Mazza

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Abusava della nipotina disabile

>>Da: andreavisconti
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Protagonista di questi episodi un
giovane di 24 anni di Manfredonia
che è stato arrestato dai carabinieri

MANFREDONIA (FOGGIA)
Avrebbe mostrato a una bambina di 8 anni, affetta da una grave disabilità motoria e sua stretta familiare, filmati e cartoni animati dal contenuto pornografico e pedopornografico per sollecitarne la curiosità erotica. Poi l’avrebbe costretta a masturbarlo e ad assistere a situazioni di autoerotismo. Inoltre le avrebbe usato violenza e l’avrebbe minacciata di farla uccidere da un suo amico se non avesse soddisfatto le sue pretese sessuali. Sono alcune delle accuse terribili nei confronti di un giovane di 24 anni, S.C., arrestato da agenti del Commissariato di Polizia di Manfredonia, in provincia di Foggia, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale del capoluogo dauno su richiesta del pubblico ministero della Procura Vincenzo Maria Bafundi.

Al giovane viene contestato anche di avere mostrato alla piccola il proprio membro, di averla palpata nelle parti intime e di aver compiuto atti sessuali con la ragazzina. In molte occasioni avrebbe ripreso queste immagini con il proprio telefono video-cellulare, producendo materiale pronografico che poi cedeva a un gruppo di amici.

Le indagini sono iniziate ad agosto del 2006, quando i genitori della piccola vittima denunciarono agli inquirenti ciò che era accaduto durante una festa in campagna alla quale era stato invitato anche il giovane arrestato. In quella occasione uno dei genitori, non vedendola rientrare, si mise alla sua ricerca e infine la ritrovò nascosta tra gli alberi in compagnia di S.C.. La bimba era apparsa molto sconvolta ma inizialmente non venne dato molto peso a questo episodio, fino a quando la madre apprese da un parente che sul giovane circolava la voce che fosse un pedofilo.

La donna allora ne parlò con la figlia e la piccola, come per liberazione, raccontò apertamente ai genitori quanto da lei subito e le varie occasioni in cui era successo. Gli inquirenti accertarono subito un particolare: S.C. avrebbe già in passato posto in essere atteggiamenti simili. Alcuni anni fa sarebbe stato trovato nel bagno di un ristorante con un’altra bambina che aveva le mutandine abbassate.

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Mario Draghi s’attesta sul fronte borghese e colpisce nei punti giusti

>>Da: andreavisconti
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Quasi cita Monti su banche e politica. Invita a fare riforme: meno tasse, meno spesa, più efficienza nei servizi

Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, leader psicologico del partito borghese che esercita il suo pressing sull’opinione pubblica e sulle istituzioni politiche, si è tenuto largo. E’ stato incisivo, non ha risparmiato le osservazioni critiche soprattutto sulla finanza pubblica, ma come era prevedibile non ha affondato l’attacco al sistema politico, come aveva fatto la scorsa settimana Luca di Montezemolo, all’assemblea di Confindustria. Montezemolo ha espresso un giudizio molto positivo sull’intervento del governatore – “perfetto”, ha detto – ma è evidente che da una parte i risultati delle elezioni amministrative, dall’altra il nervosismo di Romano Prodi nell’intervista di due giorni fa al vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini, hanno indotto Draghi a osservare una certa prudenza istituzionale.
Le Considerazioni finali hanno seguito lo schema asciutto e informale inaugurato lo scorso anno. Tre pagine sulla banca, due e mezzo sull’economia, sulla finanza e sulle politiche monetarie mondiali (con una condivisibile riflessione sulla necessità di vigilare sul fenomeno degli hedge fund, positivo sì, ma con alcuni fattori di rischio), e poi si entra nel vivo della discussione pubblica italiana. Riguardo alla crescita, Draghi non condivide del tutto l’entusiasmo di LCdM sul sistema industriale. Dice che c’è “un ritardo nell’adeguamento del sistema produttivo italiano ai mutamenti del contesto tecnologico e competitivo. I recenti progressi nella produttività e nelle esportazioni, pur ancora modesti e largamente di natura ciclica, possono però suggerire che un processo di ristrutturazione si sia avviato”. Spiega che bisogna recuperare produttività nel confronto con gli altri grandi paesi europei e invita le imprese a ragionare sulla crescita dimensionale. Come Montezemolo, però, riconosce che, a parte le buone cose fatte sul mercato del lavoro, c’è un problema di contesto istituzionale: l’istruzione non funziona, la concorrenza nei servizi è scadente (i costi dell’energia sono del 20 per cento superiori alla media europea), la giustizia civile è lenta, il meccanismo delle decisioni pubbliche in materia di infrastrutture è inefficiente.

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Ecco i primi frutti della Sarkodiplomazia tra Europa, Libano e Darfur

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

In cinque giorni ha fatto cambiare idea a due premier sul mini trattato. Prima è toccato a Prodi e poi ieri a Zapatero

Bruxelles. Ue, Mediterraneo, Libano, Darfur: a quindici giorni dal suo insediamento all’Eliseo, la nuova diplomazia di Nicolas Sarkozy funziona a pieno regime. La Costituzione europea è stata definitivamente affossata, a vantaggio di un più realistico “mini-trattato” che eviti la mannaia dei referendum nazionali. Nelle capitali del sud dell’Europa e del nord Africa c’è un gran parlare dell’Unione mediterranea proposta da Sarkozy. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha posto fine a mesi di immobilismo sul Libano, istituendo il Tribunale penale internazionale per perseguire gli assassini dell’ex premier Rafiq Hariri. L’annuncio dell’ampliamento delle sanzioni americane contro il Sudan è stato accompagnato dalla proposta francese di creare “corridoi umanitari” per il Darfur. Che il nuovo presidente volesse fare uscire la Francia dall’angolo diplomatico in cui l’aveva costretta il suo predecessore, Jacques Chirac, lo si era capito la sera del suo arrivo all’Eliseo, quando è volato dalla cancelliera tedesce, Angela Merkel, per far uscire l’Europa dal pantano istituzionale. In due sole settimane Sarkozy ha reso la chiracchia un ricordo e riportato Parigi al centro della diplomazia che conta.
Sull’Europa sono bastati pochi incontri per mettere fine alle velleità degli europeisti più sfegatati. Dopo Romano Prodi lunedì a Parigi, ieri a Madrid il presidente francese ha convinto anche il primo ministro spagnolo, José Luís Zapatero, che il Trattato semplificato è l’unico modo per mettere fine alla paralisi europea. I due leader, al termine dell’incontro, hanno assicurato “un ruolo attivo” per arrivare “al più presto” a un accordo sul Trattato, possibilmente già entro la fine del semestre di presidenza tedesca, il 30 giugno. Spagna e Italia si erano messe alla testa del gruppo dei 18 paesi che hanno ratificato il progetto di Costituzione europea e pretendevano di preservarne forma e sostanza. Zapatero aveva convocato vertici riservati ai fedelissimi del Trattato costituzionale, Prodi aveva promesso al Parlamento europeo un veto in caso di “compromesso al ribasso”. Ma di fronte al realismo e al pragmatismo di Sarkozy, l’asse italo-spagnolo ha capitolato: il nuovo Trattato sarà “mini”, mai una Costituzione, al massimo un maxiemendamento al Trattato di Nizza.
Sarkozy ha usato la visita a Madrid per far avanzare anche il suo progetto di “Unione mediterranea” autonoma e aperta a tutti i paesi della regione, che “deve avanzare come l’Europa di Monnet su progetti concreti”. L’Eliseo riconosce che esistono divergenze con la Spagna su “strategia e tattica”: Zapatero, pur non opponendosi, sa che l’Unione di Sarkozy è destinata a sostituirsi al processo di Barcellona tanto caro agli spagnoli quanto privo di risultati concreti. Ma l’entusiasmo nelle due sponde del Mediterraneo è evidente: Sarkozy ne ha parlato al telefono con i suoi omologhi algerino, tunisino e libico, ha raccolto l’appoggio dell’Italia, e il premier portoghese José Socrates, prossimo presidente di turno dell’Ue che Sarkozy incontrerà lunedì, ha già promesso di “convincere l’Europa che dobbiamo guardare un po’ di più al sud”. Così, per non rimanere sola con la sua partnership euromediterranea, anche Madrid è costretta a esprimere “molto interesse” per il progetto di Sarkozy.


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Il nervosismo del presidente di Santintesa

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Dicono che Giovanni Bazoli sia molto nervoso. Gli intrecci azionari lo preoccupano e lo infastidiscono, l’ingorgo bancario, assicurativo e societario lo irrita. Al proposito, ha parlato sin troppo chiaramente su Mediobanca, che, a suo parere, potrebbe diventare la merchant bank di Unicredit e Capitalia, fuse insieme, e ha mostrato preoccupazione per Generali, il colosso delle assicurazioni che ha un asse tanto solido con piazzetta Cuccia, al punto da seguirne le indicazioni di massima. Il presidente di Santintesa, profondamente cattolico, non può di certo essere superstizioso, ma qualche pensiero a "fatture" e malasorte di questo anno 2007 deve averlo fatto. Il professore ha scrupolosamente salvaguardato il rapporto con il presidente del Leone, Antoine Bernheim, assicurandogli la poltrona di vicepresidente di Santintesa, ma si è sempre reso conto che Bernheim ha appartenenze differenti e non potrebbe mai diventare un'cavallo di Troia in Mediobanca e in Generali. Quindi tutte le incursioni del fidatissimo Romain Zalesky, quell'oltre dieci per cento (a quanto si dice) di partecipazioni di Santintesa in Generali rischia di non servirgli molto nel piano a lungo termine del nuovo assetto finanziario italiano.


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Malta, recuperati i cadaveri di 21 immigrati

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Sono almeno 21 i corpi di immigrati clandestini annegati, ripescati dalla fregata francese ''La Motte Picquet'', nel Mediterraneo al largo di Malta, ma le ricerche continuano e il bilancio dovrebbe essere più alto a quanto riferisce la prefettura marittima francese per il Mediterraneo. «Sedici corpi sono stati ripescati ma le operazioni proseguono» secondo il portavoce Emmanuel Dinh. Il portavoce precisa che i corpi sono «in stato di decomposizione» dunque che si trovano in acqua da diversi giorni. La fregata francese La Motte-Picquet era diretta a La Valletta. Secondo indiscrezioni raccolte a Malta, il governo de La Valletta avrebbe poi eccepito che i corpi dovrebbero essere trasportati a Tripoli, in quanto il naufragio è avvenuto in acque che ricadono sotto la competenza libica. Sono in corso trattative diplomatiche tra Malta, la Francia e la Libia per trovare una soluzione.
LA CONDANNA DELL'ONU - I ventuno migranti affogati nelle acque al largo di Malta sono gli ultimi di una lunga serie di vittime causate dalla violazione del diritto marittimo e di quello umanitario. Lo sottolinea l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in una nota in cui ricorda che Malta non ha ratificato gli emendamenti alle convenzioni marittime che obbligano gli Stati a cooperare nel soccorso in mare e i capitani di imbarcazioni a fornire aiuto e assistenza. Nelle ultime settimane, ricorda l'UNHCR, molte imbarcazioni precarie o alla deriva con a bordo un numero elevato di persone che tentavano di raggiungere l'Europa sono state ignorate o lasciate in balia delle onde, e «alcuni capitani non hanno onorato sia i loro obblighi dettati del diritto marittimo che l'antica tradizione del salvataggio di persone in difficoltà in mare».
ALLARME PER ALTRI 53 CLANDESTINI - Proprio nel pomeriggio l’alto commissariato Onu per i rifugiati aveva lanciato l’ennesimo appello a tutti i paesi del Mediterraneo e in particolare a Malta affinché rispettino l’obbligo di salvare le vite dei clandestini reperiti in mare. L’Alto Commissariato si diceva particolarmente preoccupato circa la sorte di almeno 53 persone, la maggior parte delle quali di origine eritrea, che risultano disperse da più di una settimana nelle acque tra Malta e la Libia, nonostante gli sforzi di ricerca della Marina Militare italiana e della Guardia Costiera italiana. L’UNHCR ha ricordato con preoccupazione le più recenti tragedie verificatesi proprio nelle acque fra Malta e Libia, in particolare la vicenda dei 27 africani, aggrappati per tre giorni ad una gabbia per tonni trainata da un rimorchiatore maltese e soccorsi infine lo scorso 26 maggio dalla nave "Orione" della Marina Militare.

NUOVO AVVISTAMENTO - Nella tarda serata di venerdì è giunta anche la notizia che un barcone con trenta clandestini, tra cui due bambini e una donna, è stato segnalato al largo delle coste libiche. A lanciare l'allarme sarebbe stato uno degli immigrati che con un cellulare satellitare avrebbe contattato un extracomunitario eritreo che si trova nel centro di detenzione di Safi, a Malta.

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Jun 3, 2007, 6:42:43 AM6/3/07
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Austria sotto choc

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

I cadaveri dei piccini erano stati messi in sacchetti di plastica e nascosti sotto il pavimento di un palazzo. A fare la macabra scoperta un operaio che stava lavorando alla ristrutturazione
C’è modo e modo. Anche per uccidere, anche per non far rumore. Delitti in «sordina», quasi puliti, talvolta perfetti. Ma persino nell’orrore può esserci qualcosa di «genetico», quasi un marchio, un modus operandi che connota il Dna del killer. Della sua cultura, della sua «razza».
Ecco così l’ordinatissima e rigorosa Austria due anni dopo i morti «congelati» di Graz, risvegliarsi ancora aprendo gli occhi su un’altra «ordinatissima» strage. Niente rumori, nessuna madre con la mente avvelenata dagli incubi, che - come accade da noi -, chiama la polizia con le mani sporche del sangue del suo bambino, niente segni di violenze o disagi mal curati. Nulla. Tutto normale, lindo e perfetto, come le strade dove non si gettano i mozziconi. Almeno fino a quando un operaio impegnato in una ristrutturazione scopre il privatissimo cimitero di un assassino. Con dentro i cadaveri di tre neonati.
Siamo a Innsbruck, elegante capoluogo del Tirolo, 130 mila abitanti le cui piste da sci ne hanno fatto le fortune, e dove il massimo dei rumori lo provocano i cin-cin con panciuti boccali di birra. Proprio come Graz, capoluogo della Stiria, pacifica e sonnacchiosa oasi tra le montagne, dove per quattro anni, un’occhialuta ragioniera trentaquattrenne, ammazzò ogni bebè che le nasceva. Fu un vicino di casa a scoprire il 3 giugno 2005, due corpicini chiusi in un sacchetto nel freezer che condivideva con Gertrud. Altri due erano stati invece nascosti nella vicina segheria in disuso. Nessuno aveva mai sospettato nulla, nessuno si era mai accorto dei pancioni. Teutonica discrezione.
Come in un horror fotocopia ieri mattina, stavolta a Innsbruck, quartiere «Wilten» da sotto il pavimento in legno a cui stava lavorando un muratore, sono spuntati fuori i resti di tre bimbi. Lì, sepolti e «dimenticati» nella cantina di un elegante palazzo a tre piani, da chissà quanti anni giacevano dentro a sacchetti di plastica. In mezzo ai detriti.
L’operaio ha immediatamente dato l’allarme subito dopo il primo ritrovamento. È stata la polizia criminale guidata da Walter Pupp, a continuare le ricerche. Ed è bastato scardinare il resto delle assi per recuperare altri due corpicini.
Laconici e comprensibilmente avari di particolari, gli investigatori. Che si limitano a riferire «che da un primo esame condotto sul posto sembrerebbe per il momento escluso che altre salme possano essere state celate nella casa».
Buio pesto sull’autore, ammesso che di uno solo si tratti, degli omicidi. E non ci sono tracce, al momento, che possano condurre ai genitori delle piccole vittime, probabilmente inesistenti anche per l’anagrafe.
Sarà un’indagine a ritroso quella della polizia, alla ricerca di qualcuno che forse non abita nemmeno più in quel palazzo.
Per ora, oltre all’inventario degli inquilini, recenti e passati, gli investigatori dovranno stabilire con esattezza l’epoca dei decessi. E questa risposta potrà arrivare solo dall’autopsia. «Quel che è certo - spiega Pupp - è che tutti gli inquilini avevano accesso a quella zona dell’edificio».
Tutti sospettabili dunque, per tre delitti le cui vittime non hanno un nome.

Andrea Acquarone

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Sequestro Abu Omar Scarcerato lo 007 Marco Mancini

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

È tornato a casa Marco Mancini, il numero due del Sismi già coinvolto nel caso del sequestro dell’ex imam Abu Omar e nuovamente arrestato il 12 dicembre scorso per l’inchiesta sul dossieraggio illegale che aveva portato in carcere, tra gli altri, anche l’ex responsabile della sicurezza Telecom, Giuliano Tavaroli, al quale sono stati concessi gli arresti domiciliari ieri. Il provvedimento che scarcera Mancini è stato emesso dal gip Giuseppe Gennari su sollecitazione della Procura a pochi giorni dello scadere dei termini di custodia cautelare. L’11 giugno, infatti, l’ex funzionario del servizio segreto militare dovrebbe tornare libero. Che siano stati gli stessi pm a chiedere la scarcerazione è sottolineato anche dagli avvocati di Mancini, Luca Lauri e Luigi Panella: «Come nel caso Abu Omar - hanno detto - anche nel caso Telecom è stata la Procura della Repubblica di Milano a chiedere la scarcerazione del dottor Marco Mancini, la cui difesa ora dimostrerà la sua innocenza in entrambe le vicende».


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Si risveglia dopo 19 anni di coma e scopre che il comunismo non c’è più

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ferroviere polacco sconvolto: «Tanta ricchezza, i cellulari... mi gira la testa»

Un coma lungo 19 anni e poi, dopo un inaspettato risveglio, il comunismo non c’è più, la Polonia è un paese democratico e l’economia di mercato è in piena espansione. Se non fosse una storia vera, quella accaduta a un ferroviere polacco di 65 anni, Jan Grzebsky, sarebbe il soggetto dal quale è stato tratto il film Goodbye Lenin. Precipitato nel 1988 - quando la Polonia era ancora al di là della «cortina di ferro» - in uno stato di totale incoscienza per un trauma cranico in seguito ad un incidente di lavoro, Grzebsky era stato giudicato dai medici non guaribile. La moglie Gertruda però ha sempre creduto al suo risveglio.
«È stata Gertruda che mi ha salvato, non lo dimenticherò mai» ha detto lo sconcertato ma felice Jan alla tv polacca. Ma ciò che ha davvero lasciato senza fiato il ferroviere, quando il 12 aprile si è finalmente svegliato, è stato non trovare più la Polonia del generale Jaruzelsky, del Papa Giovanni Paolo II, di Solidarnosc, degli scioperi di Danzica e del Patto di Varsavia.
«Quando sono entrato in coma - ha raccontato alla stampa il ferroviere con sorprendente lucidità - negli scaffali dei negozi di Varsavia si potevano trovare solo tè e aceto, la carne era razionata e ovunque si snodavano code per la benzina», la descrizione di un paese al collasso economico oltre che in piena e irreversibile crisi politica. «Ora - ha detto ancora il redivivo ferroviere - vedo per strada persone con il cellulare e l’abbondanza di merce che trovo nei negozi mi far girare la testa».
In 19 anni Grzebsky ha attraversato un tunnel buio durato il tempo di una rivoluzione incruenta, e durante il quale i suoi quattro figli si sono sposati e gli hanno regalato ben 11 nipoti. Un tunnel alla fine del quale ha trovato un mondo nuovo.

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Montezemolo: "Senza le riforme, un referendum tsunami"

>>Da: andreavisconti
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Il presidente di Confindustria: "C’è necessità di dare ai cittadini il miglior governo". E a Prodi dice: "Serve una politica forte, ci ascolti quando parliamo. C’è una distanza crescente tra istanze di sviluppo e richieste dei partiti"

«L’Italia ha bisogno di una politica che torni a essere forte e di instaurare un rapporto virtuoso tra palazzo e Paese». Il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, ha concluso la due giorni di Santa Margherita con un intervento pacato e didascalico. Argomentando punto per punto le tesi che aveva già esposto nel corso dell’assemblea della scorsa settimana. Il messaggio, infatti, aveva un destinatario particolare: il presidente del Consiglio, Romano Prodi, che in mattinata aveva dichiarato che dal presidente degli industriali si sarebbe aspettato una relazione meno politica.
«Avrei voluto sapere qualcosa di più sulle imprese e la situazione economica del Paese. Se vado a un’assemblea economica e non parlo soprattutto di problemi che mi competono, allora mi fischiano e sono messo ko», aveva detto. Montezemolo ha voluto così ribadire la sua natura principale: quella di imprenditore. «Quando elenchiamo una serie di problemi non dobbiamo sentirci rispondere con un’inesistente dietrologia senza discuterne nel merito». E proprio per mettere i puntini sulle «i» è voluto tornare su un tema caro ai giovani imprenditori di Confindustria: la riforma della legge elettorale. Lanciando una provocazione. «Abbiamo necessità di dare ai cittadini il miglior governo e scegliere chi mandare in Parlamento. Se questo non fosse possibile, la miccia del referendum sarebbe auspicabile e necessario che esplodesse come uno tsunami che diventerebbe l’unico strumento per portare la classe dirigente a decidere», ha sottolineato.


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L’Unione gonfia il tesoretto con un gioco di prestigio

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ha una regia ed una strategia politica la gestione dei conti pubblici. Tutta finalizzata a far emergere un «tesoretto» maggiore in coincidenza con le scadenze politiche: Dpef e Bilancio d’assestamento su tutti. E la cartina al tornasole di questa strategia viene dal dato del fabbisogno di maggio: valore di «cassa», ma sempre più vicino al dato di «competenza».
Andiamo con ordine. La «regia» di questa gestione politica della finanza pubblica emerge con il dato di fabbisogno di aprile. È uguale a quello dell’anno precedente: quello dei primi 4 mesi dell’anno è di 33 miliardi. Il motivo del non positivo andamento viene dalla scelta del ministero dell’Economia di anticipare in aprile spese che tradizionalmente scattano a maggio. Si tratta di trasferimenti ad Anas, Fs e Rai e che ammontano a circa 8 miliardi di euro.
Ne consegue che nel mese appena passato queste spese scompaiono. Fenomeno che, unito al gettito garantito dai maggiori contributi degli autonomi (pagati a maggio), ed al buon andamento del gettito fiscale (cresciuto di oltre il 7%) porta il fabbisogno di maggio a migliorare di quasi 4 miliardi rispetto al livello dello scorso anno.
Il fabbisogno, però, è - per definizione - un saldo contabile. Gli 8 miliardi di minori spese, le maggiori entrate fiscale e quelle contributive avrebbero dovuto garantire un miglioramento del fabbisogno ben più ampio dei 4 miliardi registrati a maggio. Ad una condizione: che le spese fossero rimaste sui livelli del 2006. Invece, visto il dato diffuso dal ministero dell’Economia, si evince che le spese sono tornate a crescere, nonostante l’escamotage di anticiparne una parte sui conti di aprile.
Ma alla politica del governo interessano i saldi (alla Commissione europea, invece, il livello di spese ed entrate). E questi dimostrano che il fabbisogno migliora. Tanto basta a spargere ottimismo sull’ammontare del «tesoretto». In un incontro di una decina di giorni fa a Palazzo Chigi, Padoa-Schioppa ha rivelato in via informale ai vice presidenti del Consiglio, D’Alema e Rutelli, che il «tesoretto» potrebbe salire a 11,5-12 miliardi. Di questi, 7,5 destinati a correggere l’andamento tendenziale dei conti del 2008, e 4 miliardi (dai 2,5 miliardi iniziali) da utilizzare per le politiche sociali.


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"Io, licenziato dall’Ansa per la notizia su Visco"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione

L’ex direttore Magnaschi: «Destituito a causa della rivelazione del piano per azzerare i vertici lombardi della Finanza». Nel luglio 2006 l’organo di stampa smascherò le manovre del viceministro. Risultato: «Improvvisamente l’azienda scoprì che ero in età da pensione». «Raggiunti limiti di età? Fesserie. Diversi leader dell’Unione mi hanno confermato che è andata così»
Direttore Pierluigi Magnaschi, l’estate scorsa l’Ansa per prima diffuse in rete la notizia dell’imminente trasferimento dell’intera gerarchia della Guardia di finanza di Milano. Erano passate da poco le 22 del 16 luglio 2006: lo scoop aprì un durissimo scontro politico.
«E determinò anche il mio licenziamento».
Scusi?
«Il mio licenziamento da direttore dell’Ansa, avvenuto, non senza difficoltà (perché molti soci erano contrari) alla fine di novembre 2006, è dovuto alla pubblicazione, da parte dell’Ansa, della notizia che il viceministro Vincenzo Visco aveva chiesto la decapitazione del vertice della Guardia di finanza di Milano».
Direttore sta avanzando delle accuse gravi di ingerenza dell’attuale governo sulla prima agenzia di stampa italiana.
«Io mi limito ai fatti. E che il mio licenziamento sia proprio connesso al caso Visco-Gdf lo dimostrano i fatti».
Queste sono valutazioni personali.
«No, perché oltre ai fatti ebbi la conferma anche da diversi leader politici della maggioranza. A suo tempo mi hanno riferito che il mio licenziamento era dovuto a quella pubblicazione».
Ma scusi l’Ansa mica è di proprietà di Palazzo Chigi o del governo. Mica possono chiedere la testa del direttore dell’agenzia per uno scoop non gradito. E poi lei lasciò l’agenzia per raggiunti limiti d’età.
«Guardi non diciamo fesserie e torniamo ai fatti».
Ovvero?
«Subito dopo la pubblicazione degli avvicendamenti della Guardia di finanza di Milano, notizia che era vera e verificata, il presidente dell’Ansa, Boris Bianchieri, 77 anni, scoprì improvvisamente che, cinque mesi prima, avevo compiuto 65 anni e quindi dovevo andare in pensione».
Non è previsto nel contratto come il Corriere?
«Il contratto non lo prevede tassativamente ma lo consente solo come opzione. Ma non è finita. Biancheri, in pubblico, aveva precedentemente e ripetutamente lodato la mia direzione e aveva detto che i bravi professionisti sono una risorsa e con essi l’età non conta. E in privato, sia pure alla presenza di altre persone, alla vigilia della sua ultima conferma triennale come presidente dell’Ansa, avvenuta alla fine del 2005, Biancheri aveva chiesto il mio sostegno perché la nostra, disse lui “era una squadra vincente”».
Insomma, era dalla sua parte...
«Subito dopo la pubblicazione della notizia sulla Gdf ha cambiato radicalmente parere».
Certo che può apparire curioso che lei rivolga questa denuncia di ingerenza proprio oggi, no?
«Infatti, per me la situazione era chiara già dal luglio scorso quando iniziò l’operazione che si concluse a novembre con il mio licenziamento. Ma mi mancava la cosiddetta prova del nove, prova che ho avuto proprio in questi giorni leggendo i verbali dei generali della Guardia di Finanza, riannodando fatti che mi erano sfuggiti».

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Andrea Indini: «C’è solo un presidente!» E non è Prodi...

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Roma - Certo non saranno piaciuti al premier Romano Prodi tutti quei fischi proprio là, nel bel mezzo del bagno di folla accalcata lungo i Fori Imperiali. Ma, forse, a infastidire maggiormente il presidente del Consiglio sarà stato vedere centinaia di persone abbandonare le tribune laterali per avvicinarsi al leader azzurro Silvio Berlusconi e urlargli: «Resisti!». Il Professore fa buon viso e tira dritto, briga per le primarie del Partito democratico e si dimentica, ancora una volta, di una certa questione settentrionale che la «batosta» suonata alle amministrative ha fatto tornare alla carica.
«Un presidente, c’è solo un presidente!». I cori da stadio hanno riecheggiato piuttosto a lungo ieri mattina. I lunghi fischi indirizzati a Prodi hanno subito chiarito che quel «presidente» non è certo lui. Mentre al Professore veniva consigliato di «tornarsene a casa», il Cavaliere è diventato l’ospite d’onore di una festa della Repubblica che ha portato in piazza mal di pancia e nevralgie di un popolo che, da oltre un anno, si sente preso in giro. E così il passaggio del leader di Forza Italia lungo i Fori Imperiali è diventato un vero e proprio show. Come portato in trionfo tra strette di mano e richieste di fotografie. Un clic in posa sorridente con il suo pubblico. E ancora: cori da stadio che hanno accompagnato il Cavaliere fino al termine della parata militare. Due cordoni delle forze dell’ordine hanno faticato non poco a tenere a bada le centinaia di persone che si sono accalcate attorno a Berlusconi. Così, terminata la parata del 2 giugno, il Cavaliere ha deciso di ripetere la passeggiata fino a casa, a Palazzo Grazioli, trasformandola in una prova di forza mediatica con gli esponenti della maggioranza. Applausi, ovunque. «Evidentemente tutta questa gente vede in me la possibilità di cambiare questo governo e questa maggioranza e si rivolgono a me con le frasi che avete sentito - ha commentato Berlusconi - da qualche tempo a questa parte, ovunque io vada questo è l’atteggiamento».
E Prodi? Ha incassato i fischi e ha recitato il copione, in buona compagnia, sul palco d’onore. Volti scoloriti dopo un anno di Governo che al Paese non ha saputo dare, solo togliere. Tanto che la spilla arcobaleno risfoderata dal presidente della Camera, Fausto Bertinotti, è passata in secondo piano: come un’attrice che si ripresenta a Cannes con lo stesso vestito dell’anno precedente. Perché, sotto sotto, da festeggiare ieri c’era ben poco. «La maggioranza è certamente più forte - assicura Prodi - tutti hanno approvato quello che abbiamo fatto». Per il Professore le manovre messe in campo per disinnescare la mina Visco sono sepolte. Non importa che il centrodestra gridi all’«emergenza democratica» e che siano in molti a sussurrare la parole «golpe». Tutto sommato, Prodi è «contento di come sia finita» con il viceministro Vincenzo Visco che, a suo dire, «ha dato prova di senso dello Stato». Ora bisogna guardare avanti e, soprattutto, non pensare ai risultati delle amministrative. Ammette che è stata «una batosta», ma ostenta ottimismo per il futuro: «Abbiamo le finanze in ordine, abbiamo rimesso a posto le cose e possiamo ricomincare a camminare. Ci sono le premesse perché ritorni la serenità e, quindi, si trasformi in un risultato migliore». Preferisce non parlare della questione settentrionale e sorvola sul fatto che la «batosta» sia «arrivata soprattutto al Nord».

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Veto del premier per ministri e leader: Nessuno del Governo al corteo anti Bush

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

No di Giordano e Diliberto.

Per tenere il Governo al riparo da ulteriori polemiche, il premier Romano Prodi ha fatto appello al buon cuore dei ministri invitandoli a non andare alle manifestazioni anti Bush. L’appello è arrivato venerdì pomeriggio durante il vertice della maggioranza a Palazzo Chigi. A differenza delle passate occasioni, il Professore ha pensato bene di estendere il proprio invito anche ai leader dei partiti di centrosinistra.
«L’importante è che sia una manifestazione rispettosa e democratica. Poi che vi partecipino i ministri, questa è un’altra cosa...». Anche ai microfoni di Radio 24, Prodi torna a parlare della manifestazione di protesta contro il presidente americano George W. Bush in occasione della sua visita a Roma, sabato prossimo. E sottolinea: «È ovvio che i ministri non vi partecipino». Già diversi esponenti presenti venerdì mattina all’incontro con il premier hanno immediatamente storto il naso. In prima linea il segretario di Rifondazione, Franco Giordano, che si sarebbe risentito perché Prodi avrebbe sollevato anche una questione di civiltà: «Veramente i problemi di civiltà ce l’ha il presidente americano quando decide di fare la guerra agli altri Paesi. E comunque, vorrei far presente che manifestazioni del genere ce ne sono state e ci saranno in tutta in Europa. Per non parlare degli Stati Uniti». Oliviero Diliberto ha già fatto sapere che manifesterà senza ombra di dubbio: «Non dovrei scendere in piazza se ci vanno anche due parlamentari della Margherita?». Leggi: Francesco Ferrante e il tesoriere del partito Luigi Lusi. Durante il vertice il socialista Enrico Boselli e il ministro Giuseppe Fioroni hanno consigliato i colleghi dell’Unione alla prudenza. Tra i membri del Governo alcuni hanno già annunciato che non scenderanno in piazza. Tra questi Paolo Ferrero che, però, aveva già in agenda un invito della Cgil di Brescia «per un forum sull’immigrazione».


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Milano, 87enne resiste allo scippo e fa arrestare il malvivente

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Non ha esitato a trascinarla per terra pur di portarle via la borsa e i pochi euro che aveva con sè. A subire il tentativo di rapina è stata Augusta D., di 87 anni. L’anziana stava camminando in via Vittor Pisani, vicino alla stazione Centrale di Milano, quando è stata avvicinata da un uomo che ha cercato di strapparle la borsa a tracolla. La donna, strattonata, è caduta per terra battendo la testa sull’asfalto. Ad attirare l’attenzione di alcuni passanti, le urla dell’anziana trascinata dal malvivente che continuava invano a cercare di portare via il bottino. Un tentativo di rapina finito con l’arresto, da parte dei carabinieri, di Renato Bichsel, uno svizzero 31enne.


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Condannato per furto, farà il revisore dei conti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Palermo - Condannato per furto, diventa revisore dei conti su nomina della Regione. Accade in Sicilia, dove, come raccontano alcuni giornali locali, un commercialista di Partinico (Palermo), condannato per furto e indebito utilizzo di carta di credito altrui, è stato nominato dalla giunta regionale siciliana revisore dei conti del consorzio di ricerca “Gian Pietro Ballatore”. La decisione della giunta è stata già trasmessa alla commissione affari istituzionali dell’assemblea siciliana che a questo punto dovrà esprimere un parere. Il commercialista, 40 anni, finì in carcere il 29 agosto del 2002 con l’accusa di avere rubato telefonini, denaro e oggetti di valore dalle stanze di un albergo di Letojanni (Messina), dove alloggiava. Per effettuare il furto si era anche servito di due passepartout rubati nell’hotel. In seguito, una parte della refurtiva fu trovata nel bagagliaio della sua auto. Il commercialista è stato condannato il 4 aprile del 2005, pena sospesa.


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Mette un annuncio e finisce torturata con scariche elettriche

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Firenze - L’ha adescata grazie all’annuncio con il quale una giovane donna sperava di trovare un lavoro. Ma invece di un impiego, la vittima, ha trovato ben altro. Quello che doveva essere il suo “capo”, dopo averla fatta salire sull’auto, l’ha legata al sedile e ha cercato di soffocarla, per poi torturarla con botte e scariche elettriche. Dopo tre ore di violenze, la vittima, di Sesto Fiorentino, è riuscita a fuggire. L’aggressore, Riccardo Vannucchi 41enne di Prato già condannato per droga e ricercato, è stato arrestato. La vicenda è iniziata il 25 maggio: i due si erano già incontrati un paio di volte durante le quali Vannucchi, condannato per spaccio e fuggito da un affidamento in prova ai servizi sociali, aveva raccontato di essere il titolare di un’azienda.
Quel giorno le aveva dato appuntamento a Sesto Fiorentino. Dopo averla fatta salire su un’auto rubata giorni prima al sindaco di un comune pistoiese, si è diretto in una zona di campagna. Qui ha cercato di strangolarla con una cravatta: vedendola svenuta e forse credendo di averla uccisa, l’ha legata al sedile dell’auto. Dopo qualche chilometro, arrivati a Fucecchio, però, la donna si è risvegliata: l’uomo l’ha colpita con un pugno al volto e le ha inflitto scariche elettriche. A quel punto, la 26enne, grazie all’aiuto di un passante, è riuscita a fuggire. Soccorsa, è stata giudicata guaribile in 10 giorni.


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Vegas: la Finanza usata a fini personali

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

«È UN fatto gravissimo e senza precedenti. Ha ragione Berlusconi quando dice che siamo all’emergenza democratica». Giuseppe Vegas, ex sottosegretario all’Economia del governo della Cdl, non nasconde di essere allibito per l’esito della vicenda che ha visto coinvolto il viceministro Vincenzo Visco. Quale è la sua opinione sull’accaduto? «Innanzitutto se è stato ritenuto vero quello che ha detto il comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale in merito all’indagine di cui si stava occupando, non ha senso la sospensione temporanea di Visco perchè è ovvio che con il prossimo comandante il viceministro farà la stessa cosa. Sarebbe meglio che non ci fosse più alcun rapporto tra Visco e la Guardia di Finanza. Fatto gravissimo perchè sancisce un metodo di utilizzare un corpo dello Stato per fini personali o di partito». Secondo lei quindi Visco avrebbe dovuto dimettersi? «Certo, senza alcun dubbio. Le dimissioni di Visco avrebbero avuto un senso non la sostituzione del comandante della Guardia di Finanza. Questa storia della sospensione temporanea a Visco della delega sulla Guardia di Finanza è ridicola e insultante. Ma a questo punto il problema non è tanto Visco ma il Consiglio dei ministri perchè l’intero governo si assume la responsabilità giuridica e morale di quanto è successo». Quali saranno le conseguenze? Questo fatto compromettere i rapporti tra la Guardia di Finanza e il governo? «Berlusconi ha detto che si tratta di un episodio gravissimo e io condivido pienamente. Un governo di questo genere non ha più alcun titolo morale per restare in carica. Sostanzialmente quello che è avvenuto dimostra che il generale Speciale aveva ragione e per questo è stato cacciato. Giustamente ha rifiutato di dimettersi. Non pensi il governo che con queste pratiche da basso impero possa riuscire a sopravvivere malgrado il fatto che non sia più voluto dagli italiani. Emerge una gestione della vicenda non trasparente e fatta per il bene della comunità ma solo finalizzata alla tutela degli amici». Dopo questa decisione del governo l’appuntamento in Senato resta confermato o no? «Noi chiedevamo il ritiro delle deleghe a Visco qui c’è solo la sospensione temporanea. Il problema si allarga perchè c’è la responsabilità morale dell’intero governo. La decisione del governo non fa decadere le mozioni presentate in Senato dalla Cdl. Vedremo se la maggioranza cercherà di modificare il calendario dei lavori a Palazzo Madama ma c’è un limite all’arroganza».
LAURA DELLA PASQUA

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Da Petroni a Speciale, quando la poltrona «scotta»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

In un anno la maggioranza di centrosinistra ha messo mano ai Cda di ben 16, tra enti e società, controllati dall’esecutivo

SI chiama «spoil system», ma spesso è un modo semplice e sicuro per piazzare sulle poltrone che contano amici e persone di fiducia. Basta un cambio di governo ed ecco che, puntuali, le teste cominciano a rotolare. Anche il generale Roberto Speciale, a suo modo, è stato vittima dello «spoil system». Finito nell’occhio del ciclone per le sue dure accuse nei confronti del viceministro Vincenzo Visco (presunte pressioni per azzerare i vertici della Guardia di Finanza di Milano che indagavano sulla scalata Unipol a Bnl) ha dovuto mollare la poltrona di Comandante della Fiamme Gialle e «traslocare» alla Corte dei Conti. Certo, la situazione, come ha detto il ministro dell’Economia, era diventata «insostenibile». Ma l’avvicendamento resta. E non è il primo in questo anno di governo. Qualche settimana fa, sempre Tommaso Padoa Schioppa aveva provato a sostituire il proprio rappresentante nel Consiglio di Amministrazione Rai. Il titolare del dicastero di via XX Settembre aveva sfiduciato Angelo Maria Petroni preannunciandone la revoca e la sostituzione. Un blitz mal riuscito visto che Petroni ha fatto ricorso al Tar, lo ha vinto ed è quindi restato al suo posto. È andata peggio al generale Nicolò Pollari, ex direttore del Sismi finito nell’occhio del ciclone per le indagini sul sequestro dell’imam Abu Omar, sostituito al vertice dei servizi segreti italiani dal generale Bruno Branciforte. Per Pollari, comunque, si è subito liberata una poltrona al Consiglio di Stato. Promoveatur ut amoveatur?

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Si prepara l’uscita di De Gennaro verso la direzione dell’Europol

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

LA VICENDA Speciale mette in moto un’altra serie di nomine e avvicendamenti, annunciati da tempo, ma rimasti nelle intenzioni. Così si ritorna a parlare del cambio della guardia al Dipartimento di Pubblica sicurezza. Il problema era stato sollevato nelle scorse settimane dallo stesso Giuliano Amato. Il governo si prepara a varare la sostituzione del capo della polizia Gianni De Gennaro con il suo attuale vice Antonio Manganelli, sul quale il ministro dell’Interno ha ottenuto il consenso della maggioranza e sul quale nessuna obiezione dovrebbe arrivare nemmeno dall’opposizione. De Gennaro venne nominato, dopo una brillante e rapida carriera, capo della polizia dal governo D’Alema il 26 maggio 2000 e confermato un anno dopo dall’esecutivo guidato da Berlusconi. Durante la sua direzione la polizia ha inanellato una serie di successi: tra gli ultimi gli arresti delle nuove colonne brigatiste e quello del boss dei boss Bernardo Provenzano. Il prefetto è ancora lontano dalla pensione, ad agosto compirà 59 anni, ma la sua permanenza al Viminale oltre i sette anni corrispondenti alla durata del mandato del presidente della Repubblica è sembrata troppo a molti. Ma nessuno intende perdere una professionalità d’eccellenza come quella di Gianni De Gennaro. Per lui si è parlato molto dell’incarico di «zar» dell’intelligence sul modello americano ma la riforma dei servizi segreti si è arenata nell’immobilismo del Parlamento. In attesa di dirigere gli 007, De Gennaro potrebbe emigrare all’estero. Nelle intenzioni c’è la nomina a capo dell’Europol, il direttorato di polizia dell’Unione europea, con sede all’Aja, che per la prima volta verrà assegnato all’Italia. Le strutture europee anti-crimine e antiterrorismo sono in fase di espansione. E ad esse potrebbe aggiungersi anche la nuova struttura di «intelligence integrata» cui sta lavorando il commissario Ue Franco Frattini. Quando la riforma della nostra intelligence sarà varata rientreranno in gioco anche figure come il generale Del Vecchio la cui esperienza nei teatri internazionali potrà tornare utile.
MAURIZIO PICCIRILLI

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Il declino dell’Unione

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Prima il Pd, poi Visco
Così Prodi tura due falle “temporaneamente”
Avvicendamento alla Gdf, via la delega al viceministro. Intanto Veltroni e Rutelli si preparano per il dopo

Basterà aver revocato “temporaneamente” a Vincenzo Visco le deleghe che fino a ieri gli consentivano di controllare la Guardia di finanza, con il conseguente avvicendamento ai vertici delle Fiamme gialle? Ieri nella maggioranza si diceva che, a forza di mescolare diagnosi sul Partito democratico e improvvisare terapie sui mali del governo, c’era perfino il rischio che la riunione plenaria della mattina si concludesse in un collasso. Il lessico ospedaliero utilizzato dai protagonisti segnala più d’un cattivo presentimento. Al termine del faccia faccia con i leader dell’Unione, Clemente Mastella declamava un bollettino sanitario: “Era importante vedere se c’era o non c’era più la coalizione: constato che non c’è stata la dichiarazione di morte”. Dopo aver valutato la batosta delle amministrative e avviato la pratica Visco a conclusione (temporanea), la maggioranza ha dissotterrato i buoni propositi di rilanciare la propria azione di governo. Un comunicato di Palazzo Chigi certifica l’esigenza di “accelerare alcuni progetti di riforma, come le pensioni e le leggi sul lavoro e sulla competitività, valorizzando il principio della collegialità”. Sullo sfondo c’è pure un Dpef la cui genericità, unita all’extragettito disponibile, dovrebbe facilitare la navigazione. Ma Prodi si avvia a ricalcare uno schema logorante già conosciuto nella scorsa legislatura, quello di una verifica permanente addolcita dalla promessa di collegialità. Lo stesso schema con il quale è avvizzito l’ultimo tratto del precedente governo. Con la differenza che Prodi è al primo anno di messa alla prova: la disputa intorno al Pd, oltre al precipizio tra esecutivo e senso comune scavato intorno al caso Visco, può ancora inghiottire l’Unione.
IL FOGLIO

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Al G8 tedesco il vero problema ambientale è la Russia di Putin

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Bush ha annunciato una svolta sul clima, Merkel: “Presa di posizione importante”. Mosca minaccia il veto sul Kosovo

La svolta annunciata da George W. Bush sul surriscaldamento globale apre la strada a un successo parziale del G8 del 6 giugno a Heiligendamm in Germania. Il clima è la priorità numero uno del Vertice sotto presidenza tedesca e la cancelliera Angela Merkel ha definito “una presa di posizione importante” l’apertura del presidente americano su “un nuovo quadro” per tagliare le emissioni dopo Kyoto. Ma i leader del mondo hanno un più grave problema ambientale: la nuova Russia di Vladimir Putin, le cui relazioni con l’occidente hanno raggiunto temperature da Guerra fredda. Giovedì sera a Potsdam, ricevendo un premio da Helmut Kohl, il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, lo ha detto con una chiarezza inusuale: “Vogliamo una Russia forte nel senso del ventunesimo secolo. Ma, per ora, la Russia sembra pensare e agire nei termini di un’altra era”.
L’ultimo disaccordo è lo status del Kosovo. Ieri Mosca ha annunciato il veto alla risoluzione presentata da Stati Uniti, Francia e Regno Unito al Consiglio di sicurezza dell’Onu e che gli americani vorrebbero mettere ai voti la prossima settimana. “La nuova variante del progetto non ci va bene”, ha dichiarato il portavoce del ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov. L’indipendenza supervisionata del Kosovo è l’ultima di una serie di controversie che hanno congelato le relazioni tra occidentali e Russia. L’uso delle risorse energetiche come strumento di ricatto verso i paesi vicini, l’ostruzionismo sul programma nucleare dell’Iran e le minacce militari contro gli europei che ospiteranno lo scudo missilistico statunitense hanno indotto la Casa Bianca a interrompere l’acquiescenza del dopo 11 settembre 2001.
Bush ha invitato Putin a trascorrere qualche giorno nella sua residenza di famiglia nel Maine in luglio, ma l’ampio risalto dato dalla Casa Bianca giovedì a un duro attacco di David Kramer, vicesegretario di stato per l’Europa, contro la prepotenza russa è un segnale delle intenzioni del presidente. Bush “non si asterrà dal criticare il governo russo”, spiegano funzionari dell’Amministrazione. A differenza di Washington, l’Europa esita sull’approccio da tenere nei confronti di Putin. “L’Ue non ha nessuna strategia per questa nuova Russia”, spiega Oksana Antonenko, dell’International Institute for Strategic Studies di Londra. Gli europei, invitando nel 1998 un paese in transizione a entrare nel G8, speravano di pilotare Mosca verso un futuro di valori politici ed economici comuni. Oggi la situazione si è rovesciata: la Russia è una potenza energetica che, attraverso i suoi contratti di gas, condiziona la politica dei singoli paesi europei, divisi tra loro per contendersene i favori. Accade con i socialdemocratici tedeschi, il cui ministro degli Esteri, Frank Walter Steinmeier, conduce una Ostpolitik molto amichevole in continuità con l’ex cancelliere Gerhard Schröder. Accade con il governo italiano, subordinato agli accordi di cooperazione decennale tra Eni e Gazprom.


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Cacciare il comandante della Gdf per evitare un voto, brutto precedente

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Romano Prodi ha chiesto al vertice dei segretari dei partiti della maggioranza il mandato per chiudere la vicenda che ha al centro le polemiche sulle pressioni che il viceministro Vincenzo Visco avrebbe esercitato l’anno scorso per far trasferire alcuni ufficiali della Guardia di finanza dalla sede milanese. Il modo che ha seguito per sciogliere, o per cercare di sciogliere, il nodo è un esempio da manuale di come non si deve comportare un uomo di stato. L’interesse pubblico in questa vicenda è evidentemente quello di fare chiarezza, in modo da fugare la sensazione che un importante membro del governo abbia usato di delicatissimi poteri per una meschina vendetta di partito, oppure che il massimo esponente di un corpo dello stato, il comandante generale delle Fiamme gialle, Roberto Speciale, abbia mentito ai magistrati per danneggiare il suo superiore politico. L’interesse di Prodi, invece, era solo quello di evitare il rischio di una sconfitta nella votazione delle mozioni sulla vicenda nella seduta del Senato di mercoledì prossimo.
Naturalmente l’interesse politico del presidente del Consiglio ha prevalso sull’interesse pubblico, e così si è imposto a Visco di rinunciare “spontaneamente” e soprattutto temporaneamente alla delega sulla Guardia di finanza, dandogli “in cambio” la destituzione, ovviamente del tutto immotivata, del comandante generale delle Fiamme gialle. Così con un atto di prepotenza senza precedenti (e che non è escluso che faccia la stessa fine della destituzione del rappresentante del Tesoro nel consiglio Rai, sospeso da una delibera del Tar) che suona oltraggio a un corpo dello stato, si è bilanciata una rinuncia richiesta a Visco che, se ingiustificata, è altrettanto arrogante. Che cosa ha guadagnato Prodi da questo blitz? Forse la sicurezza di non andare in minoranza tra dieci giorni. Ma nella maggioranza oggi tutti sanno che basta che mezza dozzina di senatori minaccino la dissidenza perché Prodi sia costretto a operazioni al limite dell’incredibile. E’ un esempio che, è facile prevederlo, troverà molti imitatori. Quello che bisognerebbe evitare è che per evitare di cadere nelle numerosissime trappole che si stanno apprestando sul suo percorso finale, Prodi produca altri danni istituzionali. Destituire il comandante generale della Guardia di finanza per recuperare due o tre voti al Senato è un esempio di questi sfregi alle istituzioni che potrebbero, anch’essi, ripetersi.
IL FOGLIO

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Il freno all’Authority

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

La legge limita i poteri dell’autorità sull’energia, e la magistratura si incunea


Il garante dell’energia Alessandro Ortis, nell’audizione alla Commissione affari costituzionali del Senato, sulla riforma delle autorità di vigilanza dei mercati, ha dichiarato che il suo organismo sta considerando di aprire un’indagine conoscitiva sulla presunta truffa del gas, per verificare il rispetto delle norme di sua competenza. Ha aggiunto che sta già collaborando con la magistratura nell’indagine giudiziaria che, come è noto, ipotizza eventuali reati di truffa, che potrebbero essere stati compiuti da società Eni e da Aem. Ciò con riguardo alle bollette inviate ai consumatori, in relazione ai contatori del gas, che potrebbero essere tarati male, ma anche con riguardo a eventuali perdite nel trasporto del gas che comporterebbero violazioni delle imposte di fabbricazione, in quanto si potrebbe trattare di prodotto che doveva essere sottoposto al tributo, ma lo avrebbe evaso. In Italia l’autorità per l’energia per legge può solo verificare le norme procedurali su controlli, ma non ha poteri né sulle caratteristiche degli strumenti di misurazione (cioè i contatori), né sui controlli su questi stessi strumenti. I controlli spettano per legge al ministero per lo Sviluppo economico e alle camere di commercio. In un paese normale dovrebbero essere le autorità di controllo del mercato a verificare se i contatori del consumo sono adeguati e perciò le regolamentazioni vengono rispettate. E sono sempre tali autorità, assieme a quella fiscale che, con riguardo ai prodotti energetici (o ad altri, a esempio nelle comunicazioni) accertano quanto sia il quantitativo che viene prodotto o importato, quello immesso nelle reti, quello destinato agli usi finali, per valutare la situazione degli approvvigionamenti e il rispetto delle regole del mercato e tributarie. Dopo che tali indagini sono state effettuate può eventualmente scattare una iniziativa del giudice penale, rivolta a stabilire se ci sono, o meno reati. Con questa sequenza, se tutto è regolare si evita di aprire un’indagine giudiziaria, la cui notizia di per sé ha ripercussioni in borsa. Si risparmiano, così, costi e mezzi della giustizia penale. E si tutelerebbe meglio il diritto delle imprese e dei manager alla propria reputazione.

IL FOGLIO

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Il carcere di al Qaida e Abu Ghraib

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Se non c’è la firma americana, la tortura non vale la pubblicazione

Pochi giorni fa i marine hanno liberato 41 prigionieri da un carcere di al Qaida a Baquba, tutti civili iracheni con segni di tortura. Il Pentagono ha diffuso il manuale usato dai terroristi: mani trapanate, avambracci tranciati, corpi trascinati con le auto, bulbi oculari estratti, gente appesa per i piedi, frustate, scosse elettriche sul torace, crani schiacciati, bruciature di sigarette e così via. A otto giorni dalla liberazione degli schiavi di al Qaida, non l’Abc, non la Cbs, non la Cnn, non il New York Times o il Washington Post, hanno pubblicato una sola di quelle foto. Non si può fare a meno di notarlo, questo silenzio vergognoso, pensando alle seimila storie che i giornali americani dedicarono ad Abu Ghraib. Il presidente Bush nel 2004 si disse “disgustato” dai suoi soldati. Amnesty International, lauta di paragoni fra Guantanamo e il Gulag, è rimasta silenziosa. Nessuno dimenticherà l’ammasso di corpi nudi fotografati dall’agente penitenziario sadico. Tra un anno nessuno ricorderà la schiena tumefatta del bambino iracheno che al Qaida ha tenuto incatenato per settimane come un cane. Il Manifesto spalmò su tutta la prima pagina l’immagine di una carceriera di Abu Ghraib. Ma ora glissa sulle torture di al Qaida. Per lo stesso motivo lo star system di Hollywood non ha mai speso una sola parola per Theo van Gogh. Per lo stesso motivo il giornalista collettivo è stato omertoso su un altro gancio al quale altri carnefici iracheni appendevano le loro vittime. Quello di Uday Hussein. Le foto di Abu Ghraib sono diventate merda d’artista. Quelle di Baquba andremo a cercarle con il lumicino su Internet. Perché i marine che hanno scarcerato quegli iracheni sono gli stessi che hanno abbattuto la statua di Saddam e la sua banda di torturatori, che hanno giudicato i militari di Abu Ghraib e liberato milioni di musulmani. Gli americani ci sono scesi, a costo della loro vita, nelle fogne di Baquba per salvare quegli innocenti; i liberal vivono immersi nella latrina dell’indifferenza. Se non c’è la firma americana, la tortura non vale la pubblicazione.
IL FOGLIO


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Reintegrare immediatamente il Generale Speciale

>>Da: Paolo
Messaggio 1 della discussione
E' in corso una petizione online per reintegrare il generale Speciale:
http://www.petition<WBR>online.com/<WBR>Speciale/<WBR>petition.<WBR>html

MSN Gruppi

unread,
Jun 4, 2007, 6:43:17 AM6/4/07
to Club azzurro la clessidra & friends
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Rapporto quotidiano dei messaggi in Club azzurro la clessidra & friends

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Nuovi messaggi di oggi
Se vuoi rispondere, visita la bacheca del gruppo.
http://groups.msn.com/Clubazzurrolaclessidrafriends/messageboard

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Una sinistra di televisione e di governo che fa schifo a se stessa

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione
di Carlo Panella

C'è un'evidente parallelismo tra l'ignobile sceneggiata che da quattro giorni vede impegnati i vertici dell'Unione e farsi sgambetto l'uno con l'altro per il comando e la trasmissione di Santoro sulla pedofilia. Stessa matrice culturale, stesso spessore, stessa spregiudicatezza, stessa fine. Agli uni e all'altro -il conduttore biondo- non interessano nulla i progetti, le strategie di respiro, quel di più che rende la politica -che è sempre e deve essere ''merda e sangue''- un arte utile, se non nobile, per il vivere comune.

Agli uni e all'altro, interessa solo lo share di una serata, il successzo effimero, ottenuto anche diffamando, anche usando materiale giornalistico di scarto, come è quello della Bbc. Santoro ha fatto 5 milioni di spettatori, tanto basta. Prodi ha fatto tredici mesi di governo, tanto basta. Il ''giorno dopo'' di Santoro non è la certezza di un seme sparso nella coscienza dei suoi spettatori che la renda un po' più aggiornata, critica, sull'orrore della pedofilia. No, è solo spazzatura mandata a piene mani sulla Chiesa e sul pontefice in persona.

Il ''giorno dopo'' di Prodi è ancora peggio, è il piccolo cabotaggio, sono i voti demenzialmente irrisi (a proposito, il grande vincitore dell'Unione ad Agrigento, ora passa al centrodestra), le braghe calate, ancora una volta, da Bersani a fronte della protesta dei tassisti, le tirate d'orecchio di Draghi, l'orrore tragicomico della tracotanze di Visco e della sua incapacità a proporsi con un minimo di decenza. Al livello più basso di Striscia la Notizia.

L'uno e gli altri stanno dimostrando una capacità diabolica di spargere nel paese -il loro maestro fu Leoluca Orlando- i miasmi dell'insinuazione, del gioco sporco, delle sparate grosse, della lapidazione dell'avversario con un gioco di specchi di indizi falsi.

Il loro problema, il problema di quelli dell'Unione, è che stanno intossicando, assieme al paese, anche la propria base elettorale, che questa se ne è accorta, e che si sta rivoltando.

Una sinistra che inizia a fare schifo a se stessa è una novità assoluta in Europa, i postcomunisti e gli ex sinistri della Dc sono riusciti a metteral in scena.

Pernacchie.

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Prodi al capolinea

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione
La crisi a mezzo stampa

di Arturo Diaconale


Pollice verso nei confronti di Romano Prodi e del suo governo. I due più grandi giornali italiani hanno emesso la loro sentenza di condanna nei riguardi del Presidente del Consiglio. Ma non solo. Consapevoli che per rimuovere Prodi è necessario presentare una alternativa credibile alla sua leadership sul centro sinistra e sul futuro Partito Democratico, si sono anche preoccupati di individuare il sostituto: Walter Veltroni. E da adesso in poi è facile prevedere che su binari paralleli Corriere della Sera e Repubblica porteranno avanti questa campagna diretta a separare la sorte del governo da quella del Pd ed a sacrificare Prodi a vantaggio di Veltroni per salvare il progetto dell'unificazione tra Ds e Margherita. L'iniziativa concomitante dei due grandi quotidiani sembra fatta apposta per alimentare le più svariate dietrologie. A partire da quella che vede nel tentativo di spazzare via Prodi ed il suo governo il frutto di un complotto elaborato dai poteri forti irritati e delusi del fallimento di una coalizione governativa su cui gli stessi poteri avevano a suo tempo puntato. E' possibile che queste ipotesi abbiano fondamento. Pensare male sarà pure un peccato ma spesso aiuta a capire. Ma il punto non è questo.

E' normale che i grandi giornali facciano gli interessi dei rispettivi proprietari. Non è normale, invece, che una intera area politica ricca di leader, di strutture e di tradizioni si faccia tracciare dai poteri forti e dai loro giornali la strada da percorrere ed il risultato da conseguire. Se questo avviene non è per protervia dei giornalisti, dei banchieri, degli imprenditori e dei finanzieri. E' solo per l'incredibile debolezza dell'area politica in questione e dei suoi presunti leader. Non è solo Romano Prodi, infatti, ad apparire talmente debole da essere costretto ad incassare senza possibilità di reazione gli avvisi di sfratto inviati a mezzo stampa dal Corriere della Sera e da Repubblica. Sono deboli tutti gli altro soggetti del centro sinistra che subiscono o tentano di cavalcare l'iniziativa. E' debolissimo lo stesso sostituto designato Walter Veltroni, che in questo modo assume il ruolo di semplice fenomeno mediatico nelle mani dei suoi inventori. Ed è, in definitiva, inesistente in termini politici e culturali una sinistra che in questo momento segna il punto più basso della propria parabola. In queste condizioni la crisi è nei fatti. Non quella della politica in generale, come aveva tentato di spacciare Massimo D'Alema. Ma quella del governo e della sua area politica di riferimento.


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La lotta contro Al Qaeda in Iraq

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
La guerra non è persa

di Stefano Magni


J. D. Johannes, ex sottoufficiale dei Marine, produttore televisivo e documentarista, è stato più volte in Iraq come reporter “embedded” assieme alle truppe della Coalizione. I suoi articoli, scritti e spediti direttamente dalla prima linea, smentiscono una serie di luoghi comuni sul conflitto in corso. Ad esempio quello secondo cui il sostegno del governo Maliki (sciita) da parte degli Americani stia generando una generale fuga dei sunniti sotto le bandiere di Al Qaeda per combattere contro le forze della Coalizione. Johannes, come altri reporter prima di lui, fanno notare come la realtà sul terreno sia proprio l’opposto: Al Qaeda sta alienandosi la simpatia della popolazione sunnita, perché i suoi uomini si comportano ovunque come dei macellai, non solo nei confronti delle forze della Coalizione, ma anche e soprattutto nei confronti dei civili. Da mesi, ormai, nella provincia di Al Anbar, nuove milizie sunnite stanno combattendo una lotta senza esclusione di colpi contro Al Qaeda e al fianco delle forze della Coalizione.

Il caso citato nell’ultimo reportage di Johannes è particolarmente significativo. Un ex alto ufficiale dell’aviazione di Saddam Hussein, il generale Sadoon, comprensibilmente ostile agli Americani e vicino alla causa di Al Qaeda, ha fatto il salto della barricata assieme a tutto il suo clan e al suo villaggio natale, Shiabi, iniziando a combattere contro le milizie quaediste. Alla fine dell’anno scorso, nel dicembre del 2006, il villaggio di Shiabi, così come tanti altri della regione di Al Anbar, ha respinto un ultimatum di Al Qaeda: “Non ci proponevano un futuro” - spiega Sadoon - “Tutto quello che Al Qaeda aveva da offrire era la morte. Ho detto loro che li avrei combattuti e da quel momento è stata guerra”. Il singolo caso della battaglia attorno al villaggio di Shiabi è esemplare perché permette di capire che la guerra contro il terrorismo jihadista è ancora tutta da combattere. E che non è affatto persa. Anche “i cuori e le menti” degli Iracheni sono ancora contesi, non sono irrimediabilmente perduti alla causa della Coalizione.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Secondo Johannes: “Al Qaeda non sta nemmeno provando a vincere la guerra sul terreno.
Sta cercando di vincere la battaglia nei media”. Al Qaeda vince se riesce a diffondere l’idea che l’Iraq sia solo un “pantano” senza alcuna possibilità di vittoria per la Coalizione. E, soprattutto, vince se l’opinione pubblica occidentale inizia a considerare quella guerra del tutto inutile. Quando il fronte è così lontano è facile sottovalutare la posta in gioco. Più della metà degli Americani e soprattutto la maggioranza schiacciante degli Europei vivono la guerra in Iraq come un’impresa coloniale ormai fallita, voluta dal solo Bush. Non ci si rende conto che l’Iraq (già da prima della campagna del 2003) è il fronte principale della guerra contro Al Qaeda. E che la rete terroristica creata da Bin Laden è ancora in grado di minacciare direttamente la sicurezza degli Americani e degli Europei. Il 23 maggio scorso, per esempio, Bush ha diffuso una notizia del 2005: la distruzione di una cellula terroristica che, dall’Iraq, stava pianificando un attacco contro Wall Street. “Bin Laden vuole la vittoria in Iraq per trasformarlo in un covo di terroristi” - ha dichiarato Bush in quell’occasione - “Per questo la vittoria è vitale per gli Stati Uniti”.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Un nuovo studio su Al Qaeda, “The day of Islam” di Paul Williams (che proprio in questi giorni viene distribuito nelle librerie degli Stati Uniti), rivela le dimensioni dell’attuale minaccia terroristica: anche dopo l’11 settembre l’organizzazione di Bin Laden non ha rinunciato ai suoi piani e vuole ancora dotarsi di armi di distruzione di massa. Il regime di Teheran può essere diventato parte dello stesso gioco, alleandosi con Al Qaeda (che pure è un’organizzazione sunnita, teoricamente nemica dello sciismo iraniano) per sconfiggere gli Stati Uniti e Israele. L’obiettivo finale di Al Qaeda non può essere sottovalutato. Il peggio che ci può capitare non è una “bomba sporca” fatta scoppiare in una stazione e neppure l’esplosione di una singola bomba atomica in territorio americano, ma la detonazione simultanea di ben sette ordigni nucleari in altrettante città statunitensi, presumibilmente (secondo Williams): New York, Washington, Las Vegas, Miami, Boston, Houston e Los Angeles.

Lo scopo di questo vero e proprio “armageddon” nucleare è la realizzazione del “giorno dell’Islam”, l’obiettivo di tutti i movimenti radicali islamici, il momento in cui “il Grande Satana sarà costretto ad inginocchiarsi”. Detto così sembra solo la trama ingenua di un brutto film del terrore. Ma prima dell’11 settembre, si sarebbe detto la stessa cosa della prospettiva di attacchi kamikaze (condotti con grandi aerei passeggeri dirottati) contro le Torri Gemelle e il Pentagono. Vale la pena di sottovalutare il pericolo per smettere di combattere Al Qaeda in Iraq e sugli altri fronti?


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Corriere e Repubblica sfrattano Romano Prodi

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Paolo Mieli si fa intervistare da Gad Lerner su “la7” ma non tranquillizza proprio per niente l’esecutivo in carica

di Dimitri Buffa


C’è poco da girare intorno alle cose: ieri in simultanea “Repubblica” e “Corriere della sera”, rispettivamente con un sondaggio sul futuro leader del partito democratico e con un pensoso editoriale dell’ex ambasciatore Sergio Romano, hanno dato il preavviso di sfratto da palazzo Chigi al professor Mortadella. Naturalmente è stata usata molta vasellina e molta ipocrisia ma la sostanza delle cose è questa. La sera precedente su “la7”, nell’ultima puntata stagionale de “L’infedele”, Paolo Mieli si era profuso in rassicurazioni con l’intervistatore Gad Lerner (a proposito ma se la politica è una casta autoreferenziale, il giornalismo a certi livelli invece cosa è?, ndr) che chiedeva se era vero che il “Corriere” avesse nel mirino Romano Prodi. Poi il giorno dopo il Professore, che già non aveva alcun motivo per sentirsi sicuro, leggeva che Sergio Romano gli chiedeva un passo indietro e che nelle preferenze dei lettori di “Repubblica” non superava il 5% come possibile futuro capo del Partito democratico, a fronte di un 46% in dote al sindaco di Roma Walter Veltroni, e cominciava a fare due più due. D’altronde già nella serata di mercoledì, mentre Lerner mandava in onda l’intervista al caminetto con il suo ex sodale Mieli, Prodi se la vedeva brutta con gli infidi alleati della propria maggioranza e solo per miracolo riusciva a evitare una crisi nella notte.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
E a proposito di succitata intervista, Prodi si sarebbe dovuto sentire rassicurato da questa frase di Mieli, secondo Lerner: “Noi abbiamo fatto una critica ma non abbiamo dato un avviso di sfratto. C’è differenza. Quando si fa un avviso di sfratto lo si fa apertis verbis: il giorno in cui dovessi dire ‘questo governo se ne deve andare’ lo direi proprio così: ‘questo governo se ne deve andare’..”
“Liberazione” definisce invece il “Corriere” come un partito che vuole mandare via Prodi perché in pratica non è riuscito a combinare un beneamato in questo anno di governo. Mieli nega e usa un linguaggio a metà tra quello del “family day” e quello di don Vito Corleone, con inusitati riferimenti al più che abusato istituto della “famiglia”. “Il Corriere della Sera – secondo Mieli - è una grande famiglia dove convivono opinionisti, giornalisti, azionisti di diverso orientamento ma con il senso di appartenere a una comunità, il cui minimo comune denominatore è stato in queste settimane, in questi mesi, di avvertire il centro sinistra e il presidente del consiglio che la situazione si sta complicando”. Ergo? “Gli azionisti - ha proseguito Mieli - sono riusciti sino ad oggi a fare famiglia dentro il Corriere..


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Cosa vuol dire fare famiglia? Vuol dire che pur essendo qualcuno più amico di Prodi, qualcun’altro più amico di Mastella, qualcun’altro più amico di qualcun’altro ancora, si riesce a conservare un minimo comune denominatore per cui le loro posizioni, il loro stare al mondo, lo dico da osservatore, è componibile: stare in questa famiglia significa rinunciare a trasformare in guerre di religione le differenze, le diversità e trovare una misura della composizione.” Ma “famiglia”, in questa accezione, non vuol dire anche un po’ “partito” come sostiene “Liberazione”? O peggio ancora “lobby”, come crede mezza Italia? Mieli giura di no. Ma è un dettaglio. Sia come sia, per Prodi le cose cambiano poco, se il “Corriere” sia da considerarsi una famiglia o un partito o una “lobby” di affari. E lo stesso dicasi per l’altro polo editoriale, quello di Scalfari, Mauro e De Benedetti. Se nello stesso giorno il principale editorialista del più letto giornale italiano ti dice che hai sbagliato tutto e che sarebbe meglio che passassi la mano e il suo diretto concorrente ti pubblica un sondaggio in cui gli italiani fanno finta di neanche conoscerti, lungi dal “riconoscerti”, significa che anche cambiando la terminologia il prodotto non cambia. E che il tuo destino, caro Prodi, sembra ormai essere segnato.

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Passato un anno, le liberalizzazioni non partono

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Bersani? Aspetta ancora il taxi...

di Davide Giacalone


Da poco meno di un anno il decreto Bersani, a sentire l’autore ed i tanti che lo ripetono, Presidente del Consiglio in testa, avrebbe introdotto importanti liberalizzazioni, e fra queste anche quella nel mercato dei taxi. La liberalizzazione non riguardò le tariffe, ma le licenze, quindi il numero di auto bianche a disposizione dei cittadini. Ci furono proteste, gli esponenti dell’opposizione si fecero fotografare accanto ai tassisti in rivolta e noi, invece, poveri illusi, difendemmo l’idea di Bersani. Certo, non è che fosse bello cominciare a liberalizzare dai taxi, ma, insomma, l’importante era cominciare. E’ passato quasi un anno e non è cambiato nulla, anche perché Bersani dovette accorgersi che a causa della riforma del titolo quinto della Costituzione, da lui stesso votata, assieme all’intera coalizione di cui fa parte, la cosa non era neanche di sua competenza. I taxi non sono aumentati, nelle grandi città si fa comunque la fila e se piove una macchina pubblica diventa un miraggio. Fra amici ci si scambia, con fare carbonaro, i numeri riservati dei radio taxi, quelli con cui è possibile interloquire quando i reclamizzati centralini ti fanno rispondere dalla musica e dalla richiesta d’attendere il giorno successivo.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Bene, anzi, male. Ora si è tornati alla stagione del caldo e, da capo, il governo vuole liberalizzare qualche cosa che abbia a che vedere con i taxi. Ma non lo avevano già fatto? No, appunto. Adesso si discute dell’ipotesi d’introdurre figure terze, che non si sa esattamente cosa siano, che forse sono pensate per i disabili, ma, sempre forse, potrebbero anche creare alternative ai taxi. Ed i tassisti protestano, scioperano, sfilano e bloccano il traffico. Il governo risponde loro che sarà meglio dialogare, posponendo in coda la norma contestata. Quindi se ne riparlerà più avanti. Insomma, non solo l’infermiere ha la mano tremula ed infila l’ago a poco a poco, martoriandoti la chiappa, ma, per giunta, la siringa è vuota, priva d’ogni effetto benefico. Già ci deliziamo con i gay pride, dove compaiono anche omoni in lattex, non resta che candidarsi anche per il sadomaso pride.


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Nuove tensioni Usa-Russia : un film già visto?

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Giovanni Calabresi

Questi primi anni del terzo millennio si stanno caratterizzando sul piano delle relazioni internazionali come portatori di nuove minacce che vanno oltre il fantasma del terrorismo internazionale. Se è vero che quest'ultimo rimane sullo sfondo e rappresenta la criticità numero uno relativamente ai conflitti armati in corso, sia ad alta che a bassa intensità - basti pensare all'Iraq e all'Afghanistan - è altrettanto vero che altri spettri si stanno materializzando, soprattutto nel contesto politico-diplomatico. E' inutile e dannoso nascondere la testa sotto la sabbia di fronte ad una recrudescenza della tensione nei rapporti diplomatici Est-Ovest, Usa-Russia.

La caduta del muro di Berlino nell''89 ha condotto alla chiusura alla fase bipolare della politica internazionale dando il via ad una nuova era che come qualcuno ha scritto, può essere definita multi-unipolare. Se da una parte, infatti, si è attraversata una fase di «riarmonizzazione della potenza», con un fenomeno di livellamento delle identità politiche nazionali, come effetto del venir meno della guerra fredda e del conseguente superamento degli steccati e delle alleanze forzate, dall'altra, i nuovi «nazionalismi» e l'«etnismo» identitario hanno portato a nuove tensioni, complice l'identità religiosa islamista-integralista. All'interno di questo nuovo scenario mondiale caratterizzato dal superamento dei confini economici-finanziari, oltre che culturali, gli Usa hanno recitato e continuano a recitare il ruolo di potenza unica sia sul piano economico, che su quello militare, assumendo le sembianze di una nuova forza pseudo-imperialista.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Il concetto di imperialismo si aggiorna e, perdendo le sue connotazioni politiche e giuridiche del passato, legate al totalitarismo e all'emanazione di un sistema legislativo valido erga omnes per le nazioni conquistate, assume una valenza moderna e positiva, totalmente culturale ed economicistica, che si concretizza attraverso l'esportazione di un modello di way of life liberaldemocratico e di liberismo economico. Il tutto, affiancato da una nuova forma di monopolio della forza, che è caratterizzato sia dal possesso dei sistemi d'arma più moderni e sofisticati, che dalla proiezione di potenza, facilitata dalla superiorità economica degli Usa. Una proiezione in chiave difensiva, come quella relativa al posizionamento dei sistemi anti-missile, contro eventuali attacchi da parte del terrorismo o di stati canaglia ad esso presumibilmente legati, come l'Iran o come la Corea, che arriva oltre i confini dell'antico blocco occidentale ed approda nei Paesi dell'ex blocco sovietico. Questa power projection in versione antiterroristica finisce per risvegliare il vecchio orgoglio della Russia post-sovietica, che afferma di correre ai ripari, con il rischio dell'innesco di una nuova escalation, nella corsa agli armamenti, questa volta deideologizzata. Non più, quindi, due mondi contrapposti, liberalismo e democrazia contro totalitarismo sovietico e pianificazione economica, ma due «forze neutre ideologicamente» potenzialmente confliggenti, perché vittime della necessità di dimostrare ossessivamente la propria identità politico-militare.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Ecco che si risvegliano i mostri che sembravano addormentati per sempre e si fa appello agli antichi strumenti di armonizzazione della potenza, come i Trattati del maggio 1972 (Anti-balistic missil Treaty) dal quale gli Usa si sono ritirati nel 2001, ritenendolo obsoleto ed inutile e quello sulle forze convenzionali (CFE), con la sua versione del CFE «Adattato» del 1999, non ratificato dalle nazioni occidentali, tutti accordi, quindi, periodicamente aggiornati, ma costantemente disattesi. Ed ecco le accuse reciproche di venir meno a tali trattati ed agreement in nome di una presunta smania di potenza. Da una parte, il nuovo zarismo post-comunista, inaugurato da Boris Eltsin e portato avanti da Vladimir Putin; dall'altra l' «espansionismo difensivo americano» . Unico collante tra i due attori internazionali, la volontà di combattere il fantasma del terrorismo islamista qaedista. Ma su uno dei piatti della bilancia, per capire l'attuale situazione, bisogna posizionare il terrorismo e valutarne la forza di controbilanciare, sull'altro piatto, gli elementi di divisione, quali gli indipendentismi nazionalistici, difesi dagli Usa e soffocati dalla Russia, vedi la Cecenia e le nuove identità nascenti dell'area balcanica, come il Kossovo e l'elemento tattico-militare, cioè il vero e proprio posizionamento in Europa delle armi convenzionali ed atomiche Usa e la sperimentazione dei nuovi missili strategici a testata mirvizzata RS-24 da parte della Russia. In pratica, cambiano i tempi, ma non le direttrici lungo le quali si svolge la dialettica politico-militare fra le grandi potenze... un'eterna partita a scacchi.

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L'iper-presidente

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di Gabriele Cazzulini

Asso pigliatutto. Sarkozy si prepara a ripulire il tavolo con le elezioni parlamentari del prossimo fine settimana. Dopo il virile trionfo presidenziale, il rinnovo dell'Assemblea nazionale sembrava caduto nella penombra del gigante dell'Eliseo. Invece il presidente esce dalle raffinatezze dell'Eliseo per sporcarsi le mani facendo campagna elettorale in prima persona. Più che mai le carte giuste sono in mano a Sarkozy, che non ha bisogno di bluffare. Includere due socialisti, un centrista e un indipendente nel suo nuovo governo, che ha già sovvertito l'ortodossia gollista, non è una trovata estemporanea o un'acrobatica manovra di potere per mettere i sacchi di sabbia all'Eliseo e stipulare una polizza assicurativa per i prossimi cinque anni - naturalmente rinnovabili per altri cinque. I pronostici scommettono pesante su una vittoria travolgente dell'Ump, spingendosi ad assegnare alla destra una maggioranza tra 410 e 430 deputati su un totale di 577 - con i socialisti miniaturizzati ad un quarto della forza della destra. Quanto a Bayrou, la bolla neocentrista si è sgonfiata al punto che il suo nuovo partitino, il Movimento Democratico nato dalla scissione dall'Udf alleata con l'Ump, non dovrebbe smuovere più di sei deputati.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Sarkozy il presidente iperattivo, quindi un iper-presidente. Prima ancora di avere di fronte il nuovo parlamento ha già nominato il primo ministro. E' stata la prima sberla mollata agli ultimi difensori dell'ambiguo parlamentarismo francese, maschera poco convincente appoggiata sopra ad una storica vocazione al cesarismo bonapartista. La seconda sberla è proprio per il nuovo primo ministro. L'iperattivismo di Sarkozy è un chiaro invito per il suo primo ministro ad occuparsi di timbri e carte bollate - tutto il resto non si muove dalla scrivania del presidente. Sarkozy rompe con la tradizione di presidenti relegati nella gabbia dorata dell'Eliseo che scaricano su opachi primi ministri i fallimenti del governo. Ora è il presidente che governa supportato dal suo primo ministro. Il centro decisionale è unico ed è un nucleo saturo di autorità. Non è più un guscio vuoto in cui il primo ministro deve fronteggiare il parlamento e confrontarsi con la società sperando al massimo in una copertura morale del presidente nelle crisi più acute. Il presidente governa - ecco il primo articolo della nuova costituzione materiale francese. Addio ai guasti del parlamentarismo e benvenuta la leadership personale, che non teme le divisioni e i confronti, pratica la virtù quotidiana del decisionismo e getta nella pattumiera le ideologie e altri rottami del passato. Fine del quadretto bucolico.

Cosa resta? Un parlamento castrato e inghiottito nel ventre di un iper-presidente che ha assorbito in sé anche il primo ministro. Tre in uno. I partiti? Soprabiti usa e getta a seconda del clima politico. Al caldo dell'Eliseo, dell'Hotel Matignon e del Palais Bourbon non c'è bisogno di andare per strada con striscioni e megafoni. Lo farà la sinistra senza casa e senza potere, e sarà il marchio della sua sconfitta perché la strada è la patria dei perdenti. Per ora i francesi annuiscono soddisfatti - il 65% è contento di Sarkozy e il 62% di Fillon. C'è ancora spazio per la democrazia classica oppure anche lei è stata arruolata nella squadra al servizio dell'iper-presidente?

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Forza Italia e i delusi dalla sinistra

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Andrea Camaiora

Elezioni amministrative. La spallata c'è stata, eccome, ed è di fronte agli occhi di tutti. La sinistra, in crisi da mesi, è collassata definitivamente. Se a questo si aggiungono i motivi di fibrillazione quotidiani, come lo scontro Ds-Di Pietro sul caso Visco, si capisce che l'Unione è veramente nei guai. E non dà segni di recupero in vista dei ballottaggi, che rappresentano per il centrodestra l'occasione di segnare il risultato più importante. Il dato più significativo di queste elezioni è rappresentato dalla eccezionale astensione. L'affluenza alle urne è calata un po' dappertutto (fa eccezione il Nord, in particolare il Piemonte, dove l'appello al voto di Silvio Berlusconi ha prodotto una inusitata chiamata alle armi dei moderati) ma è stata incredibilmente significativa nelle regioni rosse, in particolare in Toscana, Emilia Romagna e Liguria, dove ha determinato un vero e proprio terremoto politico. Non si comprenderebbero altrimenti i ballottaggi di Genova e Pistoia, il pesantissimo arretramento della sinistra a La Spezia, il risultato decisamente positivo di Lucca e Parma. È la prima volta che il popolo della sinistra diserta così fortemente le urne: dove non riuscì Berlusconi potè, dunque, il portafoglio. Già le tasse e la delusione per il malgoverno di Prodi e compagni hanno prodotto in alcune realtà percentuali di astensione eccezionali, pari addirittura a 15-16 punti. Ciò è stato avvertito maggiormente nelle elezioni provinciali, meno sentite ma più politicizzate, che in quelle comunali. C'è dunque un rifiuto che in casi non rari si rivelerà definitivo di molte donne e uomini storicamente di sinistra, che non affideranno più il loro suffragio a questa sinistra.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Va però detto che Forza Italia ha generalmente aumentato i consensi. Chi lo rileva, tuttavia, deve tenere conto non del dato percentuale ma del cosiddetto «voto assoluto». Se consideriamo che in queste elezioni provinciali su 10 cittadini che hanno deciso di non votare 8-9 erano elettori dell'Unione e 1-2 della CdL, allora si può valutare oggettivamente l'aumento più o meno significativo di Forza Italia. In pratica, se nel 2002 la lista di Forza Italia aveva preso 100 voti con affluenza al 67% e oggi prende 100 voti con affluenza al 57%, la sua percentuale apparirà più alta, ma avremo raccolto il medesimo numero di voti. Se, invece, la crescita degli azzurri sarà stata anche solo di 10-15 voti, sarà il segno di un aumento importante e soprattutto reale, non frutto di artifici. La lettura dei numeri usciti dalle giornate del 27 e 28 maggio offre ulteriori riflessioni: Forza Italia si colloca (secondo un calcolo ponderato) attorno al 26% e quindi in aumento rispetto alle politiche. È quindi la prima volta che Forza Italia prende più voti di Berlusconi. In realtà ciò dimostra l'importanza dell'impegno diretto del presidente anche nelle elezioni locali. In secondo luogo è chiaro a tutti, anche ai commentatori politici più faziosi, che queste elezioni nel centrodestra sono state vinte ancora una volta esclusivamente da Berlusconi.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Ecco spiegato perché la sola forza politica che cresce è Forza Italia. L'aumento della Lega è dovuto a fattori congiunturali. Il primo: al Nord correvano quasi solo candidati sindaci o presidenti leghisti; il secondo: ora che si trova all'opposizione, la Lega può esprimersi meglio; il terzo: i leghisti hanno gioco facile ad intercettare anche un certo elettorato di sinistra di fronte ad un governo che non capisce niente della «questione settentrionale», che poi altro non è che una «questione modernità».

Il presidente Berlusconi ha dunque di fronte una grande opportunità. Lui, l'uomo nuovo della politica italiana, può lanciare un messaggio alle centinaia di migliaia di elettori delusi ed astenuti della sinistra. Che oggi non sono andati a votare ma che domani, almeno in parte, potrebbero scegliere proprio Forza Italia. Che, non dimentichiamolo, è già ora il partito preferito di un largo numero di operai, di gente umile, cioè di quel tessuto che la sinistra sostiene di voler rappresentare. Solo Forza Italia può raccogliere il consenso di un popolo orfano, quello appunto dell'astensione. E' importante farlo subito, perché tra i pochi a crescere vanno segnalati la sinistra radicale e Di Pietro, ossia l'estremismo e il populismo antipolitico. Non possiamo permetterci che questi italiani finiscano nelle loro mani. E' pertanto più che mai necessario un partito che sia davvero tale e che migliori le sue prestazioni nelle sfide locali. La percentuale media conseguita dagli azzurri alle comunali (18%) in quest'ultima tornata è sintomatica del fatto che moltissimo deve ancora essere fatto per radicare Forza Italia non tanto tra la gente quanto nella società. Il 18% alle elezioni amministrative, per un partito come Forza Italia, è una buona percentuale, ma che potrebbe aumentare mediamente di dieci punti se supportata da un serio, costruttivo e continuativo lavoro nel tempo.

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La disastrosa politica estera dell'Unione

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di Daniele Martino

Da quando Romano Prodi è a Palazzo Chigi, si è assistito ad un netto cambiamento nell'azione di politica estera rispetto al quinquennio di governo di Silvio Berlusconi. La parola d'ordine del nuovo esecutivo è stata una sola, e rappresenta la sintesi di tutti gli equilibrismi di cui è capace il centrosinistra: «Equivicinanza». Questo concetto è stato ed è foriero di una totale delegittimazione internazionale dell'Italia, che, dopo aver contato come mai prima durante il governo Berlusconi, ora si vede ridotto al rango di media potenza europea, con ripercussioni sia nei rapporti diplomatici internazionali sia per quanto riguarda lo sviluppo economico delle imprese, che oggi si sentono abbandonate a sé stesse negli Stati in cui hanno investito.

Il concetto di equivicinanza è, purtroppo, non una prerogativa del presidente del Consiglio, ma una costante politica di tutto il governo. Oltre a Prodi, soprattutto Massimo D'Alema (e pure Fausto Bertinotti, nelle sue occasionali sortite all'estero) assume lo status di «equivicino» in ogni situazione politica che si manifesti sulla scena internazionale. Il governo ha confuso, con effetti negativi su tutti i cittadini italiani, i concetti di dialogo e di diplomazia con le abitudini tipiche della sinistra: l'equilibrismo e l'incoerenza. In politica estera, invece, dopo aver dialogato con le parti in causa in ogni situazione, occorre prendere decisioni chiare e concrete, che talvolta possono essere impopolari. Un esempio di questa condotta è stato fornito dal governo Berlusconi, che all'estero è sempre stato visto come un esecutivo la cui posizione era limpida e conosciuta da tutti, cosa - questa - che lo ha reso un partner affidabile di molti Paesi, tra cui, soprattutto, gli Stati Uniti d'America.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Oggi, invece, nelle capitali internazionali l'Italia viene considerata un enigma. La sua posizione è sempre la stessa - l'equivicinanza - ma è tale da non permettere neppure l'inizio di un confronto o di un consulto con Roma. Prodi e D'Alema sono equivicini a Israele e ad Hamas, ai serbi e ai kosovari, agli Stati Uniti e al mondo arabo, all'Iran e all'Aiea, in una sorta di limbo istituzionale che svaluta la credibilità del Paese. L'ultima posizione emersa, vergognosa e indecente, è la proclamazione dell'equivicinanza dell'Italia nella questione dell'assassinio del premier libanese Rafiq Hariri, avvenuto a Beirut il 14 febbraio 2005. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha infatti disposto, il 29 maggio scorso, la costituzione di un tribunale internazionale per accertare le responsabilità di quel terribile omicidio. E D'Alema cos'ha fatto? Ha votato, e ci mancava che non lo facesse o si astenesse, per la costituzione del tribunale, ma siccome al Palazzo di Vetro non hanno la memoria corta, è stata spostata la sede del tribunale dall'Italia in Olanda o a Cipro. Questo perché il ministro degli Esteri si era dimostrato «vicino e solidale in questo difficile momento» a Bashar Al-Assad, colui che è indicato dall'Onu come «il probabile mandante dell'assassinio Hariri, che ha di certo ostacolato le indagini circa le possibili responsabilità siriane». È evidente, perciò, il motivo per cui il Consiglio di Sicurezza abbia deciso di spostare le sede per il procedimento giudiziario: come può infatti essere imparziale un Paese che è «vicino e solidale» a chi è ritenuto responsabile di un omicidio da tutta la comunità internazionale?

Delegittimazione e totale mancanza di credibilità: questi sono gli effetti della politica estera del governo Prodi, totalmente scriteriata e priva di ogni giustificazione politica, che ha saputo solo trasformare l'Italia in uno Stato inaffidabile ed ambiguo, cui non può neppure essere affidato un tribunale internazionale. Dopo un quinquennio di laboriosa azione politica messa in atto dai ministri degli Esteri della CdL, ma soprattutto dal Cavaliere attraverso il suo appeal, l'Italia è tornata ad essere, con Prodi e D'Alema, quell'Italietta di cui non si può fidare nessuno.

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Il governo delle tasse

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di David Consiglio

Ora non ci sono più dubbi: siamo il popolo più tassato d'Europa. La sgradevole conferma, purtroppo, è arrivata dalla viva voce dell'autorevole governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Il numero uno di Via Nazionale, infatti, nelle considerazioni finali della sua relazione annuale, ha posto l'accento sulla pesantezza del carico fiscale che grava sia sulle imprese che sui cittadini italiani. Secondo Draghi, in Italia, nell'ultimo anno, la pressione fiscale è salita a livelli record e, come se non bastasse, anche i vincoli imposti al contribuente nel momento in cui si accinge a pagare le tasse sono aumentati, con l'effetto di complicargli maggiormente la vita. Al danno, si unisce anche la beffa.

Le considerazioni del governatore, certamente autorevoli ed apprezzabili, non sono altro che la conferma di quanto noi andiamo dicendo da quando il centrosinistra è tornato al governo di questo Paese. Anzi. Sono più di dieci anni (dal 1996, quando vide la luce il primo governo Prodi) che il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi va denunciando la vera e propria propensione naturale del centrosinistra a mettere le mani nelle tasche degli italiani. In più, in occasione del varo dell'ultima legge finanziaria, oltre che sugli immancabili aggravi fiscali l'attuale opposizione ha posto l'accento anche sul progetto di Grande Fratello fiscale che il governo Prodi ha messo in piedi per poter setacciare ogni minimo movimento del contribuente italiano. La battaglia per un fisco giusto è stata e sarà sempre una priorità per il centrodestra: un sistema fiscale che non consideri il contribuente un limone da spremere o un presunto evasore è uno dei principali obiettivi dell'azione politica della CdL, e di Forza Italia in particolare. Pagare le tasse è un dovere, ma anche lo Stato ha il dovere di pretendere il giusto e, soprattutto, ha il dovere di dare in cambio servizi e prestazioni all'altezza.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Le ultime elezioni amministrative, vinte alla grande dal centrodestra in tutte le zone d'Italia, hanno rappresentato un vero e proprio schiaffo alla politica tutta tasse del governo del Professore; gli italiani, in grande maggioranza, hanno palesemente mostrato il loro malcontento rispetto alle scelte dissennate di questo esecutivo, che, per accontentare la sinistra radicale e la sua propensione all'aumento della spesa pubblica improduttiva, ha deciso di succhiare le risorse necessarie dalle tasche di milioni di contribuenti, specie quelli appartenenti ai ceti medi e popolari, senza preoccuparsi di combattere sprechi e privilegi. Non solo. L'aumento delle tasse prodotto dalla legge di bilancio 2007 sta avendo gravi ripercussioni anche sul sistema produttivo ed industriale: i dati inerenti al primo trimestre del 2007, infatti, hanno fatto registrare un calo della crescita del Pil. Prima del governatore della Banca d'Italia, anche Luca Cordero di Montezemolo, numero uno di Confindustria, non aveva esitato, anche se con un po' di ritardo a nostro avviso, a criticare la politica fiscale dell'Unione.

Insomma, ora è chiaro a tutti (o quasi) che un carico fiscale eccessivo è solo dannoso e controproducente: Berlusconi e Forza Italia lo dicono da anni e, cosa importante, hanno cercato di mettere in atto misure concrete nel periodo di governo. Purtroppo, Prodi, Padoa Schioppa e compagnia sembrano non sentire: a ridurre le tasse, nonostante le dichiarazioni di facciata, loro non ci pensano proprio. Anzi. Dietro l'angolo, fino a quando la sinistra governerà questo Paese - ancora per poco ci auguriamo - potrà esserci sempre qualche insidia tassassina. Prima questi signori vanno a casa, meglio è.

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Il diritto storto

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Alexandra Javarone

Abdel Majid Zergout, l'imam di Varese, e Abdelillah el Kaflaoui potranno lasciare il Centro di permanenza temporanea di via Corelli. Il fermo presso il CPT, disposto in seguito alla richiesta di espulsione, avanzata dal Ministro dell'interno, non ha ricevuto convalida da parte del giudice di pace di Milano. Abdel Majid Zergout, Abdelillah el Kaflaoui e Mohamed Raouiane erano stati assolti lo scorso 24 maggio dall'accusa di terrorismo internazionale a causa di semplici cavilli burocratici dai giudici della Prima Corte d'Assise di Milano. Uno sciocco ritardo nella consegna di alcune carte, che dovevano giungere dal Marocco, ed ecco che, come ogni scrupoloso ed ortodosso difensore vorrebbe, giustizia è fatta e formale. Un'irrilevante e pretestuoso indugio burocratico ha reso libero un uomo (il cui nome compare nei dossier dell'intelligence di tutta Europa) accusato di aver costituito in Italia una cellula del Gruppo islamico Combattente marocchino, la stessa organizzazione terroristica, facente capo a Abu Sayaf, che nel 2003 ha rivendicato gli attentati di Casablanca.

La sentenza ha scatenato, com'era prevedibile, una dura ondata di polemiche che s'è andata ad infrangere proprio su uno dei temi più sensibili della politica dell'attuale Governo: la sicurezza. Non si è allora fatta attendere la reazione del Ministro dell'Interno, Amato, che citando ragioni di ordine pubblico e sicurezza ha elaborato la sua strategia ed ha adottato un provvedimento d'espulsione nei confronti dell'ex imam di Varese e del suo compagno (come peraltro suggerito lo scorso aprile dall'ex sottosegretario al Viminale, Alfredo Mantovano, dopo che una trasmissione Rai aveva portato a galla la ben nota vicenda degli imam integralisti).

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Il Governo di centrosinistra, dunque, visto l'infruttuoso risultato di una sentenza a dir poco imbarazzante e conscio della gravità politica della questione (appesantita pure dai recenti fatti di cronaca) è corso subito ai ripari tentando di arginare il danno. Il richiamo è quello alla legge n. 155 del 31 luglio 2005, sulle misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale, (detta «decreto Pisanu») che prevede, in caso di pericolo di ordine pubblico e sicurezza nazionale, la possibilità di espellere chi, come l'imam di Varese, predica l'odio all'interno dei nostri confini. Tutto nella regola (o quasi) se non fosse che stavolta ci si è messa di mezzo la Corte europea. Grazie al ricorso, alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, presentato dal legale Luca Bauccio, l'imam ha ottenuto la sospensione del decreto d'espulsione.

La Corte Europea, paladina dei diritti umani, ha, insomma, bloccato l'espulsione di un sovversivo facendo espresso richiamo all'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo (che recita: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti») ed all'art. 9 del Regolamento della Corte. Ricapitolando, secondo l'Europa, un individuo, colpevole di gravi atti di terrorismo (e quindi potenziale pericolo per l'Italia e l'Occidente) non dovrebbe essere espulso e rimandato nel suo Paese se in quello Stato vigono leggi inique come la shari'a, la stessa legge coranica che, ironia della sorte, gli imam predicano e professano a casa nostra. E se trasferire un terrorista in uno Stato «dove può essere sottoposto a trattamenti inumani, come le torture, viola la convenzione» richiamata dalla Corte europea e, quindi, il diritto del singolo terrorista di non subire «torture eccessive», cosa dire del diritto alla sicurezza degli europei? Una risposta potrebbe essere fornita proprio dall'articolo 15 della stessa Convenzione (per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali Roma 4 novembre 1950) che, in deroga al summenzionato articolo 3, garantisce, in casi eccezionali (e questo lo è), il diritto di «prendere delle misure in deroga alle obbligazioni previste nella presente Convenzione nella stretta misura che in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal diritto internazionale».

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Siamo, dunque, al paradosso: l'Europa si cruccia della sorte di un estremista islamico e non si cura affatto della propria sicurezza. In Europa il diritto ha, in molti casi, fatto posto alla legge coranica in virtù di un irrazionale rispetto verso uomini che spesso mal tollerano la nostra cultura. Assurdo? Eppure il settimanale Der Spiegel a marzo ci aveva già messo in guardia pubblicando la sentenza di un tribunale tedesco che, di fronte ai maltrattamenti ed agli abusi denunciati da una donna, le aveva rifiutato il divorzio invocando la sura 34 del Corano («secondo la sura, è previsto che l'uomo possa punire la moglie»). Insomma, visto che la coppia si era sposata con rito mussulmano, secondo il giudice tedesco, era la shari'a a dover dettare legge.

L'Eurabia ha, allora, davvero fatto capolino ai nostri confini e questa ne è solo una conferma. E l'Europa resta immobile, mentre le politiche dell'apertura sfrenata ed irrazionale hanno, oramai, spalancato le porte a chi sfrutta la nostra democrazia e la nostra libertà per imporre le restrizioni della shari'a (alle proprie mogli, alle proprie figlie) o peggio a chi predica la jihad.

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La CdL: "Siamo all'emergenza democratica"

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Claudia Passa

Di cosa esattamente il generale Roberto Speciale debba pagare lo scotto lo si comprenderà forse meglio quando arriveranno in Parlamento le intercettazioni sul caso Unipol-Bnl che il gip Clementina Forleo chiede di utilizzare. Quel giorno il quadro sarà più nitido. Ma già da oggi bisogna prendere atto che aver indagato sulla scalata della compagnia assicurativa delle cooperative rosse ad una delle maggiori banche italiane, aver difeso il proprio Corpo militare dalle pressioni politiche, averne riferito ad un’autorità inquirente sotto la propria responsabilità, in questo strano Paese, in cui il capo del primo partito di maggioranza si preoccupa di sapere se “abbiamo una banca”, è considerato un atto di insubordinazione da pagare caro.

Non solo. Nella lunga lista dei “capi d’imputazione” a carico di vertici ed ex vertici delle fiamme gialle vergata nei giorni scorsi da qualche quotidiano vicino alla maggioranza di governo, c’è pure l’imperdonabile “colpa” d’aver mantenuto buoni rapporti con un altro generale della Finanza, poi direttore del Servizio segreto militare, mandato dal governo Prodi a ingrossare le file della magistratura amministrativo-contabile nei ranghi del Consiglio di Stato: Nicolò Pollari. E chissà, forse sulle spalle del comandante delle fiamme gialle pesa pure il ruolo giocato nel decennio scorso dal suo ex Capo di Stato maggiore, Emilio Spaziante, nell’indagine sulla privatizzazione della Telecom e sulla scalata dei cosiddetti “capitani coraggiosi”.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Chissà. Di certo, se la sinistra ha pensato di risolvere un problema decapitando da un giorno al giorno stesso la GdF, se ha creduto d’aver imboccato l’unica strada possibile per dribblare la resa dei conti a Palazzo Madama e salvare la faccia di Vincenzo Visco, costretto a rinunciare temporaneamente ad una delle sue deleghe, non ha fatto i conti con un’opposizione ricompattata dopo un lungo periodo di incomprensioni e sgambetti. Il comunicato congiunto vergato da Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Lorenzo Cesa e Umberto Bossi subito dopo la riunione a Palazzo Chigi che ha decretato il cambio della guardia ai vertici della Finanza ha un significato politico che la sinistra farebbe bene a non sottovalutare. Anche perché la Cdl ha fatto chiaramente intendere che, seppur disinnescata la miccia degli ordini del giorno presentati in Senato – e ora ritirati – dall’Italia dei Valori e dal duo Bordon-Manzione, il mirino si sposta più in alto, fino a centrare Tommaso Padoa-Schioppa (che ha chiesto invano a Speciale di dimettersi) e lo stesso Romano Prodi, che era stato incaricato dalla sua coalizione di gestire in prima persona il “caso Visco”.


I centravanti di sfondamento del centrodestra parlano di una “gravissima prevaricazione” che “rappresenta un’autentica emergenza democratica”. Tanto da “vanificare l’appello al dialogo rivolto dal Capo dello Stato”, per di più “alla vigilia della Festa della Repubblica che è la giornata delle Forze Armate”. “Di fronte a questo fatto – affermano Berlusconi, Fini, Cesa e Bossi -, che è di inaudita gravità e senza precedenti nella storia della Repubblica, tutta l’opposizione reagirà con assoluta fermezza”. Una promessa che per l’opposizione è un campanello d’allarme. I numeri in Senato sono quelli che sono, le quotazioni della maggioranza non erano mai scese così in basso, e pur avendo l’Idv ritirato il suo ordine del giorno, il ministro Antonio Di Pietro ha già fatto sapere che l’avvicendamento disposto da Palazzo Chigi non dev’essere “un atto di ritorsione personale”, giacché “fino a prova contraria, così come deve essere creduto il vice-ministro Visco, va creduto anche il generale della Guardia di Finanza”.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Una dichiarazione che pesa. Già, perché come accaduto in occasione della relazione Parisi sulla base Usa di Vicenza, ancora una volta la “buccia di banana” in grado di scompaginare l’Unione in Senato potrebbe essere una mozione di Roberto Calderoli. Il documento si limita ad esprimere “fiducia” nei confronti di Roberto Speciale, e Roberto Castelli ha confermato che la Lega non lo ritirerà. Il dibattito si preannuncia dunque infuocato, la ritrovata coesione nella Cdl non fa presagire niente di buono per la maggioranza, e il fuoco di fila che s’è levato dal centrodestra per difendere il capo della Gdf da quella che con varietà di toni è stata definita ora “ritorsione”, ora “vendetta”, ora “atto degno di un regime totalitario”, non è cosa facile da digerire. Specie alla vigilia di un ballottaggio elettorale.

Anche il richiamo al Colle contenuto nella nota congiunta dei leader del centrodestra ha un significato da non prendere sotto gamba. La visita al Quirinale, paventata alla vigilia della amministrtaive, non è stata ancora calendarizzata. Ma dopo il secondo turno tutto è possibile, e uno strappo così forte da parte del governo Prodi nel giorno in cui Napolitano aveva invitato al dialogo è un argomento pesante da gettare sul tavolo. Senza contare quel che potrebbe accadere se il capo della Guardia di Finanza decidesse di rifiutare la nomina alla Corte dei Conti, rivolgersi al Tar e far rischiare al governo un secondo “caso Petroni”.

La sera del “colpo di mano”, al termine di una infuocata ridda di dichiarazioni, era parso che un uomo avveduto come Pierluigi Bersani si fosse reso conto dei potenziali contraccolpi di quanto veniva deciso ai piani alti di Palazzo Chigi. “Voglio testimoniare l’amarezza di vedere che una persona perbene venga messa in condizioni così spiacevoli”, ha osservato il ministro dello Sviluppo economico. Sembrava che si riferisse a Speciale. E invece no. Parlava di Visco.

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Baby Borseggiatori Rom Rumeni

>>Da: er Drago
Messaggio 20 della discussione
Alla stazione centrale di Milano

I piccoli borseggiatori, nel via vai, scherzano e si scambiano battute. Sono rom romeni. Un gruppo di dieci ragazzini, a volte qualcuno in più. Età: da nove a dodici anni. Vivono nei campi nomadi. Al «lavoro» dalla tarda mattinata fino alla fine del pomeriggio. Prendono i soldi, passano per un attimo i portafogli a un adulto seduto là vicino (che controlla se ci sono carte di credito), poi li buttano nei bidoni della spazzatura. [...]

Ma hanno tutti meno di quattordici anni: non sono imputabili. Li portano in comunità per minori, spesso lontano da Milano. A Genova, Mantova, Lodi, Pavia, Lecco. E ogni volta i piccoli scippatori scappano per tornare in stazione. È un vicolo cieco. Per tutti. Per la polizia, che fa un lavoro continuo, quotidiano, per proteggere i cittadini. Per questi bambini che vivono in strada come criminali, mentre dovrebbero frequentare la scuola elementare.

UN BEL TRENO E RIPORTARLI DA DOVE SONO VENUTI ??? PARENTI COMPRESI?
TROPPO DIFFICILE ??!!!
POVERA ITALIA
POVERI NOI
POVERI I NOSTRI FIGLI CHE VIVRANNO IN QUESTO IMMONDEZZAIO!


>>Da: er Drago
Messaggio 2 della discussione

Secondo una fotografia appena scattata dal ministero della Giustizia gli stranieri rinchiusi nelle carceri italiane sono 17.798 e rappresentano il 30 per cento della popolazione carceraria. Di questi, quelli originari dei principali Paesi islamici del nord Africa (Marocco, Tunisia, Algeria) sono 7.323: il 41%. Una percentuale enorme, se si considera che gli immigrati dagli stessi tre Paesi superano appena il 14% degli stranieri presenti in Italia. Se si aggiungono al conto egiziani ed albanesi, la percentuale di islamici sul totale dei carcerati stranieri sale al 58% (dall'Albania, Paese musulmano all'85%, vengono 2.815 carcerati, pari al 15,8% degli stranieri, e l'11,2% degli immigrati presenti in Italia). I marocchini sono la comunità straniera con più individui (3.999) dietro le sbarre italiane. E il fatto che siano anche il gruppo straniero con più soggiornanti del nostro Paese non è una spiegazione valida, dal momento che da Rabat, Casablanca e dintorni arrivano il 22,5% dei detenuti stranieri, ma solo l'11,4% degli immigrati. La peggiore pubblicità all'Islam, però, la fanno gli algerini: con 1.330 detenuti rappresentano la quarta nazionalità straniera nelle carceri italiane, pur non figurando nemmeno tra le prime trenta presenti in Italia. Brutti numeri anche quelli degli immigrati tunisini che, pur essendo appena il 3,4% degli immigrati, valgono l'11,2% dei carcerati stranieri.

E FAR SCONTARE LA PENA OGNUNO AL SUO PAESE???
AH NO VERO.........TROPPO DIFFICILE ANCHE QUESTO,MEGLIO TENERSELI QUA' A SPESE NOSTRE.

>>Da: annina
Messaggio 3 della discussione
In effetti anche nelle case ormai tendono a mandare ragazzini sotto i 14 anni
Se presi li accompagnano in comunità, la sera scappano e tutto torna come prima, tra le vittime pure una mia amica che di lavoro fa il giudice minorile.
Finchè la legge è questa non c'è nulla da fare.

>>Da: Graffio
Messaggio 4 della discussione
Appunto,è quello che mi domando anche io, e' troppo difficile cambiare queste leggi ?
Se la pena e' di 10 anni,10 anni devono essere, uno straniero lo si manda a scontarla al suo paese.

>>Da: Adolfo
Messaggio 5 della discussione
Evidentemente a qualcuno fa comodo che in Italia la giustizia sia una barzelletta.
Volendo essere maligni, si potrebbe pensare che questi "qualcuno" preferiscano così per evitare di finirci loro in galera, un giorno.
A.

>>Da: firefox65
Messaggio 6 della discussione
E pensano all'abolizione dell'ergastolo e agli indulti..

>>Da: ilgiovaneardito
Messaggio 7 della discussione
Qualcosa fanno però bisogna dargli atto, il Gen.Speciale lo hanno destituito..BUFFONI!

>>Da: buonalanutella
Messaggio 8 della discussione
Be', sono minorenni sotto i 14 anni e non possono essere incriminati, però li prelevo, li porto in centrale (di polizia) e quindi li affido ad apposite comunità. Non hanno documenti, probabilmente i genitori non sono lì (e quindi c'è il reato di abbandono di minore) quindi qualcosa si può fare. Se i genitori sono presenti, possono essere incriminati (togliendo loro l'affidamento dei figli)
In generale, non è vero che non si può fare proprio niente... certo, servono mezzi, strutture e - soprattutto - la volontà di farlo.


>>Da: aquilanera
Messaggio 9 della discussione
Secondo me sarebbe sufficiente, al primo furto o una volta presi in flagrante messi in un carcere apposito in cui li si fa lavorare per il nostro paese, come si faceva una volta a spaccare le pietre.
O meglio ancora... quando viene beccato uno che fa un furto lo si riporta al campo nomadi di appartenenza e si fa sgomberare TUTTO il campo nomadi.
Per uno pagano tutti... in questo modo volete scommettere che non appena ne fai sgomberare un paio se ne vanno da soli tutti gli altri?


>>Da: micia
Messaggio 10 della discussione
Mio padre 7 mesi fa era arrivato con il treno alla stazione centrale e doveva prendere il bus per Malpensa, hanno provato a rovistare nelle tasche laterali del borsone, se ne accordo e ha rifilato una pedata nel sedere al ragazzino, lo ha afferrato e chiamato la polizia.
Gli agenti gli hanno detto di stare attento perche poteva essere denuciato per maltrattamenti, mi chiedo una pedata nel sedere è maltrattamento di minore!

>>Da: ilgiovaneardito
Messaggio 11 della discussione
Purtroppo i bambini sono minorenni e non si puo' nemmeno dare una sberla perche' altrimenti hai grossi casini
Alla base di tutto c'e' sempre sto schifoso buonismo che e' una palla al piede terribile, non si riesce a reprimere niente perche' ci sono sempre pronti i paladini del reo che si fanno in 4 per difendere colui che compie atti di malvivenza
Andremo sempre peggio!


>>Da: FULVIO-T
Messaggio 12 della discussione
Secondo me ill problema dei roms è irrisolvibile.
Se gli crei una struttura tutta loro, dentro o fuori il raccordo che sia non cambierà nulla perchè loro se ne sbattono, li sposti li, ricreano il loro habitat naturale distruggendo le strutture, lasciando rifiuti etc.
E infine ricominciano le loro attività che la loro cultura prevede (saccheggi, borseggi, accattonaggio e quant'altro).
Mi spiace ma quando si tratta di Rom divento intransigente.
Non li classifico come extracomunitari in quanto offenderei la categoria di persone che provengono dall'estero.
I zingari sono una categoria di persone che seguono la loro filosofia di vita che consiste nel vivere sulle spalle degli altri, e a differenza dei "gitani" o "nomadi" quali dovrebbero essere quando trovano la loro miniera si fermano li e non se ne vanno più. E' stato più volte dimostrato, lo hanno detto loro stessi, e l'unica soluzione che prevedo a tal proposito è espellerli oppure metterli in condizione di adattarsi alle nostre regole, per fare questo è indispensabile sansioni particolari alle quali LORO siano sensibili (visto che è evidentissimo che alle nostre-sansioni non lo sono).


>>Da: -cerberus
Messaggio 13 della discussione
Sei sicuro che dovremmo tenerceli ancora per molto?
la gente è stanca, ancora lo stesso esempio di sempre: in Provincia di Ascoli Piceno, proprio 2 giorni fà i cittadini hanno ridato fuoco al campo nomadi dove abitava il criminale che ha sciacciato con il furgone quei 4 ragazzi del posto!
Gente, io personalmente non dovrei neanche commentare gli articoli sugli zingari perchè sarei a grave rischio sospensione, ma spero vivamente che lo stato cerchi di porre rimedio! la gente ne ha le scatole piene!


>>Da: Magnolia
Messaggio 14 della discussione
Vediamo, la legge no può fare nulla, sferri un calcio nel fondo schiena e ci rimetti te. Domanda: oltre a farsi borseggiare, cosa deve fare l'odiato cittadino italiano?


>>Da: baffo
Messaggio 15 della discussione
Se non sbaglio successe poco tempo fa che un borseggiato spezzo la manina alla bimba ... e se non sbaglio la citta' era abbastanza solidale con il borseggiato.
C'è da dire comunque che loro stessi sono addestrati bene, se ci fate caso e' raro che accadano episodi simili, e' come se sapessero da chi andare nella totale consapevolezza di non incappare in qualche testa calda che gli spaccherebbe la faccia.


>>Da: santana
Messaggio 16 della discussione
Me lo ricordo, un giapponese in visita a Milano. e ricordo benissimo che tutti lo condannarono.
Ma se succedesse oggi, dubito ci sarebbe la stessa reazione, perchè oggi la situazione è drasticamente peggiorata e gli zebedei portati a pressione elevata.


>>Da: Fiorella
Messaggio 17 della discussione
Ma cavolo è sempre la stessa storia...scusate ma i campi nomadi, così tutelati da non so chi, come fanno ad andare avanti?? Cioè, ditemi come vivono questi? Nessuno ha un lavoro, ergo, indovinate come si procurano i $$? mendicando e rubando, ovvio. Allora perchè tutelarli e farli restare?? Chi dimostra di avere un lavoro e di essere in regola resta, insieme alla sua famiglia, tutti gli altri fuori dall'Italia.

>>Da: paoloris
Messaggio 18 della discussione
Fiorella, credo ci sia un regio decreto...comunque effettivamente non si capisce a chi giovi la permanenza di questi parassiti, ma sarà sicuramente un motivo politico, anche perchè campi nomadi nei quartieri "alti" io non ne ho mai visti. Per chi pensasse di mollare uno sberlone allo zingarello occhio...questi non sono mai da soli, e il parentado con set di coltelli da killer è sempre dietro l'angolo...


>>Da: GORGON
Messaggio 19 della discussione
A Venezia ci provarono pure con me.
La tattica era piuttosto tremenda: 5-6 ragazzini ti si paravano davanti urlanti, con cartoline in mano chiedendo di aquistarne una, due da dietro provavano a sfilarti di mano il portafoglio. Appena mi si sono parati davanti io istintivamente mi sono girato e ho visto un bambino tirare indietro la mano... si è beccato uno schiaffone, mi è venuto d'istinto.


>>Da: katia978
Messaggio 20 della discussione
Il rimedio sarebbe molto semplice: rubano? bene, fuori dal paese, sia loro che i genitori.
K.

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Prodi contestato a Trento

>>Da: Graffio
Messaggio 11 della discussione
Momenti concitati al Festival dell'Economia. Proteste dei comitati contro la base Usa di Vicenza: «Il governo non ci ha difesi»


TRENTO - «Venduto, venduto, vergogna, vergogna!» sono le urla dei circa 200 manifestanti riuniti nel cortile dell'auditorium di Santa Chiara di Trento per protestare contro l'allargamento della base Usa «Dal Molin». Bersaglio dei loro cori è il premier Romano Prodi, giunto qualche minuto prima di mezzogiorno sul posto. Il presidente del Consiglio è poi entrato nell'auditorium, dove sono proseguite le contestazioni. Al grido di «vergogna, vergogna» il gruppo che protesta contro l'ampliamento della base aerea di Vicenza, ha reso impossibile il proseguimento del convegno nellambito del «Festival dell'economia». I contestatori a loro volta sono stati sovrastati dagli applausi della platea e dalle grida «fuori, fuori».

LE PROTESTE - Tornata la calma Cinzia Bottene, volto e anima della protesta di Vicenza, è stata fatta salire sul palco dal moderatore del convegno Ferruccio de Bortoli, il direttore del Sole 24Ore, e al presidente del Consiglio e alla platea la donna ha spiegato: «È una vergogna che la città di Vicenza - ha detto la portovace dei «No-base» - non venga difesa dal proprio governo. Non ci è stato concesso neppure di esprimere il nostro parere con un referendum». «Mi sono sentita tradita - ha detto rivolgendosi a Prodi - l'ho votata sulla base del programma che parlava di riduzione degli impegni militari e di democrazia partecipativa». Terminata la contestazione il presidente del Consiglio, rimasto impassibile durante l'intervento della contestatrice, ha ripreso a parlare senza rispondere esplicitamente alle accuse.


>>Da: Graffio
Messaggio 2 della discussione
Ma è vero che nel programma c'era scritto
"Riduzione delle servitù militari e democrazia partecipativa"..... ma è appena 1 anno che governano, mica si può realizzare tutto subito..
Compagni che vi sentite traditi, non vi preoccupate,
che entro la fine del mandato espelleremo tutte le basi Usadall'Italia, oppure dichiareremo guerra agli Usa .............perchè Noi siamo SSSSSSSSSSSeri...ehehehehe!

>>Da: Adolfo
Messaggio 3 della discussione
Ma come, contestato e fischiato dai pacifisti????
A.

>>Da: firefox65
Messaggio 4 della discussione
Sono compagni che sbagliano ............

>>Da: ilgiovaneardito
Messaggio 5 della discussione
E non solo a Trento:

GOVERNO: MANIFESTAZIONE AN SOTTO CASA PRODI A BOLOGNA
Bologna, 3 giu. - (Adnkronos) - Circa 150 persone hanno manifestato questa mattina sotto l'abitazione del presidente del Consiglio, Romano Prodi, a Bologna, esibendo uno striscione con la scritta "Una vergogna speciale" e gridando slogan come "Silurato speciale vergogna nazionale". Lo ha riferito all'ADNKRONOS Galeazzo Bignami, consigliere comunale di An a Bologna che ha preso parte alla protesta. ''Si tratta di un'iniziativa organizzata ieri sera per testimoniare il dissenso che c'e' nel Paese'', ha spiegato Bignami.

>>Da: Il Moro
Messaggio 6 della discussione
Guardate la faccia del mortadella
http://mediacenter.corriere.it/Medi...9c53b&navName=1

>>Da: buonalanutella
Messaggio 7 della discussione

Devo dare ragione a D'Alema, quando a proposito di Prodi ha detto: non sai mai se dorme o è sveglio.

>>Da: -cerberus
Messaggio 8 della discussione
Impagabile la faccia di Prodi!

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Che brutta partita!

>>Da: micia
Messaggio 11 della discussione
La nazionale contro i dilettanti delle
isolette sperdute...che vergugna!

>>Da: Graffio
Messaggio 2 della discussione
Vero, sembrava una partita interregionale.

>>Da: ilgiovaneardito
Messaggio 3 della discussione

Questi erano peggio della serie B. Del Piero sembrava un ragazzino spaesato.

>>Da: firefox65
Messaggio 4 della discussione
Del Piero ha giocato male, molto male, pero' non fa parte della categoria di quelli che non sono seri .
Quelli poco seri sono quelli che fanno finta di avere la bua per marcare visita .
Se vanno in nazionale è perche' sentono l'attaccamento alla maglia.
Poi puo' essere che non siano in forma o si sentano poco motivati da una partita contro dilettanti.
Comunque è stata una partita strana:ha giocato malissimo anche uno come Rocchi che invece dovrebbe essere motivatissimo.
Mah!

>>Da: FULVIO-T
Messaggio 5 della discussione
Che squadraccia che ho visto ierisera.
Ma questo Tonnetto da dove spunta?


>>Da: firefox65
Messaggio 6 della discussione
E' della Roma.

>>Da: -cerberus
Messaggio 7 della discussione
Partiamo dalla constatazione che l'Italia è Campione del Mondo e che il Milan ha appena vinto la Champions League con 7 italiani in campo.
Detto questo a mio avviso questa partita-non bella- può essere salutare per il prossimo incontro del 6 di Giugno, tra 3 giorni, in Lituania.
Quella partita sarà più difficile e quindi il risultato contro le Far Oer dovrebbe spronare gli Azzurri a fare meglio e ad impegnarsi maggiormente.
In fondo ieri anche il discorso di fare tanti goals per il gioco della differenza reti contava relativamente poco.
Infatti stando al regolamento Uefa mi pare che in caso di parità di punti tra 2 squadre contino :
1) i punti ottenuti negli scontri diretti
2) La differenza reti negli scontri diretti
3) Il maggior numero di reti segnate negli scontri diretti
4) Il maggior numero di reti segnate fuori casa negli scontri diretti
etc.etc.
Quindi supponendo una lotta a 2 tra Francia e Italia per arrivare primi , contano gli scontri diretti:
Francia-Italia : 3-1 e Italia-Francia del prossimo 8 Settembre.
All'Italia "basterebbe" un 2-0 contro la Francia per essere prima in caso di parità di punti alla fine del girone.

>>Da: massimo
Messaggio 8 della discussione
In fondo c'è da capirli i calciatori italiani; sono strapagati, viziati, coccolati dai presidenti dei vari club; poverini, andare a giocare in un remoto campetto nebbioso del nord Europa. E' come se la nazionale andasse a giocare una partita di qualificazione nel campo del Casalpusterlengo!!!
Ma voi credete alla retorica dell'attaccamento alla maglia azzurra, alla patria, al fatto che i calciatori cantano l'inno nazionale !!! ILLUSI. Si tratta solo di mercenari che si impegnano solo quando ne vale la pena (per il loro portafoglio).
La prova ??? Vedi i vari Totti, Nesta, Maldini; oppure la partita giocata ieri da quasi tutti i calciatori italiani.

>>Da: felice
Messaggio 9 della discussione
Massimo, non bestemmiare il nome di Maldini invano.
A 34 anni dopo aver fatto 4 mondiali 4 europei, non aver mai saltato una partita ...uno non ha neanche il diritto di dire basta alla nazionale e mantenere salda la parola malgrado le lusinghe ?


>>Da: baffo
Messaggio 10 della discussione

Quando Del Piero gioca in nazionale diventa "Del Pietra", ovvero sembra che abbia due macigni attaccati alle gambe.


>>Da: santana
Messaggio 11 della discussione

Non ho tifato Far Oer, ma 2 a 1 per noi è stato proprio il risultato che volevo (vittoria di misura, con un gol loro). Mi ha fatto veramente impressione vedere quegli 11 ragazzi che nella vita fanno tutt'altro scendere come guerrieri contro una nazionale palesemente più forte, e cercare di giocarsela alla pari con qualche scambio veloce o ripartenza. Soprattutto pensando a quei giocatori che da noi fanno i preziosi e si fanno desiderare: i faroesi sono scesi in campo consapevoli che sarebbe potuta essere l'ennesima goleada, eppure hanno cercato di tirare fuori il 100%, cosa che noi non abbiamo fatto se non per qualche minuto.


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Per chi è a Milano

>>Da: santana
Messaggio 2 della discussione
Ricevuto ora, purtroppo non sono di Milano.

Dopo il grande successo del 25 marzo al Teatro Dal Verme
con Fermare il pericolo con la forza della parola

il Teatro Franco Parenti prosegue il suo percorso sul valore delle parole.

Siamo lieti d’invitarLa

Giovedì 7 giugno 2007, ore 21.30

Teatro Dal Verme - Via San Giovanni sul Muro, 2

a una serata sul tema

Il coraggio della parola

con

Magdi Allam

in occasione dell’uscita del suo libro

Viva Israele

Dall’ideologia della morte
alla civiltà della vita: la mia storia

Introducono

Camillo Fornasieri e Sergio Scalpelli

Con
Magdi Allam, Giuliano Ferrara,

Pierluigi Battista, Giorgio Vittadini


Intervengono
Dounia Ettaib, Claudio Morpurgo,
Andrea Pamparana, Yasha Reibman,

Paolo Sorbi

Coordina
Andrée Ruth Shammah

INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI DISPONIBILI

Informazioni e prenotazioni allo: 02 599944203-4


>>Da: Fiorella
Messaggio 2 della discussione
Nemmeno io, purtroppo, ma ho degli amici a cui mandare questo invito. Grazie.

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Caso Visco, la Cdl all'attacco: "Napolitano deve intervenire"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione

Il centrodestra non considera chiuso lo scontro istituzionale per le pressioni di Visco sulla Gdf. Fini sollecita l’intervento del Capo dello Stato

Al Quirinale si bussa, ma con il giusto «bon ton istituzionale». Per Gianfranco Fini l’appello dall’opposizione al Capo dello Stato, per un intervento sul caso Visco-Guardia di Finanza, è giusto perché «Napolitano è il comandante delle forze armate e non può dire che la materia non è di sua competenza». Però, sbagliano «i pasdaran del centrodestra che hanno parlato di violazioni della Costituzione, perché la Costituzione non è stata violata».
Il leader di An, intervistato da Lucia Annunziata nella trasmissione di Rai3 «In mezz’ora», spiega la sua posizione facendo i dovuti distinguo con gli alleati dell’opposizione o delle opposizioni. Silvio Berlusconi e Fi, Umberto Bossi e la Lega, insistono sull’appello al Quirinale, ma Pier Ferdinando Casini definisce «ineccepibili» le parole con le quali Napolitano si è tirato fuori dalla faccenda, spiegando che deve risolverli la politica i problemi causati dall’«inaudita» rimozione del comandante della Guardia di finanza, Roberto Speciale. La replica a Casini del leghista Roberto Calderoli è dura: «Si legga la Costituzione».
Ma anche a lui si riferisce Fini quando parla dei «pasdaran della Cdl». Con il leader centrista non condivide, però, la preoccupazione di coinvolgere il Colle nella vicenda, perché Napolitano «deve avvertire il dovere di ascoltare le ragioni dell’opposizione». Fini sostiene che sulla vicenda Visco il governo Prodi ha deciso, con «arroganza», di destituire Speciale «unicamente per salvare se stesso» e superare le divisioni nella maggioranza. E se il generale ha sbagliato, si chiede, perché gli hanno proposto la Corte dei conti? Se poi la prospettiva è di ridare in breve tempo le deleghe a Visco, «siamo alla farsa».
Quanto al dibattito di mercoledì in Senato per il leader di An sarà molto diverso da quello che si preannunciava, perché «non si discuterà più tanto delle deleghe di Visco e del suo rapporto con il comandante Speciale» ma di «quel che è accaduto», delle decisioni del governo. Fini non precisa se sarà ritirata o cambiata la mozione della Cdl.
Comunque, per il centrodestra la questione non è chiusa. Si reclama il dibattito parlamentare, messo in discussione dal premier. «Non so se Prodi comandi ancora nel Consiglio dei ministri, al Senato comandano i senatori e i senatori vogliono fare chiarezza», avverte il vicepresidente di Palazzo Madama, Roberto Calderoli. E l’esponente leghista ricorda che il partito ha la sua mozione per chiedere al governo «di esprimere solidarietà alla Gdf e in particolare a Speciale e agli ufficiali di cui ci si è dimenticati, coinvolti nella vicenda». Roberto Maroni, sempre del Carroccio, avvisa: «Se la vicenda non si risolve con le dimissioni di Visco, per noi il governo non potrà essere un interlocutore credibile sulle riforme».
Potrebbe essere il ministro dell’Economia a parlare mercoledì a nome del governo, ma per il capogruppo di Fi al Senato Renato Schifani, Prodi non può sottrarsi alle sue responsabilità e deve venire personalmente, «anche alla luce della dichiarazione del presidente Napolitano, che a proposito del caso Visco-Gdf ha parlato di decisioni prese dal governo nella sfera delle sue competenze e attribuzioni». Il vicecoordinatore azzurro Fabrizio Cicchitto, poi, solleva dubbi sulla legittimità formale della revoca da parte dell’esecutivo del comandante d

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Aem e Asm sposi, la superutility decolla

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Nasce il terzo gruppo dell’energia del Paese. Oggi i consigli per le nozze, poi il vaglio dei Comuni di Milano e Brescia. Titoli sospesi in Borsa, concambio atteso a 1,65 titoli contro uno
Milano - Aem e Asm uniscono le forze per creare una grande multiutility del Nord Italia. Dopo sette mesi di trattative estenuanti e la suspence di una rottura nel finale, la proposta di matrimonio sarà vagliata questa mattina in parallelo dai rispettivi consigli di amministrazione. I titoli saranno sospesi dal listino di Piazza Affari, ma lo schema dovrebbe prevedere un concambio di 1,6-1,65 azioni Aem per ogni Asm. Per «livellare» i valori in gioco, inoltre, Milano assorbirà la società di servizi Amsa (di cui è atteso il vertice sempre in mattinata) mentre i soci bresciani incasseranno un dividendo straordinario. Proprio l’entità della cedola appare l’ultimo scoglio finanziario dell’operazione di cui già ieri pomeriggio il cda di Asm ha completato un pre-esame che si preannunciava «animato». Ecco perché è probabile che le nozze energetiche con Aem non otterranno l’unanimità tra i consiglieri di Brescia, dove ci potrebbero essere due voti contrari.
Superato il vaglio dei board la parola passerà al Comune di Milano e a quello di Brescia, che controllano rispettivamente il 43% di Aem e il 69% di Asm: è prevista una riunione straordinaria delle rispettive giunte, quindi il summit tra i primi cittadini Letizia Moratti e Paolo Corsini per firmare il protocollo di intesa. L’ultima parola spetterà ai Consigli comunali, ma il clima politico resta burrascoso. Complice l’affondo di Alleanza nazionale che ha sollevato «forti perplessità» sulle nozze, subordinandole al verificarsi di effettivi vantaggi per i consumatori. «Non so come possa funzionare un’industria dove non è chiaro chi comanda e chi esegue», rimarca il responsabile Industria ed energia di An, Stefano Saglia. Il riferimento è al fatto che la superutility sarà retta da una governance duale, ulteriormente complicata dall’inserimento al posto della figura dell’amministratore delegato, di due direttori generali, uno in quota Milano e uno per Brescia: in pole position figurano Renato Ravanelli (direttore finanziario di Edison) e il responsabile sviluppo di Asm, Paolo Rossetti.
Non solo, secondo quanto ha potuto ricostruire il Giornale, malgrado le leve operative saranno nelle mani del presidente in pectore del consiglio di gestione Giuliano Zuccoli, anche il numero uno del consiglio di sorveglianza Renzo Capra avrebbe reclamato alcune deleghe. Senza contare che il consiglio di gestione potrebbe essere “allargato” ed eletto direttamente dall’assemblea dei soci. Dove i Comuni di Milano e di Brescia saranno egemoni: la partecipazione inizialmente prossima al 55% dovrebbe attestarsi a regime poco sotto la maggioranza assoluta.
Aem, incorporando Asm, creerà il terzo operatore dell’energia del Paese (9 miliardi la capitalizzazione pro-forma, a fronte di un margine operativo lordo di 1,8 miliardi) dopo Eni ed Enel. A luglio è atteso il passaggio davanti alle due assemblee dei soci così da poter stilare già in autunno il piano industriale del nuovo gruppo. La sede sociale sarà a Brescia, ma qualche punto da chiarire rimane. A partire dal valore di conferimento di Amsa in Aem che dovrebbe attestarsi nella parte alta della forchetta 250-270 milioni: valorizzazione dietro la quale alcuni intravedono la necessità di aumentare i margini del gruppo con il rischio d

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L'Ocse avverte l'Italia: "Usate il tesoretto per ridurre il deficit"

>>Da: andreavisconti
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Il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, indica all'esecutivo la strada da seguire per l'impiego dell'extra gettito fiscale. Sulle pensioni: "Vanno attuate le riforme fatte sino ad ora". Prodi ostenta ottimismo sul pareggio di bilancio: "Obiettivo realistico"

Roma - Il Governo italiano utilizzi l’extragettito fiscale per ridurre il deficit e il debito pubblico. L’invito viene dal segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, nel corso della presentazione del rapporto Ocse sull’Italia. “L’Italia non deve lasciarsi sfuggire l’opportunità di usare il tesoretto per ridurre il deficit e contribuire al riassorbimento del debito” ha detto Gurria. L’obiettivo per il debito, ricorda il segretario generale del’Ocse, è di una discesa “sotto il 60%” del Pil.
“Ridurre le tasse per ridare slancio all’economia” L’Italia ha avviato un programma di riforme che sta funzionando bene ma c’è ancora molto da fare in settori come la concorrenza, i servizi e il settore fiscale “per rendere più vitale l’economia italiana. Oggi - ha detto Gurria - è in un buon momento per realizzare le riforme ma serve un forte impegno politico. Noi siamo fiduciosi”. Secondo Gurria inoltre “nel momento opportuno bisogna ridurre le tasse”, considerando anche che “la forte crescita delle entrate potrebbe non durare”.
“Pensioni: applicare le riforme attuate sino a ora” Per l’Italia "sarà particolarmente importante realizzare le riforme della previdenza già decise, in particolare lo scalone, e cioè il passaggio a 60 da 57 anni dell’età minima per ricevere pensioni di anzianità, passando a 62 anni dal 2014, e la revisione ogni dieci anni dei coefficienti". Secondo gli economisti dell'Ocse "entrambe le riforme sono essenziali per avere il bilancio sotto controllo nel medio termine e per la sostenibilità fiscale nel lungo termine". Il rapporto dell’Ocse è in inglese ma usa tra virgolette la parola italiana "scalone".

Prodi ostenta ottimismo "L’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2011 è un obiettivo realistico" anche se ci aspetta "un percorso ancora lungo". Lo dice il presidente del Consiglio, Romano Prodi, durante la presentazione del rapporto Ocse 2007 sull’economia italiana. Per Prodi, inoltre, è "realistica" anche una "seria riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil".

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Scuola, il Tar cancella il voto in condotta: non basta per bocciare

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Milano, ribaltato in tribunale il giudizio dei professori su un alunno ribelle «perché basato solo sul cattivo comportamento e su 4 insufficienze» Bocciato dalla scuola, ma promosso dal Tar. Un voto disastroso in condotta non è motivo sufficiente per fermare uno studente sul crinale fra la prima e la seconda media. Il Tribunale amministrativo regionale non ha avuto dubbi e per ben due volte ha respinto la decisione del Consiglio dei docenti di una scuola di Milano, l’istituto Franceschi-Quasimodo.
L’episodio avviene alla fine dell’anno scolastico 2004-2005, anche se viene divulgato solo ora. Gli insegnanti prendono di mira un ragazzino che, a quanto pare, ne ha fatte di tutti i colori. La valutazione finale in coda alla scheda personale è durissima: «Nel corso dell’anno non ha rispettato le regole di convivenza. Ha gestito il materiale con difficoltà. Ha partecipato alle attività proposte in modo inadeguato, creando disturbo alla svolgimento delle lezioni. Ha raggiunto un livello di preparazione inferiore alle possibilità. Gli obiettivi sono stati raggiunti parzialmente. L’alunno non è stato ammesso alla classe seconda per il comportamento gravemente scorretto e l’atteggiamento provocatorio e arrogante».
Un giudizio tranchant. Ma i genitori del ragazzo non si arrendono: ricorrono al Tar. E il Tar si mette di traverso: «La condotta costituisce un elemento di ponderazione cui non può essere attribuito rilievo esclusivo e determinante, secondo la linea di valutazione che il collegio dei docenti ha invece mostrato di osservare nel caso dello studente».
Il comportamento, da solo, non basta per far ripetere l’anno. In verità, il giovane zoppica anche nel rendimento. In pagella ci sono quattro materie non sufficienti: storia, geografia, matematica, scienze, ma altre sette sufficienti, oltre a un buono in musica e a una valutazione positiva in religione. Il Tar nota che «i docenti sono tenuti ad accertare il raggiungimento di tutti gli obiettivi formativi del biennio, valutando altresì il comportamento degli alunni». Insomma, la condotta è un elemento di questa valutazione, non l’unico.


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Agenzia spaziale, gli stipendi volano alle stelle

>>Da: andreavisconti
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Denuncia alla Corte dei conti: retribuzioni fino a 210mila euro, poca trasparenza sui contratti, gli addetti sono ormai oltre duecento. Bufera sulla gestione del ministro Mussi: un sindacato si rivolge alla magistratura contabile. Rifondazione: "Uso discrezionale dell’esito dei concorsi"

Puntuali come la rata di un mutuo, la scorsa settimana gli americani hanno presentato protesta formale all’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) per il lancio del satellite italiano Agile con un vettore indiano, perché a loro modo di vedere c’era tecnologia yankee top secret su cui i tecnici di New Delhi avrebbero potuto indagare. Si dice che il presidente dell’Asi Bignami, abbia reagito contrattaccando all’offensiva Usa di cui abbiamo parlato già due settimane fa, forte anche del via libera ottenuto - contro il veto fatto piovere da Washington - anche da D’Alema e Mussi.
Ma intanto lo stesso Bignami, che è stato nominato dal ministro Mussi, pare si trovi alle prese con un’altra grana piuttosto seria: il processo di elefantiasi degli organici della stessa Asi, condito dalla comparsa di una inestricabile giungla retributiva che - in epoca di denunce di spesa facile per la politica e i suo addentellati - fa discutere non poco. Nell’Asi e dintorni.
Pochi giorni fa è partita una denuncia di un sindacato interno collegato alla Cida indirizzata alla Corte dei Conti e fatta pervenire anche ai ministri Mussi, Padoa-Schioppa, Nicolais e Bersani. In questa si fa presente che «la politica del personale nell’Asi è caratterizzata da mancanza di equità, trasparenza e legalità». In pratica si denuncia senza mezzi termini come negli ultimi tempi si siano fatti contratti a tempo determinato a persone che spesso lasciano industrie che, guarda caso, hanno da poco stipulato commesse proprio con l’Asi. E non è tutto. Costoro vengono assunti a cifre spropositate (si parla di compensi annui che si aggirano tra i 150 e i 210mila euro) rispetto a quanto viene dato al personale già in servizio. Le cifre si commentano da sole: da 80 addetti di fine anni ’80 - quando venne creata l’Asi staccandone una costola al Cnr - si è passati ad oltre 200. Rafforzati in questi ultimi tempi da nuovi ingressi. Nell’ultimo elenco figurerebbero, tra gli altri, un alto funzionario di palazzo Chigi, un ammiraglio, un pensionato ex Ente Spaziale Europeo, alcuni dirigenti di aziende legate all’Asi, l’ex-capo ufficio stampa di un ministro del centrosinistra.
È regolare tutto ciò? È normale che un’agenzia statale assuma tanta gente con ricche retribuzioni senza passare attraverso concorsi? Secondo Rina Gagliardi e Giovanna Capelli, senatrici di Rifondazione comunista, non ci siamo proprio. E così in una interrogazione presentata pochi giorni fa a Mussi fanno sapere che «da incontri col personale della ricerca» si è «evinto un utilizzo discrezionale dell’esito dei concorsi, un ricorso al comando di personale proveniente da altri enti senza la preventiva pubblica informazione e senza la dovuta trasparenza, un utilizzo anomalo delle assunzioni a tempo determinato e del loro rinnovo senza procedure valutative né di concorso, superando ampiamente i tetti previsti per il personale da assumere».
Insomma l’ennesima Bengodi coi quattrini distribuiti a pioggia. Su cui Mussi sarà chiamato a rispondere tra qualche tempo a palazzo Madama ma di cui forse potrebbe occuparsi prima: il 12 è infatti in programma la riunione del nuovo Consiglio d’Amministrazione de

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Sprechi, l’Abruzzo si mette in marcia per ridurre i privilegi dei consiglieri

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Inizia a metà giugno la raccolta di firme per tagliare emolumenti, rimborsi spese e nomine
Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l’Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori. Tutti one-man-show: si riuniscono, discutono, propongono, dissentono. In perfetta solitudine. È ininfluente il fatto che, oltre agli 8mila euro lordi al mese come consiglieri, ne intascano altri 2mila per questa funzione. E in più: ognuno ha un ufficio, i finanziamenti previsti per i gruppi, personale di segreteria.
Così, dopo l’Umbria, anche in Abruzzo si fa strada l’idea di dare una sforbiciata a questa manna, via referendum. «L’ufficio legale della Regione ha dato parere favorevole» dice Pio Ravagnà, ex parlamentare (eletto nel '92 nelle Liste Pannella) e portavoce del comitato promotore: «Ora si devono attendere i tempi dell’Ufficio di presidenza del consiglio regionale: perché a norma di statuto sono i consiglieri regionali a decidere sull’ammissibilità della consultazione sui loro privilegi». L’inizio della raccolta di firme è previsto a metà giugno.
Il fatto è che se a livello nazionale si predica bene (con piano di governo per ridurre i costi di Comuni, Province, Regioni e studi per abolire le Comunità montane), a livello locale si razzola meno bene. In Umbria il presidente ds, Maria Rita Lorenzetti, ha fatto slittare tre volte in due anni la data del referendum. E in Abruzzo il governatore Ottaviano Del Turco, appena passato al Partito democratico? «Non ha detto una sola parola» affonda Ravagnà. Che aggiunge: «Per tagliare i privilegi dei consiglieri regionali, di referendum ce ne vorrebbero 12. Tanti quanti le voci che compongono gli emolumenti».
Intanto si comincia con tre. Tre quesiti referendari. Il primo chiede di abolire l’articolo relativo alle cosiddette «indennità aggiuntive». Dai 3mila euro «aggiuntivi» al mese per i presidenti di giunta, consiglio, commissioni. Ai 2mila dei capigruppo (più rimborsi spese, diaria, gettoni di presenza eccetera). Il secondo quesito cancella il vitalizio - le pensioni dei consiglieri: da 3.500 euro al mese con un mandato, fino a 6mila per più mandati - e gli assegni di reversibilità per vedove e orfani. Il terzo quesito è il più dirompente. Vuole azzerare gli «organi di vertice degli enti strumentali». Vale a dire le nomine politiche dei consigli d’amministrazione negli enti per la portualità, consorzi di bonifica, agenzie per la cultura o la sanità, l’ambiente, l’acqua, i rifiuti. Sono 3mila persone che in Abruzzo vivono di politica. «Al di là degli annunci roboanti - commenta Pio Ravagnà - i politici cercano in tutti i modi di ignorare il referendum». C’è da stupirsi?
Pierangelo Maurizio

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Sfregio a casa Biagi: «Terrorista è lo Stato»

>>Da: andreavisconti
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L’allarme di Cofferati: «Persone da identificare al più presto». Casini: «Ora c’è un motivo in più per chiedere scusa ai famigliari»

Il mittente delle lettere di minacce del Partito comunista combattente era indicato in via dell’Inferno 1. Girato l’angolo si sbuca in via Valdonica, ghetto di Bologna, ma, soprattutto, la via dove Marco Biagi, il 19 marzo 2002, fu ucciso da un commando delle Br. Ora una scritta infamante è apparsa sul muro di fronte alla casa dove vivono la vedova e i figli: «Terrorista è lo Stato» ha tracciato una mano anonima con spray nero. Attorno nessuna sigla. La scritta è stata vergata forse venerdì, come ha segnalato al Resto del Carlino un residente che ha scritto subito pensando ai parenti del giuslavorista ucciso: «Uscendo di casa vedono questa oscenità».
La Digos ha avviato gli accertamenti, ma non sarà facile risalire agli autori. Giorni fa altre scritte («Terrorista è lo Stato», «Piazza Federico Aldrovandi, ucciso dagli sbirri», «Stato assassino») erano apparse sempre nel centro storico di Bologna, ma facevano riferimento a Federico, il ragazzo ferrarese per la cui morte sono sotto inchiesta quattro poliziotti.
Bologna, che da settimane vive in un clima di tensione dopo le lettere di minacce a firma Pcc e il rogo di due auto sotto la casa del portavoce del sindaco Sergio Cofferati, vuole risposte. «È una scritta vergognosa che segnala un problema non risolto come quello della presenza in città di persone attratte dalla follia del terrorismo» è stato il commento di Cofferati. «Sono persone da individuare rapidamente dalle forze dell’ordine» ha chiesto il sindaco. Immediata la condanna anche del ministro del Lavoro, Cesare Damiano: le scritte davanti a casa Biagi sono «un gesto ignobile da condannare con grande fermezza» ha dichiarato, sottolineando che tutto ciò lascia un «seme di tristezza profonda. Sono segnali che non vanno sottovalutati».
«Le scritte sui muri di Bologna e gli slogan gridati durante la manifestazione a L’Aquila contro Marco Biagi indignano ma non stupiscono - ha affermato il senatore di Forza Italia Maurizio Sacconi, per cui Biagi lavorava al ministero del Welfare -. Come sosteniamo da anni la linea eversiva trova il sostegno di una platea più ampia che a sua volta si alimenta del persistente antagonismo di classe che caratterizza un pezzo rilevante della sinistra politica e sociale». Condanna anche dal bolognese Pier Ferdinando Casini: «Ci sono tanti motivi per chiedere scusa ai famigliari di Marco Biagi - ha detto, riferendosi alla vicenda della scorta negata - ma da oggi ce n’è uno in più». Parole forti anche dal segretario ds Piero Fassino: «Un atto vergognoso che rivela lo squallore umano e politico di chi ha vergato quella scritta. Un episodio che rinnova il dolore della famiglia Biagi, a cui va la nostra solidarietà».
Anche il deputato Sdi Angelo Piazza, amico personale di Biagi e famiglia, usa parole forti: «È un’infamia, da lì passano i suoi ragazzi. Un’infamia che non ci deve riportare ai tempi più duri delle polemiche contro Marco». E aggiunge: «I dati sull’occupazione dicono che ci sono tre milioni di nuovi posti di lavoro, ed è anche merito di Marco. Considerarlo un oscuro esponente della reazione è un crimine». Ma il giudizio sull’operato di Biagi, ispiratore della legge 30 sul lavoro per il governo Berlusconi, è ancora oggi fonte di divisioni. Per la sinistra radicale quella resta la legge che ha gettato nella precarietà milioni

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Dirigente Margherita massacrato in mezzo alla strada

>>Da: andreavisconti
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Per il momento è avvolto nel mistero fitto il caso di Maurizio Oldani, dirigente della Margherita di Milano, il commercialista di 47 anni ritrovato ieri mattina lungo una strada del centro di Milano, poco lontano dalla sua abitazione, privo di sensi, insanguinato e con grosse tumefazioni alla testa, al naso e alla bocca. L’uomo - celibe e incensurato - dopo essere stato operato si trova ora in rianimazione all’ospedale Fatebenefratelli e le sue condizioni sono gravissime. «Lotta contro la morte» dicono i medici.
Il fatto è accaduto poco prima delle 6.30 in via Porta Tenaglia, zona Garibaldi, a poche centinaia di metri dall’Arena civica. Mancavano pochi minuti alle 6 quando un passante ha avvisato il 113. Giunti sul posto i poliziotti sono rimasti ammutoliti. «C’era sangue ovunque, che gli usciva dalla bocca e dal naso -. hanno spiegato -. Quel poveretto aveva anche parecchie ferite in faccia e sulla testa». Ematomi che avevano causato alla vittima un violento trauma cranico cerebrale.
«Stiamo sentendo tutti i suoi parenti», spiega la polizia che esclude del tutto la rapina: l’uomo aveva in tasca tutto il suo denaro. E con il passare delle ore prende sempre più corpo la pista di una vendetta privata. Forse legata a motivi passionali. Paola Fucilieri

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Risolto il mistero dei salmoni ciechi

>>Da: andreavisconti
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La moria di salmoni in una allevamento aveva come causa il diffondersi della cataratta: i pesci non vedendo, non si nutrivano e quindi morivano; cure ai figli degli ipovedenti ittici hanno portato a sanare tutto l’allevamento. È una delle ricerche raccontate a 280 veterinari oftalmologi, provenienti da 26 Paesi e dai cinque continenti, riuniti al centro congressi del Porto Antico in un convegno internazionale.
«Curiamo cani, gatti e cavalli con le stesse tecniche che usiamo sugli uomini - ha spiegato uno degli organizzatori, il veterinario oftalmologo Claudio Peruccio -. Per esempio facciamo la terapia al laser, le operazioni per la cataratta o inseriamo le lenti intraoculari. Ma lo studio di animali già malati ci permette anche di fare prevenzione per l’uomo. Ad esempio una professoressa svedese sta studiando dei gatti abissini per la prevenzione delle malattie alla retina». L’oculistica veterinaria è molto interessante per chi ha allevamenti. Non solo di cani e gatti, per preparare incroci resistenti a certe malattie che colpiscono la vista, ma anche per chi alleva pesci. Ne sa qualcosa la professoressa norvegese Ellen Bijerkas, un’esperta mondiale del settore, chiamata a risolvere l’enigma della moria continua di salmoni in un allevamento. Scoprì che avevano la cataratta, non vedendo non si nutrivano e quindi morivano. Cure ai figli degli ipovedenti ittici hanno portato a sanare tutto l’allevamento. «La vista si cura anche con la dieta», ha precisato Peruccio. Proprio come per gli umani.

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Ecco come si scatena l’ansia Scoperta di un’équipe italiana

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Gli italiani sono meno ansiosi degli altri europei. E anche degli americani. Però è merito dei nostri connazionali la scoperta dell’interruttore dell’ansia. Al Laboratorio europeo di biologia molecolare di Monterotondo (Roma) è stato individuato dove nasce questo disturbo dell’umore: una sorta di cassetto dei ricordi situato nel cervello in una porzione dell’ippocampo.
Quest’interruttore dell’ansia è stato però spento per ora solo nei topolini da laboratorio, ma un’applicazione sugli uomini pare alla portata. Ci sperano quei milioni di italiani che soffrono di ansia (l’11%), cinque punti percentuali in meno degli altri europei come è stato rilevato dall’European Study of Epidemiology of Mental Disorders, condotto in Italia dall’Istituto superiore di sanità. Dai cinquemila soggetti analizzati, reclutati tra gli iscritti alle liste elettorali di 172 comuni, è emerso che le donne hanno una probabilità tripla di soffrire d’ansia. Entrambi i sessi però sono alle prese con pericolose tendenze annesse. È il caso dell’uso d’’cstasy che, secondo l’Erasmus Medical Center - Sophia Children’s Hospital di Rotterdam sarebbe maggiormente frequente nei giovani che durante l’infanzia hanno sofferto d’ansia o depressione.
Un problema che non riguarda i topolini che hanno permesso a Cornelius Gross, Theodoros Tsetsenis e Luisa Lo Iacono del laboratorio di Monterotondo di scoprire la chiave d’accesso dell’ansia, come si leggerà nello studio pubblicato nel prossimo numero della rivista scientifica Nature Neuroscience. Il segreto per calmare i topolini nervosi sta tutto nell’agire sul cosiddetto «giro dentato» dell’ippocampo, una porzione di cervello che non è molto variata lungo la scala evolutiva. Sembra pertanto esserci un’alta possibilità che il giro dentato dell’ippocampo sia una componente importante dell’ansia ingiustificata anche nell’uomo. È quanto dimostrerebbero i test condotti sugli animali esaminati, tutti topolini transgenici ai quali è stato bloccato il gene del recettore della serotonina, ovvero il neurotrasmettitore del buon umore. Le piccole cavie erano in preda ad ansia immotivata di fronte a a situazioni ambigue che venivano percepite come fonti di pericolo. Una condizione tipica anche degli esseri umani che soffrono d’ansia, incapaci di affrontare situazioni che per i non ansiosi non sono affatto fonte di panico.


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Rapina, fuga e spari contro i carabinieri: morto 16enne

>>Da: andreavisconti
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Incensurato rapina una paninoteca con cinque amici, stanotte all'1,30 a Posilippo. Dopo l'inseguimento con una volante il conflitto a fuoco. Il ragazzo aveva una pistola giocattolo, senza tappo rosso

Napoli - Un rapinatore di 16 anni è stato ucciso a Napoli durante una rapina in un pub. Il baby rapinatore impugnava una pistola giocattolo, ma senza il tappo rosso. I militari hanno corretto la versione del fatto. In un primo momento avevano comunicato che la pistola era un'arma alterata calibro 7,65 in grado di sparare proiettili veri ed era carica. Poi la retromarcia. Il giovane si chiamava Marco De Rosa, aveva 16 anni, viveva nel quartiere dell’Arenaccia ed era incensurato. Il fatto è accaduto questa notte dopo l’una e trenta in una paninoteca di Piazzetta San Luigi, nel quartiere residenziale di Posillipo. Secondo quanto si è appreso, in sei a bordo di tre motocicli sono arrivati al pub e sono entrati armati per una rapina. La rapina è stata compiuta nel pub Genline, in Via Posillipo. All’interno del locale si sono presentati due malviventi, armati con una pistola e con il volto nascosto dai caschi. Si sono fatti consegnare dal proprietario del pub l’intero registratore di cassa, contenente il denaro: 100 euro. All’esterno del locale erano rimasti in attesa altri quattro complici, su due diversi motorini.

L'inseguimento La fuga era appena cominciata quando i giovani hanno incrociato carabinieri. È cominciato così un inseguimento lungo i tornanti in discesa di Via Posillipo. Giunti alla fine della strada, in Largo Sermoneta, dove comincia il lungomare di Napoli, De Rosa ha tentato di proseguire la fuga a piedi, mentre i complici sono riusciti a fuggire. Mentre l’ inseguimento del ragazzo continuava - sempre secondo la ricostruzione fatta dai militari - i carabinieri hanno più volte intimato al rapinatore di fermarsi ed hanno anche sparato alcuni colpi di pistola in aria, a scopo intimidatorio. Ad un tratto, però, De Rosa si è voltato ed ha puntato l’arma verso i militari che lo inseguivano. Uno dei carabinieri ha sparato, colpendo il ragazzo. De Rosa, gravemente ferito, è stato soccorso e trasportato subito all’ospedale Fatebenefratelli, in Via Manzoni, ma è morto durante il tragitto. I suoi cinque complici sono riusciti a fuggire.

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Travolta dai rom in fuga sull’auto rubata

>>Da: andreavisconti
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Folle corsa contro mano sul Grande raccordo anulare di Roma. I due nomadi centrano la vettura della donna: è gravissima. Uno è riuscito a scappare, l’altro, dopo una colluttazione con un agente, è stato arrestato

Roma - Rubano un’auto, imboccano il grande raccordo anulare di Roma contromano inseguiti dalla polizia stradale e provocano un incidente che rischia di costare la vita a Lorenza Panci, una donna di 60 anni ricoverata al policlinico Casilino in fin di vita. Protagonisti del grave episodio ancora una volta due nomadi, probabilmente entrambi di origine bosniaca.

Sono le 7 di ieri mattina quando, in prossimità del cavalcavia dello svincolo di Tor Bella Monaca, alla periferia Est della capitale, la polizia stradale nota sulla piazzola del raccordo, due autovetture con sportelli e bagagliaio aperti. Accanto due nomadi sono intenti a caricare capi d’abbigliamento, poi risultati rubati, da una automobile all’altra. Non appena i due si accorgono della polizia, con grande velocità salgono a bordo di una delle due auto, una Fiat Tipo, e fanno inversione di marcia, lanciandosi in una folle corsa contromano sul raccordo anulare, che è l’autostrada che circonda Roma. La polizia si getta sulle loro tracce, finché i due non si immettono nello svincolo per Tor Bella Monaca sempre contromano. Qui sopraggiunge la Pegeout 106 della Panci, una dipendente dell’Autogrill Casilina che tutti i giorni percorre quella strada per recarsi al lavoro. Il frontale è micidiale: la povera donna viene soccorsa e trasportata nell’ospedale più vicino, dove viene ricoverata in Rianimazione e i medici le riscontrano traumi gravi come la perforazione di un polmone, la lesione di due vertebre spinali, una grave ferita all’occhio e diversi traumi agli organi interni. Nel frattempo i due nomadi fuggono per le campagne circostanti inseguiti dalla polizia, che riesce ad arrestarne uno mentre l’altro si dà alla fuga in direzione via Prenestina.

In manette finisce un bosniaco di 24 anni che, prima di arrendersi, malmena l’agente, al quale verranno refertate lesioni giudicate guaribili in quattro giorni. Per il nomade le accuse sono di lesioni gravi, omissione di soccorso, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e ricettazione. Un esame tossicologico sul bosniaco, disposto dal magistrato di turno, ha poi evidenziato che non aveva assunto alcol o droga prima dell’incidente.

La polizia Stradale sta ancora indagando per risalire a quale campo nomadi o in quale baraccopoli risiedesse il nomade arrestato, per giungere così anche alla cattura del complice fuggitivo. L’incidente rinfocola ancora una volta la polemica sulla gestione dell’emergenza nomadi nella capitale da parte dell’amministrazione. «I palliativi adottati - denuncia il capogruppo di An alla Provincia di Roma, Piergiorgio Benvenuti - hanno determinato negli anni un problema di sicurezza che oggi è di difficile soluzione per la vastità del fenomeno e per le tipologie dei reati commessi».

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Delitto Raciti, revocato l'arresto per il 17enne

>>Da: andreavisconti
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Il gip di Catania annulla il provvedimento per il minorenne. Decisiva la perizia dei Ris per scagionare il giovane, resta indagato per resistenza a pubblico ufficiale. Escluso anche il "fuoco amico". La morte dell'ispettore di polizia resta senza colpevole

Catania - Annullata dal gip di Catania l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del 17enne indagato per l’omicidio di Filippo Raciti. L’ispettore morì il 2 febbraio dopo essere stato ferito durante gli scontri del derby di calcio con il Palermo al Massimino. Il ragazzo rimane comunque in carcere, perché nei suoi confronti resta pendente l’ordine di arresto per resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Fissato per il 5 luglio il dibattimento per il giudizio immediato per questo reato.

Escluso il fuoco amico "Dubbi dalla perizia dei Ris", tanto da far venire meno "la gravità degli indizi per giustificare la detenzione cautelare in carcere", ma non sull’ipotesi "fuoco amico" che viene nuovamente esclusa, tanto da rigettare l’ennesima richiesta di perizia medico legale. Sono i punti principali dell’ordinanza con la quale il gip per i minorenni di Catania, Alessandra Chierego, accogliendo la richiesta dei legali dello studio Lipera, annulla l’ordine di arresto per omicidio, del 17enne accusato della morte dell’ispettore Filippo Raciti.

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Paolo Armaroli: Il licenziamento di Speciale l’ha firmato Napolitano

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

A torto o a ragione, Giorgio Napolitano si è sentito tirare per la giacchetta a proposito dell’incredibile caso che ha per protagonisti il viceministro Vincenzo Visco, che si è visto ritirare la delega relativa alla Guardia di Finanza, e il generale Roberto Speciale, defenestrato da un momento all’altro in un clima degno di una commedia dell’assurdo di Ionesco. E così il presidente della Repubblica ha voluto mettere i puntini sulle i. Una nota del Colle ha precisato che «è improprio coinvolgere la presidenza della Repubblica in polemiche su materie che non corrispondono ai suoi poteri costituzionali». E, alla domanda di un giornalista nei giardini del Quirinale in occasione del 2 giugno, ha dichiarato: «Si tratta di decisioni prese dal governo nella sfera delle sue esclusive competenze e attribuzioni: pretendere di tirare in ballo il Presidente della Repubblica in materie che non corrispondono ai suoi poteri costituzionali è improprio».
Spiace dirlo, perché nutriamo il massimo rispetto nei confronti del capo dello Stato, ma le cose non stanno precisamente così. Certo, sul ritiro di una delega a Visco da parte del ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, il presidente della Repubblica non ha da far valere alcun potere. Ma che non abbia nessuna voce in capitolo, non si può assolutamente sostenere. Infatti Napolitano ricorderà che cosa affermò il presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini, nella relazione all’Assemblea costituente presentata il 6 febbraio 1947. Ecco le sue parole: «Il Presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre Costituzioni». No, «egli rappresenta e impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica».


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Prete cattolico e tre diaconi uccisi a Mossul

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Un sacerdote cattolico, padre Ragheed Ganni, e tre suoi aiutanti diaconi sono stati uccisi ieri a colpi d’arma da fuoco da sconosciuti a Mossul nel nord dell’Irak. Lo ha annunciato l’agenzia di stampa cattolica “Asianews”. L’assassinio è avvenuto poco dopo la messa domenicale, davanti alla chiesa del Santo Spirito di cui il sacerdote era parroco.
Secondo fonti di “AsiaNews”, in serata i corpi erano ancora abbandonati in strada perché nessuno osava recuperarli per paura di rappresaglie degli estremisti musulmani.
Ormai da tempo nell’Irak del dopo-Saddam, i cristiani sono fatti oggetto di vera e propria persecuzione, denunciata più volte dai vescovi caldei e ortodossi. Padre Ganni aveva studiato in Italia e parlava arabo, italiano, francese e inglese. Ragheed aveva già subito diversi attentati e la chiesa del Santo Spirito era stata attaccata anche con il lancio di bombe.


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Irak, Londra prepara il ritiro «Soldati a casa entro un anno»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Pronto il piano per evacuare 5.500 soldati I generali britannici suggeriscono a Brown di concentrare poi le forze in Afghanistan

Un ritiro veloce dall’Irak nel giro di un anno per poi concentrare tutte le forze in Afghanistan. Sarebbe questo, secondo le indiscrezioni pubblicate ieri dal Sunday Telegraph, il piano strategico che il ministero della Difesa britannico si appresta a presentare al nuovo primo ministro inglese Gordon Brown. E a quanto pare il neo premier non esiterà a sottoscriverlo, anzi le sue ultime dichiarazioni a proposito del conflitto iracheno («bisogna ammettere che abbiamo fatto degli errori») non fanno che sostenere questa nuova tabella di marcia che prevede un ritiro entro il prossimo maggio.
Fino a questo momento il governo e le stesse forze armate avevano sempre garantito che il ritorno a casa dei soldati dall’Irak sarebbe stato dettato «dagli eventi e non dal calendario», ma l’assenza di progressi significativi e la necessità di mandare più uomini in Afghanistan dove il conseguimento di maggiori successi appare un traguardo più accessibile, sembra aver costretto il governo ad accelerare il programma di ritiro. Ovviamente la notizia di quest’inversione di tendenza non sarà gradita dalla Casa Bianca, fiduciosa nell’appoggio dell’alleato più stretto per tutto il tempo della loro permanenza nel paese. Ma il governo britannico sembra ormai essersi convinto che non è possibile combattere comtemporanemanete su due fronti così impegnativi. «La Gran Bretagna non è fisicamente in grado di sostenere due conflitti – ha spiegato ieri al Sunday Telegraph un ex ufficiale della Difesa – e adesso la questione va posta in questi termini: a quale delle due guerre dobbiamo rinunciare? Il governo ha deciso di rinunciare all’Irak. Esiste già un programma che prevede il ritiro unilaterale nei prossimi dodici mesi». La proposta tuttavia, non avrebbe ricevuto il pieno appoggio della Difesa. Sempre a sentire il Telegraph, alcuni dei generali più anziani ritengono che l’Irak sia strategicamente più importante per gli interessi britannici dell’Afghanistan. «Il governo è convinto che ottenere dei successi in Afghanistan sia molto più semplice e questo rende questa scelta più attraente – ha aggiunto la fonte della Difesa – e anche se molti, sia nelle forze armate inglesi che in quelle americane, ritengono che l’Irak sia strategicamente più importante, va riconosciuto che non esiste un sostegno popolare a questo conflitto. Personalmente penso che la storia dimostrerà che questa guerra è stata una scelta sbagliata».
Sembra possibile perfino un ritiro più rapido. In questi giorni, un ex ministro dell’esecutivo ristretto è già stato incaricato di effettuare una valutazione su come presentare all’opinione pubblica questa nuova decisione dopo che Brown avrà assunto l’incarico di primo ministro. «Gordon non farà niente di stupido e ascolterà i suggerimenti del comando militare – ha spiegato un ministro vicino al Cancelliere - ma adesso esiste una possibilità di progredire. Il nostro piano di ritiro potrebbe venire alterato».
Erica Orsini


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«Puniremo le giornaliste tv senza il velo»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

«Se necessario, le decapiteremo e le sgozzeremo». È una terribile minaccia, una lugubre sentenza di condanna a morte senza processo quella che grava ora sulle teste delle giornaliste della televisione ufficiale palestinese. Ad annunciarla, spostando se possibile ancora più in alto la lancetta che misura il livello dell’orrore e dell’imbarbarimento fratricida nella Striscia di Gaza, è stato un gruppuscolo estremista di recente creazione, autobattezzatosi “Le giuste spade dell’Islam“ e considerato vicino ad Al Qaida, promettendo appunto il ricorso al «pugno di ferro e alle spade» nei confronti delle giovani annunciatrici televisive. Donne scostumate e perdute, a loro dire, per il solo fatto di andare in onda a capo scoperto.
«Ciò che si sente dire in questi giorni nelle nostre strade è che il nemico si è ritirato dalla striscia di Gaza e che così stanno facendo anche i nostri principi morali - si legge in un delirante volantino del gruppo, riportato dal quotidiano israeliano Jerusalem Post -. È infatti un’assoluta disgrazia che queste donne impiegate nei media ufficiali palestinesi siano in continua competizione tra loro per esibire la propria avvenenza».
Definendo quindi «immorale» il comportamento delle annunciatrici che vanno in onda senza indossare sul capo il niqab, i folli estensori di questa minaccia di morte lanciano anche una serie di inquietanti domande retoriche: «Dove sono, in proposito, le persone chiamate a decidere? Abbiamo forse perduto la nostra coscienza? Hanno forse smesso, i nostri fratelli, padri e mariti di controllare le proprie donne?».


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Ahmadinejad insiste: «Conto alla rovescia per la fine di Israele»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ne è certo, Israele è ormai alla fine e presto dovrà rassegnarsi a scomparire sotto i colpi di Hezbollah e dei palestinesi. La rinnovata profezia, figlia di quella del 26 ottobre 2005 che auspicava la cancellazione dalle carte geografiche dello Stato ebraico, arriva mentre il potere giudiziario annuncia le confessioni di due intellettuali iraniani, Haleh Esfandiari e Kian Tajbakhsh, con passaporto americano già arrestati e accusati di spionaggio a favore di Washington.
Il ritorno sulla scena di un presidente da qualche tempo insolitamente silenzioso, la ripresa della retorica anti-israeliana e il rilancio di quella che molti osservatori definiscono la «nuova guerra degli ostaggi» sembra preparare un nuovo duro confronto tra Iran e Occidente. Quel confronto potrebbe spaziare dalle questioni del nucleare e del conflitto iracheno fino agli agitati scenari libanesi, dove la scadenza del 12 giugno, fissata dal Consiglio di Sicurezza, aprirà la strada al tribunale internazionale incaricato di giudicare i responsabili dell'assassinio del primo ministro Rafik Hariri.
Il risveglio del presidente e la sfida del potere giudiziario fanno dunque presagire nuove imminenti tensioni. Il primo campanello d'allarme affidato alla voce di Ahmadinejad risuona durante le celebrazioni per la morte dell'imam Khomeini davanti a uno stuolo di dignitari africani e arabi. «In Libano le potenze arroganti e corrotte e il regime sionista hanno dispiegato tutti i loro mezzi durante l'ingiusta guerra dei 33 giorni, ma per la prima volta la grandezza d'Israele è venuta meno», spiega il presidente ricordando lo scontro con Hezbollah percepito dall'opinione pubblica araba come la prima grande battuta d'arresto della potenza militare d'Israele.
Quella guerra, per Ahmadinejad, ha aperto le porte della sconfitta dello Stato ebraico. «Il conto alla rovescia verso la fine è iniziato per mano dei figli di Hezbollah...In un futuro non lontano grazie la strenua resistenza di tutti i combattenti palestinesi e libanesi ci consentirà di assistere al definitivo collasso di quel regime».


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Denunciato chi contesta il governo, chi esalta le br invece no

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Si ha l’impressione, talvolta, che la macchina della legge, che sappiamo asmatica e bolsa, colpisca con tempismo ed energie differenti a seconda delle latitudini. Ieri ci sono state due manifestazioni politiche di una certa rilevanza: una, a Bologna, pacifica e composta, animata da qualche decina di giovanotti di An; l’altra, all’Aquila, minacciosa e proterva. La prima, che in realtà non eranemmeno una manifestazione in senso tecnico, si è esaurita nell’esposizione in piazza Santo Stefano, a pochi passi dall’abitazione del presidente del Consiglio, Romano Prodi, di uno striscione con solo tre parole: «Una vergogna Speciale». Una concisione tacitiana, tre paroline per sintetizzare una pagina nera della Repubblica, il colpo dimanocontro il comandante generale delle Fiamme gialle, lo sviluppo di uno stile di non-governo sprezzante e illiberale. Nessuno berciava o minacciava: solo tre parole, come diceva una vecchia canzonetta.Maquelle tre parole sono bastate a fare scattare la reazione delle forze dell’ordine: i ragazzi dello striscione sono stati identificati e i loro nomi sono stati trasmessi alla magistratura «per il di più a praticarsi», come recitano le formule questurine. Si profila l’accusa: manifestazione non autorizzata, in pratica porto abusivo di striscione anti-governativo. La formuletta è importante: non significa nulla che lo srolotamento dello striscione non abbia messo in pericolo l’ordine pubblico, è sufficiente che non ci sia stata la richiesta dell’autorizzazione a fare ciò che in ogni democrazia è consentito. Altra musica all’Aquila. Quihanno sfilato, inquadrati con l’esperienza di chi non è nuovo agli scontri di piazza, elementi dell’ultrasinistra, elementi tosti dell’ala cosiddetta «movimentista eversiva», che hanno chiesto l’abolizione del 41 bis (prevede norme di carcerazione particolarmente limitative, a ragione, per terroristi e mafiosi).

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P. C. Pomicino: Se i debiti son sommersi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ragionando e discutendo sulle considerazioni finali del Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi è passata sotto silenzio una grave dichiarazione del ministro dell'Interno.
In un’intervista Giuliano Amato ha candidamente confessato che la sua amministrazione ha 400 milioni di debiti, per la qual cosa ha consigliato ai vigili del fuoco di non pagare gli affitti degli immobili in uso per conservare i pochi spiccioli per la benzina. Sono mesi che sentiamo parlare di un realizzatorisanamentodeiconti pubblici, di extragettito fiscale, di tesoretto da distribuire, ma nessuno spende una parola sul debito sommersodello Stato. Tutti parlano,giustamente, dell’economia reale sommersa che produce una massiccia evasione fiscale, maanessunosembrainteressarela quantificazione del debito altrettanto sommerso dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, delle Province e di tutte le loro «appendici» gestionali, a cominciare dalla sanità. Sembra assente la Ragioneria generale dello Stato e la stessa Banca d’Italia che, con le parole di Draghi, dà atto del miglioramento dei conti pubblici, ignorando le gravissime dichiarazioni di un ministro come Giuliano Amato, non aduso a scoop mediatici. Seil ministero dell’Interno ha 400 milioni di debiti nonostante la delicatezza delle sue funzioni, a quanto ammonteranno i debiti complessivi delle amministrazioni centrali dello Stato? Partendo dalle dichiarazioni di Amato e considerando che sullo stesso piano (400 milioni) c’è il ministero di Grazia e giustizia, i debiti delle amministrazioni centrali dello Stato ammontano a non meno di 3 miliardi di euro. E siamo ottimisti. Se a questi si aggiungono poi i debiti dei Comuni, delle Province e innanzitutto del sistema sanitario regionale e del trasporto locale, non siamo lontani dai 10 miliardi di euro (0,6-0,7 per cento del Pil) di impegni finanziari non onorati verso i fornitori, i proprietari di immobili e i prestatori di servizi.
Dieci miliardi non pagati significa ridurre artificialmente e nel silenzio contabile il fabbisogno dello Stato, che è un dato di cassa. Meno si paga, minore è il fabbisogno. E minore sarà l’emission edi titoli di Stato a sua copertura, mentre crescono le bugie sui conti pubblici. Ciò che poi rende il tutto insopportabile è chequesto Stato applica ai suoi creditori un criterio diverso quando essi diventano debitori dell’Erario. In quel caso l’agenzia delle entrate in poche settimane confisca conti correnti, crediti e immobili con una efficienza insospettata.


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La Guerra dei 6 giorni che cambiò Israele

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Certi periodi del calendario hanno ovunque un senso magico. In Occidente sono i secoli e i millenni. Nel mondo ebraico è il 40 (oltre il 7) che detiene un contenuto mistico particolare. Noè galleggiò nella sua arca per 40 giorni; gli ebrei soggiornarono nel deserto per 40 anni; per 40 giorni Mosè digiunò sul monte Sinai per ricevere la Legge; Gesù per 40 giorni fu tentato dal demonio. Si trattasempredi periodi diesameedi prova, che coscientemente o no spiegano l’enorme interesse che solleva il 40esimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, iniziata il 5 Giugno 1967, terminata sul campo di battaglia l’11 e che continua con alterne vicende sino a oggi, dimostrando che è più facile vincereche saper usare della vittoria.
Nulla è più tragico della vittoria - dice Nietzsche - se non la sconfitta. Il conflitto palestinese lo prova dimostrandocomesi tratta non - come molti affermano credere - della lotta fra giusto e ingiusto ma fra due tragedie apparentemente irrisolvibili perché diventate simboliche. Anche in Israele si pensa che questo straordinario fatto d’armi sia, come scrive l’Economist, una «vittoria sprecata» che ha trasformato lo Stato ebraico da beniamino in Golia internazionale, il «maggiore pericolo alla pace del mondo» e la «peggiore» delle società in cui, secondo la Bbc, si può vivere, messa appena al di sopra dell’Irak.
È vero che entrambe le parti hanno grandi responsabilità nella incapacità di saper sfruttare le occasioni di pace. Ma si dimentica che alla vigilia della guerra non un israeliano viveva nelle zone poi occupate, che questa assenza non aveva fatto cessare gli attacchi arabi (con perdite superiori a quelle oggi causate dai missili palestinesi), che la vittoria israeliana, in risposta al tentativo nasseriano di distruggere lo Stato, ne ha garantito l’esistenza e lo sviluppo.
Nessuno sembra ricordare che 10 giorni dopo la fine dei combattimenti, il governo israeliano inviò alla Siria e all’Egitto la proposta di ritirarsi sui confini pre bellici - con l’eccezione di Gerusalemme - in cambio della pace; che la risposta della Lega Araba a Khartum, in settembre, furono i «no» al negoziato, al riconoscimento e alla pace; che senza questa vittoria non si sarebbe giunti alla pace con l’Egitto e la Giordania; che la Giordania sarebbe stata assorbita dalla Siria e dall’Irak e il riconoscimento arabo al diritto palestinese di avere uno Stato non sarebbe mai avvenuto. Lo sforzo israeliano a colonizzare le zone occupate in Palestina si è rivelato un errore politico, morale e storico. Ma l’evacuazione di Gaza dimostra la volontà di correggere questo errore (quanto sia difficile farlo lo dimostra il colonialismo europeo, quello cinese in Tibet, russo in Cecenia e arabo nel Darfur), mentre non è cambiato il sogno arabo di distruggere Israele.


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Fiamma Nirenstein: Io, ragazzina, ho combattuto

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Quando alle sette meno dieci il 5 di giugno 1967 la radio scandì «lenzuolo rosso», la parola d’ordine, e la Guerra dei Sei Giorni cominciò, mi trovavo al kibbutz Neot Mordechai in Alta Galilea, il Libano a sinistra, il Golan siriano a destra: ero una biondina di sinistra che la famiglia aveva spedito in Israele sperando tornasse un po’ più saggia. Nasser gridava ogni giorno la sua promessa di distruzione, ammassava truppe nel Sinai cacciando le forze Onu dopo aver chiuso il canale di Suez; dalla Siria si levavano Mig in volo sulle vigne in cui lavoravo in costume da bagno; noi volontari scavavamo trincee nel kibbutz, imparavamo il passodelleopardo sorreggendounvecchio fucile. E mi sembrava ungioco.
Niente era più lontano dell’idea della conquista dalla testa dei membri del kibbutz, dei cittadini di Kiriat Shmona che avevano incerottato le vetrine dei negozi per evitare che le bombe scaraventassero schegge taglienti. Si aspettava, mentre il rombo della minaccia di sterminio si faceva più forte. Quando la guerra scoppiò, oltre all’Egitto, la Siria e la Giordania, anche Sudan, Algeria, Irak, Mauritania, Yemen, si unirono alla compagnia. Le sirene suonarono, mi vestii ancora insaponata nella doccia, avevo il compito di portare i bambini nel rifugio, e lo feci per sei giorni. Alla quarta sirena già non correvo più, eseguivo i miei compiti, nel rifugio giocavamo e cantavamo. Lungo la strada orlata di eucalipti sul margine delle vigne, passavano i carri armati che si ammassavano al confine. I soldati erano come me, sessantottini, ragazzi, alcuni invitavano per scherzo noi ragazze che gli offrivamo da bere «Vieni a Damasco?»; solo uno mi fece un segnaccio con l’indice per dire che lui voleva andare a casa e non voleva la mia acqua.
Quando Moshe Dayan, ministro della Difesa (Rabin era Capo di Stato maggiore), parlò alla radio, chiesi che cosa dicesse (allora non sapevo l’ebraico) e qualcuno del kibbutz, pacifista anche lui, mi disse «Shtuiot», sciocchezze. Invece, era l’annuncio di una nuova epoca. Fino al 4 di giugno avevamo ascoltato alla radio l’annuncio dell’annichilimento d’Israele, stavolta sul serio; Nasser (e così gli altri Paesi arabi, convinti dal 1948 di poter distruggere lo Stato ebraico, occidentale, democratico) mentre le sue strade si riempivano di caricature antisemite e di canzoni con il ritornello «sgozza sgozza», spiegò: «Intendiamo lanciare un assalto generale a Israele. Sarà guerra totale. Lo scopo basilare è la distruzione di Israele». Nasser ammassò nel Sinai 900 carriarmati e130mila uomini, mentre Levi Eshkol, il premier israeliano, e Abba Eban, ministro degli Esteri, cercavano ogni via diplomatica per bloccare la guerra.


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Vittorio Sgarbi: Ma un ministro non è una spesa da tagliare

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Dirò cose, ancora una volta, impopolari. Quindi giuste. Nella generale indignazione sui costi della politica, fino al ridicolo scandalo, arrivato al Corriere della Sera, per i 100mila euro spesi dalla Regione Sardegna per l'acquisto di due automobili nuove («raddoppia la spesa per le auto blu»!: fa sempre effetto anche se non si evidenzia la cifra che si raddoppia, in questo caso piuttosto modesta), non poteva mancare la denuncia sui troppi ministri e sottosegretari: ben 100! Non ho letto di nessuno, neanche tra i ministri e i sottosegretari, che si sia ribellato. Anzi: Mussi si è dichiarato disponibile a rinunciare al suo mandato e, naturalmente, Prodi ha sposato la causa: «Dimezzare il numero dei ministri? Potrebbe essere un'idea». Il sottinteso è che i cittadini plaudano, nella condivisa considerazione che nei luoghi del potere, nel «Palazzo», vi siano sprechi, privilegi, guadagni favolosi e indebiti.
In questo clima accusatorio e penitenziale, il ricatto psicologico èlostesso che, nel '93, indusse deputati sotto schiaffo a cancellare l'immunità parlamentare, considerata un odioso privilegio anche da quelli che ne erano titolari, così che al disegno di legge che la cancellava, fui l'unico a votare contro per preservarla. Mi rendevo conto che i miei scontri con i magistrati,chemiavrebberoportato a ricevere 290 querele, erano tutti di natura politica ed era difficile affrontarli senza uno scudo che mi garantisse di parlare. Ma,d'altra parte, ero anche l'unico che parlava. Da ultimo, la Cassazione, per difendere i magistrati, e cioè la propria categoria di appartenenza, è arrivata a sancire che un parlamentare (sempre io) non si può permettere di dire che una sentenza è politica.
Con buona pace di Andreotti. Mafioso, benché assolto, grazie all'uso abile dello strumento della prescrizione, ovvero: si prescrive il reato, o l'ipotesi di reato non processualmente accertato? Ma adesso siamo al tema ancora più facile dei costi della politica. Un ministro, in quanto tale, al di là dei suoi meriti e delle sue funzioni, costa; è, quindi, bene abolirlo. Questa la logica, anche di Prodi. Con lo stesso principio, un grottesco referendum portò i cittadini a votare per l'abolizione di due ministeri: quello del Turismo e quello dell'Agricoltura. Il secondo non riuscirono a farlo morire: cambiò soltanto la denominazione; prima «Risorse agricole», ora, «Politiche Agricole». Si tratta, ovviamente, di due ministeri essenziali: ma se tu proponi con un referendum al popolo di cancellare il ministero degli Interni e il ministero degli Esteri, ottieni sicuramente un plebiscito per eliminarli.


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Carlo Pelanda: Le promesse di catastrofe

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Prodi ha ricevuto a Palazzo Chigi Mussi, Diliberto e Giordano e li ha rassicurati sul fatto che le decisioni di politica economica saranno prese collegialmente. Tre mesi fa Prodi aveva definito 12 punti, «irrinunciabili » ricordate, per riparare gli errori depressivi fatti nella Finanziaria del 2006. Ora se li è rimangiati tornando alla linea di concedere all'estrema sinistra dosi di statalismo in cambiodi sostegno. Pertanto dobbiamo aspettarci una Finanziaria 2007 che non riparerà alcunché e che perfino peggiorerà la crisi di competitività dell'Italia.
Il punto è che non possiamo più permettercelo. Non è catastrofismo lirico. Proprio perché l'Italia è un sistema economico forte, molto capitalizzato sul piano dei risparmi e patrimoni delle famiglie, ha finora retto un carico di inefficienza economica che avrebbe steso un qualsiasi Paese normale. Ma c'è un limite. Come quello nelle auto sportive: tengono in curva fino a limiti impensabili, ciò spinge il guidatore a toccarli e poi, improvvisamente, si carambola. Siamo vicinissimi al limite. I redditi sono drenati da costi fiscali e sistemici troppo elevati ed il margine per i consumi interni ed i risparmi si sta erodendo. Le imprese hanno carichi fiscali superiori a qualsiasi altra nazione comparabile. Sulla carta la tassazione effettiva viaggia dal 45 al 50%, nella realtà arriva ben oltre.
I costi energetici sono superiori del 20% alla media europea, quelli logistici sono paurosi per l'inefficienza dei trasporti. I vincoli europei ci impediscono investimenti di rilancio in deficit. La politica monetaria della Bce non lascia spazio a svalutazioni competitive che favoriscano le esportazioni. In generale, la cessione di sovranità economica all'Europa implica stabilità monetaria e credibilità, ma al prezzo di un enormesforzo di efficienza competitiva per restarci. Infatti il recupero di efficienza riducendo costi sistemici, burocratici e fiscali ed incrementando la competitività delle imprese è l'unica politica economica possibile per restare in strada. Se non la si fa, si va fuori.
Dove il fuori significa doverabbandonare l'euro per ridare competitività alle imprese e ripagare il debito abbattendo il valore della moneta. Oppure restare nell'euro ed accettare l'impoverimento strutturale della nazione. Ma ciò implicherebbe la secessione del Nord produttivo. In sintesi, c'è una sola politica economica, ripeto,chepuòtenerci in strada: ridurre le tasse e la spesa pubblica con passi graduati in relazione all'esigenza di mantenere redditi e pensioni ad un livello di stabilità.
La Germania ha preso questa via, la Francia seguirà presto. L'Italia, mia stima condivisa da parecchi colleghi, è a circa 5 anni dal limite di crollo e resta sulla strada opposta. Con la complicazione che la crescita corrente, indotta dal boom globale, è considerata un motivo per rimandare le scelte necessarie mentre la struttura economica interna sta in realtà peggiorando. Un Prodi che concede alla sinistra estrema invece di escluderla dalla politica economica, comefatto dai socialdemocratici tedeschi per i motivi qui detti, è una promessa di catastrofe. Per questo l'allarme non è rituale e invoca non solo una chiamatain piazza del popolo produttivo, ma una sua mobilitazione continua fino all'abbattimento del governo. Non scherzo, non esagero.


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Renzo Foa: Il Quirinale sull'isola che non c'è

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Nonostante le speranze di Romano Prodi, il caso aperto dal licenziamento in tronco del generale Roberto Speciale non si chiude. Al contrario, si approfondisce la ferita aperta non solo fra governo e opposizione, ma in primo luogo nello «spirito pubblico». Se l'esecutivo avesse dato delle spiegazioni, se avesse motivato le sue scelte, forse avrebbe potuto aprirsi una discussione diversa. Invece tutto resta privo dei requisiti minimi di trasparenza.
È questa opacità che indebolisce le istituzioni e che vanifica in primo luogo lo sforzo con il quale Giorgio Napolitano ha caratterizzato finora la sua presidenza. Cioè lo sforzo di rendere il bipolarismo virtuoso e di trovare possibilità di confronto fra le forze politiche sulle questioni cruciali che riguardano il futuro del Paese. Il presidente, sul piano istituzionale, può avere ragione nel considerare la contesa di stretta pertinenza di Palazzo Chigi. Ma il Quirinale non è un’isola sperduta, lontana dalle tensioni e dai problemi del Paese. Non è vissuto così dai cittadini. È un riferimento costituzionale per gli apparati dello Stato.
La questione che è stata posta - la settimana scorsa, già subito dopo l’esito del voto amministrativo - non riguarda e non può riguardare semplicemente il dibattito politico o vie di uscita da una crisi che certo il Parlamento non ha formalizzato, ma che è nella quotidianità dei fatti. La preoccupazione riguarda ormai la fragilità dell’istituzione-governo, le tensioni interne che ne condizionano l’azione, la caduta di credibilità dell’esecutivo di fronte alla pubblica opinione, fino alla mancanza di trasparenza di decisioni che attengono all’equilibrio fra i poteri.
È, in altri termini, la preoccupazione per una condotta che si può definire solo come anti-politica. Non è il top dell’anti-politica un presidente del Consiglio che rivendica apertamente il diritto di fare quel che ritiene più giusto, che però non sa motivarlo agli italiani e che ottiene l’appoggio degli alleati solo ponendo la secca alternativa fra se stesso e il diluvio universale? Non è il top dell’anti-politica scavalcare in continuazione il Parlamento e irridere alla democrazia rappresentativa, come è stato fatto ancora una volta dopo il voto amministrativo? Non è il top dell’anti-politica rimuovere, senza spiegazioni, personaggi diventati scomodi, che si tratti del Cda della Rai o del comandante della Finanza?
Non è questo il modo più esplicito e in molti casi sfrontato per affermare che si rinuncia alla politica, cioè alla decisione chiara e trasparente, alla consapevolezza dei rapporti di forza, al rispetto reciproco, alla difesa delle istituzioni intese come punto di riferimento del cittadino?
Se al Parlamento spetta discutere e votare sulla destituzione di Speciale e sulle deleghe di Visco, è chiaro che ormai sono diventati stringenti tutti i grandi temi sul recupero delle virtù repubblicane che il presidente Napolitano, nelle sue prerogative istituzionali, ha posto da mesi all'attenzione degli italiani. E per questo per lui è difficile non ascoltare e chiamarsi fuori.

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Egidio Sterpa: Tocca al centrodestra dare ali al futuro del Paese

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Prodi, è chiaro, è ormai alla fine della sua avventura, anche se non vuole ammetterlo e si comporta con arroganza, di cui ha dato ulteriore prova nel caso Visco-Speciale, che è davvero una gran vergogna per la politica italiana.
Il centrodestra, non c’è dubbio, ora è maggioranza. Quanto potrà resistere la maggioranza venuta dalle elezioni politiche del 2006? Soprattutto, quanto potranno sopportare l’albagia a volte insolente di Prodi i suoi stessi alleati? Alcuni mesi, magari, chissà, un anno o più, ma è certo che questo governo non riuscirà ad attraversare l’intera legislatura.
Fare previsioni è difficile, ma non c’è dubbio che l’attuale confusa situazione politica sta andando verso uno sbocco risolutore. Ad una soluzione può portare una ribellione degli alleati di Prodi, come già accadde nel ’98, o un evento sconvolgente esterno (per esempio, il referendum sul sistema elettorale). Comunque, con l’aria che tira oggi nel Paese, se si va a votare è da escludere che il centrosinistra torni a vincere.
Due richiami mi hanno colpito nei giorni scorsi: quello di Panebianco, columnist sempre onesto, che ci ha ricordato come tra i tanti che in questi anni si sono affacciati sulla nostra scena politica siano mancati personaggi come De Gaulle, che alla Francia seppe dare nuove istituzioni, e coma la Thatcher, che fece riscoprire agli inglesi l’utilità di un liberismo moderno; e il richiamo, sempre sul Corriere, di Piero Ostellino, liberale coerente, che al centrodestra e al suo leader ha lanciato l’invito, quasi una sfida, a far conoscere che cosa farebbe in concreto per affrontare la crisi che sta devastando l’Italia.
Più che giusto: se c’è un momento per aprire un dialogo franco col Paese, senza retorica e demagogia, è questo. Stiamo vivendo una crisi che rischia di ridurci al rango di Paese tra i meno moderni d’Europa.

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Jun 5, 2007, 6:43:58 AM6/5/07
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Carlo Pelanda: Le promesse di catastrofe

>>Da: andreavisconti
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Prodi ha ricevuto a Palazzo Chigi Mussi, Diliberto e Giordano e li ha rassicurati sul fatto che le decisioni di politica economica saranno prese collegialmente. Tre mesi fa Prodi aveva definito 12 punti, «irrinunciabili » ricordate, per riparare gli errori depressivi fatti nella Finanziaria del 2006. Ora se li è rimangiati tornando alla linea di concedere all'estrema sinistra dosi di statalismo in cambiodi sostegno. Pertanto dobbiamo aspettarci una Finanziaria 2007 che non riparerà alcunché e che perfino peggiorerà la crisi di competitività dell'Italia.
Il punto è che non possiamo più permettercelo. Non è catastrofismo lirico. Proprio perché l'Italia è un sistema economico forte, molto capitalizzato sul piano dei risparmi e patrimoni delle famiglie, ha finora retto un carico di inefficienza economica che avrebbe steso un qualsiasi Paese normale. Ma c'è un limite. Come quello nelle auto sportive: tengono in curva fino a limiti impensabili, ciò spinge il guidatore a toccarli e poi, improvvisamente, si carambola. Siamo vicinissimi al limite. I redditi sono drenati da costi fiscali e sistemici troppo elevati ed il margine per i consumi interni ed i risparmi si sta erodendo. Le imprese hanno carichi fiscali superiori a qualsiasi altra nazione comparabile. Sulla carta la tassazione effettiva viaggia dal 45 al 50%, nella realtà arriva ben oltre.
I costi energetici sono superiori del 20% alla media europea, quelli logistici sono paurosi per l'inefficienza dei trasporti. I vincoli europei ci impediscono investimenti di rilancio in deficit. La politica monetaria della Bce non lascia spazio a svalutazioni competitive che favoriscano le esportazioni. In generale, la cessione di sovranità economica all'Europa implica stabilità monetaria e credibilità, ma al prezzo di un enormesforzo di efficienza competitiva per restarci. Infatti il recupero di efficienza riducendo costi sistemici, burocratici e fiscali ed incrementando la competitività delle imprese è l'unica politica economica possibile per restare in strada. Se non la si fa, si va fuori.
Dove il fuori significa doverabbandonare l'euro per ridare competitività alle imprese e ripagare il debito abbattendo il valore della moneta. Oppure restare nell'euro ed accettare l'impoverimento strutturale della nazione. Ma ciò implicherebbe la secessione del Nord produttivo. In sintesi, c'è una sola politica economica, ripeto,chepuòtenerci in strada: ridurre le tasse e la spesa pubblica con passi graduati in relazione all'esigenza di mantenere redditi e pensioni ad un livello di stabilità.
La Germania ha preso questa via, la Francia seguirà presto. L'Italia, mia stima condivisa da parecchi colleghi, è a circa 5 anni dal limite di crollo e resta sulla strada opposta. Con la complicazione che la crescita corrente, indotta dal boom globale, è considerata un motivo per rimandare le scelte necessarie mentre la struttura economica interna sta in realtà peggiorando. Un Prodi che concede alla sinistra estrema invece di escluderla dalla politica economica, comefatto dai socialdemocratici tedeschi per i motivi qui detti, è una promessa di catastrofe. Per questo l'allarme non è rituale e invoca non solo una chiamatain piazza del popolo produttivo, ma una sua mobilitazione continua fino all'abbattimento del governo. Non scherzo, non esagero.


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Renzo Foa: Il Quirinale sull'isola che non c'è

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Nonostante le speranze di Romano Prodi, il caso aperto dal licenziamento in tronco del generale Roberto Speciale non si chiude. Al contrario, si approfondisce la ferita aperta non solo fra governo e opposizione, ma in primo luogo nello «spirito pubblico». Se l'esecutivo avesse dato delle spiegazioni, se avesse motivato le sue scelte, forse avrebbe potuto aprirsi una discussione diversa. Invece tutto resta privo dei requisiti minimi di trasparenza.
È questa opacità che indebolisce le istituzioni e che vanifica in primo luogo lo sforzo con il quale Giorgio Napolitano ha caratterizzato finora la sua presidenza. Cioè lo sforzo di rendere il bipolarismo virtuoso e di trovare possibilità di confronto fra le forze politiche sulle questioni cruciali che riguardano il futuro del Paese. Il presidente, sul piano istituzionale, può avere ragione nel considerare la contesa di stretta pertinenza di Palazzo Chigi. Ma il Quirinale non è un’isola sperduta, lontana dalle tensioni e dai problemi del Paese. Non è vissuto così dai cittadini. È un riferimento costituzionale per gli apparati dello Stato.
La questione che è stata posta - la settimana scorsa, già subito dopo l’esito del voto amministrativo - non riguarda e non può riguardare semplicemente il dibattito politico o vie di uscita da una crisi che certo il Parlamento non ha formalizzato, ma che è nella quotidianità dei fatti. La preoccupazione riguarda ormai la fragilità dell’istituzione-governo, le tensioni interne che ne condizionano l’azione, la caduta di credibilità dell’esecutivo di fronte alla pubblica opinione, fino alla mancanza di trasparenza di decisioni che attengono all’equilibrio fra i poteri.
È, in altri termini, la preoccupazione per una condotta che si può definire solo come anti-politica. Non è il top dell’anti-politica un presidente del Consiglio che rivendica apertamente il diritto di fare quel che ritiene più giusto, che però non sa motivarlo agli italiani e che ottiene l’appoggio degli alleati solo ponendo la secca alternativa fra se stesso e il diluvio universale? Non è il top dell’anti-politica scavalcare in continuazione il Parlamento e irridere alla democrazia rappresentativa, come è stato fatto ancora una volta dopo il voto amministrativo? Non è il top dell’anti-politica rimuovere, senza spiegazioni, personaggi diventati scomodi, che si tratti del Cda della Rai o del comandante della Finanza?
Non è questo il modo più esplicito e in molti casi sfrontato per affermare che si rinuncia alla politica, cioè alla decisione chiara e trasparente, alla consapevolezza dei rapporti di forza, al rispetto reciproco, alla difesa delle istituzioni intese come punto di riferimento del cittadino?
Se al Parlamento spetta discutere e votare sulla destituzione di Speciale e sulle deleghe di Visco, è chiaro che ormai sono diventati stringenti tutti i grandi temi sul recupero delle virtù repubblicane che il presidente Napolitano, nelle sue prerogative istituzionali, ha posto da mesi all'attenzione degli italiani. E per questo per lui è difficile non ascoltare e chiamarsi fuori.

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Egidio Sterpa: Tocca al centrodestra dare ali al futuro del Paese

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione


Prodi, è chiaro, è ormai alla fine della sua avventura, anche se non vuole ammetterlo e si comporta con arroganza, di cui ha dato ulteriore prova nel caso Visco-Speciale, che è davvero una gran vergogna per la politica italiana.
Il centrodestra, non c’è dubbio, ora è maggioranza. Quanto potrà resistere la maggioranza venuta dalle elezioni politiche del 2006? Soprattutto, quanto potranno sopportare l’albagia a volte insolente di Prodi i suoi stessi alleati? Alcuni mesi, magari, chissà, un anno o più, ma è certo che questo governo non riuscirà ad attraversare l’intera legislatura.
Fare previsioni è difficile, ma non c’è dubbio che l’attuale confusa situazione politica sta andando verso uno sbocco risolutore. Ad una soluzione può portare una ribellione degli alleati di Prodi, come già accadde nel ’98, o un evento sconvolgente esterno (per esempio, il referendum sul sistema elettorale). Comunque, con l’aria che tira oggi nel Paese, se si va a votare è da escludere che il centrosinistra torni a vincere.
Due richiami mi hanno colpito nei giorni scorsi: quello di Panebianco, columnist sempre onesto, che ci ha ricordato come tra i tanti che in questi anni si sono affacciati sulla nostra scena politica siano mancati personaggi come De Gaulle, che alla Francia seppe dare nuove istituzioni, e coma la Thatcher, che fece riscoprire agli inglesi l’utilità di un liberismo moderno; e il richiamo, sempre sul Corriere, di Piero Ostellino, liberale coerente, che al centrodestra e al suo leader ha lanciato l’invito, quasi una sfida, a far conoscere che cosa farebbe in concreto per affrontare la crisi che sta devastando l’Italia.
Più che giusto: se c’è un momento per aprire un dialogo franco col Paese, senza retorica e demagogia, è questo. Stiamo vivendo una crisi che rischia di ridurci al rango di Paese tra i meno moderni d’Europa.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Nei primi venticinque-trent’anni del secondo Novecento noi abbiamo avuto una immensa espansione economica e sociale, tanto da far parlare nel mondo di «miracolo italiano». Quel dinamismo non c’è più. All’estero l’Italia appare un Paese che si sta sfasciando. Il sistema-Italia è fermo, in taluni momenti vicino al collasso. Tutto, proprio tutto il sistema è statico, infiacchito, invecchiato: le strutture politiche, quelle economiche, quelle culturali. Istituzioni, scuola, infrastrutture sono tutte obsolete.
Sì, il sistema creato con grandi sforzi e sacrifici fino agli anni Sessanta-Settanta è in declino. Gran colpa è della politica, senza più idee e sprint, occupata com’è solo a inseguire profitti particolari, ma anche la società civile non può cavarsela col disprezzo verso la classe politica.
Senso di responsabilità manca in gran parte della società italiana. Che cosa spinge, per esempio, un illustre medico, l’oncologo Umberto Veronesi, a richiamare la classe dirigente al dovere di rilanciare l’opzione nucleare?
L’avvilimento, quasi la disperazione, al cospetto di una classe dirigente che non sa assumersi le proprie responsabilità. Quanti escono dal proprio soggettivismo e mettono in gioco, con un atto di coraggio, i propri interessi particolari? Veronesi per questo va ringraziato.
L’Europa è piena di reattori nucleari, solo la Francia ne ha 58, e noi siamo ridotti a dipendere per l’energia dagli arabi, dalla Russia, e importando elettricità a costi alti da tutta Europa. Le prospettive per noi sono disastrose.
Insomma, non abbiamo saputo fin qui tener dietro all’impetuoso sviluppo economico e sociale dell’era moderna. Siamo paurosamente indietro e c’è tanto da rifare. Come dice Panebianco, è vero, non abbiamo avuto né De Gaulle né la Thatcher, e però non si può dire che ci manchino intelligenze che possono ridare ali al nostro futuro.
Il problema (che è soprattutto della classe politica) è di saperle individuare, chiamarle a costituire una classe dirigente che sappia fare proposte innovative e prendere decisioni coraggiose. È di ciò che ha bisogno il Paese. Il centrodestra, se non vuol perdere anche quest’occasione storica, proprio a una questione simile deve porre la massima attenzione.


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Francesco Giavazzi: La depressione nei consumi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Negli anni Sessanta e Settanta le famiglie italiane acquistavano beni e servizi per un 4-5% in più ogni anno. Da allora la crescita dei consumi si è progressivamente esaurita: 2,6% negli anni Ottanta, meno del 2% negli anni Novanta. Dal 2001 a oggi i consumi delle famiglie sono rimasti sostanzialmente invariati. (Questi dati sono calcolati pro capite, così che il rallentamento dei consumi non possa essere attribuito al venir meno della crescita della popolazione).

La spesa delle famiglie rappresenta oltre i due terzi della domanda totale per i beni e i servizi prodotti dalle nostre imprese: se essa non cresce è difficile che la produzione si espanda. E infatti il rallentamento dell'economia italiana ha seguito passo passo quello dei consumi. Ad esempio, a poco è servito che lo scorso anno le esportazioni delle nostre imprese aumentassero del 6%: la crescita dei consumi non ha raggiunto l'1,5% e così è stato, sostanzialmente, per l'intera economia. Perché le famiglie italiane hanno smesso di accrescere i loro consumi? «La spesa delle famiglie è erosa dalle rendite, frenata dall'incertezza sull'esito di riforme che toccano in profondità la loro vita», ha detto la scorsa settimana il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. L'analisi del ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero (di Rifondazione comunista), è più semplice: «Se salari e pensioni non crescono come aspettarsi una crescita dei consumi?». Hanno ragione entrambi: la stagnazione dei consumi è il sintomo di alcuni difetti della nostra società e dell'incapacità della classe politica di prendere decisioni. E' vero che i salari reali non crescono. In sei anni sono aumentati solo del 3%, ma comunque più della produttività, immutata dal 2001. Se non riprende la produttività, i salari reali non possono crescere, a meno di mandare in malora le imprese.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

La produttività dipende dall'innovazione e quindi dalla qualità del capitale umano: se non si migliora la scuola non c'è speranza. Finché eravamo un Paese di aziende manifatturiere l'istruzione era meno importante: molti mestieri — il saldatore di metalli, il falegname — si imparavano lavorando. Ma in un'economia di servizi senza una buona istruzione si è perduti perché si rimane schiacciati in mestieri sottopagati. L'indagine dell'Ocse sui livelli di apprendimento dei ragazzi quindicenni (« Problem Solving for Tomorrow's World ») mostra non solo un ritardo delle scuole italiane rispetto a quelle europee, ma anche un forte divario fra Nord e Sud, anche a parità di voto scolastico. Un 4 in matematica in una scuola del Nord mostra un livello di conoscenze superiori a un 7 in una scuola del Sud. Se poi confrontiamo i quindicenni italiani con i loro colleghi europei, la percentuale di coloro che — posti di fronte a un problema relativamente semplice, come decidere il percorso più efficiente in un viaggio che deve toccare 6 città diverse — ottengono un voto superiore a 592 (in una scala da 0 a 750) sono il 30% in Finlandia, il 22% in Francia, Germania e nella Repubblica Ceca, solo l'11% in Italia. E' vero che le pensioni sono basse: la pensione media è di circa mille euro al mese. Ma come si possono pagare pensioni più alte in un Paese in cui 16 milioni di pensionati sono sostenuti da solo 24 milioni di lavoratori, quasi 7 pensionati per ogni dieci lavoratori? Se non si lavora di più, è difficile pagare pensioni più dignitose. Con una popolazione che invecchia il reddito delle famiglie dipende sempre più dalle pensioni ma anche dal rendimento dei risparmi accumulati in una vita. I risparmi delle famiglie italiane sono per lo più investiti in attività finanziarie domestiche: meno del 20% è investito in azioni e obbligazioni estere.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Questo non è sorprendente: la presenza di banche estere in Italia è trascurabile, soprattutto nella gestione del risparmio, e le banche italiane sanno vendere solo titoli italiani, talvolta, come nel caso delle obbligazioni Cirio e Parmalat, per motivi inconfessabili. Ma se si investe in un Paese che non cresce, difficilmente si otterranno buoni rendimenti. Il monopolio delle banche italiane nel mercato del risparmio gestito non solo pone gravi problemi di trasparenza, ma produce anche rendimenti bassi, che comprimono i consumi dei molti anziani che vivono soprattutto di cedole. Nel 1998 il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, appena eletto, cancellò la riforma pensionistica che era stata introdotta dal suo predecessore cristiano-democratico, Helmut Kohl, pochi mesi prima delle elezioni. Quella riforma alzava l'età di pensionamento, riduceva le prestazioni, aumentava i contributi, in una parola riduceva la ricchezza pensionistica delle famiglie tedesche. La notizia che la «legge Kohl» era stata abrogata avrebbe dovuto indurre le famiglie a risparmiare di meno perché i tagli alla loro ricchezza pensionistica venivano cancellati. Tutt'altro: lo sconcerto e la preoccupazione per un problema che si riteneva risolto e invece veniva riaperto, indusse le famiglie tedesche a risparmiare di più. Quell'episodio è all'origine della stagnazione dei consumi tedeschi che dura da quasi un decennio. A Caserta, il 13 gennaio scorso, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva promesso la riforma delle pensioni entro il 30 marzo. Siamo a giugno e ancora in alto mare. Questi ritardi e l'incapacità del governo di decidere su questioni che toccano in profondità la vita di tutti noi non hanno solo un effetto meccanico sui conti pubblici. Preoccupano le famiglie e creano un clima di incertezza che, come è accaduto in Germania, deprime i consumi e quindi la crescita.

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Ernesto Galli Della Loggia: Il coraggio di ricominciare

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Siamo così immersi nelle difficoltà della congiuntura politica da dimenticare che in realtà è da quando la Seconda Repubblica è nata che essa è in crisi, è dal '94 che essa non funziona. A renderla così inefficace è un vizio d'origine: l'assenza di una «costituzione materiale».

L'assenza, cioè, di quella cornice di regole, non definite formalmente ma rispettate per tacito accordo da tutti gli attori, che assai più delle regole scritte consentono a un sistema politico nel suo complesso di funzionare. Come funzionò, per l'appunto, il sistema della Prima Repubblica, il quale era sì «bloccato» (perché privo di alternanza di governo) ma ciò nonostante riuscì a produrre partiti solidi, alleanze durature, leadership qualificate, soprattutto una decisione politica di quantità e qualità notevoli. Laddove il sistema della Seconda Repubblica è invece esattamente l'opposto: non è bloccato (conosce l'alternanza di governo fin dalle origini) ma non funziona: cioè non ha mai prodotto né politica di qualità, né partiti, né leader autorevoli, e tanto meno riesce ad articolarsi in schieramenti solidi.

La costituzione materiale della Prima Repubblica si riassumeva in due regole da cui discendevano tutte le altre: la Democrazia Cristiana non avrebbe messo il Partito Comunista fuori legge; e dal suo canto il Pci rinunciava ad ogni proposito rivoluzionario e adottava una linea aperta ai ceti medi e ai cattolici. Due regole che assicurarono una premessa indispensabile per il funzionamento della costituzione formale: il reciproco riconoscimento degli avversari. Due regole che, come spesso capita in questi casi, erano nate in un certo senso per forza propria, dalla storia del Paese, dalla necessità di evitare dopo il '45 una possibile, nuova, guerra civile.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il guaio della Seconda Repubblica è di essere nata, invece, anziché dalla storia dal caso (o se si preferisce dai casi: giudiziari), senza il concorso vero della politica e perciò priva di una costituzione materiale. Senza la cui risorsa coesiva, per l'appunto eminentemente politica, anche la costituzione formale, però, serve a poco, come vediamo ormai da quindici anni. Ecco infatti che lo spazio pubblico si frantuma e si disarticola in ogni senso, tutto vive e muore in un giorno, gli attori politici tendono a presentarsi o con un che di perennemente trasformistico e di ondivago ovvero fissati in tratti parossistico-temperamentali, quasi da personaggi della Commedia dell'Arte (il Cavaliere, il Professore, come Scaramuccia o Pantalone); mentre la guerra civile, da incubo vero da esorcizzare, diviene l'allusione fasulla con cui ognuno cerca di costruire a sé e al proprio avversario quella consistenza che sa mancare a entrambi.

La Seconda Repubblica ha dunque bisogno soprattutto di una costituzione materiale, questa volta scaturita non dalla storia ma dalla consapevolezza della politica. Gli ambiti su cui da parte dei suoi rappresentanti è necessario convenire, intorno ai quali fissare gli opportuni paletti, e con la garanzia di tutti impegnarsi a rispettarli, sono ovvii: i rapporti tra la sfera giudiziaria e la politica, il conflitto d'interessi e l'uso dei media, i princìpi della legge elettorale. Solo così, solo con un mutuo e preliminare accordo che delimiti il terreno dello scontro, sarà possibile uscire da questo pantano, ricominciare davvero. Ciò che altre volte ha fatto la storia deve oggi e qui, in Italia, avere il coraggio di farlo la politica, cioè i suoi capi se, come dovrebbe essere, sono capaci di rischiare, di scommettere: magari anche contro il proprio passato.

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Lino Jannuzzi: Se le vittime dell’immondizia scelgono la sinistra

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

«Siamo il popolo della monnezza»: l’aeroplanino volteggia sulle case e sul mare di Napoli e si spinge fin quasi a sfiorare l’orlo del cratere del Vesuvio e trascina nell’aria lo striscione con la scritta a lettere cubitali. Il popolo sommerso dalla monnezza, il naso all’insù, guarda e applaude, divertito e indignato insieme. Ma non abbastanza indignato da votare contro il governo e contro i principali responsabili di un disastro che non ha precedenti nel mondo occidentale.

Il centrosinistra, disastrato al Nord, ha tenuto al Sud, e qua e là ha persino vinto. In Campania, dove si votava in provincia di Napoli, di Salerno e di Caserta, il centrosinistra ha vinto al primo turno in nove dei 27 comuni con oltre 50mila abitanti, strappando al centrodestra Ischia e Quarto, si è confermato a Nocera, ha vinto a Capaccio e ad Agropoli, e andrà favorito al ballottaggio in 13 Comuni, fra cui Battipaglia. Lo stesso centrosinistra che governa la Regione, la Provincia, la città di Napoli, il Napoletano e la maggior parte della Campania da ben 14 anni.

L’emergenza della spazzatura è cominciata 13 anni fa, quando Antonio Bassolino era sindaco di Napoli e fu lui, nominato commissario straordinario, a preparare il piano rifiuti che avrebbe dovuto smaltire le 7500 tonnellate di immondizia che la regione produce al giorno e che al momento sta tutta lì. Bassolino è rimasto per due mandati sindaco, per altri due mandati è stato presidente della Regione, per 3 anni commissario straordinario, e dopo di lui altri 4 commissari, sempre straordinari: il popolo della monnezza avrebbe avuto tutte le sacrosante ragioni per votare contro Bassolino, contro il sindaco che gli è succeduto, Rosa Russo Iervolino, da lui adottata e protetta, contro il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, che da sempre si oppone alla costruzione degli inceneritori, e contro il governo Prodi, che prima fa il decreto per l’apertura delle discariche, poi boicotta l’ultimo dei commissari, Guido Bertolaso, che le vuole aprire, costringendolo alle dimissioni. Ma non l’ha fatto: il popolo della monnezza ha votato per il centrosinistra, per Prodi, per Pecoraro Scanio, per Bassolino, per la Iervolino, per i sindaci dell’Ulivo che guidano le popolazioni a occupare le discariche e a impedire ai camion con l’immondizia di scaricare. Perché?

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Perché questa è nel Sud, particolarmente nel Sud, e a Napoli e in Campania, la «società civile» sempre esaltata e contrapposta alla società politica dai moralisti da strapazzo, dai demagoghi dell’antipolitica, dai sociologi che non hanno letto Guidi Dorso. Questa è la gente capeggiata dai nuovi Masaniello o dalle nuove Masaniello, come Rosetta, la «pasionaria» di Montecorvino che incita il paese di cui è vicesindaco alla «guerra civile» contro lo Stato. Spalleggiata dai preti che sollevano sulla discarica la statua di San Vito con i due cani al guinzaglio, che simboleggiano rispettivamente la rabbia e le turbe psichiche (e San Vito è il protettore dei pazzi). E dagli avvocati, gli eterni «paglietta», che prima arringano il popolo a occupare le discariche legali e a impedire lo scarico della monnezza, poi in tribunale difendono camorristi che si sostituiscono al Comune, alla Regione e allo Stato nella raccolta illegale dei rifiuti e nella creazione delle discariche illegali nascoste nei frutteti, accanto ai cimiteri e nelle cave che si vedono solo dall’alto con gli elicotteri.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

La camorra ormai preferisce la monnezza alla cocaina, guadagna di più, usando i suoi camion e le sue ruspe e noleggiandoli alla metà o a un terzo del prezzo di mercato (ha fatto risparmiare capitali astronomici alle imprese del Nord), e rischia di meno, perché minori sono le pene previste e più facile e più rapida la prescrizione. La camorra è diventata miliardaria ed è dilagata ben oltre i quartieri della città e le zone della provincia, dove era confinata dalla presenza sul territorio dei partiti politici, che magari convivevano con i clan e non disdegnavano i loro voti alle elezioni, ma allo stesso tempo li contenevano e li controllavano, impedendo loro di tralignare dai confini delle riserve indiane e di mettere le mani sui grandi affari. I grandi affari erano controllati dai partiti e dalla classe politica, per la camorra restavano le briciole. A Napoli comandavano i Gava, non i Cutolo.

I partiti e la classe politica sono stati distrutti dall’uso politico della giustizia, dalla magistratura politicizzata, dal potere sempre crescente della corporazione, che ha logorato il potere esecutivo e il potere legislativo. Alla fine, non conta più niente nemmeno il partito comunista, quello che fu di Amendola e di Napolitano: Bassolino ha costruito e ha blindato nel Palazzo un arrogante gruppo di potere, ma non controlla il territorio e non comanda sulla città e sulla Regione, non riesce a controllare e a contenere la camorra. Vince le elezioni da più di dieci anni perché non esiste l’opposizione, non esiste più il partito liberale di De Lorenzo, non esiste più il partito socialista di De Martino, di Lezzi, di Di Donato, non esiste più la Democrazia cristiana.

E il centrodestra inventato da Silvio Berlusconi, dopo i primi exploit, non è mai diventato partito, non si è mai organizzato sul territori, non ha prodotto una nuova classe politica all’altezza della situazione. Ed è sempre più minato e consumato dall’antipolitica, cavalcata con successo all’inizio, ma distruttiva alla fine. Con l’antipolitica si possono vincere le elezioni una volta, e in periodo di grave crisi, ma non si formano le classi dirigenti e la classe politica, e non si governa il Paese, la Regione, le città. Come, alla fine, l’uso politico della giustizia ha distrutto anche il partito comunista, così l’antipolitica ha indebolito, consumato, e rischia di dissolvere il centrodestra. Che per ora perde al Sud, ma che se non la smette di trescare e di crogiolarsi con l’antipolitica, presto perderà dappertutto.

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Santorescu, il dittatore tv che tenta di spacciarsi per l’alfiere della libertà

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Michele Santoro si proclamò vittima di Berlusconi ma il Garante giudicò «contrarie al pluralismo» le sue trasmissioni. La sua carriera da «Servire il popolo» al parlamento Ue

Dopo tre anni di assenza, Michele Santoro è tornato sei mesi fa in tv coi capelli ossigenati come un anziano play boy. Subito è stato ribattezzato Santoro-Blondie.

Lo choc per la cotonatura ha acceso un dibattito. I più non volevano credere ai loro occhi. Sembrava più una pensata di Berlusconi che non del suo implacabile censore. Il giornalista Oliviero Beha, ha sostenuto che Michele aveva adempiuto un ex voto. Forse per propiziarsi il ritorno al video di cui aveva crudelmente sofferto l’astinenza. Ma era la pia bugia di un amico per coprire una patetica debolezza. Il parrucchiere di Santoro, Roberto D’Antonio (lo stesso di Piero Fassino) ha messo le mani avanti: «Sono stati i bagni di mare a imbiondirgli le punte». Santoro ha dignitosamente taciuto. Tuttavia, trasmissione dopo trasmissione, ha corretto la coloritura. Nelle ultime, è apparso con bigodini meno stoppacciosi e più aggraziati. Così, biondo-biada, ce lo terremo per le restanti puntate di AnnoZero.

La diatriba sui capelli paglierini ha messo un po' in ombra i contenuti della serie inaugurata da Michele col rientro in Rai. Eppure, ha toccato vasti problemi. Nel suo stile da galletto, ha affrontato la pari dignità del Gay Pride e del Family Day, l’evasione fiscale nella Repubblica di San Marino e altri temi da capogiro. Giovedì scorso ha raggiunto il clou. Durante la puntata - incentrata sulla pedofilia di sacerdoti anglosassoni e arricchita da accenni alla pederastia di preti italiani - Santoro ha fatto un colpo di teatro: ha preso come testimonial Indro Montanelli. L’idea è stata del collaboratore, Marco Travaglio - ex del Giornale, oggi all’Unità - che si è rivolto al direttore, morto nel luglio 2001. Lo ha fatto con una lettera aperta che, lui così freddo, ha letto con pause commosse e sguardi al cielo. Ha così arruolato Montanelli tra i santoriani e sé stesso tra gli eredi del montanellismo. Terminata la lettura, ha chiuso gli occhi umidi in attesa di una risposta dall’Aldilà. L’evocato ha però taciuto, offeso per la sceneggiata. Santoro e Travaglio invece, a corto di pudore, si sono rallegrati per il silenzio, interpretato come assenso. Così, Montanelli è stato definitivamente incluso nella squadra di AnnoZero. Aspettiamoci nuove appropriazioni.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Santoro occupa la tv da vent’anni. Detiene un record mai raggiunto: avere messo in moto il meccanismo di un suicidio. Successe a Tempo reale il 23 febbraio 1995. Era suo ospite l’ineffabile Leoluca Orlando, allora leader della Rete e sindaco di Palermo. Costui in diretta accusò di mafiosità il maresciallo dei carabinieri di Terrasini, Antonino Lombardo. Santoro lasciò che l’incosciente parlasse a ruota libera. Linciato mentre era assente, senza difensori, né contraddittorio, Lombardo si uccise - innocente - qualche ora dopo.

L’attuale biondino si considera un campione della libertà di stampa. Ha detto di sé: «Quanto più Santoro c’è sui canali Rai, tanto è più libero il Paese». Ha aggiunto: «Nella storia della Rai io sono stato quello che ha spostato sempre più avanti il confine della libertà». In realtà, è un arruffapopolo di sinistra schierato in toto con la sua parte politica. Nel 2002, il Garante delle comunicazioni gli fece un liscio e busso dell’accidente. Analizzando una dozzina di puntate di Sciuscià, un’altra delle sue serie al ciclostile, rilevò «gravi violazioni del principio del pluralismo». Lo accusò di favorire gli esponenti politici della sinistra invitati in numero preponderante, circondati di pubblico favorevole, lasciati parlare a piacere. Di danneggiare, per converso, i politici della destra, togliendo la parola, apostrofando beffardo, mettendoli alla berlina con ammiccamenti alla platea. Il Garante, infine, si rammaricava di non avere i mezzi legali per punire Santoro, auspicando però dalla Rai provvedimenti nei riguardi del dipendente. Anziché contrirsi, Michele si fece vanto della bocciatura. Quando il Cav, a nome di milioni di abbonati, dichiarò che Santoro (con Biagi e Luttazzi) faceva un «uso criminoso» della tv pubblica, scoppiò un pandemonio. Poiché il Berlusca aveva esternato da Sofia, dove era in viaggio ufficiale, si parlò di «editto bulgaro». Michele, incapace di esami di coscienza, reagì con un misto di aggressività e autocommiserazione. «Berlusconi è un vigliacco perché abusa dei suoi poteri per attaccare persone più deboli di lui», disse e cantò in assolo «Bella ciao» in tv. Avendo poi rifiutato un ridimensionamento delle sue presenze tv, la Rai lo mise da parte. Michele iniziò una geremiade durata tre anni. «La mia esautorazione è un crimine politico»; «Eliminare Santoro dalla tv è come bruciare i libri in piazza» e via vaneggiando. Ma il presidente dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, notò con sobrietà: «Con un Santoro emarginato a un miliardo e mezzo di vecchie lire, ci sono in Rai un migliaio di precari che non arrivano a prendere il suo stipendio tutti quanti insieme».

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Per colmare il vuoto, Michele si candidò con le sinistre alle europee del 2004. Quando Panorama chiese di seguirlo nel giro dei comizi, la sua spalla in tv, Sandro Ruotolo, rispose all’inviata: «Solo a patto che ci facciate leggere le cose che scrivete. Se, secondo noi, l’articolo non va bene, lo cambiamo. Se non accettate, niente articolo». Dietro di lui, campeggiava lo slogan elettorale scelto da questo campione della libera stampa: «Per un’espressione libera: vota Santoro». Tra i concetti espressi durante la campagna, il berlusconismo «mi fa schifo», la Fallaci «mi fa vomitare».

Michele fu eletto con 750mila voti. Li tradì in capo a diciotto mesi. Stufo di essere «prigioniero» (testuale) a Bruxelles si dimise dal Parlamento Ue, alla faccia degli elettori, per fare la sua rentrée in tv nello spettacolo Rockpolitik di Celentano (2005). Si pianse addosso tutta la serata, ma creò l’aggancio per il suo riapprodo in Rai. Secondo il profilo psichiatrico di un luminare, Santoro senza tv è gravemente ferito nel narcisismo e perde l’autostima fino all’abulia. Tenercelo è dunque un atto di umana solidarietà.

Questo sindromico è nato a Salerno 56 anni fa. Il padre era ferroviere e comunista. Il figlio fu ribelle fin da ragazzo. Alle medie ebbe un rinvio a settembre per avere rigato l’auto di un professore. Michele, che si protestava innocente, si arrabbiò e cambiò scuola. Si è poi laureato in Filosofia col massimo dei voti e una tesi su Gramsci. Fondò la cellula cittadina di «Servire il popolo», movimento maoista, e il Club Salerno, circolo culturale. Ci si buttò a corpo morto, animando spettacoli, dibattiti, happening. Si dice che abbia organizzato un seminario sull’immoralità del coito orale. Invitò l’antipsichiatra David Cooper che consigliava la droga come terapia.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Michele arrivò così a 30 anni senz’arte né parte. Si rifugiò, come suole, nel giornalismo. Diresse La voce della Campania, rivista fiancheggiatrice del Pci al quale si era iscritto a 24 anni. Fece due anni all'Unità, poco apprezzato, finché Beppe Vacca, che era consigliere Pci della Rai, ne impose l’assunzione a Viale Mazzini. Debuttò a Samarcanda e ne prese presto le redini. Creò un clan di suoi giornalisti. Con questi sottoposti era esigentissimo. Molti fuggirono. Gli fu appioppato un soprannome da dittatore rumeno: Santorescu. Era già potentissimo quando nel'96, col governo Prodi, si insediò alla presidenza Rai, lo scrittore Enzo Siciliano. Sentendo che si parlava di Michele esclamò: «Michele chi?». L’ego santoriano ne ebbe uno sturbo micidiale. Dal giorno alla notte, lasciò la Rai per Mediaset. Mise a tacere gli scrupoli virtuosi e restò sotto padrone tre anni, con Berlusconi che era già il Mostro di Arcore, aveva il conflitto di interessi, era imputato dalle Alpi alla Sicilia. Però pagava sull’unghia. Col successivo rientro in Rai, abbiamo ripreso a stipendiarlo noi. Michele ha avuto diverse convivenze, un paio di figli, alcune mogli. L’attuale è Sania Annibaldi, figlia di Ilario, un nababbico industriale sanmarinese delle sementi. Quando ha fatto la puntata di AnnoZero sugli opulenti di San Marino, da lui accusati di evadere le tasse, Santoro «dimenticò» il suocero, ricco tra i ricchi. Qualche giornale glielo rinfacciò e la Voce di Romagna scrisse che il biondino si stava costruendo una fantavilla sul colle di Cavignano di Rimini. Michele - sempre su di giri - querelò dicendo che la reggia era del suocero e che lui a Rimini alloggiava al Grand Hotel. Gigi Moncalvo, che su Rai 2 conduce Confronti, volle vederci chiaro e mandò una troupe a Cavignano. Appena lo seppe, Santorescu fece il pazzo per bloccare la trasmissione. Telefonò imperioso al direttore di Rete, Marano, agli autori, agli ospiti fissi. Non cavando un ragno dal buco, passò alle diffide. Il tutto in nome della libera stampa di cui è il portabandiera. Il reportage uscì egualmente. Ma uno come Santoro, se lo conosci lo sfuggi.

Giancarlo Perna

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Dà fuoco a un negozio per pagarsi il seno nuovo

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Gli affari andavano male e anzi, a voler essere precisi, andavano sempre peggio. Per aprire il suo salone, lo «Shine» di Camposampiero a una ventina di chilometri da Padova, Luca Musaragno aveva investito tutto e fatto debiti. Aveva assunto giovani dipendenti ai quali aveva insegnato il mestiere: e loro, tutti e tre, lo avevano ripagato andandosene appena possibile e aprendo negozi concorrenti due strade più in là. Alla fine, ha perso la testa. Prima ha tentato di incendiare il negozio di un concorrente; fallito il tentativo, ha deciso di dar fuoco al proprio per incassare i 250 mila euro di assicurazione e chiuderla là. I complici li ha trovati in casa: per dargli una mano si è offerta la dipendente, Vittoria Michelon, 21 anni. In cambio, avrebbe avuto del denaro, ed era a quello che puntava: voleva rifarsi il seno e aveva già fissato l'intervento in una clinica tunisina.

Tutto è finita in tragedia: Vittoria ha appiccato il fuoco al locale l'altra notte, dopo aver piazzato all'interno un bidone pieno di benzina. Ma tra quando ha sistemato il bidone e quando ha lanciato lo stoppino ha lasciato trascorrere qualche minuto: l'ambiente si è saturato di gas, c'è stata un'esplosione e una fiammata di ritorno l'ha investita. Coperta di ustioni di secondo e terzo grado sul sessanta per cento del corpo, torace, braccia e schiena rovinate, il viso salvato solo dalla prontezza con cui si è riparata alzando le mani, adesso Vittoria è ricoverata al Centro Grandi Ustionati di Padova. E' in prognosi riservata, e deve la vita solo al coraggio con cui ha spento le fiamme e l'ha soccorsa un amico del titolare del salone, Stefano Pisciotta di 23 anni, che aveva accettato di fare da palo.

E' stato Pisciotta a portare la ragazza, che non ha mai perso conoscenza e urlava per il dolore, al più vicino pronto soccorso, dove è stata sedata per poi essere trasferita nel centro specialistico. Ed è stato lui a raccontare agli inquirenti i retroscena della vicenda, le motivazioni che hanno spinto ognuno dei tre protagonisti a mettere in atto il piano. Anche il titolare, alla fine, ha ammesso. Con i soldi riscossi dall'assicurazione, Musaragno avrebbe saldato i debiti e poi sarebbe andato in America a completare il percorso, avviato da tempo con cure a base di ormoni, per cambiare sesso: ai carabinieri ha detto che le cure ormonali l'avevano ridotto in stato di grave depressione. Pisciotta avrebbe avuto quanto bastava per saldare le rate della nuova Punto. Vittoria avrebbe coronato un sogno: pagata anche lei la nuova auto, una Smart, sarebbe andata in Tunisia per aumentare di qualche misura il seno.

La sorella, disperata, dice di non aver mai saputo di un simile progetto, ma Pisciotta lo ha confermato a verbale. Lei non può parlare: le sue condizioni sono troppo gravi. Sarà interrogata appena le condizioni di salute lo consentiranno. Luca Musaragno invece è rinchiuso in carcere. Per gli inquirenti sussistono il pericolo di fuga e di reiterazione del reato.
ANNA SANDRI

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Cittadini... alla riscossa!

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Chi non fa il politico di professione ha lo stesso diritto di parola e di opinione su quel che succede e non succede in questo Paese oppure no? Molti cittadini, io compresa, pensano proprio di sì ed è appunto questa l'idea che ha fatto nascere, in tutta Italia, i Circoli della Libertà.

E tanto vale chiarire subito anche un'altra cosa. Le persone che operano in questi Circoli non si considerano affatto politici avventizi o, peggio ancora, candidati mestieranti per una politica di serie B. Insomma, non hanno alcuna intenzione di soppiantare questo o quel politico e chi pensa il contrario non ha proprio compreso lo spirito che muove questo movimento che, anzi, ha ben altri obbiettivi.

Primo tra tutti quello di raccogliere e poi trasmettere, anche alle Istituzioni e ai palazzi della politica, idee, sentimenti, emozioni e soprattutto esigenze del cittadino che non ha sul bavero i galloni della politica. Oggi la politica si ricorda di lui solo al momento delle elezioni. Non è un po' poco?

Noi vogliamo dare voce all'Italia, diventare una sorta di grande antenna parabolica, capace di captare quel che pensa oggi veramente la gente mentre è immersa nel suo tran tran quotidiano. Ma, a questo fine, non sono sufficienti i sondaggi condotti da società specializzate? Non ne discuto l'importanza, ma molto spesso essi, per come sono orchestrati, rischiano di essere talvolta solo prodotti di laboratorio.

Ecco, i Circoli della Libertà tutto vogliono essere meno che un prodotto di laboratorio, generato solo quando si riaffacciano le scadenze elettorali.
Il concetto di libertà, difatti, non è un'idea artefatta da libri di testo. Al contrario, pone l'attenzione ad un'esigenza concreta e che oggi ci pare fin troppo trascurata, quella di dare voce a chi, in una democrazia, davvero comanda, cioè i cittadini che hanno il sacrosanto diritto di non sentirsi più sudditi ma piuttosto azionisti di un sistema-paese che ha una gran voglia di cambiare.

Libertà come sinonimo di rispetto dei diritti del cittadino. Libertà di imporre alle Istituzioni quelle che i cittadini considerano le vere priorità di un paese che, nella libertà, vuol crescere ed affermarsi nel mondo. Insomma i Circoli della Libertà hanno deciso di sparigliare. I consensi che stiamo ricevendo con questa iniziativa ci inducono a sparigliare sempre di più.

Michela Vittoria Brambilla


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Studi di settore, Cgia Mestre: Incostituzionali, al via ricorso

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

“Gli studi di settore sono in palese violazione dell’articolo 53 della Costituzione italiana, per questo ricorreremo in molte Commissioni Tributarie provinciali sollevando l’eccezione di incostituzionalità”. Non usa mezzi termini, su una questione che sta diventando sempre più pesante economicamente per milioni di partite iva italiane, il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi. “Sì, perché con la Finanziaria 2007 – si legge in una nota dell’associazione di artigiani mestrini - il governo Prodi ha deciso di rendere ancor più stringenti gli studi di settore prevedendo un aumento di gettito pari a tre miliardi di euro”. In linea generale, sottolineano dalla Cgia di Mestre, le categorie di autonomi che sono soggette quest’anno alla revisione degli studi e risulteranno essere non congrui dovranno “sborsare” all’erario oltre tremila euro ciascuno. “Tutto questo – prosegue Bortolussi – indipendentemente dal fatto che il lavoratore autonomo abbia registrato o meno i maggiori ricavi richiesti dal fisco”.

L’articolo 53 della Costituzione italiana, ricordano nella nota dalla Cgia di Mestre, stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” “Ebbene – conclude Bortolussi - con questi studi di settore indipendentemente dalla tua capacità di reddito l’Amministrazione finanziaria stabilisce statisticamente a tavolino i tuoi ricavi e conseguentemente quante tasse devi pagare. Questo in palese violazione dell’articolo 53 della Costituzione. Perciò riteniamo che questa situazione non è più accettabile visto che gli aumenti che vengono pretesi con la Finanziaria 2007 trovano una giustificazione solo attraverso il pregiudizio ideologico che li ispira. Ovvero, che gli autonomi sono un popolo di evasori fiscali”.
IL VELINO

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Remo Urbino:

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Tra malumori interni alla maggioranza e contestazioni pubbliche si apre per il premier Romano Prodi una settimana ad alto rischio. Mercoledì al Senato ci sarà il confronto, con possibilità di voti a rischio, sull'affaire Visco e sulla defenestrazione del comandante della Guardia di Finanza, Roberto Speciale. Non è ancora del tutto archiviata l'ipotesi di una breccia all’interno dell’Unione perché c’è chi, come i dipietristi, chiede ancora chiarezza al governo sulla questione Unipol-Gdf. Dall'opposizione, intanto, si leva insistente l’appello al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, affinché intervenga (come ha detto il leader di An, Gianfranco Fini “da capo delle Forze armate”) sulla vicenda. Il leader leghista, Umberto Bossi, dal tradizionale raduno del Carroccio a Pontida ha ribadito la propria intenzione di salire al Colle per chiedere al presidente della Repubblica di tornare al voto. Mentre Forza Italia spinge perché a presentarsi a palazzo Madama mercoledì sia il presidente del Consiglio e non, come sembra più probabile, il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Intanto Il Giornale riferisce che l’azzeramento dei vertici della Gdf lombarda, in relazione al caso Unipol, era stato accertato dall’Ansa. Ma il 16 luglio 2006 il ministero dell’Economia cercò di impedire che uscisse il lancio sul trasferimento degli ufficiali della Guardia di finanza di Milano.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ieri il premier Prodi è stato vittima di una dura contestazione a Trento, al Festival dell’Economia, da parte di un gruppo del comitato anti-Dal Molin, la base Usa che dovrebbe sorgere vicino Vicenza. Le ragioni dei contestatori sono state espresse da Cinzia Bottene, una casalinga cinquantenne: “Mi dispiace per il presidente, io l’ho pure votato. Non ci è stato concesso neppure di esprimere il nostro parere con un referendum. Ci stanno trattando in maniera ignobile. Chiediamo solo correttezza. Non siamo antiamericani; non vogliamo che venga costruita una base a 15 metri dalle case e a 1.400 metri dalla Basilica Palladiana”. Sempre ieri sono apparse scritte contro lo Stato sotto la casa bolognese di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate rosse. E a L’Aquila, davanti al carcere, un corteo di manifestanti, ha inneggiato alle Br e a Nadia Desdemona Lioce, la terrorista rossa detenuta proprio nel penitenziario del capoluogo abruzzese. E per il fine settimana è atteso l’arrivo in Italia del presidente Usa, George W. Bush: i disobbedienti, ma anche qualche esponente della maggioranza, è pronto a contestarlo.

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Tutti i click che separano i partiti dell'Unione

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Come se la passano i siti internet della maggioranza? Abbiamo provato a verificarlo tramite Alexa, il sito di proprietà Amazon che fornisce i dati sulle statistiche del traffico internet. Guida la classifica del centrosinistra il sito dei Ds seguito a ruota da quello dei radicali. Chiudono i “compagni” della Sinistra democratica all’ultimo posto. Alexa.org è da tempo al centro di polemiche per l'attendibilità delle sue statistiche stilate sulla base del feedback fornito dagli utilizzatori della apposita toolbar. Sono soprattutto i blogger a diffidare di Alexa, tanto da preferirlo con Technorati o, in Italia, con Blogbabel. I dati che fornisce Alexa sono comunque tendenzialmente corretti. E lo abbiamo utilizzato per verificare il traffico dei siti internet. Quello che risulta più frequentato, tra i siti dei partner dell’Unione, è quello dei Democratici di sinistra (dsonline.it) che si classifica al 165.319 posto. Il primo sito di partito del centrosinistra surclassa quello dei suoi stretti alleati della Margherita (margheritaonline.it) che si trova al terzo posto dell’Unione e al numero 268.732 della classifica assoluta. Se la passa molto peggio il sito dell’Ulivo (Ulivo.it) che invece è posizionato al nono posto e alla posizione 638.151 del ranking. Ma i Ds vincono la partita con i cugini della sinistra democratica che hanno un sito, sinistra-democratica.it, che è l’ultimo dei siti arrivati e l’ultimo in classifica nella 1.136.028 posizione nella rete, al dodicesimo posto tra i partiti del centrosinistra.

Dietro i Democratici di sinistra troviamo i radicali. Il sito Radicali.it poteva contare sul primo posto nella classifica di Alexa, ma il rinnovamento del sito dei Ds ha fatto perdere una posizione al dominio radicale che occupa la 190.517esima posizione nel ranking totale. I radicali hanno i loro alleati di partito, lo Sdi (sdionline.it) che invece si trovano all’undiciesimo posto nel centrosinistra e alla posizione 935.327 nella classifica assoluta. A sorpresa, se la passa molto meglio il sito della Rosa nel Pugno che si classifica all’ottavo posto dell’Unione, e al 621.978esimo del ranking. Segno che, almeno sul web, la Rnp non è finita.

I Verdi (verdi.it) hanno un posto di tutto rispetto. Sebbene il loro sito non sia il massimo della praticità, si tratta comunque del sito quarto in classifica per accessi che si colloca alla posizione 388.271. Il sito del partito di Antonio Di Pietro (Italiadeivalori.it) è al quinto posto nello schieramento e alla 420.306esima posizione totale. Il sesto e il settimo posto è tutta una questione tra comunisti. Il sito del Pdci (comunisti-italiani.it) la spunta su quello di Rifondazione comunista (rifondazione.it). Il primo è al sesto posto nella classifica dell’Ulivo e alla 493.120esima posizione assoluta, mentre il sito di Francesco Giordano è al settimo posto e alla 578.708esima posizione mondiale. Uno dei siti che se la passa peggio è quello del partito di Clemente Mastella, l’Udeur (popolari-udeur.it) che è al decimo posto dell’Unione e alla 669.415esima posizione. Almeno qui, per Mastella non c’è giustizia.
IL VELINO

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Francia, il Governo prepara il rimpatrio di 25 mila sans-papier

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Dopo l'annuncio di sgravi fiscali sugli interessi dei mutui immobiliari, il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, passa ad affrontare, attraverso l'esecutivo da lui nominato, la questione più spinosa e più sensibile della campagna elettorale che si è appena conclusa, ma anche di quella in corso per l'elezione del Parlamento: l'immigrazione. Stamani il respjsabile del nuovo e controverso ministero dell'Immigrazione e dell'Identità nazionale, Broce Hortefeux, parlando ai vertici riuniti delle forze dell'ordine, ha illustrato le linee generali e gli obiettivi del governo per la seconda metà del 2007, che consistono sostanzialmente nell'allontanamento di circa 25 mila sans papier (clandestini) e ha escluso, ottemperando al programma presidenziale, sanatorie generalizzate. Oltre a questa misura, Hortefeux ha fissato tre obiettivi, a partire dall'aumento del numero dei controlli sugli ingressi, sul lavoro illegale e sulla falsificazione delle identità. Nel programma esposto dal nuovo ministero vi è, infine, l'introduzione di incentivi al ritorno volontario in patria per gli immigrati regolari che beneficiano di contratti di lavoro a tempo.
IL VELINO

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Quattro magistrati per 6 udienze all'anno

>>Da: Il Moro
Messaggio 2 della discussione
Sei udienze in un anno. Una e mezzo ciascuno. Vita durissima, per i quattro magistrati della Procura Generale Militare presso la Cassazione: gennaio è lungo lungo, febbraio non scorre mai, marzo è interminabile, aprile una malinconia, maggio fa sospirare Chi l' ha detto che il tempo fugge via? A loro, gravati dalla soma di un' udienza pro capite ogni otto mesi, sembra lo sgocciolio di noia eterna. Sia chiaro, felice il Paese in cui i tribunali militari non lavorano a pieno ritmo. Spesso, là dove i giudici con le stellette sgobbano dalla mattina alla sera, la gente finisce al muro e perde la testa sotto la lama del boia. Oltre mezzo secolo di pace dopo l' ultima guerra mondiale, interrotto solo da qualche missione di polizia internazionale o di interposizione pacificatrice in questo o quel conflitto, ha via via impigrito (e meno male) una struttura che in uno Stato come il nostro non ha molto da sbrigare. Meglio così. Gli organici, però, non sono dimagriti parallelamente al calo dei processi. E anche un mondo come quello della giustizia militare, che l' immaginario collettivo associa a film come «Codice d' onore», coi severissimi magistrati in divisa alle prese con grintosissimi procuratori loro pure graduati come Tom Cruise, ha finito per somigliare a tutto il resto della macchina pubblica italiana. Una macchina pigra pigra che viaggia col motore al minimo di giri. Basti dire che tutti i tribunali militari messi insieme, nel 2006, hanno emesso complessivamente poco più di mille sentenze, in genere su cose di poco conto. Cioè decisamente meno delle sole sentenze penali (poi ci sono quelle civili) fatte segnare da un tribunale ordinario di scarsa importanza come quello di Bassano del Grappa. C' è chi dirà che in compenso sono cresciute le auto blu: una settantina, per servire 103 giudici e i massimi dirigenti. Chi si chiederà perché i cellulari a carico dell' amministrazione siano circa 300 e cioè, dato che i dipendenti dai vertici agli uscieri sono 700 (grossomodo metà militari e metà civili, oltre i giudici) più di uno ogni 3 addetti. Ciò che più colpisce, però, è il carico di lavoro di certi palazzetti della giustizia con le stellette. Come quello di Cagliari. Dove «lavorano», anche se il verbo può apparire spropositato, tre procuratori e quattro giudici e dove nel 2006 risultano essere state emesse 9 (nove!) sentenze. Poco più di una per ogni magistrato residente. I giudici con le stellette, in realtà, le stellette non le portano affatto. Sono magistrati come tutti gli altri, solo che sono stati assunti partecipando a un concorso diverso e non possono passare (il divieto è reciproco) alla magistratura ordinaria se non accettando di sottoporsi a una nuova selezione. In tutto, da Vipiteno a Lampedusa, sono come dicevamo 103. Una ottantina (per l' esattezza 79) nei nove tribunali sparsi per la penisola (Roma, La Spezia, Torino, Verona, Padova, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo, con ripartizioni del territorio così bizzarre che Ferrara, ad esempio, non è sotto la vicina Padova ma la lontanissima La Spezia), 17 nelle tre corti d' Appello (Roma, Napoli e Verona), 4 alla Procura Generale Militare presso la Cassazione e gli ultimi 3 al Tribunale di Sorveglianza militare. Cosa sorvegliano? Boh... Carte alla mano, nell' unico penitenziario militare rimasto aperto, a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, sono in cella soltanto carabinieri o poliziotti condannati dalla giustizia ordinaria per reati ordinari. Detenuti militari per rea

>>Da: Ilduca
Messaggio 2 della discussione
Sono magistrati come tutti gli altri, solo che sono stati assunti partecipando a un concorso diverso e non possono passare (il divieto è reciproco) alla magistratura ordinaria se non accettando di sottoporsi a una nuova selezione.
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Cioè praticamente non possono seguire casi civili per legge , immagino il dispiacere..

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Mastella, pensaci tu.

>>Da: Fabiano
Messaggio 1 della discussione
Paris Hilton entrata in carcere.
Fosse stata in Italia altro che carcere, gli stendevano il tappeto rosso chiedendogli se cortesemente accettava un albergo in dono.
Ma si sa in Usa non comandano i sinistri.

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UN APPELLO!

>>Da: petra3_7
Messaggio 4 della discussione
Se in questa com,ci sono dei genovesi mi raccomando andate a votare!!!!!!!!

>>Da: paoloris
Messaggio 2 della discussione

Brava Petra!


>>Da: felice
Messaggio 3 della discussione
Fusse che fusse la volta bbuona??

>>Da: lasilfide
Messaggio 4 della discussione
Speriamo!!!!

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Torta allo yogurt - facilissima

>>Da: Dragoncella4
Messaggio 1 della discussione
Ingredienti:

1 yogurt (anche magro va bene uguale, gusto a scelta, non si sente molto. io di solito uso quello alla vaniglia perchè anche il lievito poi è vanigliato)
1-2 uova (dipende se sono grandi o piccole)
2 vasetti di zucchero
3 vasetti di farina
1 pizzico di sale
1 bustina di lievito
1/2 vasetto di olio (semi o oliva...non fa molta differenza)
1/2 vasetto di latte

Preparazione:
In una terrina rompere le uova e sbatterle con un pizzico di sale. Aggiungere lo yogurt e sbattere ancora. Tenendo il vasetto come misurino, aggiungere 3 vasetti di farina, 2 di zucchero, mezzo di olio , mezzo di latte, il lievito. Sbattere tutto con lo sbattitore elettrico finchè la crema diventa liscia. Se sembra troppo dura aggiungere latte. Imburrare e infarinare la teglia. Infornare a 150° (già caldo ovviamente) per 35-40 minuti (dipende dai forni). Verificare la cottura con uno stuzzicadenti.

SE SI HA FRETTA: si può anche semplicemente infilare tutti gli ingredienti contemporaneamente in un mixer (con la spatola da torta ovviamente, non con la lama...) e mescolare tutto li dentro. In pochi minuti si ottiene la pastella. Viene benissimo uguale

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Oggi lo sciopero dei benzinai

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Inizia la serrata dei gestori delle pompe di benzina. Una protesta di 48 ore contro le liberalizzazioni decise nel decreto Bersani. Le associazioni di categoria: "Il governo continua a non ascoltarci"

Milano - Inizierà stasera alle 19,30, alle 22 in autostrada, lo sciopero di 48 ore dei benzinai che si fermeranno per protestare contro il disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni. In una nota le associazioni di categoria annunciano anche la presenza di un nutrito presidio di fronte alla Camera, in Piazza Montecitorio, nella tarda mattinata di mercoledì "per incontrare e informare parlamentari e semplici cittadini. Il governo - scrivono - mostra i suoi muscoli e individua con sconcertante fermezza il suo obiettivo: i lavoratori e, in questo caso, i benzinai. Più di un centinaio di migliaia di persone che, a diverso titolo, lavorano ogni giorno sulla strada per garantire un servizio essenziale e capillare in tutto il Paese, spesso in condizioni difficilissime e precarie anche in termini di sicurezza personale, sono state messe nel centro del bersaglio da norme che il parlamento è chiamato solo a ratificare, per potere millantare manovre liberalizzatrici inesistenti e fantasiosi effetti benefici sul prezzo della benzina".

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I giudici: «L’elettrosmog in Italia non è reato» Assolta Radio Vaticana

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Due anni dopo, l’appello ribalta la sentenza di primo grado

La Corte d’Appello ha stabilito che Radio Vaticana è innocente. Ieri i giudici di secondo grado, a due anni da quella che fu ritenuta una sentenza storica, hanno ribaltato le carte in tavola sulla questione legata al presunto inquinamento elettromagnetico provocato dall’emittente a Cesano, a nord della capitale. Padre Pasquale Borgomeo, direttore generale della radio e il cardinale Roberto Tucci, ex presidente del comitato di gestione, sono stati assolti dall’accusa di getto pericoloso di cose, perché il fatto contestato non è previsto dalla legge.
La vicenda è iniziata sette anni fa quando i cittadini di Cesano depositarono alcune denunce lamentando molestie legate a citofoni, lampadari e altri elettrodomestici che si trasformavano in duplicatori del segnale di Radio Vaticana nonché di conversazioni telefoniche scandite dalle recite del rosario. Poi arrivarono gli esposti da parte di chi segnalava malattie provocate dal superamento dei limiti di emissione delle onde elettromagnetiche. La sentenza è arrivata solamente il 9 maggio 2005 quando i due imputati sono stati condannati a dieci giorni di arresto con sospensione condizionale della pena. Costantino Pacifici, invece, uno dei responsabili tecnici dell’emittente, venne assolto per non aver commesso il fatto.
Oggi la decisione della Corte d’Appello recepisce le argomentazioni dei difensori degli imputati, gli avvocati Franco Coppi (Borgomeo) e Marcello Melandri ed Eugenio Pacelli (Tucci) che sostenevano che nel reato di getto pericoloso non rientrano le onde elettromagnetiche. Il sostituto procuratore generale, Vittorio Lombardi, invece chiedeva il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, mentre il rappresentante dell’accusa, Vittorio Lombardi, aveva invocato il riconoscimento della sussistenza del reato di getto pericoloso di cose, anche se coperto da prescrizione. Ma al termine dell’udienza ha fatto sapere che non ricorrerà in Cassazione.
Di diverso avviso i comitati e le associazioni che si erano battute contro Radio Vaticana. Un altro fascicolo pende ora sul futuro dell’emittente. È quello aperto dalla Procura di Roma sulle conseguenze del presunto inquinamento elettromagnetico nel quale si ipotizza il reato di omicidio colposo. Gli stessi Borgomeo e Tucci compaiono tra gli imputati. Proprio in questi giorni è in corso una perizia epidemiologica, disposta dal gip Zaira Secchi, per verificare se sussista un nesso di causalità tra le morti di leucemia, 19 a Cesano e dintorni, e le onde elettromagnetiche.
Tiziana Paolocci


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L'Ocse al premier: fai partire le riforme del Polo

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il segretario generale Angel Gurria difende le riforme Biagi e Maroni. E ammonisce: "L'extragettito serve a ridurre il debito"

«L’Italia ha fatto riforme delle pensioni di alta qualità che ora devono essere applicate, non mitigate». Le parole di Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, piombano tutt’altro che inattese alla presentazione del rapporto sull’Italia curato dall’organizzazione, che raggruppa le trenta principali economie del mondo. Alla presenza di Romano Prodi e Tommaso Padoa- Schioppa, Gurria aggiunge un’altra indicazione importante: «L’Italia - dice - non deve lasciarsi sfuggire l’opportunità di usare il tesoretto per ridurre il deficit e contribuire a far calare il debito pubblico». L’Ocse, nel rapporto, individua inoltre una «performance impressionante » del mercato del lavoro, grazie alla diffusione di contratti part time e a termine. Di fatto, dunque, l’Ocse dice al governo: a) lasciate in vigore lo «scalone» previdenziale; b) non disperdete l’extra-gettito fiscale anche perché, come osserva lo stesso Gurria, «c’è il rischio che la forte crescita delle entrate possa non durare»; c) non modificate la legge Biagi, che ha consentito il miglioramento dell’occupazione. Esattamente l’opposto di quanto Prodi si accinge a fare. A queste indicazioni, se ne aggiungono altre: bisogna tagliare le spese e non aumentare le tasse, e si deve andare avanti con le riforme perché, in caso contrario, «gli standard di vita peggioreranno ». Infine, il Rapporto osserva che la golden share dello Stato nelle aziende strategiche «può inibire gli investimenti esteri in Italia ». Di fronte a queste parole, Prodi e Padoa-Schioppa reagiscono in maniera diversa. Il ministro dell’Economia concorda sul fatto che le riforme Dini e Maroni offrano al sistema previdenziale italiano un «grado di sostenibilità superiore a quello di molti altri Paesi europei; si tratta dunque di applicare la legge, o modificarla - aggiunge Padoa - senza cambiare però il grado di sosteniblità ». Le nuove normedevono perciò garantire gli stessi risparmi di spesa. Il ministro promette inoltre che «col tempo» la pressione fiscale calerà.

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L’ultima di Woodcock: 50 perquisizioni a caccia di massoni

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Il pm di Potenza accelera sulla prima parte dell’inchiesta dopo mesi di accertamenti: 23 gli indagati. Ipotizzato il reato di associazione segreta

L’indagine era partita all’incirca un anno fa ed ha avuto una forte accelerazione parallelamente all’esplodere dell’inchiesta di Vallettopoli dove numerosi sono i riferimenti alla massoneria. Il pm Henry John Woodcock dopo aver mantenuto segreti gli accertamenti per oltre dieci mesi ha chiesto ufficialmente a tutte le 103 prefetture italiane di fornire alla procura di Potenza gli elenchi delle logge con i nominativi degli iscritti.

A far decollare questo nuovo filone una deposizione, di un superteste, a margine del «Somaliagate» che portò in cella una decina di persone per alcuni raggiri ad aziende alle quali venivano promesse joint-venture aziendali in Africa o in altri Paesi esteri per progetti di costruzione di acquedotti. Protagonista di quella complicatissima inchiesta, il discusso faccendiere Massimo Pizza, detto «Polifemo», superteste dell’infelice inchiesta palermitana «Sistemi Criminali», uomo che a suo dire vantava conoscenze d’altissimo livello, e che ai magistrati raccontò dell’esistenza di logge massoniche collegate a un «centro di potere» in Basilicata intorno al quale ruotavano e ruotano operazioni legate al petrolio, all’acqua ed ai rifiuti. Nell’interrogatorio Pizza faceva riferimento anche al coinvolgimento di alti prelati.
Il collegamento tra il Somaliagate, Vallettopoli e l’inchiesta sulla massoneria deviata, si è scoperto poi, passa attraverso il nome di Vittorio Emanuele di Savoia.

Gli indagati di questa prima tranche dell’inchiesta - le cui abitazioni e uffici perquisiti ieri dalle forze dell’ordine - sono 23 e per loro si ipotizzano reati contro la pubblica amministrazione che venivano consumati grazie a un’attività di associazione segreta. Ecco i nomi: Giampiero Del Gamba (Livorno), Piero Di Francesco (Livorno), Mario Cangemi (Viareggio), Delio Torcilliani (Camaiore), Bertuccelli Jonathan Andrea (Livorno), Luigi Maria Piazza (Livorno), Tiziana Giudicelli (Portoferraio), Andrea Sirabella (Portoferraio), Carlo Maria Baserga (Parma), Alimeno Sevignano (Massa Carrara), Gesualdo Marra (Reggio Calabria), Ruggero Rosi (Arezzo), Santo Mancuso (Lamezia Terme), Mario Saullo (Scalea), Marco Olivito (Cosenza), Francesco Tosi (Milano), Roberto Testa (Pavia), Federico Frighel (Roma), Carlo Mori (Roma), Valerio Bitetto (Milano), Paolo Tonni (Viareggio), Bryan Arandielovjc (Roma), Emo Danesi (Roma). Le perquisizioni in tutto sono state una cinquantina.

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In mano ai nuovi terroristi due pistole ereditate dai brigatisti della «Alasia»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Un filo rosso lungo trent’anni. Dagli anni di piombo a oggi, vecchie e nuove Br marcano la continuità. Ideologica, ma non solo. Esiste un legame materiale, infatti, tra il Partito comunista politico-militare (di cui fanno parte i 15 presunti terroristi arrestati il 12 febbraio), e la storica colonna brigatista «Walter Alasia». Due armi, tra quelle rinvenute dalla polizia nel Padovano e attribuite agli indagati. Due pistole che, secondo gli inquirenti, fecero parte dell’arsenale in mano al gruppo fuoriuscito dal Partito armato nel 1982, e nato nel 1976 dopo la morte del giovane terrorista (era il 15 dicembre) caduto in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine a Sesto San Giovanni.
La perizia. È questa la conclusione a cui sono giunti i tecnici incaricati dalla procura di Milano. Stando alla perizia, consegnata nei giorni scorsi al pubblico ministero Ilda Boccassini, quelle due armi - che tuttavia non risulta abbiano mai ucciso - appartennero alla colonna milanese responsabile degli attentati contro Renato Briano (12 novembre 1980), direttore del personale della Magneti Marelli, Manfredo Mazzanti (28 novembre 1980), direttore tecnico della Falk, e del direttore sanitario del Policlinico di Milano Luigi Marangoni, e furono il frutto di furti in armerie commessi nei primi anni ’80. Da allora ai giorni nostri, la minaccia potenziale era nascosta in due bidoni sepolti nei campi di Bovolenta, a una manciata di chilometri da Padova. Un kalashnikov, una mitraglietta Uzi, una Skorpion, una pistola Sig Sauer e una Colt attribuite dagli inquirenti ai cinque presunti neo-brigatisti che presero parte all’esercitazione di fuoco del 19 novembre dello scorso anno (Bortolato, Latino, Ghirardi, Toschi e Rossin), ma che potrebbero essere passate tra le mani di altri complici. E, proprio per chiarire questo aspetto, la Procura ha chiesto che venga eseguito il test del Dna sui 15 arrestati.
Una ricostruzione, quella dei periti, che a posteriori sembra rimandare alla telefonata che il 13 febbraio - il giorno successivo agli arresti - arrivò alla redazione milanese del Corriere della Sera. «Devo dare un comunicato delle Brigate Rosse - aveva detto al telefono la voce anonima -. Nulla resterà impunito, e la bandiera che è caduta l’abbiamo ripresa in mano. Colonna Walter Alasia».


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Crescono i timori per la visita del presidente Usa

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione

I manifestanti assicurano: "Sarà una protesta pacifica". E' gelo tra governo e Stati Uniti,

Dopo gli scontri di domenica tra i black bloc e le forze dell’ordine al G8 tedesco di Rostock, e la contestazione subita da Prodi a Trento da parte di un gruppo di attivisti che si oppongono all’ampliamento della base militare di Vicenza, sale l’allarme per l’arrivo a Roma del presidente Bush.

Il timore dell’antiterrorismo è che dalla Germania i contestatori stranieri si spostino nella capitale, ormai tappezzata da manifesti no-war, per partecipare alle manifestazioni contro il presidente degli Stati Uniti organizzate sabato mattina dai Cobas e dai movimenti antagonisti. Alle frontiere e negli scali marittimi dei paesi più «caldi» - Grecia, Spagna, Germania, Austria, Gran Bretagna e Francia - i controlli sono stati intensificati. In allerta anche la polizia ferroviaria, nel timore che arrivino gruppi sparsi di contestatori violenti. Un allarme ingiustificato e soprattutto «strumentale», dicono i manifestanti. Che respingono le voci sulla presenza a Roma di un «blocco nero». «Sarà una manifestazione pacifica e determinata, non sarà un’altra Rostock», garantisce Francesco Raparelli, del Comitato 9 giugno, che raccoglie le diverse sigle contro il cosiddetto No Bush/No War day. Questo se potrà scorrere liberamente e se la questura avrà un atteggiamento «responsabile». Altrimenti chissà. C’è anche il rischio, segnalato dal Dipartimento di pubblica sicurezza, di azioni dimostrative anti-Bush contro obiettivi sensibili - quali ambasciate, consolati, basi militari - o sedi di personalità Usa in Italia, che potrebbero arrivare da ambienti estremisti vicino all’eversione terroristica.

Per garantire la sicurezza del presidente americano saranno impiegati dai 6mila agli 8mila uomini. Ma la capitale, seppur supersorvegliata, non sarà militarizzata e non ci saranno zone rosse o manifestazioni negate. Almeno così ha assicurato il prefetto Achille Serra, che domani durante il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza metterà a punto con le forze dell’ordine gli ultimi dettagli della macchina organizzativa che dovrà garantire l’incolumità del presidente George W. Bush e della sua folta delegazione dal momento in cui l’Air Force One atterrerà nella capitale, venerdì sera. Sabato mattina il presidente sarà ricevuto al Quirinale dal presidente Napolitano, dopo andrà in Vaticano per il suo primo incontro con Papa Benedetto XVI.

Poi ci sarà l’appuntamento che più di ogni altro preoccupa i responsabili della sicurezza: l’escursione turistica alla Basilica di Santa Maria in Trastevere, seguita da una visita alla Comunità di Sant’Egidio, famosa in Italia e nel mondo non solo per le sue iniziative di carità ma anche per quella diplomazia «parallela» in molte aree di crisi che le ha fatto guadagnare il nome di piccola «Onu di Trastevere». Trastevere, appunto. Un reticolo di stradine e vicoli inadatti al passaggio del convoglio presidenziale, ovunque tetti e terrazze comunicanti, facile nascondiglio per cecchini e malintenzionati, una zona dove sarà difficile soddisfare i requisiti minimi di sicurezza normalmente garantiti. Alle 14 Bush sarà a Palazzo Chigi per incontrare Prodi e per una colazione di lavoro. Presidente e consorte soggiorneranno a Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore americano ai Parioli. La sera è confermato l’unico appuntamento non istituzionale del presidente degli Stati Uniti, con Silvio Berlusconi. Bush sa

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Visco: Gdf, io decido le nomine

>>Da: andreavisconti
Messaggio 7 della discussione
In barba alle regole che assicurano solo un potere di indirizzo, il viceministro dell'Economia cercò di influenzare le decisioni sulle Fiamme gialle. Il Cavaliere: "Non si può governare contro la maggioranza del Paese". E Mastella incontra l'Udc: "Sostegno alla Gdf"

Un’altra pressione di Vincenzo Visco, un’altra ingerenza nella Guardia di finanza. Questa volta accadde appena tre mesi fa. Il vice ministro voleva mettere parola, meglio vincolare addirittura la scelta del capo e del sottocapo di Stato maggiore. Ovvero, il numero tre e quattro nella gerarchia delle Fiamme gialle. È quanto emerge, invero in modo netto, da una missiva che appena tre mesi fa proprio Visco mandò a Speciale. Per condizionare scelte che secondo tutte le norme devono essere proprie del comandante del Corpo militare. Ovvero le nomine dei suoi più stretti collaboratori.
Quelle nove righe di fuoco Così lo scorso 16 marzo Visco scrisse nove lapidarie righe. Che riportiamo integralmente: «Signor generale, ho ricevuto la sua lettera in data di ieri con la quale mi informa della designazione del capo di Stato maggiore e del sottocapo di Stato Maggiore. Ne prendo atto. Devo per altro ribadire nell’occasione che eventuali ulteriori ipotesi di designazioni dovranno avvenire solo all’esito di un preventivo e approfondito confronto sulle motivazioni delle stesse con l’autorità politica, cosa che anche in questa circostanza non è avvenuta. Vincenzo Visco».
Dal tenore della lettera si capiscono tre cose. Primo: Visco voleva che la nomina del generale di divisione Paolo Poletti, scelto come capo di Stato Maggiore e del vice generale Morera avvenissero dopo un approfondito confronto con «l’autorità politica», ovvero lui stesso. Interferendo quindi nelle scelte del comandante generale. Infatti al ministro spetta, come indica la normativa, la nomina del comandante generale e le politiche di indirizzo. Nient’altro. Non a caso il decreto Bassanini ha scisso la responsabilità politica da quella amministrativa. Al di là delle pressioni di Visco il comandante generale gode di ampia autonomia e risponde delle sue scelte all’autorità politica solo attraverso il raggiungimento o meno degli obiettivi dalla stessa prefissati. In pratica, Visco poteva indicare gli obiettivi (immigrazioni, verifiche fiscali, lavoro nero) senza mettere parola nelle scelte interne degli avvicendamenti.
La scelta dei collaboratori Il secondo aspetto è altrettanto rilevante. Proprio Visco voleva influenzare ogni scelta del personale della Guardia di finanza. E quindi il piano andava oltre quello pressante denunciato da Speciale su Milano. Si ricorderà il foglietto mostrato a Speciale da Visco il 14 luglio con il vice ministro Visco che chiedeva l’azzeramento dell’intera gerarchia della GdF in Lombardia. Se c’era carattere d’urgenza per le Fiamme gialle della Madonnina quest’ultima lettera denuncia un tentativo di ingerenza nella scelta addirittura dei collaboratori più stretti del comandante generale. Infatti il capo di Stato maggiore ricopre un ruolo strategico nelle decisioni e, di fatto, è addirittura più importante del comandante in Seconda al quale vanno più deleghe istituzionali. Le minacce a Speciale L’ultimo aspetto riguarda proprio le polemiche di questi giorni. Questa lette

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Per il bene dell’Italia, il governo Prodi deve dimettersi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

L’auspicio, la previsione, il desiderio, non vengono da un esponente del centrodestra. Ma dal Financial Times. In un’analisi-commento affidato a Wolfgang Münchau, il quotidiano della City non va tanto per il leggero: «Romano Prodi non è probabilmente l’uomo giusto per questo lavoro». E «per questo lavoro» Ft intende rilanciare la crescita attraverso riforme strutturali.
Per queste ragioni, il Financial Times suggerisce una «grande coalizione» fra centrodestra e centrosinistra «limitata a uno o due anni» con un programma ben preciso, tutto concentrato sulle riforme: del settore pubblico, a partire dal sistema scolastico; sulla riforma delle pensioni; su ulteriori liberalizzazioni; sul risanamento della finanza pubblica. In questo governo non dovrebbero entrare né Prodi né Berlusconi, né qualche altro ex presidente del Consiglio.
È probabile che questo scenario sia irrealistico - scrive Ft - ma uno scenario alternativo sarebbe ancora peggiore: in 10-15 anni il declino economico sarebbe irrecuperabile. Forse sarebbe il caso che l’Italia inizi ad ascoltare Mr. Draghi».
E Münchau ricorda messaggi inviati dal governatore della Banca d’Italia: prelievo fiscale troppo elevato, scarso coraggio nei tagli alla spesa, riforma delle pensioni, intromissione della politica nel sistema bancario. Messaggi che - secondo Ft - Prodi non può raccogliere. Per tre ragioni.
La prima. «Prodi guida una coalizione arcobaleno di sinistra con una striminzita maggioranza al Senato». Tale, cioè, da non consentire al governo di adottare le riforme strutturali segnalate da Draghi.
La seconda ragione è conseguente: «Prodi probabilmente non è l’uomo giusto».
La terza ragione individuata dal Financial Times per chiedere la fine di questo governo riguarda il ruolo di Tommaso Padoa-Schioppa. «È un ex membro del board della Banca centrale europea, un valente economista, ma non è un politico». Con la conseguenza che il suo potere politico è «completamente dipendente da Mr. Prodi per non fare nulla».
Vista la situazione, una possibile soluzione politica «vista da sinistra» potrebbe essere - azzarda Ft - il nome di Walter Veltroni. «Ma questo non risolverebbe il problema della ristretta maggioranza della coalizione arcobaleno al Senato». Münchau ritiene che il problema dell’impossibilità ad agganciare le riforme da parte dell’Italia non dipende esclusivamente dalla riforma elettorale. «I problemi dell’Italia non sono politici, sono tecnici». Da qui, la proposta di una “grande coalizione” per superare l’impasse di Prodi.

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Il «tesoretto» vale 2,5 miliardi Ma le richieste sono a quota 25

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

La Ragioneria generale dello Stato ha elaborato una stima sulle «prenotazioni» politiche del «tesoretto». E ammonta a 25 miliardi di euro. Vale a dire, dieci volte l’ammontare dell’extragettito che, secondo documenti del governo (la Relazione unificata sulla finanza pubblica), sarebbe a disposizione. In quel documento, il ministero dell’Economia prevede che le entrate eccedenti le previsioni dovrebbero ammontare a 10 miliardi di euro. Di questi, 7,5 miliardi dovrebbero servire a ridurre il deficit tendenziale del 2008, mentre 2,5 miliardi dovrebbero rappresentare il «tesoretto» propriamente detto.
Alla Ragioneria, comunque, sono convinti che le risorse a disposizione possano essere maggiori. La cifra esatta si potrà conoscere solo con il Bilancio d’assestamento. Ma già Padoa-Schioppa ha anticipato a Rutelli e D’Alema che l’extragettito potrebbe salire a 4 miliardi. Nei corridoi di Via Venti Settembre sono anche più ottimisti; ma non lo dicono a nessuno, per paura di innescare altre richieste e per conservarlo per tamponare le falle nella spesa del 2008. Da un punto di vista tecnico (cioè, considerando esclusivamente le maggiori entrate), il «tesoretto» potrebbe raggiungere i 5 miliardi.
Padoa-Schioppa avrebbe già individuato come utilizzare questi 5 miliardi. Individuato anche lo strumento: un decreto legge da varare in contemporanea al Bilancio d’assestamento. Una parte consistente dovrebbe essere destinata a ripianare i debiti di Fs e Anas. Il resto alle famiglie. Con un particolare. In attesa di verificare se l’extragettito sarà più o meno strutturale, il ministro dell’Economia sarebbe orientato a far arrivare alle famiglie meno fortunate la restituzione di una parte del «tesoretto» sotto forma di una tantum. Una via di mezzo fra un assegno e un bonus fiscale. Il meccanismo lo devono mettere a punto gli uomini delle Finanze. Per poi confermare o no, nella legge finanziaria del prossimo anno, l’eventuale beneficio.
Tuttavia il ministro ha rinviato a luglio le scelte sulla destinazione del tesoretto e dovrà necessariamente tener conto del parere dell’Eurogruppo, che ieri ha dato il via libera solo a un uso limitato delle entrate fiscali aggiuntive per scopi diversi dalla riduzione di debito e deficit.
Sebbene queste siano le cifre all’esame degli esperti della Ragioneria, gli uomini della contabilità pubblica sono piuttosto preoccupati dell’andamento dei conti pubblici. Soprattutto quelli del prossimo anno. Nel 2008 si scaricherà per intero il costo del rinnovo contrattuale degli statali: 4,2 miliardi destinati a erodere in parte la quota di extragettito destinata a ridurre il deficit tendenziale del prossimo anno. In più, la norma della Finanziaria che prevede il taglio orizzontale dei trasferimenti ai ministeri non sta producendo gli effetti auspicati. All’appello mancherebbero circa 2 miliardi di mancati risparmi.
È assai probabile che la situazione venga risolta con il Bilancio di assestamento: strumento in mano al governo per correggere l’andamento dei conti pubblici in corso d’anno spostando capitoli di spesa, senza dover introdurre manovre correttive. Fabrizio Ravoni

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Il costruttore coop mette nei guai il procuratore

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Deve essere stato il momento più imbarazzante. Se le cose sono andate come vengono descritte nell'interrogazione urgente presentata dall’onorevole Maurizio Ronconi (Udc) al ministro della Giustizia Clementa Mastella. Imbarazzante per il gip di Perugia, Claudia Matteini, e i sostituti procuratori Claudio Cicchella e Sergio Sottani: davanti a loro nel supercarcere di Spoleto, Leonardo Giombini il costruttore di Perugia «amico delle coop rosse», «avrebbe ammesso l'esistenza di un incontro con il dott. Nicola Miriano». Giombini è stato arrestato per la seconda volta un mese fa, con due alti magistrati. Miriano è l'attuale capo della procura della Repubblica di Perugia. Supervisiona il lavoro dei due pm che indagano su Giombini e la lobby che, secondo le accuse, avrebbe pilotato affari e maneggiato sentenze penali, civili, tributarie e amministrative.
Un affaire politico-giudiziario che da oltre un anno scuote l'Umbria. E su cui da tempo lavorano le Fiamme gialle.
Oltre ad allegare il verbale di interrogatorio, Maurizio Ronconi chiede al ministro «se, alla luce dei fatti su esposti, non ritenga di predisporre rapidamente un'ispezione ministeriale». Con un duplice scopo: «verificare quanto dichiarato dal costruttore e soprattutto accertare il ruolo del dottor Miriano nell'inchiesta Giombini-bis».
L'inchiesta Giombini-bis deflagra l'8 maggio. Nella notte il Gico della Guardia della Finanza arresta di nuovo Leonardo Giombini, 41 anni. Con lui finiscono in manette, e vengono subito smistati in carceri diversi, l'altro imprenditore Carlo Gradassi, figlio di quel Mario già presidente del «Perugia calcio», e soprattutto due magistrati di primissimo livello: il sostituto procuratore generale della Cassazione, Vincenzo Maccarone, 66 anni, e il consigliere di Stato, dopo essere stato anni al Tar, Lanfranco Balucani, 66 anni. Le accuse vanno dall'associazione a delinquere alla corruzione in atti giudiziari.
I nuovi arresti si ricollegano alla prima inchiesta. Il 29 maggio di un anno fa Giombini era finito in carcere per riciclaggio, un giro di fatture false per 9 milioni di euro. Con il sospetto aleggiato (ma non provato) che dietro si celino anche tangenti a personaggi politici. Tutti diessini. Dopo settantun giorni Giombini esce dal carcere. E si sarebbe dato da fare. Lo incastra una microspia: alla moglie avrebbe confidato che il giudice Maccarone «si era messo a disposizione». I magistrati arrestati però negli interrogatori si sono difesi. Balucani giura: «Mai interferito in qualsiasi provvedimento». Maccarone: «Ho sbagliato - ha ammesso - ma non ho commesso reati. Ho solo anticipato qualche informazione».
Ad un certo punto Giombini con Carlo Gradassi sarebbe anche andato dal procuratore capo, Nicola Miriano. «È evidente che c'è una questione di incompatibilità ambientale», afferma Maurizio Ronconi. «Nel corso dell'incontro - scrive ancora il deputato nella sua interrogazione - secondo quanto affermato dal Giombini, il dottor Miriano si mostrò molto disponibile con il Gradassi e si parlò anche del dott. Cicchella, il pubblico ministero, titolare, con il pm Sergio Sottani, dell'inchiesta Giombini-bis».
C'è stato davvero questo incontro? O sono millanterie? Lo stabiliranno le indagini, anche perchè Miriano ha voluto firmare in prima persona, insieme ai suoi pm, le richieste di custodia cautelare dell'8 maggio contro Giombini e gli altri arrestati. Di certo l'affaire umbro si complica. Pierangelo Maurizio


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Tumore al fegato, il primo medicinale arriva dall’Italia

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Per la prima volta un farmaco si è dimostrato attivo sul tumore al fegato. La ricerca clinica internazionale, a cui ha dato un contributo essenziale il gruppo di ricercatori clinici dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano coordinati dal dottor Vincenzo Mazzaferro, è stata presentata a Chicago, in occasione del Congresso annuale di Oncologia Clinica, organizzato dalla American Society of Clinical Oncology (Asco). Alla ricerca su questo farmaco hanno partecipato le istituzioni oncologiche di 22 Paesi, supportati dall’azienda farmaceutica proprietaria della molecola testata (il sorafenib) e coordinati dal Consorzio internazionale per lo studio e cura del tumore epatico (epatocarcinoma): un gruppo costituito dall’Università di Barcellona, dalla Mount Sinai School of Medicine di New York e, appunto, dalla Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che ha reclutato il maggior numero di partecipanti alla sperimentazione, in totale circa 600 pazienti.
In occasione del meeting, l’Asco annuncerà ufficialmente anche l’istituzione del «Gianni Bonadonna Breast Cancer Award and Lecture», prestigioso riconoscimento mondiale per l’importanza dell’attività clinico-scientifica svolta da Gianni Bonadonna (direttore della Fondazione Michelangelo per gli studi clinici dell’Istituto dei tumori) nella ricerca e cura del tumore al seno.

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Trapianto choc: mano destra al posto della sinistra

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Ha subito un trapianto che ricorda l’opera del dottor Frankenstein, ma la sua foto sorridente smorza l’orrore. Per la prima volta la mondo, in Spagna gli hanno sostituito la mano sinistra con la destra, dopo aver cambiato lato al pollice. E lui, uomo ancora nel pieno della vita e delle forze, si mostra ai fotografi con il piglio di chi ce l’ha fatta.
L’intervento è stato eseguito a Valencia, nell’ospedale Virgen del Consuelo. Il paziente su cui i chirurghi sono intervenuti aveva perso la mano sinistra da quarant’anni e tre anni fa per colpa di un infarto cerebrale si è trovato paralizzato il lato destro del corpo, perdendo l’uso dell’unica mano attiva, cioè di quella destra. Questo il motivo per cui è stato deciso l’intervento.
Risale al 1998 il primo trapianto di mano eseguito con successo a Lione a cui partecipò anche il microchirurgo italiano Marco Lanzetta. L’intervento realizzato a Valencia dal dottor Pedro Cavadas si è reso necessario, secondo quanto riferito dallo stesso chirurgo, perché il paziente «da circa tre anni non poteva realizzare alcuna attività con l’unica mano attiva, cioè la destra, paralizzata da un infarto cerebrale». L’operazione è consistita inizialmente nel cambiar lato al pollice e solo in un secondo momento la nuova mano è stata inserita nel polso sinistro. L’intervento, una novità assoluta per la chirurgia mondiale, permetterà all’uomo di poter utilizzare il proprio arto «ragionevolmente bene» in un paio di mesi, dopo aver effettuato alcuni cicli di riabilitazione.

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Bush a Praga, rischio tensioni con Mosca

>>Da: andreavisconti
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Il presidente americano George W.Bush è sbarcato in Europa. Oggi, nella capitale della Repubblica Ceca, loderà i passi verso la democrazia fatti dagli ex paesi comunisti dell’Europa dell’est in un discorso che potrebbe irritare il Cremlino e peggiorare le relazioni diplomatiche con il presidente russo Vladimir Putin.

Bush ha iniziato ieri la sua visita di otto giorni in Europa, un viaggio che si preannuncia molto delicato per le tensioni dovute alla guerra in Iraq, al tema del global warming e alla polemica con Mosca sullo scudo missilistico. Non è ancora chiaro se nel suo discorso il presidente americano attaccherà direttamente il Cremlino sulla questione delle riforme e delle leggi contro la libertà di espressione, ma la Casa Bianca ha detto chiaramente che nel discorso la Russia e la Cina verranno menzionate.

D'Alema: "Non c’è nessun bisogno di fare cortei" "Siamo perfettamente in grado di rappresentare il punto di vista autonomo dell’Italia". Lo dice Massimo D’alema in una intervista a l’Unità. "Ritengo che la visita del presidente Bush subito dopo il G8 debba essere l’occasione anche per approfondire il dialogo con l’amministrazione americana su molte questioni importanti - dice il ministro degli Esteri -. Noi abbiamo dimostrato nel corso di questo anno di governo, che si può avere con gli Usa una collaborazione intensa, un rapporto di amicizia rispettoso, ma anche autonomo ed indipendente".

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L'Eta annuncia la fine della tregua

>>Da: andreavisconti
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Il movimento degli indipendentisti baschi rompe ufficialmente la fase di transizione iniziata dal dialogo con il premier spagnolo Zapatero. La rottura della tregua è un duro colpo politico per il primo ministro e i socialisti

Madrid - L’Eta ha annunciato la fine della tregua dichiarata nel marzo del 2006. In un comunicato pubblicato dal quotidiano basco Gara, Eta afferma che "non ci sono le condizioni democratiche per sviluppare un processo negoziale" e annuncia la fine della tregua alla mezzanotte di oggi. Secondo l’organizzazione indipendentista il paese Basco vive attualmente sotto uno "stato di eccezione" per colpa del Partito socialista (Psoe) al potere a Madrid e del Partito nazionalista basco (Pnv) al potere in Euskadi (Paese basco).

Lotta dura L’Eta annuncia nel suo comunicato la riapertura di "tutti i fronti in difesa di Euskal Herria" e "contro questa falsa e putrefatta democrazia" sino a "uno stato indipendente" accusando il premier Josè Luis Rodriguez Zapatero di aver lasciato cadere la maschera che ha rivelato il "fascismo che lascia senza diritti partiti e cittadini". L’annuncio della fine della tregua permanente, che l’Eta aveva mantenuto malgrado l’attentato del dicembre scorso a Madrid, fa seguito al duro monito lanciato sabato da Arnaldo Otegi leader del Partito fuorilegge Batasuna, considerato ala politica dell’organizzazione armata. Otegi aveva denunciato una "situazione gravissima" a causa del "collasso totale" del dialogo politico fra i partiti baschi di cui aveva accusato Psoe e Pnv.

L'annuncio dei servizi Ieri il quotidiano El Pais ed altri giornali avevano poi riferito informazioni dei servizi segreti e della polizia secondo cui la rottura della tregua era imminente. L’ultimo colpo a un dialogo da tempo "bloccato", secondo la sinistra patriottica, era giunto con le elezioni amministrative dove era stata vietata la stragrande maggioranza delle liste indipendentiste accusate di essere infiltrate da Eta e Batasuna. Una situazione che era seguita alle gravi difficoltà per il dialogo politico basco, sotto la pressione dell’opposizione di centrodestra e delle famiglie delle vittime.

Il premier e il dialogo Il dialogo politico era uno dei due pilastri del negoziato voluto da Zapatero, l’altro le trattative dirette, mai cominciate ufficialmente, fra Eta e governo. Per l’Eta il "blocco" del dialogo politico, da cui sarebbe dovuto uscire un accordo sull’autodeterminazione per includere le tre province basche e la Navarra, era la condizione indispensabile al negoziato con Zapatero. Senza di esso infatti le trattative con il governo si sarebbero ridotte al tema dei prigionieri politici e del disarmo. La rottura formale della tregua, sia pure attesa, è un duro colpo per Zapatero che malgrado l’attentato di dicembre e la "rottura" del processo, aveva mantenuto le speranze di poter riaprire il dialogo. Il fallimento del negoziato rischia di avere, secondo gli osservatori, contraccolpi politici sulle elezioni generali del 2008, considerato che la lotta contro l’Eta è usata come ariete contro il premier dall’opposizione di centrodestra che lo ha accusato di debolezza e cedimenti.

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Il Partito comunista francese vende quadri per evitare il crac

>>Da: andreavisconti
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Si parla anche di cedere la prestigiosa sede parigina

Rischio-bancarotta per il Partito comunista francese. In base all’ultimo sondaggio Ifop, alle legislative di domenica prossima i comunisti dovrebbero ottenere dai 9 ai 15 seggi contro i 21 attuali, un tracollo che aprirebbe una grave crisi finanziaria nelle casse del partito.
Così il tesoriere del Pcf, Jean-Louis Frostin, ha contattato il direttore di una grande museo d’arte moderna di Parigi per far stimare un quadro di Fernand Leger esposto nella storica sede di piazza Colonel-Fabien. In vendita, secondo quanto riferisce Le Monde, dovrebbero finire pure un ritratto di Picasso dipinto a carboncino da Edouard Pignon e il celebre quadro di Marcel Duchamp «La Gioconda con i baffi». «La nostra tesoreria è quasi al verde - ha ammesso giorni fa Frostin conversando con alcuni militanti - perciò dobbiamo decidere insieme quali misure dovremo assumere per evitare la bancarotta».
Con 55 impiegati in esubero e la necessità di rientrare dei 5,5 milioni di euro spesi per la fallimentare campagna per le presidenziali, si fanno sempre più consistenti le voci sulla possibile vendita della prestigiosa sede di Place Colonel-Fabien, progettata sul finire degli anni ’60 dal celebre architetto brasiliano Oscar Niemeyer, allora esule in Francia. Un’opera resa possibile - l’ha ricordato lo stesso architetto - dall’allora Capo dello stato Charles de Gaulle e dal ministro della cultura André Malraux, «che sono stati formidabili per me»: Malraux fece proprio un decreto che autorizzava Niemeyer a installarsi in Francia.
«Se questo dovesse accadere sarebbe la fine, è l’ultimo elemento di credibilità presso le banche», ha avvertito il prossimo segretario nazionale del partito, Roger Martelli, che sostituirà Marie-George Buffet.


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Libano, gli scontri più vicini ai soldati italiani

>>Da: andreavisconti
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Dopo una carneficina a Nahr el Bared, la guerra è arrivata nel campo profughi di Ein el Hilweh


Ora le rovine del campo profughi di Nahr el Bared e i suoi 114 morti non sono più l’unico focolaio. Il nuovo epicentro capace di spostare la guerra «alqaidista» davanti alle basi dell’esercito italiano e degli altri contingenti Unifil, il nuovo buco nero capace d’inghiottire il Libano, si chiama Ein el Hilweh. Da domenica notte è guerra anche lì. Poche ore di combattimenti hanno divorato le vite di due soldati e di due militanti radicali di Jund al Shams («Soldati della grande Siria») una filiazione del terrore islamico apparentata con la «Fatah al Islam» di Nahr el Bared e con un gruppo omonimo autore di un attentato all’ambasciata americana di Damasco.
La tregua raggiunta ieri mattina non tranquillizza nessuno. Non a caso il consigliere per la sicurezza statunitense Stepjhen Hadley ha già annunciato nuovi aiuti militari al governo di Fouad Siniora. Non a caso, forse, una potente esplosione ha devastato un autobus in un quartiere cristiano di Beirut Est. L’attentato ha provocato dieci feriti, ma è il quarto da quando sono scoppiati i combattimenti intorno a Nahr el Bared.
La metastasi di Ein el Hilweh ha, in verità, ben poco di straordinario. Il grande campo sulla collina sopra Sidone in cui vivono 45mila profughi palestinesi, è il focolaio primigenio del contagio alqaidista. Qui i fedeli di Osama bin Laden, i primi palestinesi reduci dai campi di addestramento afghani, arrivano già negli anni ’90. Da allora tra le palazzine grigie del campo si parla di Ansar al Asbat (Lega dei partigiani) o di Jund al Shams (I soldati della grande Siria), le due organizzazioni magnete del fanatismo armato. Qui sin dai primi mesi del 2000 si sono scontrati in battaglia gli uomini di Fatah e del nuovo radicalismo, l’esercito e i nuovi amici di Al Qaida.


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Carri armati israeliani a Gaza: un’operazione «mordi e fuggi»

>>Da: andreavisconti
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Sono penetrati per un paio di chilometri e tornati indietro

Una quindicina di carri armati, mezzi blindati del corpo di fanteria Golani e alcuni bulldozer hanno fatto irruzione nel sud della Striscia di Gaza, penetrando in territorio palestinese per una profondità di circa un chilometro tra Rafah e Khan Yunis.
Un portavoce militare israeliano ha confermato l’operazione che, a quanto risulta, non è stata contrastata da gruppi armati palestinesi a causa del terreno pianeggiante e privo di ripari. Si tratta di «un’operazione di routine che ha il fine di raccogliere informazioni e sventare futuri attacchi terroristici». Fonti palestinesi hanno riferito che i bulldozer sono stati usati per lavori di spianamento del terreno. Nel pomeriggio la reazione palestinese è giunta con la caduta di sei bombe di mortaio sul valico di Erez e nell’adiacente territorio israeliano. Non ci sono state vittime e neppure danni.
Le ostilità precedono l’incontro al vertice tra il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen, che a quanto risulta si terrà giovedì prossimo a Gerico, in territorio autonomo palestinese.
Fonti palestinesi hanno detto che le aspettative da questo summit sono molto basse e che le discussioni verteranno soprattutto su questioni di sicurezza e su misure volte ad alleviare le dure condizioni di vita della popolazione palestinese, come la revoca di alcuni dei numerosi posti di blocco israeliani in Cisgiordania.
A questo proposito la stampa israeliana scrive che Olmert potrebbe accogliere una richiesta di Abu Mazen di sbloccare almeno una parte dei circa 700 milioni di dollari che Israele ha finora raccolto per il pagamento di tasse per conto dell’Autorità palestinese e che ha congelato dopo la costituzione del primo governo formato da Hamas, nel marzo del 2006.


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Alberto Pasolini Zanelli: Nostalgia di un alleato

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Mettiamola giù chiara subito: è la prima volta che un presidente degli Usa in visita all’Italia si aspetta contatti così difficili e contorti come quelli che attendono George Bush a Roma il 9 giugno. Ed è anche la prima volta che i fili residui di consonanza fra due così vecchi partner conducono non ai partiti e agli uomini di governo ma al leader dell’opposizione. Ho detto fili residui perché sono quello che rimane degli sforzi compiuti nel passato quinquennio da Silvio Berlusconi, come presidente del Consiglio e per un certo periodo anche come ministro degli Esteri oltre che del suo predecessore Renato Ruggiero e del suo successore Gianfranco Fini, per ritagliare all’Italia un ruolo di interlocutore in qualche modo lecito «privilegiato» nei confronti del grande alleato d’oltreatlantico.
Lo dimostra il fatto che l’uomo di Washington, reduce da un vertice G8 in Germania che si preannuncia particolarmente difficile, si attende dal suo transito romano ulteriori motivi di irritazione, con due oasi di ristoro: quella grande di Benedetto XVI e quella intima di Berlusconi. È difficile sottrarsi all’impressione che questo «incontro fra vecchi amici» si colorirà di nostalgia, soprattutto da parte americana, per i tempi in cui a Roma si trovava conforto e comprensione nei più ardui frangenti, sempre presenti sulla rotta dei rapporti transatlantici.
Nostalgia con poche possibilità di redimersi in un recupero di quel passato, perché, mentre è perfettamente possibile che «l’amico Silvio» torni presto al timone della politica italiana è certo che il turno dell’«amico George» si avvia alla conclusione definitiva, imposta dalle scadenze istituzionali prima ancora che dalle accresciute difficoltà interne.
Ma il tempo concesso ai rimpianti è necessariamente limitato. Per il momento l’Italia che si appresta a dare il «benvenuto» al presidente americano è per lui poco meno di un terreno minato. Basta ascoltare o leggere le dichiarazioni degli uomini attualmente al governo, compresi i più responsabili, per rendersene conto. Leggiamo che George e Laura Bush arriveranno in una Roma «blindata». Ci ammoniscono che Roma potrebbe continuare Rostock, su cui aleggia «il fantasma di Genova» di sei anni fa. Gli slogan dell’ultrasinistra, e non solo di quella, sono molto più pesanti di allora, di quell’incontro fra leader psicologicamente dominato da un «momento magico» di fiducia fra la comunità atlantica e la Russia di Putin, il primo vero G8 cresciuto sul lavoro dei G7 ma anche l’ultimo prima che l’assalto del terrore a New York cambiasse tutti i termini dell’equazione fondamentale dei rapporti internazionali.


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Massimo Teodori: Le acrobazie dei complottisti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Per annebbiare la realtà della defenestrazione politica del generale Speciale da parte del viceministro Visco si evoca ancora una volta la brutta favola della P2, ormai divenuto un mito buono per tutti gli usi, specialmente se volti a confondere le idee. Non ci occupiamo di Furio Colombo che ha dato sfogo alla sua fertile fantasia di giallista quando ha rivelato sull'Unità che alla parata del 2 giugno con il saluto del generale Speciale a Berlusconi «si sono saldate parti importanti della P2». E che il suddetto comandante della Guardia di finanza è il degno erede dei golpisti principe Borghese e generale De Lorenzo.
Intendiamo invece tranquillamente riflettere sulle più sofisticate elaborazioni di Repubblica a proposito di un «nuovo network del potere occulto e trasversale con caratteristiche autonome» (quindi non di destra né di sinistra) che collegherebbe in un unico disegno i casi Telecom, Antonveneta, Unipol, Guardia di finanza e addirittura Calipari. Anche se cominciamo a preoccuparci perché sulle nostre teste aleggerebbe una terribile spectre che condizionerebbe i partiti di maggioranza e di opposizione, entrambe conniventi e colpevolmente succubi.
Non siamo così ingenui da ignorare che vi sono lobby, gruppi di potere e cordate che attraversano il mondo economico, politico e militare. Ma per formulare un atto di accusa sul grande complotto che starebbe minando la Repubblica come fa Giuseppe D'Avanzo su Repubblica sarebbe forse più illuminante se si citassero fatti specifici, si portassero prove certe, si evidenziassero connessioni e causalità che collegano casi così disparati. Altrimenti si cade nella facile cialtroneria.


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Mario Cervi: Il doppio gioco degli infiltrati di Stato

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Si dirà che la manifestazione dell’Aquila in cui sono risuonati slogan inneggianti all’assassinio di Marco Biagi, e invocanti «più vedove, più orfani, più sbirri morti... dieci, cento, mille Raciti», è stata autorizzata perché doveva essere una protesta contro le regole carcerarie del 41 bis: come tale ammissibile. Questa giustificazione - se rivendicata da chi poteva dire sì o no alla richiesta di nobili organizzazioni quali Olga, ossia «ora di liberarsi dalle galere» - avrebbe senso solo in un caso: nel caso cioè che dopo il tramutarsi della protesta in una truce apologia del terrorismo e in un incitamento alla libertà dei criminali («da Poggioreale all’Ucciardone, evasione») i più scalmanati partecipanti alla parata delinquenziale, talmente sicuri dell’impunità da procedere a volto scoperto, fossero stati almeno portati in questura e denunciati: e non, come in effetti è avvenuto, scortati così da poter raggiungere indenni e trionfanti l’autostrada per Roma.
Non che la denuncia immediata sarebbe servita a molto. Si sarebbe persa in anfratti della giungla cartacea che paralizza l’azione della legge. Ma almeno i cittadini, sconcertati di fronte a questo fanatismo tracotante e indignati per una esibizione di violenza verbale che trasformava in eroina l’ergastolana Nadia Desdemona Lioce, avrebbero potuto dire che lo Stato esiste anche per punire chi lo oltraggia. Pare invece che esista soprattutto per proteggere gli oltraggiatori. È sintomatico che tra gli schiamazzatori vi fosse l’ex segretario provinciale di Rifondazione comunista Giulio Petrilli: che non occupa più la sua poltrona di partito, ma che rimane lietamente nell’ambito «pubblico», e delle retribuzioni pubbliche, come presidente dell’Ares, l’azienda regionale per l’edilizia sociale. Uno degli innumerevoli esempi italiani di eversore retribuito, a spese dei contribuenti non eversori.


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Maurizio Belpietro: Vi spiego perché i Ds hanno paura

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

L'ombra del caso Unipol

Che cosa si nasconde dietro il caso Visco? Per quanto grave sia, il comportamento del viceministro dell’Economia non giustifica il fuoco di sbarramento che la sinistra ha messo in atto, evocando sui giornali amici inquietanti quanto improbabili manovre piduiste dietro le accuse all’esponente diessino. Il caso Visco è un esempio lampante di ingerenza della politica nelle decisioni di un corpo militare dello Stato e il viceministro dovrebbe essere indotto a far le valigie. Se lo difendono, non è solo per calcolo politico, ossia per timore che la caduta di Visco apra una frana che trascini a valle anche il governo. Ho la sensazione che ci sia di più. Che l’operato del viceministro nasconda qualche mistero poco glorioso, legato a Unipol e ai Ds.

Perché ho questo pensiero? Semplice: ricordo il clima eccitato che precedette la decisione di Visco di rimuovere i quattro ufficiali che avevano la responsabilità delle indagini sulle scalate finanziarie. Prima dell’estate dello scorso anno, in Procura si parlava addirittura di rinviare le vacanze. Motivo: le intercettazioni legate alla vicenda Unipol. Dopo il tentativo – andato male – di rimuovere i vertici delle Fiamme gialle a Milano, l’eccitazione dei Pm sparì. Passarono le settimane e anche i mesi senza che di quell’inchiesta si sapesse più nulla. Adesso che le indagini paiono essere riprese, l’inquietudine del centrosinistra è aumentata e si è trasformata in vero terrore. Difendere Visco e mettere le mani sulla Gdf sono diventati due punti irrinunciabili del programma di governo.

Cosa c’è dunque da nascondere? Cosa non dobbiamo sapere? Vediamo di riepilogare: domenica la linea di difesa sul caso Visco l’ha dettata Eugenio Scalfari, il direttore che sussurrava ai governi e con i suoi consigli affossò prima Berlinguer e poi De Mita. Il fondatore di Repubblica ha spiegato che Visco decise di rimuovere gli ufficiali milanesi per le gravissime irregolarità nel sistema delle intercettazioni telefoniche avvenute nel corso delle scalate a banche e giornali. A Barbapapà poco importa che la Procura generale abbia escluso comportamenti scorretti dei militari che comandavano la Finanza in Lombardia e meno ancora importa che – agli atti – risulti evidente che lo stesso viceministro non fu in grado di spiegare perché quei quattro dovessero essere rimossi. La linea tracciata da Scalfari e difesa ieri, sempre su Repubblica, da Giuseppe D’Avanzo è accreditare la tesi di un potere occulto, di indagini illegittime, di intercettazioni ancor meno legali. In pratica una P2 che abbraccia il servizio segreto militare e la Guardia di finanza. Insomma, dal fuoco siamo passati al fumo di sbarramento.

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Massimo Introvigne: Quelle toghe con la sharia in mano

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Ogni tanto la sinistra estrema o l’islam organizzato si lamentano perché in Italia non c’è una delle Intese previste dalla Costituzione con le confessioni religiose che riguardi i musulmani, mentre - oltre al Concordato con la Chiesa cattolica - hanno un’Intesa i valdesi, i luterani e qualcun altro. L’Intesa con l’islam non c’è per la buona ragione che i musulmani italiani non riescono a darsi una rappresentanza unitaria. Ma sembra che - grazie a certi magistrati - i musulmani abbiano già nella pratica tutti i diritti che deriverebbero da un’Intesa senza essersi assunti i relativi doveri.
Soltanto l’ultima settimana le «toghe verdi», cioè i giudici che ritengono loro dovere proteggere gli imam contro la presunta minaccia dell’«islamofobia», sono state al centro di controversie a Milano e a Bari. A Milano la materia del contendere era l’imam Zergout, che officiava a Varese prima di essere arrestato per fiancheggiamento del terrorismo. Il pubblico ministero ne aveva chiesto e ottenuto l’assoluzione, ma non perché fosse innocente: al contrario, si era dichiarato «convinto di avere in mano elementi di prova della sua colpevolezza» ma aveva fatto rilevare un vizio di forma del processo. Il ministro Amato, per una volta coraggioso, dopo l’assoluzione «tecnica» aveva espulso Zergout: ma la Corte europea dei Diritti dell’uomo, ben nota per il suo buonismo nei confronti dell’ultra-fondamentalismo islamico, aveva bloccato l’espulsione. Il ministro dell’Interno, per evitare di lasciare a spasso nelle nostre strade un estremista della cui colpevolezza per reati connessi al terrorismo la stessa procura di Milano dichiara di «avere in mano elementi di prova», aveva disposto che l’imam fosse condotto in un Cpt, uno di quei Centri di permanenza temporanea che per la sinistra radicale - e per certi giudici - sono lager, ma che con il governo Prodi stanno diventando più o meno delle pensioni dove la sorveglianza si fa sempre più blanda. Ma anche questo è stato considerato eccessivo da un giudice di pace di Milano, che ha annullato il provvedimento che obbligava l’imam a risiedere nel Cpt di Via Corelli. Non c’è scampo: i giudici europei e quelli italiani vogliono che Zergout circoli liberamente in Italia. Forse hanno dimenticato che il leader degli attentatori di Madrid era stato a suo tempo fermato in Spagna, ma il fermo non era stato convalidato per ragioni procedurali.
A Bari è stato rinviato a giudizio Renzo Guolo, stimato sociologo delle religioni, che certamente non è un islamofobo arrabbiato. Il sociologo è incappato nelle ire di Adel Smith, noto protagonista di teatrini televisivi autonominatosi imam (o qualche cosa di simile, perché la confusione è grande) di un gruppo che si chiama Unione musulmani d’Italia. Nonostante il nome magniloquente, si tratta di un’associazione di quattro gatti, considerata non rappresentativa da tutte le altre realtà del variopinto islam italiano.
Ma se uno dice a Smith, appunto, che non rappresenta nessuno, Smith si arrabbia molto, e ritiene che nella sua sacra persona sia stato offeso addirittura l’islam in genere. A Bari Guolo si è così ritrovato accusato di «vilipendio della religione islamica». Ci si chiede quali criteri adotteranno i giudici al processo - applicheranno la sharia? - ma soprattutto perché, mentre si possono far vedere in televisione documentari dove si insulta il Papa affermando falsamente che protegge i preti pedofili, se si critica più o meno blandamente un imam si viene incriminati. D

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La finta rivoluzione liberista si è già arenata, dal parrucchiere

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Dopo aver consentito ai barbieri la fondamentale apertura del lunedì, accogliendo così l’appello del popolo italiano che non chiedeva altro, la rivoluzione liberista del governo aveva preso di mira un’altra categoria non più al passo coi tempi, nonostante il proprio lavoro consistesse proprio nell’andare e venire: quella dei tassisti. Più auto gialle (anzi: bianche) a disposizione e tariffe concorrenziali per tutti, fu lo slancio di novità. Ma liberati anch’essi, i tassisti, dai vincoli che limitavano la corporazione - con l’esito pari allo zero che qualunque cittadino può da solo constatare quando cerca e poi paga un taxi - in molti hanno cominciato a domandarsi: possibile che l’immobilismo della società italiana dipenda dai barbieri e dai tassinari, come li chiamano a Roma? Possibile che per dare uno scossone al mercato del lavoro si debba partire da questi lavoratori, i quali tra l’altro non risultano essere ai vertici delle classifiche di ricchezza nazionale?
Forse sarà per questo che la maggioranza ha scelto d’alzare astutamente e coraggiosamente il tiro. Tant’è che a protestare, adesso, sono addirittura i notai. Vuoi mettere. Oggetto della loro arrabbiatura è un emendamento che la commissione Attività produttive della Camera ha presentato al disegno di legge-Bersani all’esame dell’assemblea. Vale la pena di cogliere il senso di questa proposta, perché rispecchia al meglio che cosa alcuni intendano per «spirito liberista». Il testo ha la giusta pretesa di «semplificare il passaggio degli immobili» di valore catastale «non superiore a 100mila euro», dunque gran parte delle nostre abitazioni. Si dice che l’autenticazione degli atti di cessione e di donazione di questi beni potrà essere fatta gratuitamente nei Comuni. Straordinario: gratis, anziché pagando dai notai.

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Stefania Vitulli: Tra i signori del clima tira una brutta aria

>>Da: andreavisconti
Messaggio 8 della discussione
Sommersi o salvati? Ci pizzica una certa urgente necessità di conoscere il nostro futuro climatico. Godremmo ad eliminare quella strizzatina di stomaco che ci prende ogni mattina quando su giornali, radio e tv piovono i bollettini sul riscaldamento globale: clima impazzito, pianeta soffocato dalle emissioni di CO2, sorte segnata.

Se domani non piove, se piove troppo, se anche quest’inverno nevica ma non s’imbianca la piazza, se la piazza s’imbianca ma la neve sul muretto supera i due centimetri è un segno. L’emergenza è costante. Il dibattito scarso. L’esito è possibile – nemmeno probabile – ma viene presentato con tutti i sintomi della certezza: l’incubo è cominciato da un pezzo, un aumento della temperatura media globale di due gradi comporterà il rischio di estinzione per il 30 per cento di animali e vegetali da qui al 2050-70. Ci siamo. E’ la fine. Fazio lo ripete tutti i weekend. Ma soprattutto l’hanno detto i signori del clima. Quelli del consesso globale che si riunisce sotto l’egida dell’Onu. Quelli dell’Ipcc, un acronimo che significa Panel intergovernativo sul cambiamento climatico. All’Ipcc danno retta sostanzialmente tutti i paesi europei. Molto meno gli Stati Uniti. E anche Cina e India, considerati tra i principali emettitori di CO2, ci stanno facendo un pensiero.

E così sempre più quella setta di iniziati che vanno sotto il nome di climatologi, esponenti di una scienza relativamente nuova, si divide in correnti di pensiero, come i filosofi, come gli scienziati di qualche secolo fa: i catastrofisti, gli scettici e i negazionisti. I primi ci allarmano, i secondi dubitano, i terzi spesso provocano a proposito della questione cruciale: sono o non sono le emissioni di CO2 a determinare la maggior parte dell’effetto climalterante? A leggerli (dei loro blog, abstract, forum, scenari e soluzioni è piena la rete, ma trovarli è difficile, ci vogliono parole chiave, soffiate giuste, tutor introdotti) sembrano tutti animati da eguale passione: quando all’inizio dell’anno Alan Thorpe e il suo team di scienziati del Natural Environment Research Council (Nerc), la principale agenzia britannica che si occupi di scienze ambientali, hanno lanciato online il forum intitolato “Climate Change Challenge”, si è scatenato un dibattito infuocato, il cui solo abstract occupa l’intera sezione del sito.


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Angelo Panebianco: I dubbi di un caso molto speciale

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Nonostante la speranza di Romano Prodi, il caso Visco non è chiuso. Lo sarebbe forse se il governo godesse di buona salute. È in realtà in un' atmosfera da ultimi giorni di Pompei che il governo si appresta a fronteggiare il voto previsto per domani, al Senato, sullo scontro fra Vincenzo Visco e l'ex comandante della Guardia di finanza Roberto Speciale. La mancanza di trasparenza che ha fin qui caratterizzato la vicenda alimenta le più diverse voci, e anche ogni tipo di ricostruzione complottarda.

Checché se ne dica, il regime democratico è, come ogni altro regime politico, oligarchico e opaco nel funzionamento quotidiano delle sue istituzioni. La differenza con altri regimi sta solo nel fatto (importantissimo) che i comuni mortali dispongono di alcuni strumenti per invocare, di tanto in tanto, chiarezza e trasparenza su qualche particolare vicenda. Nel caso Visco- Speciale, le oscurità, i passaggi incomprensibili, il non detto, sembrano davvero tanti.

E il governo ne porta la responsabilità. L'affaire esplode perché il viceministro Visco vuole imporre ai vertici del Corpo il coinvolgimento in un giro di trasferimenti di quattro ufficiali della Guardia di finanza, già impegnati in delicatissime inchieste. Nella storia della Repubblica, a quanto se ne sa, non ci sono precedenti e anche se la cosa fosse in sé legalmente ineccepibile è un fatto che il viceministro avrebbe comunque dovuto addurre serie ragioni per quella richiesta di trasferimento, ragioni che a tutt'oggi non si conoscono. Poi, quando il caso esplode, la crisi viene affrontata nel modo più contorto possibile: il generale Speciale, entrato in conflitto con Visco, rifiuta di dimettersi e viene rimosso da un Consiglio dei ministri (in cui però i ministri assenti spiccano più dei presenti) senza che della rimozione venga data una motivazione ufficiale. Per giunta, la rimozione viene accompagnata da un trasferimento (rifiutato dal generale) alla Corte dei conti. Se non che, un generale rimosso dal suo incarico in quanto colpevole di qualcosa non lo si trasferisce in un'altra importante istituzione. Contemporaneamente, viene ritirata la delega sulla Guardia di finanza al viceministro Visco. Ma se Visco, come il governo sostiene, ha tenuto, nella vicenda, una condotta impeccabile, come mai gli è stata ritirata la delega? Queste mosse contorte, lo sappiamo, sono il frutto di un compromesso che ha consentito al governo di ricompattare (formalmente) una maggioranza che si stava sgretolando. Come si può pensare, però, che l'opinione pubblica non resti disorientata? Tanto più quando si accorge che le stesse difese di Visco da parte di molti esponenti della maggioranza sembrano più atti dovuti che convinti sostegni all'operato del viceministro?

In aula il governo dovrà dare circostanziate spiegazioni. E sarà un passaggio delicato. Forse, non lo sarebbe se lo scollamento fra governo e Paese non fosse ormai così forte e se non ci fossero, per l'esecutivo, tante altre minacce in vista (il secondo turno delle amministrative, l'ormai incombente visita di Bush). Per il bene della Repubblica italiana ci auguriamo fortemente che il governo non cada proprio su una questione istituzionalmente cruciale come i rapporti con i corpi dello Stato. E che, se nuovi equilibri politici dovranno subentrare ai vecchi ormai logorati, ciò accada in virtù della maturazione di idee condivise dai principali partiti sugli sbocchi del dopo- Prodi, non per un incidente parlamentare su un tema c

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Giuseppe Pennisi: Tutti gli uomini del viceministro

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Il “caso Visco” (per brevità chiamiamolo così) ha riportato un semplice economista, poco avvezzo alla politica e ai suoi intrighi, agli oltre tre lustri passati nella “Washington-che-può” e lo hanno indotto a riprendere in mano un paperback ingiallito “All the President’s Men” (“Tutti gli uomini del Presidente”) di Carl Bernstein e Bod Wooward, edizione Warner Book, pubblicato nel 1975 e comprato ad un prezzo di copertina di $ 3 dollari e 50 cents. E’ il libro che racconta il “caso Watergate” che portò alle dimissioni di Richard Nixon al termine di un drammatico discorso alla Nazione l’8 agosto 1974.

Quale è il nesso? Nixon è stato costretto a lasciare la Casa Bianca e i suoi più stretti collaboratori sono finiti in galera non perché avessero scassato nottetempo un ufficio elettorale del Partito Democratico (nel giugno 1972) al fine di carpire segreti sulla strategia elettorale dell’opposizione ma perché, venuti successivamente a conoscenza del maldestro scasso, avessero cercato di coprirlo in modo ancora più goffo (e registrando su nastro magnetico tutte le loro conversazioni). E’ venuta alla luce una Casa Bianca da operetta che, però, mentiva al Parlamento e ostruiva la giustizia – su una vicenda, tutto sommato, di portata limitata.

Nel “caso Visco”, invece, per quel che si capisce (ma si può avere compreso male) tutti gli uomini del Vice Ministro hanno eretto una barriera blindata per evitare di andare al Parlamento e correre il rischio di mentire alle Camere e ostruire la giustizia a proposito di una vicenda che non sembrerebbe avere portata limitata se risultassero provate pressioni su un altissimo ufficiale (il cui giuramento di fedeltà è alla Patria non agli inquilini pro-tempore di questo o quel Palazzo).

Quale che sia il merito della questione – spetta al Parlamento (e forse alla magistratura) appurare chi ha torto e chi ha ragione, chi ha detto il vero e chi ha mentito, evitare il confronto con le Camere vuol dire disconoscere il principio di base della democrazia parlamentare: quello in base al quale lo scettro appartiene, in ultima istanza al Parlamento. L’economista del Mit Avinash Dixit (in odore di Premio Nobel) vede in questo stile di governo (che può essere qualificato extra-parlamentare, in seno rigorosamente etimologico), un degrado e della democrazia e del potenziale sviluppo economico, sociale e politico.

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Giancarlo Loquenzi: A palazzo Chigi un governo “putiniano”

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Il governo Prodi dopo un anno e qualche giorno ha già il volto sfigurato di un vecchio. Si era insediato sull’onda di una microscopica vittoria elettorale che aveva il sapore di una sonora sconfitta politica. La piccola dote di 25. 000 voti di vantaggio è stata sperperata rapidamente e poi si è anche eroso il capitale proprio della coalizione. Fino a oggi, quando Mannheimer ci dice che ad essere insoddisfatti del governo sono 2 elettori su 3.

All’indomani del voto Romano Prodi voltò le spalle sdegnato all’offerta berlusconiana di creare un esecutivo frutto di un’intesa bipartisan, sostenendo che il suo governo avrebbe “fatto da solo”. Dopo un anno il bilancio politico di questo “far da solo” è catastrofico. Ma non è tanto questo a preoccupare, quanto piuttosto il profilo istituzionale a cui questo esecutivo sembra ispirarsi.

Da un punto di vista macroscopico il panorama è già desolante. Il Senato è stato de facto abolito dall’ordinamento repubblicano a causa dell’inconsistenza dei numeri, aggravata dalla cagionevole salute dei senatori a vita. Alla Camera dei Deputati, il presidente Bertinotti richiama con uno violento trillo di campanello “la scarsa dimestichezza” di Prodi con le aule parlamentari e accusa il governo di aver “strangolato il dibattito” a forza di decreti legge. Persino il Quirinale ha avuto un fremito di sdegno quando Prodi, con una circolare, ha suggerito ai suoi ministri di eludere il Parlamento e di arrangiarsi con i regolamenti. Il tenore democratico che si ricava da questo quadro è sorprendente, se solo si pensa che il centro sinistra chiedeva di essere mandato al governo contro una supposta “sospensione democratica” derivante dal conflitto di interessi berlusconiano.


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Comunità per minori trasformata in un lager

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Avrebbero trasformato una comunità alloggio per minori, anche disabili, in una sorta di lager. Con questa accusa sono stati arrestati dalla squadra mobile la responsabile della struttura e il suo vice. Sono Olimpia Arangio, 36 anni, e Mario Marasà di 33, entrambi ennesi, direttrice e supervisore della casa alloggio «Quadrifoglio».


Nella struttura, secondo gli investigatori, sarebbero state inflitte punizioni continuate e violente sia corporali - schiaffi, punture con spilli - sia psicologiche, quali la minaccia costante di non far incontrare per lungo tempo i familiari in caso di disubbidienza. Inoltre i bambini sarebbero stati alimentati con cibi di scarsa qualità, spesso scaduti. Indecente, poi, secondo gli inquirenti, il quadro igienico dei minori a causa di prodotti inadeguati alla pulizia, tra l’altro il vestiario dei piccoli era malandato e logoro. Arangio e Marasà sono indagati anche per il reato di abbandono di minori, in quanto dalle indagini della squadra mobile ennese, diretta da Tito Cicero, è emerso che il personale di sorveglianza era del tutto insufficiente, per cui i minori vivevano in un stato di promiscuità che avrebbe favorito casi di abusi sessuali, ancora in corso di accertamento, ad opera di ospiti disabili più grandi.


Inoltre i due dirigenti sono indagati per violenza privata nei confronti di alcuni dei dipendenti della casa alloggio per averli obbligati, con minacce di licenziamento, a fatturare alcune loro spese private a nome del «Quadrifoglio», per vantaggi fiscali. E si aggiunge anche l’accusa di malversazione in danno dello Stato, in quanto avrebbero distratto la destinazione delle rette pagate dagli enti territoriali per il mantenimento dei minori e dei disabili alloggiati.


Infine, la sola Olimpia Arangio è indagata anche per avere attestato falsamente al Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta, una serie di fatti del tutto inventati, tesi a conseguire la permanenza dei minori presso la struttura da lei diretta, continuando ad incassare le rette corrisposte dai Comuni. È in corso il trasferimento dei minorenni e dei disabili in altre strutture.


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Sventato un sequestro di persona

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Una banda di quattro italiani, tra cui un ergastolano in permesso e una donna, aveva progettato il sequestro della direttrice di un ufficio postale della provincia di Alessandria per rapinare il denaro contenuto nella cassaforte dell’ufficio. A sventarlo sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Torino.
Basista del colpo, secondo l’accusa, era una collega della direttrice. Oltre all’ergastolano, sono stati arrestati altri due pregiudicati.

Il capo della banda è Daniele Celestino Lattanzio, 53 anni, ergastolano in permesso, denominato il «re delle evasioni», un criminale di notevole spessore la cui prima condanna risale a quando aveva 15 anni, nel marzo del ’73, per rapina e furto. Segue poi una carriera malavitosa, che lo porta alla condanna all’ergastolo per il conflitto a fuoco il 27 settembre 1977, all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di Trento, dove, durante una rapina, viene ucciso il maresciallo di Ps Francesco Masserelli, 54 anni, medaglia d’oro al valor militare.

Con Lattanzio, nel sequestro sventato dai Carabinieri, hanno agito anche il fratello Davide Stefano Lattanzio, 54 anni, pregiudicato per reati contro il patrimonio e per partecipazione a banda armata; Paola Clotilde Grossi, 42 anni, postina, considerata la basista del gruppo e Guido Palmisano, 52 anni, residente a Carmagnola e arrestato nel settembre del 1989, perchè appartenente alla cosiddetta «banda del bazuka», un gruppo che nell’88 a Milano rapinò con un bazuka un furgone Mondialpol.

Le indagini sono state avviate dalla procura di Alba, che stava effettuando accertamenti su Guido Palmisano. Nel corso delle intercettazioni è emerso il piano criminale del sequestro sventato ieri mattina. La banda aveva pianificato di rapire la direttrice dell’ufficio postale di San Sebastiano Curone, in provincia di Alessandria, che era stata per questo pedinata ed osservata. Il blitz dei carabinieri è scattato all’alba di ieri mattina, poco prima che la banda entrasse in azione: 40 militari hanno presidiato le abitazioni dei quattro arrestati, fermandoli fuori di casa. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri, coordinati dal procuratore torinese Maurizio Laudi, la banda aveva in programma di simulare un incidente stradale con la direttrice dell’ufficio postale, tra le sette e le sette e mezzo, nel tragitto che questa avrebbe fatto da casa al lavoro, lungo piccole stradine poco battute. L’avrebbero, quindi, portata all’ufficio postale ancora deserto per farsi consegnare il denaro e, infine, sarebbero fuggiti.


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Ida Magli: Governo - Finanza - Presidenza della Repubblica

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Malgrado non rientri se non marginalmente nell’ambito degli interessi del movimento “Italiani Liberi“, non possiamo fare a meno di commentare in poche righe la questione Visco-Guardia di Finanza. Non si può fare a meno di commentarla soprattutto per il fatto che né i politici né i giornalisti affrontano chiaramente il dato essenziale. Il dato essenziale è presto detto: il Governo ha tolto a Visco una parte dei suoi poteri e ha rimosso il generale Speciale dal comando dell’Arma assegnandogli un altro incarico (in teoria più prestigioso). Perché?
Se avesse ritenuto falsa la denuncia fatta dal Generale, Prodi non avrebbe dovuto toccare per nulla Visco e condannare il Generale in quanto si tratta di un militare. Un militare che mente, e mente accusando un Ministro del Governo in carica di agire in modo da impedire l’accertamento di una forma di corruzione nell’ambito dei politici stessi, non può certo essere punito semplicemente cambiando di posto. C’è però una inchiesta in corso da parte della Magistratura. Bene: volendo attenersi al rispetto per la Magistratura, dovevano essere sospesi dal proprio incarico tutti i protagonisti, in attesa del risultato dell’inchiesta. D’altra parte la situazione è comunque politicamente gravissima, sia che si appuri che Visco ha davvero premuto per allontanare dalla vicenda Unipol alcuni ufficiali della Guardia di Finanza, sia che viceversa si accerti che il Comandante dell’Arma e altri quattro ufficiali insieme a lui, abbiano mentito accusandolo. In realtà, sarebbe stata necessaria una inchiesta parlamentare su tutta la vicenda a fianco di quella della Magistratura e, lo ripeto, nel frattempo sospendere dal proprio incarico tutti i protagonisti
Qui si tratta di uno scontro fra poteri di cui, per giunta, il Presidente della Repubblica rifiuta di prendere atto. In definitiva, la famosa divisione dei poteri che, in teoria, dovrebbe garantire secondo la Costituzione la loro libertà, è diventata una specie di “spazio vuoto“ nel quale sprofondano e spariscono le responsabilità. Ma il Presidente della Repubblica è anche il Capo delle Forze armate e qui si tratta proprio del comportamento del Generale che comanda una forza armata come la Guardia di Finanza che ha fra i suoi principali compiti l’accertamento della corruzione e che accusa un membro del Governo. Gli Italiani hanno visto sparire dalla scena politica interi Partiti ad opera della Magistratura coadiuvata dalla Guardia di Finanza e hanno potuto giudicare anche il comportamento non sempre limpido dei Presidenti della Repubblica in quella circostanza. Ma non è stata tanto la corruzione a rimanere loro impressa (una corruzione di cui erano a conoscenza da lungo tempo), quanto l’esibizione di innumerevoli menzogne e di una vigliaccheria quasi impensabile da parte di uomini cui era affidato il destino dell’Italia.
Della vigliaccheria di Re, di Ministri, di Generali è purtroppo piena la storia italiana, ma è l’unica cosa che gli Italiani non hanno mai dimenticato e che non hanno perdonato. Non la perdoneranno neanche oggi.


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Bravo Silvio!

>>Da: er Drago
Messaggio 1 della discussione
Seguo con interesse la campagna di 'Libero' a favore della traduzione in inglese dello 'Zibaldone' di Giacomo Leopardi, una delle opere fondamentali della cultura italia". Firmato, con tanto di generosa donazione di 100mila euro, Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia ha scritto una lettera al quotidiano di Vittorio Feltri per sostenere la campagna del giornale a sostegno dell'impegno di Franco D'Intino, docente di letteratura italiana a la Sapienza di Roma e fondatore del Leopardi Centre di Londra, per una traduzione in inglese della celebre opera leopardiana.

Bravo! 100 mila euros, praticamente 1 volta e mezzo la dichiarazione dei redditi di prodino....ehehe!

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Madeline

>>Da: GORGON
Messaggio 3 della discussione
L'occhio di Madeline è un indizio vitale
La famiglia di Madeline ha diffuso questa foto, credendo che sia determinante per riconoscere la bimba.
La foto della bambina mostra chiaramente il suo distintivo occhio destro, in cui la pupilla si fonde nell'iride blu-verde.

È questo contrassegno di distinzione che identificherà Madeleine, secondo la famiglia.

La famiglia è estremamente riconoscente a quanti collaboreranno.

Il suo occhio destro
La sig.ra McCann ha detto: "lo scopo del manifesto è evidenziare la distinzione nell'occhio del Madeleine.
"Diamo questa informazione, perché sappiamo che i suoi capelli potrebbero potenzialmente essere tagliati o tinti."
Il sig. McCann ha aggiunto: "il manifesto è stato progettato da un amico della famiglia ed ho cominciato ad inviarlo via mail in tutte le parti del mondo. " Sto chiedendo alla gente di farlo circolare il più possibile, è la cosa migliore che possano fare perché possa essere visto ovunque."

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Una guida agli acquisti sicuri su Internet

>>Da: Magnolia
Messaggio 1 della discussione
http://www.compraconbuonsenso.it:80/

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Quanto e' grande l'universo?

>>Da: Magnolia
Messaggio 1 della discussione
http://www.atlasoftheuniverse.com:80/

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Islam e cristianesimo. Una parentela impossibile

>>Da: Magnolia
Messaggio 1 della discussione
Islam e cristianesimo – pubblicato per la prima volta nel 2004, a dieci anni dalla morte dell’autore – riunisce due testi inediti. Il primo, intitolato I tre pilastri del conformismo, si compone di tre capitoli: «Siamo tutti figli di Abramo», «Il monoteismo » e «Le religioni del Libro», nei quali l’autore analizza e smonta, in maniera chiara ed efficace, i tre concetti utilizzati in maniera sempre più frequente per avvicinare da un punto di vista teologico le tre religioni rivelate.
Secondo Ellul, la comune discendenza abramitica sulla quale si fonderebbe la parentela tra ebrei, cristiani e musulmani è del tutto priva di fondamento. Nel Vangelo, infatti, solo colui che «compie il bene» è proclamato da Gesù «Figlio di Abramo»: la filiazione dal patriarca risulta così appartenere più a un piano spirituale che carnale. L’Islam, inoltre, nega al cristianesimo lo statuto di religione monoteista: a Gesù Cristo, incarnazione di un Dio d’amore che si è fatto uomo per salvarci attraverso il dolore e la sofferenza, i musulmani contrappongono Allah, sovrano unico e inaccessibile nonché giudice implacabile delle azioni umane.
L’autore, infine, nell’analizzare i testi sacri alla base delle due religioni, evidenzia alcune differenze inconciliabili: se il Corano è il libro della costrizione, della sottomissione e non offre all’uomo alcuna speranza di salvezza, la Bibbia, al contrario, contiene una promessa di libertà, e la rivelazione di un Dio che parla al credente e soffre con lui.
Il secondo testo è una prefazione scritta da Ellul per il libro di Bat Ye’or The Dhimmi. Jews and Christians under Islam, in cui è affrontato il problema della dhimmitudine, cioè la condizione degli «infedeli» nelle società islamiche. L’Islam vi è presentato come una religione che non si evolve né dal punto di vista giuridico né da quello politico, e che ha stabilito uno status di inferiorità per i popoli sottomessi non dissimile da quello dei servi della gleba nel Medioevo.

L'AUTORE
Jacques Ellul (1912-1994), giurista, storico, teologo e sociologo di fama internazionale, è stato professore di Storia e di Sociologia delle Istituzioni all’Università di Bordeaux. La sua opera include studi sulle istituzioni medievali d’Europa e sugli effetti della tecnologia moderna nella società contemporanea. Tra i libri pubblicati in Italia ricordiamo: Anarchia e cristianesimo, La speranza dimenticata e Storia delle istituzioni.

Alain Besançon, storico e filosofo della politica, è professore all’École des Hautes Études en Sciences Sociales e membro dell’Académie des Inscriptions et des Belles Lettres.

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Le crociate. Una storia nuova

>>Da: Magnolia
Messaggio 1 della discussione
Fino a non molti anni fa, le crociate sembravano qualcosa di molto remoto, una serie di arcane vicende accadute durante il fosco Medioevo. Le guerre di religione non rivestivano più alcun interesse per i cittadini della moderna civiltà laica. Poi le cose sono cambiate. Gli attentati dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti hanno dimostrato nella maniera più traumatica che anche oggi esistono persone disposte a uccidere o farsi uccidere per motivi religiosi. D’altra parte da allora i musulmani fondamentalisti fanno appello ai correligionari affinché si uniscano alla jihÇd internazionale contro i popoli occidentali, da loro immancabilmente definiti come «crociati». Nell’arco di una sola, terribile giornata, le crociate medievali sono tornate a contare, e non poco. Con questo libro Thomas F. Madden si è proposto di raccontarne la storia in modo chiaro, puntuale e insieme intrigante, prendendo naturalmente spunto dagli straordinari frutti dell’ultimo mezzo secolo di studi. In particolare le crociate sono ricollocate all’interno del loro specifico contesto sociale, economico, religioso e intellettuale. Soltanto così si possono comprendere le ragioni che hanno portato migliaia di uomini ad abbandonare le loro case, le loro famiglie, i loro amici per marciare nel nome di Cristo verso terre lontane e sconosciute. Madden riserva poi una particolare attenzione agli effetti delle crociate sul mondo islamico e sull’Oriente cristiano bizantino. Spiegando ciò che le crociate hanno realmente rappresentato, questo volume tenta così anche di far comprendere il complicato intreccio di relazioni tra passato e presente.

L'AUTORE
Thomas F. Madden insegna storia medievale alla Saint Louis University. Studioso autorevole delle crociate, è autore di un altro saggio di grande successo, «The Fourth Crusade: The Conquest of Constantinople».

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Notizie da Laura?

>>Da: mariella
Messaggio 1 della discussione
Come sta il padre e quando torna a Milano?

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