Rapporto quotidiano per Club azzurro la clessidra & friends (1 di 2)

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Dec 11, 2008, 6:44:28 AM12/11/08
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Rapporto quotidiano dei messaggi in Club azzurro la clessidra & friends

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Nuovi messaggi di oggi
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Guerriglia anarchica a Atene: morto giovane Scontri con la polizia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 7 della discussione
Nella capitale, a Salonicco, Ioannina e Komotini violente proteste. Ad Atene,lanciate bombe incendiarie contro una banca e ci sono nuovi incidenti con la polizia. Il ministro dell'interno Prokopis Pavlopoulos e il sottosegretario alla polizia hanno offerto le dimissioni, che sono però state respinte
Atene - L'uccisione ieri di un giovane da parte della polizia ad Atene durante scontri provocati da gruppi anarchici, ha causato mobilitazioni e altri scontri, che continuano stamane, nella capitale e nella seconda città della Grecia, Salonicco, nonché al Nord a Ioannina e Komotini. Ad Atene, secondo la tv sono state stamane lanciate bombe incendiarie contro una banca e ci sono nuovi incidenti con la polizia. Il ministro dell'interno Prokopis Pavlopoulos e il sottosegretario con la delega alla polizia hanno offerto le dimissioni, che sono però state respinte, riferiscono stamane i media. Studenti hanno occupato per protesta il Politecnico ed altri atenei di Atene I responsabili dell'incidente e il loro comandante sono stati sospesi mentre il governo ha promesso un'indagine approfondita. Pavlopoulos si è scusato per quanto avvenuto. Il giovane, di 15 anni, è stato colpito al torace da un proiettile mentre, secondo fonti ufficiali, attaccava insieme ad un gruppo di compagni un'auto di pattuglia con bastoni e bombe incendiarie in mezzo a violenti scontri nel quartiere di Exarchia, ad Atene, roccaforte del movimento anarchico e dove gli incidenti sono quasi all'ordine del giorno.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 5 della discussione
Oggi lo sciopero generale dopo gli scontri al funerale di Alexis, il quindicenne ucciso sabato scorso dalla polizia: guarda il video e la fotogallery. Ad Atene disordini e scontri davanti al parlamento: oltre 10mila persone sono scese in piazza per protestare. L'opposizione: "Il governo si dimetta"

Atene - Rabbia e scontri in Grecia nel giorno dei funerali di Alexis Grigoropoulos, il quindicenne ucciso sabato scorso dalla polizia. Ad Atene ci sono stati disordini per il tentativo partito da un corteo di 10mila manifestanti di forzare il cordone di sicurezza attorno al parlamento. Altri incidenti sono avvenuti al termine delle esequie, a cui hanno assistito più di 5mila persone. Un poliziotto ha esploso due colpi d’arma da fuoco in aria per disperdere un gruppo di giovani che ha tentato l’assalto ad un commissariato in un quartiere meridionale. Nella notte di lunedì c’erano stati 12 agenti feriti e 87 studenti fermati, ma il bilancio della quarta giornata consecutiva di scontri è già di 150 fermi solo ad Atene.
Scontri in tutto il Paese I sindacati greci hanno respinto l’appello del premier Costas Karamanlis ad annullare la manifestazione di massa convocata per domani. "La nostra risposta è che lo sciopero e il corteo si svolgeranno come previsto", ha dichiarato Stathis Anestis, portavoce della più grande confederazione del Paese, la Gsee. La protesta dei sindacati riguarda le politiche e le riforme economiche del governo, ma rischia di diventare nuova occasione di disordini. Proteste e disordini anche a Salonicco e a Patrasso, dove i manifestanti hanno attaccato la polizia. Stamane agenti in assetto anti-sommossa avevano sparato gas lacrimogeni contro gli studenti asserragliati nel Politecnico. Intanto a Exarchia, il quartiere degli studenti dove sabato è stato ucciso il quindicenne Alexis, le strade attorno al Politecnico e alla facoltà di legge, strutture entrambe occupate, rimangono chiuse al traffico. Il presidente Karolos Papoulias, ha definito "una ferita per la democrazia" la morte dell’adolescente e chiesto "il rispetto delle legge e delle istituzioni» nelle indagini. I manifestanti, ha detto in un messaggio tv, «sono nemici della democrazia".
Lo scontro in Parlamento Il governo comunque ha annunciato la mano dura e che non si lascerà piegare dai disordini. Il premier, Costas Karamanlis, ha sollecitato la condanna unanime e l’isolamento di coloro che hanno causato i violenti scontri: "Nessuno ha il diritto di utilizzare questo evento tragico - ha affermato - come una scusa per le azioni di violenza contro cittadini innocenti, le loro proprietà, contro la polizia e la democrazia". Ma intanto il leader dell’opposizione socialista, George Papandreou, ha chiesto le dimissioni dell’esecutivo (che gode di un solo voto di maggioranza in Parlamento) e invocato nuove elezioni. "Il popolo ha perso la fiducia nel governo", ha detto il leader del Pasok (il Movimento Socialista Panellenico) al suo gruppo parlamentare. "L’unica cosa che il governo può fare è farsi da parte e restituire la parola al popolo". Ma il timore sempre più concreto è che le violenze si sommino al disagio sociale provocato dalla crisi economi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione
Salonicco in mano ai vandali sembra Beirut sotto le bombe

Nella città devastata il presidente dell’Unione commercianti avverte: il Paese già è in crisi, i danni di questi giorni sono il colpo di grazia
AteneKyriakos Chazaridis, presidente dell’Unione commercianti di Salonicco, rappresenta 1300 affiliati. Ha aperto una linea telefonica diretta per raccogliere la voce di chi ha visto ridurre in macerie il proprio negozio, centro commerciale o la filiale bancaria che dirige. Per fare la conta dei danni dopo tre giorni di guerriglia urbana. Perché Salonicco, che ha come simbolo la Torre bianca che svetta sul lungomare, di bianco non ha più nulla. Il nerofumo delle automobili e dei negozi bruciati è la tinta dominante. Una città in lutto.
Signor Chazaridis, com’è la situazione a Salonicco, la seconda metropoli greca per importanza dopo Atene e, soprattutto, la capitale economica dei Balcani dopo la fine della guerra nell’ex Yugoslavia?
«Sembra di stare a Beirut dopo i bombardamenti. Fino a ieri sera, i vandali, e sottolineo la parola vandali, hanno distrutto, incendiato e svaligiato 80 esercizi commerciali. Uno scenario mai visto. E la distruzione sta continuando anche oggi (ieri per chi legge ndr). Tutto questo succede nel periodo in cui la Grecia, come tutto il mondo, sta vivendo una delle peggiori crisi economiche, che ovviamente colpisce particolarmente il settore del commercio. Per noi è il colpo di grazia».
Cosa l’ha colpita di più, sentendo le testimonianze di chi ha aperto bottega nella sua città e ora deve raccogliere solo cocci?
«L’esasperazione. Quando è troppo è troppo. Nessuna esplosione di sdegno politico, pur giustificata dalla morte di un 15enne, autorizza la morte economica di migliaia di cittadini. Stiamo tutti perdendo la nostra dignità. Quando si arriva a dover difendere in prima persona i propri averi, perché la polizia è impotente, significa che la democrazia ha fatto enormi passi indietro. Lo Stato non esiste più».
Ad Atene, ma anche nell’isola di Creta, sono state prese di mira, oltre agli uffici governativi, soprattutto le banche. Simbolo del capitalismo?
«Anche qui hanno cominciato così. Circa 15 filiali di istituti di credito sono stati assaltati. Ma, a mio parere, è stato solo per avere un “paravento ideologico” iniziale. Poi hanno continuato a rompere qualsiasi vetrina trovassero sulla loro strada. Ad appiccare incendi, a distruggere per il gusto di distruggere. Negozi di abbigliamento, supermercati, fruttivendoli, rivendite di giocattoli per bambini. Ad Atene hanno dato addirittura fuoco all’albero di Natale di piazza della Costituzione»!
A Salonicco esiste un quartiere “anarchico” come Exarchia ad Atene?
«Gli anarchici da noi non sono mai entrati nei negozi a rubare. Credo che, dietro le quinte, forze occulte stiano orchestrando tutto questo per scopi ben precisi, per destabilizzare completamente il Paese».
Ci sarà qualche forma di risarcimento per i danni?
«La maggior parte dei commercianti ha un’assicurazione per i prodotti che ha in esposizione e in magazzino. Il governo ha promesso fondi per le vittime dei vandalismi. Ma con la crisi attuale del settore del credito, mi domando quando e se arriveranno. E nessun aiuto potrà cancellare la vergogna delle nostre città ridotte a campi di battaglia».

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Maiale alla diossina, allerta anche in Italia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione
L’allarme lanciato dall’Irlanda: rilevato un livello di contaminazione 100 volte superiore ai limiti consentiti. Nel nostro Paese importate 2000 tonnellate di carne nel 2008. Ma il ministero rassicura: non sono nei supermercati.
Coldiretti: serve l'etichetta d'origine

Milano - Ha raggiunto anche l’Italia l’allarme per la carne di maiale contaminata dalla diossina prodotta in Irlanda. Anche noi risultiamo nella lista dei Paesi che hanno importato questo tipo di prodotto e quindi, dopo l’allerta della Commissione Europea, ieri sono scattati anche da noi i primi controlli. L’ordine del ministero del Lavoro, Salute e Politiche sociali ai Nas e ai servizi veterinari delle Regioni è chiaro: sequestrare in via cautelativa tutte le partite di prodotti di carne suina giunte in Italia dall’Irlanda a partire dal primo di settembre, sia essa fresca, congelata, o lavorata.
Questa nuova emergenza nella catena alimentare ha come protagoniste alcune partite di carne di maiale irlandese contaminate da diossina. È ancora troppo presto per conoscere con precisione la fonte della contaminazione (anche se la causa più probabile è un mangime), ma per ora si sa che sono stati rilevati livelli di questa sostanza di cento volte superiori ai limiti consentiti, tanto che sono scattate immediatamente tutte le misure di allerta rapide della sicurezza alimentare europea.
«Non si può parlare di allarme - chiarisce subito Silvio Borrello, direttore generale della sicurezza, degli alimenti e della nutrizione del Ministero - perché i quantitativi di carne di maiale che l’Italia importa dall’Irlanda sono modesti». I sequestri comunque, sono già iniziati e «continueranno nei prossimi giorni nonostante il periodo festivo». Di fatto, l’import di carne dall’Irlanda non è destinato ai supermercati italiani, ma soprattutto alla lavorazione. «Mi sarei preoccupato di più - ha ammesso Borrello - se l’allerta fosse stata data per le carni bovine da Olanda e Belgio, Paesi dai quali ci sono flussi maggiori».
La Coldiretti infatti, ha reso noto che in Italia le importazioni dall’Irlanda di carne di maiale fresca, refrigerata e congelata ammontano a una quantità di 1,7 milioni di chili nei primi otto mesi del 2008, con un calo del 20 per cento rispetto alle quantità dell’anno precedente. Sono nove gli Stati dell’Unione coinvolti: oltre all’Italia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Francia, Germania, Danimarca, Polonia e Svezia, a cui vanno aggiunti Svizzera, Canada, Stati Uniti, Giappone e Russia. Ma Dublino avverte: i Paesi coinvolti potrebbero essere anche 25.
Per ora, dalle indagini condotte dalle autorità irlandesi sembrerebbe che all’origine della contaminazione ci sia un mangime che è stato utilizzato in alcuni allevamenti a partire dallo scorso settembre. Da Bruxelles intanto arrivano notizie rassicuranti: secondo le informazioni rilasciate dalla Commissione europea, infatti, non più del dieci per cento della carne di maiale irlandese sarebbe stata contaminata. Intanto, il governo irlandese ha già ritirato tutti i prodotti di origine suina «made in Ireland», anche se l’agenzia per la sicurezza alimentare del Paese ha specificato che a provocare la contaminazione sarebbe stata solo una partita di mangime.
Il primo obiettivo delle indicazioni ministeriali è quello di rintracciare le partite prodotte dal primo

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione

Roma - Il sottosegertario alla Salute, Francesca Martini, ha annunciato che "sono state rintracciate e sequestrate in pochissime ore tutte le partite di carne suina provenienti dall’Irlanda, novanta in tutto, una in più rispetto a quelle segnalate dalla Commissione Europea". A margine di una conferenza stampa alla Camera Martini ha sottolineato rispetto alla vicenda della diossina nella carne irlandese che "tutto ora è quindi sotto controllo del ministero della Salute: già dal primo giorno, per precauzione - ha ricordato - avevamo controllato anche tutte le partite di carne alle frontiere e in Italia a campione. In questo modo abbiamo fornito a tutti i cittadini la possibilità di mangiare in sicurezza anche la carne bovina".

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Pacchetto clima, Barroso: "Gli obiettivi non sono negoziabili"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
La Commissione europea è pronta a flessibilità su preoccupazioni giustificate degli Stati membri ma non a negoziare gli obiettivi. Linea dura di Barroso per garantire "un’equa distribuzione" dei costi del pacchetto

Bruxelles - Gli obiettivi del pacchetto clima dell’Unione europea, il cosiddetto 20-20-20, "non sono negoziabili". Il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Durao Barroso, ha spiegato che è comunque necessario garantire "un’equa distribuzione" dei costi del pacchetto con una "flessibilità" a fronte di "preoccupazioni giustificate".
Flessibilità e obiettivi La Commissione europea è pronta a "flessibilità su preoccupazioni giustificate degli Stati membri ma non a negoziare gli obiettivi 20-20-20". Il riferimento è agli obiettivi del 20% di riduzione di gas serra entro il 2020, del 20% di energie rinnovabili entro la stessa data e infine il miglioramento del 20% dell’efficienza energetica. "Sono fiducioso -ha detto ancora il presidente - che alla fine l’essenza del nostro pacchetto resterà intatta, è il miglior messaggio che possiamo mandare agli Stati Uniti".
La posizione americana "Sono stati fatti enormi progressi anche se ovviamente, come è naturale, restano difficoltà", continua Barroso illustrando lo stato dei negoziati sul pacchetto clima-energia Ue che sarà discusso al summit di giovedì e venerdì prossimi. secondo Bruxelles, infatti, "tutte le indicazioni mostrano l’intenzione del presidente eletto Usa Barak Obama di convergere sul piano europeo" per il clima e l’energia. Per questo ha aggiungo Barroso, "sarebbe un vero errore che l’Europa, dopo così tanti anni in cui ha guidato sul fronte del clima dia un segnale di annacquamento propria ora che gli Stati Uniti mostrano di starsi avvicinando". Poi, ha sentenziato: "Una questione di credibilità".

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Il Governo continua a resistere nella battaglia sul clima
Il Governo non molla sul pacchetto clima-energia. L’Italia ha già ottenuto la tanto richiesta clausola di revisione. Che permetterà di rivedere i termini della produzione di energia da fonti rinnovabili nel 2014. Lo schema in discussione è quello del 20-20-20: 20% di energia prodotta da rinnovabili, 20% di emissioni in meno e 20% di risparmio energetico entro il 2020. Il Governo non mette in discussione questo schema di fondo, ma chiede garanzie per l’industria italiana e mira a far passare il principio che “paga di più chi più inquina”, mentre oggi passa quello secondo cui paga di più chi ha il Pil pro-capite più elevato. Oggi si riunisce il vertice europeo sul clima. E ci si aspetta che l’Italia darà battaglia.


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Compravano diplomi da infermiere: 72 arresti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Smascherata una gigantesca truffa tra la Calabria e la Capitale. I titoli da infermiere venivano venduti a prezzi tra i 8 e i 10mila euro, tutti "falsi" emessi da un funzionario dell'università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Le persone lavoravano in cliniche e ospedali. Sequestrati anche 20 milioni di euro

Cosenza - Compravano i diplomi da infermiere. Settantadue persone sono state arrestate dai carabinieri e accusate di truffa. I provvedimenti restrittivi, di cui 70 ai domiciliari e due in carcere, sono stati emessi dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Cosenza, Loredana De Franco, che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore Francesco Minisci. Dalle indagini è emerso che le persone coinvolte nell'inchiesta avrebbero acquistato il diploma di laurea da infermiere pagandolo somme tra gli 8 e i 10mila euro. Tra gli arrestati, secondo quanto si è appreso, c'é anche il presunto organizzatore della truffa che avrebbe avuto contatti con l'università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Gli arrestati svolgevano attività di infermiere in strutture sanitarie pubbliche e private. In alcune circostanze è emerso, dalle indagini dei carabinieri, il presunto coinvolgimento di interi nuclei familiari che svolgevano tutti la stessa attività professionale. Le persone coinvolte nelle indagini avrebbero conseguito il titolo di studio dopo il pagamento di denaro e senza aver svolto nessuna attività didattica. Gli arresti sono stati eseguiti in diverse città della Calabria e anche a Roma.
Sequestrati 20 milioni Beni per venti milioni di euro sono stati sequestrati dai carabinieri nell’ambito dell'operazione "Gutenberg". Settanta delle persone arrestate hanno acquistato il titolo di studio da infermiere mentre altre due sono coloro che hanno organizzato la truffa.

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Giustizia, Alfano: "Separazione delle carriere"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il Guardasigilli anticipa le linee guida della maggioranza per la revisione della giustizia: "Cambierà l'obbligatorietà dell'azione penale, i percorsi di pm e giudici saranno divisi, cambieranno struttura e mansioni del Csm. Nessun condono, nessun indulto: sì a nuove carceri"

Milano - "Sul piano tecnico si può chiamare separazione delle carriere, ma il principio è quello della parità tra accusa e difesa e della terzietà del giudice". Il ministro della giustizia Angelino Alfano risponde così ad una domanda di Maurizio Belpietro a Panorama del giorno su Canale 5. "Serve un giudice che sia terzo ed equidistante, cosa che pensiamo non sempre ci sia stata. Pm e giudici - ha spiegato Alfano - fanno parte dello stesso ordine, lavorano negli stessi uffici, fanno gli stessi concorsi...". La questione della parità tra accusa e difesa, ha detto Alfano, rappresenta la "terza fase" delle riforme, dopo quella del processo civile, "in Senato per l’approvazione definitiva", e dopo quella del processo penale "di cui ci occuperemo prima di Natale" ha detto Alfano. Quindi un "intervento sulla Costituzione su materie che stanno a cuore ai cittadini, come la parità tra accusa e difesa". Per quanto riguarda l’obbligatorietà dell’azione penale, che Alfano ha definito "un principio giusto e sacrosanto" non ci sarà invece un intervento sugli aspetti costituzionali. "Ma quando il pm riceve troppe notizie di reato non ce la fa e il principio di obbligatorietà diventa di fatto discrezionalita". Per questo, ha aggiunto, "si pensa a indicare delle priorità su cui si possa misurare anche la capacità degli uffici a perseguire reati".
Riforma del Csm La vicenda della tensione tra le procure di Salerno e Catanzaro "indica che c’è una tendenza da parte di alcuni magistrati che non ci si possa occupare di loro sotto il profilo disciplinare". Alfano sostiene la necessità della riforma del Consiglio superiore della magistratura. Secondo il ministro si è rischiato di arrivare a un "punto di non ritorno" e, quanto alla riforma del Csm, spiega il Guardasigilli, occorrerà "renderlo conseguente alle riforme. Si dovrà intervenire prima di tutto - ha spiegato - sugli aspetti di composizione e disciplinare".
Nuove carceri Nessun condono e nessun indulto, ma nuove carceri. Il ministro illustra la sua linea sulla questione dei detenuti. "Abbiamo detto che non faremo nessun nuovo indulto e nessun condono, ma invece costruiremo nuove carceri, tante quante ne servono per contenere tutti i detenuti nel rispetto della loro persona".

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Riforma, ora l’intesa è più vicina Ma a sinistra si prepara la fronda
di Massimiliano Scafi Il Colle a Berlusconi: «Coinvolgete il Pd». Veltroni: «Accordo in due mesi» Però i magistrati si mettono di traverso. E anche tra i democratici...
RomaSul Colle, pranzo di Natale con vista sui giardini. Niente tacchini e nemmeno un panettone, eppure sulla tavola che Giorgio Napolitano fa imbandire per Silvio Berlusconi e un folto gruppo di ministri al seguito, oltre alle verdurine coltivate nella tenuta di Castel Porziano, c’è un vero piatto forte, la riforma della giustizia. Il Pdl la chiede da tempo, lo scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro la sta forse accelerando e il Quirinale sembra d’accordo: i tempi sono maturi. Una sola avvertenza. «Dovete coinvolgere il Pd», spiega il capo dello Stato. Il Cavaliere annuisce: «Noi vogliamo il dialogo, è Veltroni che sembra indeciso, condizionato. E poi, presidente, hai visto come i giornali e le televisioni continuano ad attaccarmi?». «Caro Silvio - risponde il capo dello Stato - non ti angustiare. Fai come me. Io le tv e i giornali ormai non li guardo più».
Insomma, nonostante tutto il clima migliora e i poli cominciano prudentemente ad annusarsi. Tocca a Gianfranco Fini, in mattinata, rilanciare la palla. «È necessaria una riforma che abbia un obbiettivo condiviso, che tra l’altro è auspicato da tutte le forze politiche: l’efficienza del sistema giudiziario». Dunque, per il presidente della Camera l’intesa è possibile: «Al di là delle ricorrenti polemiche e strumentalizzazioni, è innegabile che la durata dei processi precluda la tutela dei diritti dei cittadini. È inaccettabile. In quest’ottica, ferma restando l’indipendenza e l’autonomia, è doveroso riflettere anche sull’assetto della magistratura».
Questo punto, la separazione delle funzioni o delle carriere, è il vero nodo di tutto. Sul resto il Pd non sembra avere molte contrarietà. «La riforma si può, si deve fare in due mesi - dice Walter Veltroni - ma senza costrizioni». «La nostra disponibilità al dialogo - dice Anna Finocchiaro - è condizionata a due cose. Che non venga toccata la Costituzione e che si assicurino celerità e affidabilità ai processi». E Paolo Gentiloni: «Se si affrontassero i due grandi temi, la durata dei procedimenti e la certezza delle pene, noi saremmo pronti». Però, aggiunge, «non vorremmo che fosse solo un’altra puntata della telenovela del conflitto tra Berlusconi e la magistratura». «Gentiloni di telenovele se ne intende - replica Paolo Bonaiuti - , vista la sua partecipazione a quella sull’Iva per Sky».
Scaramucce? O distanze incolmabili? Renato Schifani, presidente del Senato, invita le parti «ad avvicinarsi per una riforma condivisa». E Angelino Alfano assicura che non c’è nessun blitz in vista. «Noi non procederemo con un intervento improvvisato - dice a Porta a Porta -, anzi ne parleremo prima con l’Anm e l’opposizione. Il nostro obbiettivo è il confronto costruttivo, perciò io ho molto apprezzato chi, come Casini e D’Alema, si è detto pronto a una riforma della giustizia perché la considera urgente, come dimostra anche la vicenda De Magistris». Poi, entrando nel merito: «Rivedere i poteri del pm non significa tagliare le unghie ai magistrati. Non c’è nulla di male nel far sì che l’attività della ricerca della notizia sia affidata ai professionisti, la polizia giudiziaria, senza ovviamente escludere il pubblico minist

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Il pil crolla dello 0,5% Industria in picchiata: -6,9% sulla produzione

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Italia in recessione tecnica: il pil diminuisce dello 0,5% rispetto al trimestre scorso e dello 0,9% rispetto al 2007. Male anche la produzione industriale: su base annua si registra un calo del 6,9%. I dati Istat rivedono in profondo rosso le previsioni degli economisti

Roma - Il prodotto interno lordo italiano nel terzo trimestre dell’anno è diminuito dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e dello 0,9% nei confronti del terzo trimestre del 2007. L’Italia è così ufficialmente in recessione tecnica, visto che per due trimestri consecutivi ha registrato il pil in calo congiunturale (-0,4% nel secondo trimestre 2008). Crolla anche la produzione industriale che, su base annua, cede il 6,9% obbligando gli economisti a rivedere le proprie previsioni.
I dati Istat sull'industria Ancora peggio di quanto pensassero gli economisti. E l'anno non è ancora chiuso. Nel mese di ottobre 2008 la produzione industriale presenta una diminuzione del 6,7 per cento rispetto a ottobre 2007. Stando ai dati resi noti dall’Istat, nel confronto tra il periodo gennaio-ottobre 2008 e il corrispondente periodo del 2007, l’indice ha presentato una diminuzione del 2,6 per cento. L’indice della produzione industriale destagionalizzato ha registrato una diminuzione dell’ 1,2 per cento rispetto a settembre 2008. L’indice della produzione corretto per i giorni lavorativi ha registrato in ottobre una diminuzione tendenziale del 6,9 per cento, mentre nella media dei primi dieci mesi del 2008 il medesimo indice ha segnato un calo del 2,9 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2007. Così, quando la produzione industriale segna il risultato peggiore dal dicembre 2001, gli economisti - che indicavano per il mese in osservazione -0,8% su mese e -4,4% su anno - sono costretti a rivedere al ribasso i propri pronostici.
I raggruppamenti industriali L’indice della produzione industriale corretto per i giorni lavorativi ha segnato, nel confronto con ottobre 2007, variazioni negative per tutti i raggruppamenti principali di industrie: -9,3 per cento per i beni intermedi, -8,5 per cento per i beni strumentali, -4,5 per cento per i beni di consumo e -3,2 per cento per l’energia. Gli indici destagionalizzati dei raggruppamenti principali di industrie, hanno segnato un aumento rispetto a settembre 2008 per i beni di consumo (+0,8 per cento per il totale, +1,1 per cento i beni non durevoli, -0,9 per cento i beni durevoli), mentre si sono verificate diminuzioni del 2,1 per cento per i beni intermedi, dell’1,7 per cento per l’energia e dell’1,5 per cento per i beni strumentali.
I comparti in flessione Nel mese di ottobre 2008 l’indice della produzione industriale corretto per i giorni lavorativi ha segnato, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, le variazioni negative più marcate nei settori dei mezzi di trasporto (-19,1 per cento), delle pelli e calzature (-12,9 per cento), della gomma e materie plastiche (- 12,4 per cento) e del legno e prodotti in legno (-11,7 per cento). Nel confronto tra i primi dieci mesi del 2008 e il corrispondente periodo del 2007, si è registrato un aumento nel settore dell’energia elettrica, gas e acqua (+2,9 per cento). Le diminuzioni più ampie hanno riguardato i comparti delle pelli e calzature (-9,8 per cento), del legno e prodotti in legno (-9,0 per cento), dell’estrazione di minerali (-8,3 per cento), della lavora

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Veltroni-D'Alema, una mano lava l'altra "La questione morale c'è, ma per tutti"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Comunicato congiunto del leader democratico con Massimo D'Alema: "Uniti contro una campagna pretestuosa". Telefonata tra i due: episodi preoccupanti ma c'è la volontà strumentale di deligittimare il Pd. E pensano alla collocazione del partito a Bruxelles.

Roma - Dopo un mese di messaggi ostili recapitati a distanza e per interposta persona, Walter Veltroni e Massimo D’Alema si sono sentiti al telefono e hanno voluto che l’informazione trapelasse. I due hanno si sono dati appuntamento per un colloquio a quattr’occhi questa mattina, prima della riunione del ’caminettò che affronterà il nodo della collocazione europea. Ma, soprattutto, D’Alema e Veltroni hanno deciso di diffondere una nota congiunta sulla questione morale, per dire a tutti che di fronte ad una vicenda che rischia di colpire duro il partito anche le storiche rivalità passano in secondo piano. "La questione morale, infatti, esiste e riguarda l’intero sistema politico, soprattutto la destra - si legge - che non ha titoli per sollevare polveroni in questo senso. Deve essere affrontata con rigore e severità da ciascuno".
La nota congiunta Non che anche su questo punto siano mancati accenti differenti, nei giorni scorsi, con il segretario ad insistere molto sulla necessità di un "rinnovamento". Ma di fronte alla portata della vicenda entrambi hanno ritenuto di serrare i ranghi e di farlo sapere a tutti. Tutti e due, raccontano, hanno concordato che non era possibile subire gli affondi della destra che ora si scopre giustizialista dopo aver invocato per anni il garantismo. Certo, il segretario ha insistito, come si legge anche nel comunicato congiunto diffuso, perché il Pd ribadisse l’intenzione continuare il rinnovamento, ma dopo aver chiarito che la questione morale "riguarda anche e soprattutto la destra".
Il nodo della questione morale Nel mirino, almeno nel comunicato, è finita la "campagna" sulla questione morale "agitata in questi giorni dalla destra". Nessun riferimento, insomma, a operazioni messe in campo da poteri forti, anche se pare che il presidente di Italianieuropei non manchi di sottolineare nei suoi colloqui come da parte di alcuni organi di stampa e di centri di potere si stia cercando di mettere in difficoltà il Pd, proprio usando le inchieste che coinvolgono alcuni amministratori. Ma se sul punto della questione morale Veltroni e D’Alema hanno fatto fronte comune, almeno esternamente, i nodi politici restano. Veltroni, assicurano i suoi, in direzione chiederà un voto sulla linea del Lingotto, quella che ha portato il partito fin qui. Il segretario tornerà a sollecitare eventuali perplessità sulla leadership e solo se qualcuno porrà questa questione si riaprirebbe l’ipotesi di una resa dei conti anticipata. Uno scenario che non sembra ormai più all’ordine del giorno. D’Alema dovrebbe intervenire in direzione, facendo sentire la sua voce su molti temi, ponendo sì questioni politiche, ma senza chiedere la verifica su Veltroni.
La collocazione del Pd in Europa Anche la vicenda della collocazione europea del Pd dovrebbe trovare una composizione se nessuno deciderà di esasperare l’argomento: Veltroni cercherà domani di ottenere dal ’caminettò un via libera sui principi che va enunciando da tempo, ovvero difendere anche in Europa l’originalità del Pd (dunque no all’ingresso

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Anche il partito «Repubblica» è pronto a scaricare Veltroni
La difesa a oltranza degli attuali dirigenti Pd non rende più E nel quotidiano romano si pensa ormai a un cambio di linea
RomaLui quel giornale lo conosce molto bene, se non altro perché ne è stato per lungo tempo l’inviato più importante, e poi - per anni - il vicedirettore. E così rappresenta un piccolo caso giornalistico l’articolo che Giampaolo Pansa ha scritto ieri su Il Riformista, per raccontare la stagione difficile nei rapporti attuali tra la Repubblica (e tutto il gruppo l’Espresso) e il Pd di Walter Veltroni. Pansa azzarda un’analisi, e dice che siamo ormai di fronte alla «Fine di un amore». Poi azzarda un vaticinio: «Prima o poi anche Veltroni andrà a incatenarsi davanti a la Repubblica, a Roma».
Infine, l’editorialista de Il Riformista aggiunge informazioni di prima mano sul momento particolare che il quotidiano di Largo Fochetti sta vivendo sul mercato, e lo collega al suo difficile rapporto «collaterale» con il principale partito del centrosinistra: «La Repubblica - scrive Pansa - sta perdendo lettori in misura superiore agli altri quotidiani del suo rango. E non è un arbitrio pensare che l’emorragia dipenda soprattutto dal pensiero unico di Largo Fochetti». Pensiero unico, ovvero dalla scelta di posizionamento politico: «Schierarsi a favore di un partito non è mai una buona scelta per un quotidiano generalista» osserva Pansa.
Certo, al quotidiano di Largo Fochetti le bocche sono ufficialmente cucite. Ma il calo delle vendite non viene negato. Ovviamente l’ultima flessione ha anche una spiegazione «industriale»: è stata prodotta, infatti, anche da una scelta ben precisa dell’azienda, quella di non diffondere più le copie gratuite nelle scuole, ma di fornire agli istituti che aderiscono alla convenzione una password per accedere al quotidiano online.
Ma ovviamente il problema posto da Pansa non è commerciale quanto squisitamente politico. E tutto l’articolo è scritto in punta di penna, intessuto di stuzzicature in filigrana. Ad esempio quando Pansa ironizza su alcune firme del quotidiano: «Quando anche si scoprisse che il vertice del Pd fa il narcotraffico - scrive l’inventore de Il Bestiario - i lettori sanno che il giornale non smetterebbe mai di appoggiarlo. Mentre i fondisti alla Giannini e i rubrichisti come Messina, Longo, Serra e Maltese seguiterebbero a cantare la gloria del partito di super Walter e a sparare contro il Caimano delle libertà».
Chi compulsava l’articolo nei corridoi del giornale, ieri, prestava quasi più attenzione alla lista degli esclusi: Pansa - infatti - non ha inserito in questa pattuglia di giornalisti editorialisti come Mario Pirani (che ha scritto pezzi fuori linea sulla Gelmini, per esempio) e Miriam Mafai (che strapazzò il Pd sul caso Englaro), non ha citato altre firme abituali di prima pagina come Giuseppe D’Avanzo, Filippo Ceccarelli e Francesco Merlo, tutti, per modi diversi, «eterodossi». A partire da D’Avanzo, che l’estate scorsa fece andare su tutte le furie Piero Fassino per la sua doppia intervista a Giuliano Tavaroli.
Ma il fioretto di Pansa non si è limitato alla redazione, se è vero che nell’articolo c’è un accenno esplicito a un possibile dissenso di De Benedetti: «Questo rapporto amoroso (quello fra Pd e la Repubblica, ndr) non è destinato a durare ancora per molto. L’editore - so

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Messaggio 3 della discussione

Per i sondaggi sarà batosta anche alle Europee
di Francesca Angeli Oggi faccia a faccia tra D’Alema e il leader. Primo nodo da sciogliere: la scelta del gruppo a Strasburgo
Roma L’inverno dello scontento promette di essere ancora lungo per Walter Veltroni e il suo Partito democratico. È una discesa inarrestabile per la sinistra quella registrata nell’ultimo sondaggio condotto da Ipr marketing per Repubblica sul voto che gli italiani dovranno esprimere il prossimo giugno per le elezioni europee. Il Popolo della libertà di Silvio Berlusconi si conferma il primo in Italia raggiungendo il 39 per cento mentre il Pd precipita al 28, perdendo così ben 5,7 punti rispetto alle ultime elezioni che avevano anche segnato il debutto ufficiale sulla scena politica della nuova formazione. È vero che si tratta soltanto di un sondaggio e che alle europee mancano ancora sei mesi ma il segnale negativo è davvero preoccupante per la classe dirigente della sinistra. E sicuramente nell’incontro annunciato per questa mattina Veltroni e Massimo D’Alema parleranno anche di questo. Ieri si sono sentiti per telefono e in merito alla questione morale hanno concordato sulla necessità di agire «in maniera unitaria e decisa a ogni attacco strumentale». In agenda questa mattina anche la nota dolentissima delle scelte che il Pd dovrà fare in vista delle prossime elezioni europee. L’eventuale ingresso nel Partito socialista infatti è già stato bocciato senza possibilità di appello dalla componente cattolica.
Una frattura interna che fa già sentire il suo peso nei sondaggi come quello di Ipr che registra una piena promozione per il Pdl che rispetto alle ultime politiche (37,3%), guadagna quasi il 2 per cento. Bene anche la Lega con il 7,5 pur se in lieve calo rispetto alle politiche (8,3), ma in aumento rispetto alle precedenti europee.
Chi si arricchisce a tutto danno di Veltroni? Ma naturalmente l’onnipresente Antonio Di Pietro che sale al 7,8 per cento. Un bel guadagno rispetto alle ultime politiche, più 3,4 e alle europee del 2004, più 5,7. E visto che da giorni non si fa che parlare di questione morale nel Pd non è difficile immaginare che il successo dell’ex magistrato sia conseguente alle notizie che si sono rincorse su stampa e tv.
La débâcle del Pd invece è evidente. Nelle europee del 2004 Ds e Margherita separatamente presero il 31,1. Alle politiche, già uniti nel Pd, spuntarono un 33,2. Dunque ora sono quasi sei punti sotto con questo 28 per cento. Il sondaggio poi sembra smentire la tesi che prefigura una rinascita della sinistra estrema alle prossime europee. Rifondazione si ferma al 2,3; il Pdci allo 0,6; i Verdi all’1,3 e Sinistra democratica all’1,3. In calo pure l’Udc di Pier Ferdinando Casini, 4 per cento. I radicali da soli riescono a prendere l’1 per cento.
Se i giochi si chiudessero in questo modo al Pdl andrebbero 28 seggi e al Pd 20. Poi 2 a Rifondazione, 1 ai Verdi e 1 alla Destra. Di Pietro e la Lega si ritroverebbero con 6 poltrone, 3 per Casini e un bel niente per l’Udeur di Clemente Mastella.
Il Pdl è la prima forza politica in tutta la penisola con il massimo nelle isole, 43,8, e il minimo nel Nord-est, 31,5, dove è fortissima la Lega (13,2) che nel Nord-ovest sale al 19,5. Proprio in questa area il Pd subisce la flessione più pesante: meno 5 per cento.

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Salvi: Pd ormai senza ideali La questione morale? Era già grave nel 2005

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Messaggio 2 della discussione
L’ex ministro ds: «Allora lanciai l’allarme insieme con Napolitano Il nostro documento fu accolto con scalpore, poi venne ignorato»
Onorevole Cesare Salvi, una vita nel Pci-Pds-Ds e dopo trent’anni non è più parlamentare. Un osservatorio privilegiato per parlare del Pd: li conosce tutti talmente bene...
«Certo che li conosco bene, e mi spiace che siano in crisi».
Ma non è sempre stato iper-critico sui suoi ex compagni?
«Sì, per motivazioni che ora purtroppo si stanno avverando tutte. Eppure non credo sia un bene per la democrazia che il maggior partito d’opposizione sia in default».
La questione morale è stato un suo cavallo di battaglia.
«Era il luglio del 2005: presentammo un documento che impegnava il partito sulla questione morale, partendo proprio da episodi di malcostume che si registravano in Campania e Calabria. Primo firmatario, Giorgio Napolitano...».
Una Cassandra. Che accadde?
«Che il documento fu accolto con scalpore. Poi, edulcorato, fu approvato. Rimase lettera morta: almeno però da lì prendemmo le mosse, assieme con Massimo Villone, per scrivere un libro di discreto successo sui “Costi della politica”, da poco ristampato».
È tornato di stringente attualità, praticamente una strenna sotto l’albero di Veltroni.
«Purtroppo. Ma non infierisco di certo. Mi pare di ricordare che il Pd abbia un codice deontologico, mi chiedo che fine abbia fatto».
Qui però ormai siamo sul limite del codice penale.
«Di eventuali responsabilità penali non tratto: le accerteranno i magistrati, se ve ne sono. La questione da me posta era ed è politica, e riguarda tutti i partiti. Emergono da anni comportamenti e fatti che magari non costituiscono reato, ma che non sono politicamente tollerabili. La caduta degli ideali e dei valori, vedi il caso del Pd, non sono stati sostituiti da alcun altro universo di riferimento».
Per qualcuno è diventato una specie di partito della «roba».
«Debolezze della carne... In politica le tentazioni sono tante: se manca una forte idealità e un sistema di regole trasparenti per tenerle a bada, ecco fatta la frittata. Non si può pensare che basti un’identità para-obamiana calata dall’alto...».


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Messaggio 2 della discussione
Ma i postpiccì si ritenevano i primi della classe. Fine della «diversità» vantata da Berlinguer?
«Berlinguer e Craxi sono stati due grandi progetti, peraltro falliti entrambi ed entrambi finiti tragicamente. Vanno guardati con rispetto, non trascinati nello scontro».
Giorgio Amendola raccontò di aver dovuto chiedere a Togliatti se faceva bene a comprar casa a Velletri, indebitandosi.
«Appunto: un altro mondo, oggi ci accontenteremmo di uno standard di moralità molto più blando se non proprio svedese. Ai tempi del Pci un dirigente che avesse sfoggiato un Rolex o un’auto di lusso non sarebbe durato tre mesi».
Oggi se ne vedono tanti. Come avessero preso alla lettera l’invito cinese di qualche anno fa: compagni, arricchitevi!
«I tempi sono cambiati. E spero in una reazione. Però è vero che il controllo sociale agisce come forte deterrente, e si traduce in partiti strutturati e vitalità delle rappresentanze elettive. Oggi le assemblee elette dal popolo neppure vengono sentite: prenda il caso Campania, dove la fine di una stagione è evidente... Occorrerebbe far esprimere gli elettori. O, almeno, sapere che ne pensano i militanti del Pd. Invece sembra uno scontro tra oligarchie, nel quale il consiglio regionale non riesce a votare la sfiducia, come se non esistesse. Persino Rifondazione non revoca il suo appoggio...».
Malcostume mezzo gaudio?
«Se non ci sono valori né regole, prevale la logica della conquista del consenso a ogni costo. Della clientela. Non è casuale che si tratti di sanità, smaltimento dei rifiuti, urbanistica, servizi pubblici: settori nei quali manca una seria normativa. Chiaro che poi una decisione di piano del sindaco o di un assessore sposti miliardi...».
Più regole, più moralità. Ma Uòlter come ne esce? Paradossale che proprio il principale alleato di Di Pietro soccomba sotto la questione morale, non trova?
«Non sono così malizioso o cattivo. Veltroni deve prendere un’iniziativa forte che indichi chiari codici di comportamento. Il Pd o fa un salto di qualità o precipita».
Li conosceva tutti... Ma li riconosce, ora?
«Maaa sì... Al rubacchiamento dei capi non credo. Dei loro grossi errori politici sono certo». Roberto Scafuri

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Massimo De Manzoni: La ridicola pace dei pm in guerra

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Guerra tra giudici? Ma che cosa dite, ma che sciocchezze! Sì, noi di Salerno abbiamo indagato i nostri colleghi di Catanzaro sospettandoli delle peggiori nefandezze e abbiamo mandato un centinaio di carabinieri a sequestrare i loro faldoni. Certo, abbiamo anche perquisito le abitazioni dei magistrati calabresi e gli zainetti scolastici dei loro figli. Vero, un pubblico ministero l’abbiamo anche fatto denudare, ma così, senza malizia. Assurdo parlare di guerra.
Guerra tra procure? Le solite, stupide semplificazioni giornalistiche. Sì, noi di Catanzaro abbiamo schierato a nostra volta i carabinieri per controsequestrare i faldoni che i nostri colleghi di Salerno ci volevano portare via. Certo, li abbiamo a nostra volta indagati anche se non potevamo perché la competenza spetta a Napoli. Vero, abbiamo gridato all’abuso, abbiamo sostenuto di essere stati vilipesi e abbiamo denunciato atti scandalosi ed eversivi. Ma voi non potete parlare di guerra, non è corretto.
Sarà. Intanto la «non guerra» dei sette giorni è finita come tutte le guerre che si rispettano: con tanto di armistizio, tavolo della pace, mediazione, mediatore, accordo, scambio di prigionieri. «L’intesa», recitano le agenzie, «è stata raggiunta ieri a Salerno a conclusione di un incontro tra i magistrati dei due uffici “con grande senso di responsabilità istituzionale”(e come no!)». «La complessa mediazione tra la Procura generale di Salerno e la Procura della Repubblica di Catanzaro è stata svolta per due giorni dal procuratore generale di Salerno Lucio Di Pietro», quello che da pm incriminò Enzo Tortora e che giustamente ha poi fatto carriera. L’accordo prevede che gli atti vengano vicendevolmente dissequestrati e che ognuno continui a indagare come gli pare.


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Ovviamente, il «trattato di pace» è stato messo nero su bianco e firmato da Luigi Apicella, procuratore capo di Salerno, e dal pg Alfredo Garbati inviato dal procuratore generale di Catanzaro, Enzo Iannelli. Inutile dire che si è mercanteggiato su «ogni singola riga»: il testo è stato «limato più volte, rivisto, corretto e finalmente sottoscritto». I due carabinieri che, nelle due città, montavano la guardia ai faldoni, possono tornare a inseguire qualche criminale. Il presidente Giorgio Napolitano che, allibito per l’indecente spettacolo andato in scena una settimana fa, era intervenuto con durezza, ora si dice soddisfatto.
Insomma, non è successo nulla. Sì, il Consiglio superiore della magistratura, bontà sua, fa sapere che «il ravvedimento operoso (testuale) non blocca le procedure avviate». In altre parole, l’inchiesta va avanti e potrebbe persino concludersi con la punizione più terribile che i giudici hanno saputo escogitare per se stessi: il trasferimento (probabilmente con promozione incorporata) dei due condottieri degli eserciti in toga, Apicella e Iannelli. Tutto qui. Per il resto, su questa vicenda che ci ha fatto ridere dietro dal mondo intero pare di capire che debba calare il sipario.
Se vi sembra normale, siete in buona compagnia: ieri l’unico a indignarsi è stato Francesco Cossiga: «Questa trattativa privata è una vergogna aggravata dal ridicolo!». Il resto del mondo politico ha osservato un imbarazzato silenzio. Noi, si parva licet, la pensiamo come l’ex presidente della Repubblica: l’improponibile pace privata tra due screditati uffici pubblici è la scandalosa conclusione di una vicenda allucinante. Un frettoloso spazzare la polvere sotto il tappeto da parte di una magistratura spaventata dalla prospettiva di perdere anche solo uno dei suoi mille privilegi. Non appena il governo ha ricominciato a parlare di riforma del sistema giudiziario, è scattato il riflesso di casta: non diamo armi al nemico, chiudiamola qui senza vincitori né vinti. A parte la giustizia, naturalmente.

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Filippo Facci: La bugia che salvò la carriera di Amato

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Alla faccia del ricambio generazionale: qui per leggere interviste quasi memorabili tocca rivolgersi a un ottantunenne come Rino Formica, ex ministro delle Finanze e socialista mai ex, intervistato ieri sia dal Corriere che dalla Stampa. Be’, in due pagine e mezzo non c’era una riga ridondante. Il primo titolo si soffermava sulla questione morale a sinistra e recitava «Però nel ’92 Luciano e Walter tacevano», riferito a quando Violante e Veltroni soffiavano sul fuoco di Mani pulite nella speranza che travolgesse solo Psi e Dc, cosa che in parte avvenne.
Fisiologica dunque la citazione del celeberrimo discorso di Craxi alla Camera, «quando Bettino pose il problema, distinse le responsabilità individuali da colpire da quelle del sistema politico che sapeva e aveva accettato, e tutti rimasero zitti, i Veltroni, i D’Alema e i Violante stavano tutti lì, ma dov’erano?». Ricordiamo che quel discorso, tradotto dagli ebeti come «tutti colpevoli, nessun colpevole», fu pronunciato nel luglio 1992 (poi ripreso nell’aprile 1993) e fu il primo e il solo, sei mesi prima che Craxi fosse inquisito, a denunciare che il finanziamento dei partiti era «illegale» e che si era diffusa una rete di «corruttele» che «spesso confinano con il racket malavitoso».
Ma le parole di Craxi furono usate nel testo del primo avviso di garanzia che gli spedirono sei mesi dopo, mentre il Pds, intanto, spiegava che non c’era nessuna crisi di sistema perché i socialisti semplicemente rubavano. Non solo. Fu Craxi, ricorda ancora Formica, ad accogliere il Pci di Achille Occhetto in quell’Internazionale socialista da cui paradossalmente Occhetto poi lo cacciò: anche se Formica ricorda una lettera di Fassino, che supplicava Craxi, che a noi risulta invece esser stata di Occhetto in data 5 agosto 1992.

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Facezie. Più interessante, sulla Stampa, qualche particolare salace che se possibile riesce ulteriormente a rimpicciolire la figura di Giuliano Amato, rivelando un retroscena ignoto ai più e noto ai meno circa il famoso «poker» su Di Pietro che Craxi stringeva in mano nel tardo agosto 1992. Formica non racconta dei penosi e reiterati annunci di Amato di dipartita dalla politica: 1992, 1993, 1994, 2007 e finalmente 2008; non menziona la spettacolare ingratitudine di un uomo che pure fu imposto da Craxi come parlamentare, sottosegretario, ministro, vicesegretario, vicepresidente e presidente del Consiglio, questo sempre al riparo da ogni necessità di raccattare il cosiddetto consenso popolare; Formica non racconta neppure di quando Amato, dopo i primi avvisi di garanzia, mollò completamente Craxi spingendosi a non nominarlo praticamente mai, se non per sostenere, da Londra, che fosse un uomo finito; e neppure si spreca, Formica, per ricordare che Amato non andò da Craxi a Hammamet neanche nel giorno dei suoi funerali.
Formica dice, più secco, che «Amato è un manipolatore della storia. È anche l’unico socialista che viene utilizzato a intermittenza e a rate del Pd. Sai perché? Perché tutti sanno che nel Psi Amato contava meno del due di briscola». Se non imposto da Craxi, cioè. Dopodiché, ribattezzato soavemente come «bugiardo» Giuliano Amato, anzi «ingaggiato, un professionista, praticamente un tassista», ecco partire il racconto sul famoso poker. Nota: il 26 agosto 1992 fu proprio Rino Formica, al termine di una riunione nella Segreteria socialista di via del Corso, a improvvisare quella battuta mentre si chiudevano le porticine dell’ascensore: «Craxi ha in mano un poker, anzi una scala reale contro Di Pietro. Si tratta di cose precise e serie».
Ecco: l’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, pur presente ufficialmente alla riunione, disse pavidamente che lui non c’era. La spiegazione ufficiale è che si era assentato per andare in bagno proprio quando si era parlato di Di Pietro. Ridicolo, certo, ma mai smentito. Provvede Formica: «Amato c’era. Intervenne proprio su come fronteggiare Di Pietro. Il giorno dopo Scalfari scrisse un violentissimo attacco ad Amato perché aveva partecipato pur essendo presidente del Consiglio. Amato mi telefonò: “Devo fare una smentita. Dirò che non ho partecipato quando si è parlato di Di Pietro”. Mi disse: “Sei l’unico che può rompermi i coglioni, posso fare questa dichiarazione?”. Gli dissi: “Falla”». Manca il tempo di spiegare, ora, che il poker di Craxi non era per niente un bluff.
Tutti gli assi (Mercedes svendute, frequentazioni, prestiti eccetera) verranno calati negli anni successivi e contribuiranno alle dimissioni di Antonio Di Pietro dalla magistratura, come riconosciuto dalle sentenze bresciane. Altra storia. O, forse, sempre la stessa.

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Salvatore Scarpino: Se il pm dice: prima crepa e dopo spara

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Eccesso colposo di legittima difesa: la procura di Torino – pm Fabio Scevola – ha valutato che questo sia il reato del quale accusare Antonio Catelli, l’uomo che sabato sera ha ucciso un uomo e ne ha ferito un altro per difendere il figlio e la nipotina. Per Catelli cade l’accusa più grave, e sproporzionata, di omicidio volontario e tentato omicidio, ma il pubblico ministero ha chiesto al gip di tenerlo in carcere, in custodia cautelare.
Catelli quindi non esce di galera. Non ha importanza che l’ex carabiniere, l’incensurato a prova di verifica, autista e guardia del corpo di Pininfarina, abbia agito ritenendo in pericolo se stesso e i suoi cari, quel che conta è che un’astratta idea della legge prevalga, ammonisca e plachi quelli che alla legittima difesa non ci credono mai, perché l’armonia formale delle azioni e delle reazioni non contempla l’individuo in pericolo che il sistema legale di sicurezza non può tutelare.
Antonio Catelli si è precipitato in strada quando ha visto suo figlio colpito con calci e pugni, colpevole soltanto di aver invitato il proprietario di un cane pericoloso, che aveva travolto la sua bambina, a tenere a freno l’animale. In parecchi gli sono piombati addosso e il padre dell’aggredito, Antonio Catelli, appunto, è stato costretto a fare fuoco. La ricostruzione dei fatti avallata dalla procura riconosce che l’ex carabiniere ha messo mano alla pistola soltanto dopo che a sua volta uno degli aggressori aveva impugnato un’arma, peraltro illegalmente detenuta. Ed è proprio per questo che l’accusa di omicidio volontario è caduta.
Ma a questo punto si rivela una forma di ipocrisia giuridica l’accusa residuale di eccesso colposo e la permanenza in carcere. Cosa avrebbe dovuto fare, senza eccedere, Antonio Catelli per fermare i due uomini che, prima uno poi l’altro, lo minacciavano con la pistola? Come avrebbe potuto graduare l’azione difensiva?
Mistero. Il procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, ha spiegato che l’indagato deve restare in cella per consentire il completamento degli accertamenti. Sarà. Aggiunge, il magistrato, che sabato sera nessuno pensò di chiamare le forze dell’ordine, che forse avrebbero potuto evitare lo spargimento di sangue. Anche questo sarà vero, ma è difficile immaginare che in certi frangenti, quando la violenza ti incalza e ti stritola, la mera evocazione della forza della legge possa cancellare pericoli e offese. Illusione, applicazione di un improbabile codice dei sogni. O degli incubi: prima fatti ammazzare, poi chiama le forze dell’ordine.


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Michele Brambilla: COSA VUOL DIRE UNA MOSCHEA AL POLO NORD

>>Da: andreavisconti
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Grazie alla donazione di un anonimo magnate saudita, e all’accondiscendenza delle autorità norvegesi, sarà presto costruita una grande moschea al Polo Nord.
La notizia rientra fra quelle «incomprensibili» ai nostri occhi. A che cosa serva una moschea in mezzo ai ghiacci, in un Paese in cui la comunità islamica è intorno al 2 per cento, è cosa che ci pare faccia a pugni con la ragione. In realtà, quel che fa a pugni con la ragione è la nostra ormai incrostata abitudine a credere che tutto il mondo proceda seguendo le nostre categorie di pensiero. Ci illudiamo che tutto sia misurabile materialmente, o in termini di interessi «concreti»: e respingiamo a priori l’idea che ci sia invece ancora qualcuno che vive e opera con le categorie della religiosità, del sacro, del simbolo.
Chi spende denaro per costruire una moschea al Polo Nord sa perfettamente che un’opera del genere - se servisse solo per i fedeli della zona - non varrebbe la spesa. Ma sa anche che qualsiasi edificio venga edificato a Tromso (il comune di competenza) rientra poi nel Guinness dei primati; e quindi la moschea di Tromso sarà presto classificata non solo come la moschea, ma più in generale come il luogo di culto più a nord del pianeta.
Il mondo islamico comprende perfettamente il valore simbolico di un’iniziativa del genere. Non lo comprendiamo invece noi occidentali, imprigionati come siamo nella tragicomica ideologia del politically correct: è grottesco, ad esempio, che le autorità norvegesi abbiano espresso soddisfazione perché la moschea al Polo Nord «rispetterà i vincoli ambientali», senza avvertire un altro tipo di impatto, non «ambientale» ma ben più profondo.
Chi conosce la storia sa bene quanto sia illusorio il «dialogo» auspicato oggi anche da arcivescovi che nel programma pastorale invocano «una moschea per ogni quartiere». L’islam è una religione di conquista, e nel suo dialogare non c’è mai stato neppure il tentativo di convertire: la mitica «tolleranza» islamica consisteva nel lasciare a cristiani ed ebrei la loro fede per il semplice motivo che così diventavano sudditi ed erano tenuti al pagamento di un tributo, dal quale i discepoli di Maometto erano esentati. Che oggi non sia più riproponibile una metodologia del genere è evidente; ma che una strategia di conquista sia comunque in atto, è altrettanto evidente.
Non temo la vittoria dell’islam. Credo abbia ragione Vittorio Messori quando prevede che l’islamismo farà conti drammatici con quella modernità e quel razionalismo cui il cristianesimo è, nonostante tutto, sopravvissuto; e che perfino certi nostri «veleni» contribuiranno provvidenzialmente a mandare in crisi una religiosità fatta di rigidi formalismi. Ma, citando ancora Messori, «la crisi dell’islam a contatto con i nostri valori e i nostri acidi solventi sarà un processo lungo e drammatico».

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Dl anti crisi, a rischio il tetto del 4% sui mutui

>>Da: andreavisconti
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Una valanga di ricorsi potrebbe sotterrare la norma del decreto anti-crisi che fissa un tetto del 4% per i soli mutui variabili.

I mugugni di tutti quelli rimasti con la rata fissa, e che pagano normalmente tassi attorno al 6-7%, rischiano di tramutarsi in altrettante istanze al giudice amministrativo per evidenziare la disparità di trattamento. A quel punto la copertura di bilancio stimata per la misura paracadute a favore dei mutuatari «flessibili» rischia di far saltare i conti. A mettere in evidenza il possibile pericolo sono stati i tecnici del Servizio Bilancio della Camera che hanno anche segnalato, nel corso delle analisi sul testo presentato, dal ministro Giulio Tremonti come i calcoli sugli eventuali beneficiari del bonus familiare sono incerti e «si potrebbero determinare squilibri tra la domanda del bonus e le risorse a disposizione». Il decreto anti-crisi muove così i primi passi alla Camera davanti alle commissioni Finanze e Bilancio riunite in sede congiunta.

I tempi stretti per la sua approvazione non impediranno una battaglia tra maggioranza e opposizione sulle modifiche. La crisi economia spingerà per la necessità di rimpolpare le risorse per gli ammortizzatori sociali, con l'obiettivo di alimentare la cassa integrazione per i lavoratori che perderanno il posto. Mentre i deputati dell'opposizione - in particolare Antonio Borghesi dell'Idv e Enrico Farinone del Pd - chiedono di correggere anche la «discriminazione» tra tassi variabili, con il tetto al 4%, e i tassi fissi. La critica di chi ha acceso un mutuo a tasso fisso è motivata. Al tempo della sottoscrizione, infatti, questi hanno accettato la sicurezza di una
rata non modificabile nel tempo accettando di pagare un tasso più elevato rispetto ai variabili. In alcuni casi la forbice si è allargata anche di tre punti.

Così chi aveva il variabile era guardato con un misto di invidia e risentimento da parte di chi aveva rate costanti. Poi la situazione è cambiata. Il costo del denaro è aumentato per le decisioni della Bce e molte famiglie hanno rischiato il default. Logico l’intervento di Tremonti che ha fissato al 4% il tetto massimo del saggio di interesse sui variabili per tutto il 2009. Ma altrettanto logiche le proteste e la preparazione della carta bollata, per inoltrare un ricorso al Tar chiedendo l’estensione del beneficio, anche da parte dei titolari di prestiti a tasso fisso. Fin qui i mutui. Ma il servizio bilancio della Camera ha anche messo in evidenza l’indeterminatezza delle coperture previste dal provvedimento. I tecnici non hanno nascosto il loro timore sulle modalità di copertura, rappresentate soprattutto da norme incerte come i controlli fiscali e su norme volontarie, come il pagamento dell’imposta per il riallineamento dei bilanci societari.

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Petraeus a Roma chiede rinforzi L’Italia: «Per ora no»

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Berlusconi e La Russa ricevono il generale Usa «Aumenteremo però i nuclei d’addestramento»
I carabinieri in Irak sono «come Michael Jordan nella pallacanestro». La battuta è del generale americano David Petraeus, che da ieri si trova in visita a Roma. Sul tappeto il cambio di strategia in Afghanistan per farla finita una volta per tutte con la guerriglia talebana. L’Italia manderà nuovi nuclei di militari ad addestrare le truppe afghane. Al momento non sono previsti rinforzi veri e propri, ma non è escluso “un riequilibrio” futuro a favore dell’Afghanistan dalle missioni in Bosnia e Libano. Gli Usa, invece, invieranno nel prossimo anno almeno 20mila uomini in più.
Da fine ottobre Petraeus è il responsabile del Centcom, il comando Usa che coordina le operazioni all’estero più delicate, dall’Afghanistan all’Irak, ed in tutto il Medio Oriente. In divisa impeccabile con tutte le sue decorazioni, Petraeus, cultore della storia romana, è stato accolto come un leader. Il generale si è incontrato ieri sera con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ed il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Oggi si vedrà con il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Dopo l’incontro a palazzo Baracchini, sede della Difesa, La Russa e Petraeus hanno parlato ai giornalisti.
«Il nostro orientamento è accelerare il processo di afghanizzazione», ha spiegato il ministro. Ovvero accelerare la formazione e l’addestramento delle forze di sicurezza locali. In pratica saranno aumentati «da 4 a 7 gli Omlt (Operation Mentoring Liason Team)», che già affiancano il 207° corpo d’armata afghano ad Herat. Si tratta di nuclei di consiglieri militari, che stanno cercando di trasformare le unità afghane da un’armata Brancaleone ad un vero esercito. I Lawrence d’Arabia italiani devono addestrare, guidare e consigliare l’esercito di Kabul. Con gli afghani escono in missione e dividono i rischi di questa guerra difficile.
Per quanto riguarda rinforzi veri e propri non è escluso che arrivino, ma non subito. «In Afghanistan ci vogliono più forze ma riteniamo che, in questo momento, l'Italia sia già tra i Paesi maggiormente impegnati», ha sottolineato La Russa. «Se a un certo punto sarà necessario ci potrà essere un riequilibrio, ma rimanendo nell'ambito del numero delle forze italiane complessivamente dislocate all’estero», ha aggiunto La Russa. Alcune indiscrezioni indicavano una riduzione degli effettivi in Libano per poterli mandare in Afghanistan. «In questo momento - sottolinea il ministro della Difesa - non dobbiamo togliere uomini dal Libano. Semmai solo in Bosnia c'è la possibilità di una riduzione del nostro contingente».
Ieri mattina il generale americano ha incontrato il capo di stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. Nella riunione tecnica è stata evidenziata la necessità di aumentare in Afghanistan le unità Cimic di cooperazione civile-militare, per un maggiore impegno nella ricostruzione e nella governabilità delle istituzione afghane. Petraeus, intervenendo nel pomeriggio ad una conferenza nel Centro studi americano a Roma, ha trovato spazio anche per una battuta. «Per i poliziotti iracheni essere addestrati dai vostri carabinieri è come giocare a basket con Michael Jordan», ha affermato con riferimento all'ex star del campionato di pallacanestro Usa. «Forse qui in Italia non ve ne rendete conto, ma i carabinieri sono su un piedistallo rispetto alle gendarmerie degli altri paesi», ha osservato il numero uno di CentCom. Per finire,

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Israele Nelle primarie del Likud trionfano i falchi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Sarà caratterizzata da una presenza piuttosto folta di «falchi» la lista dei candidati alle elezioni politiche del febbraio 2009 messa a punto domenica con le elezioni primarie del Likud.
La leadership di Benyamin Netanyahu - che sperava di poter presentare una lista di impostazione centrista - non era stata oggetto di voto. Ma la presenza dei «falchi» è sensibile fin dai primi posti della graduatoria con la presenza di Ghilad Erdan, Reuven Rivlin e Benyamin Begin, tutti dichiaratamente ostili nel 2005 alla politica di Ariel Sharon per il ritiro unilaterale da Gaza.
Il principale esponente della linea moderata del Likud, l’ex ministro degli esteri Silvan Shalom, ha conquistato solo il settimo posto, seguito da altri due «falchi»: l’ex capo di stato maggiore generale (riserva) Moshe Yaalon e l’ex presidente della Commissione affari esteri e difesa Yuval Steinitz.
Ma la preoccupazione principale per Netanyahu sembra essere rappresentata dal numero 20 della lista, Moshe Feiglin, molto vicino al movimento dei coloni e in passato leader di un gruppo di protesta di estrema destra, Zu Arzenu.
Critica la prima reazione del partito centrista Kadima, secondo cui il Likud ha dimostrato di essere un partito «molto sbilanciato a destra», che non potrà dunque - secondo il partito di Tzipi Livni - trovare alcuna intesa con i palestinesi.

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Minori e internet, dall’Ue un salvagente da 55 milioni

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Pedofilia e bullismo on line in cima alle preoccupazioni di Bruxelles. Pronta una serie di numeri e indirizzi a cui rivolgersi in caso di abusi. Una ricerca dell’Università Cattolica rivela: un adolescente su quattro in pericolo quando naviga

Il progetto è ambizioso. L’Unione europea vuole «rendere Internet un posto più sicuro per i bambini e i ragazzi che lo utilizzano». Sarebbe a dire il 75 per cento dei giovani europei tra i 6 e i 17 anni, secondo Eurobarometro, placando forse i timori dei genitori allarmati da pedofilia e bullismo on line.

Impegno oneroso Il problema, tuttavia, secondo le statistiche Ue, sembra sfiorare l’Italia, visto che si trova all’ultimo posto nell’utilizzo del web da parte dei minori. Le misure appena varate da Bruxelles costeranno 55 milioni di euro e puntano a dare più sostegno ai piccoli utenti: da ora in poi avranno a loro disposizione una serie di contatti a cui rivolgersi (via web o telefono) nel caso in cui si trovino di fronte a pericoli nella Rete. L’Europa invita inoltre le aziende e gli internet provider a «consultare bambini e ragazzi per creare un ambiente telematico più sicuro».

I maghi della Rete Sempre secondo l’ultima indagine di Eurobarometro su bambini e web, i pericoli nascosti nella Rete sono una delle maggiori preoccupazioni del 60 per cento di genitori europei, ma parlano poco con loro di quello che combinano quando navigano, e ancora meno prendono precauzioni concrete per limitare i rischi (il 59 per cento utilizza filtri e software per controllare il traffico dei propri figli). I minori italiani sarebbero tra i più al sicuro perché giudicati poco «smanettoni» - afferma lo studio -. Al computer, infatti, preferiscono il cellulare: meno della metà dei bambini e adolescenti naviga in rete, inatnto il 68 per cento maneggia il telefonino.

L’altra faccia della medaglia Intanto una ricerca dell’Università Cattolica per l’organizzazione Save the Children sugli adolescenti tra 11 e 14 anni rivela che un ragazzo italiano su quattro ammette di essersi trovato in situazioni pericolose navigando sul web ma che non l’abbi mai detto ai genitori. Discrepanze rispetto all’indagine Ue presenti anche sull’utilizzo del cellulare: praticamente tutti i ragazzi (95 per cento) utilizzano il telefonino e l’86 per cento navigano abitualmente on line. Di questi, uno su sette cerca video e musica, la metà chatta o scarica contenuti digitali. Ben il 38 per cento dichiara di possedere un profilo personale in un social network e il 32 amministra un blog. Nel giudizio degli stessi ragazzi Internet è molto utile e facile da usare, ma uno su tre lo definisce «abbastanza pericoloso» e l’ampia maggioranza (68 per cento) afferma di non ricevere alcun divieto da parte dei genitori. Il 52% ritiene che i coetanei fingano di essere qualcun altro, il 51 che raccontino cose non vere, il 46 che pubblichino foto senza autorizzazione dei legittimi proprietari, il 41 che ricevano inviti da parte di estranei, il 35 che cerchino materiali pornografici e il 34 che chattino con adulti. Particolare interessante: un adolescente su quattro s’è realmente trovato in una di queste situazioni, ma ha deciso di non parlarne con nessuno. Un silenzio che ora preoccupa anche l’Unione Europea.

Giacomo Susca

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Lo sciopero aggrava la crisi: costerà 360 milioni

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Ecco la fetta di Pil che venerdì verrà sottratta al Paese se tutti gli iscritti della Cgil incroceranno le braccia. Si risparmieranno 120 milioni di stipendi, ma si perderà il triplo. Angeletti: "Protesta inutile e contro le imprese". Epifani teme il flop e attacca Veltroni: "L'opposizione sono io"

Roma - È un po’ come organizzare una fiaccolata in mezzo al bosco, contro la piaga degli incendi. O mandare a letto senza cena un bambino inappetente. Perché l’Italia ha conosciuto proteste per tutti i gusti, ma di scioperi generali contro i crack finanziari internazionali e relative ricadute, fino a ora non se ne erano visti. E il motivo è lo stesso che ha spinto Cisl e Uil a non aderire: difficile reggere la contraddizione che comporta una cura - l’astensione dal lavoro - che aggrava il male - la crisi.
Perché una cosa è chiara: lo sciopero generale indetto per venerdì dalla Cgil, sottrarrà alle famiglie e al Paese una fetta di ricchezza. E in un periodo non particolarmente felice per i conti, pubblici e domestici. Certo, non siamo nell’ordine di grandezza dei patrimoni azzerati dai mercati finanziari; niente a che vedere nemmeno con il dramma che potrebbe vivere il Paese se davvero 900mila persone dovessero perdere il posto; previsione a tinte fosche della Cisl. Ma fa comunque una certa impressione pensare che la protesta in solitaria di Guglielmo Epifani, il secondo sciopero generale che la Cgil conduce senza Cisl e Uil dopo quello del 2002 sull’articolo 18, potrebbe facilmente sottrarre al Pil 360 milioni di euro.
Stima prudente, per difetto, che non considera tutti i costi accessori che una protesta del genere può generare. Viaggi nei mezzi pubblici annullati, rifornimenti a rischio, affari che vanno in fumo. Se si perdesse una giornata di Pil, cioè se tutto si fermasse veramente, il conto sarebbe di 6-7 miliardi. Se i militanti Cgil, incrociando le braccia, riuscissero nell’intento di bloccare anche solo parzialmente il Paese, il conto potrebbe tranquillamente superare il miliardo.
Limitandosi ai fatti, non si può fare altro che valutare il non lavoro dei 2,5 milioni di tesserati Cgil, che si presuppone obbediscano e aderiscano allo sciopero. Anche dando per scontato il fatto che l’articolazione meno estrema dello sciopero, quattro ore di astensione dal lavoro, «significa perdere comunque una giornata di lavoro», come spiega un sindacalista, il conteggio non è facile.
Il modo più corretto di pesare uno sciopero, spiega il direttore del Censis Giuseppe Roma, è considerare il «valore aggiunto» del lavoro. E cioè il contributo alla ricchezza del Paese che viene esclusivamente dall’attività dei dipendenti. Nel 2007 - stima Istat - è stato di circa 44mila euro all’anno per ogni lavoratore. Se si escludono le locazioni di fabbricati si arriva a 39.537 euro all’anno che divisi per le giornate di lavoro convenzionali, 286, danno la misura di quanto valga un giorno alla scrivania o in fabbrica: poco più di 138 euro. A tanto ammonta la somma che verrà sottratta al Pil da ogni scioperante. Moltiplicati per le tessere Cgil si superano i 358 milioni di euro. Ipotizzando l’adesione di tutti i lavoratori sindacalizzati si arriverebbe al doppio, ma si tratta di un obiettivo irraggiungibile per Epifani. Già allo sciopero generale del 2002 aderirono solo due milioni di persone. Ed è possibile che questa volta si

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Epifani teme il flop e attacca Veltroni: l’opposizione sono io
di Laura Cesaretti Affondo del leader Cgil: «Pd debole e senza progetto Daremo voce a chi combatte le scelte del governo»
A due giorni dallo sciopero generale di venerdì, la tensione tra Pd e Cgil è molto forte.
Per il partito di Walter Veltroni, la situazione è di «imbarazzo», come ammettono i dirigenti più vicini al segretario, e la conta tra chi dei suoi big scenderà in piazza e chi invece non ci andrà, e anzi critica le scelte solitarie della Cgil, sta diventando un tormentone che fa emergere le divisioni interne. Tanto che ieri sera la vicepresidente dei deputati Pd, Marina Sereni, è sbottata: «Meglio decidere se ci deve o meno essere una nostra delegazione, e contemporaneamente assumere un’iniziativa verso tutti i sindacati: il bipolarismo sindacale sarebbe una iattura, e il Pd deve fare di tutto per scongiurarla».
Ma anche per il sindacato di Corso d’Italia la scommessa è ad alto rischio: la macchina Cgil sta andando da settimane a pieni giri per assicurarne la riuscita, ma la prova di forza è doppia. Da un lato con gli altri sindacati, per riuscire a dimostrare che la Cgil riesce a sfondare e a convincere, catalizzando il malcontento, anche nelle roccaforti di Cisl e Uil, a cominciare da Pubblico impiego, Poste, ministeri. Dall’altro con il principale partito di opposizione.
Nei confronti del partito di Veltroni, in un’intervista all’Unità, Guglielmo Epifani usa parole molto dure: in Italia non c’è una opposizione forte, e questo è «un problema per la democrazia stessa». Il Pd è «debole», «tanto al centro che in periferia», e «non può restare fermo, altrimenti implode», deve darsi «un profilo identitario molto forte» e «recuperare autorevolezza», essere in grado «non solo di avere un progetto ma anche di attuarlo». Perché «c’è bisogno urgente che le persone che non condividono le scelte del governo trovino un progetto di cambiamento sul terreno politico». E questo, conclude, dà «un sovrappiù di responsabilità alla Cgil».
Parole che al vertice del Pd non hanno certo fatto piacere. Epifani si investe di un ruolo di supplenza nei confronti dell’opposizione parlamentare, offrendo una bandiera «identitaria» di mobilitazione sociale ad una sinistra troppo poco rappresentata dal Pd: «Il suo è il progetto dell’unità delle sinistre, contro quello dell’unità dei riformisti che è il nostro», dice un dirigente molto vicino a Veltroni. E questo, tanto più dopo che Epifani ha fatto capire che rifiuterà la candidatura nelle liste Pd alle prossime elezioni europee (Goffredo Bettini aveva già assegnato a suo nome un posto di capolista nel centro Italia), non migliora il feeling. Ma il leader Cgil sta anche cercando una sponda autorevole nel Pd, per non rimanere troppo isolato politicamente e schiacciato sulla sua sinistra interna, con Paolo Ferrero a fargli compagnia in piazza. Veltroni gli ha spiegato di non poter dare alcun sostegno ufficiale ad uno sciopero che divide il suo partito. Tutta l’ala ex Margherita, da Fioroni a Letta a Rutelli, boccia la rottura con Cisl e Uil e critica la «deriva» radicale e solitaria della Cgil. Ma anche in casa ex Ds i distinguo e le prese di distanza sono molte. Pierluigi Bersani, che si è posizionato come ala sinistra del Pd, è sceso in difesa della Cgil, assicurando la propria presenza. Ma non basta: e per questo Epifani sta tentando di convincere Mass

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

E i democratici marciano divisi anche al corteo Gli ex ds: ci saremo. La Margherita: sbagliato
di Gian Maria De Francesco
Di tempo per pensare, per valutare, per ponderare e infine per decidere quale posizione prendere sullo sciopero generale indetto dalla Cgil il Pd ne ha avuto parecchio, oltre un mese. Ma, alla fine, il principale schieramento di opposizione non è giunto a nessun risultato concreto e dopodomani il gruppo dirigente si presenterà in ordine sparso alle manifestazioni organizzate da Epifani & C.
Eppure con più di trenta giorni a disposizione si poteva spiegare se sia meglio manifestare o favorire, per altre vie, l’unità sindacale come ieri invocava la deputata Marina Sereni. Invece nulla: il segretario Walter Veltroni, nella lunga intervista concessa a Repubblica giovedì scorso, ha parlato dei regolamenti di conti interni, di Vigilanza Rai, di «questione morale» e di collocamento europeo, ma non ha speso nemmeno una parola sullo sciopero.
E così non si può far null’altro che elencare coloro che in piazza ci saranno separandoli da quelli che non ci andranno. Ci sarà sicuramente il ministro ombra dell’Economia, Pier Luigi Bersani, perché «il Pd deve essere un grande partito di popolo». E al suo fianco dovrebbe esserci anche il ministro ombra degli Esteri, Piero Fassino, che ha espresso il proprio «sostegno totale». E non potrebbe essere altrimenti visto che nel 2002 fu protagonista con Epifani e Cofferati dello sciopero tutto cigiellino sull’articolo 18.
Non presenzierà Enrico Letta, ministro ombra del Welfare. Da quattro settimane ripete che «lo sciopero non serve» e che «sono finiti i tempi delle cinghie di trasmissione tra sindacati e partiti». E, d’altronde, tutta l’area ex Margherita, di note simpatie Cisl, si è prontamente smarcata dall’intemerata di Epifani. A partire, dall’ex presidente del Senato, Franco Marini, che ha invitato la Cgil a rivedere la propria decisione per terminare con Beppe Fioroni e Tiziano Treu mentre il capogruppo alla Camera, Antonello Soro, si è profuso nei distinguo. Rosy Bindi fa eccezione. «Davanti alle prese in giro del governo serve una reazione forte», ha affermato.
Nel Pd, però, ogni protagonista ha la sua nemesi: il vice di Letta, Cesare Damiano, ha già detto che «sarà in piazza». Il capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro, a differenza di Soro ha subito aderito: «Io andrò, non mi ero nemmeno posta il problema». Già, come se la componente di matrice democristiana fosse una mera appendice. O come se le istanze riformiste non dovessero essere soddisfatte. «Credo che oggi più che la protesta serva la proposta», ha detto il deputato ed ex presidente di Federmeccanica Massimo Calearo.
Anche a livello locale si va in ordine sparso. Il sindaco di Bologna Cofferati insieme con il segretario provinciale De Maria sarà con Epifani, quello di Torino Chiamparino no, mentre il governatore campano Bassolino, sulle barricate ai tempi dell’Italsider, tace.
Insomma, è un bel puzzle da ricomporre. Nulla è stabilito e tutto è perennemente in discussione. Basti pensare agli ex Cgil, Paolo Nerozzi e Achille Passoni (l’organizzatore dello sciopero del 2002), che parteciperanno con convinzione così come lo farà l’associazione «A sinistra nel Pd», la corrente di Livia Turco che spera di riannodare il dialogo con la sinistra radicale. Certo, Veltroni non è il solo a non esporsi. Anche Massimo D’Alema ha temporeggiato e in mol

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Peppino Caldarola: Lo sciopero che divide la sinistra

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Dopodomani sciopera la Cgil. Da sola. Non si capisce tuttora contro chi e per fare cosa, ma venerdì la Cgil ha chiamato alla levata di scudi generale.

Mai evento così clamoroso nella storia di un Paese - sulla teoria dello sciopero generale si sono scritti volumi di letteratura marxista - è stato accolto con tanta indifferenza dell'opinione pubblica. Poche notizie in cronaca sui grandi quotidiani, nessuna che riguardi le ragioni della protesta, tutti i commenti incentrati su «a chi giova?». L'obiettivo è ancora una volta puntato sul Pd. Ancora una volta il Pd si presenta a un appuntamento rilevante particolarmente diviso. Gli ex diessini, soprattutto quelli che vengono dal sindacato, andranno in piazza con la Cgil. Gli ex popolari, in gran parte di rito cislino, a cominciare dal grande capo Franco Marini, invece la diserteranno. Non ci andrà neppure Enrico Letta, giovane aspirante alla segreteria del Pd, riformista a tutto tondo. La divisione nel Pd sullo sciopero generale viene dopo numerosi episodi di rottura sui principali temi della politica italiana e prepara la grande lite che avverrà sulla riforma della giustizia. Venerdì in piazza ci sarà mezzo Pd a compulsare i numeri che fornirà la Cgil per documentare il successo, mentre un'altra metà guferà contro. Comunque vada, sarà un altro insuccesso per il partito politico. Ci sono, infatti, due scenari.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Primo scenario. Lo sciopero non riesce. Dopo una bagarre mediatica sul numero dei partecipanti, ci si rende conto che sono molti di più quelli che sono rimasti al lavoro rispetto a quelli che sono andati dietro le bandiere di Epifani. Per la Cgil è un disastro, per il Pd una mezza tragedia. Se lo sciopero non riesce, viene meno anche l'idea che il paese reale mal sopporti Berlusconi e si rafforza la tesi che la paura della crisi e l'incomprensibilità della strategia di tutte le opposizioni, anche di quella sociale, non hanno nel paese un grande seguito. La chiameranno "pax berlusconiana" o inventeranno altre espressioni, ma lo scenario dello sciopero fallito disarmerà la Cgil aprendo una grave crisi al suo interno rilanciando Cisl e Uil. Nel Pd si riaprirà la guerra fra le correnti. Una in particolare. La guerra, totalmente nuova, fra il segretario e la componete ex diessina che già oggi lamenta la freddezza del leader rispetto all'iniziativa del sindacato dalla bandiera rossa.
Secondo scenario. Lo sciopero riesce. Il malessere nel paese è profondo, la paura mette le ali alla protesta, in assenza di una visibile opposizione parlamentare il popolo di sinistra sceglie di sindacalizzarsi e, come fu con Cofferati poco più di dieci ani fa, si mette sulla scia di Epifani. Nella Cgil il segretario si rafforza ma diventa prigioniero della Fiom e delle correnti sindacali più oltranziste. E nel partito politico? Anche qui ci sarà chi esulterà e chi metterà il lutto. Metteranno il lutto i riformisti alla Nicola Rossi, gli amici della Cisl, l'ala più politica del Pd che teme l'Opa del sindacato sul partito. Esulterà la componente ex correntone, una parte della base diessina e Piero Fassino che è l'unico dirigente titolato, assieme a Rosy Bindi, ad aver dato l'appoggio allo sciopero.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
I due scenari opposti rivelano quanto stia diventando paradossale la situazione nel Pd. Non può stare né a favore né contro, non può neppure stare alla finestra perché tutti e due gli scenari creano complicazioni casalinghe. Ancora più difficile la situazione del segretario. Veltroni non ha mai avuto grande sensibilità sindacale anche se dal 2001 in poi fece una corrente, il cosiddetto Correntone, a forte dominanza cigiellina. Ma nella cultura del capo attuale i temi mediatici hanno più audience rispetto alla dura pratica della lotta sindacale. In più il segretario non può perdere il contatto con la base Cisl e Uil dove il Pd conta parecchi sostenitori. Quindi dovrebbe tifare per la non riuscita dello sciopero. Ma può ancora una volta, dopo il no al Pse, trovarsi contro gran parte del popolo di sinistra di antica matrice post-comunista che invece vede nell'iniziativa della Cgil la fuoriuscita da mesi di anonima opposizione? D'Alema su tutta questa vicenda ha taciuto. Probabilmente il capo della futura minoranza del Pd non condivide la scelta della Cgil, ma non potrà far mancare un suo appoggio dell'ultimo minuto. Comunque la si giri, Epifani che forse voleva trarsi da un impaccio di fronte a trattative inconcludenti, che voleva segnalare una propria autonomia da Bonanni e Angeletti, che voleva dare una mano al Pd, finirà per fare un nuovo danno al partito che lo eleggerà al Parlamento europeo.
Insomma nel Pd, per parafrasare all'incontrario il titolo di un film di Spike Lee, non c'è nessuno che sappia fare la cosa giusta.


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Solitudine Muore nel collegio dei preti. E nessuno se ne accorge

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
È una di quelle storie che siamo abituati ad ascoltare in tv. È una di quelle morti avvenute in solitudine, magari ambientate negli anonimi quartieri dormitorio delle periferie metropolitane, dove spesso non si conosce nemmeno la faccia del vicino di casa. Tante, troppe volte abbiamo sentito di anziani che si sono spenti nelle loro abitazioni e che per giorni e giorni sono rimasti lì, senza che nessuno li cercasse, senza che nessuno ne denunciasse la scomparsa.
Ieri dai sacri palazzi vaticani, dove è stata accolta con prevedibile dolore, è filtrata la storia di don Albert (il nome è fittizio), prete africano di trent’anni, morto nella sua stanza presso un collegio della Congregazione di Propaganda Fide e ritrovato soltanto alcuni giorni dopo a causa del cattivo odore che si avvertiva nel corridoio.
Teatro di questa triste vicenda è il Collegio internazionale missionario San Paolo Apostolo, che si trova in via di Torre Rossa, a Roma. Collegio che accoglie circa 150 sacerdoti di Africa e Asia che studiano presso le università pontificie prima di far ritorno nella loro terra. Dal 1977 a oggi un paio di alunni del San Paolo sono diventati cardinali e più di un centinaio sono stati consacrati vescovi.
Don Albert, originario dello Zimbabwe, stava seguendo i corsi dell’ultimo anno di dottorato. La scorsa settimana è scomparso. I responsabili del collegio, diretto da padre Jozef Kuc, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, hanno provato a cercarlo telefonandogli in camera, ma il sacerdote ormai non poteva rispondere. Così hanno pensato che se ne fosse andato, magari per celebrare una messa o tenere una conferenza, dimenticandosi di avvisare la portineria della sua temporanea assenza. Nessuno si è preoccupato più di tanto.
Sono passati i giorni, secondo una prima ricostruzione almeno tre, ma forse anche qualcuno di più. Del prete nessuna traccia. Soltanto un inspiegabile e fastidioso cattivo odore, che si avvertiva sempre più insistente nei corridoio del collegio, senza che nessuno riuscisse a individuarne l’origine. Poi, finalmente, la macabra scoperta. Il sacerdote è stato trovato morto e già in stato di decomposizione sul suo letto. Ora c’è chi sussurra che accanto al corpo di don Albert sarebbe stata ritrovata una bottiglia vuota, lasciando intendere che talvolta esagerasse con l’alcol, anche se in realtà nel referto si parla di infarto.
In ogni caso, a colpire in questa vicenda, non sono tanto i risvolti medico-legali, quanto piuttosto quelli umani. Il collegio San Paolo, dipendente dalla Congregazione vaticana guidata dal cardinale Ivan Dias, non è un condominio anonimo né un dormitorio, ma un luogo di vita comunitaria, che prevede momenti di preghiera e di ritrovo, ad esempio per i pasti. Quale solitudine viveva il trentenne sacerdote dello Zimbabwe nella Roma tutta addobbata di festoni natalizi nonostante la crisi e il calo dei consumi? Non aveva compagni o amici ai quali riferire i suoi spostamenti, qualcuno che non vedendolo la mattina a colazione, la sera a messa o a cena, si preoccupasse, chiedesse notizie.
Ovviamente nessuno intende scaricare colpe sulle spalle degli ospiti del San Paolo né sui suoi superiori. Ma, anche se casi come questo possono accadere - talvolta per una serie di sfortunate circostanze, per una verifica non fatta, per le troppe occupazioni quotidiane - sarebbe un errore archiviare in fretta la morte di don Albert, senza lasciarsi interrogare da quell’abisso di solitudine vissuta da un p

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Colera, lo Zimbabwe in ginocchio

>>Da: andreavisconti
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L’epidemia di colera ha causato la morte di 746 persone nello Zimbabwe a partire dallo scorso agosto, mentre sono oltre 15.000 i casi sospetti accertati finora. È quanto ha riferito oggi l’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari.

Intanto, migliaia di litri di acqua sono state consegnati in alcuni dei quartieri periferici di Harare, attraverso l’intervento dell’Unicef. Sono settimane che molte zone della capitale sono rimaste senza acqua. Ieri, l’agenzia Onu ha lanciato un appello da 13,6 milioni di euro per garantire assistenza contro il colera. Le autorità dello Zimbabwe hanno decretato la scorsa settimana lo stato di emergenza, chiedendo il sostegno delle agenzie internazionali.

Il vicino Sudafrica ha allestito strutture mediche al confine con il colera, dove vengono curate decine di persone. L’epidemia si è diffusa a causa del collasso del sistema sanitario nazionale, causato dalla grave crisi economica in cui versa il Paese, con un’iperinflazione che ha superato i 231 milioni per cento e un tasso di disoccupazione che ha raggiunto l’80%. Le autorità sanitarie temono che la situazione possa aggravarsi con l’arrivo della stagione delle piogge.

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Delitto Fortugno, chiesti 4 ergastoli

>>Da: andreavisconti
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È durato pochi minuti l’intervento del procuratore capo di Reggio Calabria e coordinatore della direzione distrettuale antimafia Giuseppe Pignatone, in corte d’assise a Locri, per le richieste di condanna nell’ambito del processo per il delitto di Francesco Fortugno.

Pignatone ha chiesto la condanna all’ergastolo per Alessandro e Giuseppe Maracianò, padre e figlio, presunti mandandi del delitto del vice presidente del Consiglio regionale della Calabria; per Salvatore Ritorto, considerato l’esecutore materiale dell’agguato, e per Domenico Audino, accusato di associazione mafiosa e favoreggiamento nel delitto. Il procuratore reggino ha poi chiesto la condanna a 16 anni di reclusione per Vincenzo Cordì, considerato il capo dell’omonimo clan, per associazione mafiosa ed altri reati; 12 anni di carcere per Carmelo Dessì, 8 anni per Antonio Dessì e 3 anni per Alessio Scali.

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Borse, avvio positivo in Europa nonostante Wall Street

>>Da: andreavisconti
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Apertura caratterizzata da segnali positivi per i mercati valutari del Vecchio Continente nonostante la flessione di Wall Street. Francoforte guadagna lo 0,80 per cento dopo i primi scambi mentre Parigi avanza di mezzo punto percentuale. In rialzo dello 0,52 per cento Madrid mentre lievi progressi per Amsterdam e Bruxelles. In territorio negativo Zurigo con l'indice Smi che cede lo 0,17 per cento e Londra (-0,35). In Italia Piazza Affari ha iniziato le contrattazioni con il Mibtel che ha registrato un +0,35 a quota 15.272 punti per cento come l'SP MIB, mentre il Midex ha guadagnato nei primi scambi lo 0,34 per cento. Segnali positivi sono arrivati anche dai mercati asiatici. Tokyo ha confermato il trend positivo delle ultime sedute chiudendo a +3,15 per cento con l'indice Nikkei dei 225 titoli principali a quota 8.660,24 punti, un risultato che non raggiungeva dal 12 novembre scorso. A influire sugli scambi l'ottimismo diffuso tra gli investitori nipponici dall'intesa di massima raggiunta negli Stati Uniti tra la Casa Bianca e la maggioranza democratica al Congresso sul piano di salvataggio dell'industria automobilistica americana. In Giappone ne ha infatti risentito positivamente l'analogo settore, che ha garantito un effetto-traino. Proprio Wall Street ha tuttavia chiuso ieri sera in ribasso con il Dow Jones che ha perso il 2,72 per cento mentre il Nasdaq ha ceduto l'1,55 per cento.


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Il ritorno di Toni Negri, quegli applausi alla Statale per le Br

>>Da: andreavisconti
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Nel giorno dei funerali di Alexander Grigoropulos, ucciso sabato da un colpo d'arma da fuoco della polizia greca, ad Atene continuano i disordini. Oggi si sono verificati nuovi episodi di violenza durante una manifestazione indetta da studenti e insegnanti contro i tagli decisi dal governo. La protesta corre anche sul web e fa capolino nei dibattiti su Facebook. A questo proposito c’è chi crea un parallelo con la nostra Onda. Lo fa il misterioso Armand Du Plessis, che cita i due movimenti studenteschi in uno scambio di battute con il giornalista e autore del film documentario sulla nascita delle Br “Il sol dell’avvenire”, Giovanni Fasanella, di recente bersaglio di una polemica alla Statale di Milano. Giovedì scorso un gruppo di studenti aveva organizzato alle 14.30 una proiezione del suo film, scritto e realizzato con Gianfranco Pannone che firma la regia. Ha fatto seguito il dibattito e una domanda sugli anni Settanta ha scatenato le polemiche e le contestazioni. Spiega Fasanella al VELINO: “Mi è stato chiesto che cosa pensassi di Toni Negri e di Calogero e ho risposto che se il giudice padovano avesse avuto la possibilità di andare fino in fondo senza la presenza di un certo gruppo di intellettuali e giornalisti di sinistra, che firmavano ogni giorno appelli contro di lui, probabilmente le autorità francesi non si sarebbero chiuse a riccio e gli avrebbero dato quello che gli serviva per il suo teorema accusatorio”.

Il cosiddetto “teorema del giudice Calogero” stabiliva un rapporto fra gli scritti dell'ex ideologo di Autonomia operaia, poi riparato in Francia, e le azioni dei terroristi. Ma una parte della platea non ha gradito i giudizi del giornalista di “Panorama, tanto che si è levata più di una voce “a fare apologia delle Br e a giustificare la necessità che imbracciassero le armi. Fra gli applausi di una parte di studenti e docenti”. Una posizione che ha richiesto una netta presa di distanza: “Ho sottolineato che per me commette terrorismo chiunque usi la violenza e l’arma dell’omicidio per instaurare un clima di terrore utile al raggiungimento di un obiettivo politico. Da qualsiasi parte esso avvenga, da destra, da sinistra, dal centro, dal nord o dal sud. Per me non vale l’idea che se la sinistra uccide, e lo fa in nome di un ideale, è rivoluzionaria e se invece lo fa la destra è terrorista” aggiunge Fasanella autore del recente “Terrore a Nordest”. Le sue parole non hanno fatto altro che aumentare il clima di ostilità, “tanto che il gruppo dei più facinorosi se ne è andato”. Aveva un altro appuntamento: al centro sociale Il Cantiere stava per iniziare un dibattito con Toni Negri.
IL VELINO

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Israele: i medici salvano la vita di Alla, bambina irachena

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
A guardare Alla Hassain, una bambina irachena di otto anni con una grave malformazione al cuore, non si direbbe che sia la stessa ragazzina che un mese fa rischiava di spegnersi in un letto d’ospedale. Oggi Alla mangia patatine fritte e guarda cartoni animati in ebraico. Sorride di nuovo alla vita. Israele è il paese dei miracoli medici e dell’umanitarismo xenofilo, dove tutti hanno diritto alle stesse cure al di là di religione e razza. L’ultima storia che arriva dallo Sheba Hospital lo conferma. Nel reparto oncologia dell’ospedale Schneider di Petah Tikva il trenta per cento dei bambini ospitati è arabo. Il “Centro Peres per la pace” organizza corsi per infermieri e medici israeliani e palestinesi. E all’ospedale Tel Hashomer di Tel Aviv un mese e mezzo fa è arrivato un bambino iraniano di dodici anni, il primo, per essere operato d’urgenza di un tumore al cervello.

Alla, che significa “simbolo” in curdo, è arrivata in Israele, un paese ancora in guerra con l’Iraq che non ne riconosce il diritto all’esistenza, attraverso la Giordania. “Quando nacque, i medici mi dissero che non avrebbe festeggiato il primo compleanno” racconta la madre Todi. Siria, Germania, Italia, nulla da fare, ovunque la stessa diagnosi di morte. Ci sono riusciti invece i medici israeliani. “La cosa che mi ha colpito di più è stato il modo in cui i medici israeliano curano tutti i bambini senza differenza di razza”. E’ stata una organizzazione umanitaria israeliana, Shevet Achim, a occuparsi dell’arrivo della famiglia irachena. E’ una delle tante storie di salvataggio israeliano che non penetrerà la rete di disinformazione prodotta sullo stato ebraico. L’unico al mondo che si impegna a lenire il dolore dei figli dei propri nemici.

Giulio Meotti

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LA CRISI DEL SETTORE AUTO NEGLI USA

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Il salvataggio pubblico che piace molto ai ricchi, ma non ai poveri (contribuenti)
di Stefano Magni


Un atto senza precedenti: il Governo federale statunitense potrebbe entrare nel capitale dei tre grandi produttori nazionali di auto, cioè Chrysler, Ford e General Motors che chiedono accesso ai finanziamenti pubblici. Solo nel 1980 il presidente Carter era intervenuto a favore della Chryseler, ma non direttamente: si era limitato a fornire la garanzia per un prestito (privato) del valore di un miliardo e mezzo di dollari. Invece, adesso, secondo la bozza che il Congresso e la Casa Bianca stanno approvando, lo Stato erogherebbe direttamente 15 miliardi di dollari, per aiutare le imprese in crisi. I fondi verrebbero tratti dai 25 miliardi stanziati a ottobre per modernizzare la produzione automobilistica e incentivarla a puntare su auto ecologiche. In cambio, il Tesoro acquisirebbe titoli delle imprese aiutate per un valore pari al 20% del prestito pubblico e imporrebbe un suo controllo diretto sulla gestione delle aziende: uno “zar” (autorità con poteri straordinari) verrebbe nominato dal presidente (per Nancy Pelosi, speaker parlamentare, la persona più indicata è Paul Volcker, ex presidente della Federal Reserve, che forse sarà nominato in settimana) e avrebbe la funzione di controfirmare ogni contratto e ogni transizione superiore ai 25 milioni di dollari. Lo “zar” avrebbe anche il potere di chiamare al tavolo delle trattative le parti in causa (aziende, sindacati, fornitori, ecc...) per concordare un piano comune di rilancio. Se a marzo le aziende aiutate non mostreranno segni di ripresa, la nuova autorità potrà presentare al Congresso un suo piano di azione.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Chrysler e General Motors (che, da sola, chiede 10 miliardi per tirare fino a marzo) sono soddisfatte del piano. E lo è anche la Ford, che pure continua ad affermare di poter uscire dalla crisi anche senza soldi pubblici. A non essere soddisfatti del piano sono soprattutto gli operai, anche quelli iscritti al sindacato e i cittadini contribuenti americani. Un sondaggio effettuato da Zogby e Ati-News rileva che la maggioranza assoluta degli operai, e in generale la maggioranza degli americani, si oppongono all’erogazione di soldi pubblici. Il 57,5% dei lavoratori iscritti al sindacato ha risposto “no” al bailout. Solo il 29,5% approva. In generale, il 61,7% degli americani è contrario. “Pochi approvano che così tanti miliardi provenienti dalle loro tasche di contribuenti vengano versati in navi che affondano”, afferma Brad O’Leary, presidente di Ati-News. Anche perché gli argomenti usati dalle industrie automobilistiche per ottenere gli aiuti di Stato, sono smentibili. Lo dimostra un editoriale economico (a firma di Dan Weil) sulla conservatrice “Newsmax”. Non è vero che gli operai dei grandi produttori di auto siano pagati meno che all’estero. Di solito si paragonano i salari americani (al netto di tutti i benefit e della pensione) di 30 dollari all’ora contro i 45 dollari orari (lordi) del collega giapponese. Ma al lordo di benefit e pensione, il lavoratore statunitense guadagna 70 dollari all’ora.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Secondo: se è vero che il settore auto copre il 3% del Pil americano e dà lavoro a 1 milione di persone, queste cifre non dipendono necessariamente dai “Tre Grandi” che ora si vogliono aiutare. L’economia americana sarebbe in grado di riassorbire la perdita di una loro eventuale bancarotta. E’ discutibile, inoltre, la convinzione diffusa secondo cui la loro bancarotta possa segnare la fine della produzione automobilistica. In passato quasi tutte le compagnie aeree negli Usa sono passate dalla bancarotta, ma non si sono estinte: sono riemerse e si sono rafforzate. Le grandi industrie potrebbero migliorare la loro produzione ed hanno già avuto molte occasioni per cambiare rotta. Mentre lo stereotipo è ancora il “macchinone” costoso che consuma litri e litri di benzina solo per girare l’angolo. Tutte le aziende si sono rinnovate dopo le crisi. Non si vede perché proprio General Motors, Chrysler e Ford non possano farcela da sole. Si calcola che Gm e Chrysler stiamo perdendo, in media, 2 miliardi di dollari al mese. I 15 miliardi di Stato potrebbero funzionare solo in seguito a un loro rinnovamento. Le decisioni prese a Washington potrebbero costituire un precedente. Se il mercato dell’auto piange negli Usa, in Italia non ride. “La festa è finita” diceva, nei primi anni Novanta, Gianni Agnelli. E i nuovi vertici della Fiat confermano: “A crisi eccezione, misure eccezionali”. Per la grande azienda dell’auto italiana si pensa ad una possibile fusione con altri gruppi automobilistici europei. E si guarda a Roma, aspettando di vedere che cosa combineranno a Washington.


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Il ritorno di fiamma dei black block

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di Stefano Magni


E’ il ritorno dei black block. Era dal 2001 che non ne sentivamo parlare, ma oggi gli anarchici nero vestiti guidano per il quinto giorno consecutivo la protesta in Grecia. Un subbuglio nato dalla riforma dell’università e diventata vera e propria rivolta dopo l’uccisione, da parte della polizia, dello studente quindicenne Alexis Andreas Grigoropoulos. I black block sono giunti da tutta Europa e si sono uniti a un movimento di contestazione che raggruppa, in una coalizione inedita, anarchici, comunisti del Kke, nuova sinistra alternativa del Syriza e anche socialisti. La sinistra è galvanizzata, dopo che le elezioni l’avevano messa in minoranza rispetto al partito conservatore Nea Democratia. Il leader socialista George Papadopoulos ne ha subito approfittato per chiedere le dimissioni del governo. Alexis rappresenta ora in Grecia quel che Carlo Giuliani ha rappresentato per la protesta anti-G8 a Genova: un “martire” ucciso dallo Stato da vendicare. Lo schema è classico: anche il filosofo austriaco Karl Raimund Popper racconta la stessa dinamica nelle manifestazioni dei comunisti a Vienna nel 1919, la ricerca del “martire” da vendicare con un’accelerazione del processo rivoluzionario. Ci sono, tuttavia, degli elementi di novità. Il primo è la rapidità di reazione: grazie a Facebook (sempre più diffuso) e agli sms, la comunità antagonista è venuta a conoscenza dell’uccisione dello studente anche prima che se ne accorgessero i media. Facebook è ancora più diretto della vecchia Internet: non è l’utente che deve connettersi al sito, ma è l’informazione che, in un certo senso, gli entra nel computer, ventiquattro ore su ventiquattro.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
I nuovi strumenti di comunicazione permettono iun’informazione (con tanto di foto e filmati) non filtrata e soprattutto istantanea. Il che non vuol affatto dire: “non ideologica”. Se i vecchi media sono condizionati dall’ideologia di chi li controlla, anche i nuovi mezzi di comunicazione di massa riflettono la visione del mondo di chi carica testi, foto e filmati. E così, per Alexis è passata in tutta Europa la versione dei fatti fornita dagli anarchici (un assassinio a sangue freddo da parte della polizia) e non quella ufficiale (un errore commesso da poliziotti che sparavano colpi d’avvertimento perché circondati da una trentina di facinorosi). La verità è ancora da scoprire, ma gli estremisti non attendono certo il verdetto di un giudice. Altro elemento di novità è l’espansione della protesta. Non si limita ad un’unica città, ma coinvolge tutto il Paese: non solo Atene è messa a soqquadro, ma si sono registrate manifestazioni anche a Rodi, a Ioannina, a Salonicco, a Patrasso. Manifestazioni si sono svolte anche nelle ambasciate e nei consolati greci all’estero. Il premier Costas Karamanlis promette giustizia per la morte del ragazzo e anche “tolleranza zero” contro i manifestanti violenti. A chi chiede la sua testa risponde incontrando gli esponenti dell’opposizione e parlando in difesa della democrazia contro la violenza. D’altra parte, anche se si tende a dimenticarlo, in Grecia non c’è più un regime militare al governo, ma un esecutivo regolarmente eletto dalla maggioranza assoluta dei greci.


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La cultura della mobilità sostenibile

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione
TRAFFICO E INFRASTRUTTURE
Provvedimenti per salvare le città e la competitività
Il trasporto pubblico è carente Scarseggiano vere alternative all’uso dell’auto


di Fabio Rosati


La mobilità è oggi, soprattutto nei grandi centri urbani, una componente essenziale del funzionamento della città e della vita dei suoi abitanti i quali esprimono una crescente esigenza di efficienza e di miglioramento per tutti gli aspetti che la mobilità include. Con il termine mobilità infatti si intende non solo il traffico, a cui spesso viene ridotto, ma un sistema complesso che comprende tutto ciò che è in relazione al muoversi, con qualsiasi mezzo, nella città e nel territorio: pedonalità, trasporto pubblico, trasporto privato, sosta e parcheggi, sistemi per una mobilità sostenibile, per citare alcuni dei titoli principali, ciascuno di essi declinabile in molteplici sottotitoli ed in diverse necessarie fasi di pianificazione, programmazione e attuazione integrata. Solo negli ultimi anni l’idea di mobilità, precedentemente associata in via esclusiva a infrastrutture e reti stradali, ha visto anche introdurre la lotta all’inquinamento, precedentemente relegata ai concetti di carburanti alternativi e incentivi all’acquisto di nuovi veicoli. In realtà la mobilità urbana richiede una “governance” che non dovrebbe essere delegata agli enti regionali o ai singoli comuni, ma che dovrebbe vedere una regia che coinvolga i Ministeri competenti (trasporti e ambiente) insieme con gli operatori della mobilità, pubblici e privati.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Anche a livello europeo si sta assistendo ad un certo fermento: la commissione ha pubblicato un libro bianco per la politica dei trasporti; il consiglio europeo ha approvato la direttiva sulla tassazione per l’uso delle infrastrutture. Nel corso del prossimo anno la Commissione dovrebbe presentare un piano tecnologico strategico per l’energia e pubblicare un libro verde sulla politica dei trasporti urbani. Ancor più forte la Direttiva 2006/38/CE ha ufficializzato la possibilità di introdurre forme di “pricing” sulle strade urbane ed extraurbane, in relazione sia a fenomeni di inquinamento che di congestione. I Governi nazionali hanno due anni di tempo per ratificare la direttiva, ma i dibattiti sulla congestion (o pollution) charge avvenuti a Milano, Roma, Bologna e altre città italiane, fanno intravedere un iter molto veloce di attuazione. Lo stesso dicasi anche in altri paesi europei come in Inghilterra e Finlandia per citare solo alcuni esempi. La mobilità sostenibile è quindi un sistema di mobilità urbana in grado di conciliare il diritto alla mobilità con l’esigenza di ridurre l’inquinamento e le esternalità negative, quali le emissioni di gas serra, lo smog, l’inquinamento acustico, la congestione del traffico urbano e l’incidentalità. Queste esternalità hanno un costo sociale che grava su tutti e possono essere rimosse soltanto con una adeguata regolamentazione mediante intervento pubblico. In Italia la mobilità sostenibile è stata introdotta con il Decreto Interministeriale Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane del 27 marzo 1998: la normativa non ha però raggiunto i risultati sperati e i problemi relativi alla mobilità sono stati spesso demandati alle amministrazioni locali, senza un vero e proprio piano di intervento a livello nazionale e sovranazionale. Ma vediamo quali sono gli interventi di mobilità sostenibile Attualmente gli interventi di mobilità sostenibile possono considerarsi ancora alla fase sperimentale. Elenchiamo i principali:


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Trasporto pubblico locale: è la prima storica forma di mobilità sostenibile. Veicoli adibiti al trasporto di massa consentono di ridurre l’utilizzo dei mezzi privati.
Corsie preferenziali: queste corsie sono autorizzate soltanto ai mezzi pubblici (autobus, taxi, mezzi di emergenza) e permettono di creare due forme di scorrimento, congestionata per i mezzi privati e scorrevole per quelli pubblici o di pubblico intervento.
Piste ciclabili: in alcune città del Nord Europa sono la vera alternativa all’automobile. Le piste ciclabili sono situate a lato delle strade e riservate esclusivamente alle biciclette. Città come Amsterdam dimostrano come questa scelta sia praticabile e a basso costo. Non è però adatta ovunque, soltanto nelle città pianeggianti o con bassi dislivelli.
Pedaggio urbano: l’accesso a pagamento a strade o zone urbane trova la sua massima applicazione nel “Road Pricing” che estende il pagamento del ticket a tutte le automobili in entrata nella città (ad esempio a Londra) è stato sperimentato nel nostro Paese solo a macchia di leopardo ma dove è stato sperimentato ha dato i risultati attesi. C’è la necessità di continuare su questa strada migliorando contemporaneamente il livello e la qualità del servizio del trasporto pubblico locale.
Park pricing (o parcheggi a pagamento): l’applicazione di ticket orari sui parcheggi tende ad aumentare il costo di utilizzo dell’automobile privata e facilita l’accesso al parcheggio per soste di breve periodo. In Italia sono conosciute come “strisce blu”. Questa forma di intervento è adatta soprattutto nelle aree centrali della città. Crea invece malcontento nelle aree sub-urbane e periferiche.
Car sharing e Car pooling: questi servizi sono basati sul principio dell’auto privata per uso collettivo. Nel caso del Car Sharing l’automobile è noleggiata per poche ore presso le apposite società e riconsegnata al termine del suo utilizzo. Nel caso del Car Pooling l’automobile è di proprietà di un privato che la mette a disposizione per compiere tragitti casa-lavoro insieme ad altre persone, spesso conoscenti o colleghi, con la stessa esigenza di orario e di percorso. Entrambi i servizi non sono sufficientemente spinti dalle amministrazioni locali in modo adeguato.
Mobility Manager: è una figura quasi mitologica. E’ stata introdotta nel 1998 con la funzione di analizzare le esigenze di mobilità dei dipendenti delle aziende pubbliche e private, agevolare il car-pooling e sincronizzare gli orari lavorativi con quelli del trasporto pubblico. I mobility manager partecipano a riunioni e incontri con le amministrazioni locali per migliorare la viabilità e il trasporto: la nomina di un mobility manager nelle aziende private è soltanto facoltativa e pertanto la norma è rimasta inattuata.
Blocco del Traffico: il momentaneo blocco del traffico urbano è una misura di emergenza per ridurre il traffico veicolare e le emissioni inquinanti ma non risolve il problema. L’intervento mira a vietare l’uso dell’automobile per far provare forme di mobilità alternative e più sostenibili (ad esempio il trasporto pubblico) e può essere parziale o totale. In caso di blocchi ripetuti nel tempo viene applicato sotto forma di blocco per “targhe alterne” (pari o dispari) o per tipologia di veicolo (euro0, euro1, euro2, euro3, euro4). Parliamo di “palliativi” che lasciano il tempo che trovano.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione
La filosofia a monte di tutto quanto evidenziato è quella della mobilità sostenibile (in questi ultimi tempi argomento preferito da molti “esperti” e non solo), una di quelle sfide che nascono come necessità ma assumono poi anche il carattere di opportunità, per l’intera collettività e non solo per chi opera o è chiamato a dare risposte in quello specifico settore. E’ una di quelle sfide che richiede l’impegno di tutti e che per questo stesso motivo può trovare grande utilità nell’azione congiunta, sinergica di molti attori. Basta voler mettere in piedi le varie soluzioni per cercare di iniziare una strada che sicuramente porterà benefici e minor stress a tutti. Gli interventi possono essere tanti e diversi, ma l’aspetto fondamentale è la consapevolezza che occorre cambiare la struttura della circolazione urbana, passando da un sistema fondato sull’uso incontrollato della modalità privata ad un sistema fondato sul trasporto collettivo e sulla dimensione umana. Naturalmente non possiamo non toccare la sfera degli investimenti: non c’è misura sulla circolazione che tenga se non è accompagnata e supportata da un’offerta di trasporti pubblici sostenuta. Scontiamo sicuramente cinquanta anni di indifferenza della classe politica e conseguentemente dell’industria per i sistemi di trasporto di massa (e cioè metropolitane, ferrovie leggere, tramvie, etc.). Il gap che ci divide dal resto dell’Europa per la pochezza delle nostre infrastrutture è notevole. Eppure, se vogliamo salvare le nostre città dal degrado salvaguardando anche la loro competitività economica, dovremo inevitabilmente investire nel trasporto pubblico e nella relativa, indispensabile, infrastruttura.


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Sindaci, gesti, credibilità

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di Paolo Pillitteri


Naturalmente, c’è gesto e gesto. Soprattutto nell’era mediatica dalla cui immersione spaesante se ne esce a condizione di decifrare i suoi codici, di impadronirsene. Il gesto in Tv corrisponde al lampo di luce nella pittura caravaggesca, come un’indicazione stradale, un senso unico abbagliante. Nel linguaggio televisivo, i gesti “politici” si riconoscono sia dalla loro immediatezza-messaggio sia nella loro coerenza al significato, al contenuto. Si ricordano le vivide sequenze di Pannella e Bonino fermi davanti alle telecamere, imbavagliati: il messaggio era il medium, il bavaglio era il senso unico “politico” da seguire. Quando un anno fa Silvio Berlusconi salì sul predellino in Piazza Babila, la sequenza era costruita funzionalmente al significato di una svolta all’interno della sua alleanza e dello stesso sistema elettorale con l’indicazione di un “corriamo da soli” che Veltroni recepì, per poi tradirlo con Di Pietro. Di Pietro, tra parentesi, non necessita di gesti, non ha bisogno di lampi accecanti. Gli bastano le manette. Perciò è, esso stesso, un messaggio, non gli occorre nemmeno apparire, basta un urlo, un grido gutturale per l’individuazione immediata di una storia, di una narrazione simbolica del circo mediatico giudiziario, di una simbologia a senso unico, demagogica, populista, forcaiola, giustizialista a prescindere. Inquietante compagnia per Walter. Soprattutto paralizzante e, per certi aspetti, incidente su altri gesti, di altro significato, ma solo in apparenza. Parliamo dell’incatenamento del sindaco di Firenze Dominici davanti alla sede di “Repubblica” per protestarne le ingiuste illazioni sul suo conto. Le catene in Tv producono l’effetto della moltiplicazione dell’emblema per gli effetti indotti della notizia-evento ripresa dai media.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Noi crediamo all’innocenza di Dominici. Ciò a cui non crediamo è al suo gesto. La sua performance ha un che di finto, di non vero, di non sofferto. E’ pura fiction. La non credibilità di sindaci come lui o di politici come lui, cioè del Pd, viene da lontano, passa per la loro assunzione del moralismo giustizialistico come forma e contenuto della politica della diversità, in funzione della criminalizzazione e annientamento dell’avversario. Proviene dai silenzi assordanti sulla propria storia senza mai un’autocritica e si avvolge(va) nei compiaciuti plausi per le ripetute violazioni dei segreti istruttori, do you remember l’avviso di garanzia al Cavaliere (1994) sbattuto sul giornale in piena conferenza internazionale, e poi assolto dieci anni dopo? E ancora altri silenzi, altre omissioni, più recenti. Fino all’omertà, fino alla vergogna, alla vergogna di chi non dice una parola di solidarietà a un Del Turco arrestato, con un giunta (di sinistra) annichilita. Giunte, assessori, governatori, sindaci, amministratori nel tritatutto, come prima, più di prima. C’è poco da fare gesti e mostrare catene. Il problema era ed è politico. E c’è poco da goderne, anche se la legge del contrapasso dantesca in scena fra Catanzaro e Salerno appare una (tardiva) vendetta per le centinaia di politici annichiliti da quel circo mediatico giudiziario di cui i vari Dominici sembrano indignarsi oggi perché ha fatto loro ciò che speravano avrebbe fatto solo e sempre agli altri.


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Intervista al professor GIUSEPPE DI FEDERICO

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
“Non basta separare le carriere”
di Dimitri Buffa


“Sa quanti magistrati c’erano all’interno della commissione che ha riformato l’ordine giudiziario in Francia? Cinque. Cinque su venti. Sa quanti ce ne sono dentro alla Commissione giustizia del Pd? Sono tutti magistrati. E sa quanti ne lavorano con il ministro Alfano? Ecco la spiegazione del perché in Italia è impossibile riformare la giustizia è tutta qui”. Non delude mai le attese il professor Giuseppe Di Federico, che da Bologna assiste sorridendo alle capriole e alle dichiarazioni dei giorni scorsi di illustri esponenti della politica e della giurisprudenza come Luciano Violante e Giuliano Vassalli solo per citarne due.

Professor Di Federico, persino Vassalli adesso chiede la separazione delle carriere?
Alla buon’ora. Quando lavoravo io alla commissione giustizia del Senato, e lui era ministro, evitava di farsi vedere in mia compagnia e non mi riceveva per non urtare la suscettibilità dei magistrati di via Arenula. Se adesso siamo in questa condizione lo dobbiamo anche a chi come lui non ha avuto il coraggio delle proprie responsabilità.

Parla della legge sulla responsabilità civile dei giudici che vanificò il referendum radicale?
E di cosa sennò?


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
E la resipiscenza di Violante? Meglio tardi che mai?
Sembra solo un po’ rimbambito, per il resto è lo stesso Violante di sempre. Meglio non fidarsi. Quando si parlava del doppio Csm disse che in Portogallo non aveva funzionato. Però non diceva che in Olanda l’esperimento era riuscito. E’ sempre lo stesso, non cambia mai. Al massimo invecchia.

Senta Di Federico, ma perché in Italia è impossibile fare questa benedetta riforma della giustizia?
Perché da noi c’è questa ridicola idea che la riforma sulla giustizia debba essere fatta con l’accordo, anzi sotto la dettatura, dei magistrati. Guardi come hanno fatto in Francia: prima hanno chiesto a Cossiga informazioni sull’Italia, poi hanno detto: “no grazie”. Infine hanno messo su una commissione composta da venti elementi di cui solo cinque provenivano dai ruoli della magistratura.

Da noi invece?
Il ministro ombra del Pd è un ex magistrato, Lanfranco Tenaglia, il capogruppo dal Senato Anna Finocchiaro, pure: è un magistrato ancora in ruolo. Ma l’elenco è infinito: uno dei più importanti esponenti della Commissione giustizia Felice Casson è anche lui un magistrato, Violante è un ex magistrato. Devo continuare?

Non è che nel Pdl stiano meglio...
Certo che no, Alfano scrive le proprie riforme circondandosi da esperti magistrati e tanti di quelli che dicono l’ultima parola nel centro destra in materia di riforme sulla giustizia sempre giudici o ex tali sono.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Senta, e lei che ne pensa di questa guerra tra Catanzaro e Salerno?
E si stupisce ancora qualcuno? Ma quando in passato si sono svolti conflitti anche all’interno delle singole procure, penso a Palermo e a Napoli tra le altre, chi mai si è ribellato? E adesso siamo a questo punto e praticamente non c’è più niente da fare.

Però andare a casa di un magistrato di mattina, perquisirlo e denudarlo (a quanto pare) non si era mai visto ancora. O no?
E perché loro non possono subire da altri colleghi quello che fanno invece subire a tutti gli altri comuni mortali ogni giorno che Dio manda in terra? Sa che io non provo tanto rammarico per i bambini di quel procuratore e per i loro zainetti, perché se solo penso a quello che succede ogni giorno ad altri bambini e ad altri zainetti... Vede la giustizia gira gira è uguale per tutti anche in Italia, però nella sua parte negativa.

Ma separare le carriere basterebbe?
Forse no, ci vorrebbe anche il doppio Csm e mettere mano all’obbligatorietà dell’azione penale, ma se i politici non avranno il coraggio di tenere fuori gioco i magistrati finirà che anche stavolta non se ne farà niente. D’altronde lo stesso D’Alema uno sforzo nella bicamerale in questo senso lo aveva fatto. Ma vede che fine che ha fatto il progetto bipartisan di riforma della giustizia contenuto in quella Bicamerale?


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Bassolino resiste ma le sue responsabilità aumentano

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 5 della discussione
di Ruggiero Capone


“Mio Dio!”, pare siano state queste le parole di Walter Veltroni dopo aver preso visione delle geniali trovate della Giunta Bassolino. E Di Pietro pare abbia rincarato la dose “che ci azzecca tutto sto’ libertinaggio selvaggio, mi ricorda un amministratore d’un paese vicino Termoli, permetteva di tutto, pur di farsi rieleggere: ma sono riuscito a cacciarlo, con me non si scherza”. Ma Bassolino ci ride sopra e pare possa pensare “devono sempre passare da me”. C’è non poca delusione nelle periferie napoletane. In 16 anni, prima da Sindaco e poi da presidente della Regione, non un punto del programma di risanamento bassoliniano è stato coronato da successo. Il litorale (in particolare Bagnoli) non è stato risanato e restituito alla cittadinanza. E poi le tanto decantate “concessioni di aree a portualità” sono state gestite in nome dell’amicizia politica. In Campania tutto è rimasto appeso, dalla bonifica ai parchi, delle spiagge ai servizi collettivi. La priorità è stata data ad altre opere, ed in nome degli accordi politici trasversali. In nome di questi accordi è iniziata, oltre un decennio fa, l’espulsione delle classi popolari verso la periferia napoletana. Causa primogenita della guerra tra poveri, che s’è scatenata nelle periferie partenopee, e con casi di razzismo mai visti a Napoli. “E’ stato fatto un utilizzo speculativo dei programmi di riqualificazione urbana”, spiega un impiegato del Comune con un passato da insegnante. Così il tanto spiattellato diritto alla casa, attraverso l’edilizia pubblica, non sembra aver trovato posto nelle politiche delle giunte Bassolino.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
“Demolir pianificando sembra diventato lo sport preferito dei comuni dell’area sorrentina”, ci spiega una pietra miliare della storia urbanistica del Golfo di Napoli. Poi aggiunge “chi dovrebbe controllare non lo fa, la Penisola Sorrentina, da paesaggio simbolo delle bellezze italiane, sta pericolosamente assurgendo ad esempio di territorio non tutelato”. Il problema Penisola, Golfo e Costiera Amalfitana è pericolosamente balzato agli onori della cronache nazionali (e purtroppo anche estere) con il crollo in Costiera Amalfitana (avvenuto il 18 agosto 2007) d’una terrazza sul mare. Vi morì Antonio Rocco, una della persone rimaste ferite in conseguenza del crollo. Da un’indagine emerse che l’80 per cento delle terrazze a mare in costiera sono abusive. Poi venne messo tutto a tacere, dopo che qualche manina laboriosa, e con prolunghe nei catasti, dimostrò che quelle pertinenze erano “luoghi di goduria” per politici e alti dirigenti dello stato, e con simpatie ed amicizie in tutto l’emiciclo parlamentare. Il povero Antonio Rocco, un cittadino qualunque, è morto inutilmente? Non è detta l’ultima parola. Infatti qualche magistrato starebbe indagando sulle coperture che non hanno permesso l’emersione del fenomeno “terrazza abusiva”, più pericoloso della normale speculazione.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
“In estate grondano più persone le terrazze che gioielli la statua di San Gennaro”, nota l’esperto. Così il rischio è evidente, ma Bassolino sorride, come per dire “per uno che è morto in tanti anni dobbiamo farne uno scandalo?”. Sta di fatto che situazioni fuorilegge la Campania ne annovera un po’ troppe. In pieno accordo con buona parte della giunta Bassolino, i comuni sorrentini stanno infatti procedendo ad ambigue varianti ai Piani Regolatori, ad approntare decine di altri strumenti di deregulation urbanistica. Il capitolo “terrazze in regola”, pare abbia fatto ridere gli inglesi quanto i cumuli d’immondizie. La giunta regionale sta trasformando in regola quello che dovrebbe essere eccezione, ed in regolamentare ciò che altrimenti sarebbe considerato abuso. “I Comuni pagano in moneta urbanistica selvaggia ai privati - spiega l’esperto - i propri servizi sociali, le manutenzioni, l’illuminazione, le scuole, i lavori pubblici ordinari e soprattutto lo sproporzionato numero di dipendenti a bassa produttività: si paga tutto facendo cassa con gli sbancamenti per i box, con gli oneri di urbanizzazione, con gli introiti dei permessi a costruire, anche le famigerate terrazze”. E la Capitaneria di Porto? Pare che non possa nulla. “E’ un esercito di guastatori anarchici, e con poteri di firma edilizia”, commenta rammaricato il nostro informatore.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione
Intanto, il nuovo Piano Regolatore adottato a Sorrento (e piace a Bassolino), consente di costruire persino nelle zone di tutela ambientale. Gli ambientalisti sono arrabbiatissimi con la Giunta regionale, e la magistratura è già dovuta intervenire centinaia di volte, e per le continue irregolarità riscontrate nei cantieri. Ma tutto, almeno fino a ieri, sembrava bloccarsi. Proprio grazie ad una trovata della Regione (si dice approvata nel cuore d’una lunga nottata) sono stati cassati gli indici generali di fabbricabilità, le altezze massime, i rapporti di copertura tra costruito ed aree libere. Insomma, in Campania è per legge tutto ora possibile. Ma a patto che si sia ammessi, e per rigoroso rito di corte, al bacio della pantofola del Viceré. La realizzazione di sterminati parcheggi interrati, negozi, bar, chioschi e via costruendo ha letteralmente scandito la rinascita costiera. Altro che liberismo, un vero e proprio libertinaggio. E l’ultima parola è comunque toccata alla Provincia di Napoli che, in pilatesco modo, ha sentenziato “se sta bene a Bassolino sta bene anche a noi”. Ma a Vico Equense l’aggiro delle regole urbanistiche e paesistiche fa parte della storia del luogo. Lì il demanio subì già trent’anni fa la nascita della nuova moda amministrativa, l’utilità pertinenziale. A Napoli sono veramente padri del diritto. L’utilità pertinenziale è una tradizione equense, e nasce col garage pertinenziale “satellite”. Il Comune, dopo aver fatto costruire da un’impresa privata le solite centinaia di box auto al di sotto di una grande piazza nel centro cittadino, ha organizzato un sorteggio per la vendita dei “box pertinenziali” a prezzo calmierato.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 5 della discussione
E molti equensi, napoletani e casertani hanno anticipato il diritto (la mattina s’alza il fesso e s’alza pure il dritto) ed hanno recintato pezzi di strada e demanio e, dopo averli fotografati alla presenza del proprio legale, li hanno dichiarati “pertinenza”. Usucapendo l’inusucapibile, cioè il Demanio. Sono nate officine, carrozzerie ed opifici vari lungo tutta la Circumvesuviana, soprattutto in zona Barra: tra le case popolari ed i binari vige la legge dell’imprenditoria abusiva, ed alla faccia dei cinesi. La ratio della norma è nata con l’obiettivo di fornire un posto auto alle abitazioni che ne sono sprovviste. Ma Napoli e dintorni, quando dai un dito, chi ci sa fare politicamente si prende tutto il braccio. Tutti i comuni stabiliscono una distanza ragionevole tra il box e l’abitazione (mediamente 500 metri) e pongono dei limiti perché un cittadino non si possa recintare ciò che gli garba. Nel Comune di Vico Equense la distanza è stata dilatata a tutto il territorio comunale, e se un terreno demaniale venisse abbandonato, l’equense subito lo recinterebbe. Sono veri e propri pionieri. Così decine di fortunati residenti sul Monte Faito si sono fatti assegnare il loro garage pertinenziale a molti chilometri da casa, ed a poche centinaia di metri dal mare: il garage è assurto a pied-a-terre per un meritato relax balneare. E Bassolino? Pare non dia molta importanza a queste cose, del resto la Regione in questo ambito attua il laissez-faire lasse passe. Un criterio che consente il massimo agio contrattuale per il consenso spicciolo. A fronte di queste enormità, la Regione Campania, nonostante le disposizioni del codice “Urbani-Rutelli”, preferisce glissare, anzi mette per iscritto che decidono, anno per anno i singoli comuni. Così succede che la Regione, per motivi di sovraccarico, non visiona e rimanda all’anno successivo. E’ il metodo del campare alla giornata, scuola politica napoletana. Ma queste cose Veltroni non le capisce, è rigido, se avesse studiato a Napoli capirebbe che la morale è ricontestualizzabile. La filosofia è filosofia, viene prima della politica.


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Dove andrà la Russia dopo la morte del patriarca Alessio II

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Paolo Della Sala


Ieri la Russia si è raccolta davanti ai resti mortali del Patriarca Alessio II. Semplici cittadini, Medvedev e Putin, tutti hanno voluto marcare con la loro presenza il segno di un’unità della Russia sotto il doppio valore del sacro e dello Stato, il modello postcomunista. Le dittature del ’900 hanno segnato il loro potere con la repressione dei culti. Quando Lenin impose la dittatura, il monastero della Santissima Trinità fu devastato quasi senza proteste. Molti membri della chiesa ortodossa tentarono la fuga in eremi lontani da Mosca, dove cercavano di pacificare fede e politica. Quando però arrivava l’esercito comunista, il clero veniva deportato e ucciso. Cominciò la distruzione delle chiese: le iconostasi e le panche all’interno delle chiese erano utilizzate come legna per il fuoco e i fedeli diventarono carne da macello. Le chiese si svuotavano, alcuni fedeli continuavano a pregare nei rifugi, molti altri preferirono arrendersi ai dettati del potere, anche se restava intatto il fascino dell’esicasmo, il nucleo mistico dell’ortodossia russa, basato sul trinomio Fuge, Tace, Quiesce. Dopo i primi anni della rivoluzione il Sobor vescovile del Patriarcato di Mosca aveva eletto il metropolita Tikhon, un forte oppositore del potere sovietico il quale nel 1922 decise di vendere tutti i beni privi di valore sacramentale. Il ricavato doveva contrastare la fame e il cannibalismo dovuti alla carestia.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Il regime non stava a guardare: nel 1922 vennero uccisi 2691 preti, 1962 monaci e 3447 monache. Tikhon venne imprigionato nel monastero Donskoj e dovette moderare la sua ostilità nei confronti della dittatura. Nel 1917 erano censite 77.767 chiese ortodosse, mentre all’inizio degli anni ’70 ne erano rimaste solo 6800. I monasteri passarono da 1498 a 12 e le scuole di teologia da 57 si ridussero a tre, nel 1970. Nel 1929 vennero sequestrate le campane con la motivazione che il loro suono “infrange il diritto al riposo delle grandi masse atee nei centri urbani e rurali”. Nel 1937 furono arrestati 136.000 chierici, 85.000 dei quali vennero trucidati, mentre gli altri partirono per i gulag. Dal 1917 al 1939 sparì l’85% del clero. Il Patriarca spirando aveva detto: “La notte sarà lunga e scura”. Il suo successore Sergio cercò di trovare un accordo col regime e passò alla storia col termine Sergianstvo, sinonimo di servilismo nei confronti dei potenti. La resa fu considerata un tradimento di Cristo e contribuì a delegittimare ancor più la chiesa. Tuttavia il sergianismo servì almeno a limitare il massacro del clero. Dopo la Liberazione del 1991 la Russia ha trovato una sua collocazione nel nazionalismo e nella chiesa, archetipo fondante della Santa madre Russia.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Il binomio fu fortemente voluto da Alessio II, che però secondo la Bbc sarebbe stato reclutato dal KGB nel 1958 col nome in codice di Drozdov. Secondo la ex spia Oleg Gordievsky “praticamente tutta la chiesa ortodossa era uno strumento nelle mani del Kgb, e il Patriarca Alessio era un agente tra i più importanti”. Negli anni di Eltsin e Putin in realtà non c’è stata la rinascita della fede auspicata dalle gerarchie. Il ricco formalismo liturgico maschera un sostanziale disinteresse nei confronti della religione. La morte di Alessio II è il sugello di questa seconda involuzione della fede in Russia. La nomenklatura politica e l’alto clero mantengono stretti e crescenti rapporti; il popolo si limita al voto plebiscitario in favore di questa Santa Alleanza, mentre il disinteresse per la politica e la religione è il culto dominante di una nazione che pure si è rifondata proprio su questo legame.


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Questione morale e Paese immorale

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Romano Bracalini


La “questione morale” torna a scuotere il paese. Non c’è settore della vita pubblica che non sia immune da un legittimo sospetto di corruzione e di condotta immorale. Ma il sospetto anche più grave è che l’intero paese abbia un tasso di moralità assai scarso e che la gente, a qualunque classe appartenga, non se ne faccia un cruccio eccessivo, dando per scontato che chiunque venga messo nelle condizioni di rubare, mentire, corrompere, rubi, menta, corrompa. Se non ci si mostra troppo intransigenti con i corrotti, i ladri, i mentitori, è per non esserlo anche con se stessi ammettendo implicitamente che nelle medesime condizioni si farebbe esattamente come loro. Massimo D’Azeglio, uno dei migliori uomini della destra storica, ebbe a dire: “Gli italiani pensano a riformare l’Italia e nessuno si accorge che per riuscirci bisogna prima che si riformino loro”. Vasto programma! Quante volte abbiamo sentito dire che fare il politico è una buona occasione per farsi gli affari propri, fare carriera e arricchirsi a spese dell’erario. Pensarlo, senza escludere che ciò possa avvenire davvero, è proprio di un paese corrotto, di infimo paese che non vede possibilità di redenzione e nemmeno se l’aspetta. Da questo punto di vista l’Italia è più prossima ai modelli oligarchici del Sudamerica che all’Europa civica. Giustino Fortunato, coscienza liberale e grande moralista, diceva non senza fondamento che “l’Italia è il Messico d’Europa”.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
La nostra è una storia secolare di infedeltà, di tradimenti, di corruzione morale, la storia di una società decadente e cinica divisa in caste e in corporazioni, come nel Medio Evo, la storia di un paese rimasto indietro nell’evoluzione sociale e del costume, perché nel paese della controriforma il cattolicesimo romano, languido e magniloquente, ha corrotto i costumi, indebolito il carattere, coltivato la malapianta del cinismo e dell’indifferenza. Papa Gregorio XVI, Gregoriaccio, come lo chiamava il popolino, chiedeva a un monsignore quali modi seguissero i romani per sopravvivere. “Ciascuno frega l’altro, Santità”, fu la risposta. La Chiesa è stata per lungo tempo la sola autorità riconosciuta, la sola unità possibile, e la società civile vi si è modellata con tutti i difetti e le mollezze del caso. Riconosceva il grande storico tedesco Ferdinand Gregorovius: “Tutti i paesi dominati dal cattolicesimo sono decaduti moralmente e politicamente”. Così, in Italia più che altrove, l’indulgenza ha prevalso sul rigore e sulle regole; il perdono sul senso di responsabilità individuale. Le conseguenze sono state disastrose e si vedono: un paese privo di disciplina e di nerbo, sfiduciato e inerte, preda del conquistatore di turno, sia che si chiami re, imperatore o partito. Oggi sono cambiati gli uomini e le circostanze, non il senso di rinuncia e la stanchezza morale. Il pensiero corre a un’altra lontana “questione morale”, la prima dell’Italia unita, quella sollevata in Parlamento da Felice Cavallotti nel 1894-95 contro Francesco Crispi e che culminò nella famosa “lettera agli onesti di tutti i partiti” che suscitò un immenso clamore senza cambiare il corso delle cose. Ma anche allora, dietro la campagna di moralizzazione, c’era l’intento di una parte politica, che si riteneva migliore, di raccogliere le sparse correnti democratiche, rifondare il “partito degli onesti”, dislocare una nuova maggioranza governativa e contrastare la concorrenza sempre più temibile dei socialisti.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
L’analogia con Tangentopoli ci pare piuttosto evidente. Nel crollo dei partiti tradizionali, DC e PSI, ci fu chi vide il modo di accampare un diritto di legittimità sulle macerie della prima repubblica; diritto che discendeva da una supposta superiorità morale. Il PCI di Enrico Berlinguer aveva riesumato la “questione morale” proprio in funzione della diversità comunista; i tempi sembravano dargli ragione e nel vuoto di potere dei partiti falcidiati dall’inquisizione giudiziaria, il PCI, mondato d’ogni colpa e complicità, ebbe tempo e modo di atteggiarsi a salvatore della patria. La famosa “diversità” giustificava il trattamento di favore e l’occhio di riguardo di una magistratura che svolgeva un ruolo di supplenza del tutto arbitrario e improprio. Le carriere politiche di ex magistrati hanno poi dimostrato che il passaggio dalla toga alla politica fu per taluni propedeutico ,uno scivolo prevedibile, il naturale sbocco dell’istinto inquisitorio e vendicativo. Si vide anche nel 1992 come la “questione morale” servisse per denunciare e condannare questo o quel personaggio o indirizzo di partito, azzerare i vecchi poteri e proclamarne di nuovi tutti integerrimi e virtuosi. Citando Lincoln: si può ingannare qualcuno per qualche tempo ma non tutti per sempre. La sinistra in crisi di identità e in leggero ritardo sulla storia, s’è sporcata infine le mani ed è caduta proprio nelle sue più agguerrite roccaforti di potere perdendo ogni residuo privilegio divino. Non è più il partito degli “onesti”, che non si sarebbe fatto processare da nessuno perché al di sopra di ogni sospetto, e gli è toccato l’onta di farsi processare da se stesso.


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I giudici prima litigano come ragazzini, poi fanno pace

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di Dimitri Buffa


Hanno litigato tra loro come ragazzini di quindici anni. Si sono perquisiti. A vicenda. Si sono messi tutti nudi. Per fortuna non si sono pure picchiati. Ma ieri alla fine hanno fatto la pace. Mentre tutto il mondo civile se la ride sotto i baffi, e anche sopra, in Italia sembra destinata a dirimersi così la disfida delle due procure di Salerno e Catanzaro. Guerra nata a proposito delle inchieste dell’ex pm Luigi de Magistris. E su chi eventualmente abbia tentato di sabotarle per motivi politici. Leggi il coinvolgimento nel famoso comitato di affari che l’accusa crede avere fatto capo all’imprenditore Antonio Saladino (quella della Compagnia delle Opere per il Sud) dell’ex premier Romano Prodi, dell’ex Guardasigilli Clemente Mastella e dell’attuale vicepresidente del Csm Nicola Mancino. E come sembrano assurde le modalità dello scontro formalmente in atto, per il quale per tutto il pomeriggio si sono susseguite davanti al Csm le audizioni dei vari magistrati coinvolti nella vicenda (al mattino le toghe catanzaresi titolari dell’inchiesta ’Why not’ e firmatari del sequestro del fascicolo, cioè Salvatore Curcio, Alfredo Garbati e Domenico De Lorenzo; poi nel pomeriggio i pm salernitani Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Antonio Centore, Patrizia Gambardella, Roberto Penna e Vincenzo Senatore, cioè tutti i magistrati che hanno partecipato al sequestro e alle famigerate perquisizioni svolte alla Procura di Catanzaro e nelle abitazioni di pm calabresi), ancora più incredibili appaiono le modalità della tregua armata.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Intanto il mallevadore della stessa sarebbe il procuratore generale capo di Salerno, Lucio di Pietro, magistrato che sebbene autore insieme ad altri suoi colleghi del più grandioso errore giudiziario del dopoguerra in Italia (l’arresto di Enzo Tortora come camorrista e spacciatore di droga nel giugno del 1983) non solo non ha pagato mai per il proprio abbaglio ma ha fatto anche molta carriera, sedendo persino al Csm per quattro anni, tempo fa. Poi il merito dell’accordo: dissequestro reciproco degli atti con Salerno che continua a indagare su Catanzaro, mentre quest’ultima procura continua tenersi le inchieste ereditate dopo il trasferimento di De Magistris. Tra tanti politici che fanno finta di niente o al massimo lanciano slogan che non significano nulla (“fare processi rapidi e garantire la certezza della pena” è il più gettonato tanto a destra quanto a sinistra negli inguardabili pastoni dei Tg), l’unico che come al solito non le manda a dire è il presidente emerito della repubblica Francesco Cossiga. Secondo cui “l’accordo in questi termini” sarebbe “una vergogna aggravata dal ridicolo”. Sostiene Cossiga che “ormai siamo alla risoluzione ’a trattativa privata’ dei conflitti di competenza e per di più in sede di giurisdizione penale...”. Cossiga chiosa sarcasticamente il tutto dicendo che le sue previsioni di “una tregua rapida tra le due procure in lotta dopo che il governo avesse solo minacciato di mettere mano alla riforma del sistema giustizia” si sono puntualmente avverate. E nel tardo pomeriggio il ministro di Giustizia Angelino Alfano si è anche affrettato a buttare altra acqua sul fuoco dichiarando che “nessuno vuole tagliare le unghie ai pm” e che la riforma della giustizia non verrà accelerata da questo episodio ormai ridimensionato come l’ennesimo “incidente di percorso”. Insomma da ieri la guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro è ufficialmente entrata nella fase della soluzione all’italiana.


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La diga spezzata

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Arturo Diaconale


Una diga non cede di colpo. Prima scricchiola, poi si aprono delle crepe, successivamente incomincia a perdere qualche pezzo ed, infine, crolla paurosamente provocando la formazione di un’onda dagli effetti devastanti di lunghissima portata. La lotta al coltello che si è aperta all’interno del Pd tra le diverse componenti ed, in particolare tra le due vecchie anime dei Ds dei veltroniani e dei dalemiani, equivale agli scricchiolii. La questione morale che riguarda il vecchio “partito” dei sindaci della sinistra, quello che fino all’altro ieri veniva dipinto come il baluardo più solido e più sano dello schieramento progressista, rappresenta le crepe. La fine del rapporto storico esistente da sempre tra il mondo post-comunista e l’armata editoriale di Carlo De Benedetti, mirabilmente decritta da Giampaolo Pansa, è uno dei pezzi che la diga del Partito Democratico incomincia a perdere in questi giorni. E, tanto per completare la metafora, i sondaggi sull’imminente voto in Abruzzo e sulle successive elezioni europee preannunciano un crollo che al momento appare difficilmente evitabile. Nessuno può pensare, infatti, che se alla scontata sconfitta abruzzese dovesse seguire una sconfitta ancora più marcata alle europee, tutto si possa risolvere con il semplice allontanamento di Walter Veltroni dalla segreteria.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Se il Pd dovesse scendere sensibilmente sotto il 30 per cento ed avvicinarsi alla quota tragica del 25, le liti tra le correnti verrebbero spazzate via come fuscelli dall’onda di piena ed a valle non precipiterebbero solo Veltroni ed i suoi più stretti collaboratori insieme con D’Alema ed i suoi fedelissimi di Red ma l’intero Partito Democratico frantumato in tanti spezzoni in urto continuo tra loro. L’ipotesi può dispiacere e spaventare. Perché la fine del Partito Democratico avrebbe come effetto immediato la fine di quel bipolarismo che, sia pure in maniera farraginosa e grossolana, ha assicurato un minimo di stabilità al sistema politico nazionale dalla caduta della Prima Repubblica ad oggi ed ha trasformato in realtà il mito della democrazia dell’alternanza. Ma la preoccupazione che può provocare l’apertura di una diversa fase politica e la ricerca di un nuovo equilibrio politico, non deve impedire di chiudere gli oggi di fronte alla realtà. Il Pd è sull’orlo della dissoluzione. E quando l’evento si determinerà (probabilmente entro il prossimo anno) lo scenario politico che si verrà a determinare sarà totalmente diverso da quello attuale. Non nel senso che la fine di un polo trascinerà con se la scomparsa anche di quello opposto. In questo caso non vale il detto latino del “simul stabunt, simul cadent”. Ma nel senso che al tracollo della sinistra non potrà non corrispondere un progressivo rafforzamento ed allargamento dell’area del centro destra.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
E questo finirà inevitabilmente con la trasformazione del sistema bipolare dell’alternanza in un sistema per molti versi simile a quello “tolemaico” degli anni del centrismo democristiano e della democrazia bloccata, con un Pdl saldamente attestato al centro della scena politica nazionale ed uno stuolo di satelliti più o meno vicini ruotanti attorno ad esso. Questo scenario futuribile ma non irrealistico finirà con l’influenzare pesantemente l’esito della frantumazione del Pd. Qualche spezzone verrà fatalmente attratto dalle vecchie sirene massimaliste e da quelle nuove giustizialiste. Ma una parte consistente non potrà non iniziare un percorso simile a quello intrapreso da Pietro Nenni a Pralognan. Nella speranza di arrivare nel tempo a ricostruire una sorta di centro sinistra riveduto e corretto. Sarà per questo che Umberto Bossi, che ha fiuto e vista lunga, sbuffa e chiede il federalismo subito?


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I veleni della magistratura e l'amaro della giustizia

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
di Giancarlo Loquenzi

Lo squarcio che si è aperto con la guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro offre allo sguardo una visione della magistratura italiana che mette i brividi. E’ così e basta: non veniteci a parlare di erbe, di fasci e di mele marce. Si tratta di una realtà che avevamo sempre sospettato ma che ora si spalanca sotto i nostri occhi senza più pudore.

Quello che si vede è la vicenda di un “ordine” irresponsabile e autoreferenziale che divora se stesso, che abbandona qualsiasi ancoraggio rispetto alla sua funzione e si avvita in una spirale di puro potere. Il fatto che i metodi che sino ad oggi abbiamo visto all’opera contro comuni cittadini (umiliazioni, perquisizioni improvvise, violazione di ogni riservatezza, soprusi di ogni genere) si rovescino contro gli stessi magistrati non è di alcun sollievo, anzi ci mostra che il sistema è ormai arrivato all’implosione finale.

L’unico prodotto che questa magistratura non sembra in grado di fornire è la giustizia. Tutto il resto è in abbondanza: veleni, vendette, ritorsioni, violazioni delle regole, carrierismo, rivalità, ambizione. Mentre i cittadini aspettano per anni giustizia per le loro vicende e i loro drammi, i magistrati di Salerno ascoltano per 65 volte il pm De Magistris e le sue storie di complotti e quelli di Catanzaro si aggrappano ostinatamente ad una inchiesta fumosa e irreale che a quanto sembra la Procura di Paola da mesi conduce in parallelo. L’accordo siglato in queste ore tra le procure di Salerno e Catanzaro è solo un esile compromesso grazie al quale i due uffici giudiziari potranno continuare a rimestare nel torbido dell’inchiesta why not a loro piacimento.

Lo scontro tra le due procure ha mostrato un tale disprezzo per le regole e le procedure che spaventa, perché regole e procedure dovrebbero proteggere i cittadini dall’arbitrio di chi commina pene e sanzioni in nome della legge. Se quelle regole e quelle procedure possono essere stravolte a piacimento in una guerra tra magistrati pensate quello che può accadere quando in ballo ci sono comuni mortali.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Il manto dell’indipendenza è servito a coprire i guasti dell’irresponsabilità; l’appello all’autonomia si è trasformato nell’asservimento ad un sistema di correnti più pervasivo e rigido di quello della politica. Così, mentre la grande stampa additava al disprezzo dei cittadini la “casta” dei politici, una casta di “funzionari delle Stato” ben più potente e intoccabile prosperava all’ombra di quel disprezzo.

Ma neppure davanti allo smascheramento di questi giorni c’è il segno di una resipiscenza. Persino l’intervento del capo dello Stato è stato accolto con fastidio e i veleni hanno raggiunto anche il sancta sanctorum del Csm, quello che i magistrati chiamano “l’organo di autogoverno”. Il presidente dell’Anm, Luca Palamara, parlando con l’organo ufficiale delle procure italiane, la Repubblica, non ha trovato di meglio che lanciare un avvertimento a Berlusconi perché “non strumentalizzi” la vicenda, “non prenda a pretesto” lo scontro in atto, per proporre una riforma della giustizia. Come se ci fosse bisogno di pretesti o di strumentalizzazioni per capire che la giustizia va riformata e radicalmente. Palamara, invece di fare atto di contrizione, lancia ultimatum al governo: “La Costituzione non si tocca”, con il giornalista che coraggiosamente gli chiede: “Contro la riforma tornerete quindi sulle barricate?”. Senza pensare che, se le cose non cambiano, sulle barricate ci finiranno i cittadini senza giustizia.

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Dietro la guerra tra Salerno e Catanzaro c'è il fallimento di un sistema

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
di Nicolò Zanon

Messi al cospetto della guerra tra le procure di Catanzaro e Salerno, alcuni timorati commentatori sostengono che essa non va presa a pretesto per invocare alcuna riforma dell’ordinamento giudiziario che diminuisca – il refrain è abituale – “l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. Il sistema vigente, argomentano, possiederebbe già gli anticorpi efficaci per rimediare alle storture, come mostrerebbe soprattutto il tempestivo intervento del CSM.

Non è così. Intanto, il CSM è intervenuto velocemente solo perché il Capo dello Stato, con un atto extra ordinem ma giustificato dall’eccezionalità della situazione, ha chiesto e ottenuto informazioni dai due uffici giudiziari, esplicitamente affermando che la vicenda è senza precedenti, gravida di implicazioni istituzionali e può determinare una lesione al bene supremo della funzionalità della giurisdizione.

Poi, ci sarebbe da riflettere sulle responsabilità dell’organo – lo stesso CSM! - che nominò i due procuratori ora in predicato di essere trasferiti per incompatibilità ambientale, ovvero di essere sottoposti a procedimento disciplinare.

Ma soprattutto (lo ammette a denti stretti anche G. D’Avanzo, La Repubblica del 5 dicembre), di fronte a questa vicenda è difficile sottrarsi all’impressione del fallimento della funzione d’accusa come “potere diffuso”.

Tecnicamente, l’espressione significa che, nell’attuale ordinamento giudiziario e processuale, gli uffici del pubblico ministero sono autonomi e indipendenti l’uno dall’altro, cioè non sono organizzati gerarchicamente. Non esiste quindi un unico organo di vertice del pubblico ministero, capace di impartire direttive a tutti gli altri uffici sottoordinati e responsabile all’esterno del modo in cui, complessivamente, la funzione d’accusa viene esercitata sul territorio nazionale. Anzi, l’esercizio dell’azione penale appartiene per intero all’assoluta indipendenza, sottratta a istruzioni e controlli gerarchici, della singola Procura territorialmente e funzionalmente competente.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
Secondo la giurisprudenza, nemmeno l’avocazione delle indagini preliminari da parte del Procuratore generale presso la singola Corte d’appello (esercitabile sulle procure del distretto) allude all’esistenza di un vero rapporto gerarchico: ma anche ad ammettere (senza concedere) che essa sia uno strumento di controllo gerarchico, resterebbe che le procure di ogni singolo distretto di Corte d’appello farebbero comunque parte per sé stesse, senza collegamenti con tutti gli altri uffici del p.m.

In definitiva, la guerra tra Salerno e Catanzaro è l’esempio estremo di quali rischi possa correre un sistema di uffici che, in relazione all’esercizio dell’azione penale, funzionano e agiscono in modo del tutto autonomo e indipendente, come monadi giudiziarie (nel nostro caso, monadi “impazzite”).

Come sanno gli addetti ai lavori, un certo coordinamento gerarchizzato delle funzioni d’indagine spettanti sul territorio agli uffici del p.m. è una vecchia rivendicazione, sempre respinta con orrore dalle vestali dell’assoluta libertà non solo di ogni singola Procura, ma persino di ogni singolo sostituto, in nome di una malintesa “personalizzazione” delle funzioni giudiziarie.

La gerarchizzazione interna dei singoli uffici di Procura, introdotta (o, forse, re-introdotta) dalle recenti riforme serve a poco, da questo punto di vista. E’ invece l’atomismo diffuso che caratterizza l’assetto organizzativo e i poteri degli uffici del p.m. nel nostro ordinamento (fu definito così dagli studiosi, fra cui Gianfranco Miglio, raccolti nel cosiddetto “Gruppo di Milano” nei primi anni ottanta) a richiedere qualche intervento urgente di manutenzione.

Immagino già i commenti delle vestali di cui sopra: qui si tenta di costruire un ordinamento gerarchico degli uffici del p.m., che possa definitivamente cancellare l’indipendenza del p.m., mettendolo sotto il controllo dell’esecutivo.

Non necessariamente. Riporto un progetto che non fu redatto dalla P2, ma fu presentato senza successo da Piero Calamadrei all’Assemblea Costituente. L’art. 19 del suo complessivo progetto prevedeva la seguente soluzione, sotto il titolo “Funzioni del procuratore generale Commissario della giustizia”

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Il procuratore generale Commissario della giustizia è nominato dal Presidente della Repubblica tra i magistrati aventi il grado di procuratore generale di Corte di appello o di Corte di Cassazione, scegliendolo in una terna proposta dalla Camera dei Deputati all’inizio di ogni legislatura.

Esso è il capo degli uffici del pubblico ministero, dei quali vigila e coordina l’azione; fa parte di diritto del Consiglio Superiore della Magistratura; esercita l’azione disciplinare presso la Suprema Corte disciplinare, esercita l’ufficio di pubblico ministero presso la Suprema Corte costituzionale.

È l’organo di collegamento tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato; e come tale prende parte al Consiglio dei Ministri con voto consultivo e risponde di fronte alle Camere del buon andamento della Magistratura. Rimane in carica per tutta la legislatura anche in caso di cambiamento del Gabinetto; ma deve dimettersi qualora una delle Camere gli dia uno speciale voto di sfiducia.

Chissà che, in tempi di ventilate riforme costituzionali della giustizia, la vicenda De Magistris non sia l’occasione per tornare a riflettere insieme a uno degli indiscussi maestri del nostro diritto.

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Così l'Europa (e l'Italia) vogliono ammodernare le infrastrutture

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione
di Luca Pautasso

L’attesissimo via libera ai finanziamenti destinati al nostro paese per ridare respiro ai progetti della linea ad alta velocità Torino-Lione, ma anche ai lavori per il traforo del Brennero, a quelli per la linea Trieste-Divaca, e al cantiere per l’ammodernamento del nodo ferroviario genovese, riapre la corsa europea all’ammodernamento e al potenziamento delle infrastrutture.

Per il nostro Paese, un’occasione fondamentale per non restare tagliato fuori dal faraonico progetto del “Corridoio 5”, la lunga arteria ferroviaria che, nei disegni di Bruxelles, collegherà il Baltico alla penisola iberica consentendo lo spostamento a tempo di record di migliaia di passeggeri e milioni di tonnellate di merci attraverso l’Europa.

E’ da leggere proprio sotto quest’ottica l’annuncio entusiastico del vicepresidente della Commissione Ue responsabile per i trasporti, l’europarlamentare forzista Antonio Tajani, che venerdì in un comunicato ufficiale ha elencato tutte le “grandi opere” foraggiate attraverso l’ok dato da Bruxelles. E’ stato proprio lo stesso Tajani a siglare gli undici provvedimenti targati Ue sulle “grandi opere” in cantiere per il quinquennio 2007-2013 nell'ambito del programma per le reti transeuropee di trasporto, chiamato Ten-T. Assieme all'Italia, nell’elenco dei progetti che riceveranno finanziamenti dall'Unione Europea rientrano anche importanti infrastrutture in Austria, Francia, Germania, ma anche Slovenia e Ungheria.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione
«Sono particolarmente orgoglioso di annunciare che oggi la Commissione ha adottato queste 11 decisioni di finanziamento, che contribuiranno in misura decisiva a realizzare la galleria del Brennero e quella del Moncenisio, fra Torino e Lione, e ad avviare la preparazione della linea ferroviaria fra Trieste e Divaca» ha detto il vicepresidente della commissione trasporti Ue. «Investire oggi in infrastrutture di trasporto cruciali per l'Europa dimostra che l'Unione europea è in grado di rispondere alla crisi economica, nel breve periodo accelerando i progetti di infrastruttura e nel medio periodo realizzando la rete ferroviaria di base che sosterrà la competitività dell'Europa e affronterà la sfida dei cambiamenti climatici».

Sui cantieri italiani, le previsioni del tempo da qui al 2013 parlano di una benefica “pioggia” di 1,6 miliardi di euro. Si tratta di “nuvoloni” destinati ad “annaffiare” direttamente progetti programmati per l’Italia, o altri basati fondamentalmente all’estero ma che comunque rivestono un interesse di primo piano per il Paese. Di questo maxi-finanziamento stanziato da Bruxelles, ad esempio, 670 milioni sono destinati solo ai lavori di realizzazione del tracciato Tav da Torino a Lione.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione
Ma ecco nel dettaglio, seguiti dall’importo complessivo del relativo finanziamento europeo, quali saranno le “grandi opere” tricolori che verranno aiutate con il denaro dell’Unione. In primis, proprio sulla linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, la costruzione della via di accesso alla galleria di base in Francia, con un finanziamento di 4 milioni 700mila euro. Sempre per il tracciato del Tav, ci sono poi i 671milioni 800mila euro annunciati in apertura da Tajani, che verranno destinati a studi e opere per la sezione transfrontaliera dell’infrastruttura. Quindi, nell’ordine in cui sono stati elencati dal commissario Ue per le infrastrutture e i trasporti, 24 milioni erogati per gli studi di progettazione della sezione fra Ronchi dei Legionari Sud e Trieste; quasi 60 milioni per progettare la sezione transfrontaliera della linea ferroviaria Trieste-Divaca; altri 800 milioni di euro circa per studi e opere relative alla gallerie di base del Brennero, assieme a 58milioni per la realizzazione dell’accesso sud alla galleria del Brennero, tra Fortezza e Verona. Infine, per sostenere gli studi sul nodo ferroviario di Genova, nell’ambito delle opere di modernizzazione sulla tratta Genova Voltri-Genova Brignole, l’Europa ha deciso l’esborso di altri 5 milioni di euro.

Ora, però, tocca ai governi fare sì che il documento siglato a Bruxelles non si areni. Lo ha sottolineato con particolare vigore proprio lo stesso Tajani, che ha chiamato all’ordine gli stati membri beneficiari del programma di finanziamento perché si impegnino affinché le somme destinate vadano a buon fine. Ma il suo appello è stato esteso anche ai privati, perché colgano un’occasione propizia a far uscire l’economia dall’attuale impasse: «Serve un impegno forte da parte degli Stati membri – ha dichiarato infatti Antonio Tajani - e mi auguro anche una partecipazione dei privati con le garanzie che offrirà l'Ue: il settore delle infrastrutture – ha proseguito - e' il modo migliore per reagire a una crisi economica e finanziaria che non può vedere la stessa Unione Europea e gli stati membri giocare in difesa». Quello che davvero occorre, secondo il commissario, è giocare tutti in attacco, lancia in resta, pigiando al massimo il pedale dell’acceleratore, pronti a cogliere la preziosa occasione di rilancio economico offerta da questa ventata di novità proveniente dai forzieri di Bruxelles: «Dobbiamo giocare all'attacco, e reagire a questa crisi sperando che dall'inizio del 2010 ci sia una ripresa. E il sistema della infrastrutture con la realizzazione di opere pubbliche può essere un sistema validissimo». Ora che i soldi ci sono, assieme alla volontà politica, si attende soltanto più l’apertura dei cantieri. Che, però, non potranno partire finché non sarà stato trovato un accordo sui progetti dei tracciati, per ora ancora in “forse: L’Italia e la Francia, infatti, hanno ricevuto l’ok al dossier di finanziamento presentato per il tratto transfrontaliero che va da Saint Jean de Maurienne fino a Sant’Antonino di Susa, ma manca ancora un progetto vero e proprio su cui lavorare. Per averlo, infatti, occorrerà ancora aspettare parecchio, almeno un paio d’anni. Il “cronoprogramma”, salvo rallentamenti, prevede che entro aprile del 2009 debba essere indetta la gara per assegnare la progettazione preliminare. Aperta la gara, ci saranno ancora undici mesi di tempo perché le parti interessate presentino un progetto e lo sottopongano alle normali procedure di impatto ambientale.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione
Come, ad esempio, quelli della protesta. Specie in una Valle di Susa che le carte vorrebbero attraversata al più presto dal tracciato Tav, ma in cui la protesta popolare contro l’infrastruttura in progetto non accenna a scemare. Sabato, a Susa, quasi 20mila persone sono scese in piazza a manifestare contro il progetto dell’Alta velocità, prendendo le distanze dai lavori dell’Osservatorio, che proprio oggi è chiamato discute sul dossier presentato dal Governo italiano a Bruxelles e sulle “specifiche di progetto”, ed annunciando che, se i cantieri dovessero riaprire, si tornerebbe ai blocchi e alle proteste dell’autunno “caldo” del 2005.

All’appello di Tajani ai governi, però, l’esecutivo italiano aveva già chiaramente risposto nel marzo di quest’anno, per bocca dello stesso premier Silvio Berlusconi: «Lo Stato – aveva dichiarato - deve usare la sua forza e la sua autorità per far rispettare i diritti di tutti i cittadini. Non può una minoranza organizzata, con dei pretesti, cercare di fare ciò che è stato fatto e che si fa bloccando un aeroporto, un’autostrada, una ferrovia. Tutte queste cose, in una democrazia, in uno stato di diritto, non possono esistere».

Il futuro di quella che dovrebbe essere la più importante infrastruttura italiana in cantiere sarà dunque prevedibilmente condizionata da altri lunghi, estenuanti, bracci di ferro tra il Governo centrale, intenzionato a tirare diritto e a recuperare il tempo “perduto per strada” in questi anni, un Osservatorio diviso tra la sicumera del suo presidente e le cautele degli enti locali, e ancora i sindaci e gli amministratori della Valle, molti dei quali decisissimi a dare battaglia.

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Se valesse il merito e non la laurea l'Italia sarebbe un paese migliore

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione
di Adriano Gianturco Gulisano

Da un anno a questa parte oltre a essere sbandierata come questione fulcro, l’Istruzione riempie anche le pagine dei giornali e la meritocrazia è diventata quasi patrimonio comune della mentalità italica da seconda repubblica, la quale tra i tanti propositi aveva quello di coniugare proprio la Scuola e il merito usando la leva dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, che nulla ha a che fare con il valore “reale”.

La legge 133 sui tagli che hanno colpito anche l'Istruzione e le proposte del ministro Gelmini sono state nell’opinione pubblica italiana come un maremoto. L’ “onda” non è stata solo immaginaria e ora è da vedere se gli effetti saranno anche reali. Tra i tanti propositi ci sono quelli che riguardano la meritocrazia: un freno agli scatti di anzianità, incentivi a non cooptare i candidati interni e valutazione.

Con Hayek però sappiamo che anche le buone intenzioni hanno esiti inintenzionali e a volte addirittura non voluti. Simili aggiustamenti tecnici con valutazioni dall’alto fanno dubitare i logici della domanda e dell’offerta. Il timore è che, nonostante tutto, il valore legale del titolo di studio attribuito egalitariamente a tutti i “pezzi di carta” fornisca, a chi vuole entrare nell’Amministrazione pubblica e negli Ordini professionali, un infinito incentivo ad ottenerlo nel modo più efficiente possibile: nell’università più facile e meno pretenziosa. I professori non preparati o non propriamente stacanovisti continueranno così a vedersi premiati da aule piene in barba agli ingranaggi artificiali meritocratici.

In realtà l’incentivo al merito non è qualcosa da creare e inserire nel sistema, ma da scoperchiare e far venire a galla. Esisterebbe se non si livellassero davanti alla legge tante lauree ottenute con docenti, competenze e meriti diversi. Che incentivo si può mai creare a correre più velocemente se poi vengono date medaglie tutte uguali ben spendibili nell’amministrazione pubblica e nelle libere professioni regolate dagli Ordini professionali?

Il ministro dell’Istruzione si è espressa in favore di una tale modifica, affermando che ''l'abolizione del valore legale può essere un azzardo ma è stato comunque inserito nelle linee guida. Forse il sistema può non essere maturo e quindi non sarà il primo punto da affrontare, ma è un punto di arrivo''.

Il punto però potrebbe essere il contrario: se non è il punto di partenza, non ci sarà nessun reale incentivo al merito. È invece un sistema assolto dai naturali incentivi e disincentivi che deve affidarsi alla buona volontà dei singoli operatori e alla loro maturità.

Ora, il ministro Brunetta si è recentemente espresso con forza su questo tema e anche Sacconi sembra da tempo così orientato. I due potrebbero riaprire il dibattito o addirittura fare da sé eliminandone gran parte degli effetti. Potrebbero infatti prevedere che per l’accesso e la carriera nella Pubblica Amministrazione i titoli di studio non abbiano più nessun valore “necessario e cogente” e che per gli Ordini professionali non sia più un requisito imprescindibile ma che in ogni titolo “bisogna guardarci dentro”, osservare quali esami e competenze specifiche si siano ottenuti, con quali professori ecc., per rivalutare l’Istruzione per il suo immenso valore effettivo e non solo formale.

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Riforme. Tremonti: "Federalismo garantisce diritti sociali fondamentali"

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione
Il Ddl delega del Governo sul federalismo fiscale "è pienamente coerente con le norme costituzionali", essendo stato elaborato "in coerenza con le competenze dei diversi livelli di governo e con l'esigenza di assicurare il pieno godimento dei diritti sociali fondamentali". Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, intervenendo ieri in sede di replica nel corso dell'esame in commissioni riunite al Senato del Ddl sul federalismo fiscale.

Al riguardo, secondo quanto riportato dal resoconto parlamentare, Tremonti ha anche sottolineato che "lo stesso passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard muove dal proposito di assicurare a tutti i cittadini il concreto godimento dei diritti sociali fondamentali e il pieno accesso alle prestazioni essenziali. Esso appare coerente, inoltre, con l'esigenza di assicurare un tendenziale allineamento tra cosa amministrata e cosa tassata, la cui realizzazione è il fondamento di ogni autentico sistema fiscale di tipo federale".

Per il ministro dell'Economia, quindi, "l'attuale disegno di legge sul federalismo fiscale fa riferimento a un quadro costituzionale profondamente mutato a seguito della riforma del Titolo V e coerentemente vuole non tanto modificare il sistema fiscale, ma adattare il modello attuale al sistema costituzionale vigente".

Tremonti, davanti alle commissioni Affari costituzionali, Bilancio e Finanze di Palazzo Madama, ha ritenuto necessario "ribadire che un federalismo istituzionale può concretamente realizzarsi solo se è accompagnato da una coerente riforma fiscale di tipo federale, essendo quest'ultima elemento fondamentale delle strutture democratiche a tutti i livelli, caratterizzato dal tendenziale allineamento tra cosa amministrata e cosa tassata".

Il ministro ha rilevato infine che "l'attuazione del federalismo fiscale è un processo che inevitabilmente tende a svilupparsi con modalità non lineari, caratterizzandosi per l'alternanza di forti accelerazioni e di brusche frenate e, talvolta, di arretramenti".

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Senato. Villari espulso dal Pd: ora sta nel gruppo misto

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione
Il senatore Riccardo Villari, escluso dal Pd dopo essersi rifiutato di dimettersi dalla presidenza della Commissione di Vigilanza Rai dove era stato votato solo dal centrodestra, è diventato ufficialmente componente del gruppo misto del Senato. La notizia è stata data dalla presidenza del Senato in aula.

Il 5 dicembre la capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, aveva comunicato che il senatore Villari aveva cessato di far parte del suo gruppo.

Il neopresidente della Vigilanza Rai è stato quindi iscritto al gruppo misto pur non avendolo richiesto giacché, secondo l'art. 4 del regolamento del Senato, tutti i senatori debbono appartenere ad un gruppo parlamentare. Di conseguenza, "i senatori che non abbiano dichiarato di voler appartenere ad un gruppo formano il gruppo misto".

Tra i nuovi colleghi di Villari, c'è il presidente del gruppo misto è Giovanni Pistorio dell'Mpa, ma ne fanno parte, oltre a un altro senatore della Mpa Vincenzo Oliva, anche i senatori a vita Carlo Azeglio Ciampi, Rita Levi Montalcini, Oscar Luigi Scalfaro e Sergio Pininfarina.

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Il pesce puzza dalla testa. E la testa è il Csm

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione
di Carlo Panella

Dunque, tutto a posto: grazie al Csm il Pg di Salerno e quello di Catanzaro si sono accordati circa la buffonata del reciproco sequestro degli atti dell'inchiesta Why Not. Siamo di nuovo al ''tutto va ben, madama la marchesa''. Con improntitudine ineffabile il Csm, la Anm, i magistrati, continuano a far finta di rispettare codici e procedure e trattano quella immensa partita di letame che è quest'inchiesta, come fosse fornitura di violette.
Il punto è che -come tutte le caste- quella dei magistrati ha ormai perso il rapporto con la realtà, con il paese; Csm e Anm sono convinti che basti dispensare al popolo bue qualche pizzico di latinorum e i loro contorti ragionamenti da azzeccagarbugli potranno continuare indisturbati. Guerre intestine incluse.
Non è così, ma sarà così, sino a esiti ancora più drammatici, se il Pd non si sveglerà dal suo sonno della ragione e non concorderà con il Pdl una dura riforma moralizzatrice della magistratura.
Probabilmente non lo farà, per la teribile ragione che il Pd di Veltroni è intriso di quella cultura del sospetto e del doppio Stato, che è l'essenza del pensiero reazionario di Travaglio e di Di Pietro. Quindi tutto sa fare, tranne che rompere con l'intrigo giudiziario.
Ma ormai il mondo della giustizia in Italia è tanto marcio che puzza. E molto

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La Bce ai governi Ue: "L'incertezza è elevata, attuare piani anticrisi"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
La crisi c'è ed è destinata a durare. Sullo sfondo di un livello di incertezza, che resta "sempre elevato", la debolezza economica mondiale è destinata a durare. La Bce invita i governi ad attuare le misure annunciate

Francoforte - La crisi c'è. Ed è destinata a durare. Non solo. Sullo sfondo di un livello di incertezza, che resta "sempre elevato", la debolezza economica mondiale è destinata a durare piuttosto a lungo. Per questo, nel bollettino mensile di dicembre la Bce invita i governi ad attuare le significative misure annunciate per far fronte alle turbolenze finanziarie. I tecnici di Francoforte calcano la mano: "I piani devono essere attuati rapidamente in modo da contribuire ad assicurare l’affidabilità del sistema finanziario e da evitare limitazioni nell’offerta di credito alle imprese e alle famiglie".
Economia mondiale debole Nei prossimi trimestri si ravvisa "il perdurare della debolezza dell’economia mondiale e del forte ristagno della domanda interna". La Bce ricorda le stime degli esperti dell’Eurosistema che prevedono un tasso di crescita annuo del pil in termini reali compreso in un intervallo tra lo 0,8 e l’1,2% nel 2008, tra il -1% e lo zero per cento nel 2009 e tra lo 0,5 e l’1,5% nel 2010. Dati, questi, che rappresentano una consistente revisione verso il basso rispetto alle precedenti proiezioni per il 2008 e il 2009 degli esperti della Bce, pubblicate a settembre. Da settembre, rileva l’Istituto di Francoforte, "le turbolenze nei mercati finanziari si sono intensificate e diffuse. Le tensioni si sono propagate in misura crescente dal settore finanziario all’economia reale e nel suo insieme l’economia mondiale risente dei loro effetti avversi". Nell’area dell’euro, sottolinea la Bce, "si sono manifestati diversi rischi al ribasso per l’attività economica, individuati in precedenza, determinando nel terzo trimestre una flessione dello 0,2% della crescita del pil in termini reali sul periodo precedente, in base alla stima preliminare dell’Eurostat. I risultati delle indagini disponibili e gli indicatori mensili per ottobre e novembre suggeriscono che l’attività economica si è indebolita ulteriormente nel quarto trimestre dell’anno".
Livelli di incertezza alti "L’incertezza riguardo alle prospettive economiche resta eccezionalmente elevata". Secondo la Bce, "i rischi per la crescita economica sono orientati verso il basso e sono connessi principalmente alla possibilità di un maggiore impatto sull’economia reale delle turbolenze nei mercati finanziari, nonchè ai timori di spinte protezionistiche e a eventuali sviluppi disordinati legati agli squilibri mondiali". Il Consiglio direttivo della Bce, che lo scorso 4 dicembre ha ridotto ulteriormente i tassi di interesse di 75 punti base (dopo le due riduzioni di 50 punti base annunciate l’8 ottobre e il 6 novembre scorsi), evidenzia come «gli effetti dell’acuirsi e del diffondersi delle turbolenze dei mercati finanziari, in particolare, freneranno probabilmente la domanda su scala mondiale e nell’area dell’euro per un periodo di tempo prolungato". Il Consiglio direttivo dell’Istituto di Francoforte, comunque, "seguiterà a preservare il saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione in linea con il proprio obiettivo di medio termine, al fine di favorire la crescita sostenibile e l’occupazione e di contribuire alla stabilità finanziaria". La Bce "continuerà dunque a segui

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Pestato da banda di romeni ubriachi: in coma

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Vittima un vicentino di 26 anni: il giovane ha battuto la testa cadendo a terra. Gli stranieri, un gruppetto di cinque uomini, da ore girovagavano per i bar cercando di scatenare risse. Tre sono finiti in carcere, un altro è stato denunciato. Feriti altri due italiani

Vicenza - Ad Arsiero (Vicenza) quei romeni li conoscono bene. La loro fama di attaccabrighe e violenti ha già avuto modo di finire negli archivi dei carabinieri per via di una denuncia per lesioni. L’altra sera hanno fatto il salto di qualità, colpendo selvaggiamente Diego Scarabelli, 26 anni, operaio di Velo d’Astico, facendolo cadere dopo l’ennesimo pugno. Il giovane ha battuto la testa e ora è in coma all’ospedale di Vicenza. E stavolta sono scattate le manette, con l’accusa di tentato omicidio, per Marlus Gindac di 19 anni, Vasile Oancea di 29 e Ion Firel Tudor di 31, mentre un quarto connazionale è stato denunciato a piede libero dai carabinieri della Compagnia di Schio.
Succede tutto al bar Spritz, ad Arsiero. Nel locale, gestito da cinesi, c’è un pensionato che viene preso di mira da questi romeni, a quante pare esaltati anche dall’alcol in corpo. Un giovane, amico di Scarabelli, li invita a lasciarlo stare e la cosa sembra finire lì. Qualche ora dopo, però, Diego Scarabelli entra allo Spritz con gli amici per bere qualcosa.
«Eravamo appena arrivati - ha raccontato Nicola, uno del gruppo - e aspettavamo che ci servissero una birra. A un certo punto è entrato un romeno per vendicarsi dell’affronto, così almeno lo giudicava lui, subito poche ore prima».
A quel punto fuori dal locale si è scatenata una rissa, provocata dal gruppo di stranieri. Prima hanno colpito a un occhio l’autore dello «sgarbo» poi, visto che gli altri stavano uscendo per cercare di difendere il malcapitato, hanno proseguito nel pestaggio. A uno hanno fratturato una mano, un altro è rimasto lievemente ferito, ma ad avere la peggio è stato Scarabelli. «Diego voleva andare a fare da paciere - ha spiegato uno dei suoi amici - anche perché lui è uno che odia le risse, è contro ogni tipo di violenza. Lo hanno preso a pugni, lui è caduto, ha sbattuto la testa e ha perso i sensi. Hanno però continuato a colpirlo. Poi sono scappati».

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Giustizia, Berlusconi: "Cambiare la Costituzione"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione
Il premier: "Presto un nuovo ordinamento, ordini separati per giudici e pm". All'opposizione: "Non posso dialogare con chi mi accusa di essere Hitler". Porte spalancate all’Udc.
Roma - Fosse per lui, non siederebbe «mai» al tavolo con questa opposizione. Anche se il dossier da esaminare fosse la riforma della giustizia. Anche se fosse necessario modificare la Costituzione, ipotesi tutt’altro che peregrina, anzi. D’altronde, ripete, con la sinistra che ci ritroviamo, che spara ogni giorno sull’inquilino di Palazzo Chigi, è impossibile parlare di dialogo. Magari non lo fosse...
Silvio Berlusconi espone così il suo pensiero. E al mattino come a sera, dalle colonne del free-press Pocket o dal palco allestito al Tempio di Adriano, dove Bruno Vespa presenta il suo ultimo libro, Viaggio in un’Italia diversa, fissa ancora una volta i paletti. Senza perdere di vista gli ex alleati dell’Udc, per i quali «le porte del Pdl sono sempre spalancate».

E ricordando gli interventi per superare la crisi economica. Ma nel menù del Cavaliere finisce pure il pacchetto Ue sul clima («sono pronto al veto se sarà leso il nostro interesse»), il partner straniero per Alitalia («meglio solo accordi commerciali»), le Europee («credo voteremo con la legge attuale»), la missione in Afghanistan («con il generale Petraeus non si è parlato di nessun aumento delle nostre truppe»)...

Insomma, di tutto, di più. Ma il tema centrale, non foss’altro per la sua attualità politica, è la riforma della giustizia. «Fin quando sarò al governo - premette il premier - non mi siederò mai a un tavolo» con l’opposizione, «con questi individui», perché «ha ragione Bonaiuti quando dice che sono marxisti, leninisti». Insomma, ci vorrebbe «un cambio di generazione per avere da noi una socialdemocrazia», ma finché non si realizzerà «non accetto di parlare con questo tipo di persone». Anche se, riconosce, «in Parlamento i vari gruppi potranno decidere come più riterranno opportuno». Dialogo a parte, Berlusconi annuncia pure il via libera a un’eventuale modifica della Costituzione: «La Carta si può cambiare. Ci sono due votazioni con 6 mesi di tempo l’una dall’altra, poi a decidere se la riforma sarà giusta saranno i cittadini, che avranno l’ultima parola. Questa è democrazia».

Ma al di là di tempi e percorsi legislativi («da vero liberale lascio queste cose al ministro della Giustizia, mi sembra però difficile presentare la riforma entro Natale»), il Cavaliere rilancia i punti chiave condivisi dalla maggioranza: «Siamo per la separazione degli ordini, non voglio dire delle carriere, ma degli ordini sì». Tutto ciò «significa che chi giudica farà parte di un ordine, mentre chi rappresenta la pubblica accusa farà parte di un altro. E quando dovrà andare a parlare con il giudice, dovrà ottenere un appuntamento, bussare alla sua porta e dargli del lei».

Poche speranze anche per un’intesa con il leader del Pd. In questo caso, spiega Berlusconi, la «chimica» non c’entra, perché «in politica contano i comportamenti». Il motivo per cui il suo rapporto con Walter Veltroni non riesce a decollare è un altro. Ai tempi «del Lingotto», ricorda, quando il segretario democratico «diceva basta alla demonizzazione dell’avversario politico», il dialogo «sembrava possibile». Poi, però, «si è alleato con Di Pietro e ne ha seguito l’esempio, accusandomi di regime». Fine dei giochi? In ogni caso, ecco la ricetta giusta: «Quando

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Adalberto Signore: Quei 15 anni di processi-show finiti nel nulla

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Reati a grappolo. Connessioni planetarie. Un contorno massonico che di questi tempi non si nega a nessuno. È la moda irresistibile delle roboanti inchieste di questi ultimi anni, rotolate sull’opinione pubblica nella stagione post Mani pulite. Indagini altisonanti, con l’immancabile coinvolgimento di vip e un libro intero di intercettazioni telefoniche. Si sono moltiplicate dopo il Duemila e spesso portano alla ribalta Procure periferiche: la Catanzaro di Luigi De Magistris, la Potenza di Henry John Woodcock e poi, giù giù, quell’immancabile cratere dei misteri e delle dietrologie che è Palermo, dove da anni appare e scompare quel procedimento sul Terzo livello chiamato Sistemi criminali, all’incrocio, supportato da qualche chilo di libri e saggi, fra le bombe dei Corleonesi e i primi vagiti di Forza Italia. A Palermo i dibattimenti senza fine, gestiti da uno squadrone di Pm cresciuto alla scuola di Giancarlo Caselli, si ribaltano spesso in viscide assoluzioni che poi tutti, Pm e imputati, tirano da una parte e dall’altra. Di fatto, la montagna dei processoni politici, cominciata nel ’93, ha generato assoluzioni a raffica: Andreotti, Carnevale e da ultimo Mannino.
Si fatica, correndo da una parte all’altra d’Italia, a trovare condanne. Quelle definitive sono merce rara. In compenso si scorgono con facilità inchieste permanenti o semipermanenti che si ammalano di bulimia, si dividono in filoni e sottofiloni, poi esplodono in una sorta di big bang giudiziario, e vengono smembrate. Pensiamo a Vallettopoli: una parata senza fine di star e starlette, sempre a Potenza, sempre utilizzando intercettazioni su intercettazioni apparentemente schiaccianti. Poi, inevitabilmente, l’inchiesta ha toccato terra e perso pezzi. Ricordate Vittorio Emanuele? A Como, la sua posizione è stata archiviata. A Potenza, no. Però il carico delle accuse è ridimensionato.
A Milano, il processo Vallettopoli è quasi immobile, nel mare stagnante delle dichiarazioni smorza gossip di tante illustri vittime che vittime di Fabrizio Corona dicono di non essere state: da Michelle Hunziker a Simona Ventura. È sempre così: Mani pulite andò lontano partendo da una bustarella, per di più buttata in un Wc. Oggi, i Pm iniziano spesso con solenni dichiarazioni di guerra.


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Luca Telese: Guerra Walter-Massimo finirà con due sconfitti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
L’eterno duello inizia alla Fgci, quando il líder Maximo fece fuori l’avversario Poi gli avvicendamenti alla guida di "Unità", Botteghe Oscure e Palazzo Chigi. Per i due leader non c'è alcun dissapore ma in realtà si scontrano dal '77.
RomaOvviamente l’incontro è andato «benissimo». Così bene che i due hanno persino steso un «comunicato congiunto», come se fosse il faccia a faccia tra capi di Stato, un summit fra due superpotenze. C’è qualcosa di irraccontabile nell’ennesimo capitolo della telenovela fra Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Come in quel film - Ricomincio da capo - in cui Bill Murray si risveglia tutte le mattine nella stessa città, stessa ora, stessa canzonetta alla radio, imprigionato in un incantesimo che lo vede costretto a ripetersi.
C’è qualcosa che ricorda la commedia. Ma anche qualcosa che ha un sapore arcaico: la terza guerra punica veltrodalemiana, quella per il controllo del Pd. È noto: sempre Veltroni e D’Alema smentiscono ogni dissapore. Duellano senza tregua, e mai riescono a mettere in campo, alla luce del sole, una dialettica chiara, intellegibile ai comuni mortali, simile a quella di tutti i partiti socialdemocratici che amano citare. Persino lo scontro rusticano e fratricida fra Tony Blair e Gordon Brown - paragonato a quello fra i due dioscuri del postcomunismo italiano - pare una sfida cavalleresca, all’acqua di rose. Questa estate un giorno, Veltroni mi gridò contro, scocciato: «Voi giornalisti volete a tutti i costi raffigurarci come due duellanti, due Highlander!». Forse attribuiva a me, quello di cui non riesce a prendere atto lui. Eravamo a un a conferenza stampa in cui lui presentava la sua Youdem tv, varata in fretta e furia contro la Red tv dalemiana (!).

Ieri l’ennesimo dettaglio surreale: dopo l’incontro lampo con Veltroni,diffusi i messaggi di concordia, D’Alema corre a Napoli, a prendere un caffè in pubblico. E indovinate con chi? Con il più aggressivo dei ribelli anti-veltroniani: Antonio Bassolino. In quel mentre Veltroni era riunito con il segretario campano per capire come farlo dimettere. Meraviglioso. Davvero un segnale di consonanza. Ma per raccontarla, questa storia, bisogna avvolgere la bobina, fino alla fine del 1977, quando Veltroni viene di fatto «segato» nella Fgci di cui D’Alema diventa segretario. È il primo momento di differenziazione fra i due. Veltroni è più giovane, ma già fautore di una linea diversa, meno identitaria, più eclettica. Veltroni a Roma dialoga con Pasolini, D’Alema è il giovane funzionario (e figlio d’arte) che il partito mette alla testa dell’organizzazione per sostenere l’urto pauroso del 1977 su una linea ortodossa e antigruppettara. Se si salta un decennio, li si ritrova di nuovo in competizione. Veltroni è uno degli uomini più vicini ad Achille Occhetto, D’Alema è già il suo competitore.


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Il tramonto dei predicatori

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Contestata pure la Guzzanti Dopo i blitz contro Grillo e Moretti, adesso tocca alla girotondina Gli studenti interrompono il suo show, lei li insulta: «Siete meschini»
Chi di Onda ferisce di Onda perisce. È il contrappasso dei girotondini: gira che rigira alla fine ti accorgi che c’è qualcuno, ancora più esagitato, che ti sta facendo il girotondo attorno. E a quel punto, la libertà di espressione ti piace un po’ di meno. Prendete una come Sabina Guzzanti. Ha cavalcato l’Onda al punto che ancora un po’ ci annega dentro. Lei è una tosta, famosa per andarci giù pesante. Ma le sue invettive sono arte, finezze umoristiche, mica roba becera. Al Papa ha gentilmente augurato di «finire all’Inferno, tormentato da dei diavoloni, frocioni, molto attivisti, poco passivisti». Un sonetto del Petrarca. Anche per le donne del governo ha composto una deliziosa canzonetta: «Osteria delle ministre/ para ponzi ponzi po/ le ministre son maestre/ para ponzi ponzi pa/ e se a letto sono un portento/ figuriamoci in Parlamento/ dammela a me...» e via cantando. Tutte perle di satira, e chi si risente è nemico della libertà di espressione, come in ogni paese totalitario che si rispetti.
Ecco: ma se succedesse il contrario? Se la Guzzanti finisse vittima del suo stesso guzzantismo? Toh, è successo per davvero. A Senigallia gli studenti di un centro sociale (il nome è tutto un programma: Mezza Canaja) hanno invertito le parti. Sabina era lì per il suo spettacolo, Vilipendio, sulla satira imbavagliata dal regime. Loro dovevano leggere un comunicato contro la Gelmini prima dello show, ma qualcosa è andato storto. Non c’era tempo, potevano parlare dopo, dice lei. Eravamo d’accordo con voi che avremmo parlato prima, dicono loro. Fatto sta che alla fine gli studenti anti-Gelmini (quindi d’accordo su tutto con la Guzzanti) non hanno parlato nè prima nè dopo e perciò, da buoni guzzantini, si sono incazzati come delle bisce. Hanno forzato il cordone all’ingresso e sono entrati con gli striscioni in teatro, prendendosela contro il regime che li aveva tenuti fuori. Magicamente i ruoli si sono invertiti, e la Guzzanti - da contestatrice - si è ritrovata nei panni più scomodi della contestata. E che ha fatto? Facile, ha contestato i suoi contestatori.


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Ilva, operaio precipita da gru: è il terzo nel 2008

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
L’uomo, di origine polacca, stava smontando alcune parti dell’altoforno, quando è stato colpito dal braccio di una gru ed precipitato da un’altezza di 14 metri. Si tratta del terzo episodio di infortuni mortali avvenuto in un anno all'Ilva

Taranto - Un operaio di origine polacca ha perso la vita la notte scorsa all’Ilva di Taranto. Jan Zygmunt Paurovicz di 54 anni addetto di una ditta appaltatrice pare stesse lavorando, intorno all’1,30 di stamattina, alla manutenzione di alcuni macchinari quanto è precipitato dall’altezza di una quindicina di metri. Inutili i soccorsi dei compagni ed il trasporto all’Ospedale "Ss. Annunziata" dove l’operaio è arrivato già morto. Subito scattati gli accertamenti di rito da parte della Polizia e dell’Ispettorato del Lavoro.

Terzo infortunio mortale La più grande acciaieria d’Europa, appartenente al Gruppo Riva, è da tempo al centro di scontri e polemiche non solo per il tema della si
curezza sul lavoro ma anche per le emissioni inquinanti e per i livelli elevati di diossine presenti nell’aria. Solo ieri oltre 1600 capi di ovini sono stati abbattuti perche sospetti di essere tossici. E solo pochi giorni fa oltre 20mila cittadini del capoluogo jonico avevano manifestato per le strade chiedendo attenzione e interventi per i livelli di inquinamento registrati dalle diverse agenzie, prima fra tutte l’ARPA, (agenzia regionale pugliese per l’Ambiente) che ha diffuso dati di tossicità atomosferica superiori a quelli consentiti dalle vigenti leggi italiane.

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Friuli, regalo ai politici: assegno in bianco da 5 milioni di euro

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Messi a disposizione dei consiglieri i fondi da distribuire ad associazioni, enti e parrocchie. "È tutto secondo legge", ma nessuno rivela gli elenchi dei beneficiari

Omertà. Difficile trovare un altro termine, anche se la latitudine non è quella di Palermo. Questa volta tocca alla mitteleuropea Trieste capovolgere i luoghi comuni e dimostrare che sprecopoli abita un po’ dovunque. Destra e sinistra unite nel silenzio-assenso che avvolge la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, terra promessa della beneficenza fatta con i soldi degli altri. Geniale, cosa c’è di più comodo? Un po’ come fare shopping usando la carta di credito di Flavio Briatore. Miracoli delle regioni a statuto speciale, con Trieste che ogni anno mette a bilancio quasi 5 milioni di euro da distribuire ai consiglieri regionali. I quali, a loro insindacabile giudizio, li gireranno a enti, associazioni, pro loco e semplici parrocchie. O, in omaggio alla par condicio ricordano da sinistra, società di mutuo soccorso. E bocciofile, perché nulla vieta di destinare il denaro pubblico per allietare i pomeriggi di chi ha per passione il tiro al pallino.
Ricapitolando. Da anni ormai per norma e per «consuetudine» nel bilancio viene stanziato un «tesoretto» a disposizione dei consiglieri: 120mila euro per quelli della maggioranza e 50-60mila per quelli di opposizione da concedere a chi si vuole. A patto, almeno questo, che si tratti di onlus o di enti senza fine di lucro. Chiaro che ognuno dei 59 consiglieri curerà l’orticello di casa, il collegio elettorale su cui a pioggia farà cadere tanto ben di Dio. Macché, respingono indignati da destra a sinistra, perché sull’argomento l’accordo è trasversale. L’anno scorso la tentazione di bloccare tutto con la «riforma della contabilità», qualche sussulto in aula, ma poi tutto filò liscio. Il bonus finì in elenchi questa volta «riservati» di assessori e uffici che si impegnarono a distribuirli ai «segnalati». Ma quest’anno si cambia, ha tuonato il presidente della Regione Renzo Tondo al momento di partire con la discussione del bilancio. «Il bonus? Una sciocchezza», si è lasciato andare promettendo una campagna durissima per abolire il privilegio. Per ora solo promettendo perché, alle prime lamentele di consiglieri e partiti, tutto sembra essere già rientrato. Il presidente è a disposizione per un’intervista, assicurava il responsabile del suo staff martedì. Poi più nulla. Il presidente è sempre impegnato, i suoi collaboratori non si fanno più trovare. Silenzio. In attesa del vertice con i partiti di lunedì, quando il «bonus di Natale» diventerà sicuramente merce di scambio in vista dell’approvazione del bilancio. «I contributi? Una forma di democrazia - rientra tra le righe il capogruppo dell’Udc Edoardo Sasco che all’inizio aveva appoggiato Tondo -. E poi sono soldi investiti a fini sociali. Un modo per dare più potere al consiglio, per riequilibrare un eccessivo centralismo». Sempre a spese del contribuente.
Le liste dei beneficiari? Introvabili. Il presidente del consiglio regionale Edouard Ballaman la mattina è a visitare le carceri di Pordenone, il pomeriggio «è in ufficio di presidenza». Non risponde. Non risponderà. «Di cosa si tratta? Dei Bonus? Ahi, ahi, ahi... », si lascia sfuggire uno della segreteria. L’assessore alla Salute e Protezione sociale Vladimir Kosic che dovrà gestire una bella fetta dei «suggerimenti»? «Non c’è - rispondono all’assessorato -. È a Ginevra. Irraggiungibile». I

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Filippo Facci: Sparala più grossa

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Non è possibile ascoltare chi ti dice che la stampa e la televisione sono interamente in mano a Berlusconi (lo dice la sinistra, ogni tanto) o chi ti dice che la stampa e la televisione sono interamente in mano alla sinistra (lo dice Berlusconi, ogni tanto). Sono generalizzazioni inaccettabili, lo sappiamo tutti: solo un beota può aderirvi d'emblée solo perché lo sostenga l'una o l'altro. Il linguaggio tuttavia è questo, uno regge l'altro come la corda l'impiccato, al massimo ci sono dei piccoli cedimenti: ci sono gli apocalittici che mentono sapendo di mentire (genere Di Pietro o Travaglio o Sartori) i quali dicono senza vergogna che «sei reti televisive su sette sono in mano a Berlusconi»; e però confutare questa palese idiozia diventa improvvisamente più complicato, se dall'altra parte arriva Berlusconi e ti dice che «la sinistra e i suoi giornali, in pratica l'85 per cento di ciò che si stampa in Italia, sono riusciti per settimane a ribaltare la realtà». Perché non è vero neanche questo: l'85 per cento della stampa italiana non è di sinistra, e neanche l'84 per cento, e neanche l'86, sono numero sparati a caso. Tanta stampa magari è omissiva, conformista, puzzetta: ma è un altro discorso, «di sinistra» e «ribaltare la realtà» significano altro. Ma ormai questi sono discorsi da intellettuali.

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Usa, i primi guai per Obama: scandali e rabbia dei liberal

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
A un mese dall'elezione il presidente eletto cerca di limitare i danni e chiede le dimissioni del governatore dell’Illinois che aveva messo il seggio di senatore all’asta. Nei guai Jesse Jackson junior

Lo chiamano «Chicago machine» ed è famosa per essere l'apparato politico più corrotto d'America. L'altro giorno ha travolto il governatore dell'Illinois Rod Blagojevich che anziché nominare in coscienza il successore di Obama al Senato, ha tentato di mettere il seggio all'asta. L'Fbi ha intercettato le telefonate e lo ha arrestato, scagionando al contempo il presidente eletto: non era al corrente di nulla.
Eppure i media Usa scrivono che Barack in queste ore non è affatto tranquillo. E non è difficile capire perché. Il candidato che ha vinto le elezioni promettendo il cambiamento non gradisce che l'America si interessi improvvisamente al mondo che ha consentito la sua fulminea ascesa. Insomma, che vada a verificare le sue credenziali di riformatore. È il suo punto debole e Obama lo ha sempre saputo. Per mesi ha vissuto nel terrore che i suoi rapporti con la «Chicago machine» diventassero uno dei temi centrali della campagna elettorale. Gli spin doctor repubblicani avevano già caricato l'artiglieria, ma la crisi finanziaria ha fatto passare tutto in secondo piano. Almeno fino ad ora. Anche per questo ieri il presidente eletto, finito nel mirino per il commento prudente delle prime ore («sono addolorato»), ha cambiato marcia chiedendo le dimissioni di Blagojevic. «Nelle circostanze attuali - ha detto il suo portavoce - è difficile che il governatore possa fare il suo lavoro». A pensarla diversamente è lo stesso Blagojevich tornato in ufficio come se niente fosse, dopo la libertà su cauzione. Nei guai intanto potrebbe finire il deputato democratico Jesse Jackson junior, figlio di uno dei più noti esponenti del partito. Sarebbe lui, secondo il canale tv Abc, ad aver promesso tangenti a Blagojevic. Quanto a Obama la «Mani pulite» dell’Illinois non è l’unico guaio di questi giorni. A sinistra i delusi aumentano di giorno in giorno. Erano convinti che Barack fosse uno di loro e invece non solo ha rinnegato buona parte del programma, ma ha nominato ministri moderati o addirittura conservatori, affidando la guida dell'economia ai ragazzi di Rubin, l'ex ministro del Tesoro di Clinton, profeta della deregolamentazione finanziaria e attuale numero uno di Citigroup. Ha confermato alla guida del Pentagono Robert Gates, l'uomo di Bush, e ha affidato la politica estera a Hillary Clinton, che votò a favore della guerra in Irak. Sui alcuni siti la disillusione si sta trasformando in rabbia: altro che uomo di rottura, Barack ha già le stigmate dell'establishment.

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Tempi duri per le ministre del governo di Nicolas Sarkozy

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione
Dopo Rachida Dati (che da qualche giorno sfoggia una fede al dito suscitando nuovi pettegolezzi) è la volta del segretario di Stato ai Diritti umani, Rama Yade (sopra), a essere nel mirino dell’Eliseo. La sua colpa? Aver detto di no alla proposta del presidente di guidare la lista dell’Ump alle prossime europee. A criticare la Yade, 32 anni, nata in Senegal, la più giovane e simbolo della diversità del governo è stato anche il ministro degli Esteri Bernard Kouchner che ha giudicato ieri un «errore» la creazione di un segretariato di Stato ai Diritti Umani: di queste cose, ha detto, si occupano meglio le Ong, che gli Stati. Quanto al giudizio dell’Eliseo sulla Yade un quotidiano cita un liquidatorio «Si è montata la testa»

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Michele Brambilla: Giù le mani dal cotechino

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Qualche anno fa, in piena emergenza mucca pazza, andai a intervistare l’allora sindaco di Bologna Giorgio Guazzaloca: non tanto in qualità di sindaco, quanto in quella di titolare di una macelleria. «Sottoponilo a serrato interrogatorio», mi aveva ordinato il direttore, «sull’affidabilità dei bovini. Possiamo mangiare tranquilli l’ossobuco?». Eravamo infatti nel bel mezzo di una campagna terroristica: ciascuno di noi cercava di ricostruire mentalmente il numero di costate ingerite negli ultimi mesi e si scrutava allo specchio con preoccupazione: questo brufolo sarà mica un primo sintomo di encefalopatia spongiforme?
«Le faccio una confidenza», mi rispose Guazzaloca: «Il mio piatto preferito sono le tagliatelle al ragù. Ma al ristorante, per anni, non l’ho mai ordinato: so bene che cosa utilizzano molti macellai per fare il ragù. Poi mi sono ammalato di una malattia vera, non di certe fisime; e le tagliatelle al ragù ho cominciato a mangiarle dappertutto, non solo a casa mia. Se ci facciamo prendere dall’ossessione del cibo, non viviamo più».
Il sindaco non vacillò neppure quando gli feci presente che una delle etimologie proposte per il termine ragù (accanto a quella tradizionale che fa discendere il francese ragôut dal verbo ragoûter, risvegliare l’appetito) è il ben più inquietante rat au goût, topo al gusto: «Nel 1870, al tempo della Comune, i parigini assediati dai prussiani finirono con il mangiare i topi», spiegai: «E per renderli più appetibili li cucinarono con spezie varie: al gusto, appunto». «Se sono sopravvissuti loro», rispose Guazzaloca, «non vedo perché dovremmo preoccuparci noi del ragù di qualche trattoria bolognese».
Parole di buon senso che mi rassicurarono. E ancor più rassicurante fu poi il verificare che, perlomeno in Italia, la famigerata mucca pazza non aveva né ammazzato, né reso cerebroleso alcun essere umano. Eppure la fiorentina è stata al bando dal marzo 2001 all’ottobre 2005: con danni incalcolabili per i produttori e soprattutto per i consumatori.
La lezione avrebbe dovuto invitare a maggiore cautela. Invece, ormai non passa praticamente mese che non venga messo all’indice un presunto veleno: il pesce al mercurio, il pollo all’aviaria («Farà venti milioni di morti solo in Europa», dissero all’Organizzazione mondiale della sanità), la mozzarella alla diossina, l’olio alla clorofilla, perfino il Brunello di Montalcino.


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Ventisette furti in una notte. Presi ladri stakanovisti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Gira che ti rigira la colpa è sempre della crisi. Ti tocca rimboccarti le maniche, lavorare di più, far girare l’economia, trasferire beni nei Paesi in via di sviluppo, per dare una mano a chi ha bisogno, preferibilmente posaterie d’argento, collane, braccialetti e accessori fatti a mano. Per questo adesso Vadim, Gheorghe, Ion, Ruslan, Vania e Aliona, cinque lui e una lei, tutti moldavi, ti guardano così: cosa abbiamo fatto di male? Colpa vostra semmai, dicono, che vi ostinate a non detassare gli straordinari, a non premiare meritevoli e motivati, a non rilanciare i consumi, soprattutto al di là del muro di cinta.
Ecco gli immigrati che ci piacciono, pieni di voglia di fare, che non stanno lì a guardare l’orologio e che si accontentano di quello che c’è. Stakanovisti, vetrina della nuova economia, gente con un attaccamento al lavoro capace di commuovere il popolo di Carramba. In una sola notte a Rio Saliceto, hanno piazzato ventisette furti, più o meno un paio all’ora. Senza fiatare. E poi mai uno sciopero, mai un’assemblea. A lavoro finito, raccontano le intercettazioni dei carabinieri, telefonavano alle famiglie, stanchi morti: «Scusa tesoro se ti chiamo solo adesso, ma ho fatto tardi anche stanotte, ti mando delle belle cosette però, vedrai, sarai l’invidia delle vicine...». Sliera, Bomborto e Campogalliano, nel Modenese; Rio Saliceto, Campagnola Emilia e Novellara nel Reggiano; Cento e Comacchio, nel Ferrarese; Lugo, Faenza e Bagnara di Romagna, nel Ravennate. Rase al suolo e saccheggiate.
A parte se stessi avevano rapinato tutti: in tre mesi hanno razziato beni per centinaia di migliaia di euro, peggio di Attila e gli Unni, qualcosa hanno trovato a casa di uno di loro a Bologna, il resto è finito alle loro Desperate Housewifes in Moldavia che hanno provveduto a piazzare la roba al mercato nero degli amici degli amici. Non a caso l’operazione è stata chiamata «Tabula Rasa». I carabinieri della Compagnia di Guastalla che li hanno arrestati, colonnello Fichera in testa, dicono che i sei sarebbero la cellula di una rete di moldavi organizzati in squadre, una società così segreta che nemmeno quelli che ne fanno parte lo sanno.[
Ecco, i rapinatori stakanovisti ci mancavano. Finora avevamo incontrato i ladri pendolari, partenza da Catania il lunedì, notte a dormire in macchina nelle Marche, colpo a Trento e rientro a casa per il weekend. E una compilation strappacuore di casi umani. Quelli che rapinano crediti artigiani a Cesano Maderno «perché con lo stipendio da operaio non riusciamo ad arrivare al 27» e quelli che, 69 anni l’uno e 71 l’altro, rubano macchine con il carro attrezzi a Garbagnate «perché con la pensione da ciabattino che ci ritroviamo manco riusciamo a comprarci il pane», quelli che ripuliscono gioiellerie a Bari e poi si scusano con la gentile clientela: «Non è colpa nostra signora se rubiamo, è colpa dello Stato...» e quelli che a Pizzighettone si addormentano sul divano dell’appartamento del rapinato perché non si può più tenere questi ritmi, prima o poi si crolla sul posto di lavoro. I moldavi, e pensare che Stakanov era ucraino, sono stati denunciati due volte: dai carabinieri di Guastalla per associazione a delinquere finalizzata al furto. E dalla Lehmann Brothers per plagio.
Massimo M. Veronese

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Il fazioso Fazio e la repubblica separata di Rai3

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Premessa antirompiscatole: Fazio vada pure in tv, abbasso la censura, ci mancherebbe che gli tolgano il microfono, al campione della libera informazione barra satira. Detto questo, e sottolineato che non siamo fascisti e prevaricatori, sarà il caso di pigliare la misura delle cose. Quando il presidente Rai Petruccioli dice che Fazio «fa interviste con grande urbanità e attenzione», non presiede la Rai e i suoi abbonati: presiede se stesso e basta. Perché Fabio Fazio non sarà il peggio della tv: ma mettersi a dire che adesso è il campione di «pluralismo», che adesso lui «è il nostro David Letterman», è come dire che Rutelli è il nostro De Gasperi. È troppo.
Quanto al pluralismo, potremmo subito ricordare che nel 2006 l'Authority ha condannato «Che tempo che fa» per aver violato le norme sulla par condicio. Non stupisce che adesso il presidente della Vigilanza Villari voglia vederci chiaro. Il fatto che il programma sia stato definito «Il Porta a Porta della sinistra che piace» dovrebbe indurci a riflettere. Il fatto poi che ogni sera all'ora dell'aperitivo ti ritrovi in salotto il solito Gino Strada, il Moretti, il Veltroni, il solito brav'uomo della sinistra, qualsiasi sinistra, veltroniana, dalemiana, massimalista, girotondina, ecologista, intellettuale, nostalgica, libresca, partigiana, insomma: ci fa capire davvero «che tempo fa» da quelle parti.
E ha fatto sobbalzare mezza Vigilanza Rai. Per dire: dopo Veltroni, Fazio aveva promesso un politico del centrodestra, e alla fine ha chiamato Soru, tessera Pd. Facendo arrabbiare Alessio Butti (Pdl): «È la repubblica separata di Raitre»: dove gli ospiti più a destra si chiamano Tabacci e Follini. Sta di fatto che il Fabio, che di questa repubblica è il gran ciambellano, la sua faziosità non l'ha mai ammessa: neanche quando ha invitato in studio Adriano Sofri a dire che «le carceri italiani sono discariche», facendo sobbalzare i parenti delle vittime del terrorismo.

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Morte in diretta tv

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Craig Ewert ha scelto di morire in una clinica svizzera, con una telecamera accesa. L'ultimo desiderio della vittima: rendere pubblica la sua lotta. Polemiche sul filmato Sky

Con gli occhi Craig chiede scusa a se stesso. Guarda in camera appena prima di chiuderli: la morte in diretta televisiva, il suicidio assistito via satellite, arriva nelle case inglesi attraverso Sky e poi nel resto del mondo. Dicono l’abbia chiesto lui, Craig Ewert, vittima di un male incurabile: ha scelto di andare in Svizzera a morire in una clinica della morte, poi ha voluto che ci fosse la tv a riprenderlo. «È l’ultima volontà di un uomo coraggioso e coerente. Uno che vuole dimostrare che c’è la possibilità di morire diversamente, senza soffrire. Con dignità». Dignità: è questa la parola chiave. È una domanda che rimbalza guardando i fotogrammi della morte in diretta: è più dignitoso farsi accompagnare in pubblico o da soli? C’è differenza o no? Qui non c’è in ballo l’eutanasia, ma l’idea di rendere pubblica una scelta privata, di trasformare la fine della sofferenza in propaganda. Craig ha detto al mondo di voler farsi vedere con il medico per mostrare che c’è una strada alternativa al tormento fisico e psicologico: «Puoi morire sereno». Umano, comprensibile, rispettabile. Condivisibile, anche. Perché morire agonizzante se puoi farlo senza sofferenza fisica? Sapere di non avere speranza è una pena già difficile da sopportare, allora se c’è anche un solo modo di farlo con meno dolore possibile, prendilo, accettalo, sceglilo. Craig è stato dignitoso nella scelta di farsi aiutare a morire, però è diventato uno strumento di una campagna: mettere il suo volto di moribondo a disposizione della réclame della dolce morte. Dolce per chi? Nel chiuso di una stanza, con tua moglie accanto, con un medico in camice bianco, lasci tutti e ti addormenti. Forse è ipocrita, magari è carbonaro, ma è privato, intimo, personale. Non c’è nulla di più personale della morte procurata. I suicidi scrivono lettere che spiegano la scelta: vedere come se ne vanno non aggiunge niente alla loro pena. Dare a tutti il filmato della propria eutanasia allontana l’umanità della decisione di togliersi la vita, la trasforma in qualcosa di freddo, quasi di un esperimento.
Fa pensare, dicono. Sì, ma a che cosa? Alla tranquillità della morte? La tranquillità è anche sapere che ci sei tu con te stesso, che quel momento è completamente autonomo, non collettivo, non condiviso. Piergiorgio Welby chiedeva che gli fosse staccata la spina, non che qualcuno lo facesse quando c’era una telecamera accesa. Non si muore di più se c’è un led rosso acceso. Cesare Pavese si ammazzò e scrisse: «Non fate troppi pettegolezzi». Se qualcuno l’avesse visto mentre ingeriva le bustine di barbiturici, oggi sapremmo che faccia aveva, la sua ultima espressione, il suo terrore adrenalinico nello scolarsi la sua pozione mortale. I dettagli, cioè il pettegolezzo implicito, perché ogni piccolo particolare se ne trascina un altro, come una catena che si alimenta e banalizza tutto.
Allora mettersi di fronte ai riflettori lascia una strana sensazione, qualcosa di sospetto: fa pensare ai cinque minuti di popolarità a ogni costo di cui parlava Andy Warhol. Magari c’è buona fede, ma viene sorpassata dalla forza dell’apparenza. Ha il sapore di un reality macabro e forzato, dell’ultima frontiera della schiavitù dell’immagine. È come se Craig e chi gli ha consigliato la diretta della sua mort

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Pensioni a rischio per i dipendenti della Rai

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Non nella parte assicurata dall'Inps ma in quella legata al fondo di previdenza complementare incaricato di erogarla, e cioè il Craipi.

Che secondo lo studio di un gruppo di iscritti al fondo non avrebbe rispettato i due pilastri fondamentali di una gestione oculata: un rendimento almeno pari a quello spuntato dai titoli di stato e una relativa sicurezza degli investimenti nel portafoglio.


Niente di tutto questo sarebbe avvenuto. Lo strumento previdenziale avrebbe reso, infatti, negli otto anni presi in esame dal dossier, non solo meno del Trattamento di fine rapporto e cioè il 2,83% all'anno, ma anche molto meno di uno degli investimenti più tranquilli dal punto di vista del rischio: i Bot (Buoni ordinari del tesoro) nello stesso arco di tempo hanno messo a segno un guadagno medio annuale del 2,90%.


Fin qui il danno. A cui non può non seguire la beffa. Sì perché, buona parte delle quote di liquidità versate dai lavoratori, invece di essere dirottate verso investimenti sicuri come, appunto, titoli statali o di grande organizzazioni internazionali, dunque con una garanzia di rimborso del 100%, sono finite in assicurazioni e in gestioni patrimoniali. Prodotti con una rischiosità più elevata e che, in tempi di crisi finanziaria come quella che il mondo sta attraversando, non danno la matematica certezza di rispettare le promesse in termini di guadagno.
Insomma i dipendenti della Rai che hanno aderito al Craipi hanno rischiato più di quanto dovuto e incassato meno di quello che avrebbero potuto ottenere con un semplice investimento in Bot.

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Alemanno-Marrazzo, braccio di ferro sui rifiuti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Un'irritazione silenziosa, strisciante. Un'irritazione reciproca che monta a suon di dichiarazioni improntate al politically correct e a un'ortodossia istituzionale di facciata, ma che sottendono uno scontro ormai conclamato.

Sulla questione rifiuti è braccio di ferro tra il sindaco della Capitale Gianni Alemanno e il governatore del Lazio Piero Marrazzo. A dividerli, oltre che l'appartenenza a opposti schieramenti politici, è il problema relativo alla chiusura della discarica di Malagrotta - prevista per il 31 dicembre - e la conseguente indicazione da parte del Campidoglio di un nuovo sito. Secondo la legge, spetta proprio al sindaco indicare alla Regione un luogo utile per il dopo-Malagrotta, ormai satura. Alemanno martedì ha però chiesto al governatore di rinviare di un anno la chiusura della discarica, rifiutandosi di aprire un nuovo sito a Monti dell'Ortaccio, luogo, secondo il Comune, proposto dagli uffici della Regione Lazio.


Pronta la risposta del governatore: «Anche in questo caso valuterò la richiesta del Campidoglio». Con un'aggiunta: la Regione, secondo il governatore, non ha mai proposto la zona Monti dell'Ortaccio come alternativa alla discarica di Malagrotta. Allo stesso tempo, Marrazzo precisa che oggi l'unico progetto esistente per il dopo-Malagrotta è proprio Monti dell'Ortaccio, «tanto che il Comune, che al momento non ha proposto alcuna soluzione alternativa, si è trovato a dover chiedere la proroga di un anno della discarica esistente». Poi una nuova stoccata: la Regione, finito il periodo di commissariamento, «non ha competenza sull'indicazione dei siti, che spetta» per legge ordinaria «ai Comuni interessati. Nel caso di Roma speriamo che questa indicazione arrivi al più presto e che sia una soluzione pubblica». La posizione di Marrazzo è chiara: non ha difficoltà a concedere la proroga come ha fatto per ben tre volte con l'ex sindaco Veltroni, a patto che Alemanno decida una volta per tutte dove realizzare la nuova discarica che, con la raccolta differenziata e le nuove linee di smaltimento, potrà anche essere di dimensioni ridotte. Il governatore vuole una «soluzione pubblica», cioè dell'Ama, posizione peraltro in linea con i progetti del Campidoglio.

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Ricucci condannato, ma non finirà dietro le sbarre

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
Il «furbetto del quartierino» si riappropria del nomignolo. Ed è un uomo libero. Dopo la condanna a un anno di reclusione per la scalata ad Antonveneta, Stefano Ricucci chiude i conti anche con la magistratura romana.

Patteggia tre anni, ma per effetto dell'indulto, ora non sconterà neanche un giorno di carcere.
Un «furbetto», da ex odontotecnico di San Cesareo, capace di ritagliarsi un grossa fetta di popolarità e di condirla con tutti quegli ingredienti del «generone romano» capace di far lievitare in maniera taumaturgica azioni (è proprio il caso di dirlo) e consensi.


Ciononostante, per la fallita scalata alla Rcs, la compravendita fittizia dell'immobile in via Lima (ceduto a Confcommercio), le gestioni del patrimonio immobiliare di Confcommercio e dell'assegnazione della gara d'appalto del patrimonio immobiliare Enasarco - fatti per i quali era finito sotto processo con altre 7 persone - l'immobiliarista fu detenuto per quasi tre mesi, dal 18 aprile al 14 luglio 2006. Un passaggio doloroso della sua vita rampante che incrinò non poco il rapporto mon la fresca moglie Anna Falchi (si erano sposati il 9 luglio dell'anno prima). Rammentiamo brevemente i motivi dell'arresto.

Secondo gli inquirenti sussistevano i pericoli di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato in relazione alla collocazione delle sue quote del pacchetto azionario Rcs. Per i magistrati l'immobiliarista avrebbe da un lato gestito in maniera pubblica la negoziazione del suo 14% di quote con un istituto di credito, ma dall' altro avrebbe tentato di ricollocare, grazie a una società con sede in Lussemburgo, le quote in Rcs. Da qui l'esigenza della custodia cautelare in carcere per il pericolo di reiterazione del reato di aggiotaggio informativo.


C'è da dire che la sentenza emessa ieri dai giudici della quinta sezione del tribunale ha premiato la scelta del rito del patteggiamento fatta dall'imputato (sconto di pena di un terzo) e la congruità della pena sollecitata. Ma a un altro imputato non è andata altrettanto bene: il commercialista Luigi Gargiulo, collaboratore di Ricucci, la cui richiesta di condanna a un anno e dieci mesi di reclusione non è apparsa ai giudici adeguata all'entità dei fatti contestati.


Corruzione, aggiotaggio, falso e appropriazione indebita i reati che erano stati contestati a Ricucci dai pm Giuseppe Cascini, Rodolfo Sabelli e Giuseppe De Falco. Nel procedimento sono coinvolti anche l'ex presidente di Confcommercio Sergio Billè, il figlio Andrea, Giuseppe Colavita, Francesco Bucci Casari, Fulvio Gismondi e Donato Porreca. Le loro posizioni, insieme con quella di Gargiulo, saranno ora esaminate da un altro collegio. Infatti, la quinta sezione si è dichiarata incompetente essendosi già pronunciata su uno degli imputati. Di conseguenza, gli atti processuali saranno restituiti all'ufficio di presidenza del tribunale affinché venga nominato un nuovo collegio. Solo il 7 gennaio avverrà la comunicazione ufficiale.


Per Ricucci, all'epoca dei fatti ritenuto uno degli elementi di spicco della finanza italiana e, da qualcuno, soprannominato «furbetto del quartierino», non c'è solo il riconoscimento di una responsabilità penale. Il tribunale lo ha condannato anche al pagamento delle spese processuali e, in più, a una serie di sanzioni amministrative. In particolare, l'immobiliarista dovrà risarcire le spese legali sostenute dalle parti civili: Confcommercio (30 mila euro), Enasarco (20

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Garlasco: in 130 pagine gli scienziati smontano la difesa dell’imputato

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione
Centomila «camminate virtuali» e zero possibilità di non sporcarsi le scarpe di sangue: «Non c’è una sola prova che non intercetti tracce ematiche». Gli inquirenti l’avevano intuito fin da subito, di fronte ad un corridoio cosparso di macchie e ad un paio di scarpe senza la più microscopica traccia sotto le suole. Ora un ingegnere del Politecnico di Torino l’ha dimostrato scientificamente. E le 129 pagine (più un centinaio di allegati) della relazione tecnica depositata in Procura a Vigevano il 4 febbraio scorso da Piero Boccardo, 44 anni, professore associato di Telerilevamento al dipartimento di Ingegneria del Territorio, Ambiente e Geotecnologie, già perito del caso di Cogne, potrebbe avere un peso determinante sulla sorte processuale del 25enne laureato alla Bocconi, che il 24 febbraio dovrà comparire davanti al gup di Vigevano con l’accusa di omicidio volontario.

Insieme a cinque collaboratori del Siti, l’Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, il professor Boccardo, nominato consulente dal pm di Vigevano Rosa Muscio, ha applicato una tecnica che non ha precedenti in Italia in un’indagine penale. Hanno rilevato con un laser scanner le scarpe Lacoste color bronzo sequestrate ad Alberto in caserma e ne hanno generato al computer un «modello solido», tridimensionale. Poi, per undici ore, il 20 dicembre 2007, hanno eseguito sofisticatissimi rilievi sulla scena del crimine, nel corridoio della villetta di Garlasco. Hanno ripreso i locali con tecniche fotogrammetriche digitali, poi hanno effettuato rilievi topografici e quindi rilievi tridimensionali mediante laser scanner terrestre, un’apparecchiatura che di solito si usa per il territorio e che qui è stata impiegata all’interno di un’abitazione.


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Giustizia, ancora scontro Veltroni-Berlusconi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione

Il leader del Pd attacca il presidente del Consiglio: "Alimenta lo scontro". La replica: "Mi chiamano dittatore e Hitler". Di Pietro: "Mai al tavolo con Berlusconi". Il leader leghista: "Il premier deve abbassare i toni". Schifani: "Nessuno vuole fare le riforme contro"

Parigi - "Il comportamento del presidente del Consiglio è del tutto irresponsabile". "Come si fa a confrontarsi con chi mi chiama dittatore, Videla e Hitler?". Walter Veltroni, questa mattina a Parigi a margine dell’apertura del vertice dei premi Nobel per la Pace, attacca a tutto campo Silvio Berlusconi sulle dichiarazioni sulla riforma della giustizia. Il premier risponde a stretto giro da Bruxelles dov'è in corso il summit dell'Unione europea. Il più preoccupato di tutti alla fine sembra Umberto Bossi. Il leader leghista spiega che"queste dichiarazioni del premier possono compromettere il confronto con il Pd sul tema del federalismo fiscale. Ed eravamo a buon punto".
Veltroni ad alzo zero "L’Italia - ha proseguito Veltroni - sta entrando nella più drammatica crisi sociale che la nostra generazione ricordi e il presidente del Consiglio cerca costantemente di alimentare una situazione di scontro e di creare condizioni di divisione nel Paese. All’opposizione che ha responsabilmente detto di essere disponibile a collaborare per fronteggiare questa situazione che entra nelle famiglie degli italiani e nelle imprese - ha proseguito Veltroni - il presidente del Consiglio ha risposto dicendo: 'me ne frego'. E sulla giustizia afferma di voler cambiare la carta costituzionale solo con la maggioranza. Si tratta di un comportamento del tutto irresponsabile, che riceverà nel parlamento e nel Paese la risposta che merita. L’Italia in questo momento avrebbe bisogno di fronteggiare unita nel rispetto dei ruoli fra maggioranza e opposizione, la crisi finanziaria, economica e sociale. E invece Berlusconi cerca ogni giorno lo scontro".
Il premier replica a muso duro "Ditemi voi come si può dialogare con chi dice che in Italia sei un dittatore, che in Italia c’è un regime ed è colpa tua, che sei Hitler, Videla, il diavolo, un corruttore politico. Voi vi siedereste al tavolo con chi ha questa opinione? È impossibile". Silvio Berlusconi arriva a Bruxelles e ribadisce il suo no al dialogo sulla giustizia. "Sarebbe - osserva - una farsa inaccettabile a cui nessuno si può prestare".
Poi ammorbidisce "Se in parlamento ci fosse la possibilità di sederci a un tavolo io non pongo un ostacolo a questo - chiarisce Berlusconi da Bruxelles -. Anzi se riescono in parlamento a collaborare per rendere più facile la via delle riforme benissimo. La collaborazione è accettata. Però non cerchino di coinvolgere me dopo avermi insultato, non possono pensare che io vada a sedermi in un tavolo con loro dopo che mi hanno insultato". Quindi il Cavaliere chiarisce sui tempi: "Passerà il Natale. Non c’è urgenza, il parlamento ha molte cose da fare".
Bossi preoccupato "Noi con la sinistra abbiamo cucito, cucito. Ma ora queste dichiarazioni di Berlusconi sulla giustizia ci mettono in difficoltà sul federalismo fiscale. Ho visto in commissione al Senato che per la sinistra c’è un problema politico rispetto all’accordo che noi avevamo già fatto". Lo afferma il leader della Lega Umberto Bossi, che stigmatizza il comportamento del premier. "Berlusconi non sa che al Senato

>>Da: andreavisconti
Messaggio 5 della discussione

Giustizia, Calderoli: Anche Berlusconi vuole riforma condivisa

Il premier Silvio Berlusconi non ha chiuso la porta al dialogo con l’opposizione, il punto è che “lui è fatto così, è sincero, spontaneo e reagisce agli insulti tremendi che riceve”. E’ la lettura che il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli dà delle ultime esternazioni del Cavaliere che, parlando della riforma della giustizia, ha detto che non si siederà “mai a un tavolo con questa sinistra leninista e antidemocratica” e con chi accusa il leader della maggioranza “di essere Hitler, il diavolo…”. Oggi l’esponente del Carroccio cerca di mettere una parola di pacificazione: “Sappiamo bene che anche lui è per una riforma condivisa - dice di Berlusconi – E lo stesso ministro Alfano si sta muovendo con tutte le forze politiche per una riforma condivisa”. Calderoli, che ha partecipato a un convegno sul federalismo fiscale a Montecchio maggiore (VI) aggiunge: “No alle riforme a colpi di maggioranza”, occorre imparare “dagli errori commessi in passato”. “Bisogna fare una riforma condivisa che abbia una durata di decenni e non di legislatura come è accaduto in passato, quando riforme fatte a colpi di maggioranza venivano cancellate nella legislatura successiva”. Per il federalismo fiscale auspica il via libera dal Senato entro il 20 gennaio ed entro aprile l’approvazione definitiva dei due rami del Parlamento.

Effettivamente segnali di apertura sono arrivati dallo stesso Berlusconi che, in tema di giustizia, ha più volte ribadito “che i gruppi parlamentari avranno facoltà di interloquire con l’opposizione e di accoglierne anche le proposte” e su un’eventuale convergenza in materia ha elogiato Luciano Violante, le cui riflessioni, che sottolineano fra l’altro la necessità di riforma del Csm, “coincidono con le nostre posizioni”. Berlusconi ha inoltre ribadito pieno rispetto per la Carta dopo le parole del capo dello Stato secondo cui nessuno può pretendere di alterarne o modificarne i principi fondamentali. Parole che alcuni hanno provato a leggere come un monito al premier, e che oggi registrano la presa di posizione di esponenti della maggioranza che invece invitano a non strumentalizzare quanto detto dal presidente Napolitano e ribadiscono la necessità di modifiche. “Non si possono cambiare le carte in tavola, arrivando perfino a dare interpretazioni forzate di affermazioni del Presidente della Repubblica, che condividiamo pienamente, sulla intangibilità dei principi fondamentali della Costituzione e che si riferivano all'ambiente. Invece, per quel che riguarda riforme come il federalismo fiscale e la giustizia, esse devono seguire il loro iter politico e parlamentare così come è stato impostato” dice il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto. Da un lato conferma che “per la riforma della giustizia è del tutto condivisibile l'impostazione del ministro Alfano, che intende utilizzare questo periodo prefestivo e feriale per consultare, come del resto in parte ha già fatto, i gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione. Dopodiché redigerà definitivamente i testi che porterà all'approvazione del Consiglio dei ministri. Il passo successivo sarà il confronto in Parlamento”. Dall’altro però ammonisce: la maggioranza deve sì misurarsi con l'opposizione “con la quale è auspicabile trovare intese”, ma “con una sola avvertenza: che, espletata tutta la procedura di consultazioni e di ricerca di convergenze, alla fine governo e maggioranza devono de

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Andrea, Laura aiutatemi voi!

>>Da: happygio
Messaggio 9 della discussione
Ho letto che a Milano (come in tutta Italia) ci saranno per 2 we consecutivi i gazebo per eleggere i candidati del PDL, ma leggo anche che c'è una gran confusione. Non si capisce dove siano le liste dei candidati e chi siano costoro. Ora due domande: 1) chi votiamo? 2) posso votare anche se sono residente in sardegna? Grazie gio p.s. Non mi sono ancora abituata a scrivere nell'altra comunity!

>>Da: happygio
Messaggio 8 della discussione
Grazie Andrea, sono andata e, come al solito, non si capiva cosa fare.....ho accettato e firmato! BOH! Certo, se avessi voluto, potevo indicare dei candidati di mia preferenza, ma non conosco chi siano i candidati e leggere la lunga lista che avevano era impossibile!
Ciaooo gioperplessa p.s. Ho anche detto che non ero residente, ma non importava.....

>>Da: andreavisconti
Messaggio 9 della discussione
Io non sono andato.
Andrea

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Cgil affoga nello sciopero: è fallimento politico

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Fallisce con adesioni bassissime l’agitazione anti-crisi. Epifani azzarda 1,5 milioni di persone in piazza, ma raccoglie solo critiche. Bonanni (Cisl): «È stato un regolamento di conti a sinistra». E il Pd adesso auspica l’unità fra le tre sigle
Alla fine lo sciopero generale si è sgonfiato. E non solo per la partecipazione dei lavoratori che - in linea con gli ultimi due che la Cgil ha fatto senza Cisl e Uil - ha registrato percentuali da Cobas quando non sono in forma. Il flop ieri è stato più politico e sindacale che numerico. Superata la domanda chiave: ma uno sciopero contro la crisi è utile o no? Esaurite le metafore dei tanti che hanno risposto «no» («uno sciopero contro la pioggia» o «è come protestare contro la iella»), quello che resta della mobilitazione in solitaria di Guglielmo Epifani è innanzitutto una voragine nei rapporti tra la Cgil e il resto del sindacalismo italiano.
Tutti, ad esempio, a piazze vuote, si aspettavano una schiarita tra il segretario generale della Cgil e Raffaele Bonanni. Invece ieri sera il leader della Cisl ha concluso la giornata con la più infamante delle accuse per un sindacalista. Lo sciopero Cgil è stato «un regolamento di conti dentro la sinistra». Una scelta tutta politica, quindi, per un «risultato gramo». Persino gli esponenti filo Cgil del Partito democratico hanno tenuto un profilo basso, tanto che il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero ha parlato di «assenza del Pd».
E invece di esponenti democratici in corteo ce n’erano tanti, ma quasi tutti concentrati nel tentativo di ricucire la drammatica divisione tra i principali sindacati del Paese. A partire dal ministro ombra dell’Economia Pier Luigi Bersani. È stato tra i primi ad aderire e ieri ha fatto sentire la sua vicinanza a Epifani abbracciandolo subito dopo il comizio bolognese. Ma il primo pensiero è stato quello di incollare i cocci. Dopo lo sciopero generale della Cgil, organizzato oggi «spero che da domani il percorso unitario prenda fiato». Fuori dalle piazze anche Walter Veltroni ha auspicato «reazioni unitarie in futuro». E il numero due Dario Franceschini ha detto che gli «piange un po’ il cuore» per la divisione tra le tre confederazioni. A suo agio ieri, oltre alla sinistra extra parlamentare, solo Antonio Di Pietro che in provincia di Chieti, ha attaccato il governo: «Offende gli italiani che non hanno i soldi neanche per comprare il pane».


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

Il sindacato non piace più, ma Epifani è il meno amato

Il 37,4% degli intervistati reputa lo sciopero di oggi inutile e il 29 gli attribuisce solo finalità politiche

di Francesco Blasilli


Il sindacato è finito, andate in pace. C’è ben poco da fare, gli italiani non amano le sigle che dovrebbero rappresentarle nel mondo del lavoro. A dirlo è un sondaggio effettuato da Crespi Ricerche proprio alla vigilia dello sciopero generale proclamato dalla Cigl. Il 71 per cento degli italiani non esprime fiducia nei sindacati. Questa distanza dei sindacati dall’opinione pubblica è confermata dal ruolo che gli italiani gli assegnano, dove ben il 43 per cento reputa la loro funzione legata agli interessi dei partiti, il 29 legata agli interessi dei lavoratori, ma solo il 14 attribuisce al sindacato la tutela del posto di lavoro, rispetto al 35,7 che non si ritiene tutelato da nessuno. A conferma di questo, ben 7 cittadini su 10 dichiarano di non sentirsi adeguatamente tutelati dai sindacati. E fortuna che Epifani ha revocato lo sciopero dei mezzi pubblici nelle città maggiormente colpite dal maltempo, altrimenti la sfiducia avrebbe raggiunto livelli record. E già prorio Epifani che è il leader sindacale maggiormente conosciuto con il 52 per cento, ma è anche quello che gode del minor tasso di fiducia con il 28,1 per cento: la più apprezzata, sebbene sia la meno conosciuta, è Renata Polverini con il 38,8 di fiducia e con il 15,2 di notorietà; d’altronde l’Ugl è la sigla in grande ascesa. Raffaele Bonanni ha invece il 33,3 per cento di notorietà ed il 32,7 di fiducia, mentre Luigi Angeletti ha il 27,9 di notorietà ed il 34,1 di fiducia. Per quanto riguarda lo sciopero generale di oggi, 8 cittadini su 10 sono a conoscenza del fatto che è stato indetto uno sciopero generale, ma solo il 45 per cento sa che è stato indetto dalla Cgil e il 69,7 non conosce esattamente i motivi per cui ci sarà lo sciopero. Solo il 33 per cento reputa questo sciopero utile a difendere i lavoratori dalla crisi, mentre il 37,4 lo reputa inutile e il 29 gli attribuisce solo finalità politiche.

Oltre alla vicenda Alitalia, e alla crisi più in generale, ad incidere su questa sfiducia verso il sindacato è stata anche la divisione delle sigle. E’ chiaro che uno sciopero indetto dalla sola Cgil suscita dei dubbi tra la gente comune, soprattutto nel momento io cui sono chiare le finalità politiche di Epifani, che infatti a giugno si accomoderà al Parlamento Europeo (il posto è ancora da stabilire, vista l’indecisione sul collocamento europeo del Pd). Oltre alla divisione, però, ha pesato anche il modo in cui i leader si sono scontrati. Nel caso di Bonanni della Cisl e di Epifani lo scontro verbale è stato un misto tra il cruento e il grottesco. “Domani (oggi, ndr) i nostri colleghi sciopereranno contro la jella”, così Bonanni, per il quale “tutti sono capaci a fare l’elenco delle cose che non vanno; una astensione di questo tipo richiederebbe una classe dirigente più unita ma tutti sono smarriti da una crisi che non ci aspettavamo”. Il segretario auspica che prevalga lo spirito della cooperazione tra le parti e che si ritorni presto a puntare sull’economia reale. “Si può richiamare l’attenzione anche in altri modi - ha detto il segretario della Cisl - tant’è che ho proposto una manifestazione di piazza ma non per recriminare, solo per focalizzare l’attenzione” sui temi della crisi. Ma per ora l’unica cosa che sembra interessare sembra lo scontro tra le

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Badanti, metà domande fatte da stranieri

>>Da: andreavisconti
Messaggio 5 della discussione

Il sospetto: ricongiungimenti familiari mascherati
Per altri 105 mila posti valgono le richieste già fatte
I conti sono ormai definiti, così come il numero dei posti disponibili. Dopo il nuovo decreto flussi riservato a colf e badanti, il Viminale aggiorna la classifica di chi potrà ottenere il permesso per vivere in Italia. E tanto basta per scoprire che la metà delle istanze è stata presentata da datori di lavoro stranieri. È un record. Sono oltre 200.000 persone e ciò alimenta il sospetto che nella maggior parte dei casi si tratti di ricongiungimenti familiari mascherati. Non a caso il nuovo provvedimento prevede che debbano confermare la domanda e dimostrare di essere in possesso della carta di soggiorno, dunque essere in Italia da almeno cinque anni. È una limitazione forte, voluta dai ministri dell'Interno Roberto Maroni e del Welfare Maurizio Sacconi, che alla fine potrebbe escludere dal conteggio fino a 100.000 domande, facendo posto a chi ha invece le carte in regola ma è in fondo alla graduatoria compilata in base all'orario di inserimento dei moduli nel sistema informatico.

>>Da: 1805Scrittore
Messaggio 5 della discussione
Badanti Badanti Badanti e ancora Badanti esse sono le eredi delle più o meno fortune dei vecchi a cui badano, si passano la voce con i loro connazionali, quei pochi o molti non fa niente, che ancora si trovano nei loro paesi, in attesa di cogliere la loro occasione di venire in questo paese del "bengodi" dove un popolo grullo gli concede ogni agevolazione e gli perdona ogni malefatta. Io mi dissocio da tutto ciò e per non parlare dei congiungimenti familiari fasulli ai quali ancora noi daremo un ennesima giustificazione. Facciamo pena.

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Malattie reumatiche: 23 milioni di giornate di lavoro perse ogni anno

>>Da: urania
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Cinque milioni di malati in Italia. Oltre 700mila soffrono di forme croniche

ROMA - Ogni anno in Italia le malattie reumatiche croniche causano la perdita di 23 milioni di giornate di lavoro. In totale la spesa per queste malattie supera i 4 miliardi di euro l'anno, di cui 1.739 milioni sono relativi alla perdita di produttività di chi é ammalato. Lo rivela una ricerca dell'Osservatorio Sanità e Salute presentata venerdì a Roma, che ha analizzato i dati di Istat, Ministero della Salute, Aifa e Inps.

CINQUE MILIONI DI MALATI - Sono più di 5 milioni gli italiani che soffrono di malattie reumatiche e di questi, 734mila sono colpiti dalla forme croniche: artrite reumatoide e spondiloartropatie. I malati sono spesso costretti ad abbandonare il lavoro e in generale la loro qualità di vita peggiora sensibilmente. Più aumenta il grado di severità della malattia, maggiori sono i costi per la collettività. «Si stima che nel 10% dei casi - spiega Alessandro Ridolfi, docente di Economia Aziendale presso l'Universita' Cattolica del Sacro Cuore e curatore della ricerca - si registra uno stato di invalidità permanente dopo solo due anni dall'insorgenza della malattia, del 30% e del 50% rispettivamente dopo 5 e 10 anni». Secondo gli esperti l'impatto socio-sanitario potrebbe essere ridotto con la diagnosi precoce e l'impiego delle terapie innovative.

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Fratture: l’osso ora si inietta

>>Da: urania
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Gb, la nuova tecnica ai test clinici

Presto sarà più facile e meno doloroso “riparare” un osso fratturato. Una nuova tecnica a cui stanno lavorando gli scienziati dell’università britannica di Nottingham si basa sull’utilizzo di un nuovo materiale che, iniettato nelle ossa fratturate, riesce a comporre la lesione indurendosi nel giro di pochi minuti. La sostanza ha la consistenza del dentifricio ed è in grado di formare, grazie all’azione del calore corporeo, una specie di impalcatura biodegradabile intorno alla quale l’osso danneggiato può rigenerarsi.
Come riferisce la Bbc, grazie a questa procedura non ci sarebbe più bisogno dei tradizionali e dolorosi innesti di ossa, prelevati da un’altra parte del corpo e che le tecniche tradizionali utilizzano per sostituire le parti distrutte. La ricerca è giunta alla vigilia dei test clinici in Gran Bretagna e gli autori, guidati dal professor Kevin Shakesheff, pensano di poterla lanciare negli Usa entro circa un anno e mezzo. .

''Non c'è bisogno di operare il paziente - spiega Shakesheff - Pensiamo di poter semplicemente inserire un ago, giungere al punto giusto, iniettare questo polimero che riempie il tratto osseo distrutto, collegando le due parti in pochi minuti. Questo materiale, a differenza dei cementi usati per le ossa, non si surriscalda, uccidendo le cellule ossee circostanti, che in questo caso possono sopravvivere e crescere”.

Anche la nuova tecnica ha comunque delle limitazioni di applicazione. Se è vero che il materiale si indurisce immediatamente, resta pur sempre il fatto che il legame tra la “protesi” e l'osso è debole e quindi potrebbe esserci sempre la necessità di inserire delle parti metalliche per assicurarne la tenuta, come nel caso di una gamba quando il paziente riprende a camminare.


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Cervello: la noia lo disconnette

>>Da: urania
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La noia disconnette il cervello: le differenti regioni del cervello smettono di comunicare tra loro quando siamo annoiati. La scoperta di uno studio di Daniel Weissman dell'Universita' del Michigan ad Ann Arbor e' stata riportata dal magazine britannico New Scientist.

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Una mutazione genetica diminuisce il rischio cardiovascolare

>>Da: urania
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I portatori della mutazione hanno una dimezzata quantità di ApoC-III rispetto alle persone che non possiedono tale variante genica

I ricercatori della Facoltà di medicina della Università del Maryland a Baltimora hanno scoperto una nuova mutazione genetica, presente nella popolazione degli Old Order Amish, che riduce in modo significativo di livello di trigliceridi nel sangue e sembra poter rappresentare un aiuto della prevenzione delle malattie cardiovascolari.
I trigliceridi e il colesterolo sono lipidi che circolano nel sangue e la ApoC-III è una proteina che si lega chimicamente ai lipidi in circolazione, inibendo la degradazione dei trigliceridi con il risultato che essi rimangono molto più a lungo nel torrente sanguigno. È noto che elevati livelli di ApoC-III sono associati con più alti livelli di trigliceridi.

Secondo quanto dichiarato da Toni I. Pollin, coautore dell’articolo di resoconto pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Science”, "si è trovato che tale mutazione genetica, che rende più rapida la degradazione dei trigliceridi, è presente in circa il 5 per cento degli Amish: i portatori hanno una dimezzata quantità di ApoC-III rispetto alle persone che non possiedono tale variante genica."

Come ha avuto modo di spiegare più diffusamente lo stesso Pollin: “I portatori di tale mutazione hanno più alti livelli di HDL, volgarmente conosciuto come ‘colesterolo buono’ e più bassi livelli di LDL il ‘colesterolo cattivo’; oltre a ciò sono meno esposti ad arteriosclerosi, cioè all'indurimento delle arterie, come risulta dalle misure della quantità di calcio nelle arterie coronariche."

Questa circostanza suggerisce che una prolungata deficienza di ApoC-III possa proteggere le persone dallo sviluppo di malattie cardiovascolari.

"La scoperta di questa mutazione potrebbe, infine, consentirci di sviluppare nuove terapie per abbassare i trigliceridi e prevenire così le patologie cardiovascolari”, ha concluso il ricercatore Pollin. “La sua importanza è legata al fatto che per la prima volta è stata riscontrata una mutazione all’interno del gene umano per l’APOC3 che blocca specificamente la produzione di apoC-III.”


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Biocombustibili dai residui di caffè

>>Da: urania
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Quello dei biocombustibili è comunque un mercato in crescita: si stima infatti che la produzione annuale nel mondo possa raggiungere gli 11 miliardi di litri entro il 2010

I residui della preparazione del caffè possono rappresentare una fonte abbondante, economica nonché ecologica di biocombustibile per l’alimentazione dei veicoli: è quanto sostengono i ricercatori dell’Università del Nevada a Reno in uno studio pubblicato online dal "Journal of Agricultural and Food Chemistry", organo dell’ American Chemical Society's (ACS).

Nel corso dello studio, i ricercatori Mano Misra, Susanta Mohapatra, e Narasimharao Kondamudi sono partiti dalla considerazione che il maggior ostacolo alla diffusione del biocombustibile è la mancanza di materia prima di alta qualità e basso costo.

Quello dei biocombustibili è comunque un mercato in crescita: si stima infatti che la produzione annuale nel mondo possa raggiungere gli 11 miliardi di litri entro il 2010. La materia prima è di varia natura: vengono utilizzati oli soia, di palma, di arachidi e altri oli vegetali, nonché grassi animali e anche dai residui oleosi delle fritture dei ristoranti.

Nel corso della ricerca di studiosi hanno raccolto i fondi di caffè dalle catene di caffetterie multinazionali e le hanno ulteriormente spremute per ottenere un olio, da cui hanno ricavato poi biocombustibile con un processo a basso costo. Il prodotto ha anche il vantaggio di essere molto più stabile dei tradizionali biocombustibili in virtù del più alto contenuto di antiossidanti.
Inoltre, i rifiuti solidi della conversione possono a loro volta essere inseriti in un processo per la produzione di etanolo o essere utilizzati come fertilizzanti o come compost.

I ricercatori hanno anche stimato le dimensioni del mercato e dei profitti che il processo potrebbe generare: si parla di circa 8 milioni di dollari all’anno nei soli Stati Uniti. Per verificare la possibilità almeno parziale di dare il via a un simile mercato, è stato avviato un impianto pilota per produrre in via sperimentale combustibile per i prossimi 6-8 mesi.

I residui di caffè potrebbero sostituire il petrolio per una percentuale compresa tra l’11 e il 20 per cento in peso, all’incirca la stessa fornita dalle fonti tradizionali.


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Come cambia l'acidità dell'oceano

>>Da: urania
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La composizione chimica dell’oceano subì una brusca variazione in corrispondenza di un cambiamento del clima verificatosi 13 milioni di anni fa: il timore è che lo stesso processo possa ripetersi oggi

La composizione chimica dell’oceano è meno stabile di quanto ritenuto finora ed è molto più dipendente dai cambiamenti climatici: è quanto hanno scoperto i ricercatori dell’Università della California a Santa Cruz e della Carnegie Institution di Washington.
Secondo quanto riportato nell’ultimo numero della rivista “Science” la composizione chimica dell’oceano subì una brusca variazione in corrispondenza di un cambiamento del clima verificatosi 13 milioni di anni fa, e il timore è che lo stesso processo possa ripetersi oggi in risposta al global warming con conseguenze potenzialmente gravi per gli ecosistemi marini.

"Via via che la concentrazione di CO2 aumenta e che si modificano gli schemi del tempo meteorologico, cambia di conseguenza la composizione dei fiumi, e a sua volta anche quella degli oceani”, ha commentato Ken Caldeira del Dipartimento di ecologia globale della Carnegie Institution. "In particolare, questo processo cambierà la quantità di calcio e di altri elementi tra i sali disciolti nelle acque dell’oceano.”

La ricerca si è basata su campioni ottenuti da carotaggi dei sedimenti oceani prelevati dal Bacino dell’Oceano Pacifico. Dall’analisi degli isotopi del calcio nei grani del minerale baritina (BaSO4) in diversi strati, si potuto determinare che tra 13 e 8 milioni di anni i livelli di calcio si modificarono drasticamente, in corrispondenza dell’aumento della coltre antartica durante lo stesso intervallo. A causa dell’enorme volume di acqua trasformata in ghiaccio, il livello del mare diminuì.

"Il clima divenne più freddo, i ghiacci si espansero e i livelli dell’oceano calarono, e l’intensità, il tipo l’estensione dei fenomeni atmosferici sulla regione cambiarono”, ha commentato Griffith. “Ciò determinò dei cambiamenti nella circolazione oceanica e nella quantità e composizione di ciò che i fiumi portano nell’oceano.”

Le rocce contenenti calcio come il calcare sono la più grande riserva di carbonio del pianeta.

Il ciclo del calcio dell’oceano è strettamente collegato al biossido di carbonio atmosferico e con i processi che controllano l’acidità dell’acqua marina”, ha continuato Caldeira.

"Ciò che abbiamo compreso da questo lavoro è che il sistema oceanico è molto più sensibile ai cambiamenti climatici di quanto si sia mai ipotizzato”, ha concluso Griffith. "Pensavamo che la concentrazione di calcio, che rappresenta il maggiore elemento presente nell’acqua, cambiasse molto lentamente e gradualmente nell’arco di decine di milioni di anni, invece i nostri dati suggeriscono che ci possa essere una relazione molto più dinamica tra clima e chimica oceanica che talvolta può dare come risultato una rapida riorganizzazione biogeochimica.”


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Rivedere al monitor i propri sogni

>>Da: urania
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Per ora i ricercatori sono riusciti a riprodurre dal cervello solo semplici immagini grafiche, ma la tecnologia, mira a "estrarre" sogni e altri segreti dalla mente della persone

Un gruppo di ricercatori giapponesi degli ATR Computational Neuroscience Laboratories è riuscita a elaborare e visualizzare immagini "riprese" direttamente dal cervello umano: lo riferiscono gli autori in un articolo (Visual Image Reconstruction from Human Brain Activity using a Combination of Multiscale Local Image Decoders) pubblicato sulla rivista "Neuron".
Per il momento i ricercatori sono riusciti a riprodurre dal cervello soltanto semplici immagini grafiche, ma una volta raffinata e sviluppata la tecnologia, affermano, potrà alla fine essere utilizzata per "estrarre" sogni e altri segreti dalla mente della persone.

"Per la prima volta al mondo è stato possibile visualizzare direttamente dall'attività cerebrale ciò che una persona vedeva. Applicando questa tecnologia può diventare possibile registrare e riprodurre le immagini soggettive che le persone esperiscono nei sogni", hanno osservato i ricercatori.

Quando una persona osserva un oggetto, la retina codifica sotto forma di segnali elettrici un'immagine che, così codificata, è inviata alla corteccia visiva. I ricercatori, guidati da Yukiyasu Kamitani, sono riusciti a tracciare i segnali e a ricostruire ciò che una persona stava vedendo. Nei loro esperimenti i neuroscienziati hanno mostrato ai loro soggetti le sei lettere della parola neuron e successivamente sono stati in grado di ricostruire le lettere su un monitor collegato a un computer che misurava e decodificava i segnali cerebrali. Per estrarre l'immagne basandosi sulla rilevazione dei contrasti, i computer hanno esaminato, per ogni immagine mostrata, qualcosa come 2 alla 100 stati alternativi possibili di voxel ("pixel" tridimensionali).


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Verso un cocktail di farmaci contro l'epatite C

>>Da: urania
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Le differenze genetiche fra diversi ceppi virali nella codifica della proteina p7sono in grado di alterare la sensibilità del virus ai farmaci che ne bloccano la funzionalità

Una combinazione di diverse terapie simile quelle utilizzate nei casi di infezione da HIV potrebbe essere il migliore trattamento per il virus dell’epatite C (HCV).

È quanto affermano i ricercatori dell’Università di Leeds in base a uno studio che ha avuto come oggetto la proteina chiamata p7. Le analisi, infatti, hanno rivelato che le differenze genetiche nella codifica della proteina fra diversi ceppi virali sono in grado di alterare la sensibilità del virus ai farmaci che ne bloccano la funzionalità.

La proteina p7, secondo le attuali conoscenze, riveste un ruolo importante nella diffusione dell’HCV in tutto il corpo e rappresenta un bersaglio terapeutico potenziale per aggredire il virus.

Il suo ruolo è stato scoperto nel 2003 da Steve Griffin, Mark Harris e Dave Rowlands della Facoltà di scienze biologiche della stessa università.

"Una delle sfide nella ricerca di nuovi trattamenti per il virus è la loro capacità di cambiare costantemente il loro corredo genetico”, ha spiegato Harris. "La nostra ricerca mostra che non sarebbe adatto adottare un approccio univoco per il trattamento dell’HCV con inibitori della proteina p7; riteniamo invece che diversi trattamenti in combinazione potrebbero avere una maggiore efficacia, dal momento che potrebbero tenere conto della variabilità di tale proteina.”

Si calcola che nel mondo circa 180 milioni di persone siano affette dal virus HCV, un patogeno che causa un’infiammazione del fegato che può portare a un’insufficienza epatica o a un tumore.

Il virus si diffonde per contatto con sangue infetto o altri fluidi biologici, è in larga parte asintomatico nelle prime fasi d’infezione e per esso non è ancora disponibile un vaccino. L’attuale trattamento standard prevede la somministrazione di farmaci antivirali non specifici ad ampio spettro.

In quest’ultimo studio Griffin e Harris hanno esaminato la risposta dell’HCV a un’ampia gamma di composti tra cui la ben nota molecola antivirale rimantadina, che ha come bersaglio una proteina simile del virus dell’influenza. Si è così riscontrato come l’efficacia del farmaco dipenda in effetti dalla variabilità genetica della proteina p7.

"La nostra attenzione si è concentrata sulla rimantadina per verificare i suoi effetti poiché la p7 ha un ruolo simile a un’altra proteina trovata nel virus dell’influenza”, ha commentato Griffin. "Sebbene la rimantadina funzioni bene il laboratorio, ora abbiamo bisogno di sviluppare nuovi farmaci diretti specificamente contro la p7, e dovremmo sviluppare ulteriormente questo approccio per le future terapie.”

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Sensori UV-B nelle radici delle piante

>>Da: urania
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Il gene RUS1, che controlla questi sensori, ha un ruolo cruciale nel giovane germoglio quando le radici della pianticella possono di fatto trovarsi in superficie

Le radici delle piante sono in grado si percepire la radiazione UV-B: lo ha scoperto un gruppo di ricercatori della San Francisco State University e del Carnegie Institute of Washington diretti da Zheng-Hui He, che ha anche identificato uno specifico gene che ha un ruolo chiave nei meccanismi di segnalazione fra le cellule vegetali.
Come spiegano i ricercatori in un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), il gene RUS1 presiede alla misurazione dei livelli di raggi UV-B, per poi passare l'informazione ad altre parti della pianta responsabili della sua crescita e del suo sviluppo. Bassi livelli di radiazione UV-B, quali quelli che si possono trovare in condizioni di ombre o in un ambiente con illuminazione a fluorescenza possono fornire importanti segnali al resto della pianta e possono garantire a essa il fatto di potersi sviluppare in modo normale: livelli elevati di UV-B possono infatti essere dannosi e anche letali per il vegetale, o alterarne la morfogenesi.

Lo studio ha scoperto che piante mutanti con un sensore per la luce UVB alterato, controllato appunto dal gene RUS1, diventano ipersensibili a questo tipo di radiazione e anche con livelli ridotti di raggi UV-B rallentano la crescita delle radici ed evitano di produrre foglie.

I ricercatori hanno osservato che la scoperta che le radici dispongano di sensori per la luce UV-B è stata abbastanza inaspettata, dato che normalmente esse si trovano coperte dal suolo, ma evidentemente il gene RUS1 ha un ruolo cruciale nel giovane germoglio quando le radici della pianticella possono di fatto trovarsi in superficie. Successivamente le radici possono trovarsi esposte in seguito a intense piogge, smottamenti del terreno e per attività animali.

La scoperta, osservano i ricercatori, può rappresentare la base per l'identificazione di ulteriori geni coinvolti nella rilevazione dei livelli di radiazione UV-B, che potrebbero influire sul modo in cui la pianta si sviluppa.


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Biossido di carbonio su un pianeta extrasolare

>>Da: urania
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Si tratta di un pianeta delle dimensioni di Giove distante 63 anni luce e chiamato HD 189733b; secondo le stime, ha una temperatura troppo alta per la vita

L’Hubble Space Telescope del consorzio NASA/ESA ha scoperto la presenza di biossido di carbonio nell’atmosfera di un pianeta che orbita intorno a un’altra stella: per gli autori dello studio, si tratta di un importante passo lungo il cammino nella ricerca di tracce biologiche di vita extraterrestre.

L’oggetto in questione è un pianeta delle dimensioni di Giove distante 63 anni luce e chiamato HD 189733b; secondo le stime, ha una temperatura troppo alta per la vita. Ma le nuove osservazioni ottenute con lo storico telescopio spaziale dimostrano la possibilità che i componenti chimici elementari per lo sviluppo della vita possano essere misurati su pianeti che orbitano intorno ad altre stelle.
I composti organici, infatti, possono essere anche un prodotto di scarto dei processi biologici e la loro rilevazione su pianeti simili alla terra potrebbe un giorno fornire la prima evidenza di vita al di fuori della Terra.

Precedenti osservazioni di HD 189733b ottenute sia da Hubble che dallo Spitzer Space Telescope avevano riscontrato tracce di vapore acqueo e già all’inizio di quest’anno Hubble trovò tracce di metano nell’atmosfera del pianeta.

Fondamentale per la scoperta del gruppo internazionale di astronomi che fa capo a Hubble sono stati i dati raccolti con il Near Infrared Camera and Multi-Object Spectrometer (NICMOS) sulla radiazione infrarossa emessa dal pianeta.

I gas presenti nella sua atmosfera assorbono alcune lunghezze d’onda della radiazione luminosa provenienti dagli strati più interni. Si è così potuto identificare non solo il biossido di carbonio ma anche il monossido di carbonio grazie alla “firma spettrale” unica che tali molecole lasciano nella radiazione che dal pianeta raggiunge la Terra. L’importanza dello studio sta anche nel fatto che è la prima volta che si è riusciti a ottenere uno spettro di emissione nel vicino infrarosso da un pianeta extrasolare.

Le stesse osservazioni, inoltre, sono molto promettenti per il progettato lancio dello James Webb Space Telescope del consorzio NASA/ESA/CSA, previsto per il 2013, il cui scopo principale sarà proprio l’individuazione di biomarcatori su pianeti extrasolari ma di tipo terrestre.

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Glutatione: difesa naturale dalla SLA

>>Da: urania
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La conoscenza del cammino metabolico che consente ai neuroni di rimanere sani nonostante la SLA può aiutare la progettazione di farmaci in grado di attivare i sistemi di protezione dei nervi

Un gruppo di ricercatori dell'Università del Wisconsin a Madison è stato in grado di allungare la vita e rallentare il deterioramento dei nervi in topi geneticamente portatori di una forma di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) fornendogli un gene extra, chiamato Nfr2, che consentiva loro di far produrre da parte degli astrociti quantitativi in più dell'antiossidante glutatione.
Sebbene l'ossidazione sia una delle cause principali della morte cellulare in malattie come il Parkinson, l'Alzheimer e la SLA, finora i tentativi di rallentarne la progressione sfruttando antiossidanti non avevano sortito i risultati desiderati.

"Di fatto è estremamente difficile aumentare i livelli di glutatione nel sistema nervoso centrale", ha osservato Jeffrey Johnson, che ha diretto la ricerca e firma un articolo in proposito sul Journal of Neuroscience. "Non si può semplicemente iniettarlo nell'animale o nella persona. Ma noi abbiamo trovato un aumento del 25 per cento della molecola nel midollo spinale del nostro topo."

Sebbene il topo, portatore di una forma estremamente aggressiva di SLA, alla fine sia morto comunque della patologia, la sua vita è stata notevolmente allungata - di un periodo equivalente, nell'uomo, a 10 anni - rispetto ai topi di controllo portatori della stessa forma genetica di SLA, ma privi di geni Nrf2 in sovrannumero.

Il gene inserito Nrf2 era attivo solamente negli astrociti, cellule di supporto che promuovono la salute dei neuroni che trasportano i segnali, ha spiegato Johnson. "Abbiamo preso questa normale funzione di produzione di antiossidanti e l'abbiamo potenziata, in un certo senso 'dopandola'. Nello studio non abbiamo preso di mira la proteina che causa la malattia, ma il meccanismo degli astrociti che deve proteggere i neuroni. La proteina mutante è sempre presente in tutte le cellule del midollo spinale, ma facendo sovra-esprimere il gene Nrf2, abbiamo fatto produrre più glutatione, e questo ha fornito la protezione."

Nonostante il risultato sia promettente, i ricercatori sottolineano che in generale l'inserimento di geni in pazienti, attraverso una terapia genica, ha dato finora scarsi risultati clinici. Tuttavia, sottolineano, la conoscenza del cammino metabolico che consente ai neuroni di rimanere sani nonostante la SLA può essere di grande aiuto per la progettazione di farmaci che possano raggiungere il cervello e là stimolare l'attivazione del sistema Nrf2. Di fatto attualmente i ricercatori dell'Università dei Wisconsin a Madison stanno iniziando a testare circa 50.000 molecole per controllare la loro capacità di attivare Nrf2.


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Selenio e rischio cancro

>>Da: urania
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I risultati appaiono significativi soprattutto per quanto riguarda la correlazione con la mutazione genetica

Uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Cancer Prevention Research”, organo ufficiale dell’American Association for Cancer Research, suggerisce che il selenio, minerale che si trova in tracce in alcuni alimenti quali cereali. pesce e carne, può essere utile nella prevenzione di alcune forme di cancro del rene ad alto rischio.
I ricercatori della Dartmouth Medical School, dove è stato effettuato lo studio, hanno infatti confrontato i livelli di selenio in 767 pazienti con recente diagnosi di tumore del rene con quelli di più di 1100 soggetti estratti dalla popolazione generale.

L’associazione inversa tra i livelli di selenio e tumore è stata riscontrata non nella popolazione complessiva dello studio, ma solo, e in modo significativo, in alcuni sottogruppi di soggetti, ovvero nelle donne (che costituivano il 34 per cento della coorte), nei fumatori moderati (39 per cento del totale) e nei soggetti con tumore positivo al p53. "

"Si ritiene che esistano diversi cammini di progressione di questo tipo di tumori e in uno dei più importanti sembra che siano implicate significative alterazioni del gene p53 gene", ha spiegato Margaret Karagas, docente di medicina di famiglia e di comunità presso il Norris Cotton Cancer Center del Dartmouth e coautrice dello studio. "Inoltre, quelle forme che derivano da questo tipo di alterazioni sono associate alla patologia nelle sue forme più avanzate.”

I risultati appaiono significativi soprattutto per quanto riguarda la correlazione con la mutazione genetica, dal momento che un effetto positivo del selenio sulla popolazione femminile era già stato dimostrato da precedenti studi. Gli autori si augurano così che le conclusioni dello studio possono costituire la base per un’opera di prevenzione più attenta e mirata, anche se attendono di replicare i risultati su una popolazione più ampia.

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Un viso rosso per lui, verde per lei

>>Da: urania
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La scoperta può avere interessanti implicazioni oltre che per le scienze cognitive in senso stretto, anche per lo sviluppo delle tecnologie di riconoscimento facciale

Gli uomini hanno un viso più rosso, le donne più verde: lo afferma una ricerca condotta da Michael J. Tarr, e Adrian Nestor della Brown University, e pubblicata sulla rivista Psychological Science. La scoperta, può avere interessanti implicazioni oltre che per le scienze cognitive in senso stretto, anche per l'industria, e in primo luogo per lo sviluppo delle tecnologie di riconoscimento facciale.
"Se lo spettro della luce proveniente dal viso è maggiormente spostato verso l'estremo rosso dello spettro, è più probabile che si tratti di un uomo. Se invece ci si trova all'estremità del verde, è più probabile che la faccia sia quella di una donna", ha detto Tarr.

Per il suo studio Tarr è partito dall'analisi di 200 immagini di visi di uomini e donne caucasici ottenute con una particolare tecnica di scansione in 3D realizzate presso il Max-Planck-Institut di Tübingen, in Germania, fotografate senza trucco e in condizioni di illuminazione controllata.

Per verificare il risultato, Tarr ha creato immagini androgine a partire delle 200 facce di partenza, aggiungendovi di volta in volta un disturbo rosso o verde. Successivamente ha chiesto a una serie di soggetti (precedentemente controllati perché non soffrissero di disturbi nella visione del colore) di definire il genere a cui apparteneva il viso di queste facce sessualmente ambigue. Dagli oltre 20.000 test eseguiti è risultato che le scelte propendevano per "maschio" in presenza del disturbo rosso e per "donna" in presenza di quello verde.

Queste differenze non sono assolute - alcune facce femminili sono molto più rosse e alcune maschili molto più verdi - ma in generale il colore del viso ha mostrato di essere un elemento sensibile nella definizione del genere, e questo tanto più - come ha indicato un ulteriore esperimento - quanto meno distintamente potevano essere osservati i tratti del viso.


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UN POLIMERO INIETTABILE POTRA' COMPORRE LE FRATTURE

>>Da: urania
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Forma una impalcatura biodegradabile attorno alla quale l'osso può rigenerarsi
Un gruppo di ricercatori dell'universita' britannica di Nottingham ha ideato uno speciale materiale che, iniettato nelle ossa fratturate, si indurisce nel giro di pochi minuti, componendo la frattura. La ricerca e' giunta alla vigilia dei test clinici e gli autori, guidati dal professor Kevin Shakesheff, ipotizzano di poterla lanciare negli Stati Uniti entro 18 mesi. La sostanza, che ha la consistenza di un dentifricio, forma grazie al calore corporeo un'impalcatura biodegradabile attorno alla quale l'osso puo' rigenerarsi. Con questo sistema non ci sarebbe quindi piu' bisogno di dolorosi innesti di ossa, rimossi da una parte del corpo per essere usati nel rimpiazzo di parti distrutte. I ricercatori hanno spiegato che non c'e' bisogno di operare il paziente in quanto è sufficiente inserire un ago, giungere al punto giusto e iniettare il polimero, che riempie il tratto osseo distrutto, collegando le due parti in pochi minuti. Questo materiale, a differenza dei cementi usati per le ossa, non si surriscalda e permette alle cellule osse circostanti di sopravvivere e crescere. L'unico punto debole del nuovo polimero è però la sua debolezza e quindi potrebbe esserci sempre la necessita' di inserire delle parti metalliche per assicurare la tenuta dell'osso, come nel caso di una gamba quando il paziente riprende a camminare.


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UN PASSO IN AVANTI PER LA CURA DELLA MALARIA

>>Da: urania
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Dimostrata una nuova modalità di trasmissione di batteri simbionti associati a zanzare Anopheles
Tre gruppi di ricercatori delle Università di Camerino e di Milano, coordinati da Guido Favia, Claudio Bandi e Daniele Daffonchio, hanno dimostrato una nuova modalità di trasmissione e diffusione di batteri simbionti associati a zanzare del genere Anopheles, da cui potrebbero derivare importanti ricadute per il controllo della malaria. I tre gruppi di ricerca sono da alcuni anni impegnati in un progetto finalizzato all'utilizzo di microrganismi associati agli insetti per il controllo biologico della trasmissione di malattie infettive. Recentemente, presso i laboratori coinvolti nel progetto, è stato identificato un batterio acetico appartenente al genere Asaia, stabilmente associato a diverse specie di zanzare Anopheles, con caratteristiche molto interessanti per lo sviluppo di un approccio di “Controllo Simbiotico” che prevede la diffusione dell’agente di controllo, rappresentato dal batterio, da parte del vettore stesso. La nuova ricerca ha identificato una via di trasmissione inattesa per questi batteri: dal padre alla progenie delle zanzare. I risultati, riassunti in un articolo scientifico in corso di pubblicazione sulla rivista Current Biology, offrono importanti informazioni sulla biologia delle zanzare ed aprono interessanti prospettive per il controllo delle malattie da esse trasmesse. “Negli insetti, la trasmissione paterna dei batteri è davvero molto rara – commenta Guido Favia - e mai descritta prima per le zanzare. La nostra scoperta suggerisce che questa modalità di trasmissione potrebbe essere più comune di quanto finora immaginato”. Aggiunge Daffonchio: “Attraverso l’applicazione di tecnologie bio-molecolari per la marcatura permanente dei batteri simbionti abbiamo potuto dimostrarne sia la trasmissione verticale alla progenie, sia la trasmissione venerea dai maschi alle femmine durante l’accoppiamento”. Diversi modelli ed interpretazioni sulla biologia del rapporto ospite/simbionte si basano sull’assunzione di una trasmissione per via materna dei microrganismi simbionti; la situazione potrebbe essere molto più complessa nelle zanzare, dove la trasmissione venerea e paterna del simbionte Asaia implica certamente un impatto importante sulla biologia dell’ospite. La scoperta della trasmissione paterna di Asaia nelle zanzare è di estremo interesse per lo sviluppo di strategie finalizzate a veicolare all’interno del corpo della zanzara farmaci o fattori con attività anti-plasmodio, per ridurre i livelli di trasmissione del patogeno all’uomo. “Difatti – prosegue Favia – è possibile, in futuro, immaginare di rilasciare nelle zone infestate da Anopheles e dalla malaria solamente maschi di zanzara al cui interno siano stati introdotti batteri modificati capaci di interferire con la trasmissione del plasmodio. I maschi provvederebbero alla diffusione del batterio anti-malaria nella popolazione, senza la necessità di rilasciare femmine di zanzara, le uniche responsabili della puntura sull’uomo e della conseguente trasmissione del patogeno.” Prosegue Bandi: “Nelle zanzare vettrici di malaria, plasmodio ed Asaia condividono la medesima localizzazione: in alcuni casi abbiamo potuto addirittura osservare plasmodi letteralmente circondati dai batteri. Anticorpi o altre molecole anti-plasmodio prodotte dal batterio verrebbero quindi liberati nelle immediate vicinanze del parassita malarico, e la loro azione potrebbe essere estremamente

>>Da: urania
Messaggio 2 della discussione
SVIZZERA E TANZANIA INSIEME PER UN VACCINO ANTIMALARICO

Incoraggianti i risultati della fase 2 dello sviluppo
Ricercatori svizzeri e tanzaniani hanno annunciato di aver compiuto un importante passo avanti nella lotta contro la malaria. Un vaccino testato a Bagamoyo (Tanzania) da 340 bambini tra luglio 2006 e febbraio 2008 ha infatti ottenuto risultati incoraggianti. Due terzi dei bambini vaccinati hanno resistito alla malattia. Inoltre il vaccino RTS,S/AS02D e' risultato sicuro: non interagisce negativamente con le altre vaccinazioni abitualmente somministrate ai bambini. Secondo i ricercatori il vaccino garantisce una 'protezione significativa' di bambini e neonati. Il medicamento e' stato sviluppato nell'ambito della Malaria Vaccine Initiative che e' finanziata anche dalla Fondazione Bill & Melinda Gates. I risultati della fase 2 dello sviluppo del vaccino, presentati ieri a New Orleans (Usa) saranno pubblicati giovedi' sul 'New England Journal of Medicine'. Secondo il responsabile Marcel Tanner i risultati spianano la strada alla fase 3, alla quale parteciperanno 16.000 bambini di 11 paesi africani. Se i risultati saranno confermati il vaccino potrebbe essere registrato nel 2011.


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E' POSSIBILE DIMINUIRE LA TROMBOSI VENOSA NEI MALATI DI CANCRO

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
GLI ANTITROMBOTICI PRIMA DELLA CHEMIOTERAPIA ABBATTONO I RISCHI
Utilizzare farmaci antitrombotici prima di sottoporsi alla chemioterapia riduce i rischi di trombosi venosa. Sono queste le conclusioni a cui è giunto il piu' ampio studio al mondo sull'efficacia dei farmaci contro i trombi nei pazienti malati di cancro. L'autore Giancarlo Agnelli, ematologo dell'universita' di Perugia, lo ha presentato al 50° Congresso dell'American Society of Hematology (Ash), in corso a San Francisco. Lo studio multicentrico, condotto su ben 1.166 pazienti con tumore in fase avanzata ai polmoni (279), colon (235), seno (165), ovaie (143), stomaco (98), retto (87), pancreas (53), testa e collo (36) e in altri distretti (54) ha voluto misurare l'efficacia della nadroparina. Ad alcuni pazienti e' stato somministrato il farmaco, ad altri un placebo. Il trattamento e' iniziato in coincidenza con il primo ciclo di chemioterapia, ed è stato prolungato per un massimo di 4 mesi. Solamente 16 dei 769 malati trattati con la nadroparina ha avuto un qualche caso di trombo venoso (2,1%), rispetto ai 15 dei 381 pazienti a cui era stato dato il placebo (3.9%). Inoltre il farmaco e' apparso sicuro, visto che una percentuale molto bassa (0,7%) di malati ha sperimentato perdite di sangue. Un altro importante dato messo in evidenza dalla ricerca italiana riguarda il fatto che i tumori che determinano più trombi sono quelli al polmone e al pancreas.


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LE VITAMINE NON RIDUCONO I RISCHI DI AMMALARSI DI CANCRO

>>Da: urania
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Due studi americani confutano un punto fermo della medicina moderna
Prendere vitamina C ed E, secondo due grandi studi americani, non riduce in alcun modo il rischio di contrarre un cancro e in alcuni casi potrebbero addirittura incrementare le probabilità di ammalarsi. I due studi, condotti uno su 35.533 uomini, e un secondo su 15.000 medici, non hanno trovato alcuna prova che i tassi d'incidenza del tumore fossero piu' bassi in chi assumeva integratori vitaminici rispetto a chi non ne faceva uso. Un duro colpo, messo nero su bianco da un rapporto pubblicato nel prestigioso Journal of American Medical Association, per i precedenti studi, che indicavano come una dieta sana e l'assunzione regolare di vitamine, aumentino i livelli di antiossidanti che a loro volta riducono i danni ai tessuti e prevengono il rischio di tumore. Nel primo studio, i ricercatori dell'Universita' del Texas e della Cleveland Clinic Lerner College of Medicine hanno dato a uomini sani piccole dosi di selenio e vitamina E con risultati talmente inequivocabili da indurre gli scienziati a sospendere lo studio, inizialmente dalla durata prevista di sette anni. Gli uomini che avevano preso vitamine, infatti, sviluppavano il cancro alla prostata esattamente nelle stesse proporzioni di chi non le aveva prese. In tutti i casi la percentuale di uomini con diagnosi di cancro alla prostata nel corso di un periodo di cinque anni e' stata del 4-5%. Nel secondo studio, i ricercatori del Boston's Brigham e Women's Hospital hanno testato l'impatto di regolari integratori di vitamina E e C su 14.641 medici di sesso maschile. Dopo oltre otto anni, anche qui nessun risultato di rilievo: chi aveva la sfortuna di ammalarsi di cancro lo faceva a prescindere dall'assunzione o meno di vitamine. Inoltre le pillole vitaminiche ridurrebbero, secondo recenti indagini, l'effetto curativo di una vasta gamma di farmaci antitumorali.


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SONO RADDOPPIATE IN CINQUE ANNI LE MALATTIE CRONICHE DELL’INTESTINO

>>Da: urania
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La Sigenp distribuirà un fascicolo ai pediatri per velocizzare le diagnosi
Sono passati in soli cinque anni da tre a sei ogni centomila abitanti i casi di malattie infiammatorie croniche intestinali. Ci si può ammalare di rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn gia' a 10-12 anni ma il 20% delle forme pediatriche, le piu' gravi, puo' esordire prima dei 10 anni. I dati sono stati forniti dagli specialisti della Sigenp, Societa' Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica, che hanno elaborato un documento di consenso presentato ieri a Milano per lanciare un allarme e sensibilizzare i pediatri italiani sulla necessita' di una diagnosi precoce e sulle nuove terapie. Un fascicolo di oltre 100 pagine sull' epidemiologia, i sintomi, i metodi di diagnosi e di terapia farmacologica e chirurgica di queste malattie sara' distribuito ai pediatri di base e a quelli ospedalieri, oltre che pubblicato come supplemento a una rivista internazionale. 'Sono 'malattie del benessere' - ha spiegato Arrigo Barabino direttore dell'Unita'di Gastroenterologia pediatrica dell' Istituto Gaslini di Genova - perche' esistono solo negli Usa e in Europa mentre sono sconosciute in Cina e in Africa'. L'ipotesi piu' accreditata e' che siano malattie autoimmuni, causate dall'attacco del sistema immunitario contro la normale flora batterica dell'intestino. 'La terapia tradizionale e' quella immunosoppressiva - ha spiegato Barabino - ma da poco sono stati introdotti farmaci biologici che hanno dato risposte clamorose intorno al 60% dei casi, provocando la remissione o una riduzione significativa dei sintomi in tempi brevi'. Per un migliore controllo della malattia, il documento di consenso raccomanda ai pediatri di anticipare quanto piu' possibile la diagnosi osservando i sintomi quali dolori addominali, diarrea, sangue nelle feci e deficit di crescita. Nella colite ulcerosa infatti si calcola un ritardo diagnostico di sei mesi, nel morbo di Crohn di dieci mesi, nella colite indeterminata di nove mesi.


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LA COMMISSIONE EUROPEA PRESENTA UN PACCHETTO DI NORME SUI FARMACI

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
L’obiettivo è di incentivare la farmacovigilanza e l’informazione e di contrastare la contraffazione
Dare impulso alla ricerca e all'ingresso di nuovi farmaci nel Vecchio continente, combattere il fenomeno dilagante della contraffazione e della distribuzione illegale dei medicinali, garantire ai pazienti informazioni di qualita' sui prodotti che necessitano di prescrizione medica e rafforzare il sistema di farmacovigilanza. Sono questi i quattro punti principali contenuti nel 'pacchetto farmaceutico' presentato ieri a Bruxelles dalla Commissione europea con l'obiettivo di assicurare un accesso più agevole ai medicinali per i cittadini dell'Unione Europea. La Commissione ha inoltre proposto di aprire una discussione con gli Stati membri per migliorare l'accesso ai farmaci rendendo piu' trasparenti le decisioni sulle politiche di prezzo e rimborso, di sviluppare iniziative per intensificare la cooperazione con Stati Uniti e Giappone allo scopo di migliorare la sicurezza dei medicinali, di rafforzare la cooperazione con i mercati emergenti come Russia, India e Cina. Il settore farmaceutico, ha ricordato la Commissione europea, e' strategico per l'economia e il benessere del Continente dal momento che da' lavoro a 634 mila persone e spende in Ricerca e sviluppo il 17% delle risorse stanziate a tale scopo. Ecco perche' sono state proposte le nuove norme, che dovranno ora essere trasmesse al Parlamento e al Consiglio europeo per l'approvazione. Per questo la Commissione ha presentato quattro documenti: il primo e' una comunicazione volta a stimolare una riflessione sul modo per migliorare l'accesso al mercato e sviluppare iniziative atte a promuovere la ricerca farmaceutica dell'Ue, il secondo documento contiene una proposta per affrontare le problematiche sempre piu' acute relative alla contraffazione e alla distribuzione illegale di medicinali. Il terzo testo contiene proposte per consentire ai cittadini di avere accesso a informazioni di qualita' elevata sui medicinali soggetti a prescrizione. A questo proposito Bruxelles suggerisce che le case produttrici possano divulgare a tutti le informazioni anche sui farmaci con obbligo di prescrizione, con il mantenimento pero' del divieto di pubblicita' per questi prodotti. Infine, nel quarto documento la Commissione avanza proposte per migliorare la tutela dei pazienti rafforzando il sistema europeo di monitoraggio della sicurezza dei medicinali, attraverso una chiara definizione delle responsabilita', il rafforzamento della trasparenza sulla sicurezza dei farmaci, il rafforzamento della farmacovigilanza e del sistema di informazione sugli effetti negativi dei prodotti con una migliore raccolta dei dati.


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UN ATLANTE VIRTUALE AIUTA LA DIAGNOSI DEI TUMORI DELLA PELLE

>>Da: urania
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Sono disponibili oltre 20.000 immagini
Il primo 'atlante virtuale' della pelle umana è un motore di ricerca di oltre venticinquemila immagini, tuttora in fase di ampliamento, che permette ai medici di navigare tra migliaia di casi clinici e confrontare il proprio caso con quelli piu' simili. Full Image Database Engine (FIDE) è stato presentato a Roma dall'ingegnere Ugo Di Giammatteo della Advanced Computer Systems (ACS) durante il convegno 'Un motore per amico' . Per realizzare l’atlante i tecnici sono partiti dalla ricerca spaziale e dai software utilizzati per l'elaborazione di immagini inviate da satelliti, riadattando il software per creare un motore di ricerca specifico per i dermatologi. Le foto scattate dai dermatologi con una macchina fotografica digitale ideata ad hoc per fotografare lesioni cutanee vengono di volta in volta acquisite dal motore di ricerca insieme alla storia clinica del caso e all'esito istologico della lesione. Il dermatologo puo' quindi utlizzare il motore di ricerca per cercare foto simili e confrontare il proprio caso con gli oltre ventimila disponibili. 'Il prossimo obiettivo - ha concluso Di Giammatteo - e' estenderne l'applicazione a altri settori della medicina in cui si utilizzano immagini, come in endoscopia, in chirurgia neurologica per aiutare il medico a togliere il tumore cerebrale senza ledere parti sane e per il cancro al seno'.


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UN PROGETTO A NAPOLI E LIONI PER L’ASSISTENZA AGLI ANZIANI

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
Attraverso l'e-care prevede percorsi sociosanitari ed assistenziali integrati
Si chiama 'Sperimentazione delle tecnologie e-care agli anziani fragili' il progetto che coinvolgera' in un primo tempo i residenti della Municipalita' VI del Comune di Napoli che fanno parte del distretto sanitario n. 52 della ASL Napoli 1 ed i residenti del Comune di Lioni della provincia di Avellino che afferiscono al distretto sanitario n 4 dell'ASL Avellino 1. La sperimentazione partira' il 1 febbraio e durera' un anno e successivamente il progetto sarà esteso all’intero territorio regionale. Promosso dagli assessorati regionali alla Sanita' ed alle Politiche Sociali e Pari Opportunita' e dall'Arsan e sponsorizzato da una societa' farmaceutica, il progetto si propone di collocare il cittadino al centro dei servizi. La sperimentazione consiste in un sistema di presa in carico dell'anziano solo e in difficolta' mediante percorsi socio sanitari ed assistenziali integrati. A questo scopo sarà realizzato un centro di ascolto telefonico, in collegamento con il numero verde sanita', e sportelli di front office per consentire l'accesso alle informazioni necessarie alla fruizione dei servizi. Sara' inoltre realizzato un call contact center del numero verde sanita' presso l'Arsan con funzioni di collegamento tra il cittadino e le istituzioni coinvolte. L'apertura di uno sportello informativo di front office per entrambe le aree di riferimento oggetto della sperimentazione, consentira' di fornire informazioni, orientamento ed accoglienza, capacita' di ascolto, accompagnamento e filtro per la fruizione dei servizi.


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UNA TERAPIA GENICA MADE IN ITALY CONTRASTA L’ADA-SCID

>>Da: urania
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Sono 12 i bambini salvati dalla rara immunodeficienza ereditaria
Sono 12 i bimbi salvati da una rara immunodeficienza ereditaria grazie alla terapia genica contro l'Ada-Scid. Il risultato è il frutto del lavoro degli scienziati di Telethon e di un investimento di 10 milioni di euro riconosciuto a livello internazionale con la prossima pubblicazione sul 'New England Journal of Medicine' della storia dei primi nove bambini trattati e guariti, provenienti da tutto il mondo e tenuti in osservazione per almeno otto anni. L'Ada-Scid e' una rara malattia ereditaria che colpisce circa 200 persone nel mondo per la quale il sistema immunitario dei pazienti e' gravemente compromesso fin dalla nascita per la mancanza di un enzima chiave per la maturazione dei linfociti. Cosi' per i piccoli anche le infezioni piu' banali possono essere letali. Grazie allo studio Telethon, si e' visto che una sola infusione di cellule staminali del midollo osseo dei piccoli oazienti ingegnerizzate e corrette con la terapia genica consente di ripristinare nel bambino un sistema immunitario normale e di crescere sano. Il protocollo di terapia genica messo a punto dai ricercatori di Telethon ha ottenuto la qualifica di farmaco orfano dall'Emea e fra due anni dovrebbe arrivare la registrazione europea, primo passo per il riconoscimento della cura made in Italy come terapia standard rimborsabile da parte del Servizio sanitario nazionale.


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TECNICHE ANTISTRESS E MEDITAZIONE POSSONO COMBATTERE LA DEPRESSIONE

>>Da: urania
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Possono essere usate con successo anche per migliorare l’ipertensione e il dolore cronico
Le tecniche antistress e meditative possono combattere l'ipertensione, l'ischemia del miocardio, il dolore cronico, la malattia infiammatoria intestinale, le infezioni, le dipendenze da droga e da cibo. Lo rivela una recente review sistematica del gruppo di scienziati guidati da Edmund Ernst che ha dimostrato come in persone con depressione ricorrente e ansia cronica, l'affiancamento della meditazione alla normale psicoterapia e psicofarmacologia favorisce il recupero nei due terzi dei pazienti, una percentuale non raggiungibile con il solo trattamento standard. Anche in Italia si cominciano ad avere studi di questo genere. Lo dimostra una ricerca, presentata al recente Congresso della Societa' italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia (SIPNEI) da Francesco Bottaccioli, presidente onorario della societa' scientifica, da Antonia Carosella, maestra di tecniche meditative, dalle psicoterapeute Raffaella Cardone e Monica Mambelli, dalla psicologa esperta in statistica Marisa Cemin, che ha preso in esame oltre 70 partecipanti ai corsi di 'Meditazione a indirizzo Pnei' condotti da Carosella e Bottaccioli. I partecipanti ai corsi sono stati studiati con il Symptom rating test, uno strumento scientifico che consente la valutazione del cambiamento sintomatologico ed è stato rilevato un forte abbattimento della sintomatologia dopo 30 ore di insegnamento teorico-pratico.


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L'herpes labiale espone al rischio dell'Alzheimer

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
Molti ricercatori sono convinti che l'herpes labiale sia causato da placche di proteine che si accumulano nel cervello delle persone affette da Alzheimer.
Da un recente studio dell’Università di Manchester sembra inoltre che i farmaci antivirali, cui si ricorre per affrontare le irritazioni da freddo, possano essere un valido aiuto nella prevenzione della demenza degenerativa.

Lo studio del team della professoressa Ruth Itzhaki, ha trovato prove genetiche del virus herpes simplex (Hsv) tipo 1, nel 90% delle placche cerebrali dei malati di Alzheimer; spiega la dottoressa: «pensiamo che l'Hsv1 entri nel cervello di un anziano, il cui sistema immunitario e' più vulnerabile, e lì instauri un'infezione dormiente che può essere attivata all'improvviso da eventi come stress, immunosoppressione e infezioni di natura diversa».
Ciò comporta danni alle cellule cerebrali, con conseguente morte e disintegrazione delle stesse, con rilascio di proteine che si trasformano in placche amiloidi.

Si tratta ora di sperimentare se i farmaci antivirali per le irritazioni da freddo, stante la loro azione inibente sull'Hsv1, siano in grado di fermare il danno cellulare che causa l'insorgere dell'Alzheimer.


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Mamma fumatrice e depressa? Cuore a rischio per il bimbo

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
È stato recentemente pubblicato nella rivista internazionale British Journal of Clinical Pharmacology uno studio condotto dai Centri di Teratologia di Padova, Gerusalemme e Berlino, i quali forniscono consulenze alle donne che assumono terapie in corso di gravidanza per una valutazione degli eventuali rischi fetali connessi.

Lo studio è stato condotto su 724 donne in gravidanza che avevano assunto farmaci antidepressivi contenenti fluoxetina o paroxetina. I risultati hanno evidenziato un aumento di bambini con malformazioni cardiache nelle donne che avevano assunto i farmaci (3-4 volte maggiore) rispetto a un campione di controllo che non aveva assunto farmaci. In particolare l’aumento di cardiopatie ha riguardano donne che, oltre all’assunzione di farmaci, avevano fumato almeno 10 sigarette al giorno (rischio 5 volte maggiore di cardiopatia nei loro bambini).

I responsabili della ricerca sottolineano che la patologia cardiaca è nella maggior parte dei bambini non grave e non tale da giustificare la sospensione della terapia che deve essere continuata sotto stretto controllo medico, ma ribadiscono l’importanza del ruolo del fumo che va sospeso non appena la donna sa di essere in gravidanza in quanto assunto simultaneamente potenzia l’effetto negativo del farmaco.
Nei casi in cui vengano assunti gli anti-depressivi, è opportuno eseguire una ecocardiografia ostetrica per escludere una patologia cardiaca fetale o per programmare con i cardiologi pediatri l’assistenza post-natale in caso venga evidenziata una malformazione.


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L’obesità aumenta il rischio mal di testa

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
L’obesità e il soprappeso aumentano il rischio di soffrire di mal di testa: è quanto sostiene uno studio condotto presso il Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta e pubblicato sulla rivista Cephalalgia.

Lo studio ha esaminato i dati relativi al periodo 1999-2002 di 7601 persone, uomini e donne, con più di 20 anni: il 15% degli uomini e il 28% delle donne hanno sofferto di gravi emicranie nei 3 mesi immediatamente precedenti lo studio.
Circa il 35% del campione ha evidenziato soprappeso con un Indice di Massa Corporea (IMC) compreso fra 25 e 30; il 30% del campione ha evidenziato obesità con un IMC superiore a 30, mentre il 33% del campione si è rivelato perfettamente normopeso con un IMC compreso fra 18,5 e 25.

Le persone obese o in soprappeso, tenendo conto anche di altri fattori predisponesti all’emicrania come sesso, etnia, uso di alcool, abitudine al fumo, hanno mostrato un rischio 1,5 volte maggiore rispetto ai normopeso di soffrire di emicrania.
Il 2% del campione in esame era sottopeso: loro più degli obesi, tendono a soffrire di emicrania.
I sottopeso in questo studio, però, era no un’esigua minoranza sono quindi necessari altri studi per affermare se l’essere sottopeso, come l’obesità, aumenti l’incidenza di emicrania.


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Emicrania e ipertensione: chi ha entrambe rischia l'ictus

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
L’ipertensione rappresenta il principale e più potente predittore di ictus, poiché è coinvolta nell'insorgenza di 12,7 milioni di episodi di malattia nel mondo (186.000 nuovi casi di ictus all’anno solo in Italia), pari a circa il 70% del totale. Anche l’emicrania, che colpisce il 12% della popolazione, rappresenta un fattore emergente di rischio di ictus.
L'ictus rappresenta la prima causa di ospedalizzazione e la terza di morte, è causa di quasi 6 milioni di decessi all’anno nel mondo e circa 400.000 in Europa (pari al 10-13% della mortalità globale).

Il rapporto tra emicrania e ipertensione arteriosa e l’associazione con il rischio ictus è stata indagata da MIRACLES, il primo studio osservazionale multicentrico italiano con il più grande numero di pazienti affetti da ipertensione ed emicrania afferenti agli studi dei medici di medicina generale.

In Italia 2 pazienti su 10 ipertesi o emicranici hanno probabilità di avere entrambe le patologie. I comorbidi hanno una significativa probabilità di avere una storia di Ictus/TIA (attacco ischemico transitorio) 1,7 volte superiore al paziente solo iperteso.
I pazienti comorbidi presentano peculiari caratteristiche: l’emicrania insorge tardivamente (dopo i 30 anni) mentre l’ipertensione insorge precocemente (prima dei 50 anni), hanno una frequente storia familiare per entrambe le patologie, hanno una maggiore frequenza di storia personale di ictus/TIA, caratterizzata in particolare da un’insorgenza antecedente i 50 anni, una prevalenza
che si manifesta nelle donne e/o assenza dei noti fattori di rischio per l’ictus (esempi: fumo e diabete).

Inoltre l’emicrania nella fascia di comorbidi più giovani (al di sotto dei 50 anni) può anticipare l’evento di un ictus. Questo dato è innovativo, in quanto la prevenzione dell’ictus diventa particolarmente stringente nel paziente emicranico ed è necessario individuare misure del rischio di ictus specifiche per questi pazienti.


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Maschio o femmina? Decide papà

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
Secondo uno studio dei ricercatori dell’Università di Newcastle, in Gran Bretagna, il patrimonio genetico maschile gioca una parte fondamentale nello stabilire il sesso del nascituro.

Lo studio, che ha analizzato l’albero genealogico di 927 famiglie nel corso di centinaia d’anni, ha dimostrato che gli uomini che hanno più fratelli sono più inclini a concepire un maschio, mentre quelli che hanno più sorelle, avranno più facilmente una figlia femmina. La ricerca, che ha esaminato la storia familiare di 556.387 persone in Nord America ed Europa, risalendo indietro nel tempo fino al 1600, non ha rilevato un analogo legame con la parte materna.

Secondo lo studio diretto da Corry Gellatly, c'è una forte evidenza che nel meccanismo la componente genetica giochi un ruolo importante. Lo studio degli alberi genealogici mostra che il fatto di avere un maschio o una femmina è ereditario.
Per provare a prevedere il sesso del bimbo in arrivo, basta fare un salto indietro nel tempo e andare a vedere la composizione della propria famiglia.

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Gelosia a quattrozampe

>>Da: urania
Messaggio 1 della discussione
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Vienna ha scoperto che i cani possono soffrire di gelosia e diventare vendicativi se notano che il proprio padrone preferisce altri quadrupedi o anche altre persone, soprattutto bambini.
La cosiddetta invidia del bimbo era osservata da tempo, ma per la prima volta se ne è data una prova scientifica: il cucciolo di casa arriva anche a deprimersi se in famiglia arriva un neonato. La prima manifestazione di questo malessere è lo sciopero del gioco: il cane rifiuta non solo di giocare con i soliti oggetti, ma anche di sottoporsi alle coccole del padrone traditore.

Gli studiosi hanno coinvolto per il loro studio 43 cani addestrati a tendere la loro zampa a richiesta. In una prima fase, in cui erano da soli, i cani hanno sempre adempiuto alla richiesta, con o senza ricompensa prevista.
In una seconda fase la prova è stata effettuata in gruppo e i cani che non ricevevano un premio in cambio dell’alzare la zampa, si rifiutavano di effettuare il compito, che veniva portato a termine solo 13 volte su 30.
Nei cani non premiati, quindi trattati diversamente dagli altri, si sono notati segni di stress (come grattarsi); ne emerge che «i cani sono dunque capaci di rispondere all'ingiustizia manifestando vari tipi di comportamento».


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L’unicità del Costa Rica

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Maria Chiara Albanese

In un mondo flagellato da minacce alla pace e sicurezza internazionale, dove gli Stati cercano quanto più di proteggere se stessi ed i loro vicini da pericoli sorgenti da paesi vicini e lontani o dal loro stesso interno, uno stato più degli altri spicca per la sua unicità: il Costa Rica. Tale paese centro americano, che conta poco più di 3.900.000 abitanti su un territorio di 51.000 km2, ha celebrato la scorsa settimana una ricorrenza nazionale molto speciale: il 60° anniversario dall'abolizione delle Forze Armate costaricane.

Ebbene si, pur confinando con uno dei paesi centro-amaricani più turbolenti, quale il Nicaragua, il Costa Rica ha deciso nel 1948, grazie ad una proposta politica dell'allora presidente José Figueres Ferrer, di abolire le proprie Forze Armate regolari, lasciando come unica forza atta a garantire la sicurezza nazionale il corpo di polizia. Tale scelta politica di gran rilievo ha permesso il reinvestimento dei fondi per la difesa, che oggi ammontano allo 0.4% del Pil nazionale, in altri settori essenziali della vita del paese, come l'istruzione, contando oggi un tasso di alfabetizzazione del 95%, e la sanità, avendo garantito un servizio sanitario pubblico di notevole professionalità ed efficienza. Ma l'elemento che più stupisce un lettore della realtà latino americana è che, pur non avendo allo stato attuale una Forza Armata regolare, il Costa Rica è uno dei pochi paesi dell'America Latina e Caraibi a vantare una stabilità politica pluridecennale, mai sfigurata da alcun tentativo di colpo di stato, né da parte di forze interne né esterne. Una delle economie più stabili della regione, che vede nel settore terziario la maggiore fonte di occupazione professionale per la popolazione con una agricoltura fondamentale per il ostentamento e le esportazioni del paese. Il suo Prodotto Interno Lordo (Pil) ammonta a $ 45,770,000,000 tanto da collocarsi al 90° posto della classifica mondiale. Avanguardistico in materia ambientale, tanto da aver dichiarato ben il 27.9% del proprio territorio Parco Nazionale, preservandolo quindi da una possibili distruzione derivanti da un'edilizi senza controllo e uno sfruttamento irrazionale delle risorse naturali del paese.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Il paese costituisce oggi un vero e proprio faro all'interno del panorama latino americano, avendo dimostrato nei decenni una maturità politica di notevole spessore. Basti citare l'abolizione della pena di morte, avvenuta nel 1871, la dichiarazione di neutralità perpetua del 1983. I suoi uomini di spicco hanno contribuito al progresso della regione, come il presidente Óscar Arias Sánchez, eletto nel 1986 per la prima volta e poi una seconda a ventanni di distanza, che proprio grazie al suo programma di pacificazione regionale si è visto insignito del Nobel per la Pace nel 1987, periodo politicamente molto caldo per il Centro America. Il Costa Rica è membro di ben 45 organizzazioni regionali e/o internazionali, costituendo di fatto una delle voci più interessanti e maggiormente ascoltate di tutto il Centro America.

Oggi il Paese vive un momento di profonda riflessione politica interna, dettata dalla attuale proposta di riforma costituzionale portata avanti dal Presidente Óscar Arias Sánchez e il Ministro Rodrigo Arias Sánchez. Il cuore di tale riforma costituzionale è identificabile nel desiderio di rendere maggiormente moderna la Magna Carta costaricana, in special modo eliminando quei meccanismi che de facto ostruisco il corretto e rapido agire della politica a livello nazionale. In particolare, i punti di maggiore criticità e dibattito politico riguardano una possibile riduzione dei poteri del Tribunale Costituzione, alcuni meccanismi di freno all'azione del Congresso e il conferimento di maggiori poteri al Governo centrale. Tali proposte, però, non sono state accolte molto positivamente né dall'opposizione dell'attuale presidente Óscar Arias Sánchez né una parte degli stessi costaricani, i quali sono molto riluttanti a qualunque tipo di riforma costituzionale, vedendo nella loro Magna Carta quel lume di stabilità che per decenni ha impedito di gettare in pasto a movimenti interni o interessi esterni il paese. La stabilità costaricana, per molti analisti, trova proprio nella Costituzione del Paese il suo vero guardiano.

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Germania. Più poteri alla polizia per contrastare il terrorismo islamico

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Francesca Traldi

Dopo lunghe trattative la legge sulla «CIA tedesca» supera la prova del parlamento con un'ampia maggioranza. Grazie al compromesso trovato tra la SPD e la CDU, il Bundeskriminalamt (BKA), l'ufficio che dal 1951 si occupa della sicurezza dei cittadini e che dopo l'11 settembre 2001, con l'approvazione dei due terzi del parlamento e del senato, ha il compito di combattere il terrorismo internazionale di matrice islamica collaborando con l'Interpool e l'americana CIA, ampia di molto le proprie prerogative. Dal 1° gennaio 2009 il BKA avrà nuovi poteri di controllo sui mezzi di comunicazione dei singoli cittadini: potrà, previa autorizzazione del tribunale, avere accesso ai dati contenuti sui personal computer per effettuare controlli e poter contrastare gli attentati terroristici. Grande soddisfazione per il voto favorevole è stata espressa dal ministro degli Interni Wolfgang Schaeuble (CDU), che aveva criticato la campagna di diffamazione alla quale la legge era stata inizialmente sottoposta dall'opinione pubblica tedesca. Schaeuble, che aveva manifestato la propria volontà di portar avanti la riforma dei servizi di polizia entro Natale, si è detto felice di mantenere la promessa fatta ai cittadini tedeschi: «La libertà così come la privacy del singolo non è in discussione, è tutelata dalla Costituzione e da ogni legge varata da questo Stato; noi ora vogliamo affermare un principio figlio dei nostri tempi! La sicurezza dei cittadini, dall'11 settembre, è messa a rischio dalle continue minacce islamiche; vogliamo prevenire il crimine e non trovare i colpevoli dopo».

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

La legge presentata dalla CDU era stata inizialmente bocciata dal Bundesrat. L'organo che in Germania rappresenta gli Stati federali vedeva nella proposta una violazione della privacy dei singoli cittadini. La Baviera, Berlino e Amburgo, oltre al partito di estrema sinistra, erano infatti contrari a consentire al BKA l'accesso ai computer dei tedeschi per combattere il terrorismo. Il capogruppo della SPD in parlamento, Thomas Oppermann, nel corso della conferenza stampa a Berlino, riscontrando il plauso del ministro Schaeuble e del cancelliere Merkel, ha ammesso che «con questa legge, per la prima volta i servizi di polizia potranno prevenire gli attacchi terroristici. La riforma è stata dettata dall'esigenza di combattere il terrorismo in campo internazionale. Come politici di questo paese non possiamo certo ignorare le minacce che ogni giorno giungono in Germania da parte delle cellule islamiche legate ad Al Qaeda. La nostra polizia ha già sventato diversi piani terroristici che avevano come obiettivi gli aeroporti di Berlino e Colonia. Con le nuove misure che autorizzano i controlli sui PC e sui cellulari saremo in grado di dare un maggior senso di sicurezza ai cittadini».

Il sindacato della polizia tedesca (DPolG) ha approvato il compromesso e ha chiesto che la legge entri in vigore il prima possibile. «Con queste modifiche, ha dichiarato il rappresentante del sindacato DPolG a Berlino, Rainer Wendt, si compiono grandi passi avanti per la giustizia. Non è in pericolo la libertà dei cittadini - ha assicurato Wendt - ma la loro sicurezza: si agirà sempre nell'ambito della legge perché è richiesta l'autorizzazione a procedere da parte del tribunale, è una modifica importante!». Anche il ministro della difesa Brigitte Zypries (SPD) ha definito il compromesso «un risultato importante, che rende operativa una legge per il futuro della Germania. Il fatto poi che entri in vigore dal 1° gennaio ne mostra l'urgenza». Dopo l'approvazione di questa legge, resta ora da vedere in Europa chi ne farà tesoro o meno.

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La Russia fra crisi economica e demografica

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Andrea Forti

Nell'ormai tradizionale incontro televisivo in cui il premier russo Vladimir Putin risponde in diretta telefonica alle domande dei cittadini uno degli argomenti che più hanno tenuto banco è stato, comprensibilmente, quello della crisi economica, che inevitabilmente ha investito anche la Russia, colpita in particolare dal repentino calo del prezzo del greggio, passato dai quasi 150 dollari al barile dell'ultima estate agli attuali 46 dollari circa.

La sopraggiunta crisi economica sembra far tornare in Russia lo spettro della spaventosa crisi del 1998, che diede un colpo fatale alle speranze di uno sviluppo in senso puramente democratico-liberista della Russia post-sovietica, speranze alimentate soprattutto da chi non aveva capito come la sospirata liberazione dal comunismo si fosse, agli occhi di tanti cittadini russi comuni, tramutata in un assalto alle ricchezze del paese da parte di una ristretta cerchia di oligarchi, spesso ex funzionari di partito, che in meno di un decennio si fece scudo di parole come «liberalizzazione economica» e «democrazia» per portare avanti sordidi interessi personali e di «clan».

La paura dei russi, in questa congiuntura di crisi mondiale, è proprio quella di ritornare ai disastrosi anni '90, e per questo una gran parte delle domande rivolte dal pubblico a Vladimir Putin hanno riguardato la crisi e le misure che il governo intenderà adottare per arginarla.

Le soluzioni presentate al pubblico dal Premier, che ha sottolineato come il paese sia comunque più solido di dieci anni fa, vertono innanzitutto su misure popolari come la difesa del rublo dalla svalutazione, la riduzione dei prezzi interni dell'energia, l'ingresso dello stato come azionista nelle maggiori imprese nazionali e la difesa del «lavoro russo» da una crisi che già intacca l'economia reale.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

La difesa del lavoro è un argomento molto sentito, vista appunto la crescente disoccupazione dovuta alla crisi (i disoccupati sono già 1,7 milioni) e una delle misure annunciate da Putin per arginare il problema, oltre al sostegno alle imprese e all'economia reale, sarà quella di ridurre del 50% per il prossimo anno le quote di immigrati regolari ammessi nella Federazione Russa. La decisione di dimezzare le quote, comunicata in diretta durante la trasmissione ad una concittadina che chiedeva chiarimenti sulle politiche del lavoro e dell'immigrazione, potrebbe a prima vista sembrare una misura esclusivamente populistica, ma a ben guardare è una mossa più che necessaria per un immenso paese che oltre alla crisi economica è colpito da un'altra crisi, più silenziosa ma non per questo meno pericolosa: quella demografica.

In un paese come la Russia, con un grave problema demografico dovuto ad un basso tasso di natalità (10,7‰ un dato basso ma in linea, se non lievemente superiore, agli standard occidentali) unito ad un alto tasso di mortalità (16,2‰, un dato questo più vicino a standard da Terzo Mondo), l'immigrazione, proveniente soprattutto dalle repubbliche asiatiche dell'ex-Urss e dalla Cina, si pone non solo e non tanto come questione legata all'ordine pubblico, ma come vero e proprio problema politico, se è vero che, ad esempio, le immense distese della Siberia confinanti con la Cina, ricche di risorse e materie prime quanto poco popolate, corrono il rischio di una «sinizzazione» non solo economica ma anche demografica.

In un tale scenario di recessione globale e di crisi demografica, che in modi diversi colpiscono entrambe la popolazione autoctona russa, è facile capire come un rigido controllo dell'immigrazione diventi una necessità quasi strategica al pari dell'intervento dello Stato nell'economia nazionale. Il dimezzamento delle quote di ingresso evidentemente non è una semplice deriva populista o peggio xenofoba, come scrivono anche alcuni nostri giornalisti, ma la constatazione da parte della leadership russa che non tutto quello che può sembrare «politicamente corretto» nei salotti occidentali è effettivamente di giovamento per il più esteso, e forse il più problematico, Paese del Mondo.

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Decreto anti-crisi: grandi novità nel gioco dell'Opa

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Letizia Zingoni

Cominciamo dalle definizioni: per i non addetti ai lavori l'offerta pubblica d'acquisto o Opa è lo strumento con il quale si attua una «scalata». E', cioè, un'offerta o invito a offrire finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari: una «sollecitazione al disinvestimento». Più in dettaglio, questa offerta è rivolta da un potenziale acquirente ai possessori di titoli o prodotti finanziari di una società «target».

Nell'ordinamento italiano le Opa sono disciplinate dagli articoli 102-112 del Testo Unico della finanza (TUF), nonché dalle misure attuative in materia di emittenti contenute nel regolamento Consob («Regolamento Emittenti»). Si possono distinguere due fattispecie di Opa: la prima, «consensuale», quando il CdA della società oggetto della scalata si pronuncia favorevole all'offerta stessa; la seconda, «ostile», quando il CdA si pronuncia in modo contrario. In quest'ultimo caso, in uno scenario di scalata ostile, per la società oggetto dell'OpA (la «target»), fino ad oggi, ovvero secondo la versione originaria dell'art. 104 TUF, vigeva il divieto legale di compiere atti che potevano ostacolare il raggiungimento degli obiettivi dell'OpA (c.d. «passivity rule») senza un'espressa autorizzazione dell'assemblea. Quest'ultima, però, poteva deliberare eventuali contromisure, anche in seconda ed in terza convocazione, solo con il voto favorevole dei soci pari ad almeno il 30% del capitale cociale. Il legislatore italiano, con l'introduzione della «passivity rule», aveva quindi deciso di lasciare pochi margini di manovra all'assemblea, e ancor meno agli amministratori, per difendersi dagli attacchi nocivi dell'interesse sociale. Chi era sotto assalto, non poteva difendersi!

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Anche se la disciplina sull'Opa è il recepimento di una direttiva comunitaria, i suoi principi fondamentali erano stati recepiti in un'ottica completamente (eccessivamente) pro-mercato, mentre il resto d'Europa - specie la Germania - si era tenuto su posizioni più difensive. Dal confronto tra la «passivity rule» italiana e quella francese, tedesca o inglese, emergono infatti molto chiaramente maggiori poteri discrezionali assegnati alla Cob in Francia e al Takeovers Panel nel Regno Unito nel decidere, caso per caso, l'ammissibilità di singole misure difensive assunte anche senza il consenso dell'assemblea. Il Ministro Tremonti qualche mese fa, proprio a questo proposito, aveva esclamato che «in Europa non esiste» - «in Italia, se ti scalano devi rimanere fermo». Il rischio di Opa ostili in questo periodo è molto sentito, come testimoniato dallo stesso Silvio Berlusconi che più volte ha espresso la sua preoccupazione sulla possibilità, sempre più concreta, di ricevere attacchi ostili da parte di fondi sovrani mediorientali diretti verso le grandi aziende italiane, oggi sottovalutate per la crisi dei mercati.

Ecco perché l'adeguamento europeo della «passivity rule» è divenuto una priorità, vista la violenza della crisi finanziaria. Nella nuova formulazione le società italiane quotate i cui titoli sono oggetto dell'offerta pubblica si astengono dal compiere atti od operazioni che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell'offerta «salvo autorizzazione dell'assemblea ordinaria o di quella straordinaria per le delibere di competenza» ed inoltre «la mera ricerca di altre offerte non costituisce atto od operazione in contrasto con gli obiettivi dell'offerta».

Abbiamo rimediato a una clamorosa svista! Le poche grandi imprese italiane, sottovalutate per la crisi, costano poco e le regole italiane sull'Opa, fino ad oggi, limitavano la possibilità di difesa della società attaccata. Non c'era piatto migliore per gli speculatori finanziari, specialmente per i paesi produttori di petrolio, già pronti a «leccarsi i baffi». Ma il pragmatico «patriottismo economico» di Berlusconi e Tremonti ha impedito, ancora una volta, che svendessimo l'argenteria di casa.

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Bologna. Le primarie del Pd per il dopo-Cofferati

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Salvatore Sechi

Sergio Cofferati si trasferisce a Genova. Lascia Bologna, un paesone lercio, con i vicoli, i bidoni porta-rifiuti e le stradine del centro puzzolenti di urina, di cacche di cani diarroici, dove la politica e gli affari, grazie alle micro-dimensioni del tessuto industriale, sono un groviglio inestricabile di parentele e scambi politici. Qui gli intellettuali sono un ceto urbano ampio e vaporoso di privilegi. Hanno sempre vissuto senza rimorsi il loro indomabile conformismo. Con la chiesa-parrocchia e col partito.

Cofferati va via peggio di come era arrivato. Missus dominicus del partito romano, è stato calato dall'alto per espiare nell'esilio dalla politica dei salotti una troppo rapida ascesa. Piero Fassino e Massimo D'Alema, più che di questo cremonese vissuto sui cronometri (a tagliare il tempo degli operai) della Pirelli di Tronchetti Provera, avevano paura della capacità dimostrata di far calare in piazza San Giovanni 4 milioni di cittadini a spernacchiare Berlusconi. Con l'aspersorio dagli aspri aromi del centralismo democratico lo hanno spedito a svernare nella città del cardinal legato. Non c'erano messe rosse da celebrare, ma un gran tran tran, una città imbolsita, dove non sai mai dove andare a mangiare una buona gramigna o, peggio, dei funghi, un colostro universitario disseminato ovunque che incombe da mane a sera sui tuoi passi.

A Bologna, Cofferati è rimasto quello che era al momento del suo arrivo: un gran bello sconosciuto. Si diceva che era segretario della Cgil come se si parlasse degli chef delle cucine rinascimentali della Ferrara estense. Cofferati non ha saputo legarsi alla gente, alla città. Una città che diventa sempre più tignosa man mano che invecchia e prende le fogge della grande matrona. Si scrive così ma si legge «gran tenutaria di bordelli». Amare e farsi amare. Né lui né lei hanno fatto un passo verso l'altro. Si sono tenuti a debita distanza. Come amanti furtivi o dai sentimenti incerti.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

I bolognesi sembrano diretti e semplici, ma sono complicati, gente difficile. Apparentemente compagnoni, trasgressivi e pacche sulle spalle. In realtà, nell'andare avanti, oltre la cordialità di partenza e di facciata, sono ispidi e selettivi come i torinesi. Votano per il Pci come nessuno ha mai fatto al mondo. Con eguale fervore ieri si raccoglievano ad osannare Mussolini e i fasci. Dell'essere di sinistra, anzi comunisti, i bolognesi hanno fatto un rito identitario. Ma il quotidiano più letto e in fondo amato è sempre stato Il Resto del Carlino, sempre impeccabilmente conservatore. Perciò hanno preso a ben volere quella cultura del cerchiobottismo che Paolo Mieli ha affidato ai ragazzi di bottega del Corriere di Bologna. Mario Missiroli si strugge le viscere nei poveri resti del cimitero. Così come, pur apprezzando la politica da socialdemocratici, richiesti circa il paese dove a loro avviso fosse stato realizzato il socialismo, i compagni bolognesi delegati dei congressi comunisti indicavano, a metà degli anni Settanta, la Germania orientale.

Gli eredi del Pci locale sono un bel campionario di conservazione e cautela, di prudenza e anche calcolo minuto. Ma non abbandonano mai il gusto per l'irriverenza, un certo anarchismo che si esprime nella forma di una blanda illegalità. Su questo Cofferati è stato inflessibile. Ha tirato la serranda sui centri sociali inimicandosi, fino alla rottura, i rappresentanti di Rifondazione. Ha imposto che si potesse tirare tardi con la sola birra solo fino alle 22, e da allora in poi piantarla di fare fracasso e disturbare il sonno dei vecchi residenti. Di questi 60-70 mila studenti, l'ampia fascia dei rentiers ama l'esosissimo obolo (l'affitto) mensile, ma non il pigolare a notte fonda e fare casino, ultima risorsa perchè la città offe molto poco. Il Pratello, la via delle osterie (sporche come di più non si può), si è ribellato, il partito ha sostenuto gli osti. Ma il cremonese Cofferati non ha mollato.

Con chi si deve sostituire Cofferati? Il partito più chiuso (il potere non è acqua e anzi fa sistema) ha scelto quanto è più distante dall'osservanza della sua lunga superstizione autoritaria, cioè le primarie. A contendersi la palma di concorrere a primo cittadino sono scesi in 4 (due assessori di Cofferati, Virginio Merola e Andrea Forlani, il vice-presidente della Provincia Maurizio Cevenini e delle Regione Flavio Delbono). Si tratta di una finta, cioè di primarie in salsa petroniana. Lo dicono in tre, meno Del bono. Infatti alla fine chi stabilisce il vincitore è la nomenclatura. Da Prodi a Zangheri, da Veltroni a Bersani, dallo stesso Cofferati fino al segretario di federazione, lo sconosciuto De Maria, hanno fatto un solo nome: Flavio Delbono. E sarà così, quasi sicuramente. La salmeria ha sempre seguito l'Intendente.Dunque il Pd assomiglia al vecchio Pci dove le nomine erano un compito esclusivo dei dirigenti? Domani si vedrà quanti, sfideranno pioggia e nevischio per andare ai seggi, e se nel popolo della sinistra petroniana ha preso piede la bella follia di disubbidire al sinedrio di Veltroni.

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Il tempo delle scelte

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Gabriele Cazzulini

La piena del Tevere ha un forte significato umano e politico. E' la natura che si riprende il controllo del pianeta proprio quando i grandi della Terra discutono di ambiente. Roma chiama Bruxelles e il messaggio trasmesso è duro: l'ambientalismo che unisce il verde con il rosso della sinistra non è un ombrello protettivo per salvare il pianeta da apocalittiche tragedie sull'ozono e altri miti. La gestione del patrimonio ambientale dev'essere inserita in un sistema di guadagno collettivo invece di contrapporre l'ambiente ad ogni altro interesse legittimo.

La morte della donna annegata sotto ad un ponte riporta in vita il senso più autentico della politica, cioè il governo della polis, che non può appiattirsi sui dibattiti del potere, sulle lotte tra le correnti, sulle poltrone in palio. La politica richiede una visione generale, una prospettiva capace di includere invece di escludere. Questo significa uscire dal palazzo, camminare per le vie della realtà, respirando l'aria pulita dai fumi del potere.

E' un'epoca storica fertile per la destra, che ritrova la sua identità proprio nella sua vocazione naturale ad una visione «ecumenica» del mondo, senza prediligere una dimensione a scapito delle altre. Il sindaco di Roma Alemanno ha sconfitto vent'anni di potere rosso non tanto perché vent'anni consumano chiunque. Ha vinto perché la sua politica aveva radici nella società e non si curava troppo dei patti di potere. La piena del Tevere investe le responsabilità di tutti. Ma proprio per questo fa capire che i giochi di palazzo sono un ottimo viatico per peggiorare ulteriormente le crisi. La stessa crisi economica ha ridato anche un senso più vero al termine «crisi», che con il governo Prodi, primo e secondo, stava in prima pagina un giorno sì e l'altro pure. Adesso anche le parole riacquistano il loro significato reale, perché ritornano a misurarsi con la realtà.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Quest'ondata di piogge è come un simbolo di pulizia. C'è un episodio nelle vicende di Don Camillo e Peppone che è facile scolpire nella memoria perché è uno dei rari momenti in cui emerge una concordia dei cuori - e infatti è proprio la piena del fiume che inonda il paese. In quel momento nessuno è più fasciato nel suo ruolo di militante che lotta contro la parte nemica. Si ritrovano tutti insieme, ma senza cancellare le divisioni.

La politica come ritorno al governo della polis dovrebbe essere proprio questo: ognuno faccia il suo compito. E' inutile tanto combattersi aspramente quanto contorcersi in qualunque tentativo di conciliare gli estremi. Il governo faccia il governo e governi la comunità. L'opposizione critichi, protesti e scioperi quanto vuole. E' il suo mestiere fino a quando la maggioranza degli elettori non cambia idea. Ma Don Camillo faccia Don Camillo e Peppone resti il sindaco rosso col baffo stalinista. Leggere le interviste di pezzi grossi del Pd che si domandano se sia giusto o meno scioperare con la Cgil fa capire subito che quest'incertezza, cioè questa debolezza, è figlia di una confusione totale. Viceversa quando nella destra si sentono voci che tendono la mano alla sinistra, è facile rivivere gli anni infelici dove centro, destra e sinistra erano un magma indistinto che occupava il potere senza fare politica. Ma poi ci pensò l'inondazione civile del '92-'93 a scrostare quella classe politica.

Il bene dell'Italia nasce quando ognuno fa il suo - caso estremamente raro per un paese abituato a mischiare i ruoli. Non sta scritto da nessuna parte che il consenso dell'opposizione trasformi automaticamente ogni disegno di legge in un successo indiscusso. Può invece favorire le carriere politiche di qualche arrivista, tanto a destra quanto a sinistra. Ma questo è un altro discorso, con un acre odore di potere e poltrona, che devia il corso della politica dalla realtà e lo fa ristagnare nel palazzo. La sinistra si è ormai votata al culto del potere, dopo aver abiurato i suoi principi e aver voltato le spalle al suo popolo. Ora tocca alla destra confermare la sua scelta opposta.


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Maestro unico facoltativo? Tutta panna montata

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Andrea Camaiora

La notizia con la quale tutti i grandi giornali hanno aperto le prime pagine di venerdì riguardava una presunta sostanziale marcia indietro sulla riforma della scuola da parte del ministro Gelmini e del governo. Il Corriere della Sera, teoricamente il più autorevole quotidiano italiano, addirittura titolava: «Maestro unico facoltativo. Scuola, la riforma delle superiori slitta al 2010». Perché il governo Berlusconi, dopo aver accettato la strada dello scontro con l'opposizione e i sindacati, ottenendo però al tempo stesso di licenziare in tempi rapidissimi la riforma, avrebbe dovuto tornare indietro? L'opposizione, infatti, non ha mancato di gridare subito alla «marcia indietro» del governo e all'«avevamo ragione noi», mentre nel centrodestra più d'uno si interrogava sul senso di questa inversione di tendenza.

La realtà è un'altra. Il governo ha anzitutto agito per senso di responsabilità. Ha infatti prima di tutto alimentato il dialogo con Cisl e Uil, ovvero con chi, fino ad oggi e in più di un'occasione, ha mostrato di saper resistere al richiamo della foresta di Veltroni ed Epifani. Bonanni ed Angeletti possono così dimostrare, proprio nelle ore delle manifestazioni volute da Epifani, di non aver isolato inutilmente la Cgil in occasione dello sciopero generale. In secondo luogo, poiché è all'esecutivo che spetta governare, ciò si traduce anche nel tenere conto della fase contingente, ossia di una crisi economica durante la quale è bene evitare fratture sociali e cercare di tenere unito il paese nonostante i profeti di sventura come Veltroni o i barricadieri come Epifani. Gli scontri avvenuti in Grecia e da qualcuno superficialmente evocati non hanno nulla a che spartire con il clima italiano, ma comunque è giusto e doveroso che il governo non inasprisca le tensioni. In questo senso, il gesto del governo si rivolge in modo distensivo anche alle famiglie italiane. E' un aspetto da non trascurare.

C'è però dell'altro, che non può e non deve essere taciuto. Ancora una volta la manipolazione della verità da parte della sinistra ha raggiunto livelli intollerabili. Livelli così elevati da trarre in inganno anche i giornali più vicini al centrodestra. «La verità - spiega a Ragionpolitica il consigliere del ministro Gelmini, Giorgio Stracquadanio - è che nulla è cambiato da quando Berlusconi e la Gelmini hanno illustrato nella conferenza stampa del 22 ottobre scorso come funzioni la riforma del maestro unico. Tutto questo è già sul sito del governo e presto sarà anche su YouTube e sulla rete, a dimostrazione che non c'è stata nessuna marcia indietro».

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Il modulo con più maestri, dunque, è definitivamente cancellato dall'ordinamento italiano e da giovedì ciò avviene con l'accordo dei sindacati Cisl, Uil, Gilda e Ugl, che hanno accettato quello che Berlusconi aveva ben spiegato il 22 ottobre. Inoltre - ed è l'aspetto forse più rilevante sul piano pratico - non c'è alcuna facoltà di scelta tra maestro unico e modulo, c'è solo la possibilità di scegliere tra tempo pieno e tempo parziale. Nel tempo pieno c'è un maestro la mattina e uno al pomeriggio, così com'era nel vecchio doposcuola. Nel tempo parziale c'è il maestro e qualche ora in più facoltativa per inglese ed informatica. Nessuno potrà avere più il modulo. E meno male! Infatti, al di là del fatto che esso era e resta un errore, ve l'immaginate le famiglie degli alunni di una classe dividersi 60 a 40 o 70 a 30 su chi preferisse uno o più maestri per il proprio figlio? Sarebbe stata un'autentica idiozia. Diverso invece consentire comunque - come è stato deciso - una libertà di scelta alle famiglie. Si tratta di un atto perfettamente coerente con l'impianto culturale e politico di Forza Italia ieri e del Popolo della Libertà oggi.

«Un'ulteriore prova di queste verità - spiega ancora con grande precisione e chiarezza Stracquadanio - è data dal fatto che tutto questo è contenuto nel piano programmatico, predisposto dal ministro dell'Istruzione ed approvato dal ministro dell'Economia, dove è scritto in modo chiaro quello che ieri è stato semplicemente sintetizzato e che realizza tutte le economie previste dalla manovra triennale con la riduzione degli organici di 87 mila unità (di cui 42.100 l'anno scolastico 2009/2010, 25.600 per l'anno scolastico 2010/2011 e 19.700 per l'anno scolastico 2011/2012, per un totale di 87.400 in tre anni) la riduzione di 44.500 unità del personale tecnico e amministrativo. Qualora ce ne fosse ancora bisogno, la prova definitiva è che non c'è alcuna modifica degli stanziamenti di bilancio previsti dalla manovra triennale e che quindi sono confermate le economie per 8 miliardi e mezzo di euro in tre anni». Quello che è cambiato, quindi, è che alcuni sindacati, esclusa la solita Cgil, hanno accettato l'azione del governo, così come era già accaduto il 30 ottobre scorso quando allo sciopero sulla scuola aderì la sola Cgil mentre Cisl, Ugl, Gilda e Sindacati autonomi lo revocarono.

In conclusione, non esiste il maestro unico facoltativo, né esiste alcun passo indietro del governo. C'è solo la solita disinformazione della sinistra, unita questa volta alla totale mancanza di professionalità di molti giornalisti e direttori. Che avesse ragione il premier a consigliare a qualcuno di loro di cambiare mestiere?

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IL VENTO DEL NORD

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Gianni Baget Bozzo

Comprendiamo perché il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, abbia proposto la fondazione del Partito Democratico del nord: la questione morale comincia dove comincia l'Appennino. Comincia in Liguria e in Toscana. E poi scende giù lungo lo Stivale, fino a Salerno e a Catanzaro, dove il caso De Magistris ha scatenato le procure una contro l'altra al punto da mandarsi reciprocamente i carabinieri alla ricerca degli indizi del reato. Credevamo che l'iniziativa di Chiamparino fosse una scelta politica, invece sembra piuttosto un «si salvi chi può».

Il punto più interessante delle situazioni subappenniniche è Firenze. Avevamo seguito con interesse la carriera dell'assessore comunale Graziano Cioni. Ci aveva dato l'impressione di essere un toscano realista attento al suo pubblico. Voleva difendere gli automobilisti fiorentini dall'attacco in massa dei lavavetri. Mise addirittura in imbarazzo il governo Prodi, ma fece capire a Giuliano Amato - che non a caso aveva scelto con intelligenza il dicastero chiave dell'esecutivo, gli Interni - la gravità civica del problema dell'ordine pubblico. Cioni aveva capito che su questo punto la sinistra rischiava di perdere il suo stesso popolo. Perciò aveva fatto il leghista toscano. Ora abbiamo capito che Cioni faceva anche dell'altro oltre ad attendere alle esigenze del suo popolo. Pensava agli interessi propri e aveva creato un suo circolo di potere di cui era il signore.

E poi, scendendo giù per l'Italia, assistiamo agli sfasci della sinistra e persino dell'Udc, che a Roma perde un suo rappresentante di grande impatto come Francesco Pionati. Adesso Pierferdinando Casini comincia a capire che lo stare in mezzo al guado non è cosa, e che l'etichetta cattolica ormai non si vende più in politica, il Vaticano stesso l'ha ritirata dal mercato.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

I comunisti hanno pensato di salvare se stessi mandando a bagno la democrazia italiana. In realtà, facendo di se stessi il potere chiave della politica, hanno distrutto ciò che credevano di essere: la riserva morale del paese. Il loro segretario Enrico Berlinguer li aveva convinti di rappresentare al tempo stesso la rivoluzione e la moralità. Sostenevano un'etica di partito che andava oltre i confini dello Stato e della nazione. E così erano convinti che violare le leggi italiane fosse un diritto acquisito per chi voleva cambiarle in nome della giustizia. Credevano di poter essere doppi e integri a un tempo, l'esempio della moralità repubblicana e la quinta colonna della rivoluzione in Italia.

Il bello viene con i processi calabresi, con la guerra tra le procure di Salerno e di Catanzaro, che ruota attorno al «feroce Saladino». Secondo le notizie di stampa, egli avrebbe architettato un sistema bipolare che univa nell'interesse privato le differenze pubbliche. E dentro questa storia compare il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino. Non sono gli stracci che vanno all'aria questa volta, è il sistema di potere che i postcomunisti e i cattolici democratici hanno organizzato in Italia, che incontra improvvisamente la sua nemesi ad opera dei magistrati. Come sarebbe bello per i postcomunisti se il vero problema fosse Massimo D'Alema o Walter Veltroni! Peccato invece che essi siano entrati nel mirino dei magistrati. È per questo che Chiamparino si chiama fuori e sogna le brezze padane. Leghista per necessità, nell'intento di salvare una qualche immagine di pulizia nordica di fronte alla corruzione subappenninica.

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Intervista a NOAM SHALIT/Non abbandonate Gilad

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

di Michael Sfaradi


Nonostante il dramma che sta vivendo il signor Noam Shalit, il padre di Gilad Shalit il soldato israeliano prigioniero nelle mani di Hamas da 898 giorni, mi concede l’intervista con pochissime ore di preavviso. Si capisce subito che in questi due anni e mezzo si è abituato a rispondere alle domande dei media ponderando ogni parola. Un ruolo di cui avrebbe fatto a meno, ma che svolge con grande dignità.


Signor Shalit, secondo lei il prossimo governo, che i sondaggi danno guidato da Netanyahu, sarà più attivo nel cercare la liberazione di Gilad?
Io non mi interesso di questioni politiche, il prossimo governo che sia di sinistra, di centro o di destra, avrà il dovere di portare a buon fine questa storia e dovrà agire in maniera molto più incisiva rispetto a quello che ha fatto quello ancora in carica. Gilad è stato rapito all’inizio del mandato Olmert, e dopo due anni e mezzo lui e i suoi ministri, ora dimissionari, tornano a casa mentre mio figlio rimane prigioniero. Se pensiamo che Gilad non è trattenuto in Afganistan o in un posto molto lontano, ma nella striscia di Gaza a meno di 100 km di distanza da Tel Aviv è facile immaginare che qualche cosa a livello politico, nel caso di mio figlio, abbia lasciato ampiamente a desiderare.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Il governo d’Israele ha rilasciato centinaia di prigionieri palestinesi e altri ancora stanno per essere liberati senza che questo porti ad una trattativa e nemmeno ad informazioni sullo stato di salute di suo figlio. Vorrei sapere cosa prova davanti a tutto ciò.
Non ho problemi che prigionieri palestinesi vengano rilasciati, io spero che tutti i prigionieri palestinesi vengano rilasciati, soprattutto quelli che ora rifiutano il terrorismo e si sono convinti che la pace fra di noi non ha altra via che quella dei due Stati. Questi rilasci, comunque, debbono essere effettuati soltanto dopo che Gilad sarà tornato a casa. Gran parte delle famiglie di persone che sono state uccise durante attentati terroristici, gente che ha perso figli o genitori, hanno dato il loro assenso alla liberazione di terroristi che si sono macchiati di crimini sanguinari pur di riavere un soldato vivo. Abbiamo però avuto modo di constatare che ogni gesto di buona volontà fatto da parte del governo di Israele al fine di creare una atmosfera tale da poter portare a una prossima liberazione di mio figlio, non ha sortito alcun effetto. Chi pensava che questa politica portasse dei risultati positivi si deve ricredere perché, da parte di Hamas, c’è stato un irrigidimento con una conseguente presa di posizione al rialzo. Ogni passo fatto dal governo di Israele alla fine di giungere ad una soluzione non ha spostato di 1 centimetro le posizioni di Hamas.

Il suo disappunto, dopo due anni e mezzo di attesa, verso chi principalmente è rivolto?
Verso l’attuale governo e verso Olmert che non ha fatto assolutamente niente, nulla di serio e di importante al fine di riportare Gilad a casa. Le Nazioni Unite in questi giorni festeggiano i sessant’anni della dichiarazione dei diritti dell’uomo, mentre a mio figlio sono due anni e mezzo che, contro tutte le convenzioni di Ginevra, viene negata la visita della Croce Rossa Internazionale. Non c’è stato un dottore che lo abbia visitato, non sappiamo se sia ancora vivo e nel caso non abbiamo alcuna notizia sul suo attuale stato di salute. Il mondo parla dei diritti dell’uomo, mentre a mio figlio, attualmente, davanti al silenzio generale, questi stessi diritti, i più elementari, vengono negati.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Ha qualcosa da recriminare verso l’esercito?
No, l’esercito non fa trattative politiche ma obbedisce agli ordini della classe politica, pertanto la responsabilità di ciò che sta accadendo, ricade, come dicevo prima, solo ed unicamente sul governo e principalmente del Primo Ministro.

Si sente in qualche modo abbandonato?
Non dalla gente che continuamente, e in tanti modi diversi, ci fa sentire la sua partecipazione, ma questo non toglie che le autorità sono latitanti in tutti i sensi.

I media di tutto il mondo hanno riportato la notizia che il presidente francese Sarkozy, tramite il presidente siriano Assad ha cercato di far pervenire una sua lettera a Gilad. Una risposta non c’è stata, ha notizie che possano confermare che lui l’abbia ricevuta?
In realtà i siriani non hanno voluto consegnare la mia lettera, ma sappiamo che il governo del Qatar ha fatto pressione su Hamas ed è riuscito a fargliela pervenire. Sembra che solo dopo molte insistenze Hamas abbia dato il suo permesso. Soltanto quando mio figlio tornerà a casa potremo avere la certezza che l’abbia ricevuta, oppure se riuscirà a mandare una risposta.

Secondo lei quali sono i motivi che giustificano le difficoltà che si affrontano in una trattativa con Hamas?
Hamas, in realtà, non è un’unica organizzazione e chi la guida sono tre teste che a volte non ragionano allo stesso modo. Abbiamo Hamas militare, quella politica di Gaza e quella di Damasco.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

Lei ha contatti con Hamas?
Sì, ho avuto modo di parlare con alcuni dei dirigenti ai quali ho più volte spiegato che per assurdo non sono loro che tengono mio figlio prigioniero, ma è mio figlio che in qualche modo tiene prigionieri loro. Dal giorno del rapimento l’esercito israeliano tiene la striscia di Gaza praticamente sotto assedio, e i pochi viveri e generi di prima necessità che passano ai valichi chiaramente non permettono alla popolazione civile di vivere una vita dignitosa. Ai capi non manca nulla, ma chi soffre per la loro politica scellerata è la popolazione civile. La liberazione di mio figlio e la cessazione del continuo bombardamento di Sderot porterebbe all’immediata apertura di tutti i valichi che collegano la striscia di Gaza con Israele con conseguente immediato innalzamento del livello di vita. Purtroppo però continuiamo a vivere questa ottusa situazione di stallo.

Cosa si aspetta dall’Europa, in particolare dai governi europei?
Quello che io mi aspetto dai governi europei è molto semplice: l’Europa è quella che paga la maggior parte degli aiuti umanitari con i quali la popolazione di Gaza sopravvive, per cui ha tutti i diritti di far sentire la sua voce. Deve far capire ai dirigenti di Hamas che trattenere per due anni e mezzo una persona senza garantirgli il benché minimo rispetto dei diritti umani è un comportamento inaccettabile che l’Europa non può tollerare ulteriormente, soprattutto considerando che Gilad, avendo anche il passaporto francese, è cittadino europeo.


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LA PRUDENZA DELLA BCE CHE FRENA SU UN ALTRO CONSISTENTE TAGLIO DEI TASSI

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

La tempesta perfetta non si è ancora placata
di Maria Laura Zuccheri


L’inflazione di Eurolandia è in rapida flessione e non si possono escludere altri “bruschi cali” intorno alla metà del 2009, dovuti al confronto con la corsa dei prezzi di quest’anno. Ma nonostante la crisi continui a mantenere altissime le incertezze, con la domanda globale sotto pressione ancora per un bel po’, dalla Banca centrale europea arrivano segnali di prudenza sulle prossime misure relative ai tassi d’interesse, con qualche esponente che frena sull’ipotesi di nuovi “maxi-tagli” dopo quello da tre quarti di punto di appena una settimana fa, al 2,50%. “Gli effetti dell’acuirsi e del diffondersi delle turbolenze dei mercati finanziari freneranno probabilmente la domanda su scala mondiale e nell’area dell’euro per un periodo di tempo prolungato”, si legge nel bollettino mensile di dicembre dell’istituto di Francoforte. L’incertezza sulle prospettive economiche resta eccezionalmente elevata“, e sul Pil è in arrivo una gelata, che gli economisti si aspettano rallenti la crescita ad un tasso compreso fra lo 0,8 e l’1,2% nel 2008, fra il -1% e lo 0% nel 2009 e fra lo 0,5% e l’1,5% nel 2010. Dopo un quarto trimestre 2008 in ulteriore rallentamento, del resto, ”si ravvisa per i prossimi trimestri - si legge nel Bollettino - il perdurare della debolezza dell’economia mondiale e del forte ristagno della domanda interna“. E anche se ”l’attività dovrebbe segnare successivamente una graduale ripresa, sostenuta dal calo delle quotazioni delle materie prime“, permane una situazione d’incertezza legata alla crisi del credito e dei mercati, che il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha sintetizzato così: ”Non siamo ancora usciti dalla tempesta, e per un’analisi completa dovremo aspettare ancora per qualche tempo“.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

A raffreddare ogni ottimismo, del resto, ci ha pensato la Germania: per l’istituto di ricerca Ifo la locomotiva europea, nel 2009, vedrà una contrazione del Pil del 2,2%, ben peggiore rispetto al -0,8% atteso dal Governo. Ma dopo un taglio di 175 punti base complessivi in tre mesi, alcuni esponenti dell’Eurotower cominciano a frenare sulle ipotesi di una nuova manovra così energica, al consiglio direttivo del prossimo 15 gennaio. Mercoledì scorso il tedesco Juergen Stark, che è membro del consiglio esecutivo in cui siede anche l’italiano Lorenzo Bini Smaghi, ha detto che ”dopo questo taglio dei tassi così corposo resta uno spazio di manovra molto limitato, che potenzialmente ci permette di muoverci soltanto per piccoli passi“. Parole che somigliano a un invito a tagliare di un solo quarto di punto percentuale al consiglio Bce del 15 gennaio, mentre le aspettative dei mercati, misurate dai contratti forward sul tasso Eonia (Euro Overnight Index Average calcolato come media ponderata dei tassi overnight applicati su tutte le operazioni di finanziamento non garantite concluse sul mercato interbancario), scontano un taglio di mezzo punto al 2%. Mentre la Banca nazionale svizzera ha dimezzato i tassi portandoli allo 0,5%, le attese si concentrano sulla prossima mossa della Fed, che il 16 dicembre dovrebbe tagliare anch’essa di mezzo punto. E sui mercati prosegue la discesa dei tassi interbancari, a tutto beneficio dei mutui: l’Euribor 3 mesi è sceso al 3,33% dal 3,38%, quello a un mese al 3,02% dal 3,06%.


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Veltroni si butta su Fcbk. Rapporti interni alla ’prova Abruzzo’

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Programma minimo obiettivo minimale
di Barbara Alessandrini


E così Walter Veltroni si consola con Facebook. Impegnato com’è a dribblare la questione morale, e a lanciare “il nuovo ciclo” contrassegnato anche dalla richiesta di forte discontinuità rivolta sia al governatore di Napoli Antonio Bassolino che al sindaco Rosa Russo Iervolino e dal tentativo di scioglimere i nodi sulle primarie a Firenze, il segretario del Pd opta per lo svago. Che sia stata la mal riuscita ricomposizione dei diversi orientamenti del suo partito rispetto all’affiliazione internazionale del Pd, a gettare Walter nel turbillon delle feste prenatalizie? Per bilanciare le amarezze del partito reale, il segretario del Pd ha deciso di dedicarsi a quello virtuale, l’unico da cui tragga la certezza del sostegno incondizionato degli affecionados che hanno giorno dopo giorno officiato il rito della richiesta del sodalizio personale con lui. Tanto da convincerlo a dare sostanza alla virtualità in un locale di Roma che il 13 ospiterà il party con i suoi fedelissimi di Fcbk. Certo è che il temporaneo sotterramento dell’ascia di guerra tra lui e D’Alema fino all’appunta,mento delle europee e la determinazione a non far detonare nessun ordigno in occasione della direzione del diciannove dicembre, non neutralizza affatto i contrasti con i dalemiani, gli ex margheritini di Rutelli e i parisiani. Se, infatti, è inverosimile che i nodi ritornino al pettine con prepotenza nella Direzione del 19, dove Arturo Parisi ha già annunciato di non voler andare e che Veltroni ha composto a propria immagine e somiglianza, a riaprire la breccia delle ostilità incrociate potrebbe essere l’appuntamento elettorale in Abruzzo. Dove ad essere in discussione non è tanto la vittoria del Pd o del Pdl, dato largamente in vantaggio, ma i rapporti di forza che si paleseranno tra Pd e Idv.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Se le regionali abruzzesi contrassegneranno un drenaggio di consensi da parte del partito di Di Pietro nei confronti del Pd, sarà difficile per Veltroni schivare nuovamente le contestazioni alla sua leadership. Magari, ancora una volta e con formula più che sperimentata, attraverso una resa dei conti celebrata sul piano mediatico. In attesa dei risultati delle elezioni europee. Al momento, dunque, il primo giro di boa ad attendere il partito è la data del 14 dicembre, la giornata conclusiva della tre giorni nazionale dedicata al tesseramento che vedrà una mobilitazione ai vertici del Pd per rafforzare il radicamento popolare del partito sul territorio. Una sfida che ha del ciclopico, e, seppur dovuta, priva di magnifiche prospettive. Anche se stentoreamente pronunciata dal responsabile organizzativo del partito, Fabrizio Vigni: “Stiamo costruendo il Pd nel mezzo di una crisi economica e finanziaria gigantesca. Per indirizzare l’Italia più che mai serve la politica. Il Pd è nato per questo: dare forza ad un riformismo nuovo per affrontare le sfide del 21° secolo. La costruzione del partito richiede coraggio, fantasia, innovazione, concretezza e visione del futuro”. Superbo corredo, utile al ’programma minimo e obiettivo minimale’ di Walter Veltroni cui, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto attributo sono consustanziali alla prospettiva del Facebook-party. Il coraggio, beh, quello, come dice Don Abbondio, “se uno non ce l’ha non se lo può dare”. Specialmente se significa prendere atto che la propria segretarie ha fallito clamorosamente.


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Pianura, la madre del malaffare

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

di Ruggiero Capone


Michele Florino è stato per diverse legislature senatore di An, attualmente è dirigente de La Destra di Francesco Storace. Il 5 dicembre del 2001, l’ex senatore di Alleanza nazionale interrogava l’allora ministro dell’Interno proprio sulle speculazioni edilizie in Campania. Ne scaturiva una vera e propria guerra con il governatore campano Bassolino. Florino ed amici vennero portati persino in tribunale, accusati d’aver diffamato un potente uomo della sinistra napoletana. Oggi la versione dei fatti sta cambiando, ed in molti accusano le giunte campane d’aver creato disastri urbanistici. La vicenda di Florino è esemplare, parla della speculazione edilizia a Pianura, ed a pochi passi dalla discarica oggetto di polemiche e barricate. Da questa vicenda sarebbero decollate le indagini giudiziarie di cui oggi parla Di Pietro. “Pianura, quartiere periferico di Napoli, assurto già in passato agli onori della cronaca nazionale per un devastante e selvaggio abusivismo edilizio, sta per essere nuovamente investito da una colossale speculazione edilizia di oltre 160.000 metri cubi di cementificazione - scriveva Michele Florino - che in una zona densamente popolata, circa 10.000 abitanti per chilometro quadrato, satura di negozi e priva di adeguato assetto viario, l’impatto di tale intervento sarebbe devastante. Detto piano tenta di assicurarsi il placet di organismi pubblici, come il Comune di Napoli, firmatario di un protocollo d’intesa, contrabbandando per riqualificazione urbana ed opere pubbliche l’ulteriore saccheggio di Pianura. Dietro l’operazione sembra si celi un noto personaggio locale ed altri già in precedenza autori del massacro del quartiere Pianura”. Più personaggi tentavano di fermare l’azione del senatore, ma la vicenda era già troppo evidente.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

“Allo scrivente e ad altri autorevoli esponenti istituzionali, il procuratore capo Cordova, il difensore civico della Campania Giuseppe Fortunato, il presidente della Regione Campania Bassolino, il senatore Emiddio Novi, è pervenuta, anonima, una allucinante descrizione di connivenza, e collusione con la malavita locale di Pianura sul progetto edilizio - spiegava Florino -. Pianura, ed il piano configurato per la pregnante presenza della criminalità organizzata in tutti i settori, potrebbero, con la complicità di molti e l’insipienza delle istituzioni, diventare ancora una volta, come nel passato, la finanziaria della camorra”. Non soddisfatto dalle risposte, Florino scriveva nuovamente ai ministri dell’Interno e dell’Ambiente e della tutela del territorio. “Il piano si articola e sviluppa su quattro suoli distinti, che rappresentano le aree residuali di grosse lottizzazioni abusive effettuate tra il 1970 e 1985 da un imprenditore locale - faceva notare il senatore -. Il protocollo d’intesa, con relativo assenso del Comune di Napoli per il suddetto piano, prevede la costruzione di 300 appartamenti di lusso, circa 200 negozi, 2 supermercati, 500 posti auto, una torre per uffici, caffetterie, bar, ristoranti eccetera con la disponibilità di costruire anche strutture per utilizzo pubblico. Nel protocollo d’intesa col Comune è stabilito tra l’altro che l’insediamento prevede 2 metri cubi per ogni metro quadro di terreno, la superficie messa a disposizione è 52 mila metri quadri, le aree residue delle costruzioni dovranno essere cedute al Comune al prezzo rivalutato d’esproprio di 250.000 mila lire al metro quadro.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

I metri cubi del piano, stando al protocollo d’intesa, e se la superficie fosse realmente di 52 mila metri quadri, dovevano essere 104 mila e non i 161 mila approvati dalla Giunta e dal Consiglio comunale di Napoli - così Florino entrava nel dettaglio -: la superficie di 52 mila metri quadri riportata nel protocollo non corrisponde al vero perché vi sono stati inseriti10 mila metri quadri di un fabbricato di Via Campanile di proprietà di un imprenditore locale, già asserviti a 30 mila metri cubi rilasciati con licenza edilizia negli anni ‘70 al proprietario, che con lui permutò e per i quali ora otterrebbe altri 30 mila metri quadri, 3.500 metri quadri di strade che l’imprenditore dichiara essere sue, ma sulle quali ha il solo diritto di passaggio e per le quali otterrebbe altri 10 mila metri cubi di costruzione;15 mila metri quadri attualmente a verde, di proprietà del villaggio Italsider, già asserviti alle cubature rilasciate a suo tempo che l’imprenditore acquisterebbe per ottenere 45 mila metri cubi di costruzione, per poi restituirli al Comune per destinarli a...verde! Sottraendo queste superfici improprie dai 52 mila metri quadri promessi, restano circa 25 mila metri quadri a fronte dei quali sono stati rilasciati 161.000 metri cubi, 6,5 metri cubi per metro quadro”.E poi l’ex senatore spiegava l’imbroglio. “Nel protocollo d’intesa, e qui emerge il colpo di genio, - diceva Florino - che se l’imprenditore non riuscirà ad acquistare i suddetti 15 metri quadri gli verrà depennato il centro congressi di circa 20 mila metri cubi e, non i 45 mila concessigli come sarebbe logico.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

L’imprenditore, non dimostrando la titolarità del suddetto suolo, otterrebbe 25 mila metri cubi ma, senza costruire il complesso depennato (cinema, sala conferenze, eccetera eccetera), ma da inserire nel piano per dimostrare la valenza pubblica e non solo privata. In data 21 febbraio 2001 il Consiglio comunale di Napoli approvava la cosiddetta Variante Generale al Piano Regolatore Generale di Napoli del lontano 1972. In data 5 marzo 2001 - continua l’ex senatore - veniva approvato dalla Giunta municipale il Programma integrato di intervento proposto alla stessa dalla società Campanile srl e dal signor Nicola Baiano. Il Programma è pervenuto a febbraio prima che fosse approvata la variante al Piano Regolatore Generale”. Una vicenda che narra d’una convenzione tra Comune ed imprenditori amici. Poi l’istruttoria accertava la difformità del programma al Piano regolatore di Napoli, ma nessuna giunta “faceva autocritica”, come suggerisce il presidente della Repubblica.


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L’Italia ’a singhiozzo’ per i servizi all’infanzia

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Presentato lo studio dell’Unicef realizzato dal Centro ricerca Innocenti Report Card 8

di Antonio Arabia


Circa l’80% dei bambini dai 3 ai 6 anni del mondo ricco frequenta una struttura di servizi educativi e assistenza per la prima infanzia. Per i bambini sotto i 3 anni la percentuale si attesta intorno al 25%, fino ad arrivare al 50% nei singoli Paesi Ocse. Sono i dati dell’Innocenti Report Card 8, “Come cambia la cura dell’infanzia” che è stata presentata ieri alla stampa nel corso di una conferenza a Roma dall’Unicef. Lo studio ha rivelato che è in corso un grande cambiamento per l’infanzia nei Paesi economicamente più avanzati. Negli ultimi dieci anni in molti paesi si è iniziato a registrare un forte aumento del numero di bambini di età inferiore a 1 anno che viene assistito fuori casa. “Questi cambiamenti - spiega l’Unicef - in parte riflettono le nuove opportunità occupazionali per le donne, ma in parte anche le loro nuove esigenze. Più povera è la famiglia maggiore e pressante è la necessità di tornare a lavorare il più presto possibile dopo la nascita. Spesso si tratta di posti di lavoro non qualificati e mal retribuiti”. Per i servizi alla prima infanzia il nostro paese si colloca al 16mo posto, soddisfacendo appena 4 dei 10 standard minimi di base. Al primo posto della classifica, con il 100% del rispetto dei parametri, c’è la Svezia, seguita da Islanda (9 su 10), Danimarca, Finlandia, Francia e Norvegia che ne soddisfano 8. All’ultimo posto, il Canada e l’Irlanda con un solo parametro soddisfatto. Dallo studio emerge che l’Italia non brilla in quanto a spesa pubblica: per i servizi alla prima infanzia lo Stato spende solo lo 0,5% del Pil, contro la media dei paesi Ocse che si attesta sullo 0,7%. Non assicura neanche un livello basso di povertà infantile, individuata dall’Ocse sotto il 10%, e neppure la copertura universale dei servizi sanitari di base per l’ infanzia.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

In questo parametro vengono tenuti in considerazione le vaccinazioni (in Italia la copertura si ferma al 93,3% rispetto allo standard del 95%), il tasso di mortalità infantile (4,7 ogni mille nati vivi rispetto allo standard del 4 per mille) e il numero di bambini nati sottopeso (6,7% contro lo standard fermo a 6%). Basandosi su valutazioni di esperti universitari e governativi, il Report Card 8 propone dieci parametri di riferimento per monitorare e paragonare i progressi nei servizi educativi e nella cura della prima infanzia nei paesi Ocse. “I parametri di riferimento proposti - spiega Marta Santos Pais, direttore dell’Unicef Centro di Ricerca Innocenti - devono essere considerati come un primo passo verso l’istituzione di una serie di standard minimi che facilitino buoni sviluppi nella prima infanzia”. Oggi solo la Svezia soddisfa tutti i dieci parametri suggeriti, seguita dall’Islanda, che ne soddisfa nove, e da Danimarca, Finlandia, Francia e Norvegia, che ne soddisfano otto. Questi sono gli stessi sei paesi ai vertici della classifica riferita alla spesa dei governi per i servizi alla prima infanzia. L’Italia ne soddisfa appena quattro (standard minimi di base): un piano nazionale che dia priorità alle persone svantaggiate, servizi educativi per l’infanzia finanziati e qualificati per l’80% dei bambini di 4 anni, formazione dell’80% di tutto il personale di assistenza all’infanzia, 50% del personale dei servizi educativi per l’infanzia qualificati con istruzione di livello universitario e relative qualifiche. Secondo i dati emersi dallo studio, per i servizi alla prima infanzia lo Stato spende appena lo 0,5% del Pil, contro la media dei paesi Ocse che si attesta sullo 0,7%.


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L’educazione ambientale arriva nelle scuole

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Vincenzo Pepe


E’ legge l’obbligatorietà dell’educazione ambientale. Il Parlamento ha approvato il provvedimento proposto da FareAmbiente che trasforma l’educazione ambientale in una materia obbligatoria per gli studenti italiani. “Al fine di formare i giovani relativamente all’importanza della conservazione di un ambiente sano e al rispetto del territorio, nonché alla realizzazione di tutte le pratiche utili per l’attuazione del ciclo completo dei rifiuti -recita l’art.7/bis del decreto rifiuti- sono previste iniziative di formazione attraverso l’inserimento, nei programmi scolastici della scuola dell’obbligo, dell’educazione ambientale. Con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono definite le modalità attuative delle disposizioni di cui al presente articolo, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica“. Il disegno di legge approvato dal Parlamento, presentato il 23 luglio del 2008, ha avuto come primo firmatario l’on. Benedetto Fabio Granata, in collaborazione con gli onorevoli Agostino Ghiglia, Gabriella Giammanco e Donato Lamorte. La sua approvazione costituisce un trionfo non solo per FareAmbiente ma per l’ambientalismo del fare e per l’intera Nazione.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Siamo fermamente convinti che l’educazione al rispetto dell’ambiente sia alla base del rispetto del principio dello Sviluppo Sostenibile, filo conduttore di tutte le iniziative del Movimento. ”Puntare sui Giovani e sui Giovanissimi per un rilancio di un ambiente sostenibile: questo - come ha detto Alfonso Maria Fimiani, Responsabile Nazionale per le Politiche Giovanili e Sociali di FareAmbiente - è il nostro obiettivo ed è evidente che l’approvazione della nostra proposta di legge sull’obbligatorietà dell’insegnamento dell’educazione ambientale nelle scuole va in questa direzione. Fare Ambiente ha puntato tutto su noi Giovani e sulla nostra voglia di riappropriarci di un futuro più verde e meno cupo“. Ringrazio uno ad uno tutti i Parlamentari che ci hanno sostenuto, a partire dagli On. Granata e Ghiglia, e tutti coloro i quali hanno votato per l’approvazione della norma: la comunicazione ha un ruolo fondamentale nel comprendere le problematiche ambientali e non posso che elogiare un provvedimento che, oltre all’educazione ambientale, dedica ampio spazio anche ai media.


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Evitiamo una tragedia greca

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Russo Spena
Il dirigente del Prc paragona lo studente ellenico a Carlo Giuliani

Con queste premesse c’è il rischio che durante le manifestazioni esponenti dei centri sociali si diano ai soliti atti di teppismo

di Francesco Blasilli


A qualcuno piace greca, ma purtroppo non è l’insalata. Quella che piace dalla nostre parti, di greca, è solo la tragedia. Nulla a che vedere con quelle di Eschilo e Sofocle. Sentite il dirigente di Rifondazione Giovanni Russo Spena cosa ha detto l’altra sera a margine del sit-in davanti all’ambasciata greca a Roma per protestare contro l’uccisione dello studente greco Alexis Grigoriopoulos ad Atene. “Il governo greco ha portato avanti provvedimenti antipopolari e ha represso il movimento studentesco con l’uccisione di Alexis, che ci ha fatto pensare all’uccisione di Carlo Giuliani. È bene che il movimento studentesco ora diventi europeo”. Le parole di Russo Spena hanno il sapore della benzina sul fuoco. Secondo Rifondazione, dunque, bisogna esportare il modello greco, un modello che – seppur come risposta ad una barbara uccisione – è fondato sulla violenza e sull’assoluto non rispetto delle regole. Basta vedere cosa è accaduto in Grecia questi giorni per capire che anche da noi c’è poco da stare tranquilli. Oggi c’è lo sciopero della Cgil ed il timore è che i “soliti noti” (alla Digos) si diano da fare in nome del ragazzo ucciso in Grecia. D’altronde anarchici e aderenti ai centri sociali hanno già dato prova del loro “valore” nella serata di mercoledì durante il corteo di protesta partito dall’ambasciata greca di via Mercadante. Distrutte le vetrine di un ufficio postale a San Lorenzo, lancio di sampietrini contro alcuni militari che erano di sorveglianza all’ambasciata della Arabia Saudita e un gabbiotto della polizia municipale in viale Margherita, dove alcuni manifestanti, che erano armati di spranghe di ferro, hanno bruciato cassonetti dell’immondizia e danneggiato autovetture. Alla fine un militare è rimasto ferito.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Con queste premesse, c’è poco da stare allegri. Oggi un milione di persone saranno in piazza guidati dal leader maximo Epifani ed è difficile credere che tutti si comporteranno in modo civile. Soprattutto se la sinistra radicale italiana continua a “fomentare” situazioni che vivono al di fuori della legalità, con il segretario del Prc, Paolo Ferrero, che esprime “piena e massima solidarietà con il movimento studentesco e operaio greco”, e si augura che “altre forze politiche della sinistra italiana si sveglino dal loro torpore, di fronte a quanto sta accadendo in Grecia, e si schierino apertamente e decisamente a favore del movimento studentesco e operaio greco, promuovendo ogni azione possibile, in sede internazionale, per inchiodare l’attuale governo conservatore e le forze di polizia greche”. Ci mancava giusto Ferrero a fomentare il popolo dei no global italiani, in cerca di una nuova platea, dopo il fallimento dei presidi anti termovalorizzatori in Campania e il grande flop della rivolta studentesca. Quale migliore occasione di quella di oggi per “menare un po’ le mani”? Anche perché la manifestazione odierna altro non è che la giornata mondiale dell’antiberlusconismo, visto che solo la ultrapoliticizzata Cgil ha deciso di scendere in piazza. D’altronde, in ogni manifestazione si danneggiano i treni speciali usati dai manifestanti, si fanno cori contro tutto e tutti. Insomma, ci si comporta come quei tifosi che tutte le domeniche vengono additati come delinquenti, magari proprio dalle persone che al venerdì vanno in piazza con la Cgil. Verrebbe da chiedersi perché esiste un osservatorio che controlla le tifoserie, autorizzandole alle trasferte, e non ne esiste uno che vigili sui manifestanti.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Passeremo pure per cattivi profeti, ma oggi assisteremo alle solite scene barbare di distruzione. Con assalti (speriamo solo verbali) alle forze dell’ordine e grida contro il governo. Speriamo che non si vada oltre qualche vetrina distrutta e qualche cassonetto bruciato (vi rendete conto come siamo ridotti?), ma i centri sociali sono all’erta. Istigati da esponenti di Rifondazione che non hanno trovato altro di meglio che evocare Giuliani. Il tutto avallato da Veltroni che parla di “situazione molto difficile” dove è “naturale che vi siano delle proteste sociali, come ci sono in tutta Europa. Il governo, invece di cercare lo scontro, dovrebbe rispondere ai problemi delle famiglie e dei lavoratori italiani”. A Veltroni, a Ferrero, a Russo Spena e a tutti quelli che continuano a richiamarsi all’onda europea, ci sarebbe da ricordare che in Grecia siamo andati ad un passo dalla guerra civile. E che, soprattutto, una volta tanto abbassare i toni potrebbe essere una cosa responsabile. Ma forse, hanno ragione loro, se non urlano, non li ascolta nessuno, vista la totale – e conclamata – inadeguadezza del loro messaggio politico.


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Difficoltà e opportunità nella crisi dai tempi lunghi

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

di Francesco Vizzani


Una approfondita analisi della crisi economica mondiale , della condizione particolare del nostro paese e dei nuovi scenari che si potranno determinare a conclusione della difficile fase planetaria del momento è stata al centro della Letio Magistralis svolta dal prof. Giancarlo Elia Valori nella Sala ex Bologna del Senato della Repubblica in occasione dell’incontro organizzato ieri dall’Associazione Culturale Acacia. All’incontro, aperto dalla presentazione dell’Associazione Culturale effettuata dall’avv. Aniello Costanza , introdotto dal prof. avv. Agostino Carrino, hanno partecipato numerosi parlamebntari ed esponenti del mondo della cultura , delle professioni e dell’imprenditoria, tra cui il nuovo editore de l’Opinione Antonino Caltagirone. Nella sua Lectio Magistralis, preceduta da una relazione del Presidente Emerito della Corte Costituzionale prof. Avv. Antonio Baldassarre, il prof. Valori è partito dalla considerazione che “la crisi dei mercati finanziari è stato un crollo di sistema e di metodo che, per anni, aveva concepito e promosso la supremazia di un mercato deregolarizzato a scapito di una politica economica basata sulla produttività”, Due, ha spiegato Valori, i fattori che avevano preannunciato la bufera: “un aumento del prezzo dei generi alimentari dovuto alla dipendenza della produzione di cibo dal petrolio e dai suoi prezzi-base, nonché da una inflazione globale che porta alla crisi e al fallimento di banche d’affari e operatori finanziari”.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Questi fattori, che hanno colpito in modo particolare gli Stati Uniti, difficilmente potranno essere superati nell’arco del prossimo anno. La crisi, soprattutto per quanto riguarda gli Usa, avrà tempi lunghi. In questo contesto per “l’Italia, paese manifatturiero, sarà difficile gestire una relazione di relativa crescita dall’export verso gli Stati Uniti, come era accaduto negli ultimi due anni. ” per cui, lo scenario più probabile che ci riguarda “è la minore crescita temporanea delle aziende nazionali che esportano negli Stati Uniti, con la sola eccezione, probabile, dell’alta moda”. L’Italia - ha spiegato Valori - paga una friabilità maggiore ai cicli finanziari internazionali, nonché una debole correlazione tra banche e imprese piccole e medie, e una carenza di strategie a medio-lungo termine sul piano internazionale. Ma, d’altro canto, il nostro Paese ha un indebitamento medio minore per le famiglie e le imprese rispetto ad altri, che però si riflette inevitabilmente sul debito pubblico, che è notoriamente invece in forte eccesso strutturale“. Come uscirne? La ricetta di Valori è ”che la correlazione tra banca e impresa dovrà essere strutturata in modo diverso nei prossimi mesi“.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Inoltre , a parte la leva fiscale dei governi” occorre concepire altri meccanismi efficaci, come i consorzi-fidi, o considerare una finanza di compensazione dei titoli e della “commercial paper” delle imprese piccole e medie, le quali non hanno la possibilità di gestire sistemi di liquidazione dei crediti, che invece sono tipici e consueti per la grande azienda“. In sintesi, secondo Valori, possiamo indebitarci ancora, ma più esattamente che dobbiamo poter gestire questa massa di debiti con meccanismi di securizzazione delle fatture e di sconto ragionevole delle stesse, mentre il Governo bene ha fatto, e farà, a gestire in modo oculato le regole sugli anticipi dell’Iva”. In generale, comunque, l’Italia potrà uscire da una crisi che a tutt’oggi ha provocato la chiusura di oltre trecentomila aziende, curando le aree in cui oggi opera con maggiore attenzione, con strutture di securizzazione degli investimenti più aggiornate, nonché con un rapporto di maggiore integrazione tra economia e politica e tra economia e cultura“. Per l’Italia, questo vuol dire un’espansione ragionevole nel suo bacino naturale, il Mediterraneo, e una nuova geoeconomia diretta all’autonomizzazione e al controllo nazionale dei meccanismi di contatto tra flussi globali e sistema delle imprese, sia grandi che piccole e medie.


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Mercati: turbolenze per gran parte del 2009

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

LE PREVISIONI DEI GESTORI NELL’ULTIMA RICERCA DI MORNINGSTAR

di Rebecca Samaritain


Per il 2009 l’84% dei gestori intervistati da Morningstar nell’ultima ricerca (2-9 dicembre) dipinge uno scenario recessivo segnato da bassi livelli produttivi, aumento della disoccupazione, riduzione dei tassi e minore inflazione. Per tutti questi motivi, sostengono, le Borse rimarranno volatili nella prima parte dell’anno. Sui mercati obbligazionari continuerà la ricerca di qualità, mentre l’euro non ha sufficiente forza per riprendersi. Davvero poche, solo il 16%, le commissionarie che prevedono una ripresa, mentre nessuna - secondo l’indagine di Morningstar - “si attende una depressione, ossia una crisi economica ancor più grave e simile a quello che accade nel 1929”. I broker ritengono che i listini debbano ancora digerire completamente la crisi economica e per questo rimarranno volatili nel primo semestre. Poi, stimano, “dovrebbero ripartire, anticipando la ripresa”. Per l’Europa, il 67% prevede che i mercati continueranno “a oscillare, anche violentemente, intorno ai livelli attuali”. Scarseggiano i motivi per essere ottimisti perché, sostengono, “l’economia è in frenata e gli utili aziendali sono attesi in calo”. Gli esperti giudicano positivamente la politica Bce, che ha proseguito con il ribasso dei tassi, scesi al 2,5%, e sono convinti che la diminuzione dell’inflazione favorirà ulteriori tagli nei prossimi mesi. Gli Usa possono contare su un elemento catalizzatore in più: il piano di rilancio annunciato dal neo-presidente, Barack Obama, che si affianca alla politica espansiva della Fed e agli interventi del Governo. Tuttavia Wall Street dovrà fare i conti con una recessione più lunga del previsto e una crisi creditizia che non si è ancora esaurita.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Per il 57% dei gestori la Borsa Usa rimarrà volatile ancora per buona parte del 2009. La percentuale degli ottimisti nei confronti del mercato Usa è comunque superiore rispetto all’Europa (33% contro 23,8%), perché molti sono convinti che l’America uscirà prima dalla crisi. Inoltre, il mercato d’Oltreoceano viene considerato il più difensivo tra quelli sviluppati. Valutazioni tutt’altro che uniformi per il Giappone. Nell’ultimo mese si sono dimezzati i broker ottimisti per la Borsa di Tokyo: al 33 dal 62% di novembre. Secondo alcuni, Tokyo sarà la peggiore Borsa nel 2009, secondo altri potrebbe offrire opportunità. Il mercato rimarrà volatile nei prossimi mesi per il 62% dei gestori, mentre il 38% stima un rialzo delle quotazioni. Discorso analogo per il mercato Usa, per il quale circa la metà dei gestori si mantiene neutrale. Per il 47,7% dei gestori, il dollaro continuerà ad apprezzarsi nei confronti dell’euro nella prima metà del 2009. Esiste, però, un po’ di timore per l’aumento del debito pubblico Usa, che potrebbe penalizzare il biglietto verde se le misure varate dal Governo non riuscissero a risollevare l’economia.


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Intervista a RENATO BORZONE

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

“Forse per la riforma è la volta buona”
di Dimitri Buffa


“Fusse che fusse la volta buona?” Che si separano le carriere dei pm e dei giudici? Che si rimette mano alla Costituzione sull’ipocrita concetto della obbligatorietà dell’azione penale? E persino che si rifaccia una legge che metta in capo al singolo e non alla collettività la responsabilità civile del magistrato per l’errore giudiziario? Inutile dirlo, gli avvocati penalisti dell’Unione delle camere penali ci sperano davvero che dopo gli annunci di Berlusconi dell’altro giorno arrivino pure i fatti. E sono pronti, come racconta a “l’Opinione” il segretario dell’Ucpi Renato Borzone, a fare la loro parte a fianco del ministro Angelino Alfano.

Seprazione delle carriere, modifiche alla Costituzione per l’obbligatorietà dell¹azione penale forse anche ripristino di una vera responsabilità civile personale per il magistrato che si macchi di una colpa grave. Avvocato Borzone secondo lei il governo fa finalmente sul serio?
Se il governo faccia sul serio è, in effetti, il vero problema. Sembra di si, da un lato ma, d’altra parte, è dal luglio scorso che si susseguono annunci, impegni e promesse. I penalisti italiani credono che la fase degli annunci sia stata importante, ma ora si deve passare a quella dei fatti. E su questo l’avvocatura penale terrà alta la guardia, poichè troppe volte in passato le promesse sono state tradite. Ora sembra davvero che si vada nella giusta direzione, ma appunto, occorre che si passi ad impegni concreti: un testo sul quale discutere, magari anche quello delle camere penali, già predisposto da tempo.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

L’Ucpi che posizione prenderà viste le possibili chiusure a riccio dell’Anm e dei partiti che la appoggiano come Di Pietro e parte del Pd?
L’Ucpi, da sempre trasversale a tutte le forze politiche, appoggerà chi davvero si muoverà nella giusta direzione di una complessiva riforma dai tratti liberali e democratici che chiede da oltre trent’anni (carriere separate realmente; doppio CSM; azione penale; ridimensionamento dei magistrati fuori ruolo). E non accetterà compromessi al ribasso.

Avete avuto incontri con Alfano su queste possibili riforme costituzionali?
Certamente. La disponibilità all’ascolto del Ministro e’ stata lodevole. E abbiamo capito che esiste una buona sintonia su questi punti (anche se ci sono dissensi sull’abbassamento della soglia delle garanzie difensive nei decreti sicurezza). Ci fidiamo del Ministro, fino a prova contaria, perchè mostra di capire i problemi.

Cosa pensate dello scontro in atto tra magistrati di Catanzaro e Salerno?
Pensiamo che non sia strumentale affermare che dà un segnale impressionante della devastazione del sistema. E che non sia questione da risolvere a tarallucci e vino, poichè fornisce l’evidenza della necessità della riforma complessiva che chiede l’UCPI.
Qualcuno, superficialmente, ritiene che non vi sia collegamento con le riforme richieste: costoro trascurano che questa situazione -comunque da chiarire nel merito- rappresenta il frutto avvelenato del ruolo anomalo assunto dalla magistratura in Italia, che è anche la conseguenza di un assetto ordinamentale risalente di fatto al fascismo.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

E dell’empasse sulla riforma della giustizia dovuto al conservatorismo di certi politici come Lanfranco Tenaglia?
Purtroppo non è solo Tenaglia: larga parte dell’opposizione mostra di non comprendere la valenza liberale della riforma, preferendo la dietrologia sul perché venga proposta. Si parla di riforma autoritaria e si dimentica che si sta difendendo, appunto, un assetto autoritario già esistente. Si paventa il pm superpoliziotto ma poi Violante descrive i pm attuali come superpoliziotti...

Perché certi magistrati e certi politici trovano così scandaloso che accusa e difesa stiano sullo stesso piano e che il giudice sia terzo?
Direi per limiti culturali e, talvolta, per mantenere poteri anomali o per ragioni di bassa cucina politica

Sarà la volta buona?
Appunto, lo vedremo. Noi siamo pronti alle tradizionali battaglie dell’avvocatura anche di sostegno ai cambiamenti, anche perchè la riforma non è per noi ma per tutti i cittadini. Stavolta non ci possono essere alibi

Si sente parlare ossessivmente di certezza della pena e di nuove carceri, non sarebbe invece meglio una depenalizzazione dei reati meno gravi e un uso dei lavori socialmente utili?
Di cose da fare ce ne sono molte, nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione. E’ giusto chiedere la certezza della pena ma non per fare demagogia ed usare questo slogan, come fa ad esempio l’ANM, per cambiare tutto senza nulla modificare.


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Il via libera al piano Cai e la débâcle della Cgil imbarazzano la Casta

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Giuseppe Pennisi


Gli assistenti di volo dell’(ex) Alitalia (le sigle sindacali Anpv e Avia) hanno firmato l’accordo contrattuale con la Presidenza del Consiglio a fronte di rassicurazioni sul contenimento degli esuberi (ossia mantenere i livelli occupazionali più alti possibili , ma per sempre in linea con una gestione efficiente della nuova intrapresa- la Cai).

Questa conclusione di una lunga protesta deve essere salutata con soddisfazione. In primo luogo, per gli assistenti di volo. In caso contrario, infatti, coloro che avessero rifiutato i contratti, non avrebbero avuto titolo che all’indennità di disoccupazione (ad un livello inferiore alla metà dello stipendio di base) per 18 mesi e si sarebbero trovati alla ricerca d’un’occupazione in un mercato reso particolarmente difficile a ragione della recessione globale. In secondo luogo, ed a pari merito, per la Cai che potrà decollare con assistenti di volo addestrati, ben preparati. L’Occidentale aveva anticipato da mesi che il “gioco ad ultimatum” di corporazioni piccole e grandi non avrebbe dato risultati positivi a chi lo ha orchestrato.

La firma dell’accordo deve, però, indurre a due riflessioni, distinte ma convergenti. La prima riguarda i costi, per tutti, della lunga fase di protesta. La (ex) Alitalia si è alienata non solamente la propria clientela ma quasi tutta l’opinione pubblica e la stampa, in una fase in cui – si vedano le previsioni presentate il 10 dicembre dall’Associazione Internazionale del Trasporto Aereo, l’aviazione civile sta subendo una pesante contrazione in tutto il mondo, in particolare in Europa e Nord America ( a ragione sia della recessione globale sia di un processo di razionalizzazione e riorganizzazione che si profila pesante e difficile). Quella che fu la compagnia di bandiera ha perso il 40% circa dei propri clienti – anche quelli fidelizzati (come il vostro “chroniqueur”) titolari di tessere Mille Miglia , Ulisse e Freccia Alata- hanno scelto, in questi ultimi mesi, altri vettori per evitare le cancellazioni ed i ritardi di volo sempre all’ordine del giorno. Riusciranno a riacquistarli? E’ necessario uno sforzo congiunto, di tutte le parti in causa, altrimenti la Cai si troverà presto in difficoltà. Dovrà regredire a compagnia regionale simil-low cost. E’ una lezione che le sigle “autonome” devono tenere ben presente nei prossimi mesi.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

La seconda riflessione riguarda una coincidenza: la firma dell’accordo avviene nel giorno in cui lo sciopero generale proclamato dalla Cgil si sta rivelando una débâcle per chi lo ha indetto. Il maltempo ha consentito una ritirata strategica in uno dei settori più delicati – quello dei trasporti. Tuttavia, l’isolamento della Cgil (ed i magri esiti delle sue azioni) devono indurre sia ad una verifica (interna alla Confederazione) - l’attuale gruppo dirigente è in sintonia con i lavoratori ed i loro interessi ? - sia ad un ripensamento più ampio di priorità e strategie.

Hans Feher dell’University di Würzburg, Sabine Jokisch dell’Università di Ulm e Laurence Klotikoff dell’Univesità di Boston hanno pubblicato questa settimana un’analisi comparata (Nber Working Paper N w14527) della divergenza sempre più marcata dei livelli di reddito per varie categorie di lavoratori ; l’analisi contiene indicazioni preoccupanti per l’avvenire a medio termine. In Italia, si è poi alle prese con il paradosso, tutto nostrano, di essere nell’area dell’euro il Paese con i prezzi medi più alti ed i salari medi più bassi. Un paradosso che la recessione rischia di aggravare se il sindacato inseguendo le tutele di questi e quelli (tra coloro già protetti) perde di vista l’obiettivo centrale di come riorganizzare la contrattazione.

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E' giusto che al concorso di magistratura chi imbroglia paghi

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Stefano Amore

E’ assolutamente condivisibile la proposta del Ministro della Giustizia di approvare una legge che preveda che il candidato scoperto a “imbrogliare” al concorso di magistratura venga escluso anche dai concorsi successivi. Anzi, sarebbe auspicabile che una misura del genere venisse applicata a tutti i concorsi per accedere nella Pubblica amministrazione.

Mi chiedo, però, se l’adozione di una misura del genere riuscirebbe, effettivamente, ad incidere sulla diffusa convinzione che in Italia i concorsi pubblici si superano solo per “raccomandazione”.

E’ questa convinzione, infatti, a generare un certo tipo di costume e ad indurre molti candidati (e le rispettive famiglie) a cercare aiuti indebiti, a tentare, in ogni modo, di avere “anticipazioni” sui titoli delle prove scritte e, alla fine, a tentare di introdurre nelle sedi concorsuali, con le tecniche tecnologicamente più avanzate o con metodi tradizionali, manuali, trattati ed ogni altro tipo di testo considerato utile, benchè vietato, per il superamento delle prove.

La compiacenza rappresenta, da sempre, una delle maggiori virtù italiche e smantellare la liturgia delle raccomandazioni sembra un’impresa superiore alle forze di qualsiasi governo. E d’altra parte, non è neppure il sistema delle raccomandazioni, in sé e per sé, a dover essere demonizzato, se è vero quanto qualche mese fa ricordava Roger Abravanel in un intervista pubblicata su “Il Riformista”: che negli Stati Uniti la metà dei posti di lavoro si ottengono grazie a recommendations, in cui chi raccomanda si fa però carico del merito reale del raccomandato.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Quello che va richiesto, e che è essenziale per la sopravvivenza del nostro paese, è, infatti, che chi ha intelligenza e capacità venga posto in condizione di esercitarle. In un noto saggio, il compianto Carlo Maria Cipolla, professore di storia economica a Berkeley, ha dimostrato che una persona stupida è, dal punto di vista sociale, più pericolosa di un bandito. La persona incompetente credo lo sia ancora di più, perché si tratta di uno sciocco a cui è stata attribuita una funzione ed un ruolo, magari delicatissimi, nell’ambito di un apparato istituzionale.

Diversamente da quanto ritiene Abravanel, che muove dall’analisi di sistemi storicamente e socialmente diversi dal nostro, sono però convinto che la diffusione della meritocrazia possa essere facilitata da interventi dall’alto e, soprattutto, da processi di selezione e di concorso che premino i meritevoli. Si resta perciò stupiti allorquando si scopre che l’attuale concorso in magistratura è, nonostante la legge di riforma dell’ordinamento giudiziario che lo avrebbe dovuto modificare profondamente, sostanzialmente identico a quello previsto nel precedente sistema.

Le uniche novità introdotte dalla nuova legge sono, infatti, la configurazione del concorso come “di secondo grado”, tramite la ridefinizione delle categorie dei candidati ammessi a parteciparvi, ed alcune modifiche della procedura concorsuale, volte a velocizzarla e ad eliminare possibili motivi di ricorso al giudice amministrativo da parte dei candidati esclusi.

In particolare, nel testo finale della legge “Mastella” è stata completamente abbandonata l’idea di assegnare almeno una parte dei posti resisi vacanti attraverso il sistema del “corso concorso”, che avrebbe consentito di creare un’immediata opportunità lavorativa per i neo laureati più meritevoli e di permettere una valutazione approfondita delle effettive capacità e conoscenze dell’aspirante magistrato. In Germania solo gli studenti che hanno ottenuto le votazioni più brillanti durante un complesso e molto articolato percorso di formazione giuridica, comune a tutte le professioni legali, possono divenire giudici. Ed in ogni caso, il superamento dell’esame e la conseguente acquisizione della "capacità di essere giudice" è richiesta per poter esercitare tutte le professioni giuridiche (pubblico ministero, avvocato, notaio o funzionario pubblico).

Prevedere un percorso di formazione comune a tutti i giuristi e procedere ad una selezione rigorosa di coloro che aspirano a divenire magistrati è un’opportunità che non andrebbe sottovalutata neppure in Italia.

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A Firenze si sgretola il potere rosso e Veltroni cerca di salvarsi dalle macerie

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

di Brunello Strozzi

Caso Firenze, Veltroni ha deciso: via le primarie Pd per il candidato sindaco seppure a campagna elettorale già iniziata, avanti tutta con quelle di coalizione.

La mossa romana in riva d'Arno ha due obiettivi. Il primo: mettere una pezza sopra il caos delle primarie di partito trasformate in una guerra permanente tra quattro candidati con relative fazioni e per questo diventate un meccanismo ormai fuori controllo e un boomerang micidiale nella road map dei democrat verso le amministrative 2009.

Il secondo: scongiurare il rischio che i già traballanti equilibri del governo di Firenze e della maggioranza di centrosinistra possano franare definitivamente e prima della naturale scadenza del mandato sotto il peso di nuove defezioni nella giunta del sindaco Leonardo Domenici, già orfana di tre assessori per le ripercussioni politico-giudiziarie collegate alla vicenda Castello, e di ulteriori fibrillazioni tra Pd e alleati.

Il progetto di sviluppo nell'area a nord-ovest della città (tra l'aeroporto di Peretola e l'autostrada) è finito al centro dell'inchiesta della procura che ha iscritto nel registro degli indagati gli assessori Gianni Biagi (due settimane fa ha lasciato Palazzo Vecchio e la delega all'urbanistica) e Graziano Cioni (tuttora titolare della sicurezza e politiche sanitarie), quest'ultimo in corsa per le ormai ex primarie Pd. Prima della bufera giudiziaria se n'era andato l'assessore alla Cultura Giovanni Gozzini che in dichiarazioni pubbliche aveva manifestato perplessità proprio sull'operazione Castello.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Il terremoto politico che ha investito la maggioranza ha prodotto le dimissioni del capogruppo dei democratici in consiglio comunale Alberto Formigli (sotto inchiesta per un'altra vicenda giudiziaria e “intercettato” dagli investigatori in conversazioni telefoniche con Biagi su Castello) e qualche giorno fa anche quelle dell'assessore Paolo Coggiola. Dimissioni in quest'ultimo caso avvenute per ordine di partito. Nella vicenda Castello infatti, Diliberto e i dirigenti toscani del Pdci non hanno digerito – politicamente - la posizione dell'amministrazione comunale e in particolare quella di Cioni del quale avevano chiesto la testa. Per questo sono usciti dalla maggioranza.

C'è di tutto e di più nel complicatissimo puzzle fiorentino. Perché all'aspetto meramente giudiziario che riguarda eventuali responsabilità dei singoli ancorché esponenti della giunta comunale come nel caso dei due assessori coinvolti (il sindaco Domenici non è indagato e ha sempre rivendicato la correttezza degli atti dell'amministrazione su Castello), si aggiungono inevitabilmente i risvolti politici che il “caso” Firenze mette in luce. Anzitutto quello di un modello di governo che qui in Toscana, da sempre laboratorio avanzato della sinistra italiana e del progressismo tout court, comincia a mostrare limiti e fragilità. E non è un caso se la procura fiorentina sostiene che sui 160 ettari dei terreni di Castello di proprietà di un gruppo imprenditoriale lombardo, dove era prevista la realizzazione di edilizia residenziale, strutture ricettive e commerciali, il trasferimento delle nuove sedi di Regione e Provincia, un parco pubblico e di recente si era ipotizzata perfino la costruzione del nuovo stadio, “non è stato perseguito l'interesse pubblico”.

C'è poi la travagliata questione delle primarie Pd dalla quale emerge la debolezza di un partito che pure in uno degli ultimi “fortini” del potere rosso, fa i conti con una perdita di consenso significativa come segnala l'ultimo sondaggio Swg (prima della vicenda Castello) in base al quale dal 48,7% delle politiche i democratici scendono a quota 44 (ma da recenti rilevazioni interne il termometro del consenso segnerebbe una flessione al 39%).

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Dunque sul tavolo di Veltroni, oltre a quelle di Napoli, Genova, della Basilicata e dell'Abruzzo, è finita anche la “pratica” Firenze. E la soluzione finale per rimettere insieme i cocci di un partito lacerato da mesi di tensioni interne e in preda a un clima da resa dei conti permanente, appare nient'altro che un compromesso per salvare il salvabile. Primo perché fino a ieri i democratici fiorentini hanno sempre rifiutato l'idea di primarie di coalizione, rivendicando la vocazione maggioritaria del partito che lo stesso Veltroni sei mesi fa indicò come via maestra salvo poi strambare lungo la rotta tracciata da Di Pietro, e l'indubbio peso della “cassaforte” elettorale in riva d'Arno. Oggi, invece, è lo stesso leader Pd a decidere per Firenze un'eccezione alla regola. Secondo, perché i candidati democrat alle primarie di coalizione saranno gli stessi quattro che fino a due giorni fa erano l'un contro l'altro armati in quelle di partito. Il regolamento prevede che alle consultazioni tra alleati il Pd partecipi con due candidati (ciascuno dei quali depositario del 35% dei consensi dell'assemblea cittadina del partito), ma nulla vieta a chiunque lo voglia di partecipare previa raccolta di un tot di firme che adesso il tavolo dell'alleanza dovrà ridefinire.

E se i candidati potenzialmente in quota Pd saranno il parlamentare Lapo Pistelli (ex Dl) e l'assessore comunale Daniela Lastri (ex Ds), gli altri due ovvero il presidente della Provincia Matteo Renzi (33 anni, rutelliano doc) e l'assessore Cioni (già parlamentare Ds molto popolare in città tanto da essere chiamato “lo sceriffo” per il suo decisionismo e l'iperattività non sempre gradita alla nomenklatura post-Pci) hanno confermato che sì, correranno lo stesso, nonostante il cambio in corsa delle regole, andandosi a cercare le firme necessarie alla nuova competizione. Il risultato finale di questo risiko tutto interno al Pd è che il tentativo del partito fiorentino di “depotenziare” Renzi e Cioni (specie quest'ultimo per il suo coinvolgimento nell'inchiesta su Castello) non è riuscito compiutamente. E l'effetto immediato è che alle primarie di coalizione i candidati lieviteranno. Da qui l'escamotage uscito dal vertice con Veltroni di prevedere un doppio turno. Obiettivo duplice: da un lato evitare che il Pd subisca una pericolosissima frammentazione dei consensi spalmata sui quattro candidati democrat rispetto ai competitor che gli alleati metteranno in lizza; dall'altro indurre alla “resa” gli stessi Cioni e Renzi. Insomma, su Firenze Veltroni ha preso una decisione gattopardesca: si cambia tutto perché nulla cambi.

Ma, al di là dei tatticismi e dei veti incrociati dentro e tra i partiti del centrosinistra che nulla hanno a che vedere col futuro della città, il rischio vero in riva d'Arno è che il voto amministrativo di giugno possa sancire la fine del potere rosso che da sessant'anni a Firenze e in Toscana impedisce quell'alternanza di governo che è linfa vitale di ogni democrazia.

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Le luci di Natale arrivano dai gulag cinesi

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

Allarme delle associazioni umanitarie: gran parte delle decorazioni per le feste esportate da Pechino vengono prodotte nei centri di detenzione per dissidenti politici. I prigionieri costretti a lavorare gratis per le aziende • Il nome delle imprese locali coinvolte nell'affare è coperto dal più ferreo segreto di stato

di Gian Micalessin


Lo chiamate albero di Natale, ma rischia di trasformarsi nell’albero della tortura e della schiavitù. A far la differenza bastano talvolta luci e addobbi. Soprattutto se sono «Made in China». Per capirlo basta visitare il museo del Laogai inaugurato a Washington da Harry Wu, il dissidente sopravvissuto a 17 anni di campi di lavoro e conosciuto come il Solgenitzin cinese. Nelle sale del museo dedicato ai gulag del comunismo di Pechino sono esposti bulbi fluorescenti, nastri argentati, lampadine colorate. Sono addobbi natalizi esattamente uguali a quelli accesi in questi giorni su migliaia di abeti. Arrivano dai campi di lavoro, da quei «laogai» dove dissidenti e prigionieri trasformati in schiavi di Stato garantiscono esportazioni a basso costo. «Gli italiani e gli europei non lo sanno, ma molti degli addobbi natalizi esportati da Pechino provengono dai campi di lavoro dove uomini e donne imprigionati soltanto per le loro idee o la loro religione vengono usati come schiavi di Stato - spiega Antonello Brandi direttore per l’Italia della Laogai Research Foundation, l’organizzazione fondata da Harry Wu che cataloga e denuncia i gulag cinesi. Secondo i dati dell’associazione raccolti in un documento intitolato «Manuale dei Laogai» operano in Cina 1. 422 campi di lavoro. In quel manuale la connessione tra i simboli del Natale e la sofferenza acquista spietata concretezza. Uno dei centri più famosi per la produzione di luci e addobbi natalizi è la prigione di Fanjiatai nella città di Shayang, provincia di Hubei. Dentro quel gulag si producono i prodotti distribuiti sui mercati internazionali da alcune aziende situate nelle province di Zhejang, Jamgsu e Fujian. «Queste ultime forniscono solo il marchio - spiega Brandi - la mano d’opera a costo zero è tutta nel Laogai di Fanjiatai». In quella prigione-azienda sono detenuti, torturati e spesso uccisi centinaia di membri del Falung Gong il movimento religioso nel mirino della persecuzione cinese.

Jennifer Zheng, una militante del Falung Gong arrestata per quattro volte e detenuta senza processo per oltre un anno, ha descritto nel libro «Testimone per la storia» la sadica alternanza di tortura e lavoro forzato praticata in quel centro di detenzione. «Lavoravamo sette giorni alla settimana, dalle cinque e mezzo di mattina fino alle due di pomeriggio, ma se c’era bisogno di aumentare la produzione venivamo costretti a turni che arrivavano anche 15 ore. Chi smetteva di lavorare o si rifiutava di ammettere le proprie colpe subiva la pena del bastone elettrico. Sono stata torturata fino a quando ho perso conoscenza e costretta a imporre quello stesso supplizio ai miei compagni di detenzione. Quello secondo i responsabili della prigione era l’unico modo di dimostrare la mia redenzione». La tragedia dei Laogai emerge anche dal rapporto del «Comitato dell’Onu contro la tortura» pubblicato qualche settimana fa. Il rapporto denuncia «l’alto numero di morti e d’abusi durante la detenzione di individui mai giudicati da un tribunale e a cui non è riconosciuta alcuna possibilità di protestare per la propria prigionia». Oggi alcune di questi inferni del

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Assassinato ex bancario, uccise rapinatore

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Franco Ibba, di 73 anni, è stato ucciso nelle campagne di Ilbono con alcune fucilate. Nel 2006, aveva sparato ai malviventi che stavano fuggendo dopo aver rapinato il Banco di Sardegna di Ilbono
Nuoro - Un pensionato, ex bancario, Franco Ibba, di 73 anni, è stato ucciso nelle campagne di Ilbono con alcune fucilate. Il corpo è stato trovato da alcuni vicini che hanno allertato i carabinieri della Compagnia di Lanusei. Ibba, nel 2006, aveva sparato ai malviventi che stavano fuggendo dopo aver rapinato il Banco di Sardegna di Ilbono. L'uomo viveva in un appartamento sopra la banca e accortosi di quanto accadeva aveva esploso una fucilata che aveva ucciso uno dei malviventi. Per il suo gesto Ibba, già direttore nella stessa banca, venne rinviato a giudizio per eccesso colposo (aveva colpito alle spalle, il 21 agosto 2006, Gianluigi Mameli, di 33 anni, di Ilbono, che al momento della rapina indossava un cappuccio). Tre rapinatori avevano usato un'auto per sfondare la porta blindata della banca. Ibba, che era a casa, aveva sentito l'urto e si era affacciato al balcone, ma era stato visto da uno dei banditi che lo aveva minacciato con la pistola, intimandogli di non guardare, pena la morte. A quel punto Ibba era rientrato in casa, aveva preso il fucile e dal balcone aveva sparato. L'ex direttore della banca assaltata, era stato vittima, durante la sua carriera, di numerose rapine.

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Ubriaco falcia con l'auto gruppo di turisti: 1 morto, 27 feriti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Ventenne con una Bmw piomba su un gruppo di persone a Cesano Maderno: aspettavano un pullman. Ucciso un pensionato, grave una bimba di sette anni. Il guidatore è stato arrestato

Milano - Sangue sull'asfalto accanto a borse, cappellini e altri oggetti sparsi, gente a terra che urla, persone prese dal panico con le mani nei capelli: è questo lo spettacolo che è apparso ai primi soccorritori arrivati in via Cavallotti a Cesano Maderno dove stamani poco prima delle cinque, una Bmw impazzita, guidata da un ventenne che aveva assunto alcol, è piombata su duecento gitanti pronti a partire in pullman per dei mercatini di Natale in Svizzera. Ventisette persone sono rimaste coinvolte nell'urto, quelle che stavano attraversando la strada, a doppio senso di circolazione, per raggiungere i pullman in attesa sull'altro lato.
L'auto impazzita è piombata su di loro e ha spezzato la vita di un pensionato di 61 anni, morto poco dopo il ricovero per la gravità delle ferite riportate, ha colpito duramente una bimba di sette che lotta per sopravvivere all'ospedale di Monza con una emorragia cerebrale. Nel freddo linguaggio dei soccorritori i feriti sono stati catalogati in due codici rossi, 16 gialli, ovvero di media gravità e 9 verdi, quelli per cui è andata meglio. Il ventenne che era alla guida dell'auto è stato arrestato per omicidio colposo. Nel suo sangue sarebbe stato riscontrato un tasso alcolico di poco superiore a quello consentito dalla legge come hanno spiegato i carabinieri che si stanno occupando delle indagini. Parlando con gli investigatori avrebbe spiegato di aver tentato invano di sterzare per evitare la gente ma di aver perso il controllo dell'auto, piombando nel centro del gruppo.
Adesso nella via della tragedia, che si trova vicino al cimitero di Cesano, in una zona piuttosto isolata, il traffico é ripreso regolarmente e su un lato della strada resta solo uno dei pullman che erano pronti per partire per una giornata di festa che si è improvvisamente trasformata in tragedia in una fredda e piovosa mattina di dicembre.

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Treni, l’Alta velocità abbatte il muro dell’ora

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il Freccia Rossa completa la tratta inaugurale da Milano a Bologna in soli 58 minuti a 300 chilometri all'ora. Berlusconi telefona all’amministratore delegato di Fs Moretti: "Un segnale che fa ben sperare per il futuro"
in viaggio da Bologna a Milano

Signori in carrozza, invitano le hostess di Trenitalia avvolte in lunghi cappotti bianchi. Tutti a bordo della Freccia Rossa, l'ultima meraviglia ferroviaria, il treno superveloce che da questa mattina porterà da Milano a Bologna in un'ora e cinque minuti, e a Roma in tre e mezzo. Le Ferrovie proporranno «l'aereo su rotaie» come alternativa ai voli Milano-Roma: sul viaggio inaugurale di ieri pomeriggio fior di manager facevano i conti. Un'andata Alitalia open costa quasi 200 euro più i taxi per Linate e Fiumicino; per l'alta velocità ne basteranno 109 nelle ore di punta, ancora meno in altri orari (tariffe ulteriormente scontate nella fase di lancio), senza code al check in, valigie da svuotare, cinture da allacciare, con la possibilità di smanettare su telefonini, computer, internet, e di verificare sull'iPhone se davvero stai volando a 303 all'ora come è scritto sui pannelli elettronici sopra le porte scorrevoli. «Non riprenderò l'aereo nemmeno quando Alitalia ricomincerà la manutenzione degli apparecchi», garantisce un ex «frequent flyer» che diventerà pendolare Trenitalia.
I pendolari normali sono accalcati alle transenne della Centrale di Milano a protestare contro le Ferrovie. Non li placa né il fascino dei treni veloci, ridipinti di un evocativo rosso Ferrari, né i marmi immacolati della stazione ristrutturata. Giorno di gloria anche per l'edificio riportato ai fasti del 1931, benché i negozi siano chiusi, alcune scale mobili ferme e la connessione con la metropolitana ancora da completare. I vertici delle Fs, presidente Innocenzo Cipolletta e amministratore delegato Mauro Moretti, sono comunque soddisfatti del loro sopralluogo. Entusiasta anche il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che al termine della cerimonia ha telefonato a Moretti complimentandosi: «La nuova linea ferroviaria e la stazione rinnovata sono un importante segnale che fa ben sperare per il futuro del Paese».
Per l'inaugurazione dell'alta velocità Milano-Bologna, Trenitalia ha fatto le cose in grande. Centinaia di inviti a vip delle due città, ricevimento nel rinfrescato Atrio delle carrozze in Centrale, concerto della banda dei carabinieri, fuochi d'artificio, e un viaggio inaugurale assolutamente irripetibile, e non solo perché di inaugurazione ce n'è una sola. Il convoglio parte addirittura in anticipo, a bordo vengono offerte bevande e snack, poliziotti sfilano senza sosta lungo le carrozze, il personale Trenitalia sovrabbonda. Quello che anche i passeggeri non vip potranno sperimentare da oggi è l'ebbrezza di sfrecciare a 300 all'ora senza scossoni, come se il treno scivolasse sull'olio, senza più quel tutùn tutùn che poteva indispettire, conciliare il sonno, oppure ricordare i viaggi dell'infanzia.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

A Melegnano la Freccia rossa è già lanciata a 180 orari, quando imbocca la galleria di Casalpusterlengo viaggia a velocità di crociera, il ponte sul Po devi accontentarti di ammirarlo sulle brochure delle Fs perché dal finestrino non lo vedi. A metà strada, nelle campagne reggiane di Gattatico, c'è pure il finto imprevisto di una sosta che offre ai tecnici di Trenitalia l'opportunità di spiegare i segreti dell'ingegneria applicata alla strada ferrata: «Il sistema ha dato un segnale di emergenza fermata che viene affrontato mediante modulistica dal posto centrale».
Il supertreno viene teleguidato dalla stazione di Bologna dove arriva alle 17,28 invece che alle 17,25. Ma i tre minuti di ritardo non tolgono il sorriso al sindaco felsineo Sergio Cofferati, vecchio compagno di sindacato di Moretti, che un quarto d'ora dopo indossa il berretto rosso di capostazione e fischia il ritorno verso Milano. Dove la Freccia rossa arriva con cinque minuti di anticipo.
Tutto a meraviglia, insomma, per gli ospiti dei vertici Fs: i sottosegretari Gianni Letta, in rappresentanza del premier, e Roberto Castelli, il commissario europeo ai trasporti Tajani, i governatori Formigoni ed Errani, i sindaci Moratti e Cofferati, parlamentari delle due regioni, i vecchi amministratori delle Fs, i tanti imprenditori coinvolti nella costruzione di questa grande opera tutta italiana che, come ha detto Moretti, ambisce a «riequilibrare il sistema dei trasporti in Italia: auto per le brevi percorrenze, treno per le medie e lunghe, aereo per le lunghissime».
Il maquillage di Trenitalia coinvolge anche i tabelloni elettronici degli orari. Alle 19.05, mentre il binario della Freccia rossa si svuota, i grandi pannelli della Centrale segnalano che non sono ancora arrivati gli Intercity delle 18 e delle 18,50 da Napoli, l'Eurostar delle 18,55 da Bari e quello delle 19 ancora da Napoli. Non è nemmeno indicato a quale binario approderanno. Ma soprattutto è vuota la colonna che indica i ritardi. Che ci sono, ma non si vedono. Stefano Filippi

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Brunetta: donne in pensione a 65 anni La furia dei sindacati: "Non ci provino"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il ministro perseguirà, "a partire dal settore pubblico", la strada "dell’equiparazione tra maschi e femmine, verso l’alto, nell’età di pensionamento". Podda: "Il governo non ci provi nemmeno". Angeletti: "Solo se volontario". Ugl: "Ora non avrebbe senso"
Stresa - Il ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, perseguirà, "a partire dal settore pubblico", la strada "dell’equiparazione tra maschi e femmine, verso l’alto, nell’età di pensionamento". Brunetta lo ha detto nel suo intervento al Forum "Terza economia. Sempre più valore dalla terza età", in corso a Stresa. "Dobbiamo - ha spiegato - porre al centro dell’attenzione il problema se l’aumento dei tassi di occupazione legati all’ultima classe di anzianità sia un bene pubblico, in base al quale fare delle politiche condivise. Se è così allora questo tema entri nell’agenda delle forze politiche e sociali e ognuno faccia la sua parte".

Stop ai privilegi alle donne Annunciando la creazione di un gruppo di lavoro al Ministero, che a partire da una recente sentenza della corte di giustizia Ue, lavorerà su questo argomento, Brunetta ha aggiunto: "Basta con l’ottica paternalistica che vede le donne da privilegiare nell’anzianità necessaria per araggiungere l’età pensionabile in quanto penalizzate durante la maternità. Coerenza vuole che se l’invecchiamento attivo è considerato un bene pubblico, allora si affronti seriamente questo tema". Brunetta ha annunciato che, in quanto "datore di lavoro di 3,5 milioni di persone", lui farà la sua parte. "Perseguirò - ha concluso - l’equiparazione tra maschi e femmine, verso l’alto, nell’età di pensionamento. Questa potrebbe essere l’occasione per estendere poi la logica a tutto il sistema".

Dieci punti percentuali di attività "Attraverso una maggiore permanenza degli anziani nel modo del lavoro si potrebbero recuperare dieci punti percentuali, in termini di tasso di attività e di tasso di occupazione per le persone che fanno parte dell’ultima classe di anzianità lavorativa", ha proseguito Brunetta. "Se l’invecchiamento attivo - ha precisato Brunetta - venisse considerato un bene pubblico, e questo non è ancora stato detto da nessuno, allora si dovrebbe farne emergere la convenienza, in termini di beni materiali e immateriali; in questo modo si potrebbe creare un bilancio che dimostri che l’invecchiamento attivo è generatore di Pil e di risparmio nei costi del sistema di welfare".

Recupero 2,5 mln di posti di lavoro Il recupero del 10 per cento del tasso di occupazione, ha aggiunto il ministro, "equivale a 2,5 milioni di posti di lavoro. Negli anni scorsi, per avere questo saldo positivo, ci siamo sovraccaricati di lavoro atipico, soprattutto dei giovani", proprio perchè non si è perseguito "l’altro obiettivo, della valorizzazione del lavoro degli anziani".

Altolà della Cgil "Il Governo non ci provi nemmeno a mettere mano". Così il segretario confederale della Cgil Fp, Carlo Podda, commenta l’ipotesi del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, di innalzare l’età pensionabile delle donne. "Le donne vanno in pensione con il massimo dell’età e con il nostro sistema si va sulla base dei contributi", spiega Podda, aggiungendo che "sono altre le sperequazioni che riguardano le donne, e comunque parliamo di sperequazioni subite, non certo di privilegi". "Ci manca

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Abruzzo, il Pd boicotta Di Pietro

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

L'ira di Tonino: hanno paura di me

di Laura Cesaretti

Scontro sulle regionali del post-Del Turco che si tengono oggi e domani. Aria di sconfitta nell’opposizione che mette le mani avanti: test locale
Roma Tutti nel Pd sanno che andrà comunque male. E nessuno, nel momento in cui il partito ha raggiunto una fragile tregua interna al gruppo dirigente, ha intenzione di utilizzare il risultato delle regionali d’Abruzzo come arma da brandire contro il segretario Walter Veltroni.
Così, il risultato elettorale di questo week end viene derubricato da tutti a semplice «test locale». Lo dice il capo dell’Organizzazione Beppe Fioroni: «Sono elezioni in una sola su 20 delle regioni italiane, e una delle più piccole: la competizione è comunque limitata». Ma lo dice anche Enrico Letta, uno dei critici della segreteria Veltroni: «In Abruzzo c’è una vicenda particolare, il partito è risalito dalle difficoltà in cui era e escludo che possa esserci un collegamento tra questo voto e il dibattito interno al Pd». E anche Massimo D’Alema, che l’altra sera ha chiuso a Teramo la campagna elettorale e ha toccato con mano, in una sala assai poco affollata visto il protagonista, le difficoltà del Pd locale, spiega che «l’Abruzzo non è un laboratorio, ma una regione importante che deve uscire da un momento difficile».
Il Pd, colpito dalle inchieste giudiziarie, dall’arresto di Del Turco e dalla caduta della sua Giunta, sa che rischia di lasciare sul tappeto una decina di punti rispetto ai precedenti risultati. E a cannibalizzarli sarà in buona parte Antonio Di Pietro, che al partito di Veltroni ha imposto il proprio candidato presidente e ha ordinato la rinuncia a mettere in lista molti dei suoi uomini più influenti, a cominciare dal capogruppo Donato Di Matteo, il più votato nelle primarie del partito con quasi 5mila preferenze.
Dell’Abruzzo Di Pietro ha fatto il suo laboratorio e la sua rampa di lancio, lo ha battuto palmo a palmo coi comizi e arringato ogni sera dalle tv locali, promuovendo il suo candidato Carlo Costantini, presentato come il simbolo della legalità, e appaiando nella condanna del «vecchio sistema di potere». La vittoria sarebbe solo sua, e gli consegnerebbe la guida «morale» del centrosinistra. La sconfitta verrà messa in conto agli alleati.
Tonino già mette le mani avanti: «Nel Pd c’è qualcuno che teme più la vittoria di Italia dei Valori che quella del centrodestra», insinua. E avverte: «Mai come in questa occasione faremo i conti dei voti e vedremo com’è andata». L’avvertimento non è casuale: Di Pietro replica alle voci che circolano in Abruzzo e rimbalzano a Roma, alle quali «mi rifiuto di credere», dice. Voci che la dicono lunga su sospetti e asti che regnano tra i due alleati: alcuni dirigenti locali del Pd starebbero dando indicazioni di voto disgiunto. Votare cioè la lista veltroniana, ma non il candidato presidente dipietrista, Carlo Costantini. Per punire l’ex Pm e le sue pretese.
Lo assicura ad esempio il dirigente del Prc abruzzese Maurizio Acerbo: «Sono notizie che ho anche io, purtroppo. Ci sono pezzi di ceto politico Pd che vedono il rinnovamento come la fine dell’occupazione del potere, remano contro e sperano evidentemente che si perda». Lo rileva anche il parlamentare Pd Pierluigi Mantini, abruzzese: «Che la risposta possa essere il voto disgiunto è voce corrente. Di Pietro ha fatto una campagna molto scorretta nei nostri con

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Veltroni: "Sì agli incentivi all'auto Una commissione per la giustizia"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Il leader del Pd favorevole agli aiuti di Stato per l'industria automobilistica in crisi "se gli aiuti verranno dati anche da altri Paesi europei". E sulla giustizia dice: "Favorevoli a una commissione tra maggioranza e opposizione con la presenza di magistrati e avvocati che duri sessanta giorni".
Bossi: sulla giustizia tratta Berlusconi

Milano - Il segretario del Pd Walter Veltroni, che oggi a Milano è intervenuto per la formalizzazione della candidatura di Filippo Penati alla presidenza della Provincia, ha invitato il governo a mettere in campo incentivi per il settore auto se questo provvedimento verrà adottato anche dagli altri Paesi. "Il settore dell'auto - ha detto Veltroni - è in calo negli altri paesi del 40% mentre in Italia del 20-30%. Negli Stati Uniti e in altri paesi si stanno prendendo provvedimenti per incentivi a sostegno del settore. In Italia, invece, si ragiona, si chiacchiera, si discute a vuoto senza trovare alcuna soluzione. Segnalo che se negli altri paesi verranno presi questi provvedimenti ci sarà un'alterazione della concorrenza e noi pagheremo di più". "E' per questi motivi - ha concluso - che il mio invito al governo è quello di mettere in campo un'azione per gli incentivi al settore auto"
Riforma della giustizia "Berlusconi vuole cambiare la Costituzione per fare la riforma della giustizia. Noi diciamo che la riforma va fatta e allora proponiamo ciò che abbiamo sempre detto: una commissione tra maggioranza e opposizione con la presenza di magistrati e avvocati che duri sessanta giorni". Lo ha detto il segretario del Pd, Walter Veltroni, parlando a Milano. "Berlusconi - ha proseguito - vuole impedire ai magistrati le intercettazioni. Noi diciamo, invece, che possono effettuarle per scoprire i reati, anche quelli di corruzione. Altra cosa è affermare che le intercettazioni devono essere utilizzate nelle aule dei tribunali e non sui giornali". "Saremo sempre contrari - ha sottolineato Veltroni - all'idea di portare la Magistratura sotto il controllo del governo, qualunque esso sia".
Bossi: sulla giustizia tratta Berlusconi "Mica mi metto io a trattare, quando mai! Io ho solo rivolto un invito alla ragionevolezza, alla calma. Chi tratta è Berlusconi., l'ho sempre detto": Umberto Bossi, interpellato dall'ANSA, risponde così alla domanda se abbia deciso di fare da mediatore sulla questione della riforma della Giustizia. E allora il suo appello di ieri a Napolitano? "Mi sono rivolto al presidente - risponde il ministro delle Riforme - perché lui è autorevole e mi sembra la persona giusta per richiamare tutti alla tranquillità, al dialogo. Napolitano mi sembra abbastanza saggio per farlo". Ma c'é una linea leghista per condurre la trattativa con la sinistra? "Ripeto - replica Bossi - io ho solo rivolto un invito a Berlusconi a non farsi saltare i nervi, come ho già detto nei giorni scorsi, un appello a trovare la via. Ma chi tratta è lui. Il mio semmai è un invito a tutti a discutere pacatamente".
"Lavoro per il federalismo" Il problema per Bossi è tutto nella questione della approvazione del federalismo, il suo timore, più volte ribadito in queste settimane, è che l'opposizione freni il cammino della riforma che vede a portata di mano. "Al Senato - spiega al cronista - l'opposizione ha una forza enorme e se vuole blocca il cammino della riforma per mesi. Io allora ho sollecitato

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Il commissario che insegue chi svanisce nel nulla: "Impronte digitali per tutti"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione
Rino Monaco ha catturato gli aguzzini di Aldo Moro e il cassiere della mafia. Ha ritrovato molti rapiti e sgominato la banda della Magliana. Ora ha avuto dal governo l’incarico più difficile

Scegliete uno qualsiasi di questi Comuni - Orvieto, Fossano, Magenta, Gaeta, Valenza, Pompei,Termoli, Cortona - e immaginate che tutti i suoi abitanti svaniscano nel nulla. Sarebbe o no un’emergenza nazionale? Ebbene, al 30 settembre scorso mancavano all’appello 23.830italiani, l’equivalente della popolazione di ciascuna delle otto cittadine citate. Scomparsi senza lasciare traccia. Di essi, 285 sono spariti nei primi sei mesi del 2008. Più di uno al giorno. È purtroppo possibile che alcuni di loro vadano cercati fra i 628 cadaveri senza nome che giacciono abbandonati, spesso da parecchi anni, negli obitori o che vengono inumati su autorizzazione delle Procure quando la disponibilità di celle frigorifere è esaurita. Non basta: a partire dal 1974si sono dileguati 9.802 minorenni. Rispetto al primo semestre del 2007, i casi di bambini di cui non s’è saputo più nulla risultano 178, con un incremento del 25%.
All’ora convenuta,anche il commissario straordinario del governo per le persone scomparse non c’è, non si trova: scomparso. «Un impegno urgente e indifferibile al ministero dell’Interno», informa il piantone. Dissolta pure la sede: al numero 7 di via Urbana, Roma, luogo dell’appuntamento, si trova solo il commissario che coordina le iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso. Poco male: un’ora dopo ricompariranno, sede e commissario, in via Santa Maria Maggiore 117, dentro una specie di container allestito nel cortile di un palazzo fatiscente dove abitano otto famiglie. Il fatto è che Rino Monaco, all’anagrafe Gennaro, napoletano di 66 anni con laurea in giurisprudenza, da 40 nella polizia di Stato, in passato questore di Roma (su nomina di Giorgio Napolitano, all’epoca ministro dell’Interno), deve combattere la guerra con i mezzi e soprattutto con i soldati che ha: sette collaboratori in tutto.
Come cercatore di persone, però, dispone di unfiuto eccezionale, affinato nella leggendaria squadra mobile diretta da Fernando Masone, che lo scelse come suo vice quando divenne capo della polizia. Fu Monaco a catturare i brigatisti rossi Valerio Morucci e Adriana Faranda, aguzzini di Aldo Moro; il terrorista neofascista Pierluigi Concutelli; il cassiere della mafia Pippo Calò; la banda della Magliana. E fu sempre Monaco a trovare e a liberare Mirta Corsetti, figlia di un noto ristoratore romano, sequestrata da Laudovino De Sanctis, il famigerato Lallo lo zoppo, che stava per condannarla alla stessa fine di altri tre rapiti, uccisi a sangue freddo quando i loro familiari già avevano pagato il riscatto. E fu ancora Monaco a riportare a casa l’industriale fiorentino del caffè Dante Belardinelli, al quale i sequestratori avevano mozzato gli orecchi, e l’allevatore veronese Gianni Comper, tenuto prigioniero dall’Anonima sarda nelle campagne di Zagarolo.
La figura del commissario straordinario del governo per le persone scomparse esiste solo da un anno e mezzo. In precedenza l’ex questore di Roma era stato commissario straordinario per la lotta al racket e all’usura e per gli aiuti alle vittime della mafia. S’è dovuto inventare un metodo di lavoro che prima non c’era. «Ha presente un caleidoscopio? Ecco. Mi ci sono trovato dentro». A tutt’oggi manca persino una banca dati central

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Credevo che vi bastasse pigiare un tasto.
«Quale tasto? Non siamo un ufficio investigativo. L’autorità giudiziaria procede per i fatti suoi: con le Procure c’è una prassi di collaborazione, ma i magistrati non sono obbligati a fornirci informazioni».
Le questure non si raccordano fra loro?
«Spesso la sparizione di una persona non è neppure di competenza delle forze dell’ordine. Unanziano si perde in un bosco: dov’è il reato? Lei pensi solo che per questo genere di segnalazioni fino a oggi si sono raccolti i semplici dati anagrafici: nome, cognome, età, residenza. Ho dovuto stendere io due modelli, uno per gli operatori di polizia giudiziaria impegnati nelle ricerche e uno per i medici legali che esaminanoi cadaveri, in cui per la prima volta vanno indicati una serie di elementi aggiuntivi: indumenti indossati, particolarità dentarie, malformazioni, amputazioni, fratture pregresse, nei, pigmentazioni cutanee, cicatrici, tatuaggi, oltre alla foto del soggetto, se disponibile. Altrimenti come possiamo confrontare le schedeinseritenello Sdi,il Sistema dati interforze del dipartimento di pubblica sicurezza?».
Che differenza c’è fra l’inseguire un delinquente e il cercare uno scomparso?
«Nel secondo caso si deve fare i conti con l’enorme, schiacciante sofferenza dei congiunti, che non possono contare su alcuna certezza. Lo hanno spiegato bene i genitori di Fabrizio Catalano, un ragazzo assente dal 21 luglio 2005: una scomparsa è una sospensione di vita che non si accetta mai. Il loro figliolo sparì sul sentiero francescano della pace Assisi- Gubbio. Era andato in Umbria per un corso di musicoterapia. Ho partecipato personalmente ad alcune battute nella zona. Sono stati ritrovati solo la sua chitarra e lo zainetto. In queste situazioni persino il riconoscimento di un cadavere diventa un sollievo, perché mette un punto fermo nella vita. È un’esperienza che in decenni di polizia non avevo mai fatto. I figli di Bachisio Inzaina erano così riconoscenti che gli avessi riconsegnato il loro padre, sia pure morto, da invitarmi persino al funerale».
Chi era Bachisio Inzaina?
«Un pensionato di 79 anni cheabitava a Vinci, provincia di Firenze. Il 19 gennaio 2001 uscì per andare a gettare la spazzatura nel cassonetto, lasciando la porta di casa socchiusa. Non tornò più. Il successivo 9 aprile, sull’arenile della tenuta presidenziale di San Rossore, distante 80 chilometri, fu rinvenuto un cadavere non identificato, che venne portato a Pisa, all’Istituto di medicina legale. I due episodi sono stati messi in relazione soltanto nel dicembre dell’anno scorso dal nostro ufficio, impegnato nel censimento delle salme abbandonate. Il 12 febbraio 2008, grazie alle lastre messe a disposizione dai figli, si è accertato dai profili genetici che si trattava del signor Inzaina, rimasto per tutto questo tempo senza nome nella morgue. Il che illumina una drammatica realtà: quella del numero crescente di anziani che perdono la memoria».
Smarriscono la strada di casa per colpa del morbo di Alzheimer?
«Precisamente. Dal 1974 gli ultrasessantacinquenni scomparsi sono 1.679. L’Alzheimer rappresenta una delle più gravi emergenze, con 25 milioni di malati nel mondo e quasi 600.000 in Italia. Circa il 20% della popolazione sopra i 65 anni è affetto da questa patologia. Ogni anno si registrano 80.000 nuovi casi e di qui al 2028 questa cifra raddoppierà per ef

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Quante segnalazioni arrivano al suo ufficio?
«Finora sono state circa 3.500. La materia è magmatica. Ci scrive anche il nonno che non ha più visto il nipotino perché il giudice minorile lo ha assegnato a un centro d’assistenza».
L’ultima arrivata?
«Quella dell’imprenditore edile Antonio Maiorana e del figlio Stefano, spariti da Palermo l’anno scorso, che sono stati avvistati a Barcellona da due turisti italiani. Finora s’era ipotizzato un caso di “lupara bianca”. Il 3 agosto 2007avevano lasciato il cantiere dicendo ai loro operai che sarebbero tornati di lì a poco».
E l’ultimo caso felicemente risolto?
«Quello di Stefano De Goudron, un napoletano che risiedeva a Londra da sei anni, scomparso lo scorso 6 luglio durante un viaggio d’affari ad Amsterdam. Ci siamo attivati con l’Interpol ed è saltato fuori che aveva pagato con la carta di credito un biglietto aereo per l’Estremo Oriente. Infatti s’è fatto vivo dal Nepal per dire che stava bene e non voleva essere scocciato».
Dell’economista Federico Caffè si sono perse le tracce da 21 anni.
«Tutto fa presumere che si sia tolto la vita. Era in preda a una grave depressione. Lasciò in bell’ordine occhiali, portafogli e altri effetti personali, rituale tipico di chi ha intenzione di suicidarsi. Purtroppo se una persona si getta nel Tevere, spesso il cadavere finisce in mare ed è quasi impossibile ritrovarlo».
Come vengono cercati gli italiani che si rendono irreperibili?
«Tutto dipende da che cosa ci raccontano i familiari. Sulla base delle testimonianze raccolte, siamo praticamente certi che solo una quarantina di persone siano rimaste coinvolte infatti delittuosi. È probabile che vi sia stata la medesima mano dietro la scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, rapite da criminali che intendevano usarle come arma di ricatto o come merce di scambio. I congiunti del tecnico informatico Davide Cervia temono invece che il loro caro sia stato sequestrato dai servizi segreti di un Paese straniero. La moglie del magistrato romano Paolo Adinolfi, introvabile dal 2 luglio 1994, ritiene che il marito abbia subìto una vendetta per il delicato lavoro svolto nella sezione fallimentare del tribunale civile».
Il 41% delle persone scomparse sono minorenni. Che fine fanno?
«La casistica è ampia. Solo nel primo semestre di quest’anno 116 minori sono rimasti vittime del reato di sottrazione a opera di un genitore o di un parente, favorito dall’aumento dei matrimoni misti. Ci risultano in tutto 266 casi di bimbi contesi da genitori di diversa etnia, a fronte degli appena 89 che si registravano dieci anni fa. Un esempio emblematico è quello della bambina di 4 anni portata via dal padre, cittadino marocchino, alla madre, cittadina italiana residente a Palermo. La piccola è stata trattenuta in Belgio per quattro anni grazie adocumenti falsi a lei intestati. Ecco perché servirebbe una legislazione più adeguata per la tutela dei minori».
Che genere di legislazione?
«Bisognerebbe istituire subito la carta d’identità anche per i bambini, sia italiani che stranieri, completa di impronte digitali e rilievi biometrici. È l’unica strada per proteggerli. Molti minorenni sono extracomunitari che si allontanano dalle comunità protette e che forniscono generalità sempre diverse ogni volta che vengono rintracciati».
C’è una zona d’Italia più

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Lei lo ripristinerebbe, quel reato?
«Da padre di tre figli, dico che urge una riflessione. Le norme andrebbero adeguate alla mutata realtà sociale. Pensi a una ragazza modello che sparisce di casa, viene rintracciata dalla polizia, accetta un colloquio con un’ispettrice ma alla fine conclude: “Non voglio che lei dica ai miei genitori dove mi trovo”. Non sto facendo un’ipotesi: è accaduto davvero».
Ha visto il film «Changeling» di Clint Eastwood?
«Non ancora».
Lì alla mamma di un bimbo scomparso i poliziotti dicono d’aspettare, ché tanto i figli poi tornano a casa. Solo il giorno dopo una pattuglia va dalla povera donna a raccogliere la denuncia.
«Però lì siamo negli Stati Uniti degli Anni 20. Escludo che una cosa del genere possa accadere nell’Europa o nell’Italia di oggi. L’allerta quando sparisce un bambino è massima, basti pensare alle vicende delle piccole Angela Celentano e Denise Pipitone».
Letizia, figlia di Angela Vortici Teglia, scomparve nel 1975 a Torino mentre andava a ritirare le analisi in ospedale. I poliziotti non credettero alla madre, parlarono di «fuitina».
«Ma non era una minorenne. Per i maggiorenni può esservi un’iniziale sottovalutazione, visto che nei due terzi dei casi gli adulti si eclissano volontariamente».
«Chi l’ha visto?» aiuta o intralcia le ricerche?
«Fino a quando non è stato istituito il commissario per le persone scomparse, ha svolto una benemerita azione di supplenza. Da vero servizio pubblico quale dev’essere la Rai».
Avete registrato casi dibambini rapiti da zingari?
«Nessuno. Solo ipotesi prive di fondamento. C’è un allarme esagerato sull’argomento. Registriamo invece la sottrazione di minori fra comunità nomadi: vi sono denunce per tredicenni fatte sparire in modo da costringerle a contrarre matrimonio».
È favorevole a mettere su Internet le foto dei cadaveri non identificati, come fa il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’Università di Milano?
«No. Meglio far affluire tutti i dati qui e soprattutto eseguire l’esame del Dna sulle salme dimenticate, che costa poche centinaia di euro».
Perché non pubblicate le foto degli scomparsi sul sito del ministero dell’Interno?
«E la legge sulla privacy dove la mette?».
Stefano Lorenzetto

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Dec 17, 2008, 6:41:09 AM12/17/08
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Treni, l’Alta velocità abbatte il muro dell’ora

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione


Il Freccia Rossa completa la tratta inaugurale da Milano a Bologna in soli 58 minuti a 300 chilometri all'ora. Berlusconi telefona all’amministratore delegato di Fs Moretti: "Un segnale che fa ben sperare per il futuro"
in viaggio da Bologna a Milano

Signori in carrozza, invitano le hostess di Trenitalia avvolte in lunghi cappotti bianchi. Tutti a bordo della Freccia Rossa, l'ultima meraviglia ferroviaria, il treno superveloce che da questa mattina porterà da Milano a Bologna in un'ora e cinque minuti, e a Roma in tre e mezzo. Le Ferrovie proporranno «l'aereo su rotaie» come alternativa ai voli Milano-Roma: sul viaggio inaugurale di ieri pomeriggio fior di manager facevano i conti. Un'andata Alitalia open costa quasi 200 euro più i taxi per Linate e Fiumicino; per l'alta velocità ne basteranno 109 nelle ore di punta, ancora meno in altri orari (tariffe ulteriormente scontate nella fase di lancio), senza code al check in, valigie da svuotare, cinture da allacciare, con la possibilità di smanettare su telefonini, computer, internet, e di verificare sull'iPhone se davvero stai volando a 303 all'ora come è scritto sui pannelli elettronici sopra le porte scorrevoli. «Non riprenderò l'aereo nemmeno quando Alitalia ricomincerà la manutenzione degli apparecchi», garantisce un ex «frequent flyer» che diventerà pendolare Trenitalia.
I pendolari normali sono accalcati alle transenne della Centrale di Milano a protestare contro le Ferrovie. Non li placa né il fascino dei treni veloci, ridipinti di un evocativo rosso Ferrari, né i marmi immacolati della stazione ristrutturata. Giorno di gloria anche per l'edificio riportato ai fasti del 1931, benché i negozi siano chiusi, alcune scale mobili ferme e la connessione con la metropolitana ancora da completare. I vertici delle Fs, presidente Innocenzo Cipolletta e amministratore delegato Mauro Moretti, sono comunque soddisfatti del loro sopralluogo. Entusiasta anche il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che al termine della cerimonia ha telefonato a Moretti complimentandosi: «La nuova linea ferroviaria e la stazione rinnovata sono un importante segnale che fa ben sperare per il futuro del Paese».
Per l'inaugurazione dell'alta velocità Milano-Bologna, Trenitalia ha fatto le cose in grande. Centinaia di inviti a vip delle due città, ricevimento nel rinfrescato Atrio delle carrozze in Centrale, concerto della banda dei carabinieri, fuochi d'artificio, e un viaggio inaugurale assolutamente irripetibile, e non solo perché di inaugurazione ce n'è una sola. Il convoglio parte addirittura in anticipo, a bordo vengono offerte bevande e snack, poliziotti sfilano senza sosta lungo le carrozze, il personale Trenitalia sovrabbonda. Quello che anche i passeggeri non vip potranno sperimentare da oggi è l'ebbrezza di sfrecciare a 300 all'ora senza scossoni, come se il treno scivolasse sull'olio, senza più quel tutùn tutùn che poteva indispettire, conciliare il sonno, oppure ricordare i viaggi dell'infanzia.


>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

La Lombardia vuole bloccare la Freccia rossa
di Maria Sorbi "Con il gioiello supersonico più ritardi per i pendolari". Cancellato anche l’Eurostar delle 7 e 40. I viaggiatori: "Ci sentiamo traditi". E Formigoni invia una lettera di protesta a Trenitalia

Milano - Va bene l’alta velocità. Purché i comuni mortali che prendono il treno ogni mattina non rimangano a piedi. A due giorni dall’inaugurazione del gioiello supersonico che collega Roma e Milano in tre ore e mezzo, sembra ancora un’impresa raggiungere Bergamo da Treviglio: percorso di poco più di un’ora, sulla carta. Nella realtà un incubo ad ostacoli che da ieri è diventato impresa impossibile. Con il nuovo orario invernale, messo a punto per dare via libera all’alta velocità, arrivano anche nuove rogne per i pendolari. «Basta - si sono detti studenti e lavoratori fermi al freddo sulla banchina -. Non si può andare avanti così». Ed ecco che scatta la protesta: in 200 alle sette del mattino occupano i binari dopo la soppressione del treno delle 7,30, fermano un altro treno e costringono il capostazione a farli salire. Un amaro risveglio. Tutti chiamano in ufficio: «Sono in ritardo, non so quando arriverò». Tagliato anche l’Eurostar delle 7,40 da Brescia, problemi sul Piacenza-Milano. Disagi sulla linea della Tav nel Casertano, dove il treno si è fermato per un’ora e mezzo per un guasto lasciando i passeggeri al freddo. «Siamo stati dimenticati - insorgono i pendolari -: il piano degli orari va assolutamente rivisto». Alla loro protesta si unisce anche il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, che invierà, c’è da giurarci, una protesta scritta ai responsabili del sistema ferroviario. «Non possiamo tollerare - va su tutte le furie - che la Regione e i propri pendolari siano presi in giro». Insomma, i patti non erano questi. «La filosofia - spiega il presidente lombardo - rimane quella di costruire un sistema ferroviario in cui l’alta velocità e l’alta capacità vivano a fianco di un servizio pendolari in orario, efficace e confortevole. Ferrovie dello Stato non può pensare di venire meno a questo impegno».
Usa parole più pungenti l’assessore alle Infrastrutture lombarde Raffaele Cattaneo. Non c’è spazio per mezzi termini in certe situazioni: in ballo c’è la vita lavorativa di mezza Lombardia, che ogni mattina si sposta e si affida al servizio pubblico. Con il diritto che tutto funzioni. L’aut aut è chiaro: o l’alta velocità impara da subito a convivere con i treni ordinari, o non va. «Se Trenitalia - spiega Cattaneo - ha deciso che Freccia rossa deve correre passando davanti a tutti gli altri treni e sulle spalle dei pendolari, può darsi che saremo costretti a dimostrare a Trenitalia che il Freccia rossa può anche rimanere in stazione». Un «può darsi» che forse vuol dire qualcosa in più.
Un debutto con mille intoppi insomma. Trenitalia si giustifica. Ecco, magari non chiede proprio scusa ai pendolari, ma ammette «problemi di natura tecnica». E poi la frase magica, salvavita, che leva da ogni ulteriore impiccio: «Stiamo monitorando l’attivazione del nuovo orario regionale e siamo impegnati a risolvere i problemi evidenziati. Problemi per lo più di natura tecnica, addebitabili a circostanze limitate e straordinarie». Nella nota di Trenitalia si puntualizza anche che il regionale Piacenza-Milano «non è ancora stato effettuato ma inizierà a viaggiare entro l’ann

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Brunetta: donne in pensione a 65 anni La furia dei sindacati: "Non ci provino"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione


Il ministro perseguirà, "a partire dal settore pubblico", la strada "dell’equiparazione tra maschi e femmine, verso l’alto, nell’età di pensionamento". Podda: "Il governo non ci provi nemmeno". Angeletti: "Solo se volontario". Ugl: "Ora non avrebbe senso"
Stresa - Il ministro della pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta, perseguirà, "a partire dal settore pubblico", la strada "dell’equiparazione tra maschi e femmine, verso l’alto, nell’età di pensionamento". Brunetta lo ha detto nel suo intervento al Forum "Terza economia. Sempre più valore dalla terza età", in corso a Stresa. "Dobbiamo - ha spiegato - porre al centro dell’attenzione il problema se l’aumento dei tassi di occupazione legati all’ultima classe di anzianità sia un bene pubblico, in base al quale fare delle politiche condivise. Se è così allora questo tema entri nell’agenda delle forze politiche e sociali e ognuno faccia la sua parte".

Stop ai privilegi alle donne Annunciando la creazione di un gruppo di lavoro al Ministero, che a partire da una recente sentenza della corte di giustizia Ue, lavorerà su questo argomento, Brunetta ha aggiunto: "Basta con l’ottica paternalistica che vede le donne da privilegiare nell’anzianità necessaria per araggiungere l’età pensionabile in quanto penalizzate durante la maternità. Coerenza vuole che se l’invecchiamento attivo è considerato un bene pubblico, allora si affronti seriamente questo tema". Brunetta ha annunciato che, in quanto "datore di lavoro di 3,5 milioni di persone", lui farà la sua parte. "Perseguirò - ha concluso - l’equiparazione tra maschi e femmine, verso l’alto, nell’età di pensionamento. Questa potrebbe essere l’occasione per estendere poi la logica a tutto il sistema".

Dieci punti percentuali di attività "Attraverso una maggiore permanenza degli anziani nel modo del lavoro si potrebbero recuperare dieci punti percentuali, in termini di tasso di attività e di tasso di occupazione per le persone che fanno parte dell’ultima classe di anzianità lavorativa", ha proseguito Brunetta. "Se l’invecchiamento attivo - ha precisato Brunetta - venisse considerato un bene pubblico, e questo non è ancora stato detto da nessuno, allora si dovrebbe farne emergere la convenienza, in termini di beni materiali e immateriali; in questo modo si potrebbe creare un bilancio che dimostri che l’invecchiamento attivo è generatore di Pil e di risparmio nei costi del sistema di welfare".

Recupero 2,5 mln di posti di lavoro Il recupero del 10 per cento del tasso di occupazione, ha aggiunto il ministro, "equivale a 2,5 milioni di posti di lavoro. Negli anni scorsi, per avere questo saldo positivo, ci siamo sovraccaricati di lavoro atipico, soprattutto dei giovani", proprio perchè non si è perseguito "l’altro obiettivo, della valorizzazione del lavoro degli anziani".

Altolà della Cgil "Il Governo non ci provi nemmeno a mettere mano". Così il segretario confederale della Cgil Fp, Carlo Podda, commenta l’ipotesi del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, di innalzare l’età pensionabile delle donne. "Le donne vanno in pensione con il massimo dell’età e con il nostro sistema si va sulla base dei contributi", spiega Podda, aggiungendo che "sono altre le sperequazioni che riguardano le donne, e comunque parliamo di sperequazioni subite, non certo di privilegi". "Ci manca

>>Da: LAURA39398
Messaggio 3 della discussione
Che noi donne si vada in pensione prima degli uomini, pur avendo un'aspettativa di vita superiore a quella degli uomini, come ho già detto in altra discussione, trovo che sia una contraddizione di termini. Somiglia tanto alle quote rosa (Koala le defìnisco io), mi sembra una forma di maschilismo al contrario. Qualcuna obietta: "abbiamo da curare i figli e la casa". All'età della pensione, non ci sono proprio figli da curare, a meno che siano degli attempati bamboccioni. Casomai bisognerebbe dare la pensione anticipata quando i figli sono piccoli.. Invece che mantenere questo privilegio, sarebbe molto meglio equiparare stipendio e possibilità di carriera a entrambi i sessi, perché è questa la vera parità che ancora manca. Laura

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Israele annuncia il rilascio di 227 detenuti palestinesi

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Un gesto di conciliazione verso il presidente palestinese Abu Mazen in occasione della Festa islamica del Sacrificio

La Corte Suprema ha dato il via libera. Così Israele ha potuto annunciare che lunedì rilascerà 227 detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri del Paese. Lo hanno riferito funzionari del governo.

LA FESTIVITA' - I prigionieri palestinesi che verranno liberati sono una piccola parte degli 11mila detenuti palestinesi nelle prigioni israeliane. Il rilascio rappresenta un gesto di conciliazione verso il presidente palestinese Abu Mazen in occasione della festività islamica dell'Eid-al-Adha, la Festa islamica del Sacrificio.

LA CORTE SUPREMA - La decisione è arrivata alcune ore dopo che il giudice della Suprema Corte Elyakim Rubinstein ne aveva ritardato il rilascio in seguito a una petizione presentata domenica contro la misura che, secondo i firmatari, metterebbe a rischio la sicurezza degli israeliani. Dopo che il procuratore di Stato ha risposto alla petizione, Rubinstein ha dato il via libera per il rilascio del prigionieri, specificando alla Radio dell'Esercito che nessuno di loro ha agito contro cittadini israeliani. Il rilascio è anche un gesto di riconciliazione nei confronti dell'Anp e allo stesso tempo di presa di distanza dal movimento radicale di Hamas. La maggior parte dei prigionieri che torneranno in libertà proviene dal carcere di Ofer, fuori Gerusalemme. Molti di loro saranno trasferiti in Cisgiordania, dove ha sede il governo di Abu Mazen. Dieci di loro andranno invece nella Striscia di Gaza, controllata da Hamas dal giugno 2007. Si tratta di una piccola parte rispetto agli 11mila palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Israele respinge l’inviato onu che l’aveva paragonato al nazismo

Gaza non è un lager: liberati 227 palestinesi
di Stefano Magni


Richard Falk, inviato Onu in Israele, non ha passato la dogana. Ieri le autorità di Gerusalemme gli hanno negato l’accesso e lo hanno reimbarcato sull’aereo. Può sembrare strana questa decisione, considerando soprattutto che Richard Falk è un cittadino americano di origine ebraica, che è professore emerito all’Università di Princeton ed ha un ruolo diplomatico di grande rilievo: inviato speciale nei Territori (Cisgiordania e Gaza) del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. E’ facile prevedere che su questo caso scoppierà una nuova polemica internazionale. La decisione delle autorità di Gerusalemme, tuttavia, diventa perfettamente comprensibile se solo si ricorda che cosa ha scritto e dichiarato pubblicamente Richard Falk l’anno scorso: “E’ un’esagerazione irresponsabile paragonare il trattamento dei palestinesi con le atrocità collettive imputate ai nazisti? Io penso di no. Gli sviluppi recenti a Gaza sono particolarmente gravi perché esprimono così vividamente una deliberata intenzione da parte di Israele e dei suoi alleati di assoggettare un’intera comunità umana a condizioni di vita crudeli. Paragonare questa condotta a un Olocausto in corso è un disperato appello alla comunità internazionale e all’opinione pubblica mondiale affinché agisca con urgenza per prevenire queste tendenze genocide impedendo loro di culminare in una tragedia collettiva”. Dalla sua posizione nel Consiglio per i Diritti Umani, Falk non si limita a scrivere articoli in cui paragona lo Stato ebraico alla Germania nazista, ma chiede un processo internazionale contro Israele, come ha fatto il 10 dicembre scorso.

Appare dunque comprensibile la decisione degli israeliani di non far entrare un inviato Onu così poco obiettivo, costi quel che costi in termini di immagine mondiale. E’ ancor più comprensibile questa scelta, se si considera il momento delicatissimo di trattative in corso in Israele, proprio sulla condizione di Gaza. Il governo ha infatti deciso ieri di riaprire i valichi di confine, per far affluire 90 camion, carichi di viveri, medicinali e mangime animale. E questo, nonostante il partito al potere a Gaza, Hamas, metta in pratica la sua ideologia lanciando quotidianamente razzi contro le città meridionali di Israele: l’ultimo, in ordine di tempo, è stato tirato ieri alle 19. Hamas tiene ancora prigioniero il caporale Gilad Shalit, di cui non si hanno notizie. Il giovane soldato di leva ha compiuto 905 giorni di prigionia. E domenica Hamas ha anche organizzato una macabra messinscena a Gaza in cui un finto Shalit lancia appelli in ebraico a Israele. Eppure, nonostante tutto ciò, la Corte Suprema israeliana ha ugualmente autorizzato il governo a procedere con la scarcerazione di 227 miliziani palestinesi come gesto di fiducia nei confronti dell’Autorità Palestinese. Le vittime dei loro attentati avevano presentato petizioni contro il rilascio, ma ieri gli ex detenuti palestinesi sono stati liberati e rimandati a Ramallah e a Gaza, dove sono stati accolti in trionfo. Richard Falk prenda nota: il regime nazista non ha mai rilasciato cittadini ebrei. Nonostante gli ebrei europei non avessero mai condotto azioni di terrorismo contro i tedeschi.


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Carfagna: un fondo per aiutare le donne a curare la famiglia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Il ministro alle Pari opportunità promette 15 milioni: "Per accudire figli e anziani. Più asili e meno convegni". Le pensionifemminili? "Una provocazione salutare. Più scandalose la differenza di salario e la disoccupazione"

Roma - Di questi tempi è più difficile intervistare lei che una rock star. Mara Carfagna si gode l’Auditel delle sue presenze televisive, centellina le apparizioni, è difesa dal muro del suo staff, si amministra con sapienza. Arriva la sua portavoce. Poi ecco la ministra delle Pari opportunità: sorridente, angelica, come incurante di ogni cerimonia.
Ministro, lei ha rinunciato a fare la portavoce del governo. Versione ufficiale: non voglio cumulare troppe cariche. È vero?
(sorriso radioso). «Certo. Sono una perfezionista: se faccio una cosa voglio farla bene. Le pare che potevo occuparmi di tutto mantenendo questo standard?».
Non aveva fatto un pensiero?
«Non era un’idea mia. Ma sarei ipocrita e bugiarda se dicessi che non mi faceva piacere».
Versione ufficiosa: Bonaiuti non gradiva sovrapposizioni.
(scuote la testa) «Allora dovrebbe chiederlo a lui».
Lei non era curiosa?
(La ministra sorride) «Con Bonaiuti ho ottimi rapporti. Non ho notato flessioni, la cordialità è invariata: insomma, non mi risulta».
E la proposta di Brunetta sull’età pensionabile delle donne.
«Una provocazione salutare».
Solo una provocazione?
«Occorre esser chiari. Intanto si riallaccia a una sentenza della Corte europea, che chiedeva al nostro governo di definire un iter entro il 13 gennaio, per superare ogni discriminazione su questo tema».
E poi?
«Pone una questione che io in linea di principio condivido, ad alcune condizioni».
Quali?
«La prima: una scelta così delicata deve essere graduale.».

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

La seconda?
«Non si devono intaccare i diritti di chi si sta avvicinando già adesso alla pensione».
Ma allora a pagare la riforma saranno solo le più giovani?
«Se la riforma è accompagnata da altri interventi non è punitiva».
Ma allora non era più giusto reintrodurre lo scalone?
«E infatti non ero d’accordo con il centrosinistra che lo ha abolito».
È giusto reintrodurlo ora?
«Non è all’ordine del giorno».
Dovrebbe esserci?
«Sarebbe scorretto se parlassi al posto dei ministri competenti, Sacconi e Brunetta».
Come politico cosa ne pensa?
(la ministra mi rimprovera bonariamente): «Ma io sono un ministro. Non posso dimenticarlo. Mi preoccupano molto più altri dati».
Per esempio?
«Le difficoltà di accesso delle donne al mercato del lavoro. Il fatto che siano retribuite meno degli uomini, mediamente il 20%... Che solo il 46,6 delle donne in Italia lavori, che al Sud si arrivi al 31%!».
Anche decimali a memoria...
(altro sorriso) «I numeri sono importanti. Glielo ho detto che sono una perfezionista, no?».
La leggenda la vuole impegnata a scuola di danza dall’asilo.
«Per 15 anni. Più 8 di nuoto, pianoforte, conservatorio, liceo... ».
I suoi volevano fare di lei una nuova Shirley Temple?
«Ha toccato un tasto delicato. Mio padre è preside, mia madre insegna: sono sempre stati esigenti. Ero abituata a incastrare tutto, ogni minuto della giornata»».
Difficile.
«Se non ci riuscivo smaltivo i compiti arretrati nel weekend».
Vuol dire che il vero episodio della sua vita è stato la carriera televisiva, e non il ministero?
(una pausa).«A dire il vero questa è una cosa che mi ha detto mio padre giorni fa».
Adesso sarà soddisfatto.
(sorriso) «Non lo è mai».

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Avrebbe preferito che accettasse il ruolo di portavoce?
«No. Lui rispetta sempre le mie scelte».
È vero che non le piace rivedere video della sua carriera tv?
«No, detesto rivedermi sempre. Anche un comizio politico».
Cosa le è mancato come ballerina e come pianista?
(risata sonora) «Tutto! Non ho orecchio, non suono senza spartito... Riuscivo solo perché sono una tosta e studiavo moltissimo».
Il vero problema del mercato del lavoro femminile, lei ripete da tempo, è la maternità.
«Sì, è vero. Da tempo sto studiando il modello francese, che grazie ai cosiddetti “strumenti di conciliazione”, ha prodotto due risultati fantastici: il massimo delle donne occupate, e il massimo tasso di natalità: non sono incompatibili».
E cosa vuole importare dalla Francia?
«Il vaucher per le famiglie, ad esempio. Che consenta alle donne di accedere a servizi di cura familiare. Non solo per i figli, ma anche per gli anziani non autosufficienti».
E i soldi ci sono?
«Ho trovato il modo di farli gravare sul cosiddetto Fondone delle pari opportunità: è di 50 milioni, ne vorrei impegnare circa 15».
Ahi! Dovrà fare dei tagli.
«Già fatti. Dico sempre che preferisco un asilo a un convegno. E a noi servirebbero gli asili di condominio, come in Francia. In cui anche il tappeto ignifugo è omologato, ma in cui il bimbo resta a casa».
Ministro quando hanno protestato le prostitute, proprio sotto il suo ufficio, cosa ha pensato?
«In Italia tutti sono liberi di manifestare, perché non loro?».
Tra la tassa sul porno e il suo ddl, c’è chi accusa di sessuofobia il governo.
«La tassa non mi compete... ».
Ma il divieto di prostituzione in strada è suo...
«E lo rivendico! Non intendo entrare sotto le lenzuola degli italiani. Ma combatto la prostituzione in strada. E facendo questo - lo dice la polizia - abbiamo ottenuto un altro risultato. Sottrarre molte donne ai racket,alla tratta, alle nuove schiavitù».
E la «scatola rosa» Gprs anti-stalking?
«Da gennaio, in forma sperimentale a Milano e a Roma, a costo zero grazie all’Ania».
E se funziona?
«Troveremo i soldi per estendere a tutti».

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Ha negato il patrocinio al gay pride. Pentita?
«Affatto. Lo sa che non lo aveva dato nemmeno la Pollastrini, che era un’icona gay?».
È un motivo?
«No. Io patrocinio ogni convegno sui gay antidiscriminazione. Ma non i cortei in cui si spara su istituzioni e autorità religiose».
L’ha mai visto un gay pride?
«A Londra, mi ci sono trovata i mezzo. Non ho problemi di sorta».
Sa che sui suoi occhi si dibatte anche su internet?
(la ministra si mostra curiosa) «Ah sì? E che si dice?».
Due leggende metropolitane. La prima: è per effetto di una blefaroplastica...
«Senta, mio fratello è un chirurgo plastico, un consulente non mi manca. Direi che alla mia età sarebbe presto. no? Fra dieci anni magari - ride - è una buona idea».
C’è chi dice: è per effetto della cocaina...
«Ommama! Sono farmacofobica, non prendo nemmeno vitamine... Può crederci o no, io non ho mai visto un grammo di coca neanche ai tempi della Tv!».
È davvero miopia la sua?
«Mi mancano 10 gradi, porto le mie lentine tutto il giorno. Ho una cornea molto sottile che vanificherebbe l’operazione».
Quindi...
(ride ancora) «Le leggende metropolitane sono divertenti. Ma dovrà accontentarsi di una noiosa - ma autentica! - spiegazione medica».
Luca Telese

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Alcol e droga alla guida: è allarme Pene severe per fermare gli scontri

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Allo studio modifiche del codice stradale: progressivo inasprimento delle pene per chi guida in stato di ebrezza. Sanzioni pesanti per chi supera gli 0,2 mg


Roma - Un forte inasprimento delle regole per chi beve alcol, che punta a bloccare completamente l’automobilista che ha assunto bevande alcoliche. In sostanza, non si potrà più bere alcol se si vorrà guidare un’automobile perchè sarà sufficiente un tasso alcolemico anche dello 0,2% per vedersi ritirare la patente. È quanto prevede una proposta di legge all’esame della Camera e che dovrebbe essere varata entro la fine di gennaio.
La proposta presentata alla Camera Il presidente della Commissione Trasporti, Mario Valducci, ha spiegato che si tratta di una proposta bipartisan, presentata in origine dal Pd ma che vede come relatore Silvano Moffa, del Pdl. Il provvedimento dovrebbe essere approvato per la fine di gennaio: "Speriamo di farlo con il consenso del Senato, in modo da accelerare l’iter di approvazione. Nel provvedimento allo studio si prevede un inasprimento della sanzione con la sospensione della patente inizialmente di 6 mesi, che viene aumentata in caso di recidiva e che può arrivare fino al ritiro. Il sostanziale divieto di guida a chi assume alcolici potrebbe inoltre essere valutato solo per alcune fasce d’età. "Io non sono d’accordo ma si studia anche questa possibilità", ha aggiunto Valducci annunciando anche l’intenzione di fare pressione sugli enti locali affinchè utilizzino le risorse che arrivano dalle multe per la sicurezza. "Sappiano che la regola secondo quale occorre utilizzare il 50% delle multe per interventi sulla sicurezza stradale non viene seguita; ma dobbiamo trovare il modo per utilizzare a questo fine una percentuale, magari minore, ma sicura", ha concluso il presidente della Commissione Trasporti.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Un incidente su 2 causato da droga o alcol Maschio, quarantenne, 'annebbiato' una volta su due da sostanze stupefacenti assunte da sole o in cocktail. Alcol e cocaina in primis. Questo l’identikit del guidatore-tipo coinvolto in un incidente stradale, secondo un’indagine condotta a Milano dal Trauma team dell’ospedale Niguarda, con la collaborazione della polizia locale. I risultati della ricerca, che da marzo a settembre ha coinvolto 74 conducenti di auto o motocicli, sono stati illustrati oggi a Niguarda in occasione del convegno Trauma update. Incidenti stradali: dalla prevenzione alla riabilitazione. Il 'peso' di alcol e droghe quali cause all’origine degli incidenti stradali, dalle cosiddette stragi del sabato sera agli schianti infrasettimanali, "ha un’importanza di gran lunga superiore a quanto si possa immaginare", assicura il direttore del Trauma team di Niguarda, Osvaldo Chiara. "Da un lato servono interventi di educazione - sottolinea l’esperto - ma dall’altro occorre potenziare lo strumento dei controlli". Un appello al quale si unisce Domenico Musicco, legale dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada onlus. "Nel nostro Paese si esegue ogni anno un milione di alcoltest, contro i 10 milioni della Francia - rileva - e il numero di narcotest è di gran lunga inferiore". Risultato: "Fino a qualche tempo fa ogni guidatore aveva solo una probabilità ogni 127 anni di essere fermato per un controllo, mentre oggi siamo a una ogni 74 anni".
Nel fine settimana 27 vittime Sono 27 le vittime dei 24 incidenti stradali con esito mortale avvenuti sulle strade e le autostrade italiane nel fine settimana appena trascorso, una in meno sia rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (28 morti in 26 scontri) sia di due anni fa (28 vittime in 25 incidenti mortali). Dai dati di polizia e carabinieri emerge inoltre che sono in calo il numero complessivo di incidenti, 1.147 tra venerdì e domenica, 1.193 nel 2007 e 1.345 nel 2006, mentre aumenta il numero dei feriti: 822 quest’anno contro i 745 dell’anno scorso (due anni fa i feriti furono 1.003). Quanto ai controlli, polizia e carabinieri hanno schierato complessivamente 37.317 pattuglie, che hanno contestato 14.766 violazioni al codice della strada, con 28.568 punti decurtati, 738 patenti di guida e 594 carte di circolazione ritirate.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Sono d'accordo. Chi deve guidare non deve bere o drogarsi. Andrea


>>Da: LAURA39398
Messaggio 4 della discussione
Questa idea di abbassare il tasso alcolico allo 0,2%, per poter guidare un auto, è un'emerita cretinata. Infatti, basta mangiare un babà oppure farsi fare una lozione dal barbiere, perché si raggiunga tale tasso. Non mi risulta che i mangiatori di babà o quelli che escono dal barbiere, una volta saliti in macchina, si trasformino in pirati della strada. Purtroppo questa proposta ha avuto un sostegno parlamentare bipartisan, a dimostrazione che i cretini nella politica stanno sia a destra che a sinistra. Costoro non si rendono conto che per affrontare il problema dei pirati della strada ubriachi, bisogna aumentare drasticamente i controlli e mandare in galera per lunghi anni chi, da ubriaco, provoca incidenti mortali. Laura

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Caso Mills in Cassazione

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Il pg Passacantando chiude la requisitoria con la richiesta di conferma del verdetto della Corte d'Appello: la Gandus non sarebbe mossa da "inimicizia grave" nei confronti del premier. Pesa sul processo l'attesa della senteza della Consulta sull'applicazione del lodo Alfano

Roma - "No" alla richiesta di ricusazione del presidente della decima sezione del tribunale di Milano, Nicoletta Gandus, avanzata dai legali del premier Silvio Berlusconi nell’ambito del processo Mills per corruzione in atti giudiziari. È questo il parere del sostituto procuratore generale della Cassazione, Guglielmo Passacantando, espresso nella requisitoria scritta rivolta ai giudici della sesta sezione penale di piazza Cavour che oggi dovranno decidere se accogliere, o meno, il ricorso di Berlusconi nei confronti del quale è stato sospeso il procedimento "Berlusconi-Mills" per effetto del lodo Alfano. I supremi giudici potrebbero anche decidere di rinviare la decisione in attesa che la Consulta si pronunci sulle controversie norme che bloccano i processi per le quattro più alte cariche dello Stato. Il parere espresso dalla procura del Palazzaccio sembra, però, non tenere in considerazione il lodo dal momento che non ha ritenuto di sospendere l’udienza e rinviarla in attesa della Consulta.
Ratificata la sentenza della Corte d'Appello In sostanza, il parere espresso dal pg Passacantando ratifica l’ordinanza con la quale, lo scorso 10 luglio, la Corte d’Appello di Milano aveva respinto la richiesta di ricusazione ritenendo che il giudice Gandus non sia mosso da "inimicizia" nei confronti del premier. Berlusconi è difeso, con memorie scritte, dagli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo. Il collegio della sesta sezione penale è presieduto da Giorgio Lattanzi. Ne fanno parte il consigliere relatore Luigi Lanza e i consiglieri Saverio Mannino, Domenico Carcano e Giorgio Fidelbo. Il livello di difficoltà assegnato al reclamo di Berlusconi è pari a quattro su una scala di difficoltà che arriva fino a dieci punti. Si tratta, dunque, di un ricorso che non presenta problemi particolari. Tra oggi e domani si conoscerà il verdetto della Cassazione.


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Pescara: arrestato il sindaco, indagato Toto

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Sono 40 complessivamente gli indagati nell’inchiesta sulle tangenti negli appalti pubblici, che ha portato ieri sera all’arresto del sindaco D’Alfonso (Pd). Il patron di AirOne gli avrebbe fornito un’auto con autista per tre anni per ottenere appalti. Trovate tracce di tangenti, voli gratis e cene per 11mila euro

Pescara - Sono 40 complessivamente gli indagati nell’ambito dell’inchiesta della procura della Repubblica di Pescara (titolare il pm Gennaro Varone), sulle presunte tangenti negli appalti pubblici, che ha portato ieri sera all’arresto del sindaco Luciano D’Alfonso, che è anche segretario regionale del Pd, dell’imprenditore Massimo De Cesaris e dell’ex dirigente al patrimonio del comune di Pescara, Guido Dezio. Tra gli indagati anche il patron di AirOne, Carlo Toto e il fratello Alfonso. Indagato anche l’imprenditore Dino Di Vincenzo.
Indagato Carlo Toto Secondo l’accusa Carlo Toto e il fratello Alfonso avrebbero fornito al sindaco di Pescara un’auto con autista per tre anni, dal settembre 2004 al gennaio 2007, per ottenere appalti. Dalle indagini, inoltre, sarebbero state trovate tracce di tangenti in denaro, concessione di voli gratis sulla compagnia area AirOne, pranzi e cene per circa 11mila euro. I fratelli Toto, sempre secondo le accuse, avrebbero anche versato finanziamenti a società ed enti ricollegabili in qualche modo a D’Alfonso (100mila euro alla Pro Loco di Lettomanoppello, 100mila mila euro per acquisito mezzo di soccorso sempre a Lettomanoppello).
Il sindaco si è dimesso Il sindaco di Pescara, Luciano D’Alfonso, si è dimesso dalla carica. Le dimissioni sono state consegnate stamane al segretario generale del comune. Lo ha reso noto l’avvocato Giuliano Milia, difensore di D’Alfonso.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Oltre che sindaco di Pescara è pure Segretario Regionale del PD.
Bella gente. Andrea


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Questione morale nel PD.
Pare che qualche novità odierna ci sia..


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Fini attacca: "Leggi razziali? Infamia

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Ma società e Chiesa non si opposero"

Il presidente della Camera nel 70esimo anniversario delle leggi fasciste antiebraiche critica duramente: "E' stata una pagina vergognosa della storia italiana. E non si registrarono manifestazioni particolari di resistenza"

Roma - "L’ideologia fascista non spiega da sola l’infamia delle leggi razziali. C’è da chiedersi perché la società italiana si sia adeguata nel suo insieme alla legislazione antiebraica e perchè, salvo talune luminose eccezioni, non siano state registrate manifestazioni particolari di resistenza. Nemmeno, mi duole dirlo, da parte della Chiesa cattolica". Lo afferma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in un passaggio del suo intervento alla conferenza organizzata a Montecitorio nel 70esimo anniversario delle leggi antiebraiche e razziste. "Rievochiamo oggi - sostiene Fini - una pagina vergognosa della storia italiana. Quelle leggi hanno rappresentato uno dei momenti più bui nelle vicende del nostro popolo".
Contro l'antisemitismo La "coscienza dei cittadini" va tenuta "sempre vigile e desta" dalla democrazia, per contrastare "con efficacia l’antisemitismo nelle vecchie e nuove forme ideologiche che questo oggi assume" continua. "C’è - spiega il presidente della Camera - l’antisemitismo esplicito dell’estrema destra e del neonazismo. C’è quello mascherato da antisionismo dell’estremismo no global e dell’ultrasinistra. E c’è quello ammantato di pretesti pseudoreligiosi dell’islamismo radicale che assume spesso gravi forme terroristiche, come è accaduto a Mumbai". Per Fini "le Istituzioni devono impedire che di fronte a questi fenomeni si produca assuefazione nell’opinione pubblica. Oggi come settant’anni fa un’ideologia che sopprime i diritti dell’uomo e propugna l’annientamento di uno Stato e di un popolo può produrre grandi tragedie e sofferenze nella complicità silenziosa di una società distratta e indifferente".

>>Da: LAURA39398
Messaggio 2 della discussione
Fini col suo discorso ha sollevato un vespaio, ma tutto sommato mi è sembrata giusta la sua obiezione, in quanto in quel periodo non c'è stata alcuna MASSICCIA sollevazione contro le leggi razziali, ne' da parte del Vaticano, ne' da parte della collettività. Laura

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Crisi, Confindustria: "Biennio in recessione"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Le possibilità di rilancio dell’economia nazionale sonostrettamente legate al ripristino della fiducia". Altrimenti si avrà una recessione più profonda nel 2009, seguita da una stagnazione nel 2010. Draghi: "Necessario un nuovo pacchetto di misure"

Roma - Per la prima volta dal dopoguerra nel 2008-2009 in Italia ci sarà un biennio di recessione. A lanciare l'allarme è il Centro studi di Confindustria in base alle previsioni sull’economia, che indicano un calo del pil dello 0,5% nel 2008 e dell’1,3% l’anno prossimo. Le possibilità di rilancio dell’economia nazionale, aggiunge il Csc, "sono strettamente legate al ripristino della fiducia e al dissiparsi dell’incertezza che attanaglia la spesa di famiglie e imprese. Altrimenti si avrà una recessione più lunga e profonda nel 2009 seguita da una stagnazione nel 2010".
Saltano 600mila posti di lavoro La recessione colpirà il mercato del lavoro. Il Centro studi di Confindustria stima una perdita netta di 600mila posti di lavoro tra il terzo trimestre del 2008 e la seconda metà del 2009. Nel 2009, per la prima volta dal 1994, la variazione annua dei posti di lavoro - sottolinea il Csc - sarà negativa dell’1,4% e ciò inciderà sul reddito e i consumi delle famiglie. "La crisi porterà inevitabilmente - spiega Confindustria - ad un incremento sostanzioso del tasso di disoccupazione già in ascesa al 6,8% nel 2008". Nel 2009 toccherà l’8,4% per effetto congiunto della perdita di posti e della ricerca di un impiego da parte dei soggetti a più basso reddito e nelle aree più arretrate del Paese. Un parziale recupero è atteso nel 2010 (+0,8%) e si concentrerà soprattutto nella seconda metà dell’anno, ma non sarà sufficiente a riportare nell’ultimo trimestre l’occupazione a livelli prossimi a quelli raggiunti a metà 2008 quando è iniziata la caduta. Nell’industria in senso stretto - spiega il Centro studi Confindustria - la flessione degli occupati è già in atto da tempo, tanto che ha raggiunto un -1,1,% nei primi nove mesi del 2008. La caduta toccherà il -1,8% nel 2009 e ristagnerà (+0,2%) nel 2010. Inoltre, secondo Confindustria, la ripresa che ci sarà nel 2010 "non sarà ancora sufficiente a far scendere sensibilmente il tasso di disoccupazione che sarà pari all’8%". Tuttavia nel 2009, secondo il Csc, continueranno a salire a buon ritmo "le retribuzioni effettive nonostante il mancato apporto degli straordinari e dei premi di produttività per le difficoltà delle imprese a raggiungere gli obiettivi di redditività, e la normalizzazione dell’andamento degli stipendi nel pubblico impiego". La crescita delle retribuzioni nominali per addetto sarà del 2,8%, in netto rallentamento rispetto al 4% del 2008, comunque decisamente superiore a quella dei prezzi al consumo (+1,7%). Nel 2010 i salari reali vedranno un incremento analogo (+0,7).

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Brusco calo del credito Il credito bancario alle imprese e la concessione di mutui alle famiglie hanno subito un brusco calo. Nel consueto rapporto di fine anno sulle previsioni economiche, il Centro studi di Confindustria sottolinea che "il credito bancario alle imprese in Italia ha bruscamente rallentato a partire da fine 2007 (picco al +14,7% in ottobre). La frenata è iniziata due mesi dopo il manifestarsi della crisi dei mutui subprime negli Usa. A oltre un anno di distanza nell’ottobre 2008 l’ammontare erogato resta in aumento, ma ha rallentato all’8,4% annuo, oltre sei punti di crescita in meno". Secondo Confindustria, i dati disponibili "dipingono un quadro preoccupante e indicano che il rallentamento si è accentuato negli ultimi due mesi del 2008". Ed "è elevato - è il forte timore degli industriali - il rischio che prosegua nel 2009". Stessa cosa per la concessione dei mutui alle famiglie che ha "rapidamente decelerato da fine 2007. L’ammontare erogato alle famiglie italiane è ormai in calo rispetto a 12 mesi prima: -1,8% in ottobre, pari a una riduzione dello stock di 4,8 miliardi di euro". Tiene invece l’erogazione di credito al consumo: +5,4% in ottobre pari a 2,8 miliardi. Nel complesso sono diminuiti i prestiti alle famiglie: 1,9 miliardi di euro in meno sull’ottobre 2007.
Incertezza sulla manovra 2009 La politica di finanza pubblica disegnata con la manovra 2009-2011 è "verosimile", nonostante si evidenzino maggiori difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi e soprattutto del pareggio di bilancio. Il Centro studi di Confindustria spiega che "per il 2009 la manovra è incentrata principalmente sulle entrate e per alcune di queste il nuovo contesto crea incertezze". Secondo Confindustria in particolare per le maggiori entrate attese dalle imprese del settore energetico, dalle banche e dalle assicurazioni. Sul versante della spesa, il taglio dei costi nel pubblico impiego, previsto dalla manovra, "se attuato attraverso una diminuzione dei precari - aggiunge il Csc - potrebbe influire negativamente sulla produttività e la qualità della macchina amministrativa. Questa forza lavoro è sicuramente la parte più stimolata e spesso più dinamica e preparata del personale pubblico".
Draghi:" Servono nuove misure" È necessario un nuovo pacchetto di misure fiscali, monetarie e regolatorie in questo "momento critico" della crisi finanziaria. A Hong Kong per un vertice dell’organismo il presidente del Financial Stability Forum, Mario Draghi, ha spiegato che "la risposta coordinata dei governi, delle banche centrali, delle autorità di supervisione e del settore privato hanno creato una base per la stabilita, seppure ancor fragile". Secondo quanto riporta il sito web di Bloomberg, il numero uno di via Nazionale ha avvertito che "la crisi che ha colpito il sistema finanziario ha raggiunto uno stadio critico". "Il netto rallentamento della crescita globale si tradurrà in perdite sul credito che avranno un ulteriore impatto sul settore bancario", ha quindi concluso il governatore di Bankitalia.

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Abruzzo al PDL

>>Da: andreavisconti
Messaggio 8 della discussione
Il candidato del Pdl sfiora il 49% dei consensi. Il Pd crolla al 20%, l'Idv vola al 15%. Allarme astensionismo: al voto solo un elettore su due.

Teramo - Al Nazareno arrivano schiaffoni. Da destra, da sinistra, dal centro. Da Gianni Chiodi, tanto per cominciare, che ribalta i vecchi equilibri, stravince le regionali e si appresta a guidare l’Abruzzo. Da Antonio Di Pietro, che se da un lato perde nettamente con il suo Carlo Costantini la sfida con il Pdl, dall’altro gli fa terra bruciata, porta a casa un risultato record. E manda a dire, senza nominare mai il destinatario dell’affondo, facile però da intuire, quanto segue: «I partiti che non sono né carne né pesce, che fanno riunioni, che dicono “ma anche” e che non si decidono, vengono puniti».
Schiaffoni anche dai suoi elettori, quelli che solo tre anni fa spinsero convinti Ottaviano Del Turco (il 58,24% sbarrò il suo nome sulle schede, mentre dall’altra parte Giovanni Pace si fermò al 40,64%) e che ora, indignati per il bubbone interno della questione morale, gli voltano in massa le spalle. Dagli abruzzesi indecisi, che nonostante i continui proclami e attacchi al governo nazionale lanciati da Roma, non gli danno retta e si affidano al centrodestra. Insomma, comunque si giri la frittata, per il Pd di Walter Veltroni sono solo schiaffoni.
C’è poco da fare, il responso delle urne parla chiaro. E così, i democratici piangono e si leccano le ferite per il tonfo, visto che superano di poco il 20% (tre anni fa, alle Regionali, Ds e Margherita, ancora separati, ottennero oltre il 35%, mentre alle scorse Politiche il Pd prese in Abruzzo il 33,5%). Discorso da ribaltare invece per l'Italia dei valori, che si attesta addirittura al 15%, raddoppiando il risultato di aprile ma sestuplicando il dato del 2005, quando si fermò al 2,4%. Tiene l’Udc, che si aggira intorno al 5% (poco sotto il 6% preso in primavera, ma aveva incassato l’8,4% alle scorse Regionali). Non raggiunge il 2% invece l’esponente della Destra, Teodoro Buontempo.
Intanto, dal canto suo, il neo-governatore se la ride. Certo, anche per lui la tensione svanisce solo nel tardo pomeriggio, quando le proiezioni ufficiali si stabilizzano un po’. Ma la divisa «scaramantica» dello staff (maglioncino a rombi, purché colorati, sotto la giacca) fa bene il suo dovere e il super favorito Chiodi conferma i pronostici, tirando pure un sospiro di sollievo. Non tanto perché la vittoria fosse davvero in discussione - l’ex sindaco di Teramo, quando lo spoglio è a metà strada, ottiene quasi il 50% dei consensi, 3 punti in più della coalizione che lo sostiene, staccando nettamente il dipietrista, che si ferma al 42%, due punti sotto rispetto ai partiti che lo appoggiano) - quanto per la desolante sfiducia generale, espressa dai suoi conterranei.
Un responso difficile, lì per lì, da interpretare. Anche perché nessuno osava immaginare un astensionismo così alto (si presenta alle urne solo il 52,99% degli aventi diritto, oltre 15 punti in meno rispetto alle precedenti Regionali, quando si recò ai seggi il 68,58%). Con uno scenario del genere, in larghissima parte da addebitare ai mal di pancia del popolo di centrosinistra - vedi appunto azzeramento giudiziario della giunta Del Turco e beghe interne tra il Pd che sprofonda e l’Idv che vola - ma anche all’incertezza per lo slittamento della data delle elezioni, non si può far finta di nulla. Chiodi avrà tempo per riflettere sul

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Di Pietro sbeffeggia gli alleati: «Punito chi non è carne né pesce»
di Laura Cesaretti Sconfitto il suo candidato ma l’ex pm esulta: «Noi quintuplichiamo» Uòlter: «Dobbiamo fare di più». E già prepara un repulisti interno
RomaIl Pd dà la colpa al candidato presidente Carlo Costantini che «non traina la coalizione», Costantini dà la colpa all’ex presidente arrestato Ottaviano Del Turco e nello scaricabarile generale del giorno della débâcle abruzzese, l’unico che se la gode beato è Antonio Di Pietro. Al quale del risultato di Costantini («suo» candidato) importava poco e niente, di quello del Pd e della coalizione ancor meno, ma del suo sì, eccome.
E ora, dopo aver cannibalizzato il voto Pd, non esita a presentare il conto e irridere l’alleato Walter Veltroni: «Noi quintuplichiamo i voti», esulta, mentre vengono sconfitti «quei partiti che non sono né carne né pesce, che partecipano alle commissioni, che dicono “ma anche”». Dopo il danno, insomma, anche la beffa.
E sotto il coperchio, nel pentolone Pd ribolle l’insofferenza. Il dalemiano Nicola Latorre chiede una «riflessione collettiva e rigorosa» nella Direzione di venerdì sul fatto che «Di Pietro sta erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari». Il quotidiano ex Margherita Europa invoca: «Via di corsa da Di Pietro» e da questa «alleanza fasulla e suicida». Perché Di Pietro «pensa solo a se stesso, ricatta il Pd e alla fine non gli fa vincere nulla». Anche il coordinatore del Pd Peppe Fioroni, dando voce anche al rimpianto di Franco Marini, sospira: «Il mio rammarico è che con l’Udc avremmo vinto», altro che Di Pietro.
Veltroni, e insieme a lui i massimi dirigenti del Pd, concentrano l’attenzione sul vasto astensionismo, e comprensibilmente evitano di sottolineare troppo l’emorragia subita dalla loro lista: circa quindici punti persi rispetto alle scorse elezioni regionali, una picchiata dal 35% al 20%. Il Pd da solo ha poco più dei soli voti Ds del 2005. E nella provincia dell’Aquila subisce addirittura l’umiliazione del sorpasso da parte di Idv. Il segretario ammette che nel risultato e nella massiccia diserzione delle urne «c’è malessere, stanchezza e critica anche nei nostri confronti». E promette: «Dobbiamo fare di più sulla questione etica. Dobbiamo essere severi con noi stessi e poi con gli altri». Veltroni lascia poi al portavoce Pd Andrea Orlando il compito di delineare meglio la linea di difesa: il Pd effettivamente «è stato colpito più di altre forze politiche», e su questo «occorrerà riflettere». In quale direzione? Quella del «rinnovamento della classe dirigente e del superamento di vecchie logiche». Veltroni insomma ha intenzione di usare anche il capitombolo abruzzese per cercare di scalzare la «vecchia guardia» interna di Ds e Margherita, e imporre i suoi organigrammi. «Non abbiamo perso noi ma il passato», spiega il consigliere veltroniano Walter Verini.
Quanto a Di Pietro, Orlando fa notare come il candidato Costantini non ha «parlato all’intero centrosinistra», «avvantaggiando» solo la sua lista di provenienza. Tant’è che, sottolinea il responsabile Enti locali Fontanelli, «ha preso meno voti della coalizione». Parecchi di meno, almeno il 3%. «Un po’ di elettori Pd devono aver preferito Chiodi, paradossalmente», allarga le braccia Giorgio Tonini. Un bel po’. E d’altra parte, come raccontato dal Giornale, alcuni dirigenti locali del partito avevano dato indicaz

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Chiodi: "Volevo portare qualcosa in più, ci sono riuscito"

Gianni Chiodi arriva pochi minuti prima delle dieci, quando il risultato elettorale è destinato ma non confermato. «Intanto si sta delineando un ottimo risultato, una vittoria che non è certa - ha esordito - Abbiamo fatto un grande lavoro tre anni fa il centrodestra per 18 punti. Il risultato è il frutto di una serie questioni: sicuramente ha giovato il buon governo di Berlusconi. Contrariamente a quanto si pensa a livello nazionale il risultato della maggioranza silenziosa è abbastanza chiaro. Poi ricordiamo che il governo regionale ha fallito non solo su piano etico ma anche su quello politico». Quasi timido, pochi sorrisi, sicuramente frastornato. Il futuro è già cominciato. Tanto gli assenti al voto però. «Questa è la sfida più importante, una sfida che sono certo di vincere. Dovevo portare qualcosa in più e ci sono riuscito».

Dopo i primi segnali di vittoria la telefonata con Berlusconi. «Si ci siamo sentiti, abbiamo parlato», taglia corto senza rivelare i contenuti. Felice si sottopone alle tante domande dei giornalisti, sottolineando che all'inizio la delega alla sanità la terrà per sè. «Penso di aver già cominciato a lavorare - ha detto Chiodi - questo risultato è la chiara indicazione che qualcuno più di altri è riuscito a esprimere fiducia, speranza, rinnovamento della classe dirigente, sobrietà, onestà, impegno. Poi lavorare, lavorare, lavorare. E questa non è retorica, bisogna rimboccarsi le maniche e puntare più sul consenso che sull'ideologia». In pochi al voto si diceva. «L'unico cruccio è l'astensionismo, il mio impegno è che tra cinque anni gli elettori, dopo aver visto modello comportamentale di far politica diverso molti in più andranno a votare. C'è stata disaffezione verso politica ma anche altri concomitanti». Una vittoria per il Pdl. «È stato sicuramente un test politico, ci sono stati momenti in cui il Governo nazionale è stato attaccato anche con manifestazione in apparenza significative. È stata una minoranza rumorosa, che faceva molto rumore ma che non era sostanza politica». Pensa al passato quando guarda al futuro. «Sono stato candidato sindaco e sindaco, il mio atteggiamento nei prossimi anni non sarà tanto da Governatore roboante ma da sindaco di tutti gli abruzzesi».

Una campagna elettorale con veleni e attacchi di basso profilo quella che c'è stata. «Dà fastidio vedere gente che interpreta comportamenti in momenti di stress con commenti che io non avrei mai fatto - ha aggiunto Chiodi - ciò mi ha fatto non apprezzare alcune tecniche di fare politica. Per me politica è confronto di idee, cosa nobile, non è dileggio degli avversari. Quando si superano certi limiti bisogna reagire. Chi è scaduto ha ricevuto debàcle alle urne. Alla fine dei conti non hanno raccolto la fiducia dei cittadini, coloro che dovevano apparire come paladini moralizzatori non hanno ricevuto consenso. Ci aspettavamo la sconfitta del centrosinistra, tra loro c'è un elettorato che si mobilita contro mai a favore o per; c'è antiberlusconismo, questo modo di fare lo interpreta in particolare l'Idv, ma è un metodo da secolo scorso. Meglio la scelta di Veltroni, di stampo anglosassone, non completamente recepita».

Fabio Capolla

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Berlusconi: il Pd paga la sudditanza verso Di Pietro

L'astensionismo, avrebbe detto il leader del Pdl, va compreso e non strumentalizzato. La miglior risposta alla scarsa affluenza, sarebbe stato il ragionamento di Berlusconi, e' quella del buon governo.

Secondo il Presidente del Consiglio riguardo l'affermazione del candidato del Pdl, Gianni Chiodi, alla presidenza della Regione Abruzzo la sinistra ha pagato il prezzo della sua sottomissione a Di Pietro. Silvio Berlusconi non parla, ma a chi ha avuto modo di sentirlo nelle ultime ore non avrebbe nascosto tutta la sua soddisfazione per il risultato conseguito.

Il presidente del Consiglio e' convinto che la sconfitta del centrosinistra sia legata alla ''sudditanza'' del Pd all'Idv. Il Cavaliere, raccontano fonti della maggioranza, e' rimasto colpito dal forte astensionismo, ma non piu' di tanto, visto che dovrebbe essere concentrato soprattutto a sinistra. L'astensionismo, avrebbe detto il leader del Pdl, va compreso e non strumentalizzato. La miglior risposta alla scarsa affluenza, sarebbe stato il ragionamento di Berlusconi, e' quella del buon governo.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 5 della discussione

Regionali in Abruzzo. Tutti i risultati http://regionali.interno.it/regionali/regio081214/R13.htm

>>Da: andreavisconti
Messaggio 6 della discussione

Bene! Avanti così. Vediamo ora come finisce tra Di Pietro e Pd. Andrea

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 7 della discussione
Il più contento per la vittoria del PdL in Abruzzo è D'Alema.
Potrei scommetterci.

>>Da: LAURA39398
Messaggio 8 della discussione
Faccio qui una mia analisi sul voto di ieri in Abruzzo. Il dato più sconvolgente è certamente il crollo della percentuale dei votanti. Il messaggio è stato chiarissimo: i cittadini ne hanno le tasche piene della politica. Questo dato interessa entrambi gli schieramenti. Meditate gente, meditate. Il secondo dato è il crollo dei consensi al PD. Di questo crollo la responsabilità politica è di Uolter, in quanto segretario del partito. Vedremo nei prossimi giorni se gli faranno fare le valige. Certo è che baffino è il meno insoddisfatto del tracollo.. Di Pietro era raggiante ieri sera, per il suo 15%. Si è montato la testa: vuole diventare lui il capo di una nuova coalizione che comprenda tutti gli antiberlusconiani d'Italia. Povero illuso, ammesso che gli altri glielo consentano, dove crede di arrivare? Da ultimo, anche se ampiamente scontato, è da rimarcare il grande distacco con cui il candidato del centrodestra Chiodi, ha vinto le elezioni. Laura

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Meloni: "A ogni figlio un anno di lavoro in meno"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

La proposta del ministro della Gioventù: "In pensione prima solo chi ha più figli. Brunetta ha posto un problema reale, la riforma è sacrosanta e va realizzata a prescindere dall’Europa. E i soldi risparmiati andrebbero investiti in servizi a sostegno delle donne e asili nido"

Roma - Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, bel putiferio ha scatenato il suo collega Brunetta...
«Sì ma non ha parlato così a caso. Brunetta ha posto un problema reale e importante. Una questione sollevata, giustamente, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea che ci ha condannato perché è discriminante che le donne vadano in pensione prima degli uomini».
Ancora una volta l’input arriva dall’Europa...
«Personalmente registro che molte volte ci sia troppa rigidità da parte delle istituzioni sovranazionali ma l’Europa stia tranquilla: un governo forte come il nostro riuscirà a far comprendere le ragioni di una riforma sacrosanta, a prescindere dagli “eurorichiami”. Quello della sentenza della Corte, tuttavia, non è il tema forte su cui punterei per convincere della bontà delle ipotesi in campo».
Però aiuta...
«È un buon pretesto per ragionare su un nodo che va affrontato senza più tabù, senza posizioni ideologiche e preconcetti. Qualcuno nell’opposizione ha iniziato a farlo: penso alla Bonino, alla Pollastrini, alla Lanzillotta».
Mentre da D’Alema e la Finocchiaro sono arrivati solo dei niet... Qual è la posizione del Pd?
«E che ne so? Dovrebbe chiederlo a loro ma temo che non lo abbiano ancora capito... Sono divisi e non soltanto su questo. Spero che nell’opposizione, comunque, prevalga un approccio non ideologico. La strumentalizzazione, su questi argomenti, porta all’immobilismo».
Tuttavia si scorgono alcuni punti di contatto tra maggioranza e opposizione, specie tra esponenti femminili...
«Vero. L’ultima è la posizione del ministro ombra per le Pari opportunità del Pd, Vittoria Franco, che ha detto di appoggiare Brunetta a patto di promuovere misure che favoriscano l’occupazione femminile. Mi trova d’accordo».
Sarebbe «fantapolitica» trovare una maggioranza trasversale?
«Io sono sempre ottimista anche se sono rimasta molto delusa dal comportamento del Pd sul decreto sull’università: un progetto a favore dei giovani e contro le baronie. In sede di discussione, in Senato, noi abbiamo accolto degli emendamenti dell’opposizione; poi al momento della votazione finale il centrosinistra ha votato contro. Ecco il male della nostra democrazia: troppa ideologia».

>>Da: andreavisconti
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Insomma, ha paura che anche su questo tema vada a finire così?
«Se ne occuperà Veltroni a trovare una difficile sintesi tra le varie posizioni in campo nel suo partito... Se ci riesce... Io me lo auguro».
Certo che anche voi, però... Calderoli non è mica stato tanto tenero con quella battuta su «Brunetto-scherzetto»...
«Era soltanto una battuta. Il fatto è che la sortita di Brunetta, così estrapolata dal contesto, sembrava un fulmine a ciel sereno. Ma sono sicura che non c’era nessun intenzione di far del sensazionalismo. Quello che occorre è una reale equiparazione tra uomo e donna, a 360 gradi».
Quindi: le donne lavorino di più a patto che?
«Le donne spesso si fanno carico della casa, degli anziani, dei figli. Sarebbe giusto garantir loro pari condizioni lavorative per esempio con l’equiparazione dei salari. Altro beneficio sacrosanto: riconoscere la maternità».
Come ha chiesto ieri la Uilm che ha detto: «Ha ragione Brunetta ma va riconosciuto alle donne un periodo di maternità di almeno 24 mesi». Non è un po’ tanto?
«Forse il termine è alto ma la logica è condivisibile e bisogna lavorare su un piano integrato. Questa è soltanto una delle mille proposte in campo. L’altra potrebbe essere quella di far andare in pensione prima chi ha più figli. Un anno di prepensionamento per ogni figlio che si ha».
Ma la questione è una sola: si vive di più e le pensioni costano troppo.
«È il fattore demografico che ci impone di cambiare il sistema. Secondo una proiezione Istat nel 2050 avremo oltre il 35 per cento della popolazione con più di 65 anni e i nati sono sempre meno. Così com’è il sistema collassa».
Brunetta dice che spostando l’uscita dal lavoro a 65 anni per le donne lo Stato risparmierebbe 7 miliardi di euro. Un bella cifra, no?
«Risorse che andrebbero investite in servizi, opportunità, incentivi, sostegni alle donne, asili nido. E poi non è possibile che oggi fare un figlio sia considerato un bene di lusso».
E lei fino a che età è disposta a lavorare?
«Fino a quando ce la faccio fisicamente».
Bambini in vista?
«Con il mestiere che faccio sarei una pessima madre».
Quindi zero bambini?
«Prima o poi un contributo alla Patria voglio darlo».
Francesco Cramer

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Filippo Facci: Le sessualmente svantaggiate

>>Da: andreavisconti
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Renato Brunetta ha proposto che le donne possano andare in pensione a 65 anni, e sin qui c’eravamo. Lasciando da parte la reazione isterica dei sindacati (vere forze asociali, ormai) c’è Vittoria Franco del Partito democratico che si è detta disposta a parlarne a una condizione: che si prenda in considerazione anche la loro proposta di legge per conciliare la maternità con la carriera delle donne. Seguiva, a ruota, la consueta e fondata lagnanza sulle donne che sono pagate meno e sugli asili che non ci sono. Ora: io non so chi abbia ragione, non so se i nuovi asili siano davvero necessari: lo dico con la massima umiltà. Però qualcuno dovrebbe spiegarmi una cosa. Negli Stati Uniti, e su questo non c’è dubbio, le donne sono molto più emancipate di quelle europee e però molto meno tutelate: negli Usa ci sono meno asili nido, meno congedi per maternità e in generale meno assistenza statale per l’infanzia. In pratica c’è una cultura lavorativa più competitiva della nostra, e le donne di fatto sono piazzate ai vertici delle professioni e del potere; mentre in Europa, dove le donne hanno congedi di maternità che durano anche tre anni (ci sono anche i congedi di paternità) e dove c’è il part-time, oltreché assessori delegati alla protezione della donna a spese dei datori di lavoro, be’, in Europa tutta questa differenziazione della donna è equivalsa a penalizzarla e a lasciarla indietro. Vorrei soltanto che qualcuno mi spiegasse perché.

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Salvatore Tramontano: WALTER LEADER DEI TAFAZZI

>>Da: andreavisconti
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Se lo conosci lo eviti. Ma Veltroni, pur sapendo bene chi sia Di Pietro, cosa rappresenti, che fine abbiano fatto i suoi alleati, e quale sia il suo obiettivo, continua a restargli avvinghiato come una vittima al proprio carnefice. Ora il risultato dell’Abruzzo rappresenta una lezione in salsa dipietrista per il Pd, la batosta è stata terrificante come dimostra la matematica: il Pd passa dal 35% al 20%, mentre Di Pietro dal 3% arriva quasi al 15%. Quindi che qualcosa non vada in un rapporto che segua questa dinamica, non serve un raffinato politologo per capirlo. Ma se questa è la sintesi algebrica, il problema è un altro, più grave, ed è tutto politico: il Veltroni di «we can», non può più. Non può guidare il partito che aveva teorizzato, non può rompere con Di Pietro, non può liberarsi di D’Alema e delle correnti che soffiano nel Pd, non può scegliere una collocazione europea, non può avere un’idea che non sia subito commissariata.
Così assistiamo ad un singolare paradosso: il Partito democratico dichiara di aver rotto l’alleanza con l’Italia dei Valori, ma nella regione-simbolo della questione morale, dopo essere stato travolto dallo stesso problema in tutto il resto del Paese, si fa dettare la linea dalla pattuglia dell’ex pm, che per tutta la campagna elettorale continua a pronunciare in ogni salotto televisivo le sue requisitorie, il cui principale bersaglio è ovviamente il Pd. E mentre Veltroni sdogana e consacra gli arrabbiati dipietristi, Di Pietro - per riconoscenza - gli succhia il sangue dalle vene e i voti nelle urne.


>>Da: andreavisconti
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L’equivoco, in realtà, continua dalle politiche, ed ogni volta la situazione si aggrava. Il Pd - all’epoca - ci aveva raccontato che avrebbe corso da solo. Il suo leader ci aveva promesso, al Lingotto e poi in tutte le piazze d’Italia, che avrebbe inaugurato una stagione nuova: nessuna demonizzazione politica nei confronti del centrodestra, dialogo sulle riforme, priorità ai problemi del Paese. Ce lo ricordiamo ancora, quel giorno indimenticabile, alla Camera, in cui il leader del Pd aveva incontrato Berlusconi per poi suggellare questo nuovo corso con una solenne conferenza stampa. Tutto finito, scomparso, evaporato. Non solo: da quando Veltroni ha ufficialmente «rotto» (ma chi se n’è accorto) l’alleanza con Di Pietro, Veltroni è tornato all’antiberlusconismo militante, celebrando, il 25 ottobre, la sua messa dipietrista al Circo Massimo. Subito dopo si è infilato nel budello istituzionale della Commissione di vigilanza, che ha portato all’elezione di Villari e alla triturazione di un candidato come Zavoli. E come mai? Perché anche lì, il giorno dopo la famosa rottura con Di Pietro, il Pd era in trincea per il dipietrista Leoluca Orlando. Un paradosso, o forse soltanto un pasticcio. Con il centrodestra pronto a votare Zavoli, e il posto dell’ex presidente della Rai occupato da un senatore eletto con il Pd.
Noi non sappiamo cosa dirà la mattina del 19 dicembre Walter Veltroni, nella sua relazione in direzione. Ma siamo certi di una cosa: se continuerà a ripetere gli errori che lo hanno portato al pasticcio dipietrista, avremo finalmente trovato un leader. Non del Partito democratico, ma di tutti i tafazzi italiani.

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Brescia, imprenditore ucciso nel suo garage

>>Da: andreavisconti
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Maurizio Cirillo, 32 anni, freddato con due colpi di pistola calibro 9 appena sceso dall'auto. Poi il killer lo ha legato con il filo elettrico ed è fuggito. Si pensa a un regolamento di conti o a una rapina

Brescia - Ucciso con un colpo di pistola nel suo garage. Maurizio Cirillo, imprenditore edile, è morto ieri sera nel suo garage a Lumezzane. Cirillo era sposato e aveva due figli piccoli. Ieri sera, dopo essere stato dal padre a cena, è tornato a casa a bordo della sua Bmw, quindi è entrato nel garage. Ad attenderlo c’era però chi l’avrebbe poi ucciso con un colpo di pistola. Cirillo è sceso dall’auto e a quel punto potrebbe essere stato minacciato e aver reagito conseguentemente. In tale contesto sarebbero stati esplosi due colpi di pistola, uno dei quali ha ferito mortalmente l’imprenditore a un fianco. L’autopsia dovrà inoltre chiarire come si è procurato una lesione alla testa.
Legato Prima di fuggire, chi ha sparato, con una calibro 9, lo ha legato con del filo elettrico trovato nel garage. Questo particolare potrebbe lasciar pensare a un regolamento di conti in un contesto mafioso. In realtà la pista maggiormente approfondita dai carabinieri impegnati nelle indagini sembra essere quella della rapina. Nella casa si trova infatti la cassaforte, di cui solo Cirillo conosceva la combinazione. Il cadavere è stato portato all’ospedale civile di Brescia. I carabinieri, per tutta la serata hanno interrogato familiari, amici e colleghi di Cirillo.

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Crisi, giustizia, pensioni. Governo e Pd si parlano ma l’accordo è lontano

>>Da: andreavisconti
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Dopo il muro contro muro sembra l’ora del dialogo E fioccano gli incontri sulle riforme indispensabili
RomaGiustizia, federalismo fiscale, crisi economica e alla fine pure pensioni. Da che di dialogo neanche a parlarne, in poco più di un mese la politica italiana sembra essersi fatta prendere dalla febbre delle confronto tra tavoli di lavoro, presunte supercommissioni e incontri bilaterali a non finire. Sulla giustizia, intanto. Con Alfano, che dopo aver visto Casini, domani avrà un faccia a faccia con il suo omologo «ombra» Tenaglia. E con Fini che continua a insistere sulla necessità di un dialogo tra maggioranza e opposizione, tanto che ieri Veltroni rilanciava l’idea di una commissione mista con parlamentari e magistrati proprio dopo un lungo colloquio con il presidente della Camera.
Si tratta anche sul federalismo fiscale, con la Lega - Calderoli in particolare - che si è spesa molto nelle scorse settimane per cercare di costruire una asse con il Pd. Al punto che una riunione ristretta tra Calderoli e Morando per concordare gli emendamenti dell’opposizione alla riforma federale è saltata solo all’ultimo momento. Dialogo anche sull’economia, tanto che oggi è in programma un altro «bilaterale» di peso, quello al ministero dell’Economia tra Tremonti e il suo omologo «ombra» Bersani. E poi c’è il dibattito aperto da Brunetta sull’età pensionabile delle donne, prima derubricato a boutade e da ieri argomento di confronto con il Pd.
Insomma, sarà che si avvicina il Natale, ma nelle ultime settimane c’è stata una decisa virata sul fronte del dialogo. Per ragioni diverse. Perché se il Carroccio gioca la sua partita soprattutto per mettere sul chi vive il Cavaliere e Fini insiste nel cercare una mediazione con l’opposizione in omaggio al suo ruolo istituzionale, ben diverso è l’approccio di Berlusconi e Veltroni. Il primo, infatti, pur restando scettico ha deciso di non chiudere tutti i canali e lasciare aperto lo spiraglio parlamentare. Insomma, spiega il vicepresidente dei deputati Pdl Napoli, «la disponibilità al confronto c’è» ma «nella chiarezza dei numeri di cui è forte la maggioranza». Ecco perché ieri Cicchitto ha bollato la proposta Veltroni di una commissione sulla giustizia come uno «stravolgimento della normalità istituzionale». Ed ecco perché Alfano insiste con i suoi incontri ma senza perdere occasione per ribadire che la via maestra di qualunque riforma è quella parlamentare. Non a caso, ieri anche la seconda carica dello Stato ieri auspicava una riforma della giustizia citando un «precedente storico». «Quando si fece la commissione Bicamerale - ha detto il presidente del Senato Schifani - il Parlamento ha riaffermato la propria centralità».


>>Da: andreavisconti
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E la linea del premier è proprio questa perché, è la convinzione di Berlusconi, qualsiasi altra strada non sarebbe altro che un salvagente politico alla crisi di leadership in cui versa Veltroni, da ieri ancora più grave visto il risultato elettorale abruzzese. È per questo che la parte del Pd che fa capo alla segreteria ha più volte rilanciato l’idea di un tavolo: prima sulla crisi economica, poi sulla scuola e sul federalismo fiscale, infine sulla giustizia. Ma di tavoli e tavolate il Cavaliere non ne vuol proprio sentir parlare. «L’opposizione ha il diritto-dovere di fare le sue proposte - ripeteva ancora ieri in una conversazione privata - ma noi abbiamo il diritto-dovere di far valere i nostri numeri e assumerci le nostre responsabilità». In questo senso la linea di Berlusconi è chiara. «Prima troviamo una posizione comune tra Pdl e Lega - è il succo del suo ragionamento - e poi ci confrontiamo con l’opposizione».
Insomma, spiegano senza troppi giri di parole da Palazzo Chigi, «il dialogo non può certo diventare un grimaldello per aprire fronti nella maggioranza». Come ha cercato di fare la Lega che vede minacciati i tempi del federalismo fiscale e come ha provato più volte a fare Veltroni. Che, lamenta spesso il premier, «non è un interlocutore credibile» perché «ormai è troppo debole all’interno del suo partito». E che proprio nel rilancio di tavoli e supercommissioni extraparlamentari cerca una sua legittimazione. Perché, ripeteva ancora ieri Berlusconi alla luce delle regionali dell’Abruzzo, «è sempre più schiacciato da Di Pietro» che certamente non lo seguirebbe quasi su nulla se si andassero a votare le riforme direttamente in Parlamento. D’altra parte, non lo segue neanche sul resto vista la sua chiosa di ieri all’idea lanciata da Veltroni sulla supercommissione per la giustizia: «Una perdita di tempo».
Insomma, forse non sbaglia l’Udc Roberto Rao quando auspica che i tanti fronti di dialogo di queste settimane «non siano solo il frutto del buonismo prenatalizio» ma «qualcosa di concreto». Perché l’unico punto in agenda su cui sembrano davvero esserci spazi per un confronto serio - lo dice anche un veltroniano di ferro come Tonini - è «quello economico», soprattutto se il 2009 sarà davvero l’anno della crisi come si teme. Al governo, infatti, potrebbe far comodo avere una spalla non solo nell’opposizione ma anche nelle parti sociali. E al Pd potrebbe tornare utile rientrare finalmente in gioco e ritagliarsi il ruolo di partito «responsabile» in vista della tornata amministrativa di primavera. Adalberto Signore

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In arrivo 800 milioni per costruire nuove scuole

>>Da: andreavisconti
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Stanziato un fondo straordinario dopo la tragedia di Rivoli. Soldi anche per strade e ferrovie

Arrivano 800 milioni per un piano straordinario di edilizia scolastica che sarà varato giovedì dal Cipe, insieme con gli stanziamenti per le infrastrutture. L’intervento del governo lievita così oltre i 17 miliardi complessivi, con l’obiettivo di far ripartire i cantieri e gli investimenti, e con essi l’economia. L’annuncio del ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, precede di poche ore il via libera del suo ministero ai 180 milioni di incentivi dei progetti di ricerca sulla mobilità sostenibile, che attiveranno 500 milioni di investimenti. Fra le aziende che si sono aggiudicate gli incentivi ci sono Magneti Marelli, Piaggio, Fincantieri, Ansaldo Trasporti, Ducati, Iveco, Vitrociset, Italtel. L’iter di valutazione è stato completato i soli 90 giorni.
Al Cipe 17 miliardi. Giovedì al Cipe saranno distribuiti fondi europei (Fas) e altre risorse per oltre 17 miliardi. Ai 16,6 miliardi iniziali sono stati aggiunti 800 milioni per il piano di edilizia scolastica straordinaria, deciso dopo la sciagura di Rivoli. Gli altri fondi saranno destinati a infrastrutture per la mobilità (strade, ferrovie, ecc), allo sviluppo della banda larga, alla diffusione delle energie rinnovabili.
Più risorse per la Cig. In parallelo, i ministri dell’Economia e del Welfare, Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi, stanno lavorando per l’allargamento delle risorse da destinare alla cassa integrazione e agli altri ammortizzatori per il 2009. In aggiunta agli 1,3 miliardi già stanziati potrebbe giungere un altro mezzo miliardo reperito dai residui dei fondi Fas 2000-2006 (che in tutto arrivano a circa 2 miliardi).
Bonus famiglie e tariffe. Sono in arrivo gli emendamenti al decreto anticrisi, all’esame della commissione Bilancio della Camera. Il bonus potrebbe essere concentrato sulle famiglie, escludendo i single, mentre il blocco delle bollette potrebbe saltare perché sarà il ribasso del petrolio ad agire sulle tariffe. Per i mutui dovrebbe restare il testo iniziale, che esclude i contratti a tasso fisso dalle nuove norme. Oggi riunione di maggioranza per esaminare gli oltre 1000 emendamenti presentati dai parlamentari (ma nessuno ancora dal governo).
Cambiano gli studi di settore. Per attenuare l’impatto della crisi sulle imprese minori e le attività autonome il governo ha deciso la revisione totale degli studi di settore. Riguarderà tutti gli studi. L’obiettivo è quello di adeguare le richieste del fisco agli incassi ridotti causati della crisi economica.
Auto, incentivi nazionali. Sugli incentivi al settore automobilistico, colpito duramente dalla crisi, si discute ancora. Per il centrosinistra, se gli Usa e gli altri paesi europei varano un pacchetto di aiuti al settore, l’Italia non può stare ferma. «Gli incentivi alla rottamazione - spiega il commissario Ue ai Trasporti, Antonio Tajani - sono un intervento di tipo nazionale», quindi non europeo, anche se la Commissione di Bruxelles ha già indicato che ci saranno aiuti all’auto «nel segno della lotta al mutamento climatico». Di questo problema, e più in generale della strategia anti-crisi, discuteranno oggi il ministro dell’Economia Tremonti e il suo collega «ombra» Pierluigi Bersani.

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Mafia, maxi blitz in Sicilia 99 arresti: volevano rifondare la "Cupola"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

In manette capimafia, reggenti di mandamenti e gregari che fanno parte di famiglie mafiose. Alcuni boss palermitani volevano "rifondare Cosa nostra". Azione sostenuta anche dal capomafia Messina Denaro

Palermo - Un maxi blitz dei carabinieri del Comando provinciale di Palermo è avvenuto, alle prime luci dell'alba, in diverse città della Sicilia. I militari hanno eseguito 99 fermi ordinati dai pm della Direzione distrettuale antimafia. Si tratta di capimafia, reggenti di mandamenti e gregari che farebbero parte delle famiglie mafiose, coinvolti da alcuni boss palermitani in un progetto criminale che ha come obiettivo quello di "rifondare Cosa nostra". L’azione sarebbe stata sostenuta anche dal capomafia trapanese latitante, Matteo Messina Denaro. I fermi sono stati disposti dalla procura a causa del pericolo di fuga degli indagati e per evitare omicidi che sarebbero stati progettati. Per condurre il maxi blitz sono stati impiegati oltre 1.200 carabinieri, e poi elicotteri e unità cinofile.
I 99 arresti I capimafia arrestati stamani dai carabinieri del Comando provinciale stavano ricostituendo la nuova «commissione provinciale» di Cosa nostra. Si tratta dell’organismo con il quale l’organizzazione decide le azioni da compiere e le strategie criminali da adottare. Tutto emerge da intercettazioni ambientali. Alla commissione, in passato guidata da Totò Riina, è toccato il compito di deliberare i fatti di sangue più importanti che sono stati compiuti dalla mafia. Sono centinaia le perquisizioni effettuate dai carabinieri in quasi tutta la provincia di Palermo. Ai 99 indagati, fermati su disposizione della Direzione distrettuale antimafia, vengono contestate le accuse di associazione mafiosa, e a vario titolo anche estorsione, traffico di armi e traffico internazionale di stupefacenti.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

L’operazione "Perseo" L’inchiesta Perseo è stata coordinata dal procuratore Francesco Messineo e dai sostituti della dda Maurizio de Lucia, Marzia Sabella, Roberta Buzzolani e Francesco Del Bene. L’indagine dei carabinieri del Reparto operativo di Palermo è durata 9 mesi, insieme ai colleghi del Gruppo di Monreale. Gli investigatori hanno ricostruito i nuovi assetti mafiosi grazie a intercettazioni effettuate nei luoghi in cui i boss si riunivano per discutere affari e nuove strategie. L’inchiesta sui nuovi boss a capo delle famiglie e dei mandamenti mafiosi di Palermo ha portato ad acquisire elementi che mettono in risalto l’interesse di Cosa nostra nella politica. In particolare, dalle intercettazioni si apprende la strategia messa in atto per appoggiare alle elezioni elettorali candidati che i boss ritengono affidabili. È uno dei punti su cui si basa l’inchiesta Perseo che ha portato ad identificare decine di nuovi "uomini d’onore", ed in particolare coloro che, di fatto, hanno svolto o svolgono un ruolo direttivo dell’attività delle «famiglie» mafiose palermitane di: Corso Calatafimi, Rocca Mezzo Monreale, Resuttana, Acquasanta, Porta Nuova, Altarello, Pagliarelli, Palermo Centro, Borgo Vecchio, Uditore, Borgo Molara Monreale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, San Mauro Castelverde e Termini Imerese. I carabinieri hanno pure identificato i presunti responsabili di numerose estorsioni ad attività imprenditoriali e commerciali, confermando ancora l’importanza vitale che il pizzo ha per l’organizzazione. C’è pure l’ennesima conferma sugli interessi della mafia nell’esecuzione di appalti pubblici e privati e sono stati acquisiti elementi che provano l’attuale interesse di Cosa nostra nel traffico internazionale di droga.

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Due scarpe e la celebrità: eroe il reporter anti-Bush

>>Da: andreavisconti
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Il mondo arabo festeggia il "ribelle". Iracheni in piazza contro gli Usa ispirati dal giornalista che ha contestato il presidente. E che ora rischia 7 anni. Rapito dagli sciiti un anno fa, era ossessionato dalle vittime della guerra

Le avesse tirate a Saddam sarebbe già nel mondo dei più, ma le ha lanciate a George W. Bush e dunque non solo è vivo, ma è pure un eroe. Anzi di più, è il Saladino redivivo, il simbolo della nuova guerra delle scarpe all’odiato liberatore americano. Da ieri volto e nome del giornalista sciita Muntazer al Zaidi campeggiano sui quotidiani del mondo arabo, le televisioni fanno a gara nel ritrasmettere la doppietta di cuoio scagliata in faccia al presidente americano, le radio ritrasmettono l’ululato di rabbia a lungo covato «Eccoti il bacio d’addio cane».
Certo il cane Bush, come lo chiama lui, era ben sveglio, ha schivato il mocassino numero uno, ha ignorato quello volatogli sopra la testa, ha chiuso il fuori programma spiegando di aver visto solo “un bel paio di 44”, di non sentirsi minacciato e di non aver capito una parola di quel che urlava l’infuriato Muntazer. Poi è volato a Kabul, ha incontrato il presidente Hamid Karzai ha ammesso le difficoltà di una guerra ancora lunga e difficile, ma ha anche ricordato che in Afghanistan, come in Irak, la gente è molto più libera di quanto non lo fosse ai tempi dei talebani o di Saddam Hussein. Verità lontane. A Bagdad George W. Bush non se lo fila più nessuno. In Arabia Saudita qualcuno già celebra la giornata internazionale della scarpa in faccia. E a Bagdad il giornalista Muntazer al Zaidi viene salutato come l’ultimo, autentico liberatore. In Libia la figlia di Gheddafi gli ha promesso un premio, i giornalisti tunisini hanno chiesto la sua immediata liberazione.
Un anno fa venne rapito, massacrato di botte e rilasciato dalle milizie sciite, ma di lui non parlò nessuno. Oggi è l’uomo del giorno. Magari rischia veramente sette anni di galera, ma a giudicare dal numero di sostenitori catapultatisi in piazza per pretenderne l’immediata liberazione non resterà in gattabuia troppo a lungo. «Se il giudice non infierisce e lo incrimina per una semplice aggressione se la cava con due anni e magari anche solo con una multa», ammette il penalista iracheno Tariq Harb. Su un veloce rilascio, nonostante il governo del premier Nouri al Maliki punti all’incriminazione per vandalismo, scommette anche il fratello Udai al Zaidi: «Il gesto di Muntazer riempie gli iracheni d’orgoglio, tutti vorrebbero esser al suo posto, lui quando si rivolge agli orfani ricorda sempre le colpe di Bush e tutti qui sono pronti a difenderlo».

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

A rigor di codice i sette anni di galera previsti per chi premedita un’aggressione potrebbero starci tutti. Colleghi e conoscenti di Muntazer ammettono che il giornalista, famoso per il vezzo di ricordare ad ogni piè sospinto i morti provocati dall’invasione, meditava gesti e proteste sensazionali. Di certo c’è riuscito. Con quell’uno-due di mocassini, con quel gesto considerato dalla cultura araba come il peggior insulto all’avversario, Muntazer s’è conquistato un posto nella storia e nel cuore di tanti arabi. Il primo a capirlo è Kalil al Dulaymi, il legale famoso per aver difeso Saddam e solertissimo nel promettergli assistenza e patrocinio gratuiti. «Io e oltre 200 avvocati iracheni e stranieri siamo pronti a difendere gratuitamente il nostro eroe Muntazer al-Zaidi, la nostra linea difensiva si basa sul principio che gli Stati Uniti occupano l’Irak e quindi – discetta il legale - ogni forma di resistenza è legittima, compreso il lancio delle scarpe». Mentre il legale lo spiega qualcuno già lo pratica. A Sadr City - cuore della comunità sciita di Bagdad - migliaia di fedeli del leader estremista Muqtada al Sadr bruciano le bandiere americane, pretendono la liberazione dell’eroe al Zaidi e si sgolano eccitati al ritmo del nuovo slogan di rivolta: «Bush, Bush ascolta bene due scarpe in testa ti son volate».
Sui marciapiedi della città santa sciita di Najaf la gente fa la fila per bersagliare con sandali e mocassini bucati i blindati americani. A dar retta ad Al Bagdadia, l’emittente per cui lavora Muntazar, il gesto del giornalista e dei suoi emuli esprime la voglia di democrazia e libertà promesse agli iracheni e non meritano né condanne, né sanzioni. «Il gesto del nostro Muntazar sarà la prova del nove, la sua detenzione o la sua ingiustificata detenzione - spiega il portavoce dell’emittente Abdul Hamid al Salae - ci faranno capire l’attitudine del governo e dei suoi alleati americani».
Gian Micalessin

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Londra, il consulente per il terrorismo era di Al Qaida

>>Da: andreavisconti
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Bufera sulla polizia: aveva assunto un tunisino ricercato dall’Interpol che deve scontare 56 anni di carcere
Un consulente assoldato da Scotland Yard, contro la penetrazione di Al Qaida nel Regno Unito, è ricercato per terrorismo dal suo paese di origine, la Tunisia. Una storia imbarazzante per la leggendaria polizia inglese rivelata ieri sulle colonne del Times di Londra. Mohamed Ali Harrath vive in Inghilterra da tempo ed è stato nominato consulente della Muslim contact unit di Londra. L’unità della polizia metropolitana lo interpella «regolarmente sul metodo migliore per contrastare il terrorismo e combattere l’estremismo» ha spiegato al Times lo stesso Harrath.
Peccato che il consulente di Scotland Yard sia ricercato dall’Interpol con il livello più alto di allerta, quello «rosso». Dal 1992 viene considerato un sospetto terrorista e dovrebbe venire arrestato ed estradato. Tutto nasce dal Fronte islamico tunisino sospettato di essere il braccio armato di En Nadha, un movimento messo fuori legge. Il leader è Rashid al-Ghannushi, rifugiato a Londra e condannato all’ergastolo a Tunisi. Il consulente ammette di essere uno dei fondatori del Fronte islamico, ma giura che si tratta solo di un movimento non violento «che dall’86 si oppone al partito unico al potere in Tunisia».
In patria Harrath è stato condannato in contumacia ad un totale di 56 anni di carcere per vari reati legati al terrorismo. Secondo l’accusa il Fronte «voleva instaurare uno stato islamico con l’arma della violenza rivoluzionaria». E fatto ancora più grave Harrath ed i suoi avrebbero cercato l’appoggio di Osama Bin Laden. Il ricercato giura di «non essere un terrorista». Poi, però, aggiunge che «rivoluzione non è (necessariamente) una brutta parola».
Harrath è pure il responsabile di un canale televisivo islamico, che punta a presentare il volto umano del mondo musulmano. Londra si è sempre rifiutata di concedere l’estradizione del ricercato alla Tunisia. Il Times ha però scoperto che nel 2003 un testimone dell’MI5, il servizio di controspionaggio inglese, accusava il Fronte islamico tunisino di attività terroristiche in Francia. Harrath ha ancora una volta respinto le accuse: «Non c’è nulla di criminale nel tentare di fondare uno stato islamico». L’intelligence americana è invece convinta che il Fronte tunisino sia stato in combutta con i terroristi algerini legati ad Al Qaida dividendo campi i addestramento e cellule in Europa. Harrath, per ora, continua a fare il consulente di Scotland Yard. Anche se nel governo inglese cresce l’imbarazzo.
Fausto Biloslavo

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Scajola rilancia i valori etici

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

È l'uomo dell'energia. L'uomo che vuole riaprire il dossier nucleare in Italia, che vuole togliere l'Italia dalla dipendenza estera, l'uomo che governa Eni ed Enel.

Ora però Claudio Scajola ha deciso di imporre una svolta, di dare un'nima al suo dicastero. Da settimane (qualcuno dice troppe), silenziosamente, studia un'intervento pubblico per rilanciare i valori etici. La morale nella politica. E soprattutto nella tv, visto che nel suo dicastero c'è anche quello di occuparsi delle Comunicazioni. Sarà per questo che non ha ancora dato le deleghe a Paolo Romani. E questo la dice lunga sul suo carattere e spiega il soprannome che dentro il governo gli hanno affibbiato: Re Sole, sul cui regno non tramonta mai il sole. Un regno, quello di Scajola che dallo Sviluppo Economico si estende al Commercio Estero e alle Comunicazioni appunto.

Nel cassetto dei suoi sogni ci sarebbe di mettere sul mercato il 40% di Rai Way per valorizzare gli impianti della Tv pubblica e liberare risorse ma anche di incidere nella definizione del nuovo volto della Rai. Cioè meno tv spazzatura e più programmi di approfondimento giornalistico non orientati politicamente. Non avrebbe in tasca «uomini suoi» da mettere nei posti strategici ma c'è da scommerci che quando si tratterà di decidere il numero uno della Rai ligure, vorrà dire la sua.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione
E uno di quelli infatti che non attende gli eventi. Quando il Tg sciorinava l'ultima proiezione elettorale lui aveva già deciso che sarebbe andato al ministero delle Attività Produttive, o meglio, come volle che fosse chiamato in una sorta di continuità con il predecessore Bersani, dello Sviluppo Economico. Sì, perché Scajola fu in grado di imporre a Berlusconi che restasse quel nome al suo ministero. Nome che non piaceva a Tremonti, lo considerava troppo vicino ai suoi confini. Sottigliezze linguistiche, che in politica però fanno la differenza.
Scajola quindi la sua bandierina sullo scacchiere del governo l'aveva già ben piantata all'indomani del risultato elettorale a dispetto di chi, a cominciare da Berlusconi, lo avrebbe voluto al Viminale.

D'altronde per chi è abituato a passare le vacanze estive in mongolfiera o a partecipare a un rally di auto d'epoca, le sfide sono il sale della vita e gli obiettivi qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente come quell'edera che si abbarbica sui muri di pietra lungo le strade della sua natìa Imperia. Nella squadra di Berlusconi non raccoglie molte simpatie per via del carattere un po' spigoloso e quando si trattò di formare il governo, alcuni «grandi vecchi» di Forza Italia come Marcello Pera e Giuseppe Pisanu non nascosero il disappunto per essere stati messi nell'angolo mentre Scajola, no, ancora in prima fila. Ma come, fu la lagnanza con Berlusconi, se proprio volevi fare una squadra di giovani, tenere dentro Scajola e noi via? Ma lui dritto. Ci fu anche una vivace telefonata con il Cavaliere nella quale il ligure gli disse senza tanti giri di parole che agli Interni non ci sarebbe tornato. Non solo. Che il Commercio estero doveva restare sotto la sua «ala» e non andare altrove o vivere di vita propria, come pure quella roccaforte strategica che sono le Comunicazioni. Urso e Romani hanno dovuto adeguarsi.

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Con Tremonti, abbiamo detto, c'è la freddezza di due prime donne, con Berlusconi un rispetto che non è mai sbrodolato nella piaggeria. Il presidente mai ha dimenticato che Scajola è stato il primo a credere nel progetto del Pdl.

Quando Berlusconi si issò sul predellino per annunciare il nuovo progetto e soprattutto che avrebbe messo in pensione la vecchia squadra, mentre dentro Forza Italia tutti aprirono l'ombrello in attesa della tempesta, Scajola capì che al vento della novità bisognava spiegare le vele. Con l'esperienza dell'ex Dc intuì che Berlusconi sarebbe andato avanti, comunque e contro tutti. Così in una movimentata riunione a Palazzo Marini mentre i quadri di Forza Italia sfilavano con il volto tetro, lui sfoderava sorrisi e dichiarazioni ben auguranti. Ciò non gli impedì però di nutrire un certo fastidio per l'avventura della Brambilla e per quelle voci, alimentate a arte dallo stesso Berlusconi, di una crescita di ruolo della rossa finanche a prospettarla come successore alla guida del nuovo partito. Ma è stato come un lampo. Anche qui ha fiutato che Silvio aveva altro in mente. Ed eccolo quindi a Gubbio, al consueto appuntamento con la Scuola di formazione di Forza Italia, sfoderare parole di elogio per Michela Vittoria.

Al ministero ha inaugurato uno stile nuovo, uno spirito di maggiore collaborazione. Un episodio fa da esempio. L'occasione è quella della firma del contratto di programma tra il Dicastero e il consorzio turistico siciliano Scarl. È il 17 settembre 2008. Ore 11.30, Salone degli Arazzi a via Veneto. Ci sono circa venticinque persone. La maggior parte è gente di provincia che ha poco a che fare con il Palazzo. Nel suo intervento Scajola parla più da amico che da ministro. Dispensa consigli: assicuratevi che le camere siano confortevoli come la camera da letto di casa vostra, mettete un vaso di fiori e nel ristorante create un angolo in cui si possa cenare al lume di candela. Si lancia pure in un ricordo personale, di quando da giovane per fare economia, portava la famiglia in vacanza in Trentino, in piccolissime strutture e, non avete idea, dice quasi commosso, quanto apprezzassi il portaombrelli all'ingresso; uno quel coso non sa mai dove poggiarlo.

Laura Della Pasqua

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Napoli, in arrivo gli arresti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

L'inchiesta sull'appalto Global Service, che secondo le molte indiscrezioni trapelate nelle ultime settimane dovrebbe produrre effetti tellurici sul mondo politico locale, è alle battute finali.

In città in queste ore si inseguono con insistenza le voci su una ormai imminente esecuzione dei provvedimenti cautelari sui quali il gip di Napoli sta lavorando da luglio scorso.


Si parla di ordinanze cautelari ai domiciliari e di misure interdittive, e si avanzano anche le ipotesi di misure più severe come gli arresti in carcere, che avrebbero come destinatari esponenti dell'amministrazione comunale, della burocrazia e dell'imprenditoria per le presunte irregolarità nell'appalto per il Global Sevice, un mega affare da quattrocento milioni di euro, approvato dalla giunta e dal consiglio comunale e mai varato per la mancanza dei fondi.


Nonostante ciò, i pm della Direzione distrettuale antimafia avrebbero individuato comunque una serie di illeciti che vanno dalla turbativa d'asta all'abuso di ufficio in quanto le iniziative adottate dagli indagati avrebbero avuto come scopo principale quello di favorire l'assegnazione alla Romeo immobiliare per il quale la gara di appalto non sarebbe stata altro che un abito costruito su misura. Il sistema dei subappalti a ditte «amiche» sarebbe dovuto poi venire incontro alle richieste avanzate dai politici.

L'inchiesta è affidata alla Dda in seguito a una intercettazione telefonica nell'ambito di un diverso procedimento in cui erano coinvolti anche esponenti della camorra. Una indagine caratterizzata da ripetute e allarmanti fughe di notizie, circolate a quanto pare soprattutto in ambienti politici. A tale proposito si è ipotizzato che l'ex assessore comunale Giorgio Nugnes potrebbe aver deciso di suicidarsi dopo aver appreso del proprio coinvolgimento nella vicenda, circostanza che avrebbe aggravato lo stato di prostrazione scaturito dall'arresto nell'ambito dell'inchiesta sugli incidenti di Pianura.

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Mercato auto in Europa: calo del 25,8 per cento

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Il calo più vistoso, un crollo vero e proprio, si è registrato in Spagna e in Romania: a novembre, si è venduta la metà delle automobili rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. In tutta Europa la diminuzione è stata del 25,8 per cento, dieci punti percentuali in più di ottobre, a indicare una tendenza che fa rabbrividire i costruttori. I 27 paesi della UE sommati a quelli dell’Efta hanno fatto registrare in un mese vendite inferiori al milione di unità, 932.537 per la precisione. Sono sette mesi che i raffronti rimangono negativi. I dati italiani si discostano da quelli europei, ma in senso ancor più peggiorativo: flessione del 29,5 per cento (138.352 unità) dopo la flessione del 18,9 di ottobre. Nei primi undici mesi del 2008 le immatricolazioni di auto nuove in Europa sono state 13.788.256 (-7,1 rispetto allo stesso periodo del 2007). Curiosi i dati che riguardano invece la Finlandia. Le vendite sono aumentate del 71,8 per cento. Risultati positivi anche in Polonia (+10,7) e nella Repubblica Ceca (più due per cento). Per Fiat, in Europa, il calo è del 24,9 per cento, 55.873 unità (-1,7 nei primi undici mesi a 847.102 unità) e una quota di mercato che passa dal 6,4 al 6,5 per cento (dal 6,3 al 6,7 per cento nei primi undici mesi). Il marchio Lancia registra una flessione del 18,5 a 7.366 unità (-7,6 nei primi undici mesi a 106.171 unità) e una quota di mercato che passa dallo 0,8 allo 0,9. Ancora peggio Alfa Romeo con un calo pari al 30,5 per cento a 7.459 unità (-29,5 nei primi undici mesi a 93.621 unità) e una quota di mercato stabile allo 0,9 per cento.

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Baghdad, la pace dopo le scarpate

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Giorgio Bastiani


Tutto quel che si ricorderà della controversa visita di George W. Bush in Iraq e in Afghanistan saranno le scarpe volanti del giornalista iracheno Montasser Al Saidi, indirizzate al presidente uscente e prontamente schivate. Quel filmato, che ha già fatto il giro del mondo, verrà incluso nel già nutrito album delle scene ridicole che riguardano presidente più odiato d’America. Tuttavia, la visita di addio di Bush alle sue truppe sui due fronti principali della guerra al terrorismo, è destinata a passare alla storia per un altro motivo: la fine della guerra in Iraq e il passaggio del testimone alle truppe che ancora combattono (e combatteranno ancora a lungo) in Afghanistan. In Iraq la violenza politica non è sfociata in una guerra civile e in questo periodo si sta drasticamente riducendo. Con un normale dibattito democratico (caso pressoché unico in un Paese arabo), il Parlamento di Baghdad ha votato a maggioranza assoluta il patto con Washington, che prevede una graduale uscita delle truppe statunitensi in tre anni. Solo 30 deputati sciiti fedeli all’estremista filo-iraniano Al Sadr hanno votato contro il piano, tutti gli altri, islamici sunniti compresi, si sono espressi a favore. Nonostante i toni duri del dibattito, quest’ultimo non è sfociato in scontri armati. E il Consiglio della Presidenza ha firmato il patto con gli Stati Uniti, dandogli valore legale, documento che poi è stato siglato da Bush e Al Maliki dopo la conferenza stampa delle “scarpate”.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

I sunniti hanno chiesto e ottenuto la scarcerazione dei prigionieri sospetti di (ma non condannati per) terrorismo e la fine del processo di de-baatificazione, volto a smantellare l’ex partito unico al potere sotto Saddam Hussein. Un’altra legge votata dal Parlamento spiana la strada alle elezioni locali, previste per gennaio, nella maggioranza delle province. Cosa che può porre termine alle lotte (armate) per il controllo del potere locale. Inoltre sarà la Corte Costituzionale e non la guerra a decidere la distribuzione dei proventi del petrolio, come ha suggerito negli ultimi giorni il presidente Talabani. “Missione compiuta”? Se l’affermazione poteva sembrare troppo affrettata nel 2003 (quando fu erroneamente attribuita a Bush), nell’Iraq di oggi verrebbe proprio da ripeterla. Se non lo si fa è solo per scaramanzia. E perché, come in tutte le situazioni belliche e post-belliche, l’inferno è sempre dietro l’angolo. In Afghanistan, invece, la guerra contro Al Qaeda e i Talebani è ancora lunga. Lo ha ribadito ieri Bush nel corso della sua visita a Kabul. Ricordando anche che oggi le condizioni di vita in Afghanistan siano “molto migliori di quanto non lo fossero nel 2001, indiscutibilmente, senza dubbi, migliori”. Meglio, insomma, di quando i Talebani erano al potere e proibivano, tra le altre cose, la musica, il cinema, la possibilità di viaggiare e tutti i diritti delle donne.


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Il bilancio positivo della presidenza francese dell’Ue

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Fiorenzo Grollino


La presidenza francese dell’UE partita in salita il 1° luglio 2008 con il no irlandese alla ratifica del Trattato di Lisbona, si conclude in modo esaltante con il Consiglio europeo dell’11-12 dicembre con un en plein di Nicolas Sarkozy grazie al triplice accordo ottenuto all’unanimità tra i 27 leader dell’Unione. L’agenda della presidenza francese era tale da far tremare, come si dice, le vene ed i polsi, perché al primo punto c’era la lotta contro il riscaldamento climatico che minaccia il nostro pianeta. L’accordo raggiunto si può considerare storico, anche se si tratta di un compromesso, ma un modello di compromesso, se si considera il momento in cui è stato realizzato, e cioè in presenza della crisi finanziaria che attanaglia l’Unione e che è sfociata in una recessione, e dei costi per la riduzione del 20% del gas a effetto serra in rapporto al livello nel 1990. Altro elemento per il quale si è reso necessario il compromesso è che bisogna aiutare i Paesi dell’Est europeo, la cui economia è ancora basata in massima parte sul carbone. Altro elemento ancora erano le concessioni da fare a Germania e Italia, per evitare che il loro settore manifatturiero fosse messo in una situazione di reale difficoltà. Così i 27 Paesi hanno serrato le fila per essere di esempio nella lotta contro il riscaldamento del pianeta e conseguire il triplice obiettivo di: ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% nell’industria grazie al meccanismo di offerta delle quote di emissione; consumare il 20% di energia rinnovabile, e risparmiare il 20% di energia da qui al 2020.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Per questo accordo il presidente Sarkozy ha manifestato il proprio orgoglio di francese, dichiarando che “nessun continente si è dato regole tanto rigide” ed il presidente della Commissione Barroso ha invitato il prossimo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a mantenere le sue promesse elettorali per “seguire l’esempio” del vecchio continente. Per domani è prevista l’approvazione del compromesso da parte dell’Europarlamento, in cui i “Verdi” criticano l’accordo perché minimale, mentre conservatori e socialisti apprezzano “l’equilibrio” trovato tra protezione dell’ambiente e difesa degli impieghi. Il premier Silvio Berlusconi non ha mancato di manifestare la propria soddisfazione, perché l’Italia ha ottenuto le concessioni di cui aveva bisogno, guadagnandosi il pubblico ringraziamento della presidenza francese. Il secondo accordo riguarda il piano Barroso di rilancio dell’economia europea, una manovra collettiva da 200 miliardi di euro, però ogni Paese resta libero di adottare le misure che vorrà, senza un meccanismo che ne garantisca il reale impiego di questo importo. Il terzo accordo riguarda la rimessa in marcia del Trattato di Lisbona. Tramontata l’ipotesi della sua entrata in vigore per la primavera 2009, e cioè prima delle elezioni europee, l’accordo prevede che l’Irlanda riproponga l’approvazione del Trattato nel mese di ottobre 2009. Il giudizio su questa presidenza è largamente positivo, perché ha saputo affrontare la grave crisi dell’invasione russa della Georgia in agosto, ha saputo gestire la tempesta finanziaria senza precedenti dal settembre ad ora, ed in dicembre ha raccolto un insperato successo con il triplice accordo. Possiamo dire che ormai, sotto la spinta del dinamico e versatile Nicolas Sarkozy, l’Europa è cresciuta, e sa concentrare le proprie forze sugli obiettivi che di volta in volta deve raggiungere.


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La Cina fa i conti con la crisi e guarda al risparmio interno

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

di Alessandra Mieli


Il Fondo Monetario Internazionale ha nuovamente rivisto al ribasso i numeri della crescita del prodotto interno lordo cinese a cui ora viene accreditato un aumento dell’ordine del 5% per il prossimo anno. Anche il consuntivo dello sviluppo industriale è più deludente di quello fatto registrare sin ora. Ma i cinesi potranno compensare almeno parzialmente gli effetti della crisi globale facendo appello alle risorse del risparmio interno che finora è scarsamente investito in attività di rischio dal momento che viene accantonato per le esigenze sanitarie e gli imprevisti in assenza pressoché totale di un sistema di welfare paragonabile a quello occidentale. Gli effetti della crisi si fanno sentire anche in Cina. Il raffreddamento brusco della crescita registrato ieri con riferimento alla produzione industriale ha spinto il Fondo Monetario Internazionale a tagliare le stime per l’anno prossimo al 5% A renderlo noto è stato lo stesso direttore del Fmi, Dominique Strauss-Kahn. “Abbiamo iniziato con la Cina a una crescita dell’11% - ha detto - poi dell’8%, poi del 7% e probabilmente ora la Cina crescerà del 5 o 6%. La possibilità di una recessione globale è reale ci è chiaro che occorre fare qualcosa”. A novembre il Fondo aveva già ridotto le stime di crescita del pil cinese nel 2009 all’8,5% dal 9,7% del 2008. La Cina sta risentendo fortemente della contrazione della domanda registrata sui principali suoi mercati di sbocco e proprio ieri ha riportato una crescita annua della produzione industriale del 5,4% in novembre, la performance più debole dal febbraio 2002. Ma questo quadro a fosche tinte non impedisce certo ai manager cinesi di tentare di guardare avanti nel tentativo di raddrizzare l’orientamento pessimistico che pervade non solo i mercati occidentali, ma ha fatto calare sensibilmente la fiducia anche in estremo oriente.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

“Prevediamo che la Cina possa uscire dall’attuale situazione critica della Borsa già nel secondo trimestre del 2009. Il forte rallentamento dell’economia a cui stiamo assistendo in questo momento è imputabile a due fattori: la crisi internazionale che indubbiamente frena le esportazioni ma anche gli effetti della forte stretta monetaria che da noi è durata fino a luglio. Ora il Governo e la Banca Centrale hanno invertito la rotta e sono convinto che gli effetti di questo cambiamento saranno rapidi e importanti”. Yang Gao chief financial officer e vicepresidente di Penghua Fund Management, una delle maggiori società cinesi di asset management partecipata al 49% da Eurizon (gruppo Intesa SanPaolo) è convinto che prima ancora del piano di investimenti annunciato dal Governo, sarà la svolta monetaria di Peoples Bank, con particolare riguardo alla riduzione dei tassi di riserva obbligatoria per gli istituti di credito, a far sentire i suoi effetti. “Quest’anno abbiamo assistito a un crollo delle quotazioni che ha dimezzato la capitalizzazione delle Borse in Cina e soprattutto ha fatto scendere i price earning ai livelli del 2005. E’ difficile prevedere se abbiamo raggiunto il fondo ma sono sicuramente attraenti per l’investitore che vuole entrare oggi sul mercato in un’ottica di medio termine. In particolare, per il risparmiatore cinese, tenuto conto del potenziale di rivalutazione, anche i rendimenti, attorno al 2,6 % come quelli attuali, sono attraenti rispetto alla remunerazione dei depositi (2,9%)”.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

L’industria dei fondi in Cina ha ancora immensi spazi di crescita tenuto conto delle dimensioni del serbatoio del risparmio del Paese: su circa 25 mila miliardi di yuan (3.650 miliardi di dollari) di asset finanziari in mano ai privati soltanto 2 mila miliardi sono investiti in strumenti di risparmio gestito. La quota preponderante è tuttora depositata nelle banche e le alternative di investimento non sono molte. La conseguenza è che, a differenza di quanto è avvenuto su altri mercati, in Cina non c’è stata la corsa ai riscatti: “Gli investitori magari se la prendono coi gestori ma poi la grande maggioranza è disposta ad attendere che il mercato riprenda”. E’ totalmente scomparso invece, almeno per il momento, l’interesse con cui i risparmiatori cinesi avevano accolto i primi fondi autorizzati a investire sui mercati esteri e che hanno subito un vistoso crollo nelle quotazioni, che in alcuni casi ha raggiunto livelli del 70%. Su quali comparti conviene puntare oggi in Cina? Il suggerimento di Penghua è di guardare ai prossimi passi del processo di riforma del Paese, con particolare riguardo alla sanità e quindi al settore farmaceutico (produzione ma anche distribuzione) dove è anche in atto un processo di consolidamento) con operazioni di fusione e acquisizioni. Per l’investitore straniero interessato a investire in Cina è importante anche distinguere, secondo Gao, tra le caratteristica del mercato di Hong Kong (H shares) e quelli di Shanghai e Shenzhen. “Hong Kong è sicuramente più conveniente, in termini di prezzi ma ha due limiti: la tipologia di aziende quotate, che sono in prevalenza big players nel settore bancario, della telefonia ed energetico e il fatto di non avere accesso diretto all’immenso serbatoio del risparmio cinese”. Le Borse cinesi, invece, non solo godono di questo beneficio ma consentono una selezione molto più ampia e diversificata all’interno dei diversi comparti dell’economia del Paese se si ha la capacità di affrontare il rischio.


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Anche il Giappone va verso crescita zero

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

di Sebastiano Dolci


La fiducia delle grandi imprese del Giappone crolla agli stessi livelli dello choc petrolifero degli anni Settanta: il Tankan, il rapporto trimestrale della Bank of Japan (BoJ), sintetizza un indicatore generale in picchiata dal -3 di settembre al -24 di dicembre, il più brusco calo da febbraio del 1975. E la BoJ, in uno scenario di aspettative imprenditoriali meno positivo da marzo del 2002, si prepara ad azzerare le stime di crescita del Paese, con la ipotizzabile prospettiva che possano diventare negative. Ancora più pesante il settore dell’auto rispetto al trend generale: la fiducia, passata in appena tre mesi da -5 a -41 punti, indica che il barometro dell’industria pende verso la gelata duratura per il tonfo delle esportazioni e della domanda a livello globale. Eppure, la Borsa di Tokyo ha chiuso gli scambi in forte rialzo (+5,21%), sulla fiducia per il salvataggio delle Big Three dell’auto Usa, Gm, Ford e Chrysler. Il governatore Masaaki Shirakawa, in un’intervista, ha ipotizzato che nell’anno fiscale 2009-2010 il prodotto interno lordo possa addirittura risultare negativo.

“Fino a poco tempo fa, il Giappone era relativamente indenne dalle turbolenze dei mercati finanziari internazionali, ma il quadro è cambiato dal fallimento di Lehman Brothers”, ha rilevato ancora. “Le esportazioni e la domanda interna sono calate e crediamo ora che questa situazione continuerà per diversi trimestri”, ha aggiunto al Financial Times, ammettendo che lo scenario è in rapido cambiamento al punto da spingere la BoJ a rivedere le previsioni di continuo. Da ultimo, la banca centrale aveva stimato una modesta ripresa dello +0,6% nel prossimo esercizio fiscale, ma già dal board monetario di giovedì e venerdì prossimi potrebbe emergere un’ulteriore revisione al ribasso, sempre più vicina allo zero. “E’ estremamente raro - ha osservato il governatore della Nichigin, l’istituto centrale nipponico - che tutti i fattori presentino elementi d’incertezza e gli elementi di rischio, che sono enormi. Alla fine di ottobre, abbiamo pensato che l’economica giapponese fosse nelle condizioni di migliorare gradualmente verso la metà del 2009, ma il contesto economico mondiale è cambiato in modo radicale”. La recessione è un fenomeno globale al quale il Giappone non può sfuggire, visto che ha già alle spalle due trimestri negativi. Di fronte a questa crisi, Shirakawa ha osservato che è necessario “mantenere la stabilità dei mercati finanziari”.


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Magistrati, la vita è bella

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

Lo scandalo dei “fuori ruolo” e quello degli incarichi extra giudiziari

di Dimitri Buffa


Nel decennio tra il 1993 e il 2003 il Csm accordò ai propri protetti della casta in toga qualcosa come 15 mila e rotti incarichi giudiziari. Cioè oltre mille l’anno. Nel 2004, finalmente, l’ex Casa delle libertà tramite il ministro guardasigilli dell’epoca, l’ottimo Roberto Castelli, si inventò una legge, che dopo varie traversie divenne effettiva nel 2006 e che avrebbe dovuto ridurre all’osso questo tipo di prebende. Purtroppo, però, subito dopo venne Mastella, e dopo un anno di governo del centro sinistra i privilegi furono ristabiliti e nessuno li ha tolti più. Risultato? Se si va sul sito del Csm , visto che almeno la pubblicità degli incarichi non se la sono potuta rimangiare, si scopre che solo quest’anno, nel periodo tra maggio e novembre, sono stati accordati oltre 620 di questi incarichi. Cui si aggiungono i 265 giudici distaccati fuori ruolo cui anno per anno il Csm riconferma la possibilità di fare il lavoro del magistrato, meglio di fare lobbying per la categoria, all’interno dei ministeri, di Palazzo Chigi, della Corte costituzionale (dove di fatto sono i fuori ruolo a preparare e in definitiva anche a orientare le decisioni dei giudici della Consulta con le ricerche giurisprudenziali da loro svolte), al Csm, al Dap, in via Arenula e così via. Insomma dappertutto tranne che nei palazzi di giustizia. Dove d’altronde ci pensano già i loro colleghi a fare il buono e il cattivo tempo.

Nel giorno in cui il Capo dello Stato spezza una lancia a favore della intangibilità della Costituzione per quel che riguarda la giustizia, e la cosa notoriamente non è vera perché la Costituzione tranne che negli articoli fondamentali, che sono i primi, può comunque essere cambiata, è bene ricordare quanti giudici vivono tuttora borderline con la Costituzione facendo un lavoro diverso da quello per cui sono diventati magistrati. E ponendosi spesso in conflitto di interessi con le proprie inchieste o con i propri giudizi. Quando non in una posizione di corruttibilità teorica. Qualche settimana orsono solo la pattuglia dei Radicali italiani guidata da Rita Bernardini ha fatto battaglia in aula perché venissero resi noti i compensi dei magistrati fuori ruolo e perché il governo prendesse una posizione in merito. E’ andata male. Però almeno sappiamo che il problema esiste e sappiamo anche alcuni dettagli che ci possono aiutare a inquadrarlo. Tra l’altro proprio in uno studio recente di Bankitalia sulla giustizia civile, a proposito degli incarichi extra giudiziari, si afferma che “essi sono la conseguenza della demotivazione dei magistrati alla meritocrazia”. E questo visto che la loro progressione in carriera e nello stipendio è pressoché automatica. Insomma i giudici, demotivati dall’egualitarismo sessantottino della legge Breganza (quella che, per usare le parole del Presidente della repubblica emerito Francesco Cossiga, permette a qualunque pretore di farsi fare i biglietti da visita “in fieri”, da usare 20 anni dopo, come primo presidente della Cassazione) adesso si rivolgono all’esterno della loro professione cercando nuovi stimoli o nelle carriere politiche oppure in questi incarichi. Dentro o fuori dal ruolo di magistrati.

L’Ucpi, Unione delle camere penali italiane, che nella persona dell’avvocato Bartolo Iacono, ha fatto una ricerca ad hoc sul problema, ci segnala che, ad esempio, “attualmente alla Corte Costituzionale s

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Intervista a DENIS VERDINI

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

Pdl, un partito per la modernità che vive di rete e nella rete
di Traiano Bertollini


Il primo week end di voto nei dieci mila gazebo allestiti in vista della nomina dei seimila delegati al congresso fondativo del Pdl ha portato circa due milioni di persone al voto. C’è chi esulta per questo risultato, tenendo conto che l’iniziativa verrà ripetuta il prossimo fine settimana, e chi è scettico sul suo effettivo significato. Che la si veda in un modo o nell’altro, resta il fatto che il centrodestra marcia speditamente verso la creazione vera e propria del Pdl e fra i tanti che più si sono spesi, con Silvio Berlusconi, per arrivare a questo traguardo un ruolo centrale spetta a Denis Verdini, coordinatore di Forza Italia, da sempre più attento a portare a casa i risultati, che a stare sotto le luci della ribalta. Non a caso si è fatto carico di compilare le liste elettorali delle passate elezioni. Un compito tanto ingrato quanto di responsabilità, nel quale l’importante era solo guardare al risultato finale.
Al pari di ora che il Pdl deve finalmente concludere il percorso per divenire il partito del centrodestra.

Onorevole come si può garantire che l’approdo al Pdl non rappresenterà un trauma per gli elettori di Forza Italia?
La dimostrazione sta nel voto del 13 aprile, nel quale si è registrata una grande espressione di popolo che ha determinato il successo del Pdl, confermandolo nel tempo, come testimoniano anche i recenti sondaggi. Non c’è nessuna perplessità riguardo al Pdl perchè realizzandolo diamo corpo alla volontà dei nostri elettori, che ci stanno chiedendo di intraprendere questo percorso.

Ritiene che anche in An ci sia la stessa certezza riguardo al nuovo soggetto politico?
L’elettore del Pdl oggi e della Casa delle Libertà ieri, fino ad oggi ha potuto scegliere tra An e Fi ed è stato comunque sempre accomunato dal desiderio di contrapporsi alla sinistra e nell’epopea di Berlusconi si è unito nella volontà di sospingere l’Italia verso quella modernità che ancora manca.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Quali sono i valori fondanti del Pdl che accomunano Fi ed An?
Questo è un tema che riguarda più che altro la classe dirigente chiamata a codificare i valori fondanti del partito, perchè in realtà le battaglie politiche che la gente ha combattuto con noi dal 1994 ad oggi ruotano sempre intorno a quel desiderio di modernità al quale mi riferivo prima e che ritengo un vero e proprio valore. Annullare il gap che divide l’Italia dalle altre grandi nazioni europee lo ritengo un valore sia per qanto concerne la crescita delle nostre istituzioni, sia in termini di infrastrutture, di funzionamento dello Stato e delle sue ramificazioni. Il desiderio di modernità ci accomuna tutti nel Pdl.

Silvio Berlusconi ha fatto riferimento in più riprese ad un nuovo miracolo italiano. Quale contributo politico potrà dare il Pdl alla realizzazione di questo processo virtuoso?
Per far sì che il miracolo si realizzi occorrono riforme ed una nuova lettura della politica, che sia in grado di contrapporsi, ad esempio, alla proposta prodiana basata sul “siamo sempre con un piede nel baratro”, trasmettendo ottimismo, consapevolezza nella capacità di risolvere i problemi. Le istituzioni devono essere veramente al servizio del cittadino e per ottenere questi risultati è essenziale che ci si dia delle priorità. Spazio quindi a proposte nelle quali si preveda la riduzione dei parlamentari, la divisione dei compiti tra le due Camere, l’eliminazione delle province, il contenimento delle comunità montane. Cominciamo con l’alleggerire lo Stato da sovrastrutture che non servono.

Si fa un gran parlare di scelte di questo tipo, ma poi nei fatti, da entrambi gli schieramenti arrivano richieste per l’istituzione di altre province. Questo esempio è valido anche in altri campi che dovrebbero essere oggetto di riforma.
C’è una contraddizione effettivamente, ma noi dobbiamo tenere conto delle istanze dei nostri elettori e fare le scelte necessarie a dare una nuova immagine al Paese. Londra è più grande di Firenze, Prato e Pistoia, ma tutte e tre sono province, ognuna con i propri apparati, la propria burocrazia. Bisogna uscire da questa logica della quale le province sono un esempio lampante.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Veniamo al prossimo congresso del Pdl. Quanto spazio ci sarà per la democrazia interna?
In questa domanda vedo un collegamento con quanto avvenuto nel Pd. Il Partito Democratico ha prima tentato di fare un partito, poi si è presentato agli elettori con il risultato che si è visto, mentre noi, dopo un grande successo elettorale, stiamo dando vita al partito. I cittadini ci hanno chiesto di governare in questo momento difficile e da questo ripartiamo.

Capisco, ma la bolzanina Biancofiore candidata in Campania alle passate elezioni, giusto per fare un esempio, non è che trasmetta un senso di rappresentatività effettiva. Dare maggior spazio agli elettori al momento delle scelte dei candidati?
L’uninominale sul modello anglosassone doveva esprimere il candidato che meglio rappresentava il territorio, poi ci siamo ritrovati con Di Pietro e Rizzo nel Mugello, Amato a Lucca, Craxi a Marsala, insomma i collegi non hanno adempiuto a questo compito e nelle liste regionali si è preferito dare attenzione alle personalità di valore nel partito, anche se ciò comporta uno spostamento. Ma questo non riguarda la democrazia interna, che invece è un discorso che tocca le classi dirigenti. I nostri elettori ci hanno già dato fiducia, ora è necessario che ad un grande leader che tira e ad un popolo che risponde, si aggiungano i gruppi parlamentari, i consiglieri regionali, i sindaci, gli eletti tutti, capaci di elaborare un ragionamento che, come dimostra lo statuto al quale stiamo lavorando, sia in grado di guardare al futuro liberandoci del vecchio concetto di partito. Internet, Facebook, i bloggers sono al vaglio affinché vengano inseriti statutariamente, per dare vita ad un partito degli elettori. I gazebo sono un altro strumento per avvicinare la gente, come dimostrato dal successo che ebbero nel 2007. Bisogna dare vita a sezioni virtuali perché ora il tempo è sempre meno, la vita di sezione è ormai impossibile ed è necessario permettere ai cittadini di partecipare quando ne hanno voglia e modo. Questo sarà il più grande atto di democrazia: avvicinare gli elettori non solo al momento del voto, ma in ogni momento di attività del partito. Non credo nelle primarie così come concepite e ad esempio realizzate dal Pd, perchè o le si fa come negli Usa oppure non funzionano. Sono innamorato di un partito per la rete, nella rete, della rete, dove la gente veramente possa esprimersi liberamente, su quesiti ed argomenti che di volta in volta si propongono. Questo è il futuro e lo dimostra la vittoria di Obama, che ha addirittura accreditato i bloggers alla sua convention, ha usato internet per diffondere il suo messaggio e il risultato non mi sembra malvagio.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 4 della discussione

Detto della novità del Pdl, accennato ai problemi del Pd, pensa che l’Italia sia veramente pronta al bipartitismo?
Direi proprio di sì. Se lo chiede alle classi dirigenti le risponderanno di no, ma la realtà è quella apparsa il 13 aprile, quando il 70% degli italiani ha votato per Pd e Pdl e l’85% per le due minicoalizioni, che accoglievano rispettivamente Lega e Idv. Il bipartitismo tiene insieme nell’interesse del Paese, liberandoci dagli interessi particolari dei piccoli partiti.

I distinguo di Mastella.
Esatto. Più spazio ai valori comuni e meno ai distinguo.

Veniamo a Gianfranco Fini. Una volta terminati i suoi compiti istituzionali che futuro lo aspetta?
Il dato certo è la leadership berlusconiana e da questo si parte. In futuro Fini proprio per la sua indiscutibile personalità rappresenterà per tutto il Pdl una grande risorsa.

Insomma non riesco a farle dire se sarà Fini il nuovo Berlusconi.
Con una leadership attuale così forte sarebbe un errore fare il nome di Fini, Tremonti od altri. Prima dobbiamo darci una struttura di partito in grado di creare i presupposti per arrivare a questo passo. E’ evidente che Fini nell’immaginario sia il numero due del Pdl, ma allo stesso tempo mi sembra spiacevole dire di chiunque che è il vice. Diamo tempo al tempo.

L’abbraccio tra An e Fi quanto spazio lascia agli altri piccoli partiti nel Pdl?
Fin dal momento costitutivo del Pdl si è pensato a garantire il giusto spazio ai socialisti, ai repubblicani, alla nuova democrazia cristiana. Lo spazio nel Pdl c’è perché chi si accontentasse di avere il 38% alle elezioni, il 42% nei sondaggi sbaglierebbe. Il 50 più uno è l’approdo in un’ottica veramente bipartitica.

Una chiosa sulla sua Firenze. Che idea si è fatto?
A parte la questione giudiziaria che non mi interessa, la lettura delle intercettazioni mi dà il senso di come si è amministrata la città. Per dirla come si dice dalle mie parti sono un branco di cialtroni, senza riguardo per l’interesse pubblico, ma solo per sé stessi e per i propri amici, sbattendosene allegramente di quanto in realtà serve ai fiorentini. Mi auguro che i fiorentini sappiano ribellarsi e rimettere la città in corsa verso il futuro, così come le compete.


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Arrosticino d’Abruzzo

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

di Francesco Blasilli


Crolla l’affluenza, questo è assolutamente vero, ma crolla anche il centrosinistra. Era una cosa prevedibile, ed i sondaggi stavolta avevano visto giusto, ma la vittoria di Chiodi fa lo stesso rumore. Il rumore del chiodo, e del martello che lo infila sulla bara del povero Pd. Carlo Costantini si attesta intorno al 42% ed è ben distante dal rivale del PdL che arriva a cavallo del 50%. Era prevedibile, diranno. Ma non è che se una sconfitta è prevista, fa meno danni. Così come non bisogna meravigliarsi che l’affluenza sia calata, passando dal 68,58 del 2005 al 52,99% di ieri: c’è una disaffezione generalizzata verso la politica, figuriamoci in una regione dove si vota perché l’ex presidente è finito in carcere. Fatto sta che se è vero che “la metà degli abruzzesi non è andata a votare”, come sottolinea Di Pietro, è altrettanto vero l’altra metà alle urne ci si è recata, nonostante quel maltempo che secondo alcuni potrebbe essere una delle concause dell’astensionismo. E la metà che si è recata alle urne ha chiaramente detto di preferire il PdL, senza considerare che generalmente la scarsa affluenza ai seggi danneggia il centrodestra. Il dato più significativo, però, non è la vittoria di Chiodi, bensì la diatriba interna ad un centrosinistra che rispetto al 58,1% preso da Del Turco tre anni e mezzo fa è letteralmente sprofondato: superata a fatica la soglia del 40%. Il grande sconfitto, però, è Veltroni, perché solo pochi mesi fa, alle politiche, in Abruzzo il Pd aveva preso un confortante 33,5 e Di Pietro un lusinghiero 7%. Adesso il segretario del Pd è affogato, con la sua testolina che ha fatica emerge oltre un 20% che non gli assicura ossigeno per molto tempo, mentre l’ex Pd è esondato raddoppiando i suoi voti. E poco conta il fatto che in Abruzzo la “questione morale” è stata più presente che in altri posti, così come che Costantini sia un esponente dell’Idv. Quello che conta è lo schiaffo in faccia ricevuto dal povero Walter.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

E nonostante D’Alema provi a difendere il suo segretario usando la “foglia di fico dell’astensionismo”, come dice l’azzurro Quagliarello, la resa dei conti è ormai vicina. Il 20% è decisamente troppo poco: il Pd da solo, non fa neanche la metà dei voti della coalizione. Una cosa impensabile ai tempi del Pci. Certo è, che per uscire dalla crisi servirebbero anche dirigenti più “lucidi”. Prendete Fioroni che dichiara che “l’unico rammarico è che se ci fosse stato l’accordo con l’Udc avremmo vinto”. Ci perdoni il simpatico democristiano, ma la matematica non deve essere il suo forte. Il PdL ha vinto con circa otto punti percentuali di scarto, mentre l’Udc si è difeso con il suo 5% (e Casini ha approfittato della forte astensione per sottolineare che “se il bipartitismo che si vuole costruire in Italia fosse una cosa che soddisfa gli elettori non ci sarebbe più della metà dei cittadini abruzzesi che non si sono recati alle urne”). E poi, per quale motivo Casini dovrebbe andare a sinistra? Perché a Trento è andata così? Ma non scherziamo, quella era una situazione del tutto particolare, dettata dall’unicità di Dellai. La verità, su cui la sinistra non dovrebbe scherzare, è che anche a livello locale, la struttura traballa. Così come traballa l’alleanza con l’Italia dei Valori. Sentite Nicola Latorre: “Durante prossima direzione nazionale dare inizio a riflessione collettiva. A me non preoccupa la crescita di Di Pietro, preoccupa il calo del Pd. Ragioniamo sul fatto che Di Pietro stia erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari”.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

Intanto a destra si godono la vittoria, perché “in Abruzzo – spiega Gasparri . governava la sinistra, ma ha dovuto lasciare la guida della regione travolta dalla questione morale. Ora gli elettori stanno presentando il conto a Veltroni e alleati con una cocente sconfitta che si delinea chiaramente con la netta affermazione del centrodestra e del Pd. E’ chiaro allora come la sinistra debba prendere atto ”del suo ennesimo fallimento politico e morale“. E non manca nemmeno chi, come Giovanardi, si toglie qualche sassolino dalle scarpe sottolineando come ”l’Udc non conta nulla“ visto che ”nel momento in cui, nel bipolarismo, si confrontano Pdl da una parte e sinistra dall’altra, Casini e l’Udc fanno fatica ad arrivare al 5%. Questo vuol dire che chi votava Udc ci ha seguito“. Più che la guerra tra democristiani, però, interessa ribadire quello che succede dall’altra parte, fotografato ottimamente – guarda caso- da un altro democristiano: Marco Follini. ”Il voto abruzzese dal mio punto di vista – dice - contiene due moniti. Il primo è l’impressionante trionfo delle astensioni. Il secondo è il costo politico dell’alleanza con Di Pietro. Sono due moniti sui quali come Pd dovremo riflettere molto attentamente“. Quasi le stesse parole del dalemiano Latorre. Veltroni è sempre più solo, e nella terra dove il PdL si è fatto lupo (marsicano) e il Pd è diventato pecora, se non addirittura docile agnellino, al segretario del Pd non rimane altro che consolarsi con una bella mangiata di arrosticini d’Abruzzo.


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Le alleanze del Pd - Perseverare è demenziale

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

di Arturo Diaconale


La tesi a cui i dirigenti del Pd di fede veltroniana si sono immediatamente aggrappati è che le elezioni in Abruzzo non hanno alcun valore politico nazionale. Intanto, sostengono i frequentatori del loft dei democrats, il test riguardava appena un milione e mezzo di elettori. E di questo milione e mezzo solo poco più della metà sono andati a votare. Inoltre le condizioni politiche della regione erano state stravolte dalla vicenda di Ottaviano Del Turco e non potevano non produrre un risultato che va considerato, proprio a causa di questa premessa, particolare, irripetibile e privo di indicazioni sul quadro politico nazionale. Sarà! Ma la tesi non convince affatto. Perché mai le recenti elezioni regionali in Trentino hanno stabilito che è girato il vento elettorale delle politiche e quelle abruzzesi sono destinate ad essere prive di significato? Forse perché in Trentino ha vinto il centro sinistra? E quando a spuntarla è lo schieramento progressista cambia la storia mentre se, come è accaduto in Abruzzo, a vincere è il centro destra la vicenda va derubricata come semplice fatto di cronaca ininfluente? In realtà il primo e più evidente significato del voto abruzzese è proprio la controtendenza rispetto al voto trentino. Chi ricorda i voti amministrativi che si succedettero dopo la vittoria del centro destra del 2001 sa che dalle provinciali di Roma fino a tutte le altre tornate regionali, la successione dei risultati testimoniò la crescita costante del consenso del centro sinistra uscito sconfitto dalle politiche ed il conseguente calo progressivo del centro destra che pure governava il paese. Il voto in Trentino sembrava indicare che il fenomeno seguito al 2001 si sarebbe ripetuto dopo il 2008.


>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

E la sinistra avrebbe potuto sperare di recuperare a livello locale ciò che aveva perso a livello politico nazionale. Invece il voto abruzzese contraddice quello trentino. Ed indica che difficilmente si ripeterà l’esperienza del passato. Anzi, che molto probabilmente, anche alla luce della crisi del Pd in Campania, in Toscana, in Calabria ed in Piemonte, il fenomeno avviato a L’Aquila, a Pescara, a Chieti, a Teramo è esattamente contrario a quello del passato e lascia prevedere una progressiva conquista del potere locale da parte della coalizione che ha già in mano il governo nazionale. Il secondo dato, che non può rimanere senza conseguenze a livello politico centrale, riguarda il fatto inequivocabile che in Abruzzo il centro destra riesce ad acquisire la quasi totalità dell’elettorato di centro che prima si rivolgeva all’Udc ed al Pd, mentre il centro sinistra perde quasi completamente la sua componente centrista e si riduce ad essere solo ed esclusivamente sinistra. Quali le ragioni di questa indicazione che già si era manifestata con chiarezza alle ultime politiche? Probabilmente molte. Ma la principale è sicuramente l’ennesima riprova che l’alleanza tra il Pd e l’Italia dei Valori ha effetti fallimentari sul partito guidato da Walter Veltroni a tutto vantaggio di Antonio Di Pietro. L’alleanza, in altri termini, radicalizza eccessivamente il Pd, lo snatura e lo trasforma in una sorta di passivo reparto di sussistenza dell’Italia dei Valori. Tonino ringrazia. Ma il più contento di tutti è il Cavaliere. Che si ritrova con una opposizione annichilita e capace di fare solo autogol. Chissà, se con simili presupposti, la direzione del Pd del 19 sarà così tranquilla come sembravano aver concordato Veltroni e D’Alema! Errare è umano. Ma anche nel Pd qualcuno si dovrà presto o tardi rendere conto che perseverare non è solo diabolico ma, alle volte, anche demenziale!


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L'Abruzzo sceglie Chiodi, il Pd affonda sempre di più

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

di Fabrizia B. Maggi

I risultati ci sono e sono ufficiali: Gianni Chiodi - candidato del Popolo della libertà alle elezioni regionali che si sono tenute in Abruzzo - ha vinto con il 48% il suo rivale principale Carlo Costantini, (centro-sinistra) rimasto al 42%.

Gli altri candidati sono rimasti molto più indietro: Rodolfo De Laurentiis (Udc-Udeur) al 5,61%; Teodoro Buontempo (La Destra) all'1,76%; Ilaria Del Biondo (Partito Comunista Lavoratori) allo 0,37%; Angelo Di Prospero (Per il bene comune) allo 0,22%.

Confermato anche l'elevato tasso di astensionismo: alle urne si è recato il 52,98% degli aventi diritto. In altre parole, ha votato solo un elettore su due. Un dato significativo se si tiene conto che nelle precedenti elezioni regionali del 2005, aveva votato il 68,58%. Voto dal quale venne eletto come presidente l'europarlamentare Ottaviano Del Turco che ebbe di gran lunga la meglio su Giovanni Pace (An), presidente uscente. Ma la bufera sulle presunte tangenti nella sanità ha travolto poi la giunta regionale, portando alle nuove elezioni e alla vittoria del centrodestra.

Già nel tardo pomeriggio il Pdl aveva iniziato a festeggiare e ad assaporare la vittoria in vista dei sondaggi che vedevano Chiodi in forte vantaggio. Per il premier, Silvio Berlusconi, il risultato "è la conseguenza di chi ha regalato le chiavi del partito nelle mani di Di Pietro. Le urne hanno dimostrato che il Partito democratico è ridotto ai minimi termini, guidato ormai dall'Italia dei Valori, mentre la vittoria che si sta prefigurando rappresenta l'affermazione del buon governo".

In effetti, più che la vittoria del Pdl, l'elezione in Abruzzo ha sancito la sconfitta del Pd. Se da un lato Walter Veltroni si nasconde dietro l'elevato astensionismo, affermando che questo dato "significa che c'è malessere, stanchezza e critica anche nei nostri confronti e dobbiamo fare di più sulla questione etica"; dall'altro Di Pietro ne approfitta per pungere Veltroni: "Noi dell'Italia dei Valori abbiamo rilanciato la questione morale senza la quale i cittadini vedono che nulla cambia: in Abruzzo abbiamo quintuplicato il nostro risultato", spiega Di Pietro aggiungendo che "i partiti che non sono né carne né pesce che fanno riunioni, che dicono "ma anche" e che non si decidono, vengono puniti".

Nel Pd iniziano le autocritiche e le riflessioni sui risultati dell'alleanza con l'Idv. Per Giuseppe Fioroni, "l'unico rammarico è che se ci fosse stato l'accordo con l'Udc avremmo vinto". Una questione su cui si sofferma anche Marco Follini, secondo il quale il voto abruzzese "contiene due moniti. Il primo è l'impressionante trionfo delle astensioni. Il secondo è il costo politico dell'alleanza con Di Pietro. Sono due moniti sui quali come Pd dovremo riflettere molto attentamente".

"Durante la prossima direzione nazionale bisogna dare inizio a una riflessione collettiva. A me non preoccupa la crescita di Di Pietro, preoccupa il calo del Pd. Ragioniamo sul fatto che Di Pietro stia erodendo elettorato più a noi che ai nostri avversari" ha poi dichiarato Nicola Latorre. Duro anche Arturo Parisi: "Spero veramente che Veltroni rinsavisca, che legga finalmente il filo che lega i messaggi ripetuti che ci vengono dagli elettori a partire dal voto di aprile".

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L'economia tedesca è in affanno e la Merkel rischia di strozzarla

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

di Giovanni Boggero

La crisi economica che ha gravemente colpito la Repubblica federale dopo due anni di modesta crescita allarma per una serie molto vasta di ragioni. Ci limitiamo a riportarne alcune. Innanzitutto, a un anno dalla scadenza della legislatura, il governo di Grosse Koalition tra CDU/CSU ed SPD pare arrovellarsi in futili e meschine diatribe interne, che poco hanno a che vedere con il benessere e la prosperità della Germania. Querulo e litigioso, l’esecutivo manca dell’incisività necessaria per imprimere la svolta di cui un paese morso dalla recessione avrebbe bisogno. I pochi obiettivi centrati sono quasi sempre il prodotto di compromessi bislacchi e inefficaci, mini-riforme partorite da tre forze politiche che, quantunque collocate al centro dello schieramento, mantengono vive le loro peculiarità storiche.

Si prenda l’esempio delle ferrovie. Non più tardi di sei mesi dopo l’ascesa di Frau Merkel al Kanzleramt, i quotidiani tedeschi fecero strame d’inchiostro per annunciare l’imminente cessione ai privati di Deutsche Bahn. In origine, si arrivò persino ad ipotizzare la vendita della rete. Ebbene, a tre anni da quel profluvio di toni trionfalistici che cos’è rimasto? Assolutamente nulla. L’approdo in borsa del 20% di DB (questi i termini della più recente trattativa), programmato per la fine del 2008, è stato letteralmente derubricato con un tratto di penna. “C’è la crisi finanziaria”, si è osservato. In realtà, mai come in questo momento si sarebbe sentita la necessità di una simile operazione. E questo perché ne avrebbero tratto giovamento in primis le casse dello Stato; in secondo luogo perché una cessione di questo tipo non avrebbe irrigidito ulteriormente i meccanismi di mercato, dando il buon esempio a quegli investitori ingessati oggi da una irreversibile crisi di fiducia.

Specularmente, è da lodarsi il comportamento messo in atto da Commerzbank, istituto di credito che, nonostante gli attuali chiari di luna, un paio di settimane fa ha deciso di accelerare il processo di fusione con Dresdner Bank, al fine di garantire una certa dose di solidità ad un sistema bancario fragile e frammentato qual è quello tedesco. Il governo, invece, naviga a vista e dà l’impressione di non avere contezza del da farsi. Il copione sperimentato per Deutsche Bahn si è infatti riproposto in occasione della riforma della tassa di successione varata lo scorso fine settimana dal Bundestag dopo mesi di rovente dibattito. Il compromesso appare anche qui nettamente al ribasso e ha fatto bene l’FDP a metterlo molto prosaicamente in luce.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

Lungi dal produrre uno shock benefico per le imprese, l’impianto della normativa è estremamente farraginoso e complesso. Al di là dei limitati sgravi per le coppie, i figli e i nipoti (non per i fratelli), l’onere più greve se lo sobbarcheranno infatti gli imprenditori, ai quali è sì fatto sconto del pagamento della tassa, ma a patto che gli eredi continuino per almeno dieci anni nell’attività, senza sostanzialmente poter tagliare posti di lavoro. L’escamotage, voluto con forza dai socialdemocratici, ha fatto insorgere le associazioni dei datori di lavoro, la più parte dei quali sta pensando di “espatriare”, in Austria ad esempio, dove la tassa di successione non esiste più da anni.

Ed è proprio in tema di competitività internazionale e di carico impositivo che il governo tedesco si è mosso e continua a muoversi con passo malfermo ed impacciato. Dopo il taglio della pressione fiscale sulle imprese (approvato nel 2007 ma entrato in vigore solo nel gennaio scorso), il Gabinetto di Frau Merkel ha congelato qualsiasi aspettativa di una sforbiciata dell’ESt (l’IRPEF tedesca), rinviandola senza appello alla prossima legislatura. E questo benché non passi giorno senza che la CSU bavarese non rivolga un accorato appello alla Cancelliera, esortandola a sgravare i cittadini dall’elefantiaco carico di imposte che li assillano. Secondo un’indagine condotta dal World Economic Forum, il sistema fiscale tedesco sarebbe infatti il più ingarbugliato e meno chiaro tra quelli dei 102 paesi presi in considerazione, senza contare il suo alto tasso di oppressione, più volte meritoriamente denunciato dal think tank liberale INSM (Initiative Neue Soziale Marktwirtschaft).

In uno studio dell’OCSE del marzo scorso si evidenzia che su 100 euro di retribuzione ad un lavoratore rimangano in media solo 47,80 Euro. E questo in ragione della serie infinita di tasse e contributi sociali (equamente ripartiti tra datori di lavoro e lavoratori) volti a finanziare il mastodontico Welfare State della locomotiva d’Europa. Di qui il monito lanciato l’altro giorno da Michael Hüther, direttore dell’Istituto per l’economia tedesca (Idw), ad operare un drastico taglio delle aliquote, prima che diventi troppo tardi per sbrogliare la matassa. Ad oggi la Grosse Koalition non ha sembra avere idea di quale strada imboccare, se quella keynesiana o quella liberale. Di certo tutto si può dire fuorché l’azione dell’esecutivo si sia esplicata nell’approvazione di provvedimenti favorevoli alla cultura della libera iniziativa. Anzi.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

La paura delle “cavallette” (per citare l’infelice uscita dell’attuale presidente dell’SPD Franz Müntefering), riesplosa a febbraio con il caso Nokia, è stata abilmente cavalcata dai politici di entrambi gli schieramenti e da allora non si è più arrestata. Persino quando a voler rilevare un’impresa tedesca non è un pericoloso fondo sovrano, ma un’altra impresa tedesca le bocche si storcono. Impegnata da tempo in una difficoltosa scalata a Volkswagen, il gruppo Porsche deve infatti tuttora vedersela con una legge liberticida (la famigerata legge Volkswagen che attribuisce una corposa golden share alla politica, nel caso di specie al Land Bassa Sassonia), già cassata dalla Corte di Giustizia europea, ma difesa a oltranza dalla CDU e dalla Cancelliera Merkel.

Per farla breve, è proprio la gretta e meschina difesa degli interessi nazionali ad aver agito da catalizzatore per tale atteggiamento ambiguo ed ondivago del governo tedesco in sede europea. Orgogliosi di un sistema bancario che fa acqua da tutte le parti, i tedeschi non avrebbero mai pensato che la crisi potesse far breccia nella roccaforte teutonica e, ai primi di ottobre, respinsero pervicacemente l’ipotesi di un fondo europeo per il salvataggio degli istituti di credito, convinti di dover sborsare più di quanto in realtà avrebbero ricevuto. Ma le previsioni si sono rivelate fallaci. Le banche regionali pubbliche hanno cominciato a languire e a tendere la mano chiedendo il soccorso dello Stato. Soccorso che si è infine rilevato elefantiaco, persino sproporzionato. Dopo il credito è stata la volta dell’auto, comparto chiave per le sorti dell’economia tedesca. E anche qui Frau Merkel ha tentennato, guadagnandosi l’epiteto, affibbiatole dall’Economist, di silent woman. Aiuti sì o aiuti no?

Di fronte alle richieste pressanti di Opel, agonizzante per via della situazione della controllante GM, la coalizione di governo ha approvato un pacchetto striminzito di misure volte a stimolare l’economia. Sostanzialmente ininfluenti sul piano degli effetti, tale insieme di provvedimenti, tanto più se affiancato da un piano più corposo, produrrà un sensibile peggioramento della salute dei conti pubblici, fiore all’occhiello e pietra miliare dell’intera azione di governo. Eppure, da più parti si rimprovera a Frau Merkel di non essere stata abbastanza decisa nel voler provvisoriamente svuotare di contenuto i criteri di Maastricht per dare avvio ad un gigantesco piano neokeynesiano di sostegno alla domanda aggregata e di investimenti in infrastrutture.

In realtà la signora Merkel, declassata in poco tempo dal rango di abile e prudente tessitrice dei rapporti diplomatici a goffa statista incapace di tenere a bada un consiglio dei ministri rissoso e attaccabrighe, non si è limitata a dire no ad interventi straordinari concertati a livello europeo. Respingendo le critiche della componente più liberale del suo schieramento, si è messa anche di traverso rispetto all’ipotesi ventilata di drastico taglio delle tasse sulle persone fisiche. Il risultato è che la Germania boccheggia. Le esportazioni, sulle quali ha sinora fondato la sua prosperità, sono in una fase di stanca. E il governo tira letteralmente a campare. Il 2009 sarà un anno di elezioni (regionali, europee ed infine federali). Il rischio di scontentare qualche componente vitale del proprio elettorato di riferimento ha prodotto e continuerà a produrre inazione e fiacche misure una tantum.

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Cosa sono le società "in house"

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

di Giovambattista Palumbo

Si parla tanto di lotta all’evasione fiscale. Niente di più giusto. Niente di più doveroso. Ma non tutti forse sanno che tra i principali evasori fiscali vi sono proprio gli enti pubblici o società comunque a partecipazione pubblica. Tra queste per esempio le società cosiddette “in house”; quelle società cioè, a capitale interamente pubblico, che si occupano della gestione delle reti e erogazione dei servizi pubblici locali.

L'Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 37/E dell'8 marzo 2007, proprio a proposito di tali tipi di società, ha precisato che esse svolgono in ogni caso attività rilevante agli effetti dell'IVA e, conseguentemente, il compenso versato dal Comune per l'affidamento dell'attività di gestione dei servizi deve essere assoggettato a tassazione.

Tali conclusioni, del resto, non sono corrette solo da un punto di vista tributario, ma anche economico, in relazione ai possibili effetti distorsivi della concorrenza che un trattamento fiscale diverso (nel senso di agevolato) avrebbe su altri soggetti (quali, ad esempio, oltre alle imprese private tout court, anche le aziende speciali, le aziende speciali consortili, le società partecipate in misura minoritaria dall'ente pubblico etc.).

Il mancato pagamento dell’IVA su tali compensi comporterebbe dunque delle evidenti violazioni fiscali, tanto più gravi in quanto perpetrate da enti pubblici e con inevitabili riflessi anche in ordine ad eventuali illeciti contabili. Ma il problema probabilmente è un altro.

Anche se infatti tali enti fossero soggetti ad accertamento e anche laddove pagassero quanto dovuto, in realtà, comunque, a pagare sarebbe il cittadino.

Le risorse a cui dovrebbero attingere i suddetti enti non sarebbero altro che risorse pubbliche. E, di riffa o di raffa, sotto forma di maggiori imposte o di minori servizi, sempre il cittadino sarebbe a pagare. Ma allora, visto che poi in fondo si tratta di una sorta di partita di giro, cui prodest?

Certo, dato che l’IVA è un tributo comunitario, non si può semplicemente prendere atto della situazione di fatto e dire che tali prestazioni non sono soggette ad IVA. Come minimo infatti lo Stato italiano sarebbe sottoposto a procedura di infrazione. Il problema quindi più che fiscale è di tutela del libero mercato.

Ma una domanda resta “inevasa” (tanto per restare in tema): perché se è stato confermato che anche tale tipo di attività è soggetta ad IVA, la società in house (anche se a capitale pubblico) deve godere di una sorta di esenzione di fatto? Come mai se il cittadino “qualunque” non paga l’IVA dovuta, si trova subito un bell’accertamento con tanto di sanzioni ed interessi? Ai posteri l’ardua sentenza.

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La pensione per le donne a 65 anni: per l'Italia una necessità

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

di Francesco Forte

Nella mia rubrica, questa settimana, volevo trattare della crisi mondiale dell’auto e della Fiat e dell’industria italiana dell’indotto automobilistico, polemizzando con Veltroni, che ha preso il tema dal lato sbagliato, ma urge un altro argomento, quello dell’età di andata in pensione delle donne, che è stato reso di attualità politica dal Ministro Renato Brunetta che ha ripreso la proposta di elevamento a 65 dell’età di pensione di vecchiaia delle donne, che io e Salvatore Repecchini, abbiamo elaborato per Magna Carta e lanciato nella pubblica opinione con un nostro piano, ripreso dalla stampa e dagli altri media.

E’ d’obbligo che se ne parli su l’Occidentale. Mi si perdonerà se, simultaneamente, ne tratto anche nella stampa cartacea, non solo per “non perdere la priorità acquisita”, ma soprattutto per creare un fuoco di sbbaramento, il più intenso e vario possibile, contro chi , in modo arrogante, dice che di alzare l’età pensionabile delle donne a 65 anni “non se ne parla nemmeno”.

Coloro che lo affermano non sanno di che cosa sta parlando. E comunque non hanno alcun desiderio di migliorare la condizione femminile in Italia , ma fanno una battaglia sindacale di retroguardia maschilista . Oppure (ed anche) questo niet ottuso deriva la solita opposizione da sinistra pietrificata alla Casa della libertà . Di alzare l’età di pensione delle donne a 65 anni non si può non parlare, dato che la Alta Corte di Giustizia Europea, con una sentenza da poco pubblicata, ha dichiarato illegittima perché discriminatoria la norma italiana che stabilisce a 60 anni la pensione di vecchia per le donne, mentre per gli uomini è a 65 anni. Il caso trattato dalla Suprema Corte Europea riguarda specificamente il pubblico impiego , anche se ha portata più generale.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 2 della discussione

E ciò spiega perché ne ha parlato il Ministro Renato Brunetta. Per altro, la proposta di elevare l’età pensionabile delle donne in Italia può essere formulata in vari modi . E chi scrive assieme a Salvatore Rebecchini, ha elaborato una proposta, che Magna Carta intende sottoporre a pubblico dibattito, di aumento graduale di questa età di pensionamento di vecchiaia delle donne, ferme restando le attuali finestre di prepensionamento, che può svolgersi in 5 anni dal 2009 al 2013, con l’innalzamento di un anno di lavoro all’ anno, per le classi di nate dal 1949 al 1953, oppure in un massimo di 8 anni sino al 1917 che comporta, a regime. un risparmio di spesa di 8-10 mila euro annui. La conservazione delle attuali finestre di prepensionamento, fa si che nel 2009 , se tutte le donne ne fruissero, si avrebbe un mero risparmio di spesa di 227 milioni di euro.

In altre parole, il sistema può andare a regime, in modo soffice. Invece il successivo innalzamento di un anno di pensione comporterebbe già un risparmio di 1,7 miliardi di euro, che salirebbero a 3,5 con quello successivo, per superare poi i 5 mila e salire poi a 6,5 e infine andare sugli 8 mila. Secondo la proposta Forte Rebecchini, si potrebbe intanto accrescere la dotazione di ammortizzatori sociali per il lavoro non strutturato. Va notato che nei contratti a termine di lavoro subordinato le donne sono occupate sono 1,2 milioni e gli uomini 1,1 milioni. Inoltre si dovrebbero aumentare le provvidenze per la maternità, mediante una Cassa speciale gestita dagli Istituti previdenziali, per lo sviluppo degli asili nido e di detrazioni fiscali per le spese di natalità. Inoltre si può gradualmente detrarre l’onere di Irap sul lavoro dall’Ires, con un costo complessivo a regime stimabile in 4,5 miliardi. Infine si può pensare aLa discriminazione rilevata dai giudici i europei a danno del lavoro femminile italiano ha gravi conseguenze strutturali, essendo fra le cause dell’inadeguato impiego del lavoro della donna. In Italia le donne hanno un tasso di occupazione molto più baso degli uomini e molto più basso della media europea. Gli occupati uomini, nel nostro paese, sono 14 milioni e le donne occupate solo 9,4 milioni. Il tasso di inattività degli uomini compresi fra in 15 e i 64 anni è il 25 per cento, per le donne il 48 per cento, ossia circa la metà non fa parte della popolazione attiva. Assumendo per ogni lavoratrice attualmente occupata che la sua età di pensione si innalzi di cinque anni , potenzialmente si ha un incremento del 14 per cento circa dell’occupazione femminile. Il tasso di inattività delle donne fra 15 e 64 anni potenzialmente, scenderebbe dal 48 per cento al 41,2 per cento. Ma va aggiunto che un forte ostacolo al lavoro femminile è anche dato dal problema della cura dei piccoli, in relazione alla insufficienza di servizi sociali, come gli asili nido, a cui si dovrebbe destinare, a regime, una parte notevole delle risorse risparmiate con l’innalzamento dell’età di pensione delle donne. Il reddito delle donne , con l’innalzamento dell’età di pensione migliora doppiamente: far i 60 e i 65 anni esse hanno un reddito di lavoro maggiorato,anziché una pensione; quando escono dal lavoro, la loro pensione sarà più alta, dato il maggior numero di anni di contributi.

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 3 della discussione

La proposta Forte-Rebecchini ha anche altri vantaggio per le donne. Con la legge attuale che sarà applicata ai pensionati del regime contributivo,quando esso entrerà in vigore, le donne possono scegliere se allungare sino a 65 anni la permanenza nel lavoro, ma i contributi versati fra i 60 e i 65 anni dalle donne,valgono la metà che per gli uomini. Inoltre poiché la scelta di stare al lavoro di più,da parte delle donne,è una loro facoltà, essa è subordinata anche al gradimento dei datori di lavoro. Questa doppia discriminazione viene eliminata con l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni come per gli uomini.

Attualmente i datori di lavoro, considerando che le donne vanno in pensione a 60 anni, salvo eccezione,sono meno interessati a fornire a loro occasioni di specializzazione e carriera, come agli uomini. La proposta di alzare l’età di pensionamento delle donne a 65 anni lede alcuni privilegi maschilisti. Infatti aumenterebbe la percentuale delle donne nelle posizioni dirigenziali e di capo ufficio, in particolare nel pubblico impiego in conseguenza dei loro scatti di grado e avanzamento di carriera e penso che ciò dia fastidio a chi difende le prospettive di carriera degli uomini. Tramonterebbe finalmente la erronea percezione di un invecchiamento delle donne, maggiore degli uomini, che è la sola ragione per cui per le donne c’è la pensione a 60 anni e per gli uomini a 65. Le donne non sono il “sesso debole”: non solo non hanno un invecchiamento anticipato rispetto agli uomini, ma al contrario sono più resistenti degli uomini alle insidie della vecchia . Infatti, in Italia, a 60 anni una donna ha un speranza di vita media di 5 anni di più d’un uomo. Può vivere in media altri 25 anni,contro i 20 d’un uomo. Nella società. la quota di donne sopra i 60 e molto maggiore di quella degli uomini, mentre nei posti di lavoro è zero, sicché gli uomini possono avere più spazio per comandare sulle donne.

E’ forse giusto questo regime, che deriva dalla diversa età di pensionamento delle donne rispetto agli uomini?

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Freccia rossa, di vergogna

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

di Davide Giacalone

La Freccia Rossa, il treno ad alta velocità sulla tratta Milano-Napoli, viaggia solo nel telegiornale ed a patto che i passeggeri siano stati invitati e non abbiano pagato il biglietto. Non appena si esce dal giorno glorioso della presentazione in pompa magna, e dopo essere passati in biglietteria, si ha l’onore di salire sul medesimo vagone dell’anno scorso, di quello precedente e di quello che veniva ancora prima. Con coraggiosa coerenza si mantiene anche il resto: non si può telefonare perché cade la linea, non si connette il computer per la medesima ragione, e la ritirata (così si chiamava, sui treni) reclama il passaggio di un pulitore la cui esistenza è solo reclamizzata.
La settimana scorsa un treno ad alta velocità, e salatissimo biglietto, mi ha depositato a Napoli con quasi due ore di ritardo. Al ritorno, il giorno successivo, ho visto che lo stesso treno portava trentacinque minuti di ritardo. Sono sicuro che l’amministratore delle Ferrovie parlerebbe di un trend positivo, a me pare una truffa, visto il nome che porta.
La politica degli annunci s’è fatta spericolata, oramai si presentano anche le cose inesistenti. In compenso gli stessi telegiornali si guardano bene dall’inquadrare la scena dei treni a corto raggio, quelli che portano i pendolari, che dal sud al nord hanno realizzato l’uniformità della qualità, da carro bestiame. Con l’aggravante di far credere che queste tratte vengono trascurate a favore degli investimenti per l’alta velocità, che, insomma, chi paga meno ha un servizio scadente, ma chi paga di più può accedere all’eccellenza. Invece siamo all’apoteosi dell’interclassismo disfunzionale, perché si fa male tutto, accavallando le incapacità ed aggravando le une con le altre.
Così noi, poveri apolidi del riformismo modernizzatore, ci battiamo contro l’ecologismo reazionario ed a favore dell’alta velocità, spieghiamo ai pendolari che i loro treni dovrebbero essere migliori senza per questo rallentare quelli che è bene abbiano standard superiori, ma ci becchiamo i posti costosi (che paghiamo) per andare lentamente e ci comprimiamo dentro treni locali che pretendono di definirsi tali solo perché vanno sulle rotaie. Forse dovremmo fare autocritica: l’Italia di queste ferrovie merita gli italiani che protestano contro i binari.


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Pensionate e morti viventi

>>Da: Carlotta3691
Messaggio 1 della discussione

di Davide Giacalone

Sulle pensioni delle donne si sviluppa un dibattito a cavallo fra la demenza e l’incoscienza. C’è gente che vaneggia, magari immaginando che l’argomento sia stato evocato da un Brunetta alla ricerca di pubblicità. Il mio amico Renato, invece, si sta specializzando in un mestiere che esiste solo nel Paese dei conservatori ideologizzati: dice cose ovvie e viene preso per pazzo rivoluzionario. Negli uffici pubblici c’è chi non lavora, afferma. E giù polemiche, cui s’aggiungono anche i sermoni, come se non lo sapessimo tutti, da decenni. Le donne non possono andare in pensione prima degli uomini, avverte. E s’apre la ridda delle scempiaggini, come se non fosse il dettato di una sentenza europea e come se non fosse del tutto ovvio che è da svampiti mandare prima in pensione chi dimostra di vivere più a lungo.
Ma queste son quisquiglie, perché è l’intero sistema pensionistico che deve essere rivisto, così come la spesa sociale. Due legislature fa il centro destra fece una riforma piccola e debole, inserendo lo “scalone” che avrebbe ritardato il troppo precoce ritiro dal lavoro. Siamo, in Europa, fra quelli che lavorano meno ore, per meno anni ed in meno numerosi, poi non domandatevi perché cresciamo meno. In compenso pretendiamo che i pochi lavoratori mantengano un crescente esercito di pensionati. Non appena Prodi giunse al potere, con il caravanserraglio di rifondaroli e straparlatori, cancellò la riformina. Tanto i soldi non ce li metteva lui. Il centro destra torna al governo e dice subito: non riformeremo le pensioni. Bravi, così perpetuiamo l’ingiustizia. Quello delle donne è un dettaglio, ma rivelatore: ci comportiamo come se stessimo parlando di mondine, mentre la feminilizzazione galoppa nella scuola e nella magistratura, e ne discutiamo con riferimento alla maternità, che non sopraggiunge a sessanta anni, ma abbisognerebbe di asili assai prima. Inoltre, anticipando la pensione delle donne moltiplichiamo i costi, pagando per più anni, ma diamo meno soldi a ciascuna, perché tronchiamo le carriere.
Una politica viva approfitterebbe della condanna per cambiare il sistema. La politica dei morti, invece, difende ogni interesse corporativo ed ogni rendita. Quando i giovani s’accorgeranno che a pagare saranno loro, i morti viventi s’avvieranno ad indegna sepoltura.


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Discriminare in quel periodo era il pensiero dominante

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Uno dei compiti che in Italia toccano agli storici del fascismo - volenti o nolenti - è fare da commissione esaminatrice alle dichiarazioni dei politici riguardo al ventennio. L’onorevole Gianfranco Fini è stato sottoposto più volte a questo procedimento, con mutevoli risultati. Stavolta mi sembra di poter dire che ha pienamente ragione. È vero, la società italiana si è «adeguata nel suo insieme alla legislazione antiebraica», salvo luminose eccezioni fra le quali è il caso di citare Filippo Tommaso Marinetti, Massimo Bontempelli e Italo Balbo. Non fa onore agli italiani di allora, però bisogna tenere conto del contesto storico. A parte che le decisioni del regime non potevano essere discusse («Mussolini ha sempre ragione»), c’è da considerare due elementi fondamentali.

Il primo è banalissimo, nella sua crudele e banale ovvietà: nel 1938 non c’era ancora stato l’Olocausto, nessuno poteva immaginare gli orrori dei campi di sterminio. Inoltre, il razzismo fascista non veniva presentato come persecuzione (anche se lo era) bensì come discriminazione: una discriminazione che gli italiani avevano già accettato - certi di essere nel giusto - nei confronti di libici e etiopi, i popoli «conquistati». Del resto, non usavano gli stessi metodi, nelle loro colonie, inglesi, francesi, spagnoli, portoghesi, olandesi eccetera? Si poteva fare lo stesso, questo il pensiero dominante, per «poche decine di migliaia di ebrei»: italiani, sì, ma «diversi».

Un altro elemento che contribuì alla passività (e a volte all’entusiastica accettazione) rispetto alla legislazione razziale fu l’atteggiamento del Vaticano. Fini si è limitato a sostenere che non ci furono «manifestazioni particolari di resistenza da parte della Chiesa cattolica». È vero. La Chiesa si oppose alla politica antiebraica esclusivamente quando ledeva il suo ambito di azione, ovvero quando impedì il matrimonio - cristiano - fra un cattolico e un ebreo. Difese, cioè, i propri diritti, non quelli dell’essere umano, e tanto meno quelli degli ebrei. Gianfranco Fini avrebbe potuto aggiungere, senza timore di venire smentito, che la Chiesa aveva alimentato nei cattolici di tutto il mondo un sentimento antiebraico, sia pure per motivi religiosi, non razziali. Un fascista/razzista fanatico come Roberto Farinacci poté tranquillamente sostenere che era stata proprio la Chiesa a instillare negli italiani l’avversione agli ebrei. Erano stati i papi, secoli prima a costringere le comunità ebraiche nei ghetti, e obbligarle a portare segni distintivi e quindi infamanti, a limitare la loro possibilità di guadagno a lavori che avrebbero suscitato odio o disprezzo verso di loro, come il prestito a usura o la raccolta di stracci. Per secoli i papi avevano mantenuto un rito consistente nel dare un pubblico calcio (neanche tanto simbolico) a un rappresentante della comunità ebraica. E solo molti anni dopo le leggi razziali, e il fascismo, è stata eliminata dal messale l'espressione «perfidi giudei». C’è di più. Prima e durante il fascismo, le riviste cattoliche - specialmente quelle dei gesuiti, che davano il la a tutte le altre - attaccarono costantemente gli ebrei in quanto «popolo deicida», meritevole della punizione divina e umana.

Un razzismo di fondo era dunque sedimentato nella coscienza del popolo italiano, e favorì la passiva accettazione delle leggi antiebraiche, che spesso divenne anche entusiasta partecipazione, altre volte un più umano e cristiano sentimento di pietà e di soli

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Zaia: lo sciopero dell'ananas per difendere la nostra agricoltura

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il ministro delle Politiche agricole in difesa del made in Italy: "A Natale regalate i prodotti tipici italiani". Pronto un piano per aiutare i giovani imprenditori
Fate lo sciopero dell'ananas, non dello zampone... Chiamatela provocazione di fine anno se volete, ma il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, non rinuncia a nulla per tenere alta la bandiera della difesa dei prodotti agricoli made in Italy. E' il suo cavallo di battaglia, che ha portato a combattere anche a Bruxelles, nei negoziati per le quote latte, in quella per la tipicità dei rprodotti e l'etichettatura obbligatoria.
Così lancia la sua "provocazione" (il virgolettato è di chi scrive): "Basta con l'essere esterofili a tutti costi, voglio lanciare lo sciopero dell'ananas e di tutti i prodotti che non sono italiani... altro che sciopero dello zampone". Per Zaia devono essere proprio i consumatori a tornare a imporre la genuinità e l'autenticità dei prodotti della nostra terra sulle tavole, con comportamenti corretti e consapevoli. Deve partire da loro, con l'aiuto della politica e delle iniziative che sta mettendo e metterà in campo il ministero, il rinascimento dell'agricoltura italiana. Zaia è chiaro su questo punto: occorre smettere di comprare cose che "a volte sono schifezze, ci sono prodotti che in alcune parti del mondo vengono realizzati utilizzando ancora il Ddt, prodotto pericoloso per la salute e da anni bandito in gran parte del mondo". Lo "sciopero dell'ananas", secondo Zaia, vuole essere il simbolo del Natale e di tutto quello che non è agricoltura italiana.
"Comprate italiano" "A dicembre su 4.500 prodotti tipici si trovano almeno 2.000-2.500 prodotti di stagione che rappresentano il meglio delle produzioni dei nostri territori, non c'è alcuno che ci batte per qualità e tipicità" - ha detto -. Invito a regalare a Natale il prodotto tipico italiano, magari un Igp, un doc... non c'è che da scegliere dal Nord al Sud".

La lattina di latte cinese Poi mostra ai giornalisti una lattina rossa, con disegnata la faccia di un bimbo felice. Zaia la guarda, la prende in mano e la fa vedere ai giornalisti. Sembra una lattina di bibita... Invece no. "Questa - dice, guardandola ancora con un sorriso amaro - è una lattina di latte cinese avvelenato. Prodotto industrialmente e venduto tranquillamente... L'abbiamo sequestrata a Napoli dove i controlli della nostra sicurezza hanno funzionato. Se penso che c'era gente disposta a comprarla e a consumarla senza sapere nemmeno cosa ci fosse dentro...". Così anche la lattina (a ragione) diventa un altro simbolo (come l'anans) della politica di valorizzazione dei prodotti italiani.

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Tremonti: "Fondi Ue contro la disoccupazione"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Il ministro dell’Economia ha incontrato il suo omologo del governo ombra No alla manovra del Pd, ma piena disponibilità a dialogare in Parlamento.
Roma«La discussione con le parti sociali è fondamentale, quella con le Regioni costituzionale e quella con le opposizioni è nell’interesse del Paese». Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha sintetizzato in questo modo la valenza dell’incontro con il proprio omologo del governo ombra, Pierluigi Bersani.

Un’ora e mezzo di confronto sulle proposte avanzate dai democratici per fronteggiare la crisi e sulle azioni che l’esecutivo intende intraprendere concretamente. A partire dalla conferma dell’utilizzo dei fondi comunitari per aumentare la dotazione degli ammortizzatori sociali oltre gli 1,2 miliardi già stanziati con la manovra triennale. «Il governo sta valutando la possibilità di usare i fondi di coesione europei in una logica anticrisi - ha detto Tremonti nel corso di una conferenza stampa - e, in particolare, per fornire strumenti di sostegno all’occupazione e contro la disoccupazione».
Il lavoro, infatti, è il «punto critico del 2009» e in merito a questo capitolo Tremonti e Bersani hanno concordato sulla necessità di non lesinare gli sforzi. La visione è «comune», ha rilevato l’ex titolare dello Sviluppo economico. Il ministro ha ricordato che la discussione deve avvenire entro «quattro confini non superabili: l’architettura del sistema europeo, la Costituzione che assegna alle regioni determinate competenze; il Mezzogiorno e la ripartizione acquisita e i diritti acquisiti». Tremonti ha precisato che l’ammontare complessivo dei fondi è di 110 miliardi di euro, ma ha ricordato che con l’Ue «la trattativa è aperta» e si cercherà di utilizzare «quanto più possibile». Bersani ha concordato sulla possibilità di trovare «una ricetta comune» pur sottolineando l’importanza in ambito regionale dei fondi per la formazione.

Generale sintonia si è registrata anche sul tema degli investimenti. Il ministro dell’Economia, infatti, ha annunciato che il Cipe di domani «riguarderà le infrastrutture fisiche classiche», cioè lo sblocco di oltre 17 miliardi di fondi per mobilità, banda larga, energie rinnovabili ed edilizia scolastica. «Sul resto è in atto la discussione», ha aggiunto Tremonti riferendosi alle modalità di dirottamento dei fondi ad altri capitoli.
L’incontro è servito anche ad approfondire altre tematiche e a discutere le cinque proposte anticrisi presentate ieri dal Pd. Oltre ad ammortizzatori e infrastrutture, infatti, i democratici ritengono necessario il varo di una manovra da almeno un punto di pil, ossia da circa 16 miliardi di euro, cioè una decina di miliardi in più di quelli previsti dal governo per gli interventi spot. In particolare, Bersani & C. chiedono una riduzione delle tasse su lavoro e pensioni innalzando le detrazioni, un fondo da 3 miliardi per anticipare i pagamenti della pubblica amministrazione alle pmi e 2 miliardi per il Sud.

«I saldi non si toccano», è stata la risposta del ministro dell’Economia che però ha invitato la controparte a trovare le coperture per ogni singolo progetto al di là del recupero dell’evasione o delle maggiori entrate fiscali ipotizzate in caso di inversione del ciclo. «Non c’è alcuna pregiudiziale negativa contro l’opposizione in linea con quanto già accaduto anche durante l’esame della Finanziaria», ha spiegato ricordando che il governo è pronto ad accogliere emendamenti al decr

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Crisi, Berlusconi: "Diamo segnali di ottimismo"

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il presidente del Consiglio: "Non bisogna frenare i consumi. Grazie al calo del petrolio, nel 2009 risparmi di 4mila euro a famiglia". E al ministro Bossi dice: "La nostra alleanza è duratura, imperitura e inscindibile, un pilastro per il futuro della democrazia"
Roma - Gongola per il successo in Abruzzo, Silvio Berlusconi. Ma nonostante il risultato della prima tornata elettorale «a valenza nazionale» da quando è tornato a Palazzo Chigi non possa che confortarlo, il premier sceglie una linea low profile. Lo fa nel tardo pomeriggio, quando appena si concede una passeggiata per i soliti negozietti di Corso Vittorio e intercettato dai cronisti preferisce non affondare il colpo. La vittoria di Chiodi? «Mi fanno lavorare molto, ma alla fine i risultati si vedono», è la risposta ermetica del Cavaliere. E pure alla cena di Natale con i deputati del Pdl all’Acquario romano Berlusconi segue il copione del pomeriggio. Prima i regali «patriottici»: alle signore un pendente tricolore (smeraldo, diamante e rubino), agli uomini un orologio italiano Locman. Poi un giro dei tavoli per i saluti, e si siede insieme con Cicchitto, Bocchino, Verdini, Ceccacci e Calabria. Solo un lungo conciliabolo con Barbareschi che pare non abbia affatto gradito la decisione del cda Rai di bocciare la sua fiction Nebbie e delitti.

Almeno fino a che non arriva l’ospite d’onore, accolto da Berlusconi all’ingresso con un abbraccio. «Un applauso - dice - per Umberto Bossi». Giù con i battimani e i due si mettono a girare insieme per i tavoli mentre i deputati hanno già iniziato a dar dentro al tortino ai carciofi e al risotto di zucca. Solo passata la mezzanotte il discorso insieme al Senatùr. «La nostra alleanza è duratura, imperitura e inscindibile», dice il Cavaliere. «Duratura», precisa Bossi riferendosi forse al fatto che mai confluirà nel Pdl. Anche se il leader della Lega torna sulla magistratura elettiva («devono essere indicati dal popolo») e conferma che senza l’asse con il Pdl «non faremo altro che lasciare la strada spianata alla sinistra». Insomma, aggiunge Berlusconi, «un’alleanza fatta col sangue», tanto che «quando uno di noi due si ritirerà lo farà anche l’altro cosi potremmo giocare a scopa...».

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La Fed usa la scure: costo del denaro azzerato

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Il costo del denaro scende in una forchetta compresa tra 0 e 0,25%. Bush: "Abbandono il mercato, recessione gravissima". Euforia a Wall Street il Dow Jones guadagnava il 4%. Ma il dollaro cala e l'euro torna sopra quota 1,40
Due giorni di consultazioni, fatto già di per sé inconsueto, poi la decisione presa ieri: la Federal Reserve prova ad aggredire alla gola la crisi con un’azione senza precedenti portando i tassi dall’1% a una forchetta compresa tra lo 0 e lo 0,25%, a seconda delle necessità che si presenteranno. Misura varata senza tentennamenti, con voto unanime da Ben Bernanke e dal board dei governatori, con un meccanismo che richiama l’esigenza di mantenere una certa flessibilità ora che i margini di manovra sono ridotti ai minimi termini, subito premiata da Wall Street, dove il Dow Jones in chiusura è schizzato verso l’alto del 4,3% e il Nasdaq del 5%. Il rovescio della medaglia ha la faccia del dollaro (euro oltre quota 1,40), a rischio di ulteriori deprezzamenti se la Bce confermerà a gennaio l’intenzione di non ridurre il costo del denaro.

La «solennità» del momento è stata coronata, in serata, da un’intervista in cui il presidente Bush ha dichiarato di aver «rinunciato ai principi dell’economia di mercato per salvare il sistema dal mercato», aggiungendo, con un pessimismo senza precedenti, di essere di fronte a una «gravissima recessione»

Dall’estate 2007, quando il virus dei subprime ha cominciato a diffondere i propri effetti nefasti fino a portare venti di recessione globale, il costo del denaro Usa ha subìto nove sforbiciate. Un ritmo frenetico da far impallidire le mosse distensive varate da Alan Greenspan dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre e che dà la misura dell’orco contro cui l’America deve combattere. Prima dello scatenarsi della tempesta, i tassi erano al 5,25%, oggi sono i più bassi a livello mondiale e solo quelli di Singapore (0,25%) sono allineati con la parte più alta della forchetta. Ma alternative non ce n’erano: «Dall’ultimo meeting - si legge nel comunicato della Fed - le condizioni del mercato del lavoro sono deteriorate e i dati disponibili sui consumi, gli investimenti e la produzione industriale sono calati. I mercati finanziari restano in tensione e le condizioni del credito si sono strette. Complessivamente le prospettive per l’attività economica si sono ulteriormente indebolite».


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Paolo Guzzanti: Abruzzo, il tracollo della sinistra affonda Walter

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Così Di Pietro ha sconfitto il proprio alleato

Armato di antiberlusconismo forsennato e della furbizia del suo capo, l'Idv ha preso le redini dell'opposizione sfruttando le debolezze di Walter.
E così la profezia si è avverata: i pieni riempiono i vuoti e spesso li riempiono con materiale tossico. Di Pietro sta divorando dall’interno il Pd di Veltroni, Abruzzo docet, e ne occupa lo spazio. Il suo materiale tossico è una sorta di estremismo di tipo leghista della prima ora unito all’antiberlusconismo psichiatrico, forsennato, emotivo, invettivo e dunque di grande presa comunicativa anche se l’ideologia del movimento è una sola: manette per tutti. Lasciamo stare per una volta il nostro sventurato (per sua colpa) amico Walter Veltroni che, scarso in tattica, perde anche nella strategia. Se la dovrà vedere con i suoi e non sarà un bel meeting. Ma parliamo proprio di lui, il politico Di Pietro. Mi diceva Enzo Bianco, uomo di sinistra di origine repubblicana ex sindaco di Catania ed ex presidente del Copaco, che con Di Pietro è quasi dovuto venire alle mani in diverse occasioni a causa del carattere aggressivo, micidiale e distruttivo di Di Pietro che procede come una macchina da guerra.
E mi diceva Gian Antonio Stella, il coautore del famoso libro La Casta, il quale ha avuto Di Pietro come ospite in una lunga intervista radiofonica su Radio Tre, che Di Pietro è diventato un comunicatore formidabile, micidiale, di grandissima penetrazione. Quando Stella lo invitava a moderare i toni mentre Di Pietro inveiva contro Berlusconi, l'ex Pm di Mani Pulite ha preso il microfono e con tono sussurrato e sillabando le parole ha detto «Berlusconi corruttore». L’effetto comunicativo e mediatico era fortissimo e così sembrano tutte le attività politiche di questo outsider della politica che ha stretto alleanza con il gruppo di Micromega, con la fascia più aggressiva e invelenita dell’antiberlusconismo, quella fascia che, a detta di Enzo Bianco e anche dello stesso Veltroni, è poi anche una delle cause accessorie del successo berlusconiano, dal momento che l’antiberlusconismo se sazia i palati facili di una sinistra allo sbando, compatta dall’altra parte tutti coloro che vedono nel presidente del Consiglio colui che soddisfa una larga parte di desideri antigiustizialisti e modernisti della borghesia italiana, ammesso che ne esista ancora una.


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Peppino Caldarola: Walter, leader condannato a farsi mangiare il partito

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

In Abruzzo Di Pietro si è mangiato mezzo Pd. Se si votasse in tutta Italia il pasto sarebbe completo. Metà del Pd è in subbuglio. Dalemiani e mariniani vorrebbero denunciare l’alleanza con l’ex Pm. I prodiani vogliono rinsaldarla. Seraficamente il gran cerimoniere di Veltroni, Goffredo Bettini, dichiara: «Non abbiamo nulla da rompere perché non c’è nessun matrimonio con Di Pietro». Paradossalmente ha ragione lui. Il tema del Pd non è il dipietrismo «esterno», ma il dipietrismo «interno».
Quando nacque il Pd Francesco Rutelli, Piero Fassino, Franco Marini e Massimo D’Alema pensarono a un difficile sposalizio tra famiglie rivali ma costrette dall’antiberlusconismo a stare assieme. Prodi guardava ad una coppia ancora più aperta, con un giro di parentele allargata a tutte le sinistre possibili e impresentabili. Gli sposi convolarono a giuste nozze ma non consumarono. Nessuno esercitò lo «jus primae noctis» e fu chiamato Veltroni a risolvere il problema. Veltroni rifiutò il primitivo contratto di nozze e propose un nuovo matrimonio con Di Pietro. La storia del veltronismo nasce qui. Ma non fu un matrimonio vero. Ha ragione Bettini. La cerimonia che imparentava Veltroni e Di Pietro serviva per la facciata ma nascondeva al mondo gli amanti di sempre, l'ex comunismo e il giustizialismo.
C’è un’area della sinistra che si è fatta traghettare dal comunismo al nuovismo pensando di portare in salvo la dote ideologica più forte, la diversità antropologica. Dopo aver rinunciato al primato ideale, alla superiorità del socialismo rispetto al capitalismo, ha trovato la ragione della propria esistenza nell’«alterità». Vivere in questo mondo, ma non essere di questo mondo, per citare San Paolo. L’«altro mondo» era l’«altra America», l’«altro cinema», l’«altra tv», l’«altro consumo». In Italia l’altro è l’uomo etico, benestante, affannato dal mecenatismo e dalla beneficenza ma ben introdotto nel mondo che conta, mediaticamente affermato, forte negli apparati di controllo della legalità.


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Chiamparino: «Mi aspettavo il ko: coi dirigenti in cella non si può vincere»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Il sindaco di Torino: «Se il Pd non cambia, dopo le Europee le correnti andranno sole»
«Il momento è serio, drammatico, da non sottovalutare. L’unico modo per salvare il Pd è mettere in campo l’argenteria. Ovvero: costituire un organismo dirigente agile e operativo con tutti i principali dirigenti nazionali e gli uomini espressi dalle realtà territoriali forti, per dirigere il partito in questa fase cruciale». Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, ha non poche gatte da pelare, a partire dalla terrificante crisi industriale che colpisce la sua città. Quella è la sua principale preoccupazione. Così precisa che non ha nessuna ambizione «di carriera personale» e risponde con proverbi torinesi antiretorici alle voci che lo vogliono sotto nel mirino di Berlusconi come possibile competitor: Esageruma nèn! Ma subito dopo aggiunge: «Sono disposto a spendere tempo per il mio partito, se si capisce che occorre assolutamente uscire da questo momento di crisi prima del voto europeo e amministrativo di giugno».
Sindaco Chiamparino, che dice del risultato abruzzese?
«Guardi, non è per fare il bastian contrario, ma non mi stupisce quella sconfitta».
Lei è un pessimista?
«Non è quello. Ma se si va a votare con un presidente di Regione finito in carcere, che bene o male è identificato col tuo partito, è difficile fare miracoli».
E lei ha difeso Del Turco, da garantista. Si è pentito?
«No, affatto, ho respinto e respingo giudizi sommari».
E come ha preso il fatto che Del Turco abbia ventilato di candidarsi nel centrodestra?
«Continuo a pensare che ci sono dei momenti in cui un leader deve essere disposto a scendere dal treno della politica».
Torniamo al voto, agli arresti, alla questione morale...
«Allora, quando dico che bisogna mettere in campo l’argenteria intendo questo. Il gruppo dirigente del Pd deve affrontare i problemi reali. Senza drammi, ma con nettezza».
C’è chi dice: se ammettiamo che la questione morale è anche nel nostro partito, rischiamo di andare a fondo.
« È assurdo. Io non sono mai stato per l’automatismo: avviso di garanzia-dimissioni. Non è un problema giudiziario, è un problema politico».
Ovvero?
«Voglio dire che, in molti casi, difendo gli imputati dalle accuse, perché so che può bastare nulla per far spiccare un mandato. Ma fare questo sul piano giudiziario non significa tacere il problema più grande».


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Eluana, il ministero: non morirà in ospedale E la clinica la respinge

>>Da: andreavisconti
Messaggio 3 della discussione

Dal ministero del Welfare l'atto d'indirizzo alle Regioni per le strutture sanitarie: illegale interrompere cibo e idratazione delle persone in stato vegetativo. Bloccato all'ultimo momento il trasferimento a Udine


Como - L’addio di Eluana al suo lago e ai suoi monti è difficile, difficilissimo. La donna, in stato vegetativo permanente da quasi 17 anni, dopo un incidente stradale, era destinata in queste ore a lasciare la clinica di Lecco dove è ricoverata. Avrebbe dovuto raggiungere la sua nuova destinazione, una casa di cura di Udine, per essere accompagnata verso la morte, secondo un protocollo di natura legale che rispetti le indicazioni contenute nel decreto della Corte d’Appello. Ma così non è stato. Quando tutto pareva pronto, è giunto il contrordine: per il momento non se ne fa nulla, lunghe consultazioni fra avvocati e sanitari e il padre Beppino Englaro, hanno portato a questa decisione.
Lo stop del Welfare L’ennesimo rinvio di una storia infinita, dopo ore e ore contraddistinte da polemiche nuove, successive all'atto di indirizzo annunciato dal ministro del Welfare Sacconi. Si è consumata, in una serata fredda e piovigginosa un’altra tappa di una vicenda umana, etica, giudiziaria, politica. Ma, soprattutto, di una storia di affetto familiare. Il padre, Beppino Englaro, sono anni, infatti, che si batte per ottenere che la figlia lasci quella che lui definisce "non vita". Nel luglio scorso aveva ottenuto l’autorizzazione allo stop all’alimentazione e all’idratazione artificiali dalla Corte d’Appello di Milano.
La decisione della Cassazione Poco più di un mese fa la Corte di Cassazione ha emesso la sua sentenza definitiva chiudendo così tutte l’iter giudiziario: Eluana può morire. Ma il padre si è scontrato con la difficoltà a reperire una struttura disposta ad accogliere Eluana nelle sue ultime giornate di vita. Ieri sembrava fatta: destinazione Udine, la terra d’origine di Beppino. Nella clinica Beato Luigi Talamoni, nel centro di Lecco, i preparativi per la partenza di Eluana si sono svolti nel più rigoroso riserbo. Beppino Englaro ha avuto un incontro con i responsabili della casa di cura per organizzare tutto. Un momento difficile. Ma, come si era ripromesso in queste ultime settimane, papà Englaro non ha voluto dire nulla. Ha parlato invece la curatrice speciale di Eluana, l’avvocato Franca Alessio. "È un momento delicatissimo, un momento di grande dolore, chiediamo il massimo rispetto - ha detto il legale - del resto non credo che al pubblico debba interessare dove, come e quando Eluana morirà".
Il dolore delle suore Misericordine Le suore Misericordine, da parte loro, hanno fatto sapere, attraverso la reception della clinica, che non erano disposte a parlare con nessuno. Nelle settimane scorse, più volte, avevano detto di voler tenere Eluana con loro per continuare a curarla come hanno fatto per così tanto tempo. Però, man mano che passavano i giorni, pur tra i tanti problemi che Beppino e i suoi legali incontravano nel trovare una struttura adeguata e disposta, anche le suore sono apparse come rassegnate a vedere Eluana andarsene. Ma la giornata era destinata a riservare ancora sorprese. Mentre infuriavano di nuovo le polemiche anche a livello politico, le luci della stanza di Eluana - che ha compiuto 38 anni il 25 novembre scorso, e all’epoca dell’incidente ne aveva poco più di 21 - sono st

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Basilicata: mazzette per estrarre il petrolio

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Coinvolti nell’inchiesta condotta dal pm Woodcock anche il numero uno di Total Italia, un imprenditore locale e un sindaco
Roma - È la storia di un appalto truccato, uno tra tanti, si potrà pensare. Ma la gara riguarda l’affare dell’oro nero della Basilicata, la gestione di una piattaforma in una terra di cui si sta scoprendo il valore del petrolio. Nei guai ci sono un deputato (del Pd) e una notissima azienda del settore, la Total Italia. Il pm è un magistrato che ha fatto tanto parlare di sé per le sue inchieste spericolate, Henry John Woodcock da Potenza. Uno dei poliziotti in campo è nientemeno che il Capitano Ultimo, alla guida dei carabinieri del Noe, l’uomo-leggenda che ha arrestato Totò Riina.

Ecco perché una truffa qualsiasi diventa un caso da prima pagina: potere e petrolio, mazzette e buste scambiate. Una storia di regali e soldi per aggiudicarsi gli appalti collegati al sito Tempa Rossa, lo sviluppo di un giacimento lucano con la messa in produzione di cinque pozzi, la costruzione di un centro trattamento oli e lo scavo di una serie di condotte interrate. Il maxi-progetto della Val d’Agri di cui è concessionaria Total Italia e che qualcuno, secondo l’accusa, voleva pilotare. Le tangenti nere del petrolio.

Sono dieci le ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip di Potenza Rocco Pavese su richiesta del pm Woodcock: sei arresti in carcere e quattro domiciliari. Manette ai polsi per l’amministratore delegato di Total Italia, il francese Lionel Levha. Richiesta di domiciliari, invece, per il deputato del Partito democratico Salvatore Margiotta, vicepresidente della commissione Ambiente della Camera. L’autorizzazione a procedere è arrivata a Montecitorio, alla giunta parlamentare guidata da Pierluigi Castagnetti. Margiotta si è per ora sospeso dal partito: «Provo stupore e amarezza enormi. Più grande la certezza di non aver commesso alcun reato». Oltre all’ad Levha, sono finiti in carcere il responsabile Total del progetto Tempa Rossa, Jean Paul Juguet, e Roberto Pasi, responsabile dell’ufficio di rappresentanza della Basilicata.

Secondo l’accusa di Woodcock, Total aveva organizzato un’alleanza con una cordata locale guidata dall’imprenditore Francesco Rocco Ferrara (anch’egli in carcere) per concedere lo sfruttamento dei giacimenti in cambio di una garanzia da 15 milioni di euro: le aziende del gruppo Ferrara si sarebbero rifornite per cinque anni solo di carburanti e oli della Total. È finito dietro le sbarre anche il sindaco di Gorgoglione, Ignazio Giovanni Tornetta: gli viene contestato di essere stato l’intermediario tra la Total e la cordata designata per vincere l’appalto. Per questo suo «lavoro» avrebbe ottenuto soldi e regali.

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Napoli: assessori in cella, deputati indagati

>>Da: andreavisconti
Messaggio 4 della discussione

Un vero e proprio saccheggio di risorse pubbliche: notificate 12 ordinanze di custodia cautelare a imprenditori, assessori e a un colonnello della GdF. Il "Global service", appalto per la manutenzione delle strade, fu oggetto di una delibera da 400 milioni, mai applicata per mancanza di fondi. Al centro dell’inchiesta l’imprenditore Alfredo Romeo, ora in carcere. Nell'inchiesta anche Bocchino (Pdl) e Lusetti (Pd)

Napoli - "Eh guagliò, si nu grande... tieni nu grande amico assessore". E' solo uno scorcio di una delle tante telefonate che documenterebbero la "commistione impressionante tra politici di ogni colore e provenienza, organi istituzionali, pubblici funzionari, appartenenti alle forze di polizia, appartenenti alle forze di polizia". Tredici ordinanze di custodia cautelare sono state notificate a imprenditori, assessori e a un colonnello della guardia di Finanza a Napoli nell’ambito dell’inchiesta sull’appalto per la manutenzione delle strade, il cosiddetto "Global service", oggetto di una delibera, la numero 13 del 2007 di giunta e consiglio comunale per 400 milioni, mai appaltata per mancanza di fondi. Al centro dell’inchiesta l’imprenditore Alfredo Romeo, ora in carcere. Nell'inchiesta compaiono anche Italo Bocchino, parlamentare del Pdl, e Renzo Lusetti, parlamentare del Pd.
Le persone coinvolte nell'indagine Un affare da 400 milioni di euro, in realtà mai partito. La delibera sul global service, al centro dell’inchiesta che ha portato oggi all’emissione di numerose ordinanze di custodia cautelare, intendeva affidare a un unico gestore, come avvenuto in altre città, l’appalto per una serie consistente di lavori pubblici e manutenzioni di competenza del Comune. La delibera fu varata ma il relativo appalto non è mai partito, a causa della mancanza di copertura finanziaria. Oltre a Romeo (unico per il quale è stata disposta la custodia cautelare in carcere), gli arresti domiciliari sono scattati per Paola Grattani, collaboratrice dell'imprenditore napoletano; Guido Russo, ex funzionario dell’Arpa e, di fatto, collaboratore di Romeo; l’ex assessore comunale all’Istruzione ed ex parlamentare Giuseppe Gambale; l’ex assessore comunale al Bilancio Enrico Cardillo; gli assessori comunali in carica Ferdinando Di Mezza (sue le deleghe al patrimonio e alla manutenzione degli immobili) e Felice Laudadio (edilizia); l’ex provveditore alle opere pubbliche della Campania Mario Mautone; il colonnello della Guardia di Finanza già in forza alla Dia Vincenzo Mazzucco. Destinatari di ordinanze sono inoltre Vincenzo Salzano e Luigi Piscitelli. Tra gli indagati anche Italo Bocchino (Pdl) e Renzo Lusetti (Pd): a entrambi sarebbe contestata l'associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta. Ora è in corso una richiesta di autorizzazione al Parlamento per utilizzare le intercettazioni telefoniche che li coinvolgono.

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Tiziana Parenti: Non c’è più il Pci a coprire gli inquisiti

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Intervista all'ex pm di mani pulite Tiziana Parenti: "Se avessi avuto più tempo sarei andata fino in fondo. Multati i partiti, ma per il resto dal '92 nulla è cambiato"
Tiziana Parenti, ex magistrato del pool di Mani pulite fatta passare per pazza quando indagò sulle tangenti rosse, ex parlamentare di Forza Italia e ora avvocato. Il Pd è alle prese con la questione morale: molte giunte da loro governate sono sotto i riflettori della magistratura. È cambiato qualcosa rispetto a 15 anni fa?
«Il sistema politico è cambiato. Sono mutati i governi, i partiti e i rapporti di forza tra questi. Dc e Psi non esistono praticamente più ma per il resto... Fine».
Che vuol dire? Che è rimasto tutto uguale?
«Il problema è che ci sono amministrazioni incrostate da decenni, con il solito intreccio malato tra affari a politica locale».
E all’epoca in cui a indagare era lei era uguale?
«Niente di nuovo sotto il sole. Quando ero in magistratura c’erano imprenditori che confessavano “là noi non ci possiamo entrare, in quelle zone non possiamo fare affari perché è già tutto deciso e gli appalti sono già stati assegnati”».
Ma allora Mani pulite non è servita a niente?
«No, non è cambiato niente. È tutto uguale a prima, una vera palude».
Di chi è la colpa?
«Del fatto che non c’è concorrenza e del pessimo costume degli italiani».
Quindi non è soltanto un problema di regole?
«Da sole non sono sufficienti. Mancano organismi di controllo, ma manca pure un senso civico degli italiani. E non parlo solo di chi ci governa ma anche di chi è governato».
Adesso la magistratura sta cercando di far chiarezza e tocca pure le amministrazioni rosse: Napoli, Firenze, Perugia. L’ultimo caso è del deputato Pd Margiotta...
«Spiace che ancora una volta le magagne vengano fuori dall’azione giudiziaria».
C’è odor di tangenti rosse. Solo che quando se ne occupò lei, che iscrisse nel registro degli indagati il tesoriere del Pds Marcello Stefanini, scoppiò il putiferio... E adesso?
«Forse oggi le cose, in questo senso, sono cambiate. Ma temo che sia un fatto episodico...».


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Filippo Facci: IL FANTASMA DI BETTINO

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Veltroni potrebbe finalmente andarci, in Africa: ma ad Hammamet, come ci andò Craxi. La battuta è sciocca, ma è l’unica concessione a un panorama poco esaltante anche per chi aspettasse questo momento da quindici anni. Non c’è da compiacersi di niente.
Quindici anni è il ritardo con cui la sinistra italiana scopre ogni cosa: si chiami riformismo, atlantismo, consumismo, fine del comunismo, mercato, imprenditoria, ora questione morale. Non quella imbracciata da Berlinguer, ma quella negata da Veltroni e da chi negò anche allora, mentre uno dei più grandi uomini politici del Dopoguerra, sei mesi prima di essere inquisito, pose un problema che toccava la politica di allora e di oggi: ossia il finanziamento illegale della politica, che non è solo ruberia o sterco del diavolo, non è solo casta o auto blu, è anche ossigeno affinché la politica semplicemente esista. Quindici anni dopo ci siamo arrivati: due inchieste in un giorno, un sindaco arrestato a Pescara, un parlamentare agli arresti a Roma, il tracollo del voto abruzzese con la giunta falcidiata dagli arresti, il caso Del Turco che non a caso ripudiò Craxi proprio sulla questione morale, senza contare il caso Napoli dove il barometro promette tempesta. Con il paradosso di un ex magistrato che a suo tempo non riuscì a polverizzare Botteghe Oscure, come fu fatto con altri partiti storici, ma ora rischia di farlo da alleato, agitando le stesse manette, gli stessi spauracchi morali, la stessa pretesa di una diversità che doveva essere loro.
Davvero: non c’è da compiacersi di niente. Tantomeno di certi magistrati, che sono gli stessi di sempre: quelli che la sinistra applaudiva sino a mezz’ora fa, quelli che andrebbero riformati con tutto il sistema. Ma ora saluti a ogni dialogo, convergenza, tavolo per riforme condivise: avremo una sinistra dipietrizzata, divisa tra il millesimo distinguo morale e il consueto contrattacco moraleggiante. La sinistra che può «avere una banca» ma non volle vedere Primo Greganti, che sopportò i bombardamenti jugoslavi ma non l’espressione «barca a vela», che prendeva «contribuzioni sistematiche al pari degli altri partiti» (processo Enel di Mani pulite, uno dei tanti) e che frattanto si procacciava finanziamenti anche a Est, dove puntavano i missili contro di noi. Doppiezza consueta, storica. Prepariamoci a uno spettacolo insopportabile. Diranno che sono mele marce, anche se sono cachi maturi.

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Il sospetto, c’è Di Pietro dietro i magistrati

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Nessuna «dietrologia o ricerca di regie occulte» dietro la raffica di inchieste che sta colpendo il Pd, dice Goffredo Bettini . Ma che ci sia «un attacco politico verso il partito» che passa anche per «l’aggressione dei media», questo per il coordinatore del Pd è certo.
È un partito tramortito, quello che si risveglia sotto la soglia psicologica del 20% all’indomani dell’uno-due di manette e disastro elettorale abruzzese. Lunedì sera l’arresto di D’Alfonso, segretario regionale d’Abruzzo; ieri mattina quello di Margiotta, deputato ex Dl lucano. Da giorni, voci confuse e tam tam inquietanti su prossimi nuovi cicloni in arrivo, dalla Calabria alla Liguria, con nomi importanti nel mirino. Nelle file Pd si respira allarme e girano interrogativi. Nessuna «teoria del complotto», avverte Bettini. Ma i sospetti circolano eccome: c’è chi confida la sua certezza che dietro la mobilitazione anti-Pd delle Procure ci sia «la manina di Di Pietro», c’è chi denuncia un «cecchinaggio mirato» che sta colpendo apparati soprattutto dalemiani e chi - anche ai piani alti - teme invece una manovra di «pezzi di establishment» economici e giornalistici contro la leadership del Pd, e considera sospette certe «eccessive sponsorizzazioni giornalistiche» di personaggi «nuovi» come il sardo Soru.
Nel clima di assedio, Veltroni vorrebbe almeno un ricompattamento interno, per uscire senza strappi dalla direzione di venerdì. Un voto largo alla sua relazione. Ma dalemiani e fassiniani dicono che «nulla è scontato». Prima, avverte uno di loro, «vogliamo capire se il segretario affronterà davvero i problemi o continuerà a rimuoverli, sostenendo che le evidenti difficoltà del Pd sono solo un’eredità del passato». Che invece è proprio la linea di Veltroni: «Ogni volta che il vecchio ci si attacca ai piedi paghiamo un prezzo, quando invece il Pd è il Pd, i risultati vengono», dice, ammettendo che il risultato abruzzese è «particolarmente negativo», ma mettendolo in carico al «vecchio modo di far politica» dei gruppi dirigenti di Ds e Margherita. Che quindi vanno rapidamente cambiati per far posto al «nuovo» veltroniano.
Quanto a Di Pietro (su cui Follini chiederà in direzione una conta, per rompere l’alleanza) l’analisi del voto illustrata ieri al coordinamento dice che non è lui la causa delle disgrazie: «Il Pd perde 170mila voti, Idv ne guadagna solo 20mila: il travaso è minimo, il resto dei nostri elettori si sono astenuti», spiegano i veltroniani. Si tratta di «malessere e protesta verso la politica», e non solo quella Pd visto che «anche il Pdl ha perso 100mila voti». Sulla questione morale bisogna continuare ad essere «severi», per non esser scavalcati da Di Pietro, metter mano a «un vero ricambio» negli apparati e fissare paletti ben chiari alla trattativa sulla riforma della giustizia per non farsi attaccare dall’ex pm. E chi cade nelle reti delle inchieste non si aspetti solidarietà: una linea che non piace per nulla all’ala garantista del Pd. Che, dalemiani in testa, annuncia battaglia.

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Il nuovismo dell’Idv: riciclare la prima Repubblica

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

A Montenero di Bisaccia si sbotterà più o meno così: «Non c’azzecca nulla». Figuriamoci, come si può pensare che l’Italia dei Valori non sia sinonimo di rinnovamento, quando ha un leader ormai «portavoce» del popolo web? Ma dài, cosa vuol significare che 6 parlamentari su 10 abbiano mosso i primi passi nella vecchia Dc? La stessa, guarda caso, di cui proprio l’ex Pm si occupò a lungo ai tempi di Mani pulite? E poi, a chi importa se la dirigenza è di «derivazione cattolico-democratica», visto che lui, Antonio Di Pietro, da un bel po’ carica video su Youtube, da quel dì ha il suo avatar su Second life, da chissà quando si interfaccia su Internet con un sito gestito da chi cura il blog di Beppe Grillo?
D’accordo, si sa, il molisano, sul fronte comunicazione, è rock. Ma del suo partito, che ha compiuto dieci anni, al di là che c’azzecchi o meno, che si sa? È lento o no? E chi ha formato il suo apparato? Pino Pisicchio, deputato di lungo corso e ricercatore di scienza della politica, colma una lacuna e manda in libreria il primo saggio ad hoc, Italia dei Valori. Il post-partito (Rubbettino editore). E al terzo capitolo apre con un quesito: «Un ceto dirigente centrista?». Risposta affermativa. Basta infatti fermarsi a pagina 55 per leggere innanzitutto che «anche l’Idv è debitrice di qualcosa alle grandi famiglie politiche e culturali del novecento». Un debito non di poco conto, però, se «il 57,14%» dei suoi 42 parlamentari, in larga parte con esperienze di governo locale, «proviene dall’area che potremmo definire “cattolico-democratica”».


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Anche la Sardegna a rischio tracollo

>>Da: andreavisconti
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Non c’è solo l’Abruzzo a tormentare i sogni del Partito democratico. Anche in Sardegna, se si votasse oggi, il centrosinistra perderebbe e il Popolo della libertà conquisterebbe il governo della regione. A fare il punto sull’emorragia di consensi nell’isola sono stati i riformisti sardi riuniti in assemblea. La rivelazione - riportata dall’Unione Sarda - è venuta da Antonello Cabras: «Oggi, nelle intenzioni di voto, in Sardegna il Pd è 13 punti dietro il Pdl». Per questo gli oppositori del governatore Renato Soru (nella foto), vorrebbero evitare le elezioni.
A puntare sul voto anticipato è invece il centrodestra e lo stesso Soru. Le elezioni sembrano sempre più probabili anche alla luce della nomina, avvenuta lunedì, dell’assessore ai Lavori Pubblici, Franco Mannoni, a vicepresidente della Giunta, che molti interpretano come anticamera della conferma delle dimissioni da parte del governatore.

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Il Pd al tramonto? No, all’Alba La Parietti: mi offro per salvare il partito

>>Da: andreavisconti
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Chi ha detto che il Pd è al tramonto? Tutt’altro, è all’Alba, ma nel senso di Alba Parietti.

Una coscialunga li salverà. Massì, il tonfo in Abruzzo, la Campania al collasso, il sindaco arrestato a Perugia, che problemi sono se ora scende in campo lei, la vamp della sinistra intelligente, le labbra più progressiste d’Italia, il fondoschiena democratico di Alba Parietti? Non ci sarà un leader forte, ma almeno c’è un’annunciatrice bona. Meglio di niente. C’è bisogno di gente in gamba nel Pd? Eccola, più gamba di così. «Vista la comatosa situazione del partito, non escludo che alle prossime primarie, tra quattro anni o comunque quando si svolgeranno, io possa concorrere», dice Alba al massmediologo Klaus Davi. Dopo il Festival di Sanremo con Pippo le primarie con Walter, dai pizzini di La Torre alle calze in pizzo. Dal Loft al lift(ing). Del resto con la sinistra Alba condivide molte cose, lo snobismo per le masse incolte per esempio: «Gli italiani non sono culturalmente interessati alla politica, che è una cosa seria: meglio che parlino di sederi e di tette», disse una volta. Ma con la sinistra condivide pure la tragicomica incoerenza: «Non credo ci sia niente di male se ogni tanto faccio vedere il culo», disse un’altra volta. E di culo, per parlar sottile, i Democratici ora ne hanno veramente bisogno. Dice Alba che Veltroni in passato le sconsigliò la carriera politica: sei troppo primadonna, qui dovresti vedertela con altri. Strano, proprio lui che ha scritto «La scoperta dell’alba». Oltre a dalemiani, veltroniani, rutelliani etc, a quel punto ci sarebbe anche la corrente dei pariettiani. La fiducia deve essere il collante del Paese, pardon, il collagene. Alba dice di masticare la politica fin dalla culla: «Mio padre mi dava il biberon e mi parlava di grandi idealità, e una volta cresciuta mi portava a manifestare il 25 aprile». La sua filmografia testimonia inequivocabilmente l’impegno civile di Alba: «I miracoloni», «Sapore di sale», «Abbronzatissimi», «Bye Bye Baby», «Saint Tropez», «Il macellaio», «Paparazzi». Alba comunque già scopre le carte, e dice che una volta candidata non starebbe con Veltroni, che «si è perso», ma con D’Alema, «il più lucido in seno a quello che resta della sinistra». E parla una che di seno se ne intende. Ma Alba è sempre stata attratta dalle cose intelligenti, non è un caso che sia stata fidanzata con Stefano Bonaga, filosofo bolognese conosciuto negli ambienti filosofici per la sua relazione con Alba Parietti. Se non le danno le primarie, che almeno le diano la prima serata.

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Michele Brambilla: La sinistra snob: "Perdiamo? Colpa del gossip"

>>Da: andreavisconti
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La rivincita è arrivata in contemporanea alla sconfitta: mentre ancora era in corso lo spoglio delle schede che sancivano l’ennesima prova del distacco tra gli italiani e quella cosa ancora informe, indistinta, non chiarita che è l’eredità del Partito comunista, la sinistra ha ribadito la propria superiorità culturale, intellettuale, etica e morale prendendo a sberle il mondo dei buzzurri berlusconizzati che si nutrono di gossip, di apparenza, di tv spazzatura. Punching ball del Paese sano, erudito e de sinistra è stato Alfonso Signorini, direttore di Chi e di Sorrisi e Canzoni Tv, preso a sberloni da Gad Lerner e da alcuni illuminati durante L’infedele dell’altra sera, su La7. La puntata aveva per tema «Perché siamo tutti vanitosi?» e Signorini, che è una persona spiritosa ma forse anche un po’ troppo candida, aveva accettato l’invito credendo - ma pensa un po’ - che il tema fosse proprio quello: perché siamo tutti vanitosi. Invece s’è capito subito che quel «tutti» non era proprio un «tutti»: Gad Lerner già dall’introduzione ha fatto intendere dove si stava andando a parare rivendicando il proprio snobismo, che «contrasta oggi con il gusto di un’esibizione forte», la quale ostenta «fortuna, capacità seduttive e perfino ricchezza a più non posso come strumento di consenso e formazione del potere». Chissà a chi alludeva.
Rapida presentazione degli ospiti: Signorini, appunto, e poi Franco Cordero, il professore che scrive dottissimi articoli su Repubblica non cedendo mai al turpiloquio (e infatti non scrive «Berlusconi», scrive «B.»); i filosofi Gianni Vattimo e Laura Bazzicalupo, Maria Laura Rodotà del Corriere della Sera e l’architetto Quirino Conti, che è stato il curatore della «fisicità» (non dell’immagine: della «fisicità») del presidente della Provincia di Milano Filippo Penati del Pd, e che ha vinto puntando sulla «sobrietà».
Si è capito subito, dicevamo, dove si voleva andare a parare. Gad Lerner ha preso in mano un numero di Chi (bello o brutto che sia, è uno dei settimanali più diffusi in Italia) e l’ha fatto girare tra le mani dei suoi ospiti. L’avete mai vista, questa roba qui? Franco Cordero, che è un uomo di un altro livello rispetto agli esibizionisti immortalati da Chi, e infatti era in studio con una giacca a quadri anni Settanta e un paio di scarpe da trekking (indispensabili, in uno studio televisivo) ha giurato: mai visto prima questo giornale, né ne ho mai sentito parlare. E lei, professor Vattimo? «Mah, forse sapevo dell’esistenza, credo di aver visto la pubblicità, ma non l’ho mai maneggiato», ha detto Vattimo, che i giornali non li legge: li maneggia. E lei, professoressa Bazzicalupo? Qualche volta sì, ma solo dalla parrucchiera, comunque non lo compro. Solo Maria Laura Rodotà - quella più con i piedi per terra, c’è parso - ha detto che come no, certo che lo legge, anzi le serve moltissimo per capire come va l’Italia.


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Gianni Baget Bozzo: C’è un tiranno a sinistra

>>Da: andreavisconti
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Le elezioni abruzzesi hanno avuto due protagonisti: Silvio Berlusconi e Antonio Di Pietro. E per oggetto il futuro della sinistra: se essa non ha altro linguaggio che il giustizialismo o se può diventare una sinistra europea. E l’astensione maggioritaria ha voluto segnare l’allarme per la democrazia italiana dovuta all’assenza di una sinistra democratica.
Di Pietro non è la democrazia, è la domanda dell’autorità staccata dal consenso che si determina solo con il giudizio penale. Il solo argomento dell’Italia dei valori è che la democrazia è corrotta e occorre un salvatore. E Antonio Di Pietro è questo.
La sinistra non ha compreso che Berlusconi è il volto della democrazia e lo ha combattuto come un tiranno, mentre il pericolo per la democrazia era nutrito nel suo seno. Quei suoi elettori che hanno rifiutato di scegliere tra Berlusconi e Di Pietro, chiedono una sinistra democratica.
Il Pd era andato alle elezioni dopo che era stato deposto dal suo incarico Ottaviano Del Turco, presidente della regione appartenente al Pd. Veltroni non ha difeso Del Turco, lo ha lanciato alle ortiche e si è affidato ai giudizi dei magistrati candidando l’uomo del partito dei magistrati. Ha cioè sconfessato se stesso e dato ragione a chi riteneva la corruzione essere la norma della regione Abruzzo governata dalla sinistra. Non è sicuramente dispiaciuto al segretario del Pd che il presidente deposto fosse un socialista noto, anzi la figura più significativa del vecchio Psi presente nel Pd. Ha preferito l’istinto antisocialista della tradizione comunista: e, conseguentemente ad esso, ha mantenuto la linea della delegittimazione radicale dell’avversario Berlusconi.


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Hamas e il trucco della «tregua senza tregua»

>>Da: andreavisconti
Messaggio 1 della discussione

Sarà per Hamas una semi-tregua non dichiarata e non ammessa, sotto la quale seguiterà a scorrere una determinazione indomabile e anche l’aspettativa segreta che presto una nuova occasione darà fuoco alle polveri. Venerdì è il giorno della scadenza del cessate il fuoco in atto con Israele dal 19 giugno. Tale tregua ha diminuito per sei mesi il carico di missili sulla città di Sderot (da dieci a tre di media) e frenato l’esercito nelle sue incursioni.
Ha, però, anche permesso che Hamas si armasse di missili molto più potenti capaci di arrivare a Ashkelon e a Ashdod, ben oltre Sderot, sempre arrostita a fuoco lento, e se le cose si scaldassero ne vedremmo una grande salva, fino alla perdita di pazienza di Israele, che è pronta a entrare, ma non riesce a decidersi a causa del soldato rapito Gilad Shalit nella mani di Hamas e della pressione internazionale. Cosa deciderà Hamas, dato che comunque Israele non mette in discussione la tregua e Amos Gilad, responsabile per il governo di ritorno dal Cairo, dice che non era prevista una data di scadenza?
Hamas in queste ore alza il prezzo: più apertura di passaggi, di merci, di vantaggi vari, ma Israele è adamantina: si resta come siamo, Shalit non è con noi, sparate su Sderot, siete amici di Iran, Hezbollah, Siria. Se ci sparerete, risponderemo. Ma Hamas gioca razionale: la sua scelta, tregua senza tregua, è parte della natura irriducibile che ha abbracciato e della sua strategia.
Ma deve sistemarsi nel suo nuovo ruolo di leva della jihad mondiale: per esempio, è ancora nella fase della sostituzione del partner egiziano con quello iraniano. Ha snobbato gli inviti di Mubarak di riunirsi con Fatah e di trattare su Shalit, ha rifiutato l’incontro di novembre con Abu Mazen al Cairo. Vede Mubarak come vede Abu Mazen: traditori filoisraeliani, ma deve attrezzarsi per sostenere il punto mentre ama mostrarsi come vittima di fronte al mondo. All’Iran che gli fornisce armi e training tramite il Libano e anche a Al Qaida con cui ha rapporti regolari, risponde con una politica generale di riscaldamento dell’area che, però, non vuole diventare subito scontro aperto.
Hamas vuole apparire un giocatore irriducibile, ma non è ancora pronto. Abu Mazen sembra determinato a dichiarare il prossimo 10 di gennaio che resterà presidente dell’Autorità palestinese oltre la scadenza del mandato e sembra preparato a resistere allo scontro con Hamas che lo vuole a casa. Ultimamente le sue operazioni di polizia nelle città del West Bank contro Hamas e la restituzione di 220 prigionieri da parte di Israele, gli hanno costruito spalle più larghe. Hamas non è pronto alla guerra su due fronti, e la lotta interna la può giocare tutta sull’estremismo, pane quotidiano nell’Ap.
Anche Abu Mazen, ricevuti i suoi prigionieri alla Mukata di Ramallah, ha subito alzato la posta e ha ripetuto che le offerte di Olmert ad Annapolis (da oggi centro di una risoluzione dell’Onu) non sono accettabili. Insomma, cerca la concorrenza a Hamas. Ma è dura competere: neppure Caligola ai suoi tempi, forse, avrebbe mostrato al pubblico sghignazzante la caricatura della sofferenza di Shalit, il ragazzo di leva di cui da 900 giorni si sa solo che è nelle mani di Hamas, come ha fatto domenica Ismail Haniyeh - capo di Hamas a Gaza - di fronte alla sua folla. L’orgia guerresca offriva un falso Shalit al pubblico trionfante, un attore che mostrava quanto è fifone un soldato israeliano prigioniero che chiama il babbo e la mamma. La folla s

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Jordi Pujol: Così ho creato il miracolo Catalogna

>>Da: andreavisconti
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È stato presidente della regione autonoma per 23 anni. Dio, federalismo e identità locale i suoi cavalli di battaglia. Oggi dice: «Col vostro Nordest siamo il motore d’Europa. Ma serve indipendenza economica»
Classe 1930. Jordi Pujol parla, racconta, sorride. Ascolta, ricorda. Nella Spagna di oggi i gay si sposano e possono avere figli. Riflette, sorride. «Il matrimonio per me esiste solo tra un uomo e una donna, ma ho sempre lottato per i diritti umani». Nel 1949 Jordi era solo un ragazzino che combatteva contro il franchismo. Appiccicava manifesti alle pareti, distribuiva fogli clandestini e correva via veloce. Fino a quando lo hanno preso. Arrestato e incarcerato per due anni nelle prigioni di Franco. I suoi sogni si realizzano quasi dieci anni dopo, quando nel 1974 fonda il partito Convergenza Democratica di Catalogna: il federalismo e l’identità catalana i suoi cavalli di battaglia. Il popolo catalano distinto e diverso da quello spagnolo, la lingua, la cultura lavoratrice, imprenditrice, produttrice. La Catalogna lo ama. Lo incorona. Le elezioni sono una vittoria totale. Nell’80 è il primo presidente della Catalogna. Continuerà a vincere ininterrottamente fino al ’99. Quel ragazzotto basso e tarchiato ce l’ha fatta. La Catalogna esiste. Il resto della Spagna resta a guardare questo piccolo miracolo economico che da solo traina il Paese intero. Sulle auto adesivi con l’asinello per rivendicare la distanza con il toro, simbolo nazionale. Jordi Pujol è nella storia di ogni catalano.
Cosa voleva dire essere catalano negli anni del franchismo?
«Erano anni duri, irrespirabili, soprattutto per noi catalanisti. In quegli anni il nazionalismo era più di una fede. Le rivendicazioni venivano punite con il carcere duro».
Si ricorda nei primi anni '70 la partita del Barcellona contro il Real Madrid? Qualcuno dice che quella partita di calcio simboleggia la fine del franchismo. Dov’era quel giorno?
«Fu una partita molto tumultuosa, ma definirla un simbolo della fine del franchismo è un’esagerazione. Quella partita fu il risultato di uno sbaglio dell'arbitro. Un errore grossolano, evidente, che aizzò gli animi dei tifosi. Giocavano due squadre che erano due mondi: il Barcellona, catalanista, antifranchista, il Real Madrid, che si diceva fosse la squadra di Franco, la superfavorita. Dopo l'errore dell'arbitro nello stadio scoppiò una rivolta. Ma io non c’ero. Io non mi sono mai mischiato. I miei interessi erano altri. Ma quello a Barcellona non è stato l'unico caso. Nel 1939, alla fine della guerra civile, il Barcellona rischiò la chiusura. Era accusato di catalanismo. Si rischiò la dissoluzione della società per imposizione politica del franchismo».
È vero che il partito catalano si è ispirato all'autonomismo sardo?
«No, il catalanismo esiste dalla seconda metà dell'800. Nasce prima di tutto come movimento culturale e intellettuale, e poi si sviluppa come movimento politico. Io personalmente posso dire di avere le mie proprie di idee. Io però ho conosciuto personaggi dell'autonomismo sardo e li stimo».
Cosa pensa di Bossi?
«Ma Bossi è venuto dopo rispetto a me».


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Paura nel cuore di Parigi

>>Da: andreavisconti
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Neutralizzati cinque ordigni piazzati nei bagni di Printemps da un gruppo rivoluzionario afghano

di Alberto Toscano
Parigi«I servizi di polizia stanno analizzando la natura dei prodotti che sono stati rinvenuti. Sappiamo comunque che non c’era miccia, né alcun sistema di detonazione. Stiamo anche analizzando il messaggio di rivendicazione. Per il resto io non posso che ripetere ciò che ho sempre detto: la Francia non può abbassare la guardia di fronte ai rischi terroristici», dichiara il presidente Nicolas Sarkozy a Strasburgo, dove è intervenuto di fronte al Parlamento europeo, nel commentare a caldo la notizia del ritrovamento di cinque ordigni esplosivi all’interno del grande centro commerciale parigino Printemps.
Ieri mattina la sede centrale dell’Agence France Presse (Afp, la principale agenzia di notizie transalpina) ha ricevuto una lettera attraverso i normali canali postali. All'interno della busta c’era un messaggio delirante, firmato da un misterioso Front révolutionnaire afghan, Fronte rivoluzionario afghano: «Se le truppe francesi non verranno ritirate dall’Afghanistan entro la fine del prossimo febbraio, la popolazione civile rischierà di pagare un prezzo molto elevato». Il messaggio aggiungeva che una notevole quantità d'esplosivo era stata collocata all'interno delle toilette, al terzo piano dei grandi magazzini Printemps Haussmann. La polizia ha immediatamente bloccato e evacuato il centro commerciale, situato a due passi dall’Opéra, al centro della capitale. Effettivamente sono stati rinvenuti cinque ordigni privi, però, del dispositivo d’innesco.
Immediatamente la capitale francese è stata avvolta da un’atmosfera di paura. Il pensiero di tutti è andato alle ondate terroristiche del 1995 e del 1986, quando esplosero alla cieca ordigni in mezzo alla folla. In particolare nel 1986 i terroristi, collegati a movimenti internazionali dell’estremismo islamico, seminarono sangue e panico in un grande magazzino del quartiere di Montparnasse. Le forze dell'ordine hanno bloccato per l’intera mattinata di ieri il quartiere commerciale del boulevard Haussmann, in cui si trovano anche i grandi magazzini Galéries Lafayettes.
Tanto Printemps che le Galéries Lafayettes sono abitualmente strapieni di folla nel periodo precedente le festività natalizie. Il terribile messaggio dei terroristi rischia di avere conseguenze non trascurabili su un’economia già segnata dalla crisi. Una parte dei francesi pensa ormai d’avere una ragione in più per rinunciare quest’anno agli acquisti natalizi.
La dinamica del «quasi attentato» rasenta l'incredibile. La settimana scorsa c’era già stato un falso allarme a Printemps e le misure di sicurezza erano state aumentate. Ci si chiede come sia stato possibile trasportare una quantità considerevole d’esplosivo all’interno di un grande magazzino teoricamente vigilatissimo. La ministra dell’Interno, Michèle Alliot-Marie, dice che i parigini e i francesi in genere possono stare tranquilli, perché le forze dell'ordine vigileranno sulla loro sicurezza. Una promessa a cui non sono più in molti a credere. La ministra insiste sul fatto che la miccia era assente dal pacco ritrovato nelle toilettes di Printemps, ma il messaggio dei terroristi è trasparente e suona nel modo seguente: «Noi siamo perfettamente in grado di colpirvi quando, come e dove vogliamo!». La Francia teme di rischiare il suo 11 settembre, così com’è accaduto agli Stat

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Peppino Caldarola: In gioco il futuro della sinistra

>>Da: andreavisconti
Messaggio 2 della discussione

Sopravviverà il Pd all'Abruzzo? La sconfitta è di quelle che fanno epoca. Il Pd è stato sopraffatto dalla questione morale, ha scoperto che i suoi elettori preferiscono restare a casa, sa che il suo segretario non è in grado di fare argine di fronte al discredito dilagante, è divorato dall'alleato Di Pietro.


Probabilmente nel Pd riprenderà la vecchia solfa dello scontro fra leader, forse cercheranno una tregua perché la casa brucia ma il partito che avrebbe dovuto insegnare la politica al mondo soffre per il "mal francese". In Francia la sinistra sta scomparendo. Ha cominciato a sparire dapprima il vecchio trinariciuto partito comunista, poi, dopo la morte di Mitterrand, è toccato ai socialisti. Anche loro hanno trovato il loro Veltroni nella bella Ségolène Royal che ha perso le presidenziali contro Sarkozy e dopo aver provato a riprendersi il partito è stata estromessa dalla ortodossa Martine Aubry. Il mal francese è lo stesso italiano. Nello scontro fra neo-tradizionalisti e nuovisti si intravvede la grande fuga degli elettori e dei militanti.

La Francia, e con l'esempio finisco qui, aveva alle spalle un ciclo di vittorie socialiste e la conclusione del regno mitterandiano. Si chiudeva un'epoca dominata da una forte personalità che non aveva lasciato spazio alla crescita di nuovi leaders. Il buon Lionel Jospin aveva giocato le sue carte ma il cimento si era rivelato superiore alle sue forze.

Qui, in Italia, la sinistra non esce da un ciclo virtuoso. Dalla fine della Prima Repubblica si comporta da fortunata sopravvissuta messa sotto pressione da un dirompente Berlusconi a cui solo il pugnace Romano Prodi è riuscito a fare due volte goal. Il declino della sinistra non nasce dalla fine di un'epoca imperiale di successi ma dal mancato inizio del Rinascimento. Alla cultura scolastica della Chiesa comunista non è seguita la stagione della libera ricerca ma l'affanno dei baroni dimezzati che hanno cercato di costruire un nuovo reame sulle fragili basi dell'accordo fra di loro. Finché uno di loro non ha giocato la carta personale e di qui è iniziata la rovina.

L'ultimo tentativo, infatti, l'evanescente Pd della gestione veltroniana, si è rivelato il più disastroso perché il nuovo partito ha perso voti a sinistra e non ne ha guadagnati al centro né a destra. Veltroni cerca di sottrarsi a questa ecatombe fingendo di essere appena arrivato e di aver ereditato il disastro dagli altri baroni dimezzati. Inutile confutare questa auto-rappresentazione di un leader che è al vertice del potere nella sinistra da vent'anni. Inutile ironizzare sulla pretesa che il vecchio siano gli altri, D'Alema in particolare, e lui sempre il rappresentante del nuovo. È bene attenersi ai fatti. Il fatto abruzzese dice che il Pd è andato in battaglia dopo aver rinunciato a presentare un proprio candidato e scegliendo come leader l'uomo di Di Pietro.

God Is great

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Jun 4, 2025, 8:17:58 PMJun 4
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Mi è stato diagnosticato il morbo di Parkinson quattro anni fa. Per oltre due anni ho fatto affidamento sulla levodopa e su diversi altri farmaci, ma purtroppo i sintomi continuavano a peggiorare. I tremori sono diventati più evidenti e il mio equilibrio e la mia mobilità hanno iniziato a peggiorare rapidamente. L'anno scorso, per disperazione e speranza, ho deciso di provare un programma di trattamento a base di erbe della NaturePath Herbal Clinic. Onestamente, all'inizio ero scettico, ma dopo pochi mesi dall'inizio del trattamento ho iniziato a notare dei cambiamenti concreti. I miei movimenti sono diventati più fluidi, ero più stabile sui piedi e, incredibilmente, i tremori sono scomparsi completamente. È stata un'esperienza che mi ha cambiato la vita. Mi sento di nuovo me stesso, meglio di quanto mi sentissi da anni. Se tu o una persona cara state lottando contro il Parkinson, vi consiglio vivamente di provare il loro approccio naturale. Potete visitare il loro sito web all'indirizzo www.naturepathherbalclinic.com.
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