Lettera a pezzi da un paese a pezzi
Primo pezzo. Una notte
Sarà una lettera a pezzi. Comincio a scriverla una notte che viene dopo un giorno col sole già alto appena prima delle cinque del mattino, col caldo che sale regolare e impietoso sopra i quaranta, oggi, come ieri e come domani, con il cielo che si è portato via le nuvole e non si sa dove le abbia nascoste, con la terra arsa che aspetta la pioggia da diciannove interminabili mesi, col ventilatore sparato addosso, col computer che sbuffa, con la gente che domani prima dell’alba sarà nei campi con la zappa in mano a scavare le buche che accoglieranno la semente appena la pioggia, prima o dopo, si deciderà di venire giù. Con tutto immobile, le foglie, l’aria, la luna, la notte.
Comincio a scriverla di notte - anche solo poche righe, tanto per cominciarla - perché solo ora mi sono ricordato che stamattina mi sono svegliato con l’idea della lettera che, per raccontare un paese a pezzi, sarà, appunto, una lettera a pezzi. Per questo primo pezzo, è tutto. Buona notte e alla prossima.
Prima del primo pezzo. Dal diario
Dal diario del 28 novembre 2024. “Stanno succedendo cose terribili in questi giorni in Mozambico. Manifestazioni e proteste nelle grandi città, la polizia che, nel tentativo di sedarle, spara ad altezza d’uomo uccidendo manifestanti inermi, ma anche passanti che sono lì per caso. Ieri a Maputo un blindato dell’esercito che procedeva a tutta velocità ha centrato intenzionalmente una manifestante, scaraventandola a vari metri di distanza. È viva per miracolo. La prima lettura di oggi - Apocalisse capitolo 18 - narra della caduta della grande Babilonia. Babilonia, simbolo dell’impero del male, di ogni regime oppressivo e corrotto di qualsiasi epoca della storia e di qualsiasi angolo del pianeta, che perpetua il potere con il sangue e la morte. Un giorno, Dio sa quando, cadrà anche la Babilonia che, da cinquant’anni, governa con l’ingiustizia e la violenza questo paese”.
Secondo pezzo. Babilonia
Il 9 di ottobre 2024 c’erano state le elezioni politiche, le decime dopo le prime avvenute nel 1994. Due anni prima, nel 1992, il Mozambico usciva da un regime a partito unico e da una guerra civile che in sedici anni aveva fatto più di un milione di morti.
Il Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico) governa ininterrottamente il Paese dal 1975, anno dell’indipendenza dal Portogallo. Prima, in tempi di guerra fredda, come partito unico di matrice marxista-leninista. Poi, in un contesto di democrazia di facciata, come partito-stato che controlla in maniera capillare praticamente tutto. Controlla l’economia, vale a dire i contratti miliardari con il capitale straniero che sfrutta le immense risorse naturali del paese: gas, carbone, litio, diamanti, grafite, oro, terre rare, legname. Ma controlla anche ogni ambito della vita sociale: per ottenere un qualsiasi posto di lavoro bisogna avere la tessera del Frelimo e non si può pensare di guadagnarselo presentandosi a mani vuote: il signor Ricardo ha lavorato un anno intero nelle piantagioni di canna da zucchero del sud per vedere suo figlio maestro elementare, mentre il signor Kinho ha dovuto vendere cinque mucche per mettere suo figlio a lavorare nella stazione ferroviaria. È il partito che toglie ai poveri per dare ai ricchi.
Così si spiega perché il Mozambico, pur essendo il terzo paese in Africa per riserve di gas stimate, il maggiore produttore di carbone del continente, il secondo produttore al mondo dopo la Cina di grafite (che è un componente essenziale delle batterie al litio), rimanga anche il decimo paese più povero del pianeta.
Terzo pezzo. 25, come le pallottole
Dicevamo delle elezioni del 9 ottobre. Ogni volta che ci sono le elezioni in Mozambico, il ritornello è sempre lo stesso: le più fraudolente di sempre. Evidentemente, come l’avverbio “sempre”, anche l’illegalità sembra non avere un limite. Prima di partire per le vacanze in Italia avevamo scelto i dodici osservatori elettorali che ci erano stati richiesti per i nostri distretti di Mutarara e Dôa dalla Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa Cattolica. Coraggiosi e bravi hanno documentato lo stesso che si è verificato in tutto il territorio nazionale: elettori che entravano nel seggio con decine di schede già votate a favore del Frelimo, voti degli altri partiti annullati, urne elettorali scambiate prima della fase di spoglio.
La notte del 18 ottobre, in pieno centro a Maputo, vengono uccisi due esponenti dell’opposizione. Uno è l’avvocato che stava preparando il ricorso contro risultati elettorali da consegnare al Consiglio Costituzionale la settimana successiva.
Vengono così indetti 25 giorni di manifestazioni e scioperi. 25 come il numero delle pallottole che hanno crivellato il corpo del giovane avvocato Elvino Dias. In tutte le grandi città migliaia di persone, soprattutto giovani e studenti, scendono nelle strade manifestando il loro dissenso in maniera pacifica e creativa. Per vari giorni, a mezzogiorno in punto, il paese intero si ferma per quindici minuti per cantare l’inno nazionale: al telegiornale mostrano Maputo paralizzata da file di macchine ferme che bloccano il traffico delle strade principali e della tangenziale. Altri giorni ad un orario prestabilito della sera si battono pentole con i fischietti in bocca. Altri giorni, per alcune ore, le strade vengono sbarrate: c’è chi in strada gioca a pallone, chi in strada balla, addirittura chi in strada cucina. È la protesta di un popolo intero non solo contro i brogli elettorali, ma contro un paese che non va: la corruzione sistematica, la mancanza di lavoro per i più giovani, l’ingiustizia sociale, gli ospedali che non hanno medicine, le scuole con classi da ottanta alunni nelle città e con i bambini a studiare per terra sotto un albero nelle campagne.
Protestare contro i brogli viene avvertito come un dovere perché le elezioni rappresentano la strada democratica per il cambiamento e per iniziare il cammino verso la costruzione di un paese migliore. Prima con i brogli e poi sparando ai manifestanti inermi ad altezza d’uomo, Babilonia vuole affossare questo cammino sul suo nascere.
Quarto pezzo. Digressione rurale
Mentre nelle città succede tutto questo, nelle zone rurali la vita prosegue nella sua ordinaria quotidianità, aspettando la pioggia che non arriva, ma anche con l’orecchio attento a quanto sta accadendo nelle aree urbane, perché se nessuno ha la televisione, tutti hanno un famigliare là.
Qui a Charre, come in buona parte del Paese, è il secondo anno di fame e siccità. A fine novembre arrivano i camion del World Food Program, il Programma Mondiale dell’Alimentazione delle Nazioni Unite: 50 kg di farina, 4 litri di olio e 4 kg di fagioli. Ma non per tutti. Dato che non ce n’è abbastanza, il Frelimo locale ha pensato bene di iscrivere nelle liste dei beneficiari solo i suoi sostenitori, facendo passare questo come premio in cambio della vittoria elettorale, lasciando fuori le famiglie che appartengono dichiaratamente ai partiti di opposizione ma, soprattutto, i veri poveri. Che noi conosciamo bene perché, oltre ad essere amici, li aiutiamo con farina, zucchero, sale e sapone una volta al mese da ormai quasi due anni, vale a dire da quando la carestia è iniziata.
I funzionari del WFP hanno fissato il giorno e il luogo per la distribuzione. È un caldo martedì di fine novembre e sarà sotto il grande baobab, vicino alla sede dell’amministrazione locale. Alla mattina presto convochiamo una ventina di amici poveri – quelli che ci stanno sul cassone posteriore del Toyota Land Cruiser – e con loro andiamo al luogo prestabilito. Ci sono quasi tutti: Simone il cieco, Flora la vedova, Manuel il lebbroso, Albino lo storpio, Chico lo zoppo, Bernardo che è sia cieco che zoppo…
Il responsabile della comitiva del WFP è rimasto a Mutarara. Viene informato che «il parroco è qui assieme ad alcuni poveri che non sono entrati nella lista». Aspettiamo circa tre ore, mentre vediamo tanti che stanno molto meglio dei nostri Simone, Flora, Chico e Manuel andarsene con i loro fagotti di farina, olio e fagioli caricati sulla testa. Più volte mi viene detto: «Signor padre, se vuole, può andare, la chiamiamo noi». Alla fine arriva il responsabile, il signor Ferdinando, che viene dalla città. Ci presentiamo, conversiamo un po’, chiede scusa, gli consegno la lista con i nomi dei poveri che avevamo preparato e mi promette che anche loro riceveranno quando ci sarà la prossima distribuzione.
La sera di quel martedì di novembre, al telegiornale, mostrano immagini terribili dalle città di giovani feriti o in fin di vita, avvolti in lenzuola grondanti di sangue e portati negli ospedali. La polizia ormai non ha nessuna remora e spara all’impazzata. Nel distretto di Morrumbala, a 70 km da qua, la popolazione esasperata ha bruciato le sedi del Frelimo e della polizia. Lo stesso succede altrove. Confesso che, pochi mesi fa, mai avrei immaginato quello che sta accadendo in queste settimane. La popolazione ha aperto gli occhi ma, soprattutto, ha vinto la paura. Anche perché ormai non c’è più nulla da perdere. Se non la vita.
Quinto pezzo. Succede a Natale
Sono passati due lunghi mesi e mezzo dal giorno delle elezioni e il Consiglio Costituzionale ha pensato bene di aspettare Natale per proclamare i risultati ufficiali, magari confidando nella distrazione generale delle feste. Così il 23 dicembre, viene solennemente proclamata la vittoria del Frelimo. È il finimondo in tutte le grandi città. La violenza prende il sopravvento anche tra la popolazione. Vengono attaccate e distrutte sedi delle istituzioni pubbliche e caserme della polizia. Anche nelle città c’è la fame: vengono assaltati e svuotati negozi, magazzini e supermercati. Nella ressa varie persone muoiono rimanendo schiacciate, altre sono uccise dalla polizia.
Il giorno di Natale, nella confusione generale del paese, 1534 detenuti evadono in massa dalla prigione centrale di Maputo. 34 sono uccisi sul posto nel momento della fuga, altri muoiono nei giorni successivi per le ferite riportate, altri ancora, la maggioranza, vengono brutalmente giustiziati dalla polizia dopo essere stati catturati. Un’associazione impegnata nei diritti umani, dopo opportuna investigazione, conclude che il totale dei detenuti uccisi è di 104 persone, la maggior parte delle quali sono seppelliti in una fossa comune.
Il 15 gennaio il candidato del Frelimo fa il suo giuramento come quinto Presidente della Repubblica de Mozambico. 527 sono le persone uccise dalla polizia in questi tre mesi. Il Frelimo prima ha rubato le elezioni. Subito dopo ha bloccato sul nascere il tentativo di apertura di un dibatto pubblico, uccidendo l’avvocato dell’opposizione che stava preparando il ricorso. Quando inaspettatamente sono cominciate le manifestazioni ha cercato di soffocarle nel sangue. Quando la situazione è degenerata, ha cominciato a fare appelli al dialogo e alla pace, spostando il fuoco dell’attenzione dalle elezioni fraudolente alla violenza urbana e utilizzando quest’ultima come motivo per screditare l’opposizione dinanzi all’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Apocalisse, capitolo 18, cade Babilonia. Noi, qui in Mozambico, aspettiamo ancora un po’.
Il profumo della prima pioggia. Ultimo pezzo da un paese che spera
Il 28 dicembre, qui a Charre, è caduta la prima pioggia. Quando sono diciannove mesi che non piove e gran parte della tua gente mangia una sola volta al giorno, ti ricordi anche l’ora: la prima pioggia ha cominciato a venire giù abbondante alle 19.40 del 28 dicembre 2024 e ha proseguito per più di due ore, accompagnata da lampi e tuoni che squarciavano il nero e il silenzio della notte di questo angolo di Africa. Quando cade sulla terra secca dopo così tanto tempo, ti ricordi anche il profumo che fa la prima pioggia.
Ho un sogno. Che questo paese profumi dello stesso profumo della prima pioggia. Che è il profumo della vita e della speranza, che sono più forti di tutto il resto, di Babilonia, della siccità, della carestia, di ogni ingiustizia e sopruso.
Allora, ti accorgi che c’è già il profumo della prima pioggia nelle mani del contadino che prepara per la semina il terreno ancora secco. C’è il profumo della prima pioggia nei volti dei giovani che vincono la paura e scendono nelle strade a protestare contro il regime rischiando la vita tra le pallottole della polizia. C’è il profumo della prima pioggia nelle trentotto comunità cristiane di queste due infinite parrocchie di savana che si allungano sulle rive dello Zambesi, composte da gente giovane, umile, che a malapena sa leggere, che crede nel Vangelo di Gesù e nel fatto che il suo Regno è già in mezzo a noi.
Ho un altro sogno più grande. Che il mondo intero profumi dello stesso profumo della prima pioggia. Quanto è secco, quanto è nauseabondo, un mondo nel quale i potenti fanno gara a chi investe più miliardi in armi, un mondo nel quale i migranti ancora vengono deportati, un mondo nel quale si vanno sempre più consolidando oligarchie che concentrano in poche mani potere economico, potere politico e potere tecnologico.
Credo fermamente in questo sogno, credo fermamente nelle persone che si impegnano affinché questo sogno diventi realtà. Credo fermamente nel potere della prima pioggia e nel suo profumo. Nella nostra lingua - il Sena - pioggia e Dio si dicono con la stessa parola: mulungu-pioggia e Mulungu-Dio. Qui, Dio, piove. E quando Dio piove, ha il potere di tirare fuori dalla terra il suo profumo più bello.
Continua a pioverci, Mulungu. Amen!
Charre, Mozambico, 29 gennaio 2025
p. Andrea
IMMAGINI
1. Giornata di preghiera per la giustizia, pace e riconciliazione postelettorale a Dôa, domenica 24 novembre.
2. Quarto pezzo. Digressione rurale. In partenza con Simone, Flora, Manuel, Albino, Chico, Bernardo e tutti gli altri.
3. Charre, battesimi dei bambini il giorno di Natale.
4. Chico con la figlia Carla davanti alla loro capanna. Carla ha perso la mamma tre anni fa e il fratello maggiore lo scorso anno.
5. Chico con la figlia Carla, due settimane fa, davanti alla loro nuova casa, costruita con i contributi di umanità che abbiamo ricevuto dopo il ciclone Freddy.