È movimento globale. Gaza parla anche di noi

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Sergio Brasini

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Sep 21, 2025, 1:19:42 PM (18 hours ago) Sep 21
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di Chiara Cruciati

È movimento globale. Gaza parla anche di noi

Il popolo palestinese è il simbolo delle minoranze e delle classi subalterne contro cui in tutte le società capitalistiche si accentua la repressioneLuigi Pintor, 1972

Siamo tanti ma l’avanzata apparentemente inarrestabile dell’internazionale nera ci aveva nascosti a noi stessi. Non ci siamo visti arrivare. Negli ultimi due anni, dalle macerie del movimento globale dei primi Duemila e grazie alla ricostruzione graduale operata dai movimenti ecologisti e transfemministi, è nato qualcosa. Si è agglutinato intorno al più scioccante orrore del nostro tempo, il genocidio di Gaza, ed è spuntato a ogni latitudine.

Dopo quello di giovedì voluto dalla Cgil, lo sciopero generale di Usb, Cub, Adl e Sgb di domani – a cui aderisce una galassia di organizzazioni e movimenti (dall’Anpi a Non una di meno, da Emergency ad Arci) – è un passaggio esistenziale da troppo tempo rinviato.

Le quasi 100 piazze italiane e lo slogan, «Blocchiamo tutto», guardano alle moltitudini che si sono svelate nelle metropoli del mondo. In Italia, frenato da particolarismi ed esclusivismi, un unico grande movimento ha faticato ad esprimersi. Ma ha fatto capolino, apparentemente spontaneo, del tutto imprevisto.

Come a Genova o a Roma: aspettavano qualche centinaio di persone ad abbracciare la Global Sumud Flotilla, ne sono arrivate decine di migliaia. In questo apparente spontaneismo e in quello slogan c’è una consapevolezza costruita in due anni di incontri, dibattiti, cortei: la Palestina non si ferma ai suoi confini, li supera, ci riguarda.

Quanto avviene a Gaza è anche una forma estrema e terrificante del capitalismo. L’eliminazione fisica di una popolazione considerata in eccesso, l’eliminazione degli indesiderati per garantire l’espansione – economica, culturale, politica, geografica – del sistema capitalistico-coloniale. Un sistema che, sotto altre forme meno violentemente mostruose, penetra nelle società occidentali e del sud globale.

Avviene da decenni, il popolo palestinese – «il simbolo delle minoranze e delle classi subalterne contro cui in tutte le società capitalistiche si accentua l’oppressione», come ha scritto Luigi Pintor – fa cadere la maschera.

È per questo che uno dopo l’altro, come una valanga, in Europa e nel mondo hanno preso posizione tante categorie di lavoratrici e lavoratori: docenti, operai, studenti, medici, infermieri, scrittori, registi, giornalisti, diplomatici, portuali.

Agiscono non solo sulla spinta dell’orrore e di un’empatia frustrata che cercava una collettività per non soccombere, ma guardando a cosa il genocidio di Gaza dice al nostro stato di diritto e ai nostri rapporti economici e sociali, terremotati dall’avanzata dei sovranismi neri.

Chiedono la fine del genocidio mentre chiedono la revisione delle basi fondanti i rispettivi settori lavorativi e la trasformazione del sistema economico neoliberista. Vogliono la disapplicazione delle regole del capitalismo escludente e la fine della marginalizzazione della “popolazione in eccesso” dentro le nostre comunità.

Che stesse nascendo, passo dopo passo, un movimento globale, le classi dirigenti lo hanno capito subito: hanno messo in moto la macchina della repressione del dissenso fin dal principio, dalle prime manifestazioni per la Palestina. Non tanto per difendere un alleato ma per difendere se stesse. E allora blocchiamo tutto.




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