https://www.lastampa.it/cronaca/2024/07/13/news/federico_faggin_non_batteremo_le_macchine_con_i_numeri-14471778/
Articolo di Arcangelo Rociola pubblicato oggi da La Stampa.
Federico Faggin: “Siamo fatti di coscienza e materia. Non batteremo le macchine con i numeri”
L’inventore del microprocessore: «Mi pento del mio scientismo: i calcoli non bastano a spiegare la realtà. Non arrendiamoci a diventare strumenti dell’intelligenza artificiale: la nostra interiorità ci rende superiori»
«L’umanità è a un bivio. O torna a credere di avere una natura diversa rispetto alle macchine, oppure sarà ridotta a macchina tra le macchine. Il rischio non è che l’Intelligenza artificiale diventi meglio di noi, ma che noi decidiamo liberamente di sottometterci a lei e ai suoi padroni».
Federico Faggin è uno dei più grandi inventori viventi. Forse il più grande inventore vivente. È il padre del microprocessore, il tassello su cui si fonda tutta l’informatica moderna, comprese la super capacità di calcolo dell’Ai. Vicentino, 83 anni, da 56 vive a Los Altos Hills, Palo Alto, California.
È tra gli uomini che più hanno contribuito all’accelerazione della tecnologia nell’ultimo mezzo secolo. Per decenni ha creduto nella tecnica. Nella sua capacità di replicare l’umano, la sua intelligenza e la sua coscienza. Faggin ci ha provato per anni.
Poi, verso la fine degli anni Ottanta, all’apice del successo professionale e economico, attraversa una profonda crisi esistenziale. Coronata da un episodio. “Il risveglio”, lo chiama oggi. Evento che lo porta a studiare e studiarsi. E ad elaborare insieme a Giacomo Mauro D’Ariano, professore di fisica teorica all’Università di Pavia, una teoria sulla coscienza e la realtà che affonda le radici nelle questioni tuttora più oscure e vertiginose della meccanica quantistica.
Faggin, le sue invenzioni hanno posto le basi della rivoluzione dell’informatica. È un fisico, un uomo di scienza. Eppure oggi racconta di un evento nella sua vita che le ha ribaltato ogni convinzione, ogni prospettiva.
«Lo racconto perché è stato un evento fondamentale. Prima di quella esperienza avevo accettato una visione del mondo riduzionista, la stessa che domina oggi il mondo della scienza e della tecnologia. Io stesso mi consideravo una macchina, sapevo di esserlo e volevo provarlo. A quel tempo studiavo la coscienza con l’ambizione di capire come funzionasse e replicarla in una macchina. Era diventata un’ossessione, ma non ci riuscivo».
Fino a quando non avviene il suo “risveglio”.
«Era la fine degli anni Ottanta, il periodo in cui impiegavo più energie a risolvere il problema della coscienza. Ero in vacanza sul lago Tahoe (California, ndr). Mi sono alzato di notte e tornando a letto ho sentito un’energia fortissima che veniva fuori dal petto. Un’esperienza che è durata diversi minuti e mi ha aperto le porte di un nuovo modo di vedere il mondo».
Cosa ha capito guardando dall’altra parte?
«Che cercavo di risolvere un problema impossibile. Che l’uomo e la sua coscienza non possono essere ridotti a macchine e materia. Che pensavo che il mio approccio riduzionista al mondo mi aveva portato ricchezza e felicità, ma non era così perché lo stavo facendo a condizione di abolire l’interiorità. Quella notte ho scoperto l’unione essenziale tra esteriorità e interiorità. Che la coscienza non nasce dalla materia. Ho capito che l’unica cosa importante da fare era studiare la coscienza, non per riprodurla in una macchina, ma per unire scienza e spiritualità».
A quell’esperienza seguono 30 anni di studi che la portano ad elaborare una teoria che si basa su una lettura dei campi quantistici, del collasso della funzione d’onda, declinandoli sul tema della coscienza e del libero arbitrio. Con D’Ariano mettete insieme ambiti di studio finora inconciliabili. Come pensa reagirà la comunità scientifica?
«Al momento è presto per dirlo. Ma la scienza già sa che non conosciamo la realtà solo con i numeri. Che non tutta la realtà è riducibile a materia. Nel mio libro sostengo che la coscienza e il libero arbitrio siano in grado di spiegare la fisica quantistica, non viceversa. Che è la coscienza che crea la matematica, non viceversa. C’è una parte di mondo, cosciente, interiore, che non si può calcolare ma si può solo esperire».
Alcuni penseranno che il suo è l’estremo tentativo di un’umanità detronizzata per riprendersi le redini del mondo postulando la propria superiorità.
«È possibile e si è liberi di pensarlo, ma i fatti sono fatti: bisogna spiegare come la coscienza emerge dalla materia, altrimenti l’accusa è vuota. E poi mi lasci dire una cosa».
Prego.
«È la scienza che dice che siamo macchine e materia. È un punto di vista accettato da tutti, direi dal 100 per cento della comunità scientifica e del mondo che oggi domina la tecnologia. Sono pochissimi quelli che hanno una mente aperta alla possibilità che il mondo possa non essere come la scienza vuole che sia, ovvero materialismo e riduzionismo».
È anche vero che la mela di Newton che cade in testa è un’esperienza che tutti possono avere per capire la gravità. Un risveglio di coscienza è per pochi fortunati.
«Ci sono metodi per provare qualcosa di simile. Non parlo di droghe di cui non ho esperienza e che non uso, ma anche alcune meditazioni o metodi di respiro portano a una percezione di sé diversa. Bisogna percepirsi come coscienza per avvicinarsi alla propria natura irriducibile».
È un’esperienza che un’intelligenza creata in laboratorio potrebbe avere?
«No, l’Intelligenza artificiale è simbolica, non capisce il significato di quello che elabora. Leggo il dibattito di questi mesi sulle macchine e il pericolo che spazzino via l’uomo, come lavoratore o persona. Ma ogni tentativo di assimilare l’umano alla macchina è un crimine contro l’umanità».
Il dibattito sull’avvento di una super intelligenza artificiale sembra andare in quella direzione. Lei ha dedicato diversi libri alla differenza tra uomo e macchina. L’ultimo - Oltre l’invisibile (Mondadori) - è forse il più accessibile al grande pubblico. In sintesi, cosa ci differenzia da un dispositivo intelligente?
«Che il nostro corpo, la nostra mente è supervisionato dalla coscienza e la coscienza non emerge dalla materia. Non è questione di capacità di calcolo e di intelligenza di calcolo, prima o poi una macchina ne avrà di più rispetto al nostro cervello. Ma è che la coscienza va oltre i numeri. Questa è la differenza fondamentale».
Tutte le paure su una super Ai sono infondate?
«Tutt’altro, sono vere. Ma in maniera diversa rispetto al dibattito attuale. Se continuiamo a convincerci di essere macchine diventeremo macchine. Il mio lavoro parte dalla comprensione dei limiti dell’Ai e di ciò che ci rende superiori. Ma bisogna capirlo, integrarlo in una visione del mondo. Altrimenti diventeremo strumenti tra gli strumenti, dimenticando la nostra natura più profonda per scelta».