La crisi nucleare iraniana: ipocrisia del TNP e nuove prospettive per il disarmo
Riflessioni sulle analisi e sulle proposte a New York (3MSP) dei Disarmisti esigenti
(di Alfonso Navarra, con l’aiuto di ricerche Google e Gemini. Si sollecitano osservazioni critiche sul rapporto. Una nuova stesura lo arricchirà di note esplicative).
Questi problemi faranno parte della discussione online che i Disarmisti esigenti organizzano, nell’ambito di STOP REARM EUROPE, per il 27 giugno, dalle ore 17:00 alle ore 20:00.
SI partecipa andando al seguente link:
https://us06web.zoom.us/j/88436423243?pwd=xQj2ANitRlkZTSRn9vDgbqxV4fMQQV.1
Sommario
La recente escalation della vicenda nucleare iraniana, culminata con gli attacchi (criminali!) agli impianti nucleari del regime autocratico degli ayatollah, ha messo in evidenza le profonde tensioni e le percepite incongruenze del sistema globale di non proliferazione nucleare. Questa situazione funge da microcosmo delle sfide sistemiche che il regime di non proliferazione globale deve affrontare, evidenziando le tensioni intrinseche tra i pilastri del Trattato di Non Proliferazione (TNP) e l'urgente necessità di rinnovati sforzi diplomatici. Il presente articolo analizza la traiettoria storica del programma nucleare iraniano, le realtà tecniche dell'arricchimento dell'uranio e il ruolo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). Esamina criticamente il TNP, sottolineando le sue debolezze strutturali e l'insoddisfazione per il mancato progresso nel disarmo. Uno degli aspetti centrali della “truffa” del TNP sarebbe quello di avere legittimato gli arsenali delle potenze nucleari in cambio del “diritto” degli Stati firmatari a sviluppare l’”atomo di pace” (sic!) con l’aiuto delle suddette potenze. Vengono poi esplorati il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) come alternativa normativa (“pilastro”) e la politica di "No First Use" (NFU) come misura per ridurre il rischio di conflitto nucleare. Il quadro complessivo rivela un sistema di governance nucleare internazionale in crisi e sotto forte pressione, dove le ambizioni nazionali, le dinamiche di deterrenza e le aspirazioni al disarmo si scontrano, rendendo imperativa una ristrutturazione degli approcci (un ribaltamento!) per garantire la sicurezza globale dal punto di vista della sopravvivenza dell’umanità.
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Introduzione: La crisi nucleare iraniana e il paesaggio in evoluzione della Non-Proliferazione
Il programma nucleare iraniano rappresenta da decenni una fonte persistente di preoccupazione e tensione a livello internazionale. Si può discutere, rispetto all’arsenale israeliano (rivelato e documentato da Vanunu nel 1986) dei due pesi e delle due misure, ma la situazione è questa. Si è arrivati a un punto critico in questi giorni, con gli attacchi (criminali!) agli impianti nucleari iraniani. In particolare, il 13 giugno 2025, Israele ha lanciato l'operazione "Rising Lion", un'offensiva militare che ha colpito diverse infrastrutture nucleari e missilistiche iraniane, inclusi siti chiave come Natanz. Successivamente sono entrati in gioco gli Stati Uniti con l’operazione (criminale!) “Midnight Hammer”.
Le ultime notizie (il 24 giugno di prima mattina, ora di Roma) parlano di un cessate il fuoco annunciato dal presidente americano, ma quello a cui si sta assistendo è caratterizzato da continui colpi di scena, per cui è saggio aspettare il decorso degli eventi in un contesto dominato dall’incertezza e dall’aleatorietà.
È importante osservare l’evoluzione di diversi aspetti, tra i quali il balletto delle dichiarazioni ufficiali dei leader politici che si susseguono e i movimenti delle forze militari delle parti in conflitto. Attacchi inaspettati di una certa entità potrebbero determinare un ritorno alle ostilità.
Il contesto sopra tratteggiato di escalation militare e di ambiguità nucleare ha riacceso un dibattito critico sulla validità e l'efficacia del regime globale di non proliferazione. La discussione si concentra su diversi interrogativi fondamentali: l'asserita "ipocrisia" del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP), che promette il diritto all'uso civile dell'energia nucleare pur legittimando il possesso di armi atomiche da parte di alcune potenze; la delicata distinzione tra l'arricchimento dell'uranio per scopi pacifici e la sua potenziale conversione per la costruzione di ordigni militari; e la crescente richiesta di un nuovo paradigma per il disarmo, incarnato dal Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) e dalla proposta di una politica di "No First Use" (NFU) per ridurre il rischio di guerra nucleare accidentale.
Il presente articolo si propone di analizzare queste dinamiche complesse, fornendo un quadro approfondito delle sfide che il mondo deve affrontare nella gestione della minaccia nucleare
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PREMESSA - LA DEFINIZIONE DI TECNOLOGIA DELLA POTENZA
Il nucleare non va considerato, anche nel «civile», una semplice soluzione tecnologica “neutra”, da sottoporre a valutazioni di costi e altri parametri «normali». Il legame strettissimo tra usi civili e usi militari, facilmente documentabile, fa entrare in gioco il concetto illuminante di «tecnologia della potenza».
Il sintomo più evidente che la tecnologia nucleare “civile” ha ben poco a che fare con una soluzione per il futuro energetico e climatico sta nella sua evidente inidoneità sotto qualsiasi parametro la si voglia oggettivamente valutare.
“Tecnologia della potenza” sta per il valore delle applicazioni tecnologiche, con alta intensità distruttiva, e facile e immediata applicazione bellica, non nella produzione energetica in senso tecnico, ma nei giochi di potere internazionale e strategici, che conta in modo determinante, specialmente in termini di «deterrenza» ed anche di impatto geopolitico.
La disponibilità di tecnologia nucleare può influenzare le relazioni internazionali, la capacità di un paese di proiettare ed imporre la propria influenza in termini di egemonia; ed anche ridurre la dipendenza energetica, per le produzioni ad alta intensità, come quelle delle industrie della difesa, nel caso del civile. A maggior ragione questo vale per la disponibilità, da parte di uno Stato, di armi nucleari!
Si parla, in sostanza, della possibilità di esercitare controllo e pressione intimidatoria sugli altri attori del gioco della potenza (diciamo pure di ricatto, come ad esempio è stato plasticamente dimostrato nel dialogo TV Trump-Zelensky). Il potere impattante si traduce in quella forza di coazione indispensabile per l’egemonia e/o il dominio (basta solo la minaccia della forza armata per rendere concreto questo valore qualitativo inestimabile nei puri calcoli economici quantitativi!).
In sintesi, ecco individuate le caratteristiche di una “tecnologia della potenza”, atteso che potremmo inserire, ad esempio, anche l’intelligenza artificiale in questa categoria.
Alta potenzialità distruttiva (mette in campo alte energie intensamente focalizzate e l’uso può determinare impatti catastrofici sull’ambiente naturale e umano)
Complessità di conoscenza, manipolazione e gestione di accesso limitato e selezionato
Concentrabilità del controllo nelle varie fasi del ciclo produttivo, tendenzialmente oligopolistico se non monopolistico
Alti costi e scarsità nel reperimento delle risorse occorrenti per la lavorazione
Considerazione che gode lo Stato (elevazione di rango geopolitico) che ne ha la disponibilità
… e, soprattutto, immediata ed efficiente/efficace adattabilità agli usi bellici!
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Conclusioni
La vicenda del nucleare iraniano, con i recenti (criminali!) attacchi e le minacce di ritiro dal TNP, ha messo in luce le profonde vulnerabilità e le tensioni intrinseche che affliggono il regime globale di non proliferazione. Il TNP, pur essendo la pietra angolare del sistema, è percepito da molti come ipocrita a causa del suo "doppio standard" che legittima il possesso di armi nucleari da parte di pochi, mentre impone rigidi obblighi di non proliferazione agli altri. La vaghezza dell'Articolo VI del TNP, che impegna gli stati nucleari al disarmo senza una scadenza chiara, unita alla continua modernizzazione dei loro arsenali, ha generato una crisi di legittimità e sfiducia.
L'Iran, con il suo arricchimento dell'uranio al 60%, dimostra come la natura a duplice uso della tecnologia nucleare, “TECNOLOGIA DELLA POTENZA”, possa essere strategicamente sfruttata, mantenendo una capacità di soglia vicina all'armamento pur negando intenti militari. Questa situazione, aggravata dagli attacchi militari esterni, crea un circolo vizioso: la pressione esterna può spingere stati come l'Iran a considerare il ritiro dal TNP, minando ulteriormente l'efficacia del regime e aumentando il rischio di una proliferazione a cascata.
In questo contesto, il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW) emerge come un'alternativa normativa, spinta dalla società civile, che mira a criminalizzare completamente le armi nucleari. Sebbene il TPNW sia stato concepito per essere compatibile con il TNP, la sua esistenza evidenzia il disaccordo politico fondamentale sul percorso verso il disarmo. La politica di "No First Use" (NFU) offre un'ulteriore via per ridurre il rischio di guerra nucleare accidentale, chiarendo le dottrine di deterrenza e promuovendo la stabilità. Tuttavia, la sua adozione è ostacolata dalle preoccupazioni degli stati nucleari e dei loro alleati riguardo all'impatto sulla deterrenza estesa.
In sintesi, il regime di non proliferazione si trova di fronte a una scelta critica: continuare con un approccio che ha dimostrato limiti e generato sfiducia, o evolvere verso un sistema più equo e solido nelle sue basi concettuali. La risoluzione della crisi nucleare iraniana e la prevenzione di future proliferazioni dipenderanno dalla capacità della comunità internazionale di affrontare le radici di questa "ipocrisia" percepita, di rafforzare gli obblighi di disarmo e di promuovere misure di riduzione del rischio che possano ripristinare la fiducia e garantire una sicurezza collettiva più duratura.