11 Novembre 2009
ECUMENISMO
Ma Nestorio non era così «eretico»...
L’11 novembre è il quindicesimo anniversario della firma della
«Dichiarazione cristologica comune» tra Giovanni Paolo II e il
patriarca della Chiesa assira dell’Oriente, detta nestoriana, Mar
Dinkha IV. Fu un avvenimento straordinario. Il testo adottato riveste
grande importanza teologica, politica e simbolica, poiché mette fine a
controversie cristologiche che hanno lacerato la cristianità per 1500
anni, dal concilio di Efeso nel 431)!
Bisognerebbe aprire un dibattito sulla cristologia di Nestorio (le due
nature di Cristo, la Vergine Maria) e sul modo in cui è stato trattato
a partire dal V secolo, con le incomprensioni che si sono susseguite e
le ingiustizie commesse. L’interpretazione dell’unione delle due
nature, divina e umana, di Cristo in un’unica persona e la sua
conseguenza, ossia il fatto che Maria sia Madre di Dio, Theotokos, o
Madre di Cristo, Christotokos, hanno separato per moltissimo tempo la
Chiesa dell’Oriente dalle altre Chiese (Roma, Bisanzio, Antiochia,
Alessandria…) e sono all’origine di tensioni, conflitti e lacerazioni
che hanno lasciato strascichi spiacevoli sotto tutti gli aspetti.
Accusati di eresia e anatemizzati, i «nestoriani» furono severamente
esclusi dalla casa ecclesiastica comune. Errore o malinteso? Ecco cosa
dice la dichiarazione conciliare Unitatis redintegratio dell’11
novembre 1994: «Le controversie del passato hanno condotto ad anatemi
pronunciati nei confronti di persone o di formule. Lo Spirito del
Signore ci accorda di comprendere meglio oggi che le divisioni così
verificatesi erano in larga parte dovute a malintesi». Nel suo
discorso durante la cerimonia di firma del documento, Giovanni Paolo
II parlò di «ambiguità e incomprensioni del passato».
La dichiarazione adotta una nuova lettura teologica delle controversie
cristologiche e mariologiche di un tempo, constatando piuttosto le
convergenze positive tra le due Chiese in uno spirito di rispetto
reciproco: «Il Verbo di Dio, la seconda Persona della Santa Trinità,
per la potenza dello Spirito Santo si è incarnato assumendo dalla
Santa Vergine Maria un corpo animato da un’anima razionale, con la
quale egli fu indissolubilmente unito sin dal momento del suo
concepimento. Perciò il nostro Signore Gesù Cristo è vero Dio e vero
uomo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità,
consustanziale con il Padre e consustanziale con noi in ogni cosa,
eccetto il peccato. La sua divinità e la sua umanità sono unite in
un’unica persona, senza confusione né cambiamento, senza divisione né
separazione. In lui è stata preservata la differenza delle nature
della divinità e dell’umanità, con tutte le loro proprietà, facoltà ed
operazioni».
«Ma la divinità e l’umanità sono unite nella persona dello stesso ed
unico Figlio di Dio e Signore Gesù Cristo, il quale è l’oggetto di una
sola adorazione. Cristo pertanto non è un "uomo come gli altri" che
Dio avrebbe adottato per risiedere in lui ed ispirarlo, come è il caso
dei giusti e dei profeti. Egli è invece lo stesso Verbo di Dio,
generato dal Padre prima della creazione, senza principio per quanto è
della sua divinità, nato negli ultimi tempi da una madre, senza un
padre, per quanto è della sua umanità. L’umanità alla quale la Beata
Vergine Maria ha dato la nascita è stata sempre quella dello stesso
Figlio di Dio. Per questa ragione la Chiesa assira dell’Oriente eleva
le sue preghiere alla Vergine Maria quale "Madre di Cristo nostro Dio
e Salvatore". Alla luce di questa stessa fede, la tradizione cattolica
si rivolge alla Vergine Maria quale "Madre di Dio" e anche quale
"Madre di Cristo". Noi riconosciamo la legittimità e l’esattezza di
queste espressioni della stessa fede e rispettiamo la preferenza che
ciascuna Chiesa dà ad esse nella sua vita liturgica e nella sua pietà.
Tale è l’unica fede che noi professiamo nel mistero di Cristo».
Fine delle condanne! La dichiarazione non è arrivata ex nihilo. Il
Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II Unitatis
Redintegratio aveva già riconosciuto le differenze legittime in seno
alla Chiesa, nelle considerazioni specifiche relative alle Chiese
orientali (capitolo III, par. 14-18). Per quanto concerne il carattere
particolare degli orientali riguardo alle questioni dottrinali, vi si
legge: «Ciò che sopra è stato detto circa la legittima diversità [in
materia di culto e di disciplina] deve essere applicato anche alla
diversa enunciazione delle dottrine teologiche. Effettivamente
nell’indagare la verità rivelata in Oriente e in Occidente furono
usati metodi e cammini diversi per giungere alla conoscenza e alla
confessione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni
aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più
adatto e posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro, cosicché
si può dire che quelle varie formule teologiche non di rado si
completino, piuttosto che opporsi. Per ciò che riguarda le tradizioni
teologiche autentiche degli orientali, bisogna riconoscere che esse
sono eccellentemente radicate nella Sacra Scrittura, sono coltivate ed
espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione
apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici
orientali, e tendono a una retta impostazione della vita, anzi alla
piena contemplazione della verità cristiana» (n. 17).
Come si può constatare, si è lontani dall’uniformazione e dalla
latinizzazione di un tempo. Un esempio. All’epoca della prima unione
dei nestoriani con Roma, il metropolita dei caldei di Cipro Timoteo
faceva la seguente professione di fede, il 7 agosto 1445 al Concilio
di Firenze: «Io Timoteo, arcivescovo di Tarso, metropolita dei caldei
di Cipro, per me e per tutti i miei popoli che sono a Cipro professo,
faccio voto e prometto a Dio immortale, Padre, Figlio e Spirito Santo,
e a te, santissimo e beatissimo Padre, papa Eugenio IV, e a questa
santissima sede apostolica e a questa venerabile assemblea, che d’ora
innanzi resterò sempre sotto la tua obbedienza e quella dei tuoi
successori e della santissima Chiesa romana, come sotto l’unica madre
e capo di tutte le altre (…) che d’ora innanzi sosterrò e approverò
sempre che ci sono due nature, due volontà, una sola ipostasi e due
operazioni in Cristo (…) D’ora innanzi sosterrò, confesserò,
predicherò e insegnerò sempre tutto quello che sostiene, confessa,
insegna e predica la santissima Chiesa romana, e tutto quello che essa
riprova, anatemizza e condanna, io lo riprovo, lo anatemizzo e lo
condanno e in futuro lo riproverò, lo anatemizzerò e lo condannerò
sempre, specialmente le empietà e le blasfemie del perversissimo
eresiarca Nestorio e ogni altra eresia che si manifesti contro questa
santa Chiesa cattolica e apostolica».
Dal 1445 al 1994, quanta strada percorsa! La Dichiarazione congiunta è
un riconoscimento reciproco che mette fine a un pesante contenzioso
tra Oriente e Occidente, le cui ferite sono lungi dall’essere tutte
cicatrizzate. Ormai tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira
dell’Oriente si apre una nuova pagina di dialogo e collaborazione che,
a partire dalla data della firma, ha superato tappe importanti. Va
aggiunto che gli studi contemporanei su Nestorio hanno segnato una
netta evoluzione nella percezione del suo pensiero cristologico e
hanno rinnovato la patristica siriaca.
(traduzione di Anna Maria Brogi)
Joseph Yacoub
http://www.avvenire.it/Cultura/Ma+Nestorio+non+era+cos+eretico_200911110849299470000.htm