L’educazione? Deve essere una sfida

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c.annoni

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Jul 20, 2008, 1:30:38 PM7/20/08
to Circolo Politico-Culturale dei Liberali e dei Laburisti Piacentini
Il 23 maggio scorso, presso il Circolo Ufficiali di Piacenza, il
Vescovo Mons. Gianni Ambrosio, invitato, ha offerto un contributo
importante ad un dibattito, urgente e ineludibile, sul tema
dell’educazione (Scarica il testo dell’intervento).

L’intervento del Vescovo Ambrosio dà l’opportunità per affrontare una
tematica che pur essendo chiave per il progresso della Nazione, è
spesso trascurata nei fatti e anche nelle riflessioni dei politici.
Possiamo non essere d’accordo su alcune affermazioni del Vescovo, ma
come italiani impegnati nella politica dobbiamo ringraziarlo per aver
messo al centro il discorso educativo.

Dopo questo ringraziamento affronterei nel merito alcuni dei temi
proposti. Lo farò in modo un pò frammentario e non sistematico,
sperando comunque di sollecitare ulteriori contributi e interventi. Un
punto che non mi ha convinto del discorso del Vescovo è la
contrapposizione tra educazione e formazione. Se per educazione
intendiamo lo sviluppo di capacità e facoltà, specificatamente
intellettuali e morali, allora vedrei non così antitetiche
l’educazione e la formazione come è stato nell’intervento del
Monsignore.

Non penso che sia così forte il rischio del superamento della
educazione a favore della formazione, con una conseguente
degenerazione tecnicista e soggettivista. Il rischio esiste, ma il
rischio va commisurato alla certezza dei vantaggi che ci ha portato la
formazione in qualche modo di derivazione positivistica, fortemente
scientista e tecnicista.

Se la crisi dei passati modelli educativi non ha ancora trovato una
conclusione chiara e soddisfacente, come dimostra un disagio diffuso
nella società, dobbiamo però apprezzare come l’uscita dai vecchi
modelli educativi con l’entrata in scena della “formazione” sia stata
anche l’uscita da una società forse piu’ coesa, ma sicuramente piu’
misera economicamente, intellettualmente e a mio parere anche
spiritualmente.

Prima era meglio? Forse era piu’ facile dare per scontato il
significato di educazione, ma le persone, fino a pochi decenni fa,
vivevano ben peggio di ora. La miseria, materiale ma anche morale, era
a livelli che oggi ci farebbero rabbrividire. Se guardo alla mia
famiglia scopro di essere stato il primo a fare le medie, a laurearmi,
a non avere il problema di andare a lavorare a 10 anni per necessità.
Grazie al progresso tecnico le cure mediche sono avanzate, i figli
studiano, si può dedicare piu’ tempo a se e alla famiglia. E’ cambiata
la priorità dei problemi: da quelli primari (la sopravvivenza) si è
passato addirittura a parlare di autorealizzazione. Ed oggi grazie ad
Internet i miei figli hanno molte piu’ opportunità di quante ne abbia
avute io per capire che strade prendere nella vita. Tutto questo è
meraviglioso, e accettando questo possiamo cercare di capire su quali
basi parlare di educazione.

E’ vero che l’abbandono della vocazione umanistica della paideia
comporti rischi di tecnicismo, ma l’attenzione alla misurazione per
verificare i risultati dell’apprendimento è un problema solo se non se
ne coglie l’aspetto di approssimazione, di work in progress. Il
rischio è se l’attenzione per gli aspetti tecnici e procedurali,
l’attenzione per la misurazione dei risultati diviene esclusiva; ma
sappiamo che solo nella misurazione le vacche possono essere bianche,
rosse, pezzate, e non solo nere. Altrimenti le vacche sono sempre nere
e questo non aiuta certo l’uomo nel suo sviluppo. Il rischio sta
proprio nell’”attenzione esclusiva alle procedure e alle misurazioni
per verificare i risultati dell’apprendimento, con l’ossessione di
migliorare le tecniche didattiche in vista di risultati pratici,
utili”. Ma in questo caso saremmo nel campo della patologia e non
della normalità.

Quello che voglio dire è che non è necessario criticare la modernità
per apprezzare l’educazione. Solo qualora la modernità riducesse
l’orizzonte dell’uomo condividerei la critica, ma ritengo invece che
la modernità, fatta di sviluppo economico e tecnologico, sia fonte
immensa di opportunità di sviluppo dell’uomo. Perchè di questo, dello
sviluppo dell’uomo, sviluppo intellettuale ma anche morale, estetico
ma anche emotivo, di questo parliamo quando parliamo di sfida
dell’educazione oggi.

E’ vero, nella società emersa dalla rivoluzione industriale e poi
digitale, sono andati in crisi i modelli di riferimento, c’è
incertezza … ma anche ricerca. E la frontiera della ricerca, col suo
gusto di sfida, può invece diventare l’orizzonte su cui ricostruire un
senso condiviso dell’educazione. Chi doveva pensare a come
sopravvivere non era portato alla ricerca, si accontentava di quanto
passava la tradizione. Ora non piu’. E’ un male questo? Non
necessariamente, anzi è proprio il terreno dove il discorso
dell’educazione torna attuale, perchè è nell’educazione la chiave per
imparare a ricercare, nel rispetto magari di chi troverà cose diverse
dalle proprie scoperte.

Relativismo? Forse, ma il contrario di relativismo è assolutismo,
termine non proprio o non necessariamente positivo. Perchè invece
proprio la capacità di ricerca diviene la chiave per una nuova
educazione? Perchè richiede autonomia, metodo, rigore, ma anche
rispetto delle libertà altrui nel rispetto preteso alla propria. Non
ci sono certezze di merito nel mio orizzonte, ma molte certezze di
metodo. Questo potrebbe essere il terreno di incontro su cui ri-
costruire una idea di educazione attuale, sostenibile, non nostalgica.
Il principio secondo cui “La mia libertà finisce dove inizia quella
dell’altro” forse non stabilisce valori assoluti come intesi dalla
Chiesa, ma pone un limite al soggettivismo dei fini e alla
indifferenza morale, senza bisogno di una rivelazione positiva che può
essere accolta solo su base soggettiva.

Siamo lontani dall’idea di educazione fatta propria da Mons. Ambrosio?
Non penso, anzi direi che stiamo parlando di qualcosa di cui
condividiamo il significato e ne condividiamo l’aspettativa, il senso
di necessità. E penso che, sul terreno del progetto educativo, ne
condividiamo anche gli elementi, i fondamentali. La capacità di
ricerca autonoma che entrambi vediamo come punto di arrivo di un
processo educativo di successo, alla fine richiede gli stessi elementi
sia che partiamo da credenti che da non credenti. Il rigore,
l’acquisizione degli strumenti intellettuali richiede accettazione
dell’autorità, impegno, fatica, studio, rigore, rispetto per genitori
e insegnanti. Questo sia che la morale sia presupposta sia che la
morale sia scelta come terreno di ricerca. E’ lo scienziato rigoroso e
umanistico l’orizzonte di una educazione non nostalgica. Forse questo
approccio presuppone famiglie statisticamente improbabili, ma per
questo è importante il ruolo degli educatori esterni diversi dalla
famiglia. Per questo è importante il ruolo di chiunque in questa
società frammentata possa essere visto come Autorità. Perchè è vero,
drammaticamente vero che “l’esercizio della funzione di autorità sia
necessario nel gioco della libertà”. Nell’ignoranza non vi è infatti
libertà, perchè libertà è scegliere e scegliere presuppone conoscere.
E conoscere richiede educazione nel senso piu’ forte e completo.

Sono partito parlando di educazione e mi trovo a parlare di libertà,
riconoscendo quanto false e fuorvianti siano le antitesi tra il
principio di autorità e libertà, tra responsabilità dell’individuo e
la sua libertà. Non c’è infatti libertà nell’irresponsabilità come non
ve ne è nell’ignoranza. E una società che smarrisce senso di
responsabilità, rispetto della autorità e capacità educativa è una
società dove presto verrà smarrita la libertà, nel suo senso piu’
ampio e profondo.
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