Un intervento in risposta a quello di Massimiliano Borotti

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c.annoni

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Mar 17, 2008, 2:42:26 PM3/17/08
to Circolo Politico-Culturale Liberali e Laburisti Piacentini - Per una sintesi Neo-DEM?
Faccio 2 brevi premesse per inquadrare il mio intervento.
La prima premessa concerne la stima verso Borotti, che reputo uno dei
sindacalisti piu' intelligenti e preparati ora operanti a Piacenza, e
che conferma la mia stima anche con questo intervento che ha il pregio
di portare il dibattito elettorale sulle cose che veramente contano.
La seconda premessa, è che anche io come Borotti condivido l'idea che
i lavoratori italiani debbano migliorare le proprie condizioni
economiche e che debbano godere di sicurezza verso il futuro.

Fatte queste premesse spiegherò su cosa non sia d'accordo e perchè,
generalizzando forse in modo improprio le posizioni nazionali dei
sindacati italiani.
Come dicevo in premessa anche io riconosco che una parte dei
lavoratori italiani si senta insicura e che questo è un problema vero
e non presunto. Aggiungerei anche che una parte ancora maggiore di
aspiranti lavoratori o lavoratori nascosti o "anomali" è ancora piu'
insicura e che questo sia un problema ancora maggiore.

Ma come dare sicurezza? Imponendo alle imprese di farsi carico di
questa sicurezza? Certamente per quanto riguarda l'incolumità dei
lavoratori, ma anche qui con un approccio pragmatico e scalabile,
perchè ad oggi la sicurezza del lavoro all'italiana ha portato tanti
costi alle imprese ma risultati non brillanti per i lavoratori. Ma
assolutamente no per quanto riguarda la sicurezza economica dei
lavoratori. le imprese non hanno per se la sicurezza economica sul
futuro, come possono quindi garantirla ai propri dipendenti? Tenendo i
"disoccupati in fabbrica"? Questo modello, il cui apice era raggiunto
in URSS, non è sostenibile, non lo è mai stato e lo è ancora meno oggi
con la competizione economica che viviamo.
Imporre alle aziende di tenersi in casa i lavoratori anche quando
cessa la loro utilità (vuoi per motivi soggettivi - i fannulloni -
vuoi per motivi oggettivi - riorganizzazione del lavoro o problemi
economici dell'impresa -) si porta dietro:

* la necessità di sussidiare poi le imprese (magari non tutte
meglio solo "qualcuna" - vedi Fiat fino a pochi anni fa)
* il disincentivo per le aziende basate in Italia ad assumere, in
modo corretto, nuovo personale
* il disincentivo per i capitali internazionali ad investire in
Italia
* il disincentivo ai lavoratori per mantenersi costantemente
aggiornati e pronti al cambiamento.


Si tratta quindi di una sicurezza abbastanza falsa e per pochi
destinati nel tempo a ridursi sempre piu' vuoi per mancato sviluppo
dell'economia, vuoi perchè le aziende non sono fesse e qualche sistema
per evitare i danni alla fine lo trovano. Non per niente vediamo che
esistono oggi lavoratori di serie A, B, C e anche D. Con una
stratificazione che ormai tende a ricordare il sistema indiano delle
caste.
Se non è il vecchio sistema dei diritti del lavoro, condensato nel
vetusto statuto dei lavoratori, ad assicurare le regole per dare
sicurezza, ricchezza e prospettive ai lavoratori, quale può essere
l'alternativa al "liberismo selvaggio"?
Questa dovrebbe essere la domanda su cui, e qui ha ragione pienamente
Borotti, si dovrebbe riflettere in questa campagna elettorale.

A mio parere il miglioramento delle prospettive future e delle
condizioni dei lavoratori (nella piu' ampia eccezione del termine)
richiede il percorrere a fondo, pragmaticamente e mai ideologicamente,
la via liberista in economia, assegnando alle imprese la missione di
fare business, di essere competitive, e togliendo loro quella di fare
assistenza sociale.
L'assistenza sociale va portata allo Stato, che con troppa facilità
scarica propri compiti su soggetti impropri.
Il pensiero liberale (che solo in Italia viende scisso in liberalismo
e liberismo) non ha mai negato il ruolo dello Stato. Faccio anzi
presente che lo stato sociale moderno nasce proprio con le riforme di
primi ministri liberali in Gran Bretagna.
Si tratta semplicemente (a parole, ovviamente) di ridefinire le
mission degli attori sociali, focalizzando ciascuno sulla mission che
gli è propria.
Il modello di sicurezza sociale danese, in cui la flessibilità si
coniuga con la sicurezza dei lavoratori-cittadini, è un modello che
funziona perchè assegna a ciascuno il giusto ruolo, anzi la giusta
missione e responsabilità.
Alle imprese quella di produrre ricchezza, allo Stato quello di
garantire le condizioni perchè i cittadini possano sempre ripartire
alla fine di un ciclo di lavoro, ed ai lavoratori la responsabilità di
operare al meglio, di saper imparare e adattarsi a un futuro che
nessuno conosce con esattezza.
E' chiaro che in questa prospettiva cambia profondamente non tanto il
ruolo, quanto l'interpretazione dello stesso che le organizzazione dei
lavoratori, potranno e dovranno avere.
Non piu' difensori in trincea di un modello di diritti del lavoro
inapplicabile, ma co-progettisti e proponenti di un nuovo modello di
stato sociale che, come conseguenza non banale, avrebbe finalmente la
capacità di dare sicurezza non solo ai lavoratori di serie A (i
pubblici), un pò a quelli di serie B (i privati delle grandi imprese),
ma anche a tutti gli altri.

Carlo Annoni
Liberale aderente al PD
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