Si
consiglia sempre di cliccare sui titoli per vedere gli articoli integrali e le
foto del sito.
Sta
facendo il giro del mondo. Certo (vista a colori) la sentenza Pfas di Vicenza per l'avvelenamento delle
acque è storica perché è la prima che condanna per
dolo, cioè con pene pesanti, ma occorre guardarla anche un po' in bianco e nero.
Innanzitutto, sul versante delle azioni
risarcitorie a favore delle Vittime.
Potenzialmente,
potrebbero essere 350mila nel Veneto le persone fisiche presenti come parti
civili nel processo, in quanto danneggiate in varia misura dai Pfas delle
aziende ex Miteni. Invece, delle 338 “parti offese” indennizzate, sono ben 138
quelle istituzionali (enti,
associazioni) ma appena 200 sono le persone
fisiche : “Mamme no Pfas” e altri cittadini che a
partire dal 2017 hanno scoperto che il loro sangue e quello dei loro figli erano
avvelenati da concentrazioni preoccupanti di Pfas. Per ognuno dei 200, la Corte
ha stabilito indiscriminatamente un risarcimento forfettario di 15mila
euro.
Ebbene, premesso che la salute non è mai
riparabile, però diciamolo apertamente, sono addirittura irrisorie 15mila euro
per le Vittime, colpite dagli effetti cancerogeni e dalle conseguenze ormonali e
metaboliche (processi correlati allo sviluppo ovarico,
alla produzione di estrogeni, all'ovulazione e al funzionamento fisiologico del
sistema riproduttivo femminile, cioè effetti sulla fertilità e sullo sviluppo
fetale; aumento di vari tipi di cancro, tra cui leucemia, cancro al seno,
tiroide e al pancreas; crescita significativa della mortalità di individui
affetti da neoplasie maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza,
fegato e midollo osseo; indebolimento del sistema immunitario e della risposta
alle vaccinazioni soprattutto dei bambini; sviluppo di malattie sistemiche, come
il danno epatico e le malattie cardiovascolari, tra cui l'aterosclerosi e gli
eventi tromboembolici;
Stiamo
parlando di queste patologie mortali. Non stiamo mica parlando di 15mila euro
per danni per la perdita di valore degli immobili. 15mila euro per le Vittime:
non è Giustizia! Ci si avvicinerà ad essa se le 200 persone, ma anche le
migliaia non coinvolte nel processo penale concluso, chiederanno i danni per le
patologie da ciascuna subìte .
Ma questi danni devono chiederli
per altra via che non
sia quella penale, perché nel processo penale il reato
contestato è di natura prettamente ambientale: l'avvelenamento delle acque e il
disastro ambientale. Il penale è bengodi per gli avvocati, non per le Vittime.
Il penale non risarcisce i danni per la salute, nemmeno un briciolo di
dignità.
Per risarcire i danni alla salute, la via obbligata
è quella dei processi in sede civile :
con azione legale
individuale, oppure unendosi
con azione legale collettiva
(class action ): tramite associazioni di cittadini
ovvero organizzazioni, riducendo così notevolmente i costi legali ai rari
avvocati (e medici legali) disponibili a parcelle meno appetitose di quelle in
sedi penali.
Dunque,
chiunque ritenga di aver subito danni reali a causa dell'inquinamento da PFAS
(cioè problemi di salute ma perfino perdita di valore degli immobili, ecc.) può
intentare una causa civile contro i responsabili dell'inquinamento, a partire
dalle aziende che hanno prodotto o
utilizzato le sostanze PFAS. Il diritto vale innanzitutto
per le popolazioni che hanno “ospitato” in passato l'industria produttiva, come
la Miteni di Trissino, ovvero per quelle che tuttora la fabbrica ce l'hanno in
casa, come la Solvay di Spinetta Marengo.
A maggior ragione, questo diritto ad un risarcimento
non lesivo della dignità ce l'hanno i principali esposti ai veleni, le Vittime
dirette: i lavoratori di queste fabbriche. Per
paradosso, anzi assurdo, i lavoratori hanno ricevuto della Miteni non hanno
dalla sentenza di Vicenza nessun risarcimento. Neppure i 53 costituitisi parti
civili l'hanno preso, nemmeno l'elemosina delle 15mila euro (per la motivazione,
appunto, che la natura del reato contestato è… solo di natura ambientale, non
professionale).
Dunque,
l'unica sentenza -anch'essa storica- che risarcisce i lavoratori resta quella,
di un altro tribunale di Vicenza, che in sede civile ha risarcito la morte per
tumore di un operaio della Miteni: per
la prima volta riconoscendo in Italia la malattia professionale da
Pfas . Però, con questa sentenza non è stata condannata
al risarcimento l'azienda ma un Ente terzo in causa: l'INAIL.
E' clamoroso, anzi scandaloso, che ad Alessandria i
sindacati a loro volta non abbiano mai avviato causa di riconoscimento di
malattie professionali contro il colosso chimico di Spinetta Marengo. In
particolare, la polemica è stata anche trasmessa con lettera aperta al
segretario generale della CGIL, Maurizio Landini.
Non
merita ulteriore commento l'indecenza delle attribuzioni di vittoria e delle
autoassoluzioni di politici e amministratori… all'unanimità. Invece, la sentenza
Pfas di Vicenza va a pieno ed esclusivo merito della popolazione che si è
mobilitata.
Detto
questo, la sentenza per quanto tardiva (e col cappio degli appelli) assume
comunque valenza storica perché è la prima che condanna per dolo (pene fino a 17
di reclusione per i manager), cioè considera sul serio l'inquinamento come
reato: cosciente e voluto. Storica
benchè insufficiente per fare
giustizia. La Giustizia non si realizza certo con i 50mila
euro per organizzazioni ambientaliste o con i 25mila per i sindacati Cgil e
Cisl. Mentre sarebbe fondamentale se assicurasse i massimi risarcimenti alle
Vittime: le quali invece -in poche centinaia su centinaia di migliaia- sono
state indennizzate con irrisorie 15mila euro.
L'altro
aspetto nevralgico è la bonifica. “Chi inquina paga” è uno
slogan ingannevole, soprattutto perché ambiente e salute non sono riparabili.
Eppoi, quando mai è successo che chi ha inquinato ha pagato la bonifica! Codesta
è miliardaria. Chi la paga? chi e come e quando la
realizza? Gli inquinatori? La Miteni che è fallita? Gli stranieri lontano dal
Giappone? Il ministero dell'Ambiente, al quale è stato riconosciuto un
indennizzo da 58 milioni? La Regione Veneto con i 6 milioni di euro di
indennizzi? Con gli 844mila euro di indennizzo all'Agenzia regionale per
l'ambiente del Veneto (Arpav)? Con i 151mila la Provincia e con gli 80mila euro
ciascuno per i trenta Comuni della zona rossa?
La
Regione Veneto ha già speso 2,8 milioni in filtri e nuove
reti acquedottistiche e 3,5 milioni per finanziare
Arpav. Mai finiti i monitoraggi ambientali. A cui si
aggiungono i costi elevati dei monitoraggi sanitari per 350mila residenti, del
dosaggio dei Pfas nel sangue, delle patologie di preeclampsia in gravidanza
oltre che malformazioni alla nascita, cancro del rene e del testicolo e della
tiroide, malattie muscolari, colesterolo e funzionalità epatica
eccetera. A tacere i costi per le cure.
Secondo
l'Arpav, ci vorrà un secolo per ripulire del tutto la
falda più inquinata d'Italia. Le altre 16 Regioni già individuate da CNR
(Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ISPRA (Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale), sono Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia,
Toscana, Lazio, Campania, Friuli, Basilicata, Liguria, Umbria, Abruzzo, Puglia,
Sardegna, Molise e Calabria.
Per
sapere di più sulla storica sentenza del processo di Vicenza:
Dopo
le sentenze storiche di Vicenza, in penale e in civile, un sacco di persone e di
enti si sono appccicate medagliette di pionieri della lotta contro i Pfas.
Perfino alcune istituzioni pubbliche, che semmai avrebbero meritato nei decenni
anch'esse un banco degli imputati, si sono autoassolte addirittura in veste di
primazia
politica e sanitaria. I meriti della vittoria vanno, invece, esclusivamente
attribuiti alle lotte popolari dopo il 2017, con le “Mamme No Pfas” in testa. In
questo ambito merita il riconoscimento che viene assegnato al
dottor
Vincenzo
Cordiano (nella foto) in questo servizio del Corriere
della Sera,
clicca qui .
Nell'intervista,
Cordiano rivendica giustamente di essere stato il primo in Veneto a lanciare
l'allarme Pfas per la Miteni di Trissino nel 2013. Possiamo confermarlo perché
all'epoca chiese informazioni a Lino Balza, noto per essere occupato già dagli
anni '80 con le denunce dell'inquinamento Pfas in Bormida e Po, tant'è che lo
mise anche in contatto (segreto) con tecnici della Solvay di Spinetta
Marengo.
Vincenzo
Cordiano giustamente accusa come non fu ascoltato dai politici e nemmeno dai
suoi colleghi medici veneti, anzi fu sottoposto dai superiori a provvedimento
disciplinare “per avere danneggiato l'immagine dell'azienda sanitaria Usl5”.
Ovviamente fu censurato sul lavoro e bloccato come carriera. Il fatto non stupì,
essendo già balzato all'onore delle cronache Lino Balza per anni oggetto di
massicce rappresaglie del colosso chimico di Spinetta, licenziamento compreso,
tutte respinte con vittoria nei tribunali però mentre gli amministratori
pubblici piemontesi trattenevano le code tra le gambe.
Nell'intervista,
Cordiano mette principalmente in rilievo che la storica sentenza di dolo del
Tribunale di Vicenza deve essere -in Veneto- considerata non un punto di arrivo
bensì di partenza: perché dovranno essere assolutamente perseguite le indagini
ambientali ed epidemiologiche mancanti, soprattutto per riconoscere i danni alle
Vittime e dunque i legittimi risarcimenti.
Alessandria
non è la sede penale per ottenere Giustizia, possibile solo con azioni
inibitorie e risarcitorie. Qui, più che altrove, le Vittime rischiano di
diventare Vittime una seconda volta. Si consuma drammaticamente il “delitto
perfetto”….
Ok limite zero Pfas in Italia quando in
Usa. .
L'intera partita (clicca) si
giocherà in campo internazionale,
all'ombra
militare di Trump . Senza eccedere in trionfalismi,
come si sta facendo, nondimeno l
a
storica “sentenza Miteni” del tribunale di Vicenza , al
di là dell'esito giudiziario ancora provvisorio, ha acceso ulteriormente i
riflettori sui Pfas: in particolare sulla necessaria
fermata nell'unico stabilimento che li produce in
Italia, Solvay a Spinetta Marengo, e
sul relativo assai controverso
processo (bis) di
Alessandria .
Nell'immediato,
indubbiamente la sentenza sta plasmando in
Veneto nuove decisioni e nuovi indirizzi in materia
ambientale. In questo scenario, a Schio l'assemblea dei soci di “Alto vicentino
ambiente (Ava)”, che si occupa del ciclo integrato dei rifiuti del comprensorio,
ha approvato una delibera in cui si annuncia che, qualora si dovesse potenziare
ed ampliare l'inceneritore di
Ca' Capretta, non sarà consentito trattare fanghi di depurazione, che
tipicamente contengono Pfas.
La
gravità della minaccia degli impatti sanitari dei Pfas si è riflessa, quasi in
contemporanea, sulla vicenda dell'inceneritore che Eni
Rewind aveva in animo di realizzare a Fusina, alla
periferia di Venezia, bloccato finalmente dopo anni
di lotte dal Comitato tecnico della Regione Veneto proprio per la possibilità
che i fanghi da bruciare
potrebbero contenere i Pfas.
Insomma,
in un contesto così tratteggiato, i Pfas «finiscono per essere il filo
conduttore» che lega i destini di Trissino, di Vicenza, di Venezia, di Schio, di
Padova, di Verona, di Legnago e di Loreo. Si tratta di Comuni nei quali o c'è un
impianto di trattamento o è prevista la realizzazione di un inceneritore o il
potenziamento di una linea di incenerimento, oppure è in previsione la
realizzazione di un impianto ad hoc: vuoi di trattamento, vuoi di essiccazione.
Si è aperto un nuovo approccio nella
gestione dei rifiuti e
dei fanghi contaminati da PFAS, in particolare rispetto ai rischi per la salute
derivanti dalla combustione incompleta dei PFAS.
A maggior ragione dopo la sentenza di
Vicenza, i Comitati e le Associazioni chiedono la messa al
bando in Italia dei Pfas per Legge. Il che però implica la sorte dello
stabilimento di Spinetta Marengo, ovvero degli interessi
economici, militari e geopolitici in gioco, che sono tanto radicati e ramificati
da rendere l'intera partita (clicca)
un vero e proprio rebus non solo nazionale. Clicca
anche https://economiacircolare.com/pfas-industria-bellica/ i “forever Chemicals indispensabili nel mercato della
guerra”.
Lo scenario internazionale, infatti, si fa più
torbido, e dentro vi nuota Solvay in Italia (vedi
foto). Negli Usa, l'Epa, l'agenzia governativa per la protezione dell'ambiente,
sembra fare marcia indietro nella lotta agli “inquinanti eterni”. Le misure
avanti portate da Joe Biden erano state pianificate durante il primo mandato di
Donald Trump, che anche in questo caso rinnega sé stesso. L'Epa ha prorogato
l'entrata in vigore dei limiti per la presenza di queste sostanze chimiche
nell'acqua potabile e ha cancellato oltre 15 milioni di dollari destinati alla
ricerca. La soglia di 4 nanogrammi per litro, tecnicamente zero, stabilita dalla
legge Usa passata sotto Biden, dovrà essere rispettata solo dal 2031.
Onde
favorire la Solvay di Spinetta Marengo , unico
stabilimento che produce “inquinanti eterni” in Italia (nella foto), la Regione
Piemonte, nel porre dei massimi di concentrazioni di Pfas nelle acque, aveva
stabilito che limiti aggiuntivi per le sostanze pericolose sarebbero dovute
entrare in vigore quest'anno. Invece, la Regione ha rimandato di tre anni «per
permettere agli impianti di depurazione di adeguarsi». In questo periodo, il
provvedimento, tramite un ennesimo “Osservatorio”, consentiràbbe agli enti
locali, ai gestori e ai consorzi di riavviare il percorso di studio e
approfondimento, anche per avviare soluzioni concrete e affrontare in modo
sistemico il tema del trattamento dei rifiuti, in primis del percolato”.
Questa
proroga regionale dell'entrata in vigore dei limiti Pfas si scontra con il pieno
disaccordo degli ecologisti: "Si è partiti col limitare i Pfas nello smaltimento,
ma per risolvere il problema bisogna impedirne la produzione e l'utilizzo. Il
problema in Piemonte è gigantesco. Non si può non guardare l'elefante nella
stanza: lo stabilimento di Spinetta Marengo".
Quand'anche
lo stop di produzione e utilizzo dei Pfas fosse decretato oggi, i “forever
Chemicals” rimarrebbero indistruttibili negli ambienti e nei corpi umani
(impiegano migliaia di anni per decomposirsi) provocando gravi patologie come
una ridotta fertilità, ritardi nello sviluppo infantile e rischi maggiori di
tumori e malattie cardiovascolari eccetera. Per affrontare quel tragico futuro,
gli scienziati stanno studiando batterie che sono in grado di fagocitare ed
eliminare i Pfas. Ma questo ora è neppure
immaginabile contro i Pfas insediatisi nel sangue e negli
organi umani tramite inalazione e ingestione.
Un
flebile spiraglio proviene da uno studio su animali
di Ricercatori dell'Università di
Cambridge che sono riusciti a identificare specie
batteriche presenti naturalmente nel nostro intestino e in grado di assorbire
diverse molecole di Pfas. Per testare questa loro abilità, il team le ha
introdotte nell'intestino di alcuni
topi per rendere il loro microbioma più simile al nostro.
Dalle successive analisi è emerso che 9 ceppi di batteri hanno rapidamente
accumulato i Pfas ingeriti dai roditori, che li hanno poi eliminati attraverso
le feci. Come una sorta di spugna, infatti, i batteri li hanno assorbiti tra il
25% e il 74%, conservandoli al loro interno, in quello che in gergo tecnico
viene definito come bioaccumulo.
Più
batterie ingoi, più Pfas elimini? Non è più salutare
eliminare i Pfas a monte: in produzione e uso per padelle antiaderenti,
cosmetici, indumenti impermeabili e imballaggi alimentari, eccetera?
In
questo momento storico, il ritorno al nucleare viene promosso dal governo come
inevitabile, efficiente e moderno: il “Nucleare di nuova generazione” (in
particolare gli Small Modular Reactors SMR) una tecnologia che sarà pronta tra
il 2035 e il 2045, con investimenti di miliardi, costi incerti, tempi
lunghissimi, insomma incapace di contribuire nel cruciale periodo della crisi
climatica e geopolitica.
“Invece”
ribadisce Di Giovanni Ghirga, medico di ISDE ITALIA, “per questi strettissimi
tempi climatici, esistono già soluzioni concrete, scalabili,
mature: energie rinnovabili
come il solare e l'eolico , ormai ampiamente
competitive sul piano economico e rapidamente installabili; reti intelligenti in
grado di bilanciare in tempo reale la produzione e il consumo, integrando anche
piccoli impianti distribuiti sul territorio; accumuli distribuiti, come batterie
domestiche e sistemi di stoccaggio a livello di quartiere o di distretto, i
quali stabilizzano la rete e sicurezza energetica; idrogeno verde prodotto con
energie rinnovabili, essenziale per decarbonizzare i settori industriali più
difficili, come la siderurgia e la chimica infine, l'elettrificazione capillare,
cioè la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con tecnologie che
funzionano a energia elettrica, come pompe di calore, veicoli elettrici,
impianti elettrici per serre e irrigazione, alimentate però da fonti rinnovabili
nei settori del riscaldamento, dei trasporti e dell'agricoltura”.
Di
contro, inoltre, ogni reattore
è un potenziale bersaglio in un mondo dove i conflitti
ibridi, i droni kamikaze ei cyberattacchi sono ormai strumenti ordinari di
pressione geopolitica, con rischio potenziale di contaminazione radioattiva
permanente dell'aria, del suolo, dell'acqua. Anche i reattori più “avanzati” non
eliminano il problema delle scorie
radiotossiche per decine di migliaia di anni: ancor più
voluminose e più reattive sul piano chimico e fisico, con implicazioni serie per
lo stoccaggio e il confinamento.
Infine,
si instaura anche una dipendenza geopolitica nessun
Paese europeo è autosufficiente nell'estrazione o nella lavorazione dell'uranio.
Inoltre, i Paesi fornitori, come Russia, Kazakistan, Niger, Algeria, non offrono
garanzie di stabilità o alleanze democratiche. Spostano semplicemente la
dipendenza dal gas a un'altra fonte instabile… e la chiamano
“indipendenza”.
Il
Ponte sullo Stretto, per anni venduti come un progetto di grande progresso
civile, verrà fatto rientrare tra le spese militari. In caso i russi
attaccassero la base Nato di Sigonella da Tripoli via Mar Nero e Turchia, le
nostre truppe si paracaduteranno sul ponte, visto che non è conveniente
percorrere coi carri armati la Salerno-Reggio Calabria né tantomeno usare la
linea ferroviaria.
Non
ci sarà solo il ponte sullo Stretto, anche la nuova
diga foranea del porto di Genova -mega-opera da 1,3
miliardi (già lievitati a 1,6 coi lavori nemmeno arrivati al 10%)- contribuirà a
coprire le spese militari che l'Italia s'è impegnata in sede Nato a portare al
5% del Pil entro il 2035, una quota delle quali (1,5%) potrà essere
rappresentata da infrastrutture a valenza anche militare.
"È
un'infrastruttura 'dual use'. Progettata per scopi mercantili, in caso di crisi
(bellica) sarà utile perché consente lo sbarco di portaerei leggere, navi Nato e
strumenti e truppe", ha spiegato Carlo De Simone,
sottocommissario all'opera (il titolare è Marco Bucci presidente della Regione
Liguria), durante una trasmissione tv. Poco importa che le più grandi portaerei
nate abbiano dimensioni assai inferiori a quelle delle portacontainer abituali
ospiti delle banchine genovesi e che quindi potrebbero comodamente approdare
sotto la Lanterna senza spendere miliardi di euro per la diga. Neanche a La
Spezia, a 50 miglia nautiche, abbia sede una delle maggiori basi della Marina
militare.
Il duplice
uso , potenziale viatico di nuovi esborsi e opacità, farà
di Genova un obiettivo sensibile dal punto di vista militare.
Nella
foto: Netanyahu esibisce a Trump copia della lettera inviata al "Comitato Nobel"
di raccomandazione per la candidatura di Premio Nobel per la Pace.
In
alternativa, Netanyahu si candiderà se stesso.
La
relazione annuale dell'Inail conteggia gli infortuni sul lavoro nel 2024
relativi agli studenti che si trovavano in ambito Pcto, i percorsi di
«competenze trasversali per l'orientamento», l'acronimo sotto cui è stato celato
il precoce inserimento nel mercato del lavoro per gli studenti. 2.100 sono state
le denunce, di cui una ha avuto esito mortale.
"È
evidente che sono percorsi di formazione a un mondo del lavoro precario e
insicuro, di cui si può morire. Il governo non ha mosso un dito, l'unica cosa
che ha fatto è stato il decreto primo maggio del 2023, che ha semplicemente
normalizzato e preventivato che ci si poteva infortunare e morire. Anzi, ha
esteso i percorsi agli studenti degli istituti tecnici e professionali a partire
dai 15 anni. I Pcto vanno aboliti, vanno eliminati l'obbligo ei monte-ore
prefissati” : denunciano la Rete degli studenti medi e la
CGIL (nella foto).
E'
morto Emilio
Molinari (nella foto) , protagonista
di tante lotte civili, tra cui la battaglia per l'acqua pubblica in cui si spese
senza risparmio in occasione del referendum del 2011.
Abbiamo
imparato molto da lui e continueremo sulla sua strada, più soli adesso, molto
più soli, ma consapevoli dell'eredità che ci ha lasciato e di cui portiamo la
responsabilità insieme a tutti coloro che credono in questa battaglia e vogliono
proteggere l'acqua.
Dal
1994 REPORT è il programma di giornalismo investigativo in
onda su RAI
3 che ogni settimana informa i cittadini su cosa
succede in politica e, soprattutto, prova ad accendere
una luce sulla mancanza di trasparenza
e opacità delle nostre
istituzioni. Report però oggi è in pericolo: durante la
presentazione dei palinsesti RAI, il conduttore del programma Sigfrido Ranucci
ha fatto sapere che sono state
tagliate senza motivo 4 puntate della nuova
stagione . Firma questo
appello per chiedere
alla RAI che la messa in onda di Report sia sempre garantita, senza tagli e
censura.
Ahi
serva Italia (nella foto).
Giorgia
Meloni spenderà il 5% del
Pil nella difesa come richiesto da Trump. l'Italia, non
avendo nemici, comprerà tante armi dagli Stati Uniti per utilizzarle nelle
guerre decise dalla Casa Bianca (Nato).
La
Casa Bianca si prepara alla guerra con la Cina ,
con l' Iran e magari anche con
la Russia , se la situazione
andasse fuori controllo. E ha bisogno di alleati ben armati per migliorare la
propria deterrenza e scaricare parte dei costi delle proprie guerre su di loro.
L'Italia è entrata nei teatri di guerra in Jugoslavia,
Afghanistan e in Iraq per
alleggerire i costi degli Stati Uniti. I soldati italiani non si trovano
in Libano per difendere gli
interessi nazionali dell'Italia, ma per aiutare la Casa Bianca a risparmiare
soldi e soldati. Analogo discorso vale per la missione italiana nel Mar Rosso
contro gli Houthi .
Un
caso eclatante che dimostra che l'Italia compra le armi americane per metterle
al servizio degli americani è il bombardamento italiano
della Libia del 2011. Non è vero
che la Nato bombardò la Libia in quel modo perché lo chiese l'Onu. L'Onu non
chiese mai il rovesciamento del regime libico. L' Ucraina conferma.
Biden ha incancrenito la guerra rendendo impossibile una soluzione diplomatica.
E adesso Trump scarica sull'Italia i costi della guerra per procura degli Stati
Uniti contro la Russia chiedendole di comprare armi americane da dare
all'Ucraina (il piano di riarmo serve anche ad armare Zelensky).
Il
“Fatto Quotidiano” riporta gli allucinanti commenti dei giornalisti con
l'elmetto che si sono arruolati nella guerra di Trump e Netanyahu “in difesa dei
valori occidentali”.
Continua, cliccando
sul titolo.
Uno
studio del professore
israeliano Yaakov Garb , della Ben Gurion
University pubblicato sullo Harvard
Dataverse, rivela che Israele ha fatto “sparire” almeno
377.000 palestinesi dall'inizio della sua campagna di genocidio contro la
Striscia di Gaza nel 2023. Si ritiene che metà di questi siano minori. I 377.000
palestinesi di cui si è persa rappresentano circa il 17% dell'intera
popolazione: ora ammontano a circa 1,85 milioni, prima della guerra era stimata
in 2,227 milioni.
Il
Professore osserva che il bilancio ufficiale delle vittime, pari a 61.000, è
chiaramente una sottostima poiché le vittime rimaste intrappolate sotto le
macerie non sono incluse.
Anche
la rivista medica The Lancet ha
pubblicato uno studio a gennaio di quest'anno rivelando che il bilancio delle
vittime del genocidio israeliano a Gaza è stato molto probabilmente sottostimato
del 41% nei primi nove mesi di guerra. Lo studio ha evidenziato che circa il
59,1% delle vittime erano donne, bambini e anziani.
Nel
silenzio spesso complice dell'informazione ufficiale, il glifosato — l'erbicida più
utilizzato al mondo — continua a insinuarsi nella nostra catena alimentare,
nell'acqua che beviamo e nell'aria che respiriamo, eppure i dati più recenti,
provenienti da studi sperimentali e ricerche epidemiologiche, confermano i
rischi per la salute legati all'esposizione al glifosato.
In
particolare, dallo studio dell'Istituto Ramazzini, pubblicato sulla
rivista Environmental Health :
l'esposizione cronica al glifosato, iniziata in utero e protratta per due anni
in ratti di laboratorio, ha provocato un aumento significativo e dose-dipendente
di tumori multipli: leucemie
precoci, tumori del sistema nervoso, della pelle, del fegato, delle ossa e della
tiroide.
Ma
i rischi non si fermano qui. Studi recenti suggeriscono che il glifosato possa
contribuire anche allo sviluppo di malattie neurologiche complesse,
come l'autismo e
il morbo di
Parkinson , agendo come co-fattore ambientale in
soggetti geneticamente predisposti, danneggiando il sistema nervoso fin dalle
prime fasi della vita. Inoltre, il glifosato altera profondamente il microbiota
intestinale, influenzando l'equilibrio tra cervello e intestino e contribuendo
a stati infiammatori cronici e
stress ossidativo .
La questione, oggi, non è più se il glifosato sia
pericoloso. La vera domanda è: perché le istituzioni politiche e sanitarie
locali continuano a tollerarne l'utilizzo in ambiti così sensibili — come parchi
pubblici, giardini scolastici e aree verdi urbane — pur conoscendone la
tossicità documentata?
La
parola “amianto” ricorre continuamente quando si parla di Pfas: “saranno il
nuovo disastro amianto”. Perché Pfas e Amianto colpiscono anche decine di anni
dopo (latenza) il loro ingresso nell'organismo umano.
Infatti, di
amianto si muore, eccome, a 40 anni dalla chiusura dell'Eternit di Casale
Monferrato, dopo 80 anni di attività fino all'ultima difesa dai sindacati e dai
politici, e malgrado che addirittura nel 1908 le patologie
causate dall'inalazione delle minuscole particelle di amianto erano state
classificate da un medico inglese, e malgrado che dal 1924 in Inghilterra
l'asbestosi fu riconosciuta una malattia per cui i lavoratori avevano diritto a
indennizzi.
Il
mesotelioma è tuttora un tumore
praticamente
incurabile (la
consegnata di tutti i nostri libri -vedi su
www.rete-ambientalista.it- è
interamente devoluta alla Ricerca per la cura del mesotelioma). Una volta che la
fibra killer esplode, l'agonia è breve ma straziante, e strazianti le reazioni
di angoscia, paura e rabbia difficili da gestire.
Si
muore innanzitutto in questa tragica città alessandrina. Infatti,
se in Piemonte ogni anno sono
240 i nuovi casi di mesotelioma, 130 sono proprio in provincia di Alessandria.
E' un trend in ascesa: il picco era atteso nel 2020, ora è stato posticipato al
2025! Due le fasce d'età colpite: i più giovani, dai 55
ai 65 anni, per esposizione ambientale; i più anziani per esposizione
professionale. Più femmine che maschi : dunque
mogli e figlie degli operai ma anche cittadine/i qualunque.
Perché l'amianto era
dovunque , in tutti gli oggetti quotidiani, nei
pavimenti di casa, nelle pareti delle banche, a coprire anche i tetti di scuole
e ospedali, nelle tubature degli acquedotti. E'
dovunque. Ancora oggi non è stato rimosso. Ben poco nell'Italia delle
“grandi opere”, dei governi che fanno dire al ministro dell'Ambiente che in
Italia i siti contaminati da amianto sono 119 mila. Com'è possibile, se ne
abbiamo quasi 100 mila solo in Piemonte? Neppure Casale Monferrato è diventata
“amianto free”: esempio “turistico” la stazione ferroviaria o addirittura il
Palafiere… di fronte alla sede Arpa.
Dunque,
è verosimile sostenere che oggi in
tutta Italia i siti contaminati da amianto sono 1
milione : in vari manufatti e nel fibrocemento, o
eternit, sparsi in un milione di luoghi, di cui 50mila siti industriali e 42
aree SIN (Siti di interesse nazionale), ammontano a 40milioni di tonnellate .
Sono ancora da bonificare (per difetto): 500
ospedali, 2?500 scuole frequentate da oltre 352mila studenti e 50mila docenti e
addetti, 1?500 edifici pubblici e, su un totale di circa 500mila km di tubature
installate prima del 1992, circa 300mila km di condutture della rete idrica. Con
questo ritmo di bonifiche: serviranno altri 75 anni per liberare l'Italia dalla
minaccia che incombe sulla popolazione.
La
tragica verità è che in Italia ancora durante il decennio
2015-25 il mesotelioma e altre malattie correlate
all'esposizione all'asbesto e all'amianto, hanno provocato
circa 60mila
morti , e nel
2023 sono avvenuti circa 7mila decessi, e sono stati diagnosticati 10mila
casi di malati affetti dalle patologie causate
dall'amianto, il 56% dei quali sono concentrati in Lombardia, Piemonte, Liguria
e Lazio.
Anzi,
il Dairi, il “Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione”
alessandrino, l'eccellenza nazionale che continua a fare ricerca mentre ciascuna
diagnosi è una condanna di morte, avverte: “ Il
mesotelioma non scomparirà: l'amianto è ovunque, ci saranno epidemie altrove
attese soprattutto nei Paesi in via
sviluppo”: l'amianto prospera in molti paesi
dell'Africa e dell'America Latina. E Schmidheiny, il miliardario ex padrone
dell'Eternit, tra condanne e prescrizioni dei processi, non ha mai investito
nella ricerca per il mesotelioma. Mentre, in
tutto il mondo attualmente sono esposti all'amianto 125 milioni di lavoratori, e
ogni anno le malattie letali provocate dall'amianto mietono 107mila vite umane,
e le patologie correlate all'esposizione all'amianto e all'amianto causano
200mila decessi.
E
si sta osservando che non è più solo il mesotelioma il tumore dell'amianto ma
certamente sono dovuti all'esposizione anche il cancro
alla laringe e all'ovaio . L'ultimo
rapporto IARC fa appunto riferimento all'amianto come causa del tumore alla
laringe . E presto, perché lo stanno
studiando, lo diranno di quello allo stomaco. Quindi
in quel caso parliamo di inalazione o ingestione?
In
Italia l'Afeva, l'Associazione familiari e Vittime amianto, ha inoltrato la
domanda al Fondo amianto per avere una prima tranche di risorse accantonate
dalle transizioni offerte da Stephan Schmidheiny a diversi cittadini che
prevedevano un risarcimento di 30 mila euro ad ognuno, ma contemporaneamente una
quota di 20 mila euro per la ricerca. Ora quel fondo è più di due milioni di
euro. Una prima tranche in acconto servirebbe a dare da subito gambe al progetto
approvato dal Comitato Strategico regionale piemontese per il prosieguo nella
seconda fase di ricerca con l'obiettivo di uniformare il sistema di cura nei
vari ospedali di riferimento, ottimizzando sia le strutture sanitarie che i
trattamenti da effettuare sui pazienti.
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