La complice Regione Piemonte si è sempre rifiutata di sottoporre la
popolazione di Alessandria al monitoraggio di sangue perché i risultati
dell’avvelenamento di massa non lascerebbero scampo alle istituzioni -regione
e/o sindaco e/o magistratura- di chiudere le produzioni inquinanti della
Solvay di Spinetta Marengo: provvedimento per il quale sarebbero già
stati più che sufficienti gli storici dati ambientali dell’Arpa e studi
epidemiologici dell’Asl.
Ancora una volta, come già nel 2022, i cittadini, a proprie spese,
si sono rivolti alle strutture universitarie tedesche, per conoscere, tra i 21
veleni tossici e cancerogeni della Solvay, almeno quanto PFAS scorre nelle
loro vene. E anche questa volta i risultati sono inequivocabili: 36
persone su 36 hanno concentrazioni del cancerogeno Pfoa: il quale dovrebbe
essere a zero mentre risulta addirittura a livelli estremi di allarme per la
loro salute.
Il Pfoa ufficialmente è stato dismesso da dieci anni, dunque -come tutti i
Pfas- si è accumulato nei decenni precedenti nei loro organismi e lì continuerà
a colpire: come da diagnosi presenti e future dei medici. Non solo, nelle loro
vene sicuramente si addensano anche i Pfas C6O4 e ADV che
hanno sostituito il vietato Pfoa.
Senza le complicità istituzionali, la chiusura delle produzioni sarebbe
forse già un fatto compiuto se il biomonitoraggio fosse esteso a
tutta la provincia, dato che i Pfas sono stati accertati in numerosi Comuni,
anche con chiusura di acquedotto. Ciò è ulteriormente dimostrato dalle analisi
del sangue dei 36 cittadini del Comune di Alessandria e
sobborghi:
Cascinagrossa, Castelceriolo, Litta Parodi, Lobbi, Mandrogne,
San Giuliano Vecchio e Spinetta Marengo, che si sono sottoposti
al biomonitoraggio
indipendente coordinato da Ánemos, Greenpeace Italia e Comitato
Stop Solvay.
Leggi il comunicato stampa, comprensivo delle emblematiche tabelle.
L’esplicazione delle quali potrete apprendere dal video,
clicca
qui, approntatoci dal sempre presente
Buzzz
Blog.
Il
polo industriale di Priolo: tre impianti di raffinazione
petrolifera, due stabilimenti chimici, tre centrali elettriche, un
cementificio, due fabbriche di gas industriale e decine di aziende
dell’indotto.
Per
inquadrare la catastrofe sanitaria e ambientale, per dare una dimensione ai
veleni industriali di ogni tipo che hanno contaminato mare terra aria e
falde acquifere, si pensi che la massa di sostanze tossiche sversate solo nella
rada di Augusta ha formato un impasto con cui, se fosse calcestruzzo, si
farebbero 3mila palazzi di 6 piani; si pensi allo scandalo immane
del
depuratore
Ias gestito dalla Regione che dovrebbe smaltire i reflui
industriali e quelli urbani di Priolo e Melilli, e che non ha mai depurato
nulla fino a passare sotto sequestro nel 2022; si pensi che è stato accertato
che la possibilità di sviluppare un tumore in conseguenza dell’inquinamento
delle zona è la stessa sia per chi lavora nelle fabbriche del polo, sia per
chi vive nella zona.
Il mare colore veleno (Fazi
Editore, 18 euro) scritto dal giornalista
Fabio
Lo Verso, spiega perché la sentenza 105
della
Corte
Costituzionale con riguardo al
“Decreto
Priolo” può davvero rappresentare una svolta nel modo in cui
l’Italia guarda alle industrie inquinanti, cambiando la tendenza ad anteporre i
posti di lavoro alla salute delle persone e dell’ambiente. Il libro
sul
“posto più inquinato
d’Italia” ha raccolto le testimonianze di attivisti, ex operai,
sindaci, politici, procuratori, esponenti della comunità scientifica e
difensori dell’industria, ma anche gente comune, famiglie colpite da
gravissimi lutti, per raccontare “
il
quadrilatero della morte” del più grande polo petrolchimico
d’Italia, quel polo che
il
governo Meloni ha cercato di sollevare dalle responsabilità
ambientali in nome “
dei
settori produttivi strategici”, mentre le popolazioni sono sotto
ricatto occupazionale.
Il
keu è un residuo di produzione derivante
dal trattamento dei
fanghi prodotti
dagli scarti della
concia delle
pelli;
i fanghi non trattati, o non adeguatamente trattati, si caratterizzano come
rifiuto e contengono elementi nocivi per la salute; nei casi di «concia
al
cromo»,
infatti, l’agente di concia è per regola costituito da sali di cromo in forma
trivalente.
Per
presenza di Keu, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze sono
stati scaricati a tonnellate in 13 siti sparsi in mezza Toscana. In attesa che
l’udienza preliminare decolli (rischiano il processo 24 persone e 6 società),
il M5S invoca lo stanziamento di risorse regionali per “uno studio focalizzato
sull’incidenza di malattie correlabili al Keu nelle province
di Firenze, Pisa e
Arezzo dove sono distribuiti i 13 siti inquinati attualmente
noti”. Ma non solo: “Oggi sappiamo che ci sono almeno altri 60 siti inquinati soggetti a indagini,
che dovranno essere messi in sicurezza e bonificati . Se per questi l’inchiesta
in corso limita la possibilità di azione, è fondamentale avviare subito un
monitoraggio nelle aree già identificate e prepararsi a intervenire sulle
altre, nonché uno studio epidemiologico”.
Controlli e analisi in alcune Regioni sono assenti, però i Pfas sono
stati trovati in tutte le Regioni in cui sono stati cercati. Le analisi in
Italia tra il 2019 e il 2022 in merito alla presenza di Pfas nelle
acque superficiali e sotterranee rilevano che sono 18 mila, con una
contaminazione presente nel 17%1 dei risultati, Basilicata (31%), Veneto (30%)
e Liguria (30%), Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia,
Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Sardegna,
Sicilia, Umbria, Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano.
Le più alte concentrazioni di Pfoa in acqua e sangue umano sono state
rilevate in Veneto, Piemonte e Lombardia.
In Emilia-Romagna tra il 2019 e il 2022 la concentrazione è
di 0,0723 µg/l (microgrammi per litro) quanto ai campionamenti
del Fiume Rubicone, nelle pressi di Savignano (Forlì-Cesena). Criticità
sono state riscontrate nei fiumi del ravennate, nelle zone di Comacchio e
Canossa. I dati Ispra e Arpa rilevano che nel 2022 il Pfas era presente
sia nelle acque sotterranee che superficiali interne. L'Emilia-Romagna
paga pegno da monte, dalla Solvay di Spinetta Marengo (AL) che scarica in
Bormida quindi Tanaro e Po. I prelievi di Arpa nel 2019 hanno
riscontrato la presenza di Pfas nel canale Navile, a Malalbergo, e nel Reno, in
località Traghetto (FE).
Lo studio del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università
di Bologna mostra che diverse molecole di PFAS influenzano vie
ormonali e vie metaboliche, aumentando ad esempio i meccanismi di accumulo
degli acidi grassi e indebolendo il sistema immunitario. Oltre che nel sangue,
tracce di queste sostanze sono state individuate nel latte materno, nella
placenta, nel siero, nel liquido seminale e nei capelli.
Nelle Regioni come l’Emilia Romagna dove controlli e analisi
non sono completamente assenti, resta comunque scandalosa la loro
inefficacia stante l'inazione politico-legislativa che sconta
l’assenza di una legge nazionale che vieti l'uso e la produzione di PFAS, che
limiti allo zero come in Usa, Francia, Danimarca, ma perfino paga la ballerina
gestione dei database tra ISPRA e ARPE. Questi dati pur confermano un'emergenza
nazionale di?usa e fuori controllo, che interessa non solo le aree già note
ma anche numerose altre zone del Paese, ma sempre come la punta
dell’iceberg.
Tra
Vittoria e Acate Marina, nel Ragusano, il tratto di costa, da dove arrivano
pomodori e peperoni in uno dei mercati ortofrutticoli più grandi di
Italia, si trasforma in una terra dei fuochi senza controllo. Non sono
“semplici” incendi estivi:, sono roghi di plastica che viene dalle serre,
raccolta e poi bruciata nei terreni, molti dei quali sequestrati e poi
abbandonati. Le cosiddette fumarole ammorbano l’aria e non
permettono neanche di aprire le finestre per il troppo caldo. Dune di plastica
si creano nelle serre a pochi passi dal mare, la plastica viene smaltita
in spiaggia e poi bruciata. Il vento ricompone le dune, e sotto il velo della
sabbia rimane la plastica bruciata.
Tutto questo perché la filiera dello smaltimento dei
rifiuti agricoli è in mano alla criminalità organizzata.
Anche
a Livorno (Solvay di Rosignano
docet). La città toscana, con Collesalvetti, è uno dei 42 SIN Siti
d’interesse nazionale: area contaminata classificata dallo Stato come
pericolosa per la salute, con aria irrespirabile, e che necessita di bonifiche
di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee per evitare danni
ambientali e sanitari. Invece, tumori, leucemie e malformazioni in
aumento. Eni e Enel sott’accusa. Bonifiche al palo:
teoricamente a carico dell’inquinatore, poi della Regione Toscana. Sul sito del
ministero dell’ambiente si può leggere che le
indagini «hanno evidenziato una situazione di rilevante
inquinamento nei terreni, nelle acque di falda e nei sedimenti delle aree
marino-costiere, correlabile principalmente alle attività condotte all’interno
della Raffineria Eni e della centrale termoelettrica Marzocco Enel».
Negli
studi di “Sentieri”, acronimo di “Studio
Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio
da Inquinamento”, su mortalità e ricoveri
ospedalieri di circa 173mila abitanti totali, si
può leggere tra l’altro che si registrano aumenti di anomalie congenite – pari
a 268,6 per 10mila nati – in particolare per cuore, apparato urinario e
genitale, una mortalità in eccesso per tutte le cause del 6 per cento in più
per gli uomini e 7 per le donne pari a 131 decessi in più ogni anno, un totale
di 8.016 morti nel periodo analizzato tra tumori, malattie di sistema
circolatorio, respiratorio, digerente e urinario che hanno portato per lo
stesso motivo a 36.084 ricoveri nel medesimo arco di tempo, eccessi di
ricoveri ospedalieri per leucemie anche tra gli 0 e 19 anni e per mesoteliomi
della pleura (dato sottostimato ma il più alto in Toscana).
Oltre
alla raffineria e alla centrale termoelettrica, dalle navi ormeggiate in
porto a motore acceso, in città arriva una nube nera: 5 volte il biossido di
azoto di tutte le più di 100mila macchine circolanti a Livorno. E con
l’ampliamento del progetto
Darsena Europa i traffici sono destinati ad aumentare. Siamo
perfino vicini ad aree protette come Meloria o Santuario dei cetacei.
E’
stato dato il via libera dalla regione Toscana il rinnovo dell’autorizzazione
integrata ambientale per il termovalorizzatore di Livorno: situato a
circa 2 chilometri dal porto e dalla raffineria Eni di Stagno, l’inceneritore
presente da alcuni decenni è al momento spento per un guasto e, in caso di
riaccensione, dovrebbe terminare la sua vita a fine 2027. La vicina raffineria
ENI invece dovrebbe convertirsi nella terza bioraffineria
italiana, dopo Porto Marghera e Gela, per la produzioni di
biocarburanti, ma i movimenti politici e comitati cittadini l’etichettano come
“scelta sbagliata” visto che “il nuovo regolamento Ue vieta dal 2035 la
vendita di auto e furgoni nuovi con motore alimentato a benzina in favore di
auto elettriche e a idrogeno”, insieme a perplessità sul rischio
alluvionale.
La provincia di Alessandria
conta 405.288 abitanti. Fra i quali la Regione
Piemonte, tramite Asl, ha sottoposto a biomonitoraggio PFAS il sangue di 29 cittadini. Pari
allo 0,0071% della
popolazione a rischio. Si “ascende”
allo 0,31% se si
considera solo il comune di Alessandria (90.952 abitanti),
ma sarebbe fuorviante perché i Pfas del sobborgo Spinetta Marengo sono stati
rilevati anche negli altri comuni della provincia: in atmosfera, acque
sotterranee, acquedotto, fino al fiume Bormida e dunque al Po.
Nel sangue di tutte le 29 persone sono stati accertati
i Pfas, per 22 addirittura con
valori fino a 20 microgrammi/litro e per 6 nientemeno superiori a questo
limite di estremo pericolo per la salute.
Gli
attuali studi scientifici hanno dimostrato che l’esposizione a questi livelli
di PFAS può portare a: – Effetti riproduttivi come diminuzione della fertilità
o aumento della pressione sanguigna nelle donne in gravidanza. – Effetti o
ritardi sullo sviluppo nei bambini, tra cui basso peso alla nascita, pubertà
accelerata, variazioni ossee o cambiamenti comportamentali. – Aumento del
rischio di alcuni tumori, inclusi quelli della prostata, dei reni e dei
testicoli. – Ridotta capacità del sistema immunitario del corpo di combattere
le infezioni, inclusa una ridotta risposta ai vaccini. – Interferenza con gli
ormoni naturali del corpo, tiroide. – Aumento dei livelli di colesterolo e/o
rischio di obesità. [fonte: Environmental Protection Agency USA].
Si
consideri che tali patologie tossiche e cancerogene dei Pfas non esplodono in
fase acuta bensì erodono il corpo umano in tempi medi e anche lunghi,
perchè si immagazzinano nel sangue e negli organi e di lì non si
degradano e non si eliminano: sono stati ribattezzati “forever chemicals” “sostanze
chimiche eterne”.
Con
questa consapevolezza, la Regione è stata giuridicamente costretta ad
annunciare, per le 29
Vittime accertate, l’attivazione di “un sistema di sorveglianza sanitaria con
la possibilità da parte di pediatri e medici di famiglia di sottoporre -tutti
gli anni, per anni e anni, vita natural durante- la popolazione esposta
alle analisi del sangue periodiche e gratuite, per individuare
precocemente gli effetti sulla salute generale dell’organismo”.
Per le 29 Vittime accertate!! E per le altre 405.259
potenziali Vittime?? Quanto meno per le
altre 90.923?? Potenziali? più che
potenziali: esaminando le
analisi epidemiologiche che riproducono le patologie
scientificamente attribuibili ai Pfas, a tacere le altre 21 sostanze tossiche
cancerogene dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo.
Ma la complice Regione
continuerà a rinviare all’infinito il monitoraggio
di massa delle popolazioni a rischio.
D’altronde, quanti di questi elettori hanno
riconfermato la fiducia, nelle recenti votazioni, alla giunta centrodestra di
Alberto Cirio. In particolare promuovendo in Regione proprio il presidente
della Provincia, Enrico Bussalino – Lega.
Per
raggranellare qualche preferenza alle Regionali, Enrico
Bussalino, alla vigilia del voto, ha fatto finta di inviare alla Solvay
una diffida quale presidente
uscente della Provincia di Alessandria, storica complice. Una
“diffidina”a cavallo del voto: per 30 giorni sospendere la produzione e
l’utilizzo del Pfas cC6O4 in tutto lo stabilimento e rispettare le prescrizioni
previste dall’autorizzazione AIA (con generoso valore limite dello
scarico).
D’altronde
Solvay, che ha protestato senza vivacità, aveva, per evitare il fermo della
magistratura, già preceduto il provvedimento spegnendo “precauzionalmente” il
“reattore E” dopo l’allarme delle reti idriche e il clamoroso riscontro
del colabrodo aziendale con ripetute quantità anomale, dalle vasche d’emergenza
e dalle cosiddette barriere di contenimento, in falda e in Bormida
di cC6O4, e non solo:
anche degli altri Pfas, Pfoa e
ADV.
Ebbene,
Solvay non avrà difficoltà a trasmettere un cronoprogramma
di sondaggi finalizzati a rilevare la ripristinata ridotta presenza
del cC6O4 prodotto e utilizzato, e a trasmettere un piano di interventi e
verifiche esteso a tutte le aree dello stabilimento. Ovviamente, come sempre,
il programma sarà approvato dall’Ente provinciale, dopo aver acquisito i
pareri e i contributi tecnici dell’Arpa, del Comune e dell’Asl, usufruendo
presumibilmente anche dell’uscita di scena del dirigente provinciale
firmatario delle diffide.
Così
penserà di salvare la faccia, ma non la coscienza, il sindaco di Alessandria
che non firma l’ordinanza di fermata delle produzioni inquinanti, appena
disturbato nei mesi scorsi dai giornali che fotografano le ennesime schiume di
Pfas scaricate in Bormida, i cittadini che fiutano Pfas nell’aria e dai pozzi
dell’acquedotto.
Chi e come, dunque, può fermare
Solvay? Se ne occuperà l’autorità giudiziaria? Forse,
ma quando sarà a regime il nuovo processo penale, forse entro un anno.
Oppure bloccherà il colosso chimico una azione civile inibitoria e
risarcitoria.
Immobilizzate
le Istituzioni, Solvay cambia il pelo travestita
da Syensqo e si
impegna ad una intensa attività di propaganda sul
territorio “con iniziative che si
inseriscono nel nostro percorso di ascolto e
dialogo con la comunità locale”.
Tale
è stata “Fabbriche aperte”, “un tour by bus per
compiere un viaggio
lungo tutto il perimetro dello stabilimento con l’alternanza
di semplici fermate e
vere e proprie visite in campo”, iniziativa
pubblicizzata perfino con carrozzoni da circo, venghino signori venghino,
una boccata d’aria pura e un sorso d’acqua genuina, ma che si è risolta
in un flop gigantesco: neppure quattro gatti della folla di alessandrini
attesa.
Ma Solvay, per gli amici
giornalisti: Syensqo, non demorde. L’imputato Andrea
Diotto e il futuro imputato Stefano Colosio, rispettivamente ex e attuale
direttore, con assidue iniziative sponsorizzano l’assoluzione penale della
Solvay tramite il finanziamento di progetti e premi a università e scuole di
Alessandria, coinvolgendo docenti e studenti (schiumando naturalmente i
giornali di veline) nell’esibizione di una Solvay,
ribattezzata Syensqo: “azienda leader a
livello sia nazionale che internazionale nello sviluppo della mobilità
sostenibile”.
Come
tale, i due direttori hanno invitato docenti e studenti nella fabbrica unica
produttrice di Pfas in Italia, dalla quale i Pfas escono
anche in aria, acque sotterranee e di acquedotto e in Bormida. A proposito dei
quali, ma senza mai nominarli, hanno esibito “l’impianto e i
laboratori Aquivion®, innovativa tecnologia
di produzione di materiali polimerici per membrane in grado di integrarsi in
una catena di produzione di idrogeno verde sostenibile, rinnovabile e senza
emissioni di carbonio”.
Alla promotion gli
studenti sono rimasti passivi, magari pensando alla chimera di
future assunzioni da un impianto senza prospettive occupazionali. Ma
passivi sono rimasti anche i loro
insegnanti: “prof. G.
Laganà (ITIS ‘Volta’),
prof.ssa M. C.
Pasini (IIS ‘Sobrero’), prof.ssa B. T. Ferro (Liceo scientifico
‘Galilei’) , prof.ssa V. Fracasso (IIS ‘Balbo –
Palli’)” indicati nella velina.
Eppure
questi docenti dovrebbero possedere competenza sufficiente per esercitare il
ruolo critico dovuto al rispetto della scienza. Oppure basterebbe che
compitassero il nostro comunicato stampa dell’anno scorso (
clicca
qui) con oggetto:
“I nostri allarmi in vista del ‘nuovo’ impianto
‘Aquivion’ a Spinetta Marengo: 9,5 milioni di euro investiti con fondi di
Governo e Regione, sottratti ai monitoraggi del sangue della
popolazione”.
L’Autorità
Ue per la sicurezza alimentare (Efsa),vieta l’utilizzo di Bisfenolo A negli
imballaggi. Quale interferente endocrino, come i Pfas,
è capace di alterare l’equilibrio
ormonale e innescare “effetti nocivi sul sistema immunitario“. Largamente impiegato
nella produzione di plastiche e resine, è la sua capacità di trasferirsi nel
cibo e nelle bevande, dagli articoli di consumo come bottiglie di
plastica riutilizzabili, refrigeratori per la distribuzione dell’acqua o altri
utensili da cucina e, appunto, gli imballaggi.
Il
Movimento di lotta per la salute Maccacaro ha denunciato da anni, anche con
esposti alla magistratura
https://www.edocr.com/v/rkl0edx8/bajamatase/esposto-4-bisfenolo,
l’utilizzo del Bisfenolo nello stabilimento Solvay di Spinetta
Marengo:
“…questa sostanza senza autorizzazione
AIA è da parte della multinazionale belga -tra i principali
produttori nel mondo di Bisfenolo- ben conosciuta da decenni e
volutamente non evidenziata per la sua pericolosità all’ARPA, la quale
infatti non l’ha mai cercata nelle analisi a tutela (ASL) della salute
delle popolazioni”. Nessuna Autorità è intervenuta.
La
maggior parte dell’inquinamento da PFAS si verifica durante la produzione
(Solvay di Spinetta
Marengo è l’unica produttrice in Italia), e quando le sostanze vengono
applicate ai tessuti e quando un prodotto viene gettato via. Ma, essendo
i Pfas utilizzati negli indumenti da esterno per aiutare i tessuti
a respingere l’acqua facendo scivolare via il liquido, addirittura il
processo di invecchiamento del materiale fa sì che gli escursionisti che
indossano indumenti da esterno disperdano i Pfas nell’ambiente.
Ripartono
i cantieri per lo scavo del tratto italiano del tunnel di base del Moncenisio,
per la
Tav
Torino-Lione, malgrado sia emerso un nuovo inquietante problema
ambientale in Val di Susa: un’
inchiesta
di Greenpeace Italia ha scoperto
una
contaminazione da
PFAS nelle acque potabili di
oltre
70 Comuni dell’area metropolitana di Torino, di cui ben 19 situati
in
Val di Susa. In sei
Comuni (Bardonecchia, Venaus, Villar Focchiardo, Avigliana, Caprie e Susa),
oltre a PFOA le analisi hanno rilevato il
C6O4,
brevetto di Solvay.
I rilievi, tra i 10 e i 96 nanogrammi per
litro, sono molto vicini alla soglia
limite di 100 nanogrammi per litro stabilita dal decreto
legislativo n.18 del 23 febbraio 2023: enormemente superiore alle linee
guida molto più restrittive di paesi come la Danimarca (il
limite per PFOS e PFOA è di soli 2 nanogrammi/litro) o
gli Stati
Uniti (valori di zero nanogrammi/litro per il PFOA e il PFOS nelle
acque potabili).
Limite zero, ovvero messa al bando dei Pfas in Italia,
ovvero fermata dell’unico produttore Pfas in Italia (Solvay): sono contenuti
nel nostro Disegno di Legge (ex senatore Crucioli) che è insabbiato nel
Parlamento dalla scorsa legislatura.
È
plausibile che l’inquinamento in Valsusa sia causato
dai lavori collegati alla
Tav. Nel cantiere a La Maddalena di Chiomonte materiali contenenti PFOA vengono usati
generalmente come tensioattivi negli scavi di tunnel e gallerie.
Successivamente, si depositano nelle terre e rocce che vengono estratte durante
gli scavi. Questa ipotesi ha già trovato conferma per i tunnel in
Svizzera e per il Tav veneto.
Altro
segnale d’allarme proviene da una ipotesi (
clicca
qui) che la temperatura interna alla Torino-Lione potrebbe superare,
anche di molto, i 60 gradi centigradi, creando una situazione di rischio non
superabile con un sistema di raffreddamento.
Mentre i cantieri si allargano, la decennale protesta
contro la Tav prosegue. Così come la repressione. Dopo aver già scontato mesi
di carcere e arresti domiciliari per aver messo in pratica la disobbedienza
civile, Nicoletta Dosio è di nuovo ai domiciliari. All’età di 78
anni.
Nell’ambito
degli studi su
alcune
forme di cancro femminile (utero, ovaie, seno), associati al
rischio di tumori ai testicoli, ai reni, a danni alla fertilità, oltre a
favorire
alti livelli di
colesterolo,
pubblicata su
Environmental
Science and Technologya, la nuova ricerca
dell’Università di Cardiff, ha scoperto che i
forever
chemicals sono presenti anche nelle lontre che vivono vicino a
fabbriche che li utilizzano: precisamente uno stabilimento che produceva Teflon
(come Solvay di Spinetta Marengo) e
che ha smesso di
utilizzare il PFOA nel 2012.
L’accumulo
degli inquinanti eterni nelle lontre, secondo gli scienziati, è causato
dal fatto che sono i principali predatori di pesci delle acque dolci
britanniche e possono assorbirle attraverso la loro
dieta. Infatti
Studi
recenti hanno trovato i PFAS anche nel pesce.
La contaminazione da Pfas in Italia – in fiumi, laghi e
bacini sotterranei – è stata rilevata ovunque è
stata cercata, e
il Trentino
Alto-Adige non fa
eccezione.
Il
report di Greenpeace – realizzato dopo aver ottenuto
i dati ufficiali relativi a
sedici regioni tra il 2019 e il 2022 – dimostra quanto
è diffusa la contaminazione
ambientale con i
controlli che però, nella maggior parte del territorio
italiano sono ancora pochi e
frammentari, con Puglia, Sardegna, Molise e Calabria in
cui, tra il 2017 e il 2019, non risulta alcun monitoraggio.
Nello
specifico alla situazione del
Trentino Alto Adige, limitatamente al database
ISPRA delle Arpa delle province
autonome, la regione si trova
al terzultimo
posto della particolare graduatoria, con
la contaminazione da Pfas che
è presente infatti nel 6% dei risultati ottenuti dai
controlli effettuati : nel quadriennio preso in considerazione, sono stati
circa 3300. Risultato più
basso rispetto ai “picchi” di regioni come Basilicata
(31%) e Veneto e Liguria (30%).
L’ultimo
allarme proviene dall’Australia dove analisi all’acqua potabile hanno
riscontrato elevati livelli di sostanze chimiche potenzialmente cancerogene per
la salute umana. Stiamo parlando in particolare di perfluorottano solfonato (noto come PFOS)
e acido
perfluoroottanico (PFOA). Due sostanze che rientrano nella
categoria delle sostanze chimiche PFAS.