UN’ORMA PER SVELARCI IL MISTERO
della Condaghe di Sanna Alessandro
da
www.condaghe.it
Sulla Civiltà Nuragica tante teorie ed ipotesi son state avanzate
negli anni, tante cose certamente rimangono oscure, ma possiamo dire
che col passare del tempo un quadro più chiaro sul periodo nuragico è
venuto a crearsi, grazie all’apporto di nuovi scavi, di nuovi studi,
di analisi comparate con le altre civiltà del Bacino del Mediterraneo,
ma anche e forse soprattutto con i contributi di discipline affini
all’archeologia, soprattutto la letteratura classica.
Un punto fermo è innanzitutto rappresentato dall’organizzazione socio-
culturale nell’isola nel lunghissimo periodo nuragico, la quale
nonostante la presenza di popolazioni di diversa origine ( perché
arrivate nell’isola in epoche tra loro lontane o perché arrivate per
il tramite di “terre-ponte” tra loro differenti) presenta una
fortissima omogeneità, segno della presenza politica egemonica di un
clan che infeuda gli altri territori isolani, i quali seppure non
sottoposti alla sua diretta occupazione avevano al vertice della
gerarchia socio-politica appunto i rappresentanti della dinastia
dominante. Pertanto l’isola era divisa in cantoni, abitati da diverse
tribù, ma rappresentati al vertice dai componenti il clan egemonico,
più precisamente da coloro che affondavano le loro origini in tale
dinastia, quella dell’eroe eponimo, che secondo le leggende arrivando
dall’Africa diede il nome all’intera isola, il Sardus Pater. Tale
arrivo dovrebbe coincidere con il terzo ed ultimo importante
popolamento dell’isola poco prima (2000-1500 a.C.) dell’avvento della
Civiltà Nuragica, che deve essere pertanto debitrice agli importanti
influssi apportati da tali nuove genti.
Perché diciamo che l’isola si è popolata per effetto di afflussi
esogeni piuttosto che sotto la crescita demografica endogena?
Nonostante la Civiltà Nuragica presenti caratteri tipici che la
differenziano da qualunque altra civiltà precedente e coeva, la
constatazione che gli incrementi demografici coincidevano con nuovi
apporti culturali e questi coincidevano con l’esplosione demografica
delle altre aree del Mediterraneo occidentale, ci fa presumere che
anche la Sardegna sia rimasta coinvolta da questi flussi di genti che
si spostavano - nelle diverse epoche - all’interno del Bacino del
Mediterraneo ed attratti da quest’isola (dal clima mite, dalla
vegetazione abbondante, dotata di innumerevoli rivoli e torrenti e
soprattutto di giacimenti dell’importante ossidiana) vi si
stabilivano.
Gli antichi Romani erano soliti indicare (ancora allora) le
popolazioni delle diverse parti dell’isola con diversi nomi; per quel
che riguarda il periodo nuragico possiamo individuare tre popolazioni
di massima:
- quella dell’area centrale dell’isola, che legava l’isola all’asse
ovest (quello dei Pirenei e delle Baleari) e probabilmente
maggiormente rappresentativa della discendenza dalle prime genti,
denominate mediterranee antiche;
- quella del Nord-Gallura, che legava invece l’isola all’asse Nord,
verso l’arco Franco-Ligure;
- quella della Sardegna Meridionale, che legava l’isola all’asse Est,
verso il Mediterraneo Orientale e che probabilmente subì in maniera
più sensibile l’apporto genetico dell’ultimo popolamento.
La popolazione mediterranea antica arrivata in Sardegna nel VI
millennio a.C. e la popolazione mediterranea recente (costituita
prevalentemente da genti giunte nell’isola dall’area Egeo-Anatolica
all’incirca dal 3700 al 3300 a.C) costituì il principale apporto
antropologico, che pose le basi affinché - durante l’epoca nuragica -
si generasse un’etnia omogenea da un punto di vista non solo genetico
(di dolicomorfi) ma anche culturale; etnia alla quale si sovrappose –
fondendosi - l’ultimo popolamento, non particolarmente consistente dal
punto di vista numerico, ma che apportò nell’isola un rinnovamento
fatto di esperienze tecniche, di stimoli all’innovazione e di spirito
agguerrito. Queste minoranze (una di origine mediterraneo recente e
l’altra centro-europea) furono assimilate, tant’è che il loro apporto
genetico si esaurì già nel Bronzo recente. Ma probabilmente fu proprio
l’arrivo di queste ultime popolazioni “del Mediterraneo Recente” a
dare una fondamentale svolta “orientalista” alla cultura nuragica (in
una terra dove erano sorte civiltà sicuramente ascrivibili a quelle
dell’Europa Occidentale), nel senso che si fecero forti e chiari i
segnali di legami con le terre del Bacino Orientale del Mediterraneo,
in particolare con l’area Egeo-Cipriota.
Riassumendo, in Sardegna a partire dal Calcolitico Finale,
all’antichissima etnia matriarcale pelasgica (ovvero quella che
dominava i mari del Mediterraneo e che permise la condivisione di miti
e leggende tra i popoli che vi si affacciavano, etnia che nel Bacino
Occidentale prendeva il nome degli agguerriti Tirreni, i costruttori
di torri) si aggiunse un gruppo “dominante” comunque abbastanza affine
al precedente, poiché tutti questi movimenti migratori sopra descritti
ebbero una originaria base di partenza da Est, e col tempo - tramite
il passaggio attraverso “terre ponte” avvenuto in periodi più o meno
distanti – giunsero in Sardegna.
L’ipotesi qui avanzata - sulla primordiale e rintracciabile origine di
queste genti - è di una loro originaria provenienza dall’area
geografica del Mar Nero, zona particolarmente favorevole per
l’insediamento umano e dunque per la sua concentrazione ed evoluzione
“tecnologica”, tanto da permetterne la migrazione su lunghe distanze.
Da quest’area caucaso-anatolica si sarebbero infatti mosse (nelle più
disparate direzioni) quelle genti che determinarono un repentino
cambiamento nell’economia, nei culti e nei riti dell’Europa, fino ad
allora caratterizzata da culture del Paleolitico Superiore. Si trattò
di un salto consistente che portò in Europa l’economia agro-pastorale
(tipica dell’area medio-orientale, che probabilmente beneficiò
anch’essa di questo movimento demografico con la nascita dei suoi
grandi imperi) e le conoscenze che da questa derivavano, con i suoi
costumi e culti.
Si presume che questo movimento migratorio si sia propagato
(relativamente a quel periodo di riferimento) in brevissimo tempo,
forse all’interno del continente europeo attraverso il Danubio.
Ma cosa spinse questi uomini a muoversi così rapidamente alla ricerca
di nuove terre?
Pare che alla fine dell’ultima glaciazione - occorsa nel VI millennio
a.C. - le aumentate temperature avessero causato un innalzamento dei
mari fino a determinare la costituzione di una striscia di terra a
fare da diga tra il Mediterraneo ed una depressione, corrispondente
all’area attualmente occupata dal Mar Nero. Il crollo di tale diga
naturale, determinò un’immensa ondata d’acqua che sommerse una
vastissima area pianeggiante toccando le attuali aree della Bulgaria,
Romania, Ucraina, Russia, Georgia e Turchia. Questo evento determinò
una catastrofe di immane proporzioni, causando un anomalo movimento
migratorio di popolazioni che fu fonte di quella pressione demografica
nella Mezzaluna fertile universalmente riconosciuta come
effettivamente verificatasi nel VI millennio a.C., seppure finora
erroneamente attribuita ad una grande catastrofe naturale nell’area
del Tigri e del Eufrate, considerata come l’evento che diede origine
al mito del Diluvio Universale.
Ora sarebbe necessario spiegare come intere popolazioni siano riuscite
a sfuggire a questa immane catastrofe; resta il fatto che altri eventi
sono testimonianze della capacità di certe popolazioni (forse per un
rapporto particolare con la terra e gli animali), che senza l’ausilio
dei moderni strumenti di rilevazione dei rischi, sono state in grado
di sfuggire alle catastrofi naturali: un primo esempio può essere dato
dall’eruzione del vulcano Thera - intorno alla metà del II millennio
a.C. – che causò per effetto di un mega-tsunami il declino della
civiltà Minoica nell’isola di Creta, ma senza lasciar traccia di corpi
intrappolati all’interno delle città ridotte in macerie. Erano
riusciti a fuggire tutti percependo chissà come il pericolo; allo
stesso modo gli indigeni delle isole Andamane - nell’Oceano Pacifico -
sono sfuggiti all’ondata distruttrice dello tsunami che ha sconvolto
il sud-est asiatico nel 2004, nonostante tutti li avessero ormai dati
per spacciati. Loro invece (probabilmente seguendo gli animali) si
erano riparati nelle cime più alte dell’arcipelago, sfuggendo così
alla terribile minaccia.
Probabilmente è questo il motivo del ripetuto ritrovamento - in Europa
come nel Medio-Oriente - di identiche antichissime simbologie, indizio
di una omogeneità spirituale che andava ben oltre il bacino del
Mediterraneo. Pensiamo alla dea madre, all’albero della vita, al
simbolo del “labirinto”...
Inoltre il substrato della lingua sarda è pre-indoeuropeo, di strato
basco-caucasico, derivato dalla fascia anatolico-caucasica. Tuttora le
lingue Sarda e Basca presentano stretti rapporti di parentela,
conservatisi grazie a stretti contatti che seguirono anche nell’età
del Rame e nel Bronzo Antico, provati dalla corrispondenza culturale
megalitica e campaniforme. Anche moderni esami genetici accostano i
nuragici (ma anche il sardo moderno, abitante i villaggi più chiusi ai
rapporti esogamici) unicamente alle popolazioni dell’area anatolico-
caucasica.
Ritornando al periodo nuragico, abbiamo detto che l’omogeneità socio-
culturale dell’isola doveva essere assicurata dalla presenza di un
clan dominante, il quale doveva occupare una determinata zona
dell’isola: è presumibile che questa fosse la Sardegna Meridionale la
più adatta per il controllo dei traffici verso le terre più evolute
del Mediterraneo, ovvero quelle poste nel versante orientale.
Fu una civiltà che mantenne intatta e stabile la propria struttura
politica - all’incirca dal 1600 al 1000 a. C. – con evidenti segni di
un notevole benessere (relativamente al periodo sopra indicato) come
il progressivo accrescimento demografico (che forse raggiunse le
750mila unità, metà degli attuali abitanti della Sardegna) e
l’edificazione di migliaia di torri nuragiche (se ne censiscono
tuttora 8.000), grandi opere megalitiche che diedero prova del
possesso di evolute tecniche ingegneristiche e di numerosa manodopera
a disposizione per la realizzazione di opere d’interesse comunitario.
Ad esempio l’Impero Egizio (molto più longevo e glorioso rispetto alla
Civiltà Nuragica) è riuscito ad erigere e conservare in millenni di
indiscusso dominio 150 piramidi, volute dai Faraoni per magnificare il
loro potere ed erette su un vastissimo territorio; sembrano veramente
poche rispetto alle 8000 torri nuragiche della Sardegna, le quali
raggiungevano in alcune zone una densità inconcepibile con la tesi
dominante di una visione e volontà verticistica dei “signorotti”
locali.
Inoltre sembrerebbe più logico aspettarsi grandi opere volute da un
capo riconosciuto “a livello nazionale” che ritrovarsele in un
territorio occupato da vari clan e tribù, per i relativi rischi di
conflittualità (che in un tale contesto sembrano inevitabili) e dunque
con una leadership sempre incerta.
Tra l’altro i cantoni “granaio” dell’isola (ovvero quelli che
presentano una maggiore densità di nuraghi sul territorio) dovrebbero
essere meno adatti all’affermarsi di una forte leadership (visto che
questo avrebbe dovuto comportare la monopolizzazione del controllo
della risorsa “principale” – il grano - che invece si presta ad un
possesso diffuso all’interno della comunità) rispetto ad aree dove la
motivazione dell’affermarsi di una figura preminente poteva essere
giustificata dal monopolio della ricchezza, ad esempio grazie al
controllo della disponibilità di metalli, in quanto risorsa
maggiormente concentrabile in poche mani attraverso il monopolio delle
tecniche di lavorazione. Ed invece le aree caratterizzate dalla
presenza di giacimenti minerali erano proprio quelle non coperte da
tale rete di controllo!!
Senza dover rifiutare l’idea dell’impiego di maestranze specializzate
(esterne alla comunità committente) nell’edificazione dei nuraghi,
senz’altro sarebbe stato utile (e renderebbe più giustificabile la
presenza di un considerevole numero di torri) il coinvolgimento della
comunità - con uomini e animali – nell’approvvigionamento del
materiale sul luogo di lavoro e tale loro coinvolgimento sarebbe stato
più semplice se accompagnato da una volontà collettiva alla
realizzazione del progetto.
Cosa emerge da questo quadro?
Prima della costruzione dei grandi complessi nuragici, queste torri
non potevano avere una funzione di protezione della popolazione ed
infatti i loro villaggi erano privi di cinte murarie. Tali torri
avevano una funzione di avvistamento, con ogni probabilità per
allarmare (tramite l’utilizzo di fuochi come segnalatori, ed ecco
l’origine del nome nuraghe!) la popolazione in caso di pericolo per le
loro risorse agricole ed i loro allevamenti.
Questi nuraghi avevano pertanto una funzione di tutela delle ricchezze
comunitarie delle singole tribù nei confronti delle razzie da parte
delle altre tribù. L’importante funzione di controllo era affidata ai
discendenti (su base matrilineare) del clan dominante i quali erano i
naturali “incaricati” della tutela di tale sistema socio-politico
delle comunità, dovendone assicurare il protrarsi del benessere e il
rispetto del delicato equilibrio tra villaggi, tribù e cantoni.
In una tale civiltà matriarcale le ovvie “inquiline” del nuraghe non
potevano che essere le figlie del capo le quali a loro volta
divenivano le spose dei nuovi “leaders”, che andavano ad abitare i
nuraghi già edificati o quelli di nuova costruzione e così via; col
crescere contemporaneo della pressione demografica sul territorio e
del numero delle discendenti della dinastia dominante, crescevano le
esigenze costruttive di tali torri: ecco il perché della
proliferazione di un numero così consistente di torri. Doveva con ogni
probabilità trattarsi del “modello politico” in vigore nell’isola già
all’arrivo del Sardus Pater (ovvero dell’ultima grande immigrazione)
il quale vi trovò infatti i nuraghi a corridoi e vi si adattò!
Le prime torri sono dette protonuragiche (ovvero precedenti all’epoca
nuragica), hanno un aspetto tozzo, con camere interne “a corridoio”,
create - per sovrapposizione di grossi massi - presso punti di
avvistamento strategici, in cima a strapiombi con vista su importanti
passaggi. Esse non verranno abbandonate con l’avvento dei nuraghi a
tholos (considerando il periodo, unici al mondo per scelte
architettoniche, altezza e presenza di strutture inframurarie) ma
riutilizzate, magari con l’aggiunta di strutture a tholos nei nuraghi
complessi.
Coeve alla loro costruzione sono le tombe di giganti (considerando la
loro tipologia costruttiva a corridoio), il cui utilizzo – come pure
accadde per le ben precedenti (neolitiche) domus de janas – proseguì
comunque immutato durante la civiltà nuragica.
Dunque la finalità dei nuraghi a corridoio era quella di punti di
controllo del territorio, secondo una tradizione delle popolazioni
pelasgiche stabilitesi nel Mediterraneo Occidentale, come confermato
dalle costruzioni delle genti “minoiche” presenti nel III° Millennio
a.C. in terra Iberica e come era comunque consuetudine un po’ in tutte
le isole (Baleari, Corsica, Sicilia, ecc.) di questo versante del
Mediterraneo; ma in Sardegna più che in qualunque altro posto, esse
raggiunsero – per numero e durata di utilizzo – valori nettamente
superiori.
Importante fu il momento in cui si smise di costruire le tombe di
gigante: esso coincise con l’edificazione dei nuraghi a tholos. La
tecnica di costruzione a tholos era antichissima nell’area del
Mediterraneo ed in quel periodo giunse pure in Sardegna, con una
novità però, in quanto venne applicata per delle costruzioni edificate
dal basso verso l’alto, anziché (come avvenne pure in territorio
miceneo) essere destinata a strutture ipogee, come gli edifici funebri
o comunque luoghi sotterranei con funzioni cultuali costruiti
dall’alto verso il basso.
Stavolta – in Sardegna - le masse murarie a nido d’ape acquisirono una
notevole dimensione, rivolte verso l’alto con singole camere di
altezza anche superiore ai 20 metri e fra loro sovrapposte, destinate
a integrare o potenziare la rete di nuraghi a corridoio già presenti
nell’isola.
Il sospetto, determinato anche da antichi racconti sui nuraghi e sulle
“babaiere” (strapiombi dai quali - al termine di cerimonie deliranti -
i vecchi della comunità, chiamati babay, ponevano fine alla loro
esistenza, al fine di mantenere intatto il ricordo della loro
“grandezza” e non pesare sulla comunità), è legato alla possibilità
che la torre nuragica fosse passata ad avere una funzione addizionale
a quella di controllo del territorio, ovvero quella di servire per la
conservazione delle spoglie degli antichi capi della comunità,
seguendo così l’antica funzione fino ad allora svolta dalle tombe dei
giganti.
In una seconda fase, molte di queste singole torri assunsero una
struttura complessa (tipica delle fortezze) con antemurali posti ora a
difesa di un simbolo di potere. Tale passaggio segna l’arrivo di un
periodo di fortissima conflittualità tra cantoni, per effetto di un
probabile incremento della pressione demografica, in riferimento a
quel periodo sicuramente molto accentuata. Non che prima le
popolazioni dell’isola fossero particolarmente pacifiche, vista la
capillare proliferazione delle torri di controllo nel territorio!!!
Queste costruzioni politurrite erano maggiormente funzionali alle
esigenze di difesa da assalti, acquisendo dunque una sempre più
accentuata importanza; così di riflesso il ruolo degli inquilini
legittimati a gestirne la funzionalità non poteva che essere sempre
più prestigioso. Dunque diveniva sempre più evidente, forte e
riconoscibile il ruolo gerarchico che il nuraghe polilobato assegnava!
Nel XII° secolo a.C. in generale (ma particolarmente nella parte
meridionale dell’isola) i nuraghi subirono dei crolli e
danneggiamenti, solo in parte successivamente restaurati. Il dato
significativo è che - da allora - quasi non si costruirono più
nuraghi, molti furono abbandonati, segno di un fase di inesorabile
declino, però con una tangibile continuità col passato.
All’incirca a partire dal 1000 a.C., dalle macerie dei nuraghi e delle
loro mura di difesa si costruirono dei piccoli villaggi (spesso
abitati fin in epoca romana), strutturalmente non adatti alle attività
produttive quotidiane, ma caratterizzati dalla presenza di capanne
particolari, tali che potremo ribattezzare questi luoghi come
“villaggi sacri” con ambienti destinati ad operazioni cultuali (per
via della presenza di sistemi di canalizzazione dell’acqua riscaldata
tramite appositi forni e di reperti visibilmente destinati a queste
funzioni, come le pintadere utili ad imprimere i pani in occasioni di
cerimonie) ed ambienti per le riunioni collegiali (per via di sedili a
contornare gli ambienti interni ed i reperti simbolici in essa
ritrovati, come sculture e bronzetti) alle quali potevano partecipare
gli individui più importanti delle comunità.
In questo periodo il nuraghe perse il suo ruolo di controllo e difesa
di una comunità, conservando però la sua importanza, come luogo di
potere, ma soprattutto sacro - che conserverà nei secoli - visto che
molte chiese in Sardegna furono edificate proprio in prossimità di
questi luoghi.
Ebbe inizio dunque una nuova fase politica della Civiltà nuragica, una
fase definita aristocratica, con l’affermarsi di una elite all’interno
delle comunità; pur nella continuità del passato la civiltà nuragica
mostrerà una sempre più profonda involuzione fino all’arrivo dei primi
dominatori, ovvero i Cartaginesi.
Ma cosa produsse questo passaggio ad una nuova organizzazione
politica?
Alcuni suggeriscono che forse per effetto dell’arrivo dei primi
colonizzatori nell’isola - i Fenici, per il tramite dei quali i
nuragici commerciavano – vennero a consolidarsi delle posizioni di
preminenza da parte di coloro che detenevano i rapporti con questo
popolo di mercanti, dando vita ad una classe aristocratica che
caratterizzò la nuova stagione.
In realtà le colonie fenicie si insediarono - piano piano, sopra città
nuragiche oramai abbandonate - solo lungo la costa sud-ovest ed i
nuragici del nord-est continuarono a commerciare direttamente con le
città etrusche e latine (alle quali imposero il loro nuovo modello
“aristocratico”), tranquillamente fino alle politiche espansionistiche
cartaginesi.
I racconti classici parlano d’altro canto della cacciata dall’isola
della stirpe dominante; la quale probabilmente fu ritenuta
responsabile della caduta in disgrazia dell’intera civiltà.
Ed allora bisogna andare a vedere cosa successe al culmine della
potenza nuragica:
1) Le strutture murarie dei nuraghi subirono nel complesso delle
importanti lesioni
2) Il livello del mare sulla costa della Sardegna (fu un fenomeno che
colpì comunque l’intero mediterraneo) subì un improvviso innalzamento
di circa 2 metri, come rivelato da analisi geologiche!
Questi dati sembrano suggerire l’impatto negativo dovuto a catastrofi
ambientali, che in particolare nella costa possono aver causato la
fuga della popolazione ivi insediata, con conseguente pressione
demografica verso le terre dell’interno. La nuova situazione potrebbe
aver comportato il collasso di un sistema (e del suo oramai fragile
equilibrio) arrivato al massimo delle sue potenzialità, con
conseguente migrazione oltremare alla ricerca di nuove terre da
colonizzare: da qui la motivazione dell’intensificarsi delle scorrerie
dei Popoli del Mare e della presenza sempre più consistente degli
Shardana nelle ricche terre Mediorientali, oramai divenute terre di
conquista dei “pelasgici di ritorno” (in difficoltà nelle loro terre)
che andranno a generare in terra libanese i futuri dominatori del
mediterraneo: i Fenici, ovvero quelle genti che poi lentamente
riprenderanno le antiche rotte per l’Occidente, evidentemente mai
dimenticate e non completamente abbandonate.
Pare che le imbarcazioni Shardana (che incantavano Greci ed Egizi)
fossero le stesse utilizzate secoli dopo da Cartagine, dunque da una
colonia fenicia.
In realtà esiste una seconda corrente di pensiero (parimenti sostenuta
dagli addetti ai lavori) che sostiene l’arrivo degli Shardana in
Sardegna successivamente all’epoca delle invasioni ad est dei Popoli
del Mare. Eppure fin all’arrivo dei fenici in Sardegna non vi sono
tracce nell’isola di nuovi insediamenti, ne i Fenici hanno lasciato
testimonianze di averne trovato!! Vi fu si un cambiamento nell’assetto
politico, ma dal punto di vista culturale vi fu una perfetta
continuità, tant’è che si continua a parlare di civiltà nuragica. Al
contrario, sulla base di reperti archeologici, tracce nuragiche nel
versante orientale del Mediterraneo divennero più frequenti proprio in
quel periodo!
La domanda degli scettici sull’origine sarda della potenza Shardana è:
perché nelle terre conquistate non furono costruite torri nuragiche?
I popoli del mare erano particolarmente temuti per la loro
bellicosità, infatti si davano alle razzie delle città assaltate
(nobile pratica in quel periodo) e proprio facendo questo portarono
alla caduta di importanti imperi e civiltà, determinando perfino la
chiusura dell’impero Egizio in se stesso, all’interno dei propri
confini. Come consiglia il nome stesso e come riportato da antiche
scritture essi stavano sulle navi oppure prestavano servizio come
mercenari a supporto delle milizie committenti. Inoltre dove vi è
testimonianza – tramite epigrafi egizie - di una loro assegnazione di
terre (nell’antica Palestina) son state rinvenute costruzioni di quel
periodo storico di chiara origine “occidentale”, che gli esperti
indicano di origine precisamente “sarda”.
Aggiungerei che le torri facevano parte di una tradizione socio-
politica dell’isola, utile al controllo delle terre e delle loro
proprietà, ma poco funzionali per le loro operazioni piratesche;
inoltre nel periodo immediatamente successivo agli attacchi dei Popoli
del Mare, ormai tendenzialmente non si costruivano più nuovi nuraghi
neppure in Sardegna.
L’organizzazione politica dei nuragici non trovò mai esplicazione in
veri e propri centri urbani (con una compiuta divisione del lavoro) ma
si realizzò attraverso i classici villaggi tribali; questo è almeno
ciò che ci dicono le emergenze archeologiche di oggi.
Anche se può restare il dubbio su come il clan dominante potesse far
valere il proprio dominio sulla vasta e ricca isola!!
E se fosse esistito un capo supremo tanto potente da richiedere
intorno a se tutta una serie di maestranze specializzate e di
collaboratori con compiti specifici per il controllo dei commerci e
dei vasti domini, e per il quale era necessaria una scrittura più
compiuta (rispetto ai semplici segni di scrittura proto-fenicia
trovati qua e la nei siti nuragici) per magnificare le proprie
imprese, per aver conto della situazione del proprio patrimonio, per
esigenze commerciali, diplomatiche e militari?!?!
D’altronde le opere ingegneristiche di questo popolo fanno pensare che
dietro ci fosse un preciso e complesso calcolo matematico.
Ed allora che fine avrebbe fatto questa città dei re Shardana e con
essa tutti i loro “registri”??
Qui può venirci nuovamente in soccorso la letteratura classica e
Platone - per la precisione - con i suoi racconti Timeo e Crizia, i
quali paiono raccontare proprio le gesta dei Popoli del Mare, ovvero i
Shardana ed il suo “impero”; con essi Platone richiama eventi storici
oramai mitizzati registrati in terra egizia, dato che non erano noti
alla tradizione letteraria greca. Tali racconti si concludono con la
descrizione della capitale dell’impero atlantideo travolta dall’ira di
Poseidone ed inghiottita dal mare, ponendo così fine alla grandezza di
un popolo il cui esercito (dopo aver messo a soqquadro le altre terre
del Mediterraneo) stava tentando di invadere l’Egitto.
Ma perché Platone volle scrivere su Atlantide? Questo ce lo dice un
suo autorevolissimo allievo, Aristotele (che la riteneva una
costruzione utopistica, unicamente a fini esplicativi): gli serviva
per rappresentare il suo modello politico ideale!!
Ma perché allora affermare che questi racconti non furono
completamente frutto dell’immaginazione del filosofo greco?
Sappiamo da Aulo Gellio che Timone - un poeta satirico ateniese
contemporaneo di Platone - lo ridicolizzava perché secondo lui aveva
comprato (pare anche con l’aiuto economico dell’amico Dione
Siracusano) per un prezzo a dir poco spropositato tre libri scritti da
un filosofo pitagorico (Filolao) e aveva scritto il Timeo sulla base
di quel libro; ed in effetti il taglio pitagorico del Timeo è evidente
ed infatti è considerata un’opera inconsueta per Platone. L’avere
scelto di pagare per l’acquisto di tali testi un prezzo tanto alto e
decisamente "fuori mercato" può giustificarsi solo con il carattere
particolarmente importante attribuito dal compratore alle informazioni
in essi contenute.
Lo stesso Platone insiste sulla veridicità del racconto, scomodando
anche Solone (uno dei sette sapienti dell’Antica Grecia!!) per
avvertire che questa è una notizia molto autorevole; va considerato
inoltre che quando Platone ricorre alla pura irrazionalità - come
soluzione di un problema - lo dichiara esplicitamente; in Platone
l’opera di “fantasia pura” è sempre presentato come tale!! Qui invece
si sforza di risalire all’origine di questa tradizione orale greca,
che ebbe luogo a partire da alcuni scritti presenti in un tempio
egizio.
Allora, dove andar a cercare questa mitica capitale dei Shardana?
Certamente nella Sardegna meridionale; io direi nell’accogliente e
riparata laguna di Santa Gilla che già conserva nei suoi fondali le
vestigia dell’antica capitale medievale dell’isola: S. Igia.
Nei nuragici vivrà a lungo il culto di un tempo glorioso, ma ormai
passato, attraverso la rappresentazione di personaggi mitici sui
numerosi bronzetti ritrovati all’interno di questi luoghi. Curiosa è
anche l’accresciuta importanza del culto dell’acqua con la costruzione
dei maestosi templi a pozzo e fonti sacre, sempre con la tradizionale
tecnica costruttiva del passato.
da
www.condaghe.it